I promessi sposi riassunto capitoli

 


 

I promessi sposi riassunto capitoli

 

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I promessi sposi riassunto capitoli

CAPITOLO VIII

 

Perpetua ando a riferire al padrone, immerso nella lettura di un panegirico di San Carlo; anche lui brontolo che l'ora era indiscreta, ma aggiunse subito che non bisognava lasciarsi sfuggire la buona occasione, che chi sa quando si sarebbe ripresentata. Quando la serva scese e apri l'uscio per far entrare i due fratelli, Agnese la saluto e aggiunse che veniva dal paesetto vicino, e che aveva fatto tardi proprio per difenderla dalle calunnie delle pettegole, poiche "una donna di quelle che non sanno le cose, e vogliono parlare" sosteneva che lei era rimasta zitella, perche non aveva mai trovato uno che la volesse. Questa corda aveva larghe risonanze nell'animo di Perpetua, la quale subito abbocco l'amo e s'ingolfo, appartatasi con l'amica, nel racconto dettagliato di tutti i partiti che le si erano presentati e che lei aveva puntualmente rifiutati. Sicche ad Agnese  non  fu difficile, nel fervore del racconto, allontanarla sempre piu dalla porta e condurla in un punto della strada da dove non si poteva piu vedere l'uscio della canonica. Allora la donna tossi forte, come era stato convenuto, e Renzo e Lucia si affrettarono a entrare e raggiungere i due che si erano attardati nella scala.
Arrivati tutti sopra, Tonio entro nello studio di don Abbondio  col fratello; i due promessi rimasero fuori, accostati al muro, nella penombra:  immaginate il gran battere del cuore di Lucia! Consegnate che ebbe le berlinghe, che il curato conto e riconto osservandole a una a una nel timore che ce ne fosse qualcuna falsa, il villano - scarpe grosse e cervello fino - non si accontento di riavere la collana della moglie, ma pretese anche la ricevuta del pagamento: non si sa mai! Mentre don Abbondio, pur borbottando, scriveva la quietanza, i due fratelli, ritti davanti al tavolo, gli chiudevano la visuale; in questo punto Renzo e Lucia entrarono in punta di piedi nella stanza e si nascosero dietro ai testimoni. Tutto stava riuscendo a pennello, secondo i piani. Allorche il curato, finito di scrivere il foglietto, alzo la testa e stese la mano per consegnarlo a Tonio, questi e il  fratello si scostarono lateralmente, e in mezzo a loro apparvero a un tratto i due promessi! Renzo non perse tempo, e pronuncio subito la sua formula:
"Signor curato, in presenza di questi testimoni, quest'e mia moglie."
Ma Lucia aveva appena cominciato a dire timidamente le sue parole sacramentali, che don Abbondio, reagendo immediatamente dopo il primo sbalordimento, la investi e, per cosi dire, la imbacucco col tappeto del tavolo che aveva ghermito in furia, rovesciando sul pavimento tutto cio che c'era sopra, compresa  la  lucerna che subito si spense immergendo nelle tenebre quella scena tragicomica. Mentre il curato usciva a salvamento, sempre gridando aiuto, e si barricava in una stanza piu interna, invocando Perpetua a squarciagola, nello studio la scena era indescrivibile, tra Renzo che cercava di calmare e indurre alla ragione il parroco, dopo aver tentato invano di bloccarlo, Lucia che, mortificatissima, pregava il fidanzato di tornare a casa, Tonio che cercava di ripescare la sua ricevuta, caduta a terra nella  ressa, e  infine Gervaso  che gridava e  saltellava come un ossesso.    A


 

 

questo punto l'Autore fa un'acuta riflessione: Renzo sembra l'oppressore, perche s'e  introdotto  con  l'inganno  in  casa  altrui;  don  Abbondio  appare  la  vittima, sorpresa  in  casa  propria  mentre  badava  pacificamente  ai  fatti  suoi;  nella  realta invece    le    posizioni    dovevano    essere    esattamente    invertite;    e    conclude amaramente: "Cosi va spesso il mondo."
Don Abbondio, vedendo che Renzo non si ritirava, ma insisteva a bussare alla porta della stanza nella quale si era chiuso a chiave, penso bene di aprire  la finestra e di gridare aiuto verso la piazzetta, nella speranza che qualcuno lo udisse. Lo udi infatti il sagrestano Ambrogio il quale, svegliato dalle sgangherate grida, si affaccio al finestrino del suo bugigattolo, e vedendo che era il curato a invocar soccorso, non se la senti di accorrere lui solo, ma ritenne piu sicuro radunar molta gente; corse percio mezzo vestito al campanile e, afferrata la corda della campana piu grossa, comincio a sonare a martello con tutta la forza che gli dava  lo spavento. A questo punto la scena si amplia e si complica, diventando uno spettacolo corale, nella cui descrizione il Manzoni manifesta la sua grande abilita di arguto narratore, con un racconto veramente affascinante, e d'icastica evidenza, di questa "notte degl'imbrogli e dei sotterfugi." Noi cercheremo di sintetizzare il vivace racconto.
Innanzi tutto dobbiamo tornare un po' indietro, per vedere  che  cosa hanno fatto nel frattempo i "bravi" incaricati del rapimento di Lucia. I tre di essi che avevano passato la serata all'osteria, quando videro le strade deserte, fecero un giretto per il paese per accertarsi che tutti gli usci fossero chiusi, quindi tornarono in fretta al casolare dove fecero la loro relazione al Griso. Questi, che per la bisogna si era vestito da pellegrino, subito si mise in marcia alla  volta della casetta, seguito da tutti i suoi uomini. Giunto all'uscio di strada, picchio con l'intenzione di presentarsi come un pellegrino sperduto, che chiedeva ricovero per quella notte. Nessuno risponde; allora si forza la porta, si invade il cortiletto, si bussa all'uscio di casa. Siccome anche questa volta nessuno risponde, dato che gli abitanti erano usciti per la loro spedizione poco prima dell'arrivo degli invasori, il Griso fa forzare anche questa porta, e penetrano tutti nella casetta, eccetto due lasciati di guardia all'uscio di strada.
Frugano nelle stanze terrene: niente! Si precipitano per le scale, entrano nelle stanze del primo piano: nessuno! Frugano dappertutto, mettendo ogni cosa sottosopra: niente! Il Griso e desolato.
Intanto Menico giunge trafelato per recare alle donne e a Renzo, da parte di Padre Cristoforo, l'avviso di lasciare immediatamente la casa e di rifugiarsi al convento; fa per picchiare alla porta di strada, ma essa cede e si spalanca da sola; mentre era esitante, viene afferrato dai due manigoldi li postati, i quali  gli intimano di non fiatare: lui invece caccia un urlo per lo spavento. I birboni gli tappano subito la bocca e lo minacciano col coltellaccio, ma proprio in quel momento risuonano i rintocchi della campana a martello. Chi e in difetto, e in sospetto: i due malandrini, pensando che si suoni l'allarme contro di loro, rimangono attoniti, e quasi senza accorgersene lasciano andare il ragazzo, il quale fugge verso il campanile, dove avrebbe certamente trovato qualcuno. Trovo infatti


 

 

Renzo, Lucia e Agnese, che ai rintocchi pensarono bene di lasciare la casa del curato per tornare in fretta alla loro, prima che giungesse gente. Riconosciutili al chiaro di luna, Menico, con la voce alterata dallo spavento, disse loro di non andare a casa, che era invasa, ma di recarsi subito al convento, dove fra Cristoforo li attendeva. I poveretti capirono subito piu di quanto il ragazzo avesse detto, e senza frapporre indugio presero per i campi in direzione del luogo indicato.
Nella casetta di Agnese, i lugubri rintocchi avevano  seminato  lo scompiglio tra i bravi, che subito batterono in ritirata, la quale si sarebbe mutata in rotta senza l'autoritario intervento del Griso che svergogno un po' i suoi uomini che si erano fatti prendere dal panico. Intanto la gente comincio ad accorrere verso il sagrato, e i primi giunti diedero una voce al campanaro per sapere che fosse successo. Ambrogio, visto che erano accorsi gia parecchi, lascio la corda della campana e dall'interno corse ad aprire la porta della chiesa. Ai soccorritori disse che era stata assalita la casa del curato; sicche tutti si rivolsero verso di quella, e si meravigliarono non poco nel vederla chiusa e silenziosa. Dentro, don Abbondio stava rimproverando la serva, la quale con la sua imprudenza e leggerezza l'aveva esposto a si gran pericolo; quando si senti chiamare a voce di popolo, si affaccio e disse: "Non c'e piu nessuno: vi ringrazio: tornate pure a casa." Quindi richiuse la finestra e non si fece piu vedere.
Mentre la gente, brontolando a voce piu o meno alta, si allontana sparpagliandosi, giunge uno tutto trafelato, il quale annuncia con voce rotta che la casa di Agnese Mondella e invasa da gente armata: si decide di correre in aiuto. Trovano la casetta vuota, ma con le tracce fresche dell'invasione, e pensando che le due donne siano state rapite, si propone di eseguire subito una battuta nei dintorni per raggiungere i rapitori. Ma mentre ci si raccoglie e ci si prepara a partire, esce uno a dire che Agnese e Lucia si son messe in salvo. La vaga notizia e subito creduta, perche rispondente al desiderio e all'interesse di ciascuno, e ben presto la schiera dei villani si disperde, tornando ognuno volentieri alla propria casa, senza doversi battere con malfattori armati di tutto punto, mentre loro non avevano altro che forconi e qualche vecchio fucile quasi inservibile.
In questo frattempo Renzo, Agnese, Lucia e Manico (Tonio e Gervaso erano frettolosamente tornati a casa loro) si erano allontanati di un buon tratto dal villaggio, per cui rallentarono il passo, e Agnese volle sapere da Renzo com'era andata. Quindi si fecero ripetere meglio da Menico che cosa gli aveva detto il Padre e che cosa aveva visto nella loro casetta; e nel sentirlo rabbrividirono tutti, specie Lucia, ed ebbero per il ragazzo parole di affettuoso ringraziamento per quanto aveva fatto per loro. Regalatolo generosamente, lo rimandarono a casa, affinche i suoi genitori non stessero piu in ansia per lui, a quell'ora ormai tarda. Essi invece ripresero la strada verso il convento, e dopo poco ci arrivarono.
Dentro la chiesa del convento, lasciata socchiusa, vegliavano in attesa fra Cristoforo e il laico sagrestano, il quale pero era preoccupato per questa infrazione alla Regola, secondo la quale a quell'ora dovevano essere gia coricati, e chiusa la porta della chiesa. Quando poi, con Renzo, vide entrare le due donne, fra Fazio (cosi si chiamava il sagrestano) non si tenne piu, ed espresse al confratello il   suo


 

 

scandalo per questo fatto enorme: stare di notte in chiesa con donne! Fra Cristoforo, dimenticando in quel momento che il laico non conosceva il latino, rispose semplicemente: "Omnia munda mundis." Risposta molto pertinente: ogni azione e pura per chi la compie con purezza d'intenti, cioe non bisogna badare alle apparenze, ma alla sostanza di un fatto, e soprattutto alle intenzioni con cui lo si fa.  Il sagrestano pero non sapeva il latino; ma proprio questa ignoranza  compi il miracolo di mettere a tacere fra Fazio. Egli infatti penso che in quelle arcane parole ci fosse la risposta a tutti i suoi dubbi, e s'acqueto rinunciando a fare altre obiezioni.
Fra Cristoforo, vedendo che i suoi protetti erano in salvo, ne ringrazio Dio con loro, quindi prego anche per chi li aveva condotti a quel duro passo, perche essenza del Cristianesimo e appunto l'amare quelli che ci perseguitano,  pregando il Signore per la loro conversione. Dopo aver pregato tutti in ginocchio con molta commozione, si alzarono, e il frate disse che per loro aveva trovato un ricovero temporaneo, poiche sperava che tra poco sarebbero potuti tornare con sicurezza alle loro case. Le donne si sarebbero recate a Monza, dove il guardiano dei Cappuccini, per il quale consegnava loro una lettera, avrebbe procurato loro un rifugio sicuro e onorato; Renzo invece doveva proseguire per Milano, per recapitare un'altra lettera di fra Cristoforo al padre Bonaventura da Lodi, cappuccino del convento di Porta Orientale, il quale si sarebbe occupato di lui, procurandogli possibilmente anche da lavorare. Oltre alle due lettere,  il buon Padre aveva anche pensato ai mezzi per il loro viaggio: alla  foce  del torrente Bione avrebbero trovato un barcaiolo che li traghetterebbe alla riva opposta del lago, dove avrebbero trovato un barrocciaio che li trasporterebbe direttamente a Monza, e li accompagnerebbe anche al convento dei Cappuccini. Tanto aveva saputo organizzare in poche ore la paterna sollecitudine del santo frate! Tanto puo la carita!
Durante l'attraversamento del lago, che in quel punto e stretto e sembra fiume, la commozione con la nostalgia attanaglio i poveri fuggitivi, e soprattutto Lucia, che rivolse un accorato addio ai suoi monti, al suo lago, ai torrenti rumorosi, al paesello natio che era tutto il suo mondo, alla sua casa dove tante volte aveva atteso con trepido desiderio la consueta visita del suo promesso sposo, alla casa stessa di Renzo, dove gia sarebbe dovuta andare ad abitare per "un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa", alla chiesa, dove il suo animo si era tante volte rasserenato nella preghiera e nella meditazione, dove col solenne rito del matrimonio "il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto." Ma questi mesti e pur soavi pensieri, che dall'Autore sono espressi con impareggiabile afflato lirico, terminano con una certezza, la dolce certezza del cristiano: si abbandona il dolce nido e le care abitudini, ma Dio e dappertutto "e non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una piu certa e piu grande."


 

 

CAPITOLO IX

 

Quando la barca urto alla riva opposta, Lucia si riscosse da quella specie di nostalgico e accorato incantamento, asciugo le lagrime che le avevano rigato le gote e, scesa con gli altri dal battello, riprese il triste viaggio notturno  verso Monza col biroccio che trovarono pronto per loro. Il biroccio o barroccio, adoperato ancor oggi nelle campagne specialmente nell'Italia meridionale, e una rustica vettura senza molle, che serve per il trasporto delle derrate; quindi per i profughi il viaggio fu molto disagevole, essendo sballottati per diverse ore sopra quel rigido carretto, su quelle strade disuguali e piene di buche. C'era inoltre la paura di fare qualche brutto incontro, con malandrini o briganti o addirittura con i bravi di don Rodrigo. E' vero che questi si erano ritirati precipitosamente al palazzotto, ma i poveri fuggitivi non lo sapevano, e temevano sempre di essere inseguiti da essi. Finalmente, poco dopo l'alba, giunsero a Monza, e dopo essersi rifocillati in un'osteria si recarono al convento dei Cappuccini, senza Renzo che era gia ripartito  per Milano.
Il padre guardiano, quando ebbe letto l'indirizzo della lettera a lui consegnata, riconobbe subito la calligrafia dell'amico Cristoforo, ed ebbe un'esclamazione di lieta sorpresa; ma mentre leggeva il contenuto della missiva, il  suo volto assumeva un atteggiamento ora afflitto ora sdegnato; finito di leggere, dopo aver rivolto in disparte poche domande ad Agnese, disse che l'unica soluzione del loro caso era di ricorrere alla Signora, per pregarla di accoglierle nel suo monastero, dove sarebbero state molto sicure. Ottenuto il consenso delle interessate, si mosse verso il monastero indicato, dopo aver pregato le donne di seguirlo a debita distanza, per non far ciarlare la gente. Il buon frate voleva evitare, anche presso qualche spirito meschino, l'eventuale scandalo di farsi vedere in giro con donne: egli era convinto che bisogna evitare non solo il male, ma possibilmente anche l'apparenza del male, la quale potrebbe dare a qualcuno delle cattive suggestioni. E' vero che "omnia munda mundis", come aveva detto padre Cristoforo, ma quando e possibile bisogna evitare di scandalizzare qualche  spirito impressionabile anche con la semplice apparenza del male.
Durante il cammino le donne chiesero al barocciaio, che faceva loro da guida, chi fosse la Signora. Il brav'uomo rispose che era una suora, non ancora badessa e neppure priora, essendo ancora molto giovane, ma di grande influenza sia dentro che fuori il convento, poiche era figlia del principe X, feudatario di Monza, anche se attualmente risiedeva a Milano. Aggiunse che questa nobile famiglia era oriunda dalla Spagna "dove son quelli che comandano"; e concluse il suo vivace ragguaglio con queste rassicuranti parole: "e percio, se quel buon religioso li, ottiene di mettervi nelle sue mani, e che lei v'accetti, vi posso  dire  che sarete sicure come sull'altare."
Giunti che furono al monastero di clausura dove si trovava la Signora, il Guardiano ando solo a implorare la grazia e, ottenutala, introdusse le donne,  dopo


 

 

aver congedato il barocciaio, pregandolo di ripassare al convento tra un paio di ore a prendere la risposta per il padre Cristoforo. Agnese e Lucia ringraziarono con tutto il cuore il bravo carrettiere per quanto aveva fatto per loro, senza voler accettare alcun compenso. Infatti quel mattino, allorche Renzo, appena smontati all'osteria, cerco di fargli accettare del denaro come mancia per il suo fastidio, egli ritiro in fretta la mano poiche, come dice il Manzoni, mirava a "un'altra ricompensa, piu lontana, ma piu abbondante." Lo stesso aveva fatto, la sera prima, il barcaiolo di Pescarenico, il quale "ritiro la mano, quasi con ribrezzo, come se gli fosse proposto di rubare." Tutt'e due erano stati plasmati dall'ardente carita di fra Cristoforo; il Manzoni, presentandoceli cosi semplici e generosi, ci vuol quasi insegnare che tra gli umili popolani spesso ci sono esempi luminosi di virtu cristiana, mentre purtroppo e difficile trovarne fra i ricchi e i potenti. Sembra l'eco della terribile affermazione di Cristo nel Vangelo: "E' piu facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli."
Quando Lucia, assieme alla madre e al padre guardiano, entro nel parlatorio del monastero, si meraviglio molto di non vedervi nessuna suora, ma poi, osservando meglio, si accorse che una monaca stava ritta dietro una specie di finestra protetta da una doppia grata. La ragazza non era mai stata in  un monastero, per cui provava un senso di soggezione, misto a una certa curiosita.
A questo punto l'Autore delinea il ritratto fisico della Signora con molta sobrieta, dicendo che la suora, la quale poteva avere circa 25 anni, "faceva a prima vista un'impressione di bellezza, ma d'una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta." Si notava subito che non era molto ligia ne alla lettera ne allo spirito della Regola che pur aveva abbracciata: infatti dalla bianca benda frontale usciva su una tempia una ciocca di capelli, e il saio era attillato e non a sacco come prescritto dal regolamento. Ma soprattutto i gesti e le parole dimostravano una monaca singolare: altera, inquieta, tormentata da qualche pensiero segreto, da qualche gran passione inconfessabile. Gli occhi soprattutto dimostravano i torbidi sentimenti del suo animo: "si fissavano talora in viso alle persone, con un'investigazione superba; talora si chinavano in fretta come per cercare un nascondiglio." Ora sembrava che implorassero pieta, ora dimostravano un astio feroce; ora, fissandosi come distratti, facevano intravedere "il travaglio d'un pensiero nascosto, d'una preoccupazione familiare all'animo, e piu forte su quello che gli oggetti circostanti." Anche i moti delle labbra "erano, come quelli degli occhi, subitanei, vivi, pieni d'espressione e di mistero."
Ma cio che impressiono maggiormente Lucia, pudica e riservata com'era, fu il tono spregiudicato delle domande della Signora, non frenata neppure dalla presenza di un provetto cappuccino. Avendo ella saputo da costui che la giovane era dovuta fuggire dal suo paese per sottrarsi alla persecuzione di un cavaliere prepotente, chiese addirittura a Lucia "se questo cavaliere era un persecutore odioso". La domanda rivelava una certa torbida curiosita e, per cosi dire, un dubbio maligno, che tolsero a Lucia ogni franchezza, per cui non pote che balbettare qualche parola di risposta. Allora Agnese, venendo in aiuto  della povera impacciata, si affretto a dire che la figlia era promessa a un bravo  giovane


 

 

della  loro  condizione,  "timorato  di Dio  e  ben avviato", ma quel cavaliere aveva impedito  il  matrimonio  minacciando  il  curato.  La  Signora  interruppe  la  mal cauta "con un atto altero e iracondo", dicendo che i genitori "hanno sempre una risposta da dare in nome dei loro figlioli!" A questo punto Lucia si fece coraggio, anche  per  non  far  pensare  male  della  mamma,  e  confermo  che  prendeva  quel giovane di sua spontanea volonta, e che avrebbe voluto piuttosto morire anziche cadere nelle mani di quel signore che la perseguitava, al quale perdonava tuttavia di cuore tutto il male che le aveva fatto.
Alle parole di Lucia l'ira della Signora si raddolci, e disse che aveva gia pensato come poterle allogare nel monastero, finche ne avessero avuto bisogno. Siccome la fattoressa (la donna di fiducia che manteneva i contatti del monastero con l'esterno e ne curava gli interessi) aveva maritata sua figlia, le due donne avrebbero occupato la stanza lasciata da quella, e fatto quei pochi servizi che colei ordinariamente eseguiva. Ne doveva parlare alla madre badessa, ma dava comunque la cosa per fatta, data la sua influenza presso la superiora. Quindi accomiato il Guardiano, licenzio Agnese, ma ritenne Lucia, perche voleva conoscere piu dettagliatamente la sua storia, per appagare la propria curiosita morbosa; "e i suoi discorsi - dice il Manzoni - divennero a poco a poco cosi strani che, invece di riferirli, noi crediam piu opportuno di raccontar brevemente  la storia antecedente di questa infelice."
Diciamo subito che, per la storia della Signora, il Manzoni ha tenuto presente un personaggio storico, suor Virginia de Leyva, ma ha lavorato anche con libera fantasia; fra l'altro ne ha posticipato  le  drammatiche  vicende di alcuni decenni, per cui la Monaca di Monza e un tipico personaggio misto di storia e di immaginazione. Essa, secondo l'Autore, era l'ultima figlia di un principe  di origine spagnola, uno dei piu ricchi e influenti signori di Milano, e anche feudatario della citta di Monza e del suo territorio. Costui aveva destinati alla vita religiosa i cadetti dell'uno e dell'altro sesso, per lasciare -  secondo  la consuetudine del maggiorasco o maggiorascato - tutta la proprieta al primogenito "destinato a conservar la famiglia, a procrear cioe dei figlioli, per tormentarsi a tormentarli nella stessa maniera." Percio ella era ancora nel seno della  madre, "che la sua condizione era gia irrevocabilmente stabilita."
Quando nacque, le misero nome Gertrude, "una santa d'alti natali", e i primi suoi giocattoli furono bambole in abito monacale. A sei anni fu chiusa, "per educazione e ancor piu per istradamento alla vocazione impostale", nel monastero di Monza, abbastanza lontano dalla famiglia, ma nello stesso tempo tale da offrirle ogni comodita e distinzione, essendo il genitore - come abbiamo detto - signore feudale di quella citta. La badessa e alcune monache faccendiere, alle quali era gradita la prospettiva di avere una principessa tra di loro, e quindi la protezione dei suoi potenti parenti, accettarono ben volentieri l'incarico di farla diventare suora "con la minor possibile cognizione di cio che faceva". Quindi fecero di tutto per farle piacere quella vita: carezze e moine, chicche a non finire, posto distinto a tavola e in camerata, trattamento speciale in tutto. Ma purtroppo assieme a Gertrude erano li educate altre fanciulle, generalmente di famiglia borghese,    che


 

 

non erano affatto destinate al chiostro; esse non invidiavano la loro compagna, per quanto costei magnificasse loro il suo futuro di madre badessa, perche nutrivano ideali ben diversi: "alle immagini maestose, ma circoscritte e fredde, che puo somministrare il primato in un monastero, contrapponevan esse le immagini varie e luccicanti, di nozze, di pranzi, di conversazioni, di festini, come dicevano allora, di villeggiature, di vestiti, di carrozze." Queste immagini splendenti e suggestive scossero e ben presto fugarono le idee precedenti di Gertrude, e a poco a poco anche per lei la vita mondana acquisto un fascino irresistibile. Che dire poi quando, varcate le soglie dell'adolescenza, alle fantasticherie mondane si aggiunsero le vive esigenze del cuore e i primi turbamenti della puberta! Gertrude ormai comprendeva benissimo che non era nata per farsi suora, che non aveva la minima vocazione per la vita claustrale; ma come opporsi ai genitori, come negare al padre quel consenso che egli teneva per certo? Solo la religione, se fosse stata da lei sentita veramente, avrebbe potuto darle la forza di abbracciare, senza disperarsi, una vita di rinuncia e di mortificazione; ma la religione che avevano insegnata a Gertrude, sia a casa che in convento, era puramente formale e decorativa, "una larva come l'altre" che pullulavano nella sua fervida fantasia
Questa larva tuttavia si levava talora minacciosa nell'animo instabile dell'adolescente, e allora ella pensava che fosse una colpa opporsi alla volonta dei suoi genitori, per vivere una vita piu piacevole, in mezzo ai pericoli e alle tentazioni del mondo; in quei momenti la ragazza sentiva come un complesso di colpa, ed era disposta a espiare il suo peccato di desiderio vestendo spontaneamente l'abito monacale. Si approfitto di uno di questi momenti di turbamento e scrupolo religioso, prodotto, come ho detto, dal complesso di colpa insinuatole da chi ne aveva interesse, per farle sottoscrivere la domanda, diretta al Vicario delle monache, di essere esaminata sulla vocazione, onde poter prendere il velo: era il primo passo formale sulla via del chiostro. Ma la domanda non era giunta ancora all'ecclesiastico cui era diretta, che la poveretta se n'era gia pentita amaramente. Che fare? Consigliatasi con alcune compagne, con cui da qualche tempo osava confidarsi, scrisse una lettera al principe suo padre, per informarlo che non si sentiva piu inclinazione per la vita monacale. Fatta recapitare la lettera per vie traverse, comincio ad aspettare con trepidazione la risposta,  che non giunse mai; sennonche dopo alcuni giorni la badessa la chiamo nella sua cella e, con aria di mistero, le parlo di una gran collera del principe per il suo fallo, cui alluse con un senso di orrore; aggiunse che pero, pentendosi e portandosi bene in futuro, poteva sperare il perdono. "La giovinetta intese, e non oso domandar piu in la." Avrebbe dovuto ribellarsi, dir le sue buone ragioni, combattere contro la coalizione ipocrita e brutale della famiglia e del monastero; ma come avrebbe potuto?
Siccome l'esame della vocazione da parte del sacerdote incaricato doveva avvenire almeno un anno dopo la presentazione della domanda, e dopo che la ragazza avesse dimorato almeno un mese fuori del monastero, venne finalmente il giorno che Gertrude fu riportata in famiglia, a Milano, per trascorrervi il periodo di tempo prescritto. Ma la piu amara delusione l'aspettava: in casa fu   considerata


 

 

come una rea, una reietta, un disonore della famiglia; "un anatema misterioso pareva che pesasse sopra di lei." Altro che festini, ricevimenti, conversazioni e le altre cose meravigliose che aveva fantasticate in convento! Non usciva di casa mai, neppure per la messa, che le facevano ascoltare da una grata aperta su una chiesa attigua. E anche la servitu la trattava con distacco e freddezza, obbedendo a precisi ordini del principe; e quanto piu la ragazza sentiva bisogno di affetto e di confidenza, e magari ne mendicava, tanto piu si vedeva allontanata e dimenticata, come se fosse un'estranea appena tollerata. Solo un paggio mostrava per Gertrude un certo timido rispetto, una certa muta simpatia, che poteva essere o diventare amore. L'atteggiamento del ragazzo non sfuggi certamente a Gertrude,  che da quel momento si senti piu forte, piu sicura, piu tranquilla, come colei che credeva di aver trovato quello che tanto affannosamente bramava. Il padre sospetto che sotto questo mutamento di umore ci doveva essere qualcosa; fu raddoppiata allora la vigilanza, e purtroppo un giorno la ragazza fu sorpresa mentre scriveva una lettera al paggio. Il foglio le fu tolto di mano da una cameriera che la spiava, e portato al principe. Il cuore di Gertrude era in tumulto, agitato da un misto di rabbia, vergogna e paura.
La punizione fu dura e immediata: essere rinchiusa nella sua stessa camera, sotto la guardia di quella cameriera odiosa, che diveniva cosi la sua carceriera e la sua aguzzina, rinnovandole ogni momento con la sua stessa presenza l'acerba memoria del fallo, che le parole con cui il padre aveva accompagnato la pena avevano ingigantito, infondendole un senso di rimorso e di terrore quasi per cosa irreparabile. Il paggio fu subito cacciato dal palazzo, e per monito solenne il principe gli sono due schiaffi nel congedarlo, onde togliere al ragazzo ogni tentazione di vantarsi della piccola avventura o anche semplicemente di farne parola.
Dopo quattro o cinque giorni di duro e assoluto isolamento, che parvero alla ragazza un'eternita popolata di incubi paurosi, la poveretta non ne poteva piu, e dovette capitolare. Alla sua eta sentiva "un bisogno prepotente di vedere altri visi, di sentire altre parola, d'esser trattata diversamente." Inoltre la larva  della religione, risvegliata e resa formidabile dal senso di colpa, le imponeva ora di abbracciare la clausura proprio per espiazione del suo terribile fallo: l'innocente letterina al principe azzurro dei suoi sogni si era trasformata nella mente della poverina, per la malefica e interessata suggestione esterna, in  una colpa vergognosa e quasi mostruosa! Allora si decise: riprese la penna fatale e scrisse al padre, chiedendo accoratamente perdono e dicendosi pronta a fare tutto cio che a lui piacesse disporre.
Con la resa incondizionata di Gertrude termina questo capitolo, nel quale e delineata in maniera davvero icastica e impressionante la spietata figura del padre, che con arte mefistofelica costringe la povera figliola, non ancora quindicenne, a prendere il velo che aborriva. Eppure cosi agendo egli credeva di provvedere nel miglior modo al decoro del suo nobile casato, che doveva apparire a tutti onorato e degno di stima: ecco la tipica ipocrisia di quel secolo corrotto, che mirava solo alle apparenze esteriori.


CAPITOLO X

 

In questo capitolo il Manzoni continua e porta a termine, cioe al drammatico epilogo che gia s'intravede dalla fine del capitolo precedente, la penosa storia di Gertrude, vittima della volonta del padre, il quale a sua volta era vittima dei pregiudizi del tempo e di una falsa visione del prestigio della sua nobile famiglia. La narrazione dettagliata dei fatti, ora dolorosi ora orribili, della cosiddetta Monaca di Monza, costituisce una vistosa digressione nell'economia del romanzo; ma non si potrebbe dire che sia una digressione oziosa e neppure eccessiva.  E' una storia umana, che e necessaria per comprendere il personaggio nella sua complessa psicologia e anche nei suoi tragici errori, e nello stesso tempo ci offre un esempio fedele dell'ipocrisia e della tirannide, anche domestica, del Seicento, secolo fastoso e farisaico.
In tutto il racconto si avverte la nota dolente che domina nell'animo dell'Autore: egli non scusa Gertrude, ma sente per lei una grande pieta cristiana, perche comprende che, per opporsi al sopruso paterno, ella avrebbe dovuto possedere una forza di volonta non facile a trovarsi in una ragazza di quindici anni; l'infelice avrebbe, si, potuto trovare un aiuto o un rifugio nella fede, ma purtroppo questa non era in lei radicata, e non costituiva quindi un punto di forza, ma piuttosto di debolezza, perche, se la religione faceva sentire la sua voce, era la voce quasi superstiziosa dello scrupolo e del terrore dell'aldila, che rafforzavano il complesso di colpa cosi abilmente inculcatole e dal padre e dalle suore. Percio  l'atto di accusa il Manzoni lo formula soprattutto contro il principe-padre il quale, pur non dicendo mai esplicitamente alla figlia che doveva farsi monaca, tuttavia inesorabilmente, con arte perfida e costanza degna di miglior causa, la sospinge verso la clausura perpetua, ritenendo in tal modo di assolvere un suo preciso dovere, quello cioe di salvaguardare l'indivisibilita del patrimonio, onde tutelare il decoro del casato, basato allora soprattutto su una solida proprieta  immobiliare. La divisione della proprieta familiare fra tutti i figli avrebbe, secondo il pregiudizio del secolo, non solo frantumato l'asse ereditario, ma rovinato il prestigio del casato.
Ma torniamo al racconto della dolente vicenda. Quando il principe ricevette la lettera della figlia, e ne lesse il contenuto, i suoi occhi lampeggiarono di una mal contenuta gioia, che a noi ripugna, ed egli capi subito che bisognava approfittare immediatamente e sino in fondo di quella si favorevole disposizione d'animo, di quel cedimento ottenuto con la dura reclusione e con la minaccia, ventilata in aria, di qualcosa di ancor piu terribile. La ragazza si trovava - dice l'Autore con fine osservazione psicologica - in uno di quei momenti,  frequenti  nell'animo giovanile, in cui un poco d'insistenza "basta a ottenere ogni cosa che abbia apparenza di bene e di sacrificio." Questi slanci della generosita dei giovani, che dovremmo solo ammirare e rispettare quasi con venerazione, sono invece egoisticamente e astutamente,  se non perfidamente, aspettati e sfruttati da    gente


 

 

senza coscienza, per compromettere e legare per sempre una persona incauta e inesperta, che ancora non conosce le trappole del mondo.
Gertrude, ammessa alla presenza del genitore, non seppe far altro che gettarsi alle sue ginocchia invocando il perdono; ma il principe, volendo battere ben bene il ferro mentr'era caldo, rispose ruvidamente che il perdono bisognava meritarlo. Il  suo  fallo  era  tale,  e  qui  si  mise  a  insistere  su  di  esso  ingigantendolo,  che  il rimedio poteva essere uno solo: il chiostro. Se pure egli in passato avesse avuto intenzione  di maritarla,  ora lei stessa  ci aveva  posto  un ostacolo  insormontabile con la sua condotta irresponsabile e scandalosa; e il suo onore di cavaliere non gli avrebbe mai  e poi mai consentito di "regalare a un galantuomo una signorina che aveva  dato  un tal saggio  di se."  Nel sentire  queste  parole  la  povera  ragazza  era letteralmente annientata; allora il principe, sicuro di aver ottenuto l'effetto voluto, addolci alquanto la voce, per dire che ora lei stessa comprendeva  "che la vita del secolo  era  troppo  piena  di  pericoli".  Gertrude  annui  singhiozzando:  "Ah  si!" Tanto  basto;  il padre  prese  questo  si,  di  valore  tanto  limitato  e  contingente,  per una  decisione  ferma  e  definitiva  di  prendere  il  velo,  e  subito  mise  in  moto  un meccanismo diabolico per realizzare al piu presto il suo antico disegno, senza dar tempo e modo alla figliola di poterci ripensare.
Chiama immediatamente la moglie e il primogenito, allo scopo di partecipare loro la sua gioia per la risoluzione di Gertrude, e intanto la ribadisce come una decisione spontanea e irrevocabile: "e risoluta di prendere il velo." La figliola avrebbe voluto spiegarsi, restituire al suo si il suo vero valore, di riconoscimento del suo errore e di promessa di comportarsi in avvenire con piu saggezza; ma "la persuasione del principe pareva cosi intera, la sua gioia cosi gelosa, la benignita cosi condizionata, che Gertrude non oso proferire una parola che potesse turbarle menomamente." E' proprio cosi: le persone scaltre e spregiudicate spesso ci mettono davanti al fatto compiuto, approfittando della nostra timidezza o distrazione, facendo poi credere che non hanno fatto altro che eseguire il nostro volere!
Per non perdere neppure un attimo di tempo, il principe, con la scusa di fare una bella passeggiata in carrozza, propose di andare senz'altro a Monza, per presentare alla madre badessa del convento la richiesta formale di accettazione nell'Ordine. Naturalmente la principessa e il principino si mostrarono entusiasti della proposta, ma avendo Gertrude mostrato una certa perplessita, il padre le chiese, con atto di grande degnazione, se voleva andare quel giorno o l'indomani. Qui si nota la raffinata astuzia del principe, il quale non chiede alla figlia se vuole andare e quando vuole andare, ma la mette ancora una volta davanti alla decisione gia presa, dandole solo la possibilita di una breve dilazione.  Gertrude naturalmente si prese quel piccolo respiro; ma intanto restava deciso, per la sua stessa scelta, che l'indomani sarebbe andata a fare la sua richiesta solenne al monastero; e per dare alla cosa una sanzione di irrevocabilita, il principe mando subito un corriere ad annunciare alla badessa la loro visita per il giorno  dopo: ormai non ci si poteva piu tirare indietro.


 

 

Intanto si fece sapere alla parentela che la ragazza si era rimessa dalla indisposizione (cosi era stata motivata e coonestata la sua relegazione) e contemporaneamente aveva definitivamente chiarito la sua decisione di  prendere il velo; e i parenti vennero in frotta a fare il loro dovere, congratulandosi con lei e con la famiglia per il duplice fausto avvenimento. Sicche Gertrude, a ogni complimento che accettava, non faceva che ribadire implicitamente ma solennemente l'impegno per il chiostro davanti a tutti i parenti. La poverina si vedeva sempre piu compromessa, ma non ebbe, per abile macchinazione paterna, in tutto il resto della giornata un solo attimo di tregua, onde pensare ai casi suoi, per vedere che cosa si potesse tentare per fermare quella macchina fatale, che si era messa in moto cosi accelerato e inesorabile per schiacciarla: eppure lei non si sentiva di essere stritolata! Ma il principe non lascio la presa sulla disgraziata figliola e, nel bel mezzo delle visite, si reco direttamente dal vicario delle monache, per concertare la data dell'esame della vocazione della figlia e, com'era da aspettarsi data la fretta paterna, fu fissato il dopodomani: le maglie della rete si erano ormai strette intorno alla povera vittima, e il padre aguzzino teneva saldamente in mano le corde dell'inesorabile trama.
Alla sera Gertrude, dovendo andare a letto, volle almeno prendersi una soddisfazione, che certamente non le avrebbero negato in quella giornata in cui sembrava essere venuta cosi in auge, anche se in realta era la vittima; volle cioe sbarazzarsi dell'odiosa cameriera che era stata la causa della sua prigionia, e per parecchi giorni era diventata la sua arcigna guardiana. Naturalmente fu subito accontentata, e fu assegnata al suo servizio una donna attempata, molto affezionata alla famiglia, che era stata gia governante del principino, "nel quale aveva riposte tutte le sue compiacenze". Ma ottenuto l'allontanamento di colei, la ragazza si meraviglio di trovare cosi poca soddisfazione in questa vendetta che pure aveva cosi ardentemente covato.
Il giorno dopo dovette alzarsi presto per prepararsi al gran viaggio: la cameriera la preparo nell'abito, quindi il principe la lavoro nell'animo. Le disse e ripete che tutto s'era fatto per sua libera scelta, e che ora bisognava continuare con franchezza e disinvoltura la strada intrapresa; quindi aggiunse: "La badessa vi domandera cosa volete: e una formalita. Potete rispondere che chiedete d'essere ammessa a vestir l'abito in quel monastero, dove siete stata educata cosi amorevolmente." Finalmente si parti; ma durante la strada da Milano a Monza piu volte il padre torno sull'argomento, ripetendo a Gertrude la suddetta formula di risposta, onde scolpirgliela bene in mente.
Al monastero l'accoglienza fu solenne, e davanti all'ingresso si era anche riunita una folla acclamante il principe, feudatario della citta. Tutte le suore  erano a riceverlo, con la badessa in testa. Dopo i saluti e i convenevoli, la badessa chiese a Gertrude che cosa desiderasse li, dove nulla poteva esserle negato; la poveretta stava per recitare le parole di risposta imparate ormai a memoria, allorche scorse, tra le educande presenti, una sua compagna che con l'atteggiamento ironico del viso sembrava dicesse: "ah! la c'e cascata la brava." In un attimo si senti rimescolare il sangue in un impeto di ribellione, e cerco una risposta qualsiasi,


 

 

meno impegnativa; ma scorgendo il cipiglio del padre, che esprimeva impazienza e minaccia, si senti venir meno il coraggio, e pronuncio precipitosamente la formula insegnatale: capitolo ancora una volta.
La  badessa disse che  non poteva darle subito  l'accettazione ufficiale, perche secondo   la   regola   la   domanda   doveva   essere   approvata  dal  Capitolo   delle consorelle; tuttavia Gertrude non poteva dubitare dell'esito della votazione, tanta era  la  stima  che  li  si  aveva  di  lei  e  della  sua  famiglia.  Quindi,  dopo  essersi congratulata della santa risoluzione, che per loro costituiva un onore e una gioia, invito  il  principe  in  disparte  nel  parlatorio,  per  eseguire  un'altra  formalita: avvertire  il  genitore  della  postulante  che,  qualora  in  qualche  modo  forzasse  la volonta  della  figlia,  incorrerebbe  nella  scomunica  piu  grave.    "Lei  non  puo dubitare."  rispose  untuosamente  il  principe,  e  la  reverenda  madre  si  ritenne paga.  In  questo  incontro  salta  agli  occhi  l'ipocrisia  dei  due  personaggi,  degni rappresentanti di quel secolo farisaico, i quali, pur conoscendo benissimo la verita, cioe l'indegna coercizione della povera ragazza, fingono di ignorarla, e credono di mettersi la coscienza a posto ricorrendo a dei miseri sotterfugi.
Il giorno dopo una piu difficile prova attendeva l'infelice Gertrude:   l'esame della  sua  vocazione da parte dell'ecclesiastico  incaricato. Il padre  non manco  di catechizzarla  ben  bene,  inculcandole  le  risposte  piu  appropriate  alle  probabili domande  dell'esaminatore.  Soprattutto  pero  le  raccomando  di  rispondere  con sicurezza  e  con  pronta  franchezza,  che  altrimenti  avrebbe  fatto  sorgere  qualche dubbio nell'animo di quell'uomo dabbene. e allora egli, per tutelare il suo onore di gentiluomo, perche non si credesse che coartasse la volonta della figlia, sarebbe stato  costretto  a  rivelare,  suo  malgrado,  tutta  la  faccenda  del  paggio.  da  cui aveva avuto origine la sua risoluzione per il chiostro. Davanti a questa prospettiva orribile e vergognosa l'animo della povera ragazza rifuggiva terrorizzato;  sicche non le rimaneva  altra alternativa  che continuare  a  mentire  sino  alla  fine,  sino  al doloroso epilogo della clausura.
L'esame dunque si svolse cosi come il principe desiderava, e l'inquisitore "fu prima stanco d'interrogare - dice amaramente il Manzoni - che la sventurata di mentire". Ottenuto il parere favorevole del vicario delle monache, nel monastero di Monza si pote tenere il solenne Capitolo che doveva decidere dell'accettazione o meno della domanda di Gertrude. Ma l'esito di questa votazione non preoccupava affatto il principe, che aveva in quel consesso delle zelanti e influenti collaboratrici; com'era da prevedersi, si ebbe la maggioranza dei due terzi, richiesta dalla Regola per l'ammissione della candidata.
Ora rimaneva l'ultimo atto del dramma: la sposina, come veniva chiamata allora la ragazza che stava per monacarsi, sotto la guida di una dama, che chiamavasi madrina, doveva visitare le chiese, i palazzi, i monumenti, i santuari, le ville, insomma le cose piu notevoli della citta, per vedere a che cosa rinunciava per sempre. All'uopo Gertrude dovette scegliere la madrina; e il non sapersi esimere da questa scelta fu un modo di ribadire indirettamente le sue catene, una conferma del suo proposito. Scelta la madrina, cominciarono le visite e le scarrozzate; ma  il continuo girovagare non dava alla misera alcun sollievo,    anzi


 

 

acuiva la sua sofferenza la vista di quel mondo per lei cosi allettante, ma dal quale ella era inesorabilmente esclusa. Era insomma un vero supplizio di Tantalo; tanto che "lei medesima, stanca di quel lungo strazio, chiese allora d'entrar piu presto che fosse possibile nel monastero." Figurarsi se non fu subito accontentata! Il principe era fiero e soddisfatto; per la figliola cominciava un nuovo calvario. Fece il noviziato, dodici lunghi mesi di rodimento, dopo i quali doveva fare la professione solenne dei voti; ormai come poteva tirarsi indietro? "Conveniva, o dire un no piu strano, piu inaspettato, piu scandaloso che mai, o ripetere un  si tante volte detto; lo ripete, e fu monaca per sempre."
A questo punto il Manzoni osserva che Gertrude, se si fosse rifugiata nella religione, avrebbe potuto vincere le inappagate passioni del suo animo, lenire il suo risentimento, e fare di necessita virtu; insomma "avrebbe potuto essere una monaca santa e contenta, comunque lo fosse divenuta." Ma purtroppo la religione non era da lei sentita se non, talora, con terrore quasi superstizioso, per cui non le poteva dare nessun aiuto per vincere la sua disperazione; l'infelice, dibattendosi sotto il giogo, ne sentiva maggiormente il peso, mentre avvertiva in cuore un acre impeto di ribellione. Vedeva il fiore della sua giovinezza sfiorire sotto il saio, la sua bellezza appassire ignorata tra le gelose e tetre mura di un convento, e restare per sempre frustrato l'ardente desiderio di amore e di tenerezza che le divampava nel cuore. In tal modo il suo animo, fondamentalmente buono, si pervertiva paurosamente: odiava la famiglia, che l'aveva cosi brutalmente  immolata sull'altare dell'interesse economico e del malinteso decoro esteriore, odiava le suore, che in gran parte avevano collaborato all'opera perfida e insidiosa,   odiava le educande, che un giorno si sarebbero goduto quel mondo a lei interdetto. Cosi visse alcuni anni, lunghi e tristi anni, in un rammarichio incessante per tutto cio che le era stato spietatamente e subdolamente tolto: giovinezza, bellezza, piaceri, amore. Soprattutto amore, di cui il suo animo era assetato al punto da non far caso all'abisso che lo separa dalla passione sensuale che spesso lo contrabbanda; bastava un'occasione, perche l'infelice cadesse vittima di questa passione travolgente, e l'occasione per sua disgrazia si presento. Uno scellerato  giovane, che aveva la casa attigua al monastero, e da una finestrina aveva piu volte notato Gertrude che gironzolava oziosa e triste nel sottostante cortile, oso un giorno rivolgerle la parola.
"La sventurata rispose" - dice laconicamente l'Autore; e in queste poche ma doloranti parole e espresso pietosamente l'epilogo indegno del  dramma di un'anima sacrificata allo stolto pregiudizio del prestigio nobiliare. Il dramma osceno e fosco e sottinteso; il Manzoni non dice di piu di Gertrude, come Dante non dice di piu di Francesca. "Quel giorno piu non vi leggemmo avante;" pietoso riserbo che obbedisce a un profondo sentimento morale e religioso.
Lo spirito cristiano del nostro Autore rifugge dalla descrizione compiaciuta del peccato, poiche nessun vantaggio ne puo derivare all'opera d'arte ne dal punto di vista estetico ne dal punto di vista etico; e ben fece egli a tagliare quelle pagine che nella prima stesura del romanzo aveva dedicato alla narrazione alquanto dettagliata della tresca della  monaca con Egidio,   come  viene chiamato   l'empio


 

 

giovane.  Il  suo  nome  storico  e  invece  Giampaolo  Osio,  il  quale  fu  in  seguito giustiziato per la sacrilega e scellerata relazione con suor Virginia de Leyva, che e il  nome  storico  della  manzoniana  Gertrude.  Costei,  purtroppo,  dopo  la  grave caduta,  si  macchia  addirittura  di  un  delitto:  "abyssus  abyssum  invocat".  Una conversa,  addetta  al  servizio  di  Gertrude,  si  era  accorta  di  quanto  avveniva  di irregolare, e un giorno, essendo da lei bistrattata piu del solito, si lascio scappare una parola. che lei sapeva. e avrebbe parlato a tempo debito. La peccatrice da quel  momento  non  prese  piu  pace;  e  per  non  esporsi  all'onta  dell'eventuale rivelazione  della  sua  colpa,  d'accordo  con Egidio,  fece  uccidere  la  poveretta,  la quale  venne  nottetempo  seppellita  nello  stesso  orto  del  monastero,  in una  fossa abilmente camuffata.
Nessuno seppe dare una spiegazione plausibile della sparizione  della conversa; si fecero ricerche nel suo paese natale e in altri posti,ma con nessun esito. Corsero varie dicerie, finche, avendo una suora detto che forse si era rifugiata in Olanda (la quale, come paese protestante, accoglieva ospitalmente chi mancava ai voti religiosi, che invece era perseguitato nei paesi cattolici),  corse tale voce e fu da tutti ritenuta vera. Ma non certamente da Gertrude, che aveva continuamente davanti agli occhi il fantasma dell'uccisa, in atteggiamento orribile di condanna, mentre al suo orecchio sembravano risonare, continuamente giorno e notte, le sue spietate parole di accusa. Ora, rosa incessantemente dal tarlo del rimorso, avrebbe dato chi sa che cosa per averla, quella immagine, viva davanti a se, dovesse ella pur fare la completa rivelazione delle sue turpitudini davanti a tutti! Quando Lucia fu ricoverata nel monastero, era passato circa un anno da quel delitto che non dava requie all'animo della Signora, la quale - ci assicura il Manzoni - fu indotta a proteggere la povera perseguitata, oltre che da altri ovvi motivi, come ragioni di prestigio e opportunita di obbligarsi il Guardiano dei Cappuccini, anche perche provava "un certo sollievo nel far del bene a una creatura innocente." Dunque nel suo cuore era ancora avvertita l'aspirazione al bene: non poteva ancora dirsi irrimediabilmente perduta, anche se ancora avvinta dalle dure e pesanti catene del peccato.


CAPITOLO XI

 

Al principio di questo capitolo il Manzoni ci descrive l'inglorioso ritorno dei bravi al palazzotto di don Rodrigo:  questi birboni delusi e mortificati, che tornano a mani vuote da un colpo cosi meticolosamente preparato e ritenuto cosi sicuro, sono appropriatamente assomigliati a un branco di segugi che , lasciatasi scappare una bella lepre, tornano mogi mogi verso il loro padrone furibondo. In verita il signorotto, che ignorava ancora il bell'esito dell'impresa, non era ancora furioso, ma si poteva scommettere che lo sarebbe diventato all'annuncio del risultato; e in quei momenti nessuno di quei malandrini invidiava la posizione preminente del Griso, che avrebbe dovuto recargli la deludente notizia.
Don  Rodrigo  dunque,  in  una  stanza  del  piano  di  sopra,  la  quale  godeva  di ampia  vista,  camminava  nervosamente  avanti  e  indietro,  in  un'attesa  piuttosto ansiosa,  e  ogni  tanto  guardava  fuori dalla  finestra,  per  vedere  se  i  suoi  uomini fossero di ritorno. Il suo animo era un po' preoccupato per il rischio dell'impresa, che  era  la piu grossa che  finora avesse osato; ma  si rassicurava pensando  che  il podesta era un amico, per cui Agnese e Renzo non avrebbero potuto ottener nulla dalla  giustizia,  caso  mai  fossero  ricorsi alla  legge.  Anche  gli  avvocati,  come  il nostro  Azzecca-garbugli,  erano  tutti  legati  a  lui  da  interessi  vari,  e  certamente nessuno di loro avrebbe assunto la difesa di quei villani; dell'arrabbiato frate non si preoccupava un gran che, anche  se  non gli era  uscito  del tutto  dalla  memoria quel   minaccioso   esordio   di   profezia.   E   appunto   per   scacciare   queste preoccupazioni poco allegre, concentrava il pensiero sull'oggetto delle sue brame, pensava alle lusinghe e alle parole che avrebbe adoperato per calmare la ragazza e ridurla alle sue voglie, e gia pregustava il piacere della conquista.
Ma ecco finalmente che i suoi fidi sono di ritorno: don Rodrigo ha un balzo: dall'alto scruta al chiaro di luna i suoi uomini: li conta; ci sono tutti, anche il Griso, ma non c'e la bussola, Lucia non c'e. Come una furia scende a pianterreno per riceverli come si meritano, e investe in malo modo il suo luogotenente scornato, presentatosi a fare la relazione della sciagurata impresa. Il Griso pero si difende bene: essere trattati cosi dopo aver fatto il proprio dovere e dopo aver arrischiato la vita in una pericolosa spedizione! Il padrone allora si calma e vuol sentire com'e andata. Ascoltato l'arruffato rapporto, sospetta subito  che ci  sia sotto una spia. Il Griso non l'esclude, ma dice che ci  dev'essere anche qualcos'altro, che per ora non sa spiegarsi. Il padrone alla fine, per risarcirlo delle gratuite offese e dei cocenti insulti con cui lo aveva accolto, lo loda per il suo zelo e per come si era comportato, e gli ordina per il giorno dopo di mandare due bravi al villaggio, per intimare al console (una specie di delegato del podesta di Lecco) di non far deposizione dell'accaduto, "per quanto aveva cara la speranza di morir di malattia", e due altri a guardar che nessuno si avvicinasse al casolare, dove era rimasta la  bussola, la quale sarebbe stata recuperata la  notte successiva, per    non


 

 

destar sospetto; lui stesso poi, con alcuni dei piu abili e destri, doveva cercar di sapere che cosa di preciso fosse accaduto nel villaggio in quella strana notte.
La mattina seguente, giorno di San Martino, mentre il Griso era gia all'opera, i due nobili cugini s'incontrarono, e il conte Attilio con aria di trionfo ricordo la scommessa. Don Rodrigo rispose che era pronto a pagare, ma che non era quello che lo preoccupava per il momento; e racconto tutto l'accaduto al degno cugino, il quale espresse subito il sospetto che c'era lo zampino del frate nella faccenda, e volle percio sapere il tema del colloquio avuto con lui. Avutone un sommario ragguaglio, si disse molto meravigliato che avesse lasciato partire  quel mascalzone incappucciato senza caricarlo di bastonate; comunque s'incarico lui di sistemarlo per le feste, in un modo o nell'altro, per mezzo del Conte zio, membro influente del Consiglio Segreto. Questo conte Attilio, nella  sua burbanza nobiliare, aveva proprio un debole per le bastonate da appioppare alla gente comune; tuttavia quel giorno egli, solitamente cosi sventato e ridanciano,  si mostro seriamente interessato ai casi del cugino, anche se sotto i baffi rideva del suo clamoroso smacco, che gli aveva pure fruttato dei bei soldi. Fu tanto servizievole verso di lui, che si disse disposto a render visita al Signor  Podesta, per tenerlo buono buono in quelle circostanze, e anche per cancellare ogni suo eventuale risentimento per le stoccate del conte, poiche questo  risentimento poteva ora danneggiare gli affari del caro cugino.
Per il Griso e suoi accoliti non fu davvero difficile raccapezzare che cosa fosse accaduto nel villaggio degli sposi nella nottata precedente; troppe erano le persone che sapevano qualcosa, e non tutte sapevano tacere. Perpetua, per quanto Don Abbondio le comandasse di non fiatare, era troppo stizzita contro Agnese, che l'aveva infinocchiata in quel modo, per non lasciarsi sfuggire qualche parola sul tentativo degli sposi e soprattutto sull'ipocrisia di quella brava vedova; Gervaso aveva un gran voglia di parlare, perche gli sembrava di essere  diventato finalmente una persona importante, avendo partecipato a una spedizione clandestina, e non bastavano le minacce di pugni da parte del fratello,  per tappargli del tutto la bocca; Tonio stesso dove pur dire alla sua Tecla dove fosse andato a quell'ora tarda, e la moglie non era muta come il marito l'avrebbe voluta in quella circostanza (e in chi sa quant'altre!). Chi non pote parlare affatto fu Menico, perche i genitori, spaventati oltremodo che il ragazzo avesse collaborato a mandare all'aria un piano di don Rodrigo, lo tennero per piu giorni chiuso in casa; ma poi essi stessi si lasciarono scappare che gli sposi e Agnese si erano rifugiati a Pescarenico.
Quello che per la gente del villaggio appariva inspiegabile era il fatto del pellegrino: due paesani lo avevano visto, quindi non potevano aver sognato; ma chi poteva essere? cosa era venuto a fare? come mai si trovava con i malandrini? che fine aveva fatto? Si traevano varie ipotesi, taluna anche abbastanza azzeccata, ma la cosa rimaneva tuttavia misteriosa; per il Griso invece era quello il dato piu certo, di cui pote servirsi come punto di partenza per spiegare agevolmente ogni altra notizia che pote raccattare qua e la, onde cucirne una relazione per il suo


 

 

padrone, abbastanza compiuta e convincente, che pareva escludere, cosa per lui confortante, l'ipotesi di un tradimento di qualcuno dei suoi fidi servitori.
Quando don Rodrigo ricevette le notizie recate dal Griso, nel sentire che i due promessi erano fuggiti insieme a Pescarenico dopo il fallito tentativo alla casa del curato, penso che certamente erano andati a mettersi sotto la protezione del frate, ed ebbe un'esplosione d'ira contro padre Cristoforo, per la gelosia che in quel momento lo rodeva nel saperli insieme. Siccome questo pensiero lo tormentava, spedi il fedel Griso a Pescarenico, per sapere dove fossero i due colombi, e per vedere che cosa si poteva fare ancora. La sera stessa il suo luogotenente gli pote portare la notizia che le donne si erano rifugiate a Monza, mentre Renzo aveva proseguito il cammino alla volta di Milano. La certezza che Renzo si era separato dalla fidanzata calmo alquanto la sua gelosia, ma non acquieto affatto la passione principale, nella quale ora entrava anche un puntiglio di onore, come una sfida contro il frate, da cui non poteva lasciarsi vincere, se non voleva perdere la faccia. Il Manzoni si sofferma, in una pagina di bonaria lepidezza, a spiegarci come mai il Griso abbia potuto a Pescarenico, nel regno spirituale del frate, pescare cosi presto le notizie che gli interessavano. Il passo comincia con un tono disteso: "Una delle piu gran consolazioni di questa vita e l'amicizia; e una delle consolazioni dell'amicizia e quell'avere a cui confidare un segreto." Chi confida una cosa gelosa, raccomanda il silenzio; ma generalmente esso non e inteso in senso assoluto, che altrimenti la consolazione si arresterebbe al confidante, il che non e giusto, ma nel senso di non riferire la notizia se non ad amico ugualmente fidato, e imponendogli la stessa condizione di serbare il segreto, il quale diventa in breve, come si dice, il segreto di Pulcinella. Gli amici poi non sono a coppie isolate, come i colombi, ma generalmente ognuno ne ha parecchi, e "ci sono degli uomini privilegiati - aggiunge argutamente l'Autore - che li contano a centinaia"; cosi il segreto gira vorticosamente per questa interminabile catena dell'amicizia, e giunge prima o poi anche alle orecchie, molto attente, di colui al quale, chi ha confidato per primo la delicata notizia, non avrebbe voluto mai e poi mai che giungesse. Ma per ottener con certezza questo risultato, avrebbe dovuto lui per primo privarsi della dolce consolazione di confidare un segreto. Sta dunque il fatto che il buon barocciaio, tornando verso sera a Pescarenico, s'imbatte in un amico fidato, al quale, cosi parlando e senza vanto, confido il servizio che aveva reso a quei poveretti per preghiera del santo frate; e da amico fidato ad amico fidato, la notizia giunse poche ore dopo a don Rodrigo, portata dal diligente Griso
il quale credeva che finalmente la faccenda fosse, almeno per lui, chiusa.
Ma  il suo  padrone non si da ancora pace: vuol sapere  in quale  monastero  di Monza  e  ricoverata  Lucia,  e  che  cosa  si  puo  tentare  per  rapirla;  e  ne  incarica ancora  una  volta  il  suo  caporalaccio.  Questi  pero  inaspettatamente  tentenna:  in quella citta egli aveva suscitato molti odi, per avervi commesso molti reati, tra cui un  omicidio,  per  il  quale  sulla  sua  testa  pendeva  una  taglia  di  ben  cento  scudi, somma allettante anche per qualche collega della malavita che cosi poteva anche guadagnarsi  l'impunita.  Propone  insomma  di  mandare  un  altro.  Don  Rodrigo esce  addirittura  dai  gangheri  per  l'improvvisa  vilta  dell'uomo  tutto  suo,  e  lo


 

 

rampogna con acerbo sarcasmo: "Tu mi riesci ora un can da pagliaio che ha cuore appena d'avventarsi alle gambe di chi passa sulla porta!" Il Griso, punto sul vivo, non puo tirarsi indietro, e l'indomani parte per questa terza esplorazione, apparentemente "con faccia allegra e baldanzosa, ma bestemmiando in cuor suo Monza e le taglie e le donne e i capricci dei padroni."
Non va solo, ma con due dei suoi migliori uomini, che gli guardino le spalle, e si avanza cauto e sospettoso nella citta in cui non spira buon'aria per lui, come il lupo che, cacciato dalla fame, lascia i boschi montani e si avventura nell'aperta pianura, avvicinandosi all'ovile ben custodito, incerto tra "l'ardore della preda e il terrore della caccia." Mentre il Griso svolgeva a Monza la sua missione esplorativa, don Rodrigo pensava come potesse impedire a Renzo di tornare in paese e di riunirsi con la sua fidanzata: si poteva, per mezzo del podesta, dare un significato sedizioso al tentativo in casa del parroco, e spiccare quindi contro  di lui un bel mandato di cattura, che lo dissuadesse dal tornare dalle sue parti; ma poi penso che non gli conveniva rimestare quella faccenda, alla quale era connesso il suo tentativo di ratto, che poteva quindi venire in luce e comprometterlo. Decise percio di parlarne col suo avvocato, il degno dottor Azzecca -garbugli, perche trovasse lui qualche garbuglio, qualche cavillo, qualche trappola per rovinare definitivamente il povero fuggitivo, che turbava ancora i suoi sonni.
Ma proprio nel momento in cui il signorotto pensava al modo di compromettere Renzo con la giustizia con qualche denuncia menzognera, proprio costui si adoperava inconsciamente a servirlo meglio di qualunque avvocato, rimanendo preso in Milano nelle trappole della legge. Abbiamo detto che il giovane, la mattina di San Martino, riprese a piedi, da Monza, il cammino verso la metropoli lombarda, triste e sconsolato per la dolorosa separazione da Lucia, che chi sa quando sarebbe finita. Per la strada (circa dieci miglia) ogni tanto lo riprendeva la rabbia contro chi era la causa di tutti i suoi guai; ma poi si ricordava della promessa e della preghiera che aveva fatto col frate nella chiesa  del convento, e allora si pentiva della sua ira e tornava a perdonare il suo nemico: "tanto che - osserva bonariamente il Manzoni - in quel viaggio, ebbe ammazzato in cuor suo don Rodrigo, e risuscitatolo, almeno venti volte."
Quando fu vicino alla citta, vide levarsi dalla pianura, isolata, la gran mole del duomo, considerato allora giustamente l'ottava meraviglia del mondo, e rimase li incantato a guardarlo; poi, avvicinandosi di piu, vide campanili, torri e cupole, finche sbocco nei pressi delle mura. Qui chiese rispettosamente a un viandante, che veniva in senso opposto, quale via dovesse prendere "per andare al convento dei cappuccini dove sta il padre Bonaventura". Nella sua ingenuita il montanaro pensa che a Milano ci sia un solo convento di Cappuccini, come dalle sue parti, e che tutti conoscano il padre Bonaventura, come appunto a Pescarenico e dintorni non c'era nessuno che non conoscesse fra Cristoforo. Il brav'uomo a cui Renzo si rivolse, pazientemente chiese in quale convento fosse quel frate; e avendogli il giovane, per tutta risposta, mostrata la lettera di padre Cristoforo, che nel recapito aveva scritto "Porta Orientale", disse che fortunatamente quel convento era molto vicino, e gli indico con garbo e chiarezza la strada da seguire.


 

 

Renzo resto molto ammirato della cortesia dei cittadini verso i campagnoli, non immaginando di essere giunto a Milano in una circostanza tutta speciale, "un giorno in cui le cappe s'inchinavano ai farsetti", cioe in cui la borghesia e anche la nobilta - solitamente cosi prepotente e boriosa - avevano gran paura dei popolani, che sembravano essersi scatenati con furia improvvisa e selvaggia. Si meraviglio anche che, entrando da porta Orientale, i gabellieri non lo avessero fermato, poiche aveva sentito tanto parlare degli interrogatori e delle perquisizioni a cui dovevano sottostare le persone che venivano dalla campagna, per poter entrare in citta. Ma la sua meraviglia crebbe ancor piu quando vide per terra una striscia di polvere bianca, che sembrava neve, ma neve non poteva essere di certo; aveva l'aspetto di farina, ma Renzo non poteva credere che in tempo di carestia gettassero la farina; palpatala, si accerto che era farina davvero, e non si raccapezzava come potessero sciuparla cosi: era forse entrato nel paese della cuccagna, mentre da loro gia si lesinava il pane di granturco? Che dire poi quando, un po' piu avanti, vide a terra addirittura dei pani, bianchissimi, di quelli che non mangiava se non nelle grandi ricorrenze! La grazia di Dio non va sprecata: quindi, chinatosi a raccoglierli, se ne mise due in tasca e uno sotto i denti, che il lungo cammino gli aveva risvegliato un discreto appetito. Facendo cio penso tra se: se trovo il padrone, glieli paghero.
Mentre sgranocchiando quel pane saporito avanzava verso l'interno della citta, vide venire un uomo con un sacco di farina sulle spalle, una donna con la sottana rimboccata in alto e tutta piena di farina, e un ragazzo con in testa un paniere troppo pieno di pagnotte, per cui ogni tanto ne cadeva qualcuna. Da questa vista Renzo ebbe finalmente la chiave del mistero del pane e della farina seminati per terra; capi immediatamente "che quello era un giorno di conquista, vale a dire che ognuno pigliava, a proporzione della voglia e della forza, dando busse in pagamento."
Per amore di verita, bisogna pur dire che Renzo non ne fu affatto scontento; cio non fa meraviglia: egli era tanto amareggiato contro la societa ingiusta e sopraffattrice, dominata dai prepotenti, che vedeva di buon occhio ogni sconvolgimento che potesse in qualche modo mutarla; e poi era convintissimo che incettatori e fornai fossero la causa della penuria, per cui si faceva bene a strappar loro con la violenza quello che essi non volevano cedere a prezzo ragionevole. Se le autorita non provvedevano, il popolo doveva provvedere da solo.
In mezzo a questi pensieri giunse al convento, dove il portinaio gli disse che il padre Bonaventura non era in casa, e lo invito ad aspettarlo in chiesa, dove potrebbe fare un po' di bene con la preghiera. Renzo si dirige verso la chiesa, volendo dare ascolto al buon consiglio, ma poi ci ripensa: vuol dare prima un'occhiata al tumulto. Si ferma su due piedi, aguzzando gli occhi verso il brulichio lontano e tendendo contemporaneamente l'orecchio al confuso rumore. "Il vortice attrasse lo spettatore". Con questa frase lapidaria il Manzoni scolpisce la scena e ci da anche un'idea efficace del fascino che quel tumulto di popolo esercito subito sul nostro popolano, tanto da fargli dimenticare il buon proposito di  entrare   in  chiesa   a  pregare.  E  da   questa  curiosita   morbosa,  da    questa


 

 

trascuratezza della preghiera deriveranno a Renzo i guai peggiori, guai che lui stesso si tirera addosso, per ingenuita e inesperienza, cioe per eccessiva fiducia nell'altrui buona fede. "Il vortice attrasse lo spettatore": poche parole che rendono appieno una scena e uno stato d'animo, senza bisogno d'altri particolari. Sono parole gravide di senso, parole insostituibili e indimenticabili, come quelle  scritte a proposito di Gertrude, lusingata dal turpe Egidio: "La sventurata rispose." E' la tentazione che attrae come un vortice ineluttabile chi poco poco si ferma a guardare, chi poco poco indugia allettato dalla dolce voce della  sirena;  e una sirena che non perdona chi l'ascolta. Renzo e ammaliato dallo spettacolo, non sa resistere alla curiosita e anche al desiderio di fare qualcosa anche lui: e sbocconcellando il suo pane fragrante si avvia voglioso verso il tumulto.


CAPITOLO XII

 

Il Manzoni al principio di questo capitolo ritorna sul tema della carestia, di cui si era parlato durante il banchetto in casa di don Rodrigo; e ne elenca con lucido esame le cause.
La prima causa era evidentemente naturale: le avverse condizioni atmosferiche avevano danneggiato il raccolto, e non solo nel Milanese. Ma le avversita stagionali erano state aggravate dallo sperpero e dal guasto della guerra del Monferrato, e soprattutto dal comportamento delle truppe spagnole, in tutto simile a quello di un nemico invasore. Naturalmente ne facevano le spese,  in primo luogo, i poveri contadini, specie nella zona piu vicina alle operazioni militari, per cui i poderi venivano abbandonati, e i coloni, invece di procurare il vitto per se e per gli altri, andavano ad accattarlo in citta. L'abbandono della terra era un triste fenomeno che si andava verificando ovunque, anche senza la guerra, "perche le insopportabili gravezze, imposte con una cupidigia e un'insensatezza del pari sterminate," rendevano impossibile la vita ai lavoratori dei campi, sottoposti a infinite vessazioni, di imposte e di requisizioni e anche di prestazioni personali gratuite per eseguire pesanti lavori. Il 1628 era il secondo anno di raccolto scarso; l'anno precedente si era tirato avanti con le scorte accumulate; ma il grano raccolto, del tutto insufficiente al bisogno, era stato in gran parte requisito per il fabbisogno delle truppe, sicche la carestia si fece ben presto sentire gia nell'autunno, specie a Milano.
Con la penuria venne inevitabile, e anche salutare, il rincaro del pane. Il nostro Autore e liberale anche in economia, e per lui quindi il prezzo naturale e quello derivante dall'incontro tra domanda e offerta, cioe tra produzione e consumo: diminuendo l'offerta, il prezzo tende a salire, come accenna a diminuire in caso contrario. Si puo anche, e vero, avere un prezzo artificiale di una derrata, un prezzo per cosi dire politico; ma allora lo Stato lo deve rendere possibile con adeguati provvedimenti, come indennizzi, agevolazioni fiscali,  eccetera; perche un prezzo deve essere remunerativo, e nessuno puo essere costretto a lavorare in perdita per sempre, e neppure per lungo tempo. Non sarebbe giusto e neppure umanamente possibile. In caso di scarsita di una data merce, il rincaro e quindi inevitabile e anche economicamente utile, perche serve automaticamente a ridurne il consumo, mentre il prezzo vile ne permetterebbe un eccessivo consumo, o addirittura lo spreco.
Ma purtroppo avviene quasi sempre che, quando una merce comincia a scarseggiare, sorge in alcuni la tentazione o la voglia di approfittarne per ottenere illeciti profitti: sono gli incettatori, i bagarini e i contrabbandieri, sempre pronti a speculare sul bisogno altrui, sordi al senso del dovere e della solidarieta sociale.
Lo Stato ne deve stroncare l'attivita e impedire i loro pingui quanto ingiusti guadagni, ma con provvedimenti oculati e soprattutto tempestivi,  operando sempre nel campo  del ragionevole e del fattibile,  senza ricorrere a ordinanze    le


 

 

quali, appunto perche ingiuste o illogiche o irrealizzabili, rimangono lettera morta. Il Manzoni vuole appunto mettere in risalto l'insipienza e l'irragionevolezza dei provvedimenti annonari delle autorita milanesi, i quali peggiorano la situazione, e d'altra parte anche la passionalita, i pregiudizi e la stolta condotta della gente ignorante o prevenuta. La stessa severa ma obiettiva critica l'Autore fara, come vedremo, nei riguardi dei provvedimenti presi dalle autorita governative in occasione della peste, ma anche a proposito del comportamento del popolo in quella dolorosa circostanza. Il Manzoni non perdona a chi non ha il senso del dovere o non e all'altezza della situazione o dei compiti della sua carica: ogni carica, secondo la morale cristiana, e un servizio per gli altri, che deve essere prestato con competenza e abnegazione.
Il prezzo del grano era dunque salito tanto, che il pane (il quale allora costituiva quasi l'unico alimento della povera gente) si vendeva a un prezzo poco accessibile ai popolani indigenti, che non erano disposti a pazientare piu oltre. Infatti cominciarono a fare delle dimostrazioni, chiedendo minacciosamente che si ponesse presto rimedio a questa situazione insopportabile. I magistrati stessi capivano che un tale stato di cose non poteva continuare.
Siccome il Governatore, don Gonzalo Fernandez de Cordova, era impegnato nell'assedio di Casale Monferrato, il gran cancelliere Antonio Ferrer, suo vicario, penso di ovviare all'inconveniente fissando al pane un prezzo  forzoso,  che sarebbe stato giusto, se il grano si fosse venduto a 33 lire il moggio, come nei tempi migliori, mentre allora era salito sino a 80 lire, e anche piu.
Provvedimento stolto e illogico, oltre che ingiusto, il quale sarebbe rimasto naturalmente inefficace per la stessa resistenza delle cose, se non ci fosse stata una moltitudine affamata e minacciosa, che non permetteva davvero che venisse elusa un'ordinanza a essa cosi favorevole. E siccome i popolani erano rimasti per tanto tempo a denti asciutti, ora volevano rifarsi con quella specie di cuccagna, anche perche prevedevano in confuso che la cosa era troppo bella per poter durare. Ma per i disgraziati fornai erano insulti minacciosi, soprallavoro e perdita; come avrebbero potuto tirare avanti cosi? Fecero percio presenti le loro giuste ragioni, e minacciarono, se non fossero state accolte, "di gettare la pala nel forno, e andarsene", perche nessuno puo a lungo lavorare per scapitarci.
Ma Antonio Ferrer era cocciuto, non sentiva ragioni, e non voleva revocare il suo bel calmiere, soprattutto perche temeva, nel caso lo avesse fatto, l'ira della folla, di cui prima si era procurato il favore a spese dei fornai, ai quali fece vaghe promesse di risarcimento del danno subito a causa del prezzo politico del pane. I fornai allora ricorsero al Consiglio dei decurioni (una magistratura municipale formata da 60 nobili, scelti dieci per porta o rione, donde il nome), i quali scrissero al Governatore informandolo dell'inconveniente e invocando il suo intervento. Ma don Gonzalo, "ingolfato fin sopra i capelli nelle faccende della guerra", non volle perdere il suo prezioso tempo per rimediare a quel pasticcio, e incarico una commissione, da lui nominata all'uopo, di fissare al pane un prezzo piu equo, "da poterci campar tanto una parte che l'altra". I componenti della giunta, riunitisi, fecero, dopo molti sospiri e tergiversazioni, cio che era purtroppo


 

 

inevitabile quanto pericoloso, vale a dire rincararono il pane: "i fornai respirarono, ma il popolo imbestiali." E' questa una delle frasi scultoree del Manzoni: poche parole pregne di significato, che rappresentano con icastica efficacia la minacciosa situazione, che poteva divenire da un momento all'altro esplosiva. Cio che avvenne. Gia il giorno 10 novembre, precedente a quello in cui Renzo giunse a Milano, si erano visti per le strade della citta i prodromi di una sommossa. L'indomani, sin dalle prime ore del mattino, il centro cittadino era ingombro di gruppi di gente eccitata, tra cui molti, ai quali prudevano le mani, non volevano lasciarsi sfuggire l'occasione di approfittare, nel proprio interesse, dell'indignazione generale.
Bastava una scintilla, per appiccare l'incendio a quella specie di barile di polvere rappresentato dalla moltitudine esasperata; e l'occasione venne appunto con l'uscita dai forni   delle gerle piene di fragranti pagnotte, portate dai  garzoni ai soliti clienti. I poveri garzoni vengono bloccati e malmenati: il pane va a ruba. Molti avevano cosi conquistato una pagnotta, ma molto piu numerosi erano quelli rimasti con l'acquolina in bocca; e purtroppo in mezzo alla folla eccitata c'erano i soliti profittatori, gli agitatori, che volevano spingere le cose al peggio,  per pescare nel torbido. "Al forno! al forno!" si grida da piu parti. Li vicino ce n'era appunto uno, chiamato "il forno delle grucce"; la moltitudine, guidata dagli scalmanati, si riversa in quella direzione, e il personale del forno fa appena in tempo a mandare ad avvertire il Capitano di giustizia, e a chiudersi dentro in fretta e furia, barricandosi alla meglio.
I  piu  accesi  tra  i  dimostranti  avevano  appena  cominciato  il  lavoro  per abbattere la porta, quando giunse il Capitano con un manipolo di alabardieri. Egli fa allontanare un po' la  folla e  cerca di ridurla  alla ragione con ammonimenti e preghiere, conditi di minacce. Ma la folla e sorda, la calca preme intorno a lui che, sentendosi quasi soffocare, e temendo di usare la forza data la scarsezza dei suoi uomini,  grida  a  quei di dentro  che  aprano.  I  difensori obbediscono,  i battenti si scostano  offrendo  uno  spiraglio,  per  il  quale  s'infila  il  Capitano,  trascinandosi dietro,  uno  alla  volta,  gli  alabardieri  che  trattengono  la  folla  con  le  picche abbassate  sui  petti  dei  dimostranti.  Sgusciato  dentro  l'ultimo  soldato,  la  porta viene   riappuntellata   in   fretta,   mentre   il   Capitano   sale   al   piano   di   sopra; affacciatosi a  una  finestra, riprende  la  predica,  mista  di lodi e  di rampogne;  ma erano parole gettate all'aria. Infatti quelli di sotto, incuranti sia degli elogi che dei rimproveri, avevano ripreso alacremente la loro opera di guastatori, allo scopo di forzare  la  porta;  e  allora  il  Capitano  a  esortare  e  minacciare:  "Vedo,  vedo: giudizio!  badate  bene!  e  un  delitto  grosso.  Vergogna!...  Sentite,  sentite:  siete stati sempre buoni fi. Ah canaglia!" Questo repentino mutamento di linguaggio fu dovuto a un sasso, lanciato da uno di quei bravi figlioli, che lo feri alla tempia destra,  costringendolo  a  ritirarsi  precipitosamente  e  a  richiudere  la  finestra, rinunciando  a  ogni  ulteriore  tentativo  di  persuadere  o  di  costringere  quegli scalmanati a desistere.
Ma i padroni e i garzoni del forno, vedendo inefficace la protezione della forza pubblica,  mossi dalla disperazione  nel veder  manomessa  impunemente  la  cosa


 

 

loro, cominciarono a minacciare dalle finestre gli scassinatori, con in pugno le pietre di cui avevano fatto provvista. Vedendo che le minacce non servivano a nulla, tanto che la gente continuava a guastare, senza nemmeno voltarsi in su, cominciarono a gettare le pietre davvero. La grandine di pietre risulto micidiale: neppure una andava a vuoto, tanto la calca era fitta: due rimasero uccisi e parecchi furono feriti piu o meno gravemente. Ma, come dice Virgilio, "furor arma ministrat"; la vista del sangue non fece fuggire la moltitudine, ne del resto cio sarebbe stato possibile in quel serra serra, ma la aizzo maggiormente. La turba inferocita si getto in un impeto folle contro i battenti malconci: in pochi minuti la porta fu sfondata, le inferriate delle finestre divelte, gli infissi infranti, e la marea urlante entro dalla porta e dalle finestre per fare man bassa di tutto. Fortunatamente, nella ressa di far bottino, furono dimenticati i  sanguinosi propositi di far vendetta contro i fornai, che poterono riparare in soffitta assieme al Capitano e ai suoi alabardieri; alcuni, non sentendosi sicuri neppure li, uscirono dagli abbaini sui tetti, cercando di allontanarsi da quella casa camminando sui coppi.
Tutto ando a ruba nel forno invaso: pane, farina, pasta appena intrisa; nella fretta furiosa della conquista molta farina va a terra e viene calpestata; i saccheggiatori si ostacolano a vicenda nell'ardore della preda:  qualcuno,  piu furbo, trascurando la merce, corre al cassetto dei denari, fa saltare la serratura, si riempie le tasche di moneta contante, e lesto corre a casa per mettere al sicuro il bottino, per tornare poi a prendere il pane o la farina, se ne restera. Ma i piu rimangono a mani vuote e a "denti secchi", come dice appunto il Manzoni, e per sfogarsi danno di piglio a quei poveri arnesi dello stiglio, li fracassano per  un gusto vandalico e quindi li portano fuori come un trofeo di vittoria, per farne poi un bel falo proprio in piazza del Duomo, in mezzo a una moltitudine acclamante al pane a buon mercato.
Il nostro Renzo giunse al forno "delle grucce" quando gia il saccheggio era finito per esaurimento della merce e di materiale vario, e vedendo la scena di devastazione, nel suo buon senso di montanaro disse tra se: "Questa poi non e una bella cosa; se concian cosi tutti i forni, dove vogliono fare il pane? Ne' pozzi?" Quindi, seguendo un saccheggiatore ritardatario, che portava sulle spalle un fascio di tavole spaccate e scheggiate, giunse anche lui a vedere gli ultimi guizzi di quella gran fiammata, intorno alla quale la folla eccitata alternava evviva e grida di morte: "Crepi la provvisione! Crepi la giunta! Viva il pane!" Evidentemente la giunta che doveva crepare era quella che aveva rincarato il pane, mentre la provvisione (organo del Governo, che - sotto la direzione di un vicario del Governatore - si occupava dell'annona) doveva crepare anch'essa, perche non aveva assicurato pane a buon mercato. "Viva il pane!" ripetevano i tumultuanti a squarciagola, ma, "per far vivere il pane", osserva bonariamente il Manzoni, non serve troppo la distruzione dei forni e lo sperperio della farina esistente, che andava invece oculatamente razionata. La folla esaltata pero non capiva certe sottigliezze: Renzo invece, la cui mente non era ancora ottenebrata dalla passione, comprende di primo acchito quanto era irragionevole la condotta della folla, la


 

 

quale non agogna che il saccheggio. Infatti, non appena qualche facinoroso ebbe sparsa la voce che poco lontano, al Cordusio, era assalito un altro forno, tutti si diressero verso quella parte, per saziare la loro brama di rapina e di devastazione. Renzo si mosse con la retroguardia di quell'esercito disordinato e tumultuante, sempre con il proposito di starsene fuori dalla calca; anzi a un certo punto  penso se non fosse meglio tornare al convento, per accudire ai fatti propri. Purtroppo anche questa volta vinse nel suo animo quella maledetta curiosita, causa di tanti guai, vizio non soltanto femminile. Ma il forno del Cordusio, che per precauzione aveva gia chiuso i battenti, non era affatto assediato: pochi vogliosi stavano alla larga, perche alle finestre c'era gente ben armata, decisa a difendersi in modo piu efficace che con un lancio di pietre. Arriva intanto l'avanguardia dei predatori, vede la mala parata, si arresta indecisa: chi non vuole arrischiare  la  vita, chi invece spinge e anima gli altri gridando: "avanti! avanti!" In questa pausa di esitazione e di contrasti, un facinoroso che non si rassegnava ad andarsene a mani vuote, lancia la sua maledetta proposta: "C'e qui vicino la casa del vicario di provvisione: andiamo a far giustizia, e a dare il sacco;" la proposta e accolta con alte grida di approvazione generale, come se l'impresa fosse stata concertata da tempo, e la turba tumultuosa si avvia verso la casa indicata.


CAPITOLO XIII

 

Il Manzoni, ora che la vita di un uomo e in pericolo, attenua il tono ironico del capitolo precedente, compreso com'e di pieta umana e cristiana per lo "sventurato vicario", contro il quale i malintenzionati vogliono sfogare la loro brama di violenza e di saccheggio. Questo magistrato, scelto ogni anno dal Governatore tra sei nobili proposti dal Consiglio dei decurioni, era contemporaneamente presidente di questo consesso e del Tribunale di provvisione, composto a sua volta da dodici nobili, il quale si occupava principalmente dell'approvvigionamento dei viveri. E' molto probabile che, della giunta che rincaro il pane, fosse stato presidente il povero vicario, appunto per la sua specifica responsabilita e competenza; contro di lui cosi si riverso l'odiosita di un provvedimento purtroppo inevitabile quanto sgradito. Egli veniva dunque a essere il capro espiatorio di una situazione da lui non creata, e di colpe in gran parte non sue; donde il senso di pieta che pervade queste pagine in cui si parla del mortale pericolo da lui corso per lo scatenarsi del furore popolare. L'Autore pero, di tanto in tanto, come per scaricare la tensione drammatica del racconto, getta giu una frase o una battuta ironica o umoristica, per evitare di cadere nel patetico.
Il poveretto stava facendo il chilo di un pranzo consumato con poco appetito, "e senza pan fresco", preoccupato per i gravi fatti della giornata, che lo riguardavano direttamente, ma ben lontano dal sospettare che la tempesta si dovesse riversare su di lui. La sua era una difficile digestione, sia per la tensione nervosa sia per il pane raffermo che era stato servito a tavola, al posto del pane fresco predato dai dimostranti. Egli seguiva con ansia l'evolversi della situazione, ma, come abbiamo detto, non pensava minimamente che il turbine si dovesse abbattere cosi paurosamente contro di lui, che si sentiva non colpevole della deplorevole situazione.
Qualche onest'uomo (non ne manca mai, per grazia di Dio, neppure nelle accolte piu equivoche) precorse la folla per portare al vicario  l'avviso  del pericolo; ma mentre egli pensa al modo di fuggire, risulta evidente che ogni fuga e preclusa, poiche gia l'avanguardia degli assalitori e giunta davanti al palazzo; si fa appena in tempo a sbarrare le porte e le finestre del pianterreno con pali e puntelli. Mentre la servitu improvvisa la difesa, lo sventurato padrone si rifugia precipitosamente in soffitta, dove da un pertugio spia verso la strada; e vedendo quella gran folla scalmanata e inferocita, decisa a linciarlo, cerca tremando il nascondiglio piu sicuro e li si rannicchia con la morte nel cuore, tendendo l'orecchio alle grida, se mai cessassero o si affievolissero almeno. Ma gli urli selvaggi infittivano e raddoppiavano d'intensita, rintronando sinistramente nel vuoto del cortile e accrescendo ogni momento l'angoscia del meschino che, disperato, si raccomandava a Dio.
Renzo questa volta si caccio deliberatamente nel fitto della folla tumultuante, perche, avendo sentito esprimere, da qualche brav'uomo, il proposito di evitare   il


 

 

linciaggio, subito decise di adoperarsi lui pure a questo scopo, per quanto fosse anch'egli convinto che il vicario era il responsabile della carestia, "per quella funesta docilita degli animi appassionati all'affermare appassionato di molti." Questa osservazione del Manzoni contiene, oltre a un acuto giudizio psicologico, un indiretto monito a non lasciasi mai trascinare, accecati dalla passionalita e dai pregiudizi, ad azioni inconsulte, ma a cercare di rimanere, per quanto e possibile, sereni e obiettivi, soprattutto quando siamo turbati da qualche sentimento appassionato.
Le autorita, avendo saputo quasi subito dell'attacco alla casa del vicario, chiesero aiuto al comandante della guarnigione spagnola, il quale mando un plotoncino di micheletti (fanti armati di fucile) al comando di un ufficiale. Questi, avendo ricevuto l'ordine di evitare l'uso delle armi, si trovo in una situazione difficile: avrebbe dovuto rompere la calca e raggiungere il palazzo, per arrestare i guastatori; ma l'impresa era rischiosa: avrebbero i soldati avuto  abbastanza energia da aprire la folla rimanendo essi stessi compatti? E se per caso si fossero disuniti? sarebbero rimasti alla merce della folla esasperata, con i fucili che nella ressa diventavano inservibili. Percio l'ufficiale fece arrestare il reparto ai margini del tumulto, indeciso sul da farsi; e la sua indecisione fu subito interpretata per paura. Percio, quando egli fece a quelli che aveva davanti l'intimazione di sgombrare, non ottenne nessun risultato apprezzabile, perche la gente, avendo compreso che aveva paura, non se la dava per inteso, o si scostava appena, mentre quelli che stavano davanti alla porta non si erano neppure accorti dei soldati, e continuavano indisturbati il loro assalto ai muri e agli infissi con  scalpelli, martelli, paletti, pietre e, chi altro non aveva, con le unghie;e il lavoro era a buon punto.
Tra i tumultuanti piu inveleniti spiccava un vecchio vituperevole che, con gli occhi stralunati e con la bava in bocca, gridava  che  avrebbe crocifisso l'affamatore alla sua porta; e infatti brandiva davanti alla folla schiamazzante un martello e quattro grandi chiodi, con in faccia un ghigno diabolico, che faceva un orrido contrasto con la canizie della sua testa. A sentire le sue ripugnanti parole, Renzo non pote tenersi dal reagire; senza pensare affatto all'umore della folla che aveva intorno, grido contro quell'energumeno: "Vergogna! Vogliam noi rubare il mestiere al boia? assassinare un cristiano? Come volete che Dio ci dia del pane, se facciamo di queste atrocita?" Non l'avesse mai detto! Uno del fondaccio, avendo sentito quelle sacrosante parole, comincia a inveire contro di lui, e aizza gli altri a fare la festa a quel cane traditore, a quel nemico del popolo, a quella spia del vicario. Renzo capi subito che doveva sparire di li immediatamente, se voleva evitare guai seri, dato che la folla quel giorno era male intenzionata davvero; per sua fortuna c'erano vicino anche dei buoni cristiani, i quali cercarono di confondere, con le loro, quelle grida omicide, e di far sgattaiolar via Renzo  da quel luogo, dove non spirava buon'aria per lui. Ma cio che lo aiuto di piu fu una lunga scala a pioli che veniva portata in quel momento, la quale polarizzo l'attenzione generale, avanzando con difficolta, a strappi e a balzelloni, in mezzo alla calca. Mentre "la macchina fatale" (reminiscenza virgiliana), passando   sopra


 

 

le teste, si avvicinava ai muri da scalare, il nostro montanaro, lavorando di gomiti a piu non posso, si allontanava dal pericolo, e pote finalmente respirare un po' al largo, ormai deciso a non rischiare piu oltre, e a tornare al convento.
Ma ecco che in carrozza, senza scorta alcuna, giunge il gran cancelliere Antonio Ferrer, preoccupato per la vita del vicario e desideroso di salvarlo, anche perche sentiva di essere lui la causa, pur indiretta e involontaria, della furia popolare. Con questo gesto abbastanza coraggioso la figura del Ferrer si riscatta dalla mediocrita boriosa e insipiente che gli abbiamo attribuito a prima vista; dal comportamento abile e altruista che tenne in occasione del tumulto possiamo desumere che, con la sua tariffa del pane, aveva preso un dirizzone in buona fede, o per inesperienza o per amore di popolarita, ora che era lui a governare Milano al posto di don Gonzalo, odiato dal popolo; comunque, conclude il  Manzoni, "veniva a spender bene una popolarita mal acquistata"; e il personaggio ci diventa subito alquanto simpatico.
A questo punto del racconto l'Autore si sofferma a fare una profonda analisi dei tumulti popolari, valida ancor oggi. In essi si distinguono sempre tre categorie di dimostranti: innanzi tutto quelli che vogliono spingere le cose al peggio, per passione per odio per scellerato disegno, oppure per interesse; ad essi si oppongono coloro che non vogliono eccessi, per un certo senso di moderazione o per spirito cristiano, oppure perche legati in qualche modo alle persone o cose minacciate; tra queste due categorie si frappone la terza, di gran lunga la piu massiccia numericamente; pero essa rimane passiva, come una massa amorfa, e si lascia influenzare o addirittura dominare dagli attivisti del male o anche del bene, secondo le circostanze. Naturalmente sia gli uni sia gli altri si danno battaglia per trascinare dalla loro parte questa massa, perche essa appunto, decidendosi in un senso o nell'altro, assegna col suo peso schiacciante la vittoria a coloro che hanno saputo conquistarla. Con pittoresca similitudine il Manzoni dice che le due parti attive "sono quasi due anime nemiche, che combattono per entrare in quel corpaccio" rappresentato dalla massa indecisa la quale, senza un'anima, buona o cattiva che sia, non potrebbe determinarsi a nulla, e resterebbe come paralizzata.
Ora l'arrivo del cancelliere Ferrer diede a un tratto il vantaggio alla parte buona, che invece fino allora appariva perdente, e ormai doveva battere in ritirata, poco poco che quello straordinario aiuto avesse tardato. Il Ferrer era entrato nelle grazie del popolo per quella sua "meta" (cosi chiamano a Milano il prezzo del calmiere) sul pane, cosi popolare; diceva che veniva per portare in prigione il vicario; veniva solo e disarmato (i micheletti erano postati dalla  parte opposta della calca), confidando nell'affetto dei cittadini: tutto questo gli concilio subito la simpatia quasi generale. Non si creda pero che non ci fossero gli oppositori, gli scontenti che la cosa si risolvesse cosi miseramente, mentre loro avevano  fatto ben altro disegno, di preda o di sangue; ma questi fautori del soqquadro furono a poco poco zittiti, rimproverati, sopraffatti. In un primo momento i sostenitori di Ferrer diedero loro sulla voce, tacciandoli di nemici del popolo, poiche il gran Cancelliere era l'amico del popolo; quindi, divenuti ormai padroni  della situazione, diedero anche sulle mani ai piu scalmanati, strappando loro le armi   di


 

 

vario genere con cui si accanivano intorno a quel disgraziato portone, che ormai non reggeva piu all'attacco disordinato ma violento dei guastatori.
Non occorre dire che Renzo fu subito per Ferrer, quello "che aiuta a far le gride" (aveva letto il suo nome in calce alla grida mostratagli dal dottor Azzecca- garbugli); e con le sue robuste spalle di alpigiano si fece largo sino alla carrozza, e subito si mise a far luogo davanti ad essa con un ardore veramente entusiastico, tanto che gli tocco piu di un sorriso di intelligenza e di riconoscenza da parte del gran Cancelliere, al quale il giovane, nella sua ingenuita, credeva gia di essere diventato grande amico, tanto e vero che il giorno dopo, arrestato dai birri, protestera di voler essere condotto da Ferrer, aggiungendo quasi con fierezza: "Quello lo conosco, so che e un galantuomo; e m'ha dell'obbligazioni."
Antonio Ferrer, per tutto quel tragitto in mezzo alla calca, non fece altro che affacciarsi ora a destra ora a sinistra, distribuendo alla folla, con i sorrisi e i ringraziamenti, le parole che sapeva piu accette: pane e giustizia. A dire il vero questo gran Cancelliere, in siffatto rischioso frangente, ci appare molto abile, e l'abilita deriva dall'intelligenza; per cui siamo portati a credere che il calmiere sul pane sia stato un atto da lui calcolato per guadagnarsi d'un colpo il favore dei sudditi e la stima dei superiori, onde poter scalzare dalla carica di governatore don Gonzalo, la cui quotazione era ormai in ribasso per il cattivo esito dell'assedio di Casale. Fu dunque un gesto calcolato, anche nel suo rischio? Non sappiamo; ma certo quello che il Ferrer non calcolo bene fu la reazione dei fornai, che non abbozzarono affatto, come lui sperava, ma per mezzo del consiglio dei decurioni ricorsero al Governatore, e ottennero alfine l'abrogazione di quel prezzo iniquo. Percio, se calcolo ci fu, esso non riusci bene al Ferrer, al quale pero rimase la simpatia popolare: magra consolazione per il suo piano ambizioso.
Renzo dunque dimentico ancora una volta il proposito di tornare al  convento, e questa volta, lo dobbiamo dire a onor del vero, non per morbosa curiosita, ma a fin di bene, cioe per aiutare il gran Cancelliere nel suo disegno di salvare la vita allo sventurato vicario. La carrozza, scortata dai volenterosi, arriva finalmente davanti al portone del palazzo, dove i fautori della  giustizia legale, sopraffacendo i sostenitori della giustizia sommaria, hanno fatto un po' di largo, trattenendo indietro la folla. Antonio Ferrer appare sul predellino, fa ampi cenni di saluto, accompagnati da profondi inchini di ringraziamento; quindi con tanto di toga scende dalla carrozza e si dirige eretto e sicuro verso la porta, che viene aperta quanto basti per farlo entrare, e immediatamente richiusa, tanto che lo strascico della toga rischio di rimanere prigioniero tra i battenti che venivano frettolosamente riaccostati e riappuntellati alla meglio. Il vicario, piu morto che vivo, viene portato giu a braccia dai servitori, anche loro atterriti, i quali non la finiscono di ringraziare Sua Eccellenza assieme al loro padrone, a cui solo in presenza di Ferrer e tornato un po' di polso e di colorito. Il gran Cancelliere tronca i ringraziamenti dicendo che non c'e tempo da perdere e, fatto alla  meglio coraggio al vicario, se lo trascina dietro verso la carrozza nascondendolo con  la sua persona, mentre i suoi bravi sostenitori, che nel frattempo hanno trattenuto la folla,  cercano  anche  loro  di coprire  l'affamatore del popolo,  levando  in  aria le


 

 

mani e i cappelli, onde impedire l'odiosa vista a quelli di dietro, non tutti bene intenzionati. "La moltitudine vide in confuso, riseppe, indovino quel ch'era accaduto; e mando un urlo d'applausi e d'imprecazioni." Il dramma si e concluso felicemente.
La via del ritorno fu piu facile, perche era rimasta aperta una certa traccia del percorso precedente, sempre ad opera dei volenterosi, i quali questa volta non dovettero faticar troppo per aprire alla carrozza un varco sufficiente, per cui essa pote procedere senza intoppi, anche se lentamente. Mentre il vicario se ne stava tutto rannicchiato in fondo al sedile, per non farsi vedere, Antonio Ferrer si dava invece da fare per attirar su di se l'attenzione della folla, ripetendo le parole e le frasi piu adatte per conciliarsene o conservarsene il favore. Sicche in tutto il viaggio di ritorno tenne col suo "mutabile uditorio un discorso, il piu continuo nel tempo, e il piu sconnesso nel senso, che fosse mai." La concione era di tanto in tanto inframmezzata di qualche frase spagnola, che diceva sottovoce al suo compagno, perche non si offendesse di certe espressioni che doveva concedere alla moltitudine: "Esto lo digo por su bien."
Ora che il vicario e ormai salvo, anche il tono narrativo del Manzoni si trasforma, divenendo arguto e disteso, sorridente e faceto, come di chi gode di essere uscito da un incubo. Abbiamo visto come fa dell'umorismo su Renzo, che crede di essere diventato in un batter d'occhio un intimo amico del gran Cancelliere; ma non risparmia lo stesso Ferrer il quale presenta "un viso tutto ridente, tutto umile, tutto amoroso", che riservava solo al suo sovrano Filippo IV; ma per estrema necessita "fu costretto a spenderlo anche in quest'occasione", veramente straordinaria e imprevedibile, a favore dei suoi sudditi; quel giorno infatti comandava la piazza. Anche sui personaggi  minori  si rivolge l'osservazione arguta e divertita dell'Autore: vediamo Pedro, il  cocchiere spagnolo, il quale "sorrideva anche lui alla moltitudine, con una grazia affettuosa, come se fosse stato un gran personaggio; e con un garbo ineffabile dimenava adagio adagio la frusta." Vediamo l'ufficiale del picchetto spagnolo, il quale, vedendo arrivare la carrozza, schiera in fretta i micheletti per presentare le armi al gran Cancelliere, che per tutto ringraziamento gli dice: "beso a usted las manos", cioe bacio le mani a vossignoria". Il subalterno comprese il tono piuttosto ironico della frase, che date le circostanze voleva dire: m'avete dato un bell'aiuto! L'ufficiale, impacciato, si irrigidi nel saluto militare, stringendosi nelle spalle  per la mortificazione. La piu bella figura la fece Pedro che, passando tra quelle due ali di soldati che davano gli onori militari, si riprese immediatamente dallo sbalordimento, si ricordo chi era e chi conduceva, e senza tante cerimonie mise i cavalli di carriera, per cui chi non voleva essere arrotato dovette scantonare in tempo: l'autorita riprendeva il suo rango.
Essendo ormai al largo, fuori del pericolo, il vicario si raddrizza, si ricompone, respira finalmente a pieni polmoni e puo alfine parlare; ma le sue prime parole rivelano ancora il terrore che lo domina: protesta di non volerne saper piu niente della carica e della vita cittadina, di volersi ritirare in una grotta, "lontano da questa gente bestiale", a vivere come eremita. Antonio Ferrer gli risponde, con un


 

certo tono autorevole, che dovra fare quello che sara piu conveniente per il servizio di Sua Maesta. Passata la tempesta e ritornata la forza nelle mani solite, avra il vicario mantenuto il suo proposito di rinunciare agli agi e alle pompe dei ricchi nobili investiti di alte cariche? Chi sa! Il Manzoni afferma di non saperne nulla; noi nutriamo seri dubbi su queste promesse da marinaio.

 

CAPITOLO XIV

 

Renzo accompagno sino alla fine la carrozza del gran  Cancelliere, e seguendola di corsa come un lacche passo anche lui tra i soldati che presentavano le armi, come in trionfo; e in verita si sentiva in quel momento un personaggio molto importante, perche aveva contribuito cosi efficacemente al successo di Ferrer, del quale credeva proprio di essere entrato nelle grazie. La folla  comincio a sbandarsi, e molti si dirigevano alle loro case, perche ormai il sole tramontava ed essi si sentivano stracchi e affamati (meno quei pochi che avevano  fatto bottino) dopo tanto gridare e tumultuare; forse piu della fame sentivano l'arsura della gola. Si formavano vari capannelli di uomini che parlavano animatamente, commentando secondo i loro punti di vista i grandi fatti della giornata, e magari prendendo gli accordi per l'indomani.
Naturalmente non tutti erano contenti del salvataggio operato da Ferrer; quelli a cui pizzicavano fortemente le mani, e si vedevano defraudati di quanto stavano gia per conquistare, brontolavano o addirittura bestemmiavano per una fine cosi meschina di un'azione cosi promettente. I piu inveleniti ripresero a tempestare il portone del palazzo, che era stato di nuovo chiuso e puntellato alla meglio, volendo almeno dare il sacco alla casa, ora che la vittima era sfuggita alla loro furia. Ma i micheletti, essendo la folla diradata, avanzarono senza troppa difficolta e vennero a postarsi proprio davanti al palazzo, sicche i facinorosi dovettero - obtorto collo - scantonare di qua o di la, mentre i soldati prendevano posizione a difesa del portone malconcio, facendo sfumare ogni speranza di saccheggio.
Renzo penso che ormai era troppo tardi per tornare al convento, e che gli conveniva cercare una locanda per quella notte. Mentre camminava per trovarne una, s'imbatte in un crocchio di persone che discutevano su cio che era stato  fatto e su quello che bisognava fare. Dopo essere stato un poco ad ascoltare, non pote tenersi dal partecipare anche lui alla discussione, perche gli pareva di  averne diritto ormai, dopo tutto quello che aveva fatto per il gran Cancelliere, e di avere anche delle cose interessanti da dire. Poiche l'argomento della conversazione gliene offriva il destro, Renzo, perduta ogni soggezione, si introduce nel  discorso e parla con crescente fiducia nei propri mezzi oratori. Il suo discorso, a  dire il vero, appare arguto e colorito nell'espressione, e anche abbastanza assennato nella sostanza, sicche egli finisce col polarizzare l'attenzione di  quella piccola assemblea con le sue parole ingenuamente appassionate, che riscuotono alla fine l'approvazione quasi generale. Egli e ormai convinto che si puo cambiare  il mondo e che, per realizzare una cosa, basta farla entrare in testa ai dimostranti, i quali poi col loro vocione minaccioso - magari aiutato dalle mani - la imporranno ai governanti.
Egli comincia chiedendo di poter dire anche lui il suo modesto parere; poi continua affermando che tante sono le bricconerie che si fanno contro il popolo, e non soltanto  nel fatto  del pane,  ma  in  ogni campo; e non soltanto  a Milano, ma


 

 

anche e ancor piu nelle campagne e nei paesi: questo perche "c'e una mano di tiranni, che fanno proprio al rovescio dei dieci comandamenti" e compiono ogni sorta di angherie contro la povera gente che non fa loro alcun male, ma vuole solo lavorare e vivere in grazia di Dio. E questi signorotti prepotenti formano tra  di loro una lega, per sostenersi nelle loro malefatte, spesso anche con la connivenza delle autorita; e pure gli uomini di legge sono a loro legati per interessi, e non si curano di far fare giustizia ai poveri perseguitati. Le gride ci sono, e parlano chiaro, elencando tutti i reati, proprio come avvengono, e comminando  per ognuno la giusta pena; ma chi le applica o qual poveretto le puo far valere contro i potenti signori? Se un popolano si rivolge a un avvocato per far valere i suoi diritti contro un signorotto, come canta la grida, non viene ascoltato o, peggio,  e cacciato in malo modo. Renzo parla appassionatamente, e i suoi casi personali, come si puo facilmente notare, alimentano la sua disordinata ma pur vivace oratoria, poiche la lingua batte dove il dente duole. A conclusione del suo infervorato discorso propone che il giorno dopo si vada da Ferrer, perche quello e un galantuomo, per denunciargli tutte le malefatte dei signorotti e dei dottori della legge "scribi e farisei", e dargli una mano per ripulire da simile gentaglia la citta e tutto il ducato, applicando le leggi con giustizia e verso tutti, in modo da poter vivere un po' piu da cristiani. La perorazione di Renzo fu salutata da un coro di applausi, tanto era fervida e appassionata; ma non manco qualche criticone o qualche scontento, gente che si era mossa per il pane, e non voleva complicare le cose presentando altre richieste, sul tipo di quelle del forestiero.
Comunque, siccome era gia buio, la comitiva si sciolse, dandosi l'appuntamento per l'indomani in piazza del Duomo. Avendo  Renzo  domandato se qualcuno sapesse indicargli un 'osteria nelle vicinanze, un tale si offri subito di accompagnarvelo. Costui era un birro travestito, uno dei molti che erano stati sguinzagliati per la citta sin dall'inizio del tumulto, per osservare e riferire chi fossero gli istigatori e i caporioni della rivolta, onde poterli arrestare non  appena la situazione si fosse normalizzata. Il bargello aveva ascoltato il montanaro, e subito lo aveva scelto per sua vittima, perche gli era sembrato "un  reo buon uomo", uno da potersi facilmente arrestare, incriminare e magari impiccare, dopo avergli fatto confessare con la tortura tutti i delitti che si voleva. Ci fece dunque assegnamento e decise di non lasciarselo sfuggire, il merlotto di campagna; e cosi avrebbe fatto coi suoi superiori un'ottima figura, senza rischiare nulla; mentre con i veri facinorosi si rischiava troppo, per cui conveniva lasciarli in pace. Quando lo sprovveduto Renzo chiese di essere accompagnato a una locanda, il bargello tento il colpo magistrale di condurre il forestiero dritto dritto in guardina, la piu sicura ed economica delle locande; ma sfortunatamente il tiro gli ando fallito, perche il giovane, molto stanco, vista poco dopo un'insegna d'osteria,  non  volle  piu saperne di proseguire, ed entro li.
Il suo accompagnatore, dopo aver tentato invano di dissuaderlo, dicendo che quell'osteria non faceva per lui, lo segui, non volendo lasciare la preda senza avergli almeno cavato di bocca le generalita, onde denunciarlo ai superiori. Cammin  facendo  aveva  saputo  che  Renzo  era  del  territorio  di  Lecco,  e   ora


 

 

avrebbe cercato di sapere il resto. Il nostro giovane, vedendo che lo sconosciuto non aveva voglia di lasciarlo, lo invito a bere un bicchiere con lui, e quegli accetto ben volentieri, anzi lo precedette nel locale, come pratico del luogo. L'oste ando incontro ai nuovi venuti; vedendo il bargello, lo maledisse in cuor suo, perche veniva a ficcare il naso proprio nel suo esercizio e in una giornata come quella. Dando poi un'occhiata a Renzo, penso che, venendo con un tal cacciatore, doveva essere o cane o lepre, cioe o compagno o vittima: lo avrebbe saputo subito, ed era un po' curioso di saperlo.
Renzo si sedette di fronte alla sua guida, e ordino innanzi tutto un fiasco di vino; tanta era l'arsura della sua gola, che in poco tempo ne tracanno parecchi bicchieri, quasi senza accorgersene, mescendo anche allo sconosciuto, che pero bevve appena, per tenersi ben in se. Quando poi l'oste, servendogli un piatto di stufato, disse che pane non ce n'era quel giorno, il giovane si ricordo della pagnotta che ancora aveva in tasca e, mostrandola agli avventori, esclamo che al pane ci aveva pensato la provvidenza. Un coro di applausi e di risa saluto le parole di Renzo, il quale volle precisare che aveva trovato quella pagnotta per terra, ma naturalmente nessuno ci credette, essendo tutti piu che convinti che egli l'avesse sgraffignata in qualche forno.
L'accompagnatore poi disse all'oste di preparare un buon letto al suo amico, che doveva alloggiare li; allora il locandiere, secondo che prescriveva la legge, ando subito al suo banco a prendere carta, penna e calamaio; quindi, fattosi davanti a Renzo, gli chiese di dirgli nome, cognome e paese di origine. Il giovane, ormai alticcio, casco dalle nuvole, e chiese il motivo per cui doveva dire chi era; saputo che lo prescriveva una grida (che l'oste volle mostrargli e leggere, nei passi salienti), disse che se le gride che parlano bene, cioe a favore del popolo, non sono osservate, tanto meno debbono valere quelle che parlano male, costituendo come delle trappole per la povera gente. Egli aveva le sue buone ragioni per non rivelare le sue generalita: "se un furfantone - aggiunse - volesse saper dov'io sono, per farmi qualche brutto tiro, domando io se questa faccia si moverebbe per aiutarmi." La faccia a cui alludeva era quella del "re moro incatenato per la gola" che campeggiava nello stemma del governatore don Gonzalo, stampato in testa al decreto. Ormai incapace di controllare le sue parole, Renzo si compromette sempre piu, esclamando tra applausi e risate: "Vuol dire quella faccia: comanda chi puo, e ubbidisce chi vuole." Il bargello non rideva, ma neppure contraddiceva: mentalmente prendeva nota di tutto.
L'oste insisteva per avere il nome del forestiero, ma questi non se la dava per inteso, anzi alzava sempre piu la voce per farsi ragione, vedendo che i presenti lo sostenevano rumorosamente; per cui l'accompagnatore di Renzo disse all'oste di non insistere ormai. Questi, che si mostrava cosi zelante solo perche era  presente il birro, desistette ben volentieri: ora si sentiva con le spalle protette, e nessuno avrebbe potuto accusarlo di non aver rispettato la grida. Se ne torno quindi placidamente sotto la gran cappa del camino, pensando che la lepre (cioe Renzo) era capitato proprio in brutte mani, ma che lui non voleva  andarci di mezzo: peggio per lui!


 

 

Il nostro giovane, vedendo l'oste ritirarsi, assaporo la vittoria e, nel suo stato euforico, non la finiva di predicare, polarizzando l'attenzione generale. Ora ce l'aveva contro la penna, che i governanti vogliono si adoperi a ogni pie sospinto, per rendere tutto piu difficile ai poveri analfabeti. Uno dei presenti disse facetamente che la ragione era semplicissima: quei signori  mangiavano  tante oche, che qualcosa dovevano pur fare delle loro penne. Renzo sorrise alla battuta spiritosa, ma rispose che la ragione vera era un'altra: la penna la tengono loro, perche solo loro sanno scrivere; sicche le parole che essi dicono, come per esempio le promesse, volano via senza che alcuno le possa fissare sulla carta, mentre le parole che dice un povero diavolo, te le infilzano per aria con la penna e le inchiodano sulla carta, per servirsene poi contro di lui. Quindi il giovane, continuando tutto infervorato la sua requisitoria contro i vizi della classe dominante, se la prese contro l'altra maledetta abitudine di  servirsi  del "latinorum" per imbrogliare meglio la gente ignorante, e si mostro dolente che avesse un po' questa brutta abitudine anche il gran Cancelliere, che per il resto era certamente una brava persona. E' evidente che Renzo aveva confuso lo spagnolo di Ferrer col latino di don Abbondio; ma tant'e, per lui ogni linguaggio  diverso dal volgare era "latinorum", vale a dire una cosa incomprensibile, una trappola insomma, per cui ne doveva essere abolito l'uso.
Gia l'ora era tarda e Renzo ormai brillo, per cui il bargello non disperava di aver ragione della sua istintiva ritrosia al nome e cognome. E per vincerla, dobbiamo riconoscerlo, ne penso una davvero magistrale: ritornando sul tema del pane, disse che, se comandasse lui, metterebbe in atto un sistema rigoroso, per cui ognuno avesse la stessa quantita di pane, ricco o povero che egli fosse. Innanzi tutto si doveva imporre un prezzo onesto, da poterci campare da una parte e dall'altra, e poi dare a ogni famiglia una tessera annonaria: il tal dei tali, con moglie e tanti figli, abbia pane tanto e paghi tanto. E per rendere la proposta piu chiara, venne al pratico:
"A me, per esempio, dovrebbero rilasciare un biglietto in questa forma: Ambrogio Fusella,  di  professione  spadaio,  con  moglie  e  quattro  figlioli.  A  voi,  per esempio,  dovrebbero  fare  un  biglietto  per  .  il  vostro  nome?"  Renzo  abbocca l'amo e spiattella allo sconosciuto il suo nome senza nemmeno accorgersene, tutto preso dalla novita del progetto, che pure era fondato essenzialmente sulla penna e sulla carta, oltre che sul nome e cognome e mestiere della gente.
Il sedicente spadaio, ottenuto finalmente il suo scopo, subito  si allontana, senza accettare un secondo bicchiere di vino, che Renzo gli ha riempito, e va diritto al Palazzo di Giustizia a denunciare, come istigatore di tumulti, Lorenzo Tramaglino, l'ingenuo merlotto caduto nella sua rete. Il bargello e soddisfatto, e i suoi superiori sono contenti del suo lavoro.
Mentre il bargello faceva al notaio criminale la sua deposizione contro di lui, l'ignaro giovane, rimasto nell'osteria, continuava a trincare e a ciarlare: "vino e parole - dice il Manzoni argutamente - continuarono ad andare, l'uno in giu, e l'altre in su, senza misura ne regola." Ma, come sempre avviene nell'ubriachezza, all'euforia loquace successe ben presto la depressione psichica, accompagnata da


 

 

impaccio nel parlare. Ormai la parlantina era finita: le parole gli uscivano a stento, e il tono stesso della voce era alterato; le immagini e i pensieri gli  si confondevano, e finire le frasi riusciva per lui oltremodo difficile. Ma per fortuna gli era rimasta come un'attenzione istintiva a evitare i nomi, sicche anche quelli che piu profondamente erano scolpiti nel suo cuore, cioe quelli cari della fidanzata e del buon Cappuccino, non furono pronunciati in quella bettola ne dati in pasto a quei beoni sghignazzanti, per quanto essi lo andassero stuzzicando per farlo parlare dei fatti suoi, che ormai l'ingenuo montanaro era diventato lo  zimbello della chiassosa brigata. Non pronuncio neppure i nomi discari di don Rodrigo e di don Abbondio, per quanto talora alludesse a essi nel suo ormai incontrollato cicalare.
A proposito dell'ubriacatura di Renzo, il Manzoni fa un'acuta osservazione: il giovane era sempre stato sobrio nel bere, e la prima volta che alzo il gomito prese una sbornia solenne, causa di tanti guai, per cui se ne ricordo poi per un pezzo. Quindi le buone abitudini hanno anche il vantaggio che, quando uno se ne allontana anche poco, subito ne sente le conseguenze, e l'errore gli serve come lezione salutare per l'avvenire.


CAPITOLO XV

 

L'oste della "luna piena" (il quale, con tutti i suoi difetti,  appare  nel complesso piu galantuomo dell'oste del villaggio degli sposi), vedendo che i tristi camerati non la smettevano di prendersi gioco del forestiero, ne questi di tracannare bicchieri e di parlare sempre piu sconnessamente, decise di far cessare quella storia ormai disgustosa e anche pericolosa per lui, perche da un momento all'altro poteva verificarsi qualche disordine oppure l'intervento della forza pubblica. Avvicinatosi percio a Renzo, dopo aver invitato gli altri a lasciarlo in pace, lo prego di andare a letto. Il giovane sulle prime sembrava che non capisse, ma poi, tornatogli un attimo di lucidita, si accorse che ormai la testa non gli funzionava piu, e si sentiva stracco morto, per cui era una buona idea farsi una lunga dormita per rimettersi in sesto. Fino a quel momento, sentendosi una certa languidezza di corpo e di mente, aveva cercato di rimettersi in sesto ricorrendo al vino, per un errore molto comune in simili casi; ma ora capisce che il bicchiere non gli puo dare nessun aiuto, e sente forte il richiamo del letto. A un tratto volle alzarsi, ma vacillo, e sarebbe caduto senza l'intervento dell'oste, che poi lo accompagno al piano di sopra, dov'era la camera a lui destinata.
Vedendo il letto, Renzo si rallegro, assaporando la bella dormita, tanto piu che la notte precedente l'aveva passata sul disagiato carretto, e cerco di fare una carezza all'oste in ringraziamento per l'ospitalita, ma aggiunse che quel tiro del nome non era pero da galantuomo. L'altro, vedendo con meraviglia che il cliente connetteva abbastanza, e sapendo per esperienza che gli ubriachi talora cambiano repentinamente di umore e di opinione, tento di nuovo di farsi dire il  nome, in tono conciliante: non per la grida, ma per lui, in pegno d'amicizia. Renzo invece non intendeva farsi un amico a quella condizione e, alteratosi immediatamente, comincio a sbraitare, gridando verso il basso, per farsi sentire dagli avventori, che l'oste etra anche lui "della lega". Questi corse ai ripari trascinando  il  giovane verso il letto, dicendo che aveva parlato per scherzo; Renzo, che ormai non si reggeva piu in piedi, si calmo e cadde pesantemente sul letto. L'oste l'aiuto a spogliarsi e, trovato nel farsetto il borsellino, penso di concludere almeno quell'altro affare, strettamente privato ma per lui piu interessante, di farsi pagare, perche il giorno dopo forse non gli sarebbe stato piu possibile, una volta che il forestiero fosse stato arrestato, e il borsellino fosse caduto in mano dei birri. In quanto al pagare il montanaro non si fece affatto pregare, ritenendola cosa piu che giusta; e l'oste, fatto mentalmente il conto, disse a quanto ammontava, e si pago lui stesso, ma onestamente, senza approfittarsi affatto dello stato confusionale del suo ospite. Mentre questi gia russava, il brav'uomo si trattenne alquanto a contemplarlo, "per quella specie d'attrattiva, che alle volte ci tiene a considerare un oggetto di stizza, al pari che un oggetto d'amore"; quindi, sfogando il suo malumore a lungo represso, lo saluto come meritava: "Pezzo d'asino! sei andato


 

 

proprio a cercartela. Domani poi, mi saprai dire che bel gusto ci avrai." Per sua fortuna, l'asino non poteva piu tirar calci.
Quando usci, chiuse la porta a chiave, perche l'ospite non avesse a scappare, ora che ne era lui, volente o nolente, il custode; chiamata quindi sul pianerottolo la moglie, le disse di prendere il suo posto, poiche lui doveva purtroppo andare a fare la denuncia di quel benedetto forestiero. Le raccomando la prudenza, cioe di far finta di non sentire le frasi sediziose oppure offensive che si dicevano contro i governanti, per non avere grattacapi ne subito ne in seguito. La donna rispose che non era una bambina, e certe cose le capiva benissimo anche da se. Il marito prese mantello e cappello, si armo di un poderoso bastone, e si avvio sollecito verso il Palazzo di Giustizia. Le strade non erano ancora deserte, come gli altri giorni alla stessa ora, ma sparse di capannelli di gente che parlottava; piu in la, incontrando una pattuglia di soldati, torno col pensiero al forestiero, che nientemeno si era messo in testa di cambiare il mondo con quattro grida, eliminando le ingiustizie in un batter d'occhio, per via di tumulto; ma il Governo aveva la forza, e avrebbe fatto presto ritornare  in senno quei quattro scalmanati.
Si puo dire che durante tutto il percorso l'oste apostrofo mentalmente "quel testardo di un montanaro", che si era voluto rovinare per forza, tentando di compromettere anche lui, che non c'entrava minimamente e badava solo ai fatti suoi. Pero anche in questa muta rampogna si puo notare una certa naturale onesta dell'oste, un senso di compatimento verso il forestiero, che ritiene in sostanza un illuso in buona fede, piu vittima delle circostanze che reo degno di pena. Dice infatti tra se che, se non fosse venuto con quella spia, lui avrebbe chiuso un occhio per quella sera, e l'indomani, a mente serena, gli avrebbe fatto intendere  la ragione del nome e cognome; ma essendoci di mezzo colui, doveva per forza denunciarlo, se non voleva passar guai.
Anche nel presentare la denuncia l'oste e galantuomo, e diciamo anche abile e destro, e tanto sicuro di se, da ribattere francamente le esagerazioni e insinuazioni del notaio criminale (una specie di ufficiale di polizia giudiziaria), al quale fa la sua deposizione. Dice semplicemente che nel suo esercizio si e presentato un forestiero che, dovendo alloggiare, e avendogli lui percio chiesto le generalita, non ha voluto declinarle, nonostante la sua insistenza. Il notaio rispose che gia lo sapeva, e conosceva anche il nome di quel sedizioso (qui l'oste non pote non esprimere la sua meraviglia); ma aggiunse subito in atteggiamento severo che la denuncia era reticente; infatti quel tizio aveva portato all'osteria una quantita di pane rubato, aveva proferito ingiurie contro le gride e perfino offese contro lo stemma del Governatore. L'oste pero si difende bene e anche con puntiglio: innanzi tutto precisa che colui aveva portato una sola pagnotta, che nessuno poteva affermare con certezza che fosse stata rubata; quanto poi alle sue parole, come poteva lui averle udite, in mezzo al baccano, dovendo pensare a  servire tanta gente? Lui badava a fare l'oste, e doveva cercare soprattutto che ognuno pagasse: al resto non s'interessava. L'ordine pubblico era  competenza del Governo: lui aveva cercato di fare il suo dovere.


 

 

In definitiva questo locandiere, con la sua faccia lucida e pienotta, con i suoi occhietti chiari e scrutatori, ci riesce quasi simpatico, appunto perche tien testa bravamente al notaio criminale, e cerca di essere giusto nei riguardi del forestiero, che pur gli ha dato tanto fastidio; uno meno onesto si sarebbe sfogato aggravando le accuse, anche per farsi bello davanti al funzionario di polizia: lui invece dice la pura verita, cercando di non compromettere lo sconosciuto, verso il quale sente una certa indulgenza, appunto perche lo sa vittima piu che reo.
Allo spuntar del giorno successivo, 12 novembre 1628, il notaio criminale che aveva ricevuto la denuncia, assieme a due birri, ando all'osteria  per arrestare Renzo e tradurlo alle carceri. Il giovane dormiva della grossa, e chissa quando si sarebbe svegliato, se i birri non lo avessero scosso sgarbatamente. Aperti a stento gli occhi, vide quelle tre figure, e credette di sognare; e siccome quel sogno non gli piaceva affatto, cerco di svegliarsi del tutto e di guardar meglio, con gli occhi cosi tra i peli. Allora senti l'uomo in cappa nera che diceva: "Ah! avete sentito una volta, Lorenzo Tramaglino?"
Renzo cadde dalle nuvole: che cosa era successo? che volevano quelli da lui? come mai sapevano il suo nome, che egli aveva tanto gelosamente taciuto a tutti? Alle sue meravigliate domande quelli risposero bruscamente che si vestisse subito subito e li seguisse senza tante ciarle. La ragione dell'arresto? la sentira dal Signor Capitano di Giustizia. Ma Renzo non aveva alcuna voglia di andare con loro, e cercava di guadagnar tempo, per valutare bene la situazione in cui si trovava. Capi a un dipresso che il non aver voluto dire il suo nome, come prescriveva la grida, era la causa di tutto, ma non si capacitava come mai la Giustizia, dalla sera alla mattina, avesse talmente cambiato registro, da venire a colpo sicuro ad arrestare uno di quelli che il giorno prima aveva avuto piu voce in capitolo; come poi avessero fatto a sapere il suo nome, era per Renzo un vero mistero.
I birri, stanchi di pazientare, gli misero le mani addosso, ma il giovane protesto che si sapeva vestire da solo; e infatti comincio a ripescare sul letto i suoi indumenti, che erano "come gli avanzi d'un naufragio sul lido". Ma  osservando che dalle tasche del farsetto erano spariti il borsellino e la lettera di Padre Cristoforo, pretese ad alta voce di riavere la roba sua, e il notaio, non volendo irritarlo, lo accontento, aggiungendo di aver fiducia in lui e di voler fare per lui questa eccezione. Ma Renzo, ormai stizzito, borbotto sottovoce: "bazzicate tanto coi ladri, che avete un poco imparato il mestiere." I birri, trattenuti da un cenno del notaio, dovettero ingoiare l'insulto. Se il giovane si mostrava cosi strafottente, era perche aveva gia capito che i rappresentanti della Giustizia non erano troppo sicuri del fatto loro, perche in strada la situazione non era propriamente calma. E infatti non gli sfuggi che il notaio era tutto attento ai rumori esterni, e a un certo punto non pote tenersi dall'aprire l'impannata, essendo giunto dalla via un frastuono minaccioso: era un crocchio che, all'intimazione di sciogliersi, lo faceva a stento e mugugnando in tono di protesta; ma quello che al notaio parve molto preoccupante era che i soldati si mostravano cortesi.
A Renzo non sfuggiva nulla, e gia nella sua mente si delineava il proposito di liberarsi  di  coloro.  Per  quanto  il  notaio  volesse  atteggiarsi  ad  amico,  e    gli


 

 

assicurasse che l'arresto era una semplice formalita, per cui avrebbe dovuto rispondere a poche domande prima di essere libero di andarsene per i fatti propri, egli comprendeva che quelle erano chiacchiere per tenerlo buono, ma che le cose non si mettevano bene per lui, una volta nelle grinfie della polizia: ne sapeva abbastanza della giustizia del suo paese, la quale risparmiava i veri delinquenti e si accaniva contro i poveri ingenui. Percio non credette a nessuna di quelle parole untuose del notaio, che gli consigliava, per suo bene, di essere prudente e riservato, di non dar nell'occhio per la strada, anzi di non farsi neppure scorgere, cosi nessuno gli baderebbe e non si saprebbe nemmeno che era stato nelle mani della polizia: la sua reputazione era in tal modo salva!
Quando, all'uscita dall'osteria, i birri gli misero i manichini (una specie di manette di corda cosparsa di nodi, cosi chiamati "per quell'ipocrita figura d'eufemismo"), il nostro giovane cerco di divincolarsi,  protestando  a voce alta; ma poi si calmo, o meglio finse di calmarsi, alle parole concilianti del notaio, il quale disse che i birri facevano il loro dovere, che anche quella era una formalita indispensabile: loro purtroppo non potevano trattare la gente come dettava il cuore, che altrimenti ne porterebbero per primi la pena! Renzo s'acqueto come un cavallo indocile cui sia stata messa la mordacchia, ma naturalmente era pronto a sparar calci alla prima occasione favorevole; la quale non si fece attendere. Gente ne passava per la strada, a due, a tre, in gruppo; altri erano fermi in crocchio, e si vedeva che non erano pacifici cittadini che se ne stessero per i fatti loro, ma persone intenzionate a ricominciare la storia del giorno prima; cio accresceva la preoccupazione del notaio, il quale si pentiva di non aver lasciato il prigioniero nella locanda, in custodia dei birri, per andare a prendere nuove  istruzioni o almeno dei rinforzi. Questo pensiero gli era venuto, perche non era uno sciocco, ma poi aveva temuto di apparire pauroso e buon a nulla, per cui aveva deciso di portar via l'arrestato, anche rischiando un po', ma sperando che la cosa si risolverebbe senza gravi inconvenienti. Ora pero vedeva che le cose si mettevano male per lui, e affinche la situazione non precipitasse, andava sussurrando all'orecchio di Renzo che stesse calmo, che non si facesse notare,  per  non rovinare il suo onore, che tra un'ora sarebbe libero, tanto piu che  lui  stesso avrebbe parlato in sua difesa. Da questo comportamento sballato del notaio, dice il Manzoni, nessuno concluda che fosse uno sciocco; era anzi un furbo matricolato, ma tant'e, anche i furbi, quando hanno perso la calma, ne  commettono delle grosse, di cui a sangue freddo riderebbero volentieri  essi  stessi.  Per  cui, conclude argutamente l'Autore, cercate di non perdere mai le staffe o, meglio, cercate di essere sempre voi i piu forti; ammonizione rivolta ai furbi, naturalmente.
Quando Renzo vide tre che venivano verso di lui con i visi alterati, comincio a contorcersi, a sporgersi avanti e indietro, tossicchiando, per farsi notare. Quelli si fermano, per vedere di che si tratta, e con loro altri e poi altri; il notaio consiglia, prega il prigioniero di badare a se, di non rovinare la sua reputazione; i birri, pensando che fosse meglio usare la maniera forte, danno una stretta ai manichini, girando i due legnetti terminali che tenevano stretti nella mano. Renzo grida, cerca


 

 

di divincolarsi; la gente si accalca intorno minacciosa e blocca la pattuglia. Il notaio getta la maschera dell'ipocrisia, e cerca di convincere i presenti a non ostacolare il corso della giustizia: "E' un malvivente, e un ladro colto sul fatto!" Ma Renzo non si lascia certamente sfuggire l'occasione propizia, e subito grida a sua volta: "Figlioli! mi menano in prigione, perche ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo: aiutatemi, non m'abbandonate, figlioli!"
L'aiuto non si fa attendere: comincia all'intorno, col pigia pigia, un gridare minaccioso, un urtare violento; i birri, per non essere travolti, lasciano i manichini e cercano di guadagnare il largo. Anche il notaio cerca di fare lo stesso, ma per lui la cosa riesce piu difficile per colpa della cappa nera, che lo impaccia e lo rende riconoscibile. Cercava tuttavia di assumere un atteggiamento indifferente, come di chi si fosse trovato li per puro caso; e incontrando lo sguardo di uno che lo squadrava minacciosamente, con un tono innocente gli chiese: "Cos'e stato?" "Uh corvaccio!" fu la risposta di colui, che l'aveva ben riconosciuto; e a urtoni gli altri spintonandolo lo cacciarono via proprio come un brutto corvo della malora; ma a lui quegli urtoni violenti parvero soavi, perche anche per  mezzo  di  essi pote uscire a salvamento: buon per lui!


 

 

Fonte: http://www.brunocamaioni.com/system/files/libri_e_copertine/%5BeBook%20-%20ITA%20-%20romanzo%5D%20Bruno%20Camaioni%20-%20Riassunto%20de%20I%20Promessi%20Sposi%20%28ed%20riveduta%29.pdf

Sito web da visitare: http://www.brunocamaioni.com/

Autore del testo: Bruno Camaioni

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