Ecologia

 

 

 

Ecologia

 

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ECOLOGIA


(dal greco oikos=casa e logos=discorso, trattazione, studio)

Come conoscenza dell’ambiente naturale, l’ecologia ha sempre rivestito un ruolo fondamentale nella vita dell’uomo, sin dalle società primitive.
Le conquiste tecnologiche ci fanno sentire sempre meno dipendenti dall’ambiente naturale per le nostre necessità quotidiane ma l’energia, i materiali, i processi fondamentali di mantenimento della vita come i cicli dell’ acqua e dell’aria si basano, oggi come sempre, su equilibri degli ambienti naturali.

L ecologia, come tutte le scienze, ha conosciuto uno sviluppo graduale, anche se discontinuo.
Aristotele, Ippocrate, Plutarco sono solo alcuni tra i filosofi greci che si sono occupati di temi ecologici.
Il termine Ecologia è però, molto recente: il primo a proporlo, su basi scientifiche, è stato un biologo tedesco, Ernst Haeckel, nel 1869.
La prima drastica distinzione effettuata tra Ecologia Animale ed Ecologia Vegetale è stata superata negli anni, qrazie agli studi effettuati sulle comunità biologiche, sulle catene alimentari, sulle reti trofiche. Questi studi hanno contribuito a stabilire le basi teoriche dell’Ecologia Generale.
Prima degli anni 70 l’Ecoloqia era considerata una branca della Biologia. Oggi, nonostante le sue radici fondamentali siano ancora, ovviamente, da ricercarsi nella Biologia, l’Ecologia viene riconosciuta come una nuova disciplina, basata su processi chìmico-fisici, biologici, sociali.



L’ECOLOGIA è, secondo:

HAECKEL, 1869:studio delle relazioni tra gli organismi e l’ambiente.
ELTON, 1927: studio scientifico della storia naturale.
ODUN, 1963: studio della struttura e della funzione.
ANDREWARTA,1961: studio scientifico della distribuzione e dell’abbondanza degli organismi.
KREBS, 1985: studio scientifico delle relazioni.
che determinano la distribuzione e l’abbondanza degli organismi (Dove? Quanti? Perchè?).

Per noi l’Ecologia è lo studio delle relazioni che intercorrono tra gli organismi e il loro ambiente.
Le due branche in cui si suddivide l’Ecologia ne distinguono gli indirizzi: l’AUTOECOLOGIA Studia i rapporti fra l’individuo ed i fenomeni ambientali di tipo fisico energetico, mentre la SINECOLOGIA si interessa degli aggregati degli individui nei loro rapporti con altre società di specie o popolazioni differenti, ranpresentando essenzialmente la sociologia biologica.

FATTORI ECOLOGICI

Fattori edafici e pedologici.
Fattori climatici. (temperatura, precipitazioni, venti, luce).
Fattori bioticì (interazioni).
Fattori topografici (altitudine, esposizione).

agiscono su tutti gli ecosistemi, modificandone la struttura e composizione.

Luce, temperatura, acqua, ossigeno, sali minerali sono fattori ecologici importanti sulla terraferma. Luce, temperatura, salinità, pressione, ossigeno, sali minerali sono fattori ecologici importanti in ambienti acquatici.

In base al grado di tolleranza, una serie di termini che usano il prefisso steno—, nel significato di “stretto” ed euri—, nel significato di “ampio” , sono divenuti usuali in ecologia:

stenotermo — eritermo (temperatura)
stenoidrico — euriidrico(acqua)
stenoalino — eurialino(salinità)
stenofago — eurifago (cibo)
stenobato — euribato (pressione)
stenoecio — euriecio (habitat)

In una specie stenoecia (in questo caso stenoterma) il minimo, l’optimum e il massimo sono molto vicini. Quindi, un modesto cambiamento di temperatura (che per una specie euriterma avrebbe un minimo effetto) si rivela spesso critico. L’evoluzione di stretti intervalli di tolleranza potrebbe essere considerata una forma di specializzazione, che si risolve in una maggiore efficienza a spese dell’adattabilità e contribuisce ad incrementare la diversità della comunità nel suo insieme.

HABITATAT

L’habitat di un organismo è l’ambiente naturale in cui esso normalmente vive

Si è detto in precedenza che lo spazio fisico nel quale vive una biocenosi costituisce il biòtopo; l’habitat è quindi la somma dei biòtopi in cui un organismo può vivere in quanto possiede tutti i requisiti necessari alla vita dello stesso.

Ogni habitat è caratterizzato dai suoi particolari aspetti fisici e chimici, e dalla struttura della vegetazione. Così, ad esempio, l’habitat dell’aquila reale sono le zone montagnose poste al di là del limite degli alberi sotto il livello delle nevi perenni, il koala vive esclusivamente nell’habitat costituito dalle foreste di eucalìpto dell’Australi orientale, l’habitat del castoro di montagna è costituito da fitti boschi in prossimità dell’acqua, gli scoiattoli hanno un habitat arboreo, le talpe un habitat sotterraneo.

La POPOLAZIONE è un gruppo di organismi della stessa specie (individui che possono potenzialmente incrociarsi fra di loro producendo progenie fertile e pertanto possiedono un patrimonio genetico comune) che occupano lo stesso spazio nello stesso periodo di tempo (interagiscono fra loro nello spazio e nel tempo), condividono uno stesso ruolo funzionale (ossia una medesima nicchia ecologica) e reagiscono in modo simile allo stimolo dei fattori ambientali; formano un sistema biologico dotato di propri meccanismi di controllo.

Una COMUNITA è un’associazione di popolazioni di specie diverse che hanno lo stesso habitat, legate tra loro, direttamente o indirettamente, attraverso una varietà di interazioni. Caratteristiche di una comunità sono la diversità biologica, vale a dire il numero delle specie che vivono in un dato habitat. il numero di individui di ciascuna specie (abbondanza relativa) e la loro dispersione nell’habitat. Queste caratteristìche sono influenzate dall’azione combinata di vari fattori:
— la piovosità, la temperatura, la composizione del suolo e altre caratteristiche geochimiche e climatiche dell’habitat;
— il tipo e la quantità di cibo e di altre risorse disponibili;
- gli adattamenti anatomici, fisiologici e comportamentaii, grazie ai quali i componenti di una specie sono in grado di sfruttare determinate risorse;
- le interazioni tra le diverse specie presenti nell’habitat.

NICCHIA ECOLOGICA

In un dato habitat ogni specie occupa una sua nicchia ecologica, che non è semplicemente un luogo ma un modo di vita, un ruolo, e comprende tutte le condizioni fisiche, chimiche e biologiche di cui la specie necessita per vivere e riprodursi (luce, anidride carbonica, ossigeno acqua e sostanze nutritive, temperatura, tipo di cibo, predatori, specie che competono per le stesse risorse).

Le specie, in genere, occupano nicchie tanto più diverse quanto più diverse sono le loro abitudini alimentari e ciò perché in questo modo viene a mancare un importante fattore di competizione.
Vi sono specie chiamate specìaliste e altre generaliste. Le prime hanno nicchie limitate, possono vivere in un solo tipo di habitat, si nutrono di un solo tipo di cibo e sono molto sensibili alle variazioni dei fattori ambientah e climatici. Ne sono esempio il panda gigante della Cina e il koala australiano, che si alimentano esclusivamente di piante di bambù ed eucalipto rispettivamente. Sulle Alpi stenofagi sono il capriolo, la donnola, l’ermellino.

I generalisti sono gli organismi che hanno nicchie ampie e grande capacità di adattamento. Sono specie generaliste le mosche, gli scarafaggi, i ratti, gli esseri umani. Negli ambienti in cui le condizioni si mantengono costanti nel tempo, come le foreste pluviali, sono avvantaggiati gli specialisti mentre i generaltsti, essendo più adattabili sono favoriti negli ambienti soggetti a repentini cambiamenti. Eurifagi alpini sono la martora, la faina, il tasso, la volpe.

Talora una specie occupa, nei diversi stadi della sua vita, nicchie diverse; basti ricordare, ad esempio i numerosi stadi larvali degli insetti che si sviluppano attraverso la metamorfosi. Inoltre la stessa specie può occupare nicchie diverse in regioni diverse.

Spesso un organismo riveste più di un ruolo entro la comunità. Per esempio la tartaruga azzannatrice è un predatore di giovani tartarughe acquatiche, ma è anche un saprofago: si ciba cioè, di resti di animali morti che non ha ucciso.

La nicchia ecologica è un ipervolume, dove ogni dimensione rappresenta una variabile ambientale è uno spazio ecologico a n dimensioni (Hutchinson).

GLI ADATTAMENTI

Si distinguono sostanzialmente tre tipi di adattamenti: morfologico, fisiologico, comportamentali.

Gli adattamenti morfologici riguardano la forma e la struttura degli organismi.
La forma e la robustezza del becco del picchio, adatto per forare la corteccia degli alberi, sono un valido esempio di adattamento morfologico.

Gli adattamenti fisiologici riguardano il metabolismo. Un esempio di questo tipo di adattamento è la presenza nel sangue dei pesci che vivono nei mari polari di particolari proteine “antigelo” che abbassano la temperatura di congelamento.

Gli adattamenti comportamentali sono particolari comportamenti degli organismi in risposta a determinati stimoli ambientali. La fedeltà all’uomo del cane è un adattamento dettato dalla necessità di procurarsi cibo e rifugio.

L’adattamento è molto spesso un compromesso tra esigenze diverse e l’evoluzione può essere paragonata a un bricoleaur che debba continuamente fare compromessi per trovare la soluzione migliore in una determinata situazione.

L’adattamento è inoltre un concetto relativo: una lepre che corre più veloce lascerà più discendenti solamente se il problema principale da risolvere è quello di sfuggire ai predatori. Se il problema è invece di dover resistere a una malattia, la lepre più adattata sarà quella che presenta la resistenza contro quella specifica malattia.
Tuttavia è bene ricordare che alcuni cambiamenti evolutivi sono del tutto casuali e che non è corretto cercare una spiegazione adattativa per tutti i fenomeni biologici.

Gli adattamenti possono essere attuati durante lo sviluppo o essese geneticamente determinati ed immodificabili (adattamenti genotipici oppure possono evolvere durante la vita dell’individuo (adattamenti fenotipici o acclimatazione) . L’acclimatazione può essere realizzata in un periodo limitato della vita e può recedere se lo stress fisiologico è rimosso.

MODELLI DI EVOLUZIONE

Si distinguono tre modelli di evoluzione:
evoluzione convergente, evoluzione divergente ed evoluzione parallela.

Per evoluzione convergente si intende il fenomeno dello sviluppo, in organismi che vivono in condizioni ambientali simili ma senza alcuna parentela evolutiva, di strutture simili dal punto di vista funzionale.
L’evoluzione convergente produce strutture analoghe, ovvero strutture che hanno funzione simile, ma diversa origine evolutiva.
Il topolino delle piramidi che vive in Egitto e quello dei deserti del Nuovo Messico hanno entrambi le zampe modellate allo steso modo, adatte a saltare sulla sabbia che è la caratteristica comune degli ambienti in cui questi animali vivono.
Sia i cactus che le euforbie, piante diverse che vivono in ambienti aridi, possiedono spine carnose e tessuti in grado di accumulare acqua.
Molti mammiferi che si sono adattati alla vita marina, come i cetacei e i delfini, hanno assunto le caratteristiche dei pesci.

L’evoluzione divevergente consiste nello sviluppo di caratteristiche diverse in due (o più) ppopolazioni che condividono un antenato comune. L’evoluzione divergente può portare alla formazione di varietà diverse della stessa specie, adattate alle specifiche condizioni ambientali in cui vivono, oppure se agisce sufficientemente a lungo alla nascita di specie nuove.
Pur essendo entrambi mammiferi appartenenti all’ordne dei carnivori, le foche e i gatti hanno un aspetto radicalmente diverso perchè vivono in ambienti differenti e si sono quindi adattati a diverse pressioni selettive nel corso della loro evoluzione.

L’evoluzione parallela è il processo per cui specie imparentate evolvono in modo simile per lunghi periodi di tempo, perchè sottoposte alle stesse pressioni selettive.

 

Fonte: http://www.formazioneesicurezza.it/AA_UNIVERSITA/Dispense/Periodo%2004/Ecologia/Rom-ECOLOGIA.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

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LEZIONI  DI  ECOLOGIA  GENERALE


La biologia dell’ambiente dovrebbe essere un tema di per sé affascinante, visto il gran parlare negli ultimi decenni, anche quando non offre immediatamente applicazioni pratiche: fanno parte dell’indole umana la curiosità e l’interesse per la vita, i comportamenti e la varietà degli esseri che ci circondano quotidianamente, senza andare in ambienti esotici. Molti di noi si mostrano interessati ai temi dell’ecologia, ma poi si fanno prendere dal corso degli eventi e dimenticano di mettere in pratica ciò che la sensibilità dovrebe spingere a fare, cioè avere cura dell’ambiente in cui si vive. Ci sono anche, per fortuna dell’umanità, interessi che per alcuni diventano passatempi e vocazioni che nel tempo si trasformano in fonti di soddisfazioni estetiche e intellettuali per tutta la vita, traducendo l’insegnamento e l’educazione ambientale, ricevuti durante l’età scolastica, in buone pratiche di comportamento sociale anche in età adulta. Di solito i corsi scolastici di biologia sono incredibilmente noiosi tali da creare una certa antipatia verso la disciplina. Spero invece che, grazie alla vostra indispensabile collaborazione, il nostro corso sia per voi interessante e anche divertente. Buon lavoro!

 

Le prospettive dell’attuale modello di sviluppo e la minaccia del progressivo incremento demografico della nostra specie hanno posto i problemi ambientali in primo piano. Ritengo che sia indispensabile che ogni individuo assennato sia messo a conoscenza dei processi e delle condizioni generali dell’ambiente che rendono possibile la sopravvivenza non  solo della nostra specie, ma anche quella di migliaia di altri organismi. In una convivenza civile, regolata da comportamenti democratici, non è sufficiente la presenza di un piccolo gruppo preparato che comprende quello che accade alla natura, ma occorre che tutti i cittadini siano preparati affinché la conoscenza, la ricerca e l’azione siano integrate per far maturare stili di vita rispettosi di tutto l’ambiente. (Squilibrio nell'uso delle risorse: acqua, minerali, legname...)
La preparazione dei cittadini verso i temi dell’ambiente la si può considerare una necessità vitale, per il semplice motivo che la presenza di homo sapiens, e della sua formidabile capacità culturale di produrre frequenti e repentini cambiamenti negli ambienti in cui interviene, sta modificando la biosfera fino ad un  punto di non ritorno.
Dopo questo preambolo possiamo iniziare a fissare alcuni punti di riferimento della disciplina, definendone i termini fondamentali. Per procedere con tranquillità abbiamo bisogno di stabilire alcuni concetti specifici e, per chiarire alcune relazioni tra la biologia ambientale e altre discipline, per nostra fortuna, è richiesto solo un bagaglio minimo di termini tecnici.


Ecologia – deriva dalla radice greca òikos, che significa casa (posto in cui vivere) e lògos, che significa discorso, letteralmente è lo studio delle case; in senso generale è lo studio degli ambienti. Si occupa della biologia di gruppi di organismi e dei processi funzionali nelle terre, negli oceani, nei corsi d’acqua. Il termine è stato utilizzato la 1ª volta dal biologo tedesco Ernest Haeckel nel 1866 nella sua opera “Morfologia generale degli organismi”. È una scienza interdisciplinare e di sintesi per trarre leggi e principi generali sul funzionamento dell’ambiente; si occupa dei fondamenti comuni a tutte le forme di vita; studia i rapporti degli organismi fra loro e con l’ambiente in cui vivono. È sottointeso che la specie homo sapiens è una parte della natura.


Ambiente – rappresenta un concetto fondamentale per l’ecologia ed è definito come l’insieme delle condizioni fisiche (luce, pressione, temperatura, struttura del terreno, ecc…), chimiche (presenza o meno di sostanze organiche ed inorganiche, pH,..), biologiche (presenza di determinate specie di organismi) dove è possibile la vita di un organismo animale o vegetale.


Le proprietà della vita. Si ha un’idea abbastanza intuitiva di ciò che significa essere vivo: per esempio affermiamo che un gatto è vivo, mentre una pietra non lo è. Eppure risulta molto difficile definire la vita, perché gli esseri viventi si presentano con forme e strutture molto diversificate fra loro e qualche volta non è facile separare nettamente alcuni organismi (virus) dal mondo inanimato. Per fortuna nostra i biologici, a seguito di studi ed esperimenti, hanno individuato alcune proprietà comuni a tutti gli esseri viventi per distinguerli con certezza dalla materia non vivente:

  • Strutture complesse e organizzate che operano tra loro in stretta collaborazione
  • In condizioni ambientali in continuo cambiamento le strutture e le funzioni rimangono costanti (omeostasi)
  • Scambi con l’ambiente di energia e materiali che vengono trasformati secondo le necessità
  • Sviluppo ed accrescimento
  • Reazione agli stimoli ambientali
  • Riproduzione
  • Capacità di cambiare nel tempo (evoluzione).

Altre proprietà prese in considerazione:

  1. programma scritto nel DNA: specifica gli incredienti dell'organismo e le loro interazioni
  2. improvvisazione: capacità di modificare il programma e adattarsi alle variazioni ambientali (mutazioni e selezione  naturale)
  3. compartimentazione: concentrare funzioni vitali e ingredienti in aree delimitate da membrane
  4. flusso di energia: metabolismo
  5. rigenerazione: manutenzione dll'oranismo e riproduzione
  6. adattabilità: rispsota comportamentale agli stimoli ambientali
  7. isolamento: processi metabolici si svolgono in contemporanea senza intereferenza

Un essere vivente per essere considerato tale deve possedere contemporaneamente queste proprietà. 
Ora iniziamo a delimitare il campo di studio dell’ecologia, esaminando il concetto di livelli di organizzazione presenti nel mondo vivente. Rispetto a qualsiasi oggetto inanimato gli esseri viventi sono altamente complessi e organizzati. Nel mondo naturale è possibile individuare lo spettro biologico della progressiva complessità di organizzazione secondo una struttura a piramide dal più semplice, l’atomo al più complesso, la biosfera:

  1. Atomo - la più piccola e caratteristica unità di un elemento che ne conservi le proprietà chimiche
  2. Molecole – la più piccola unità chimica di un elemento o di un composto capace di esistenza indipendente. Costituite dall’unione chimica di uno o più elementi (1O + 2H = H2O). Macromolecole biologiche sono un prodotto dell’attività degli esseri viventi; le molecole inorganiche appartengono al mondo inanimato, ma presenti anche negli organismi viventi (acqua, sali minerali anidride carbonica..)
  3. Cellula – I livelli di organizzazione della vita iniziano con la cellula che rappresenta la più piccola unità funzionale di un organismo vivente. La cellula risulta costituita fondamentalmente da tre componenti: geni che regolano e controllano le attività vitali della cellula; organuli che svolgono le diverse funzioni necessarie alla cellula per vivere e una sottile membrana che separa la cellula dall’ambiente circostante. Alcuni organismi sono formati da una sola cellula (microrganismi) e detti unicellulari. Altri organismi invece sono costituiti da molte cellule (organismi più grandi) e detti pluricellulari.
  4. Negli organismi pluricellulari le cellule simili sono organizzate in un complesso strutturale di maggiori dimensioni detto tessuto (nervoso, muscolare, connettivo..).
  5. Tessuti diversi possono unirsi in un’unità strutturale superiore funzionale, che prende il nome di organo (foglia, organo riproduttore, stomaco, occhio, cervello...)
  6. Un gruppo di organi preposti ad una specifica funzione formano un sistema organico, o apparato. Per esempio il cervello, midollo spinale, organi di senso e nervi compongono il sistema nervoso. Altri apparati sono: respiratorio, circolatorio, radicale.
  7. Infine l’azione coordinata di tutti i sistemi organici si traduce in un singolo essere vivente, cioè l’organismo.
  8. Un insieme di organismi della stessa specie, cioè che hanno simili caratteristiche dal punto di vista anatomico e fisiologico, che vivono in una stessa area e sono in grado di accoppiarsi, generando figli fertili, formano una popolazione. Il termine indicava originariamente un gruppo di persone, ma in ecologia è generalizzato fino a comprendere gruppi di individui appartenenti a qualsiasi specie di organismi. L’ecologia inizia il suo campo d’intervento a partire da questo livello di organizzazione fino alla biosfera.
  9. Popolazioni diverse possono vivere insieme in una determinata area in una comunità.  Si usa anche il termine di comunità biotica o biocenosi (bios = vita e koinos = unione, comunanza), cioè l’associazione biologica di organismi animali e vegetali di specie diverse che coabitano in una stessa unità di ambiente (biotopo = luogo dove si sviluppa la vita).
  10. Biocenosi e biotopo costituiscono insieme il sistema ecologico o ecosistema, cioè l’unità funzionale fondamentale di tutti gli organismi di una comunità e dei fattori ambientali con i quali interagiscono tutte le specie. E’ un’entità più o meno bilanciata, in equilibrio. Un ecosistema è determinato dalla morfologia e la geochimica dell’ambiente, il clima, le variazioni di temperatura, di pressione e di umidità, la struttura trofica, la diffusione e la tipologia degli esseri viventi, vegetali e animali. Ecosistemi sono: un lago, un prato, un bosco…
  11. Più ecosistemi vicini geograficamente costituiscono il paesaggio, termine di derivazione inglese (landscape), diverso dal significato della nostra lingua, in cui assume una connotazione estetica. Il paesaggio “inglese” è più vicino al nostro “territorio”. Un paesaggio può essere rappresentato da un’area che comprende uno stagno, un torrente, un prato e un bosco, con le loro reciproche interazioni.
  12. Un livello di organizzazione superiore ai paesaggi è rappresentato dal bioma che è un sistema costituito da un insieme di ecosistemi e paesaggi tipico di una regione, di una fascia geografica e climatica, con una particolare copertura vegetale. Le caratteristiche che individuano un bioma rimangono uguali su tutta la superficie terrestre a prescindere dall’emisfero o dall’area nel quale è presente. Il bioma è caratterizzato da una associazione di vegetali e animali in una determinata area geografica che ha raggiunto un assetto piuttosto stabile. Sulla Terra ci sono otto principali tipi di biomi, il cui nome deriva dalla vegetazione in essi predominante. Ciascun bioma è caratterizzato anche dalla presenza di animali adattati a quel determinato ambiente. La distribuzione dei biomi dipende in gran parte dal clima e la temperatura e le precipitazioni rappresentano i fattori chiave nel determinare il tipo di bioma di una data regione geografica: se due regioni geografiche sono sufficientemente lontane e presentano climi simili è molto probabile che avranno lo stesso tipo di bioma.

La sezione che segue deve essere considerata come approfondimento. Gli otto tipi di biomi:

 

    • Foreste tropicali si trovano vicino all’equatore (in genere tra i 15° lat. Nord e i 15° lat. Sud) dove esistono condizioni di: temperatura media annua alta - 11-12 ore di luce il  giorno tutto l’anno. Le precipitazioni, fattore che determina il tipo di vegetazione, sono varie e si distinguono: a) foreste tropicali a clima arido comuni in alcune parti orientali dell’Africa o nel nord-ovest dell’India, dove le precipitazioni sono scarse. Vi sono lunghe stagioni secche e le piante che vi crescono sono arbusti e alberi spinosi o le succulente capaci di trattenere l’acqua per lunghi periodi. b) foreste tropicali decidue in aree in cui c’è la netta distinzione tra stagione secca e stagione umida (Africa centrale e occidentale e India meridionale e orientale). Durante la stagione secca gli alberi e gli arbusti perdono le loro foglie, le quali ricrescono solo durante la stagione delle piogge torrenziali o dei monsoni. c) foreste pluviali tropicali in zone equatoriali molto umide (Indonesia, Bacino del Rio delle Amazzoni) qui le precipitazioni sono molto abbondanti superando i 2.500 mm/anno, mentre la stagione secca dura solo poche settimane. La foresta si presenta lussureggiante e costituisce il bioma più complesso, perché ospita più specie di qualsiasi altro ecosistema al mondo per le condizioni biotiche molto favorevoli. In un solo ettaro (10.000 m2) si possono trovare fino a 300 specie di alberi, e molti di questi sono angiosperme sempreverdi alte 50-60 metri. A causa della fitta densità degli alberi, si forma una volta molto compatta che non permette la penetrazione della luce fino all’altezza del suolo, quindi la vita si svolge solo nelle parti alte della foresta: gli animali sono arboricoli (ci sono  molte specie con pochi individui ciascuna): scimmie, uccelli, insetti, serpenti, non vi sono grandi animali predatori. Il suolo di solito è molto povero in termini di fertilità, in quanto le elevate temperature e le abbondanti piogge non consentono l’accumulo delle sostanze organiche, esse vengono rapidamente decomposte e riciclate. Per tale ragione quando si opera una deforestazione per far posto all’agricoltura, questa non dura che pochissimi anni.
    • Savana  è un bioma in cui predominano piante erbacee e alberi sparsi. Il termine deriva dallo spagnolo sabana = prato. Le savane coprono arre molto estese vicino ai tropici in Sud America, in Africa centrale e meridionale ed in alcune parti dell’Australia. È caratterizzata da clima caldo con lunghi periodi di siccità che si alternano a stagioni umide. La struttura biotica della savana è molto più semplice rispetto alle foreste equatoriali. La vegetazione erbacea è rappresentata soprattutto da graminacee, quella arborea da specie adattate alle prolungate siccità come il baobab. La savana ospita grandi erbivori e molti loro predatori: in quella africana vivono giraffe, zebre, antilopi, babbuini, bufali, struzzi, rinoceronti ed elefanti e i loro predatori (leoni, iene, ghepardi); in quella australiana invece ci sono i canguri e gli emù (uccello con brevi ali incapace di volare, ma molto veloce per le zampe molto lunghe). Nelle savane vivono anche molti animali che scavano cunicoli, tra cui i topi, talpe, tartarughe, serpenti, scoiattoli vermi e molti artropodi.

     

    • Deserto aree desertiche o semidesertiche sono presenti in entrambi gli emisferi (lat. tra 30°  e i 40°). I deserti sono caratterizzati da clima arido, perché l’aria umida che risale dall’equatore verso i poli scarica il suo contenuto di acqua (con abbondanti precipitazioni) alle latitudini più basse, quindi in prossimità dei 30-40° di lat. giunge al suolo asciutta e calda. Nei deserti durante il giorno la temperatura può superare i 50°C, mentre durante la notte scende abbondantemente sotto lo zero (forti escursioni termiche). Ci sono deserti caldi come quello del Sahara e deserti freddi come quello del Gobi (minimi di –10°C), in Mongolia. Le precipitazioni sono sporadiche e inferiori ai 300 mm/anno. I più aridi sono quelli dell’Australia centrale e del Sahara africano, dove le precipitazioni non superano i 20mm/anno. A differenza di altri biomi i deserti stanno estendendosi con un processo chiamato desertificazione, cioè la trasformazione di altri biomi, soprattutto la savana, in deserto (in Africa centrale), a causa dell’incremento demografico, del disboscamento e dell’eccessivo sfruttamento del suolo per l’agricoltura e il pascolo. In questo ecosistema i cicli di crescita e di riproduzione sono strettamente legati alle precipitazioni. La maggior parte delle piante presenti è annuale e si sviluppa dopo le rare e brevi piogge, mentre le piante perenni hanno sviluppato efficienti meccanismi e strutture di adattamento, per ridurre la perdita di acqua per traspirazione e conservarla più a lungo nei tessuti (cactus). Nelle regioni molto aride c’è assenza totale di vegetazione. Nelle regioni meno aride predominano pochi arbusti sparsi, accompagnati da cactus: queste piante producono grandi quantità di semi che restano in quiescenza fino a che non si verifica una pioggia abbondante per stimolarne la germinazione. Anche gli animali presenti nei deserti hanno prodotto nel corso della evoluzione meccanismi e strutture di adattamento alla prolungata siccità e alle temperature estreme: molti di essi vivono in cunicoli sotterranei e sono attivi solo durante la notte; molti di loro si cibano di semi (formiche, uccelli e roditori), mentre le lucertole, i serpenti e i falchi si nutrono di animali che mangiano i semi.

     

    • Macchia mediterranea tipo di ambiente relativamente poco diffuso sul pianeta, caratterizzato da una densa vegetazione costituita da arbusti spinosi con foglie coriacee e sempreverdi. Il clima è influenzato da inverni miti e piovosi seguiti da estati lunghe, calde e secche. La macchia è tipica delle regioni che si affacciano sul mare Mediterraneo, si trova anche sulla costa del Cile (chiamata matorral), in Sud Africa, nell’Australia sud occidentale e nelle coste meridionali della California (chaparral). Oltre agli arbusti perenni si trovano piante annuali, soprattutto nei mesi invernali e primaverili, che sono i più piovosi. La vegetazione è adattata per resistere a incendi frequenti e periodici: molti arbusti hanno radici in grado di sopravvivere agli incendi e producono semi che germinano solo dopo essere esposti a temperature elevate (i semi germogliano con grande vigore sulle ceneri). Le specie arboree più diffuse sono il leccio e la quercia da sughero, il pino d’Aleppo, il pino marittimo e il pino domestico. Gli arbusti tipici sono il carrubo, il terebinto, il bosso, il mirto, il lentisco ed il corbezzolo. Il clima mediterraneo non è l’ideale per lo sviluppo della fauna, a causa del lungo periodo secco durante la stagione calda. Gli animali sono in prevalenza erbivori (cervi, caprioli, daino), vi sono poi scoiattoli, volpi, cinghiali e l’istrice tipico rappresentante della fauna mediterranea. Vi sono anche molti uccelli che si cibano di frutti, roditori che si nutrono di semi e lucertole e serpenti

     

    • Praterie delle zone temperate presentano alcune caratteristiche delle savane, sono però più povere di alberi e si trovano in regioni con temperature invernali relativamente fredde. Le praterie sono costituite dalla prevalenza di piante erbacee  soprattutto graminacee, e si sviluppano in aree con precipitazioni scarse in regioni interne dei continenti, non raggiunte  dai venti oceanici ricchi di umidità. In estate le temperature sono elevate e scarse le precipitazioni. Le praterie interessano le zone temperate note come pampas  in Argentina e Uruguay, steppe in Asia e praterie negli USA. Gran parte delle praterie si conservano inalterate a causa della siccità stagionale, agli incendi  e al pascolo di grossi erbivori. Questi fattori non hanno permesso agli arbusti e ai boschi di invaderle. Lo sviluppo di grandi distese di praterie ha reso possibile la proliferazione di grandi mammiferi come i bisonti., l’antilopacarpa del Nord America, le gazzelle e le zebre dell’Africa, i cavalli selvatici e le pecore  delle steppe asiatiche. I predatori sono i lupi, le tigri, i leoni e l’uomo.

     

    • Foreste decidue temperate sono presenti con grandi estensione solo nell’emisfero Nord. Crescono in una zona compresa tra 35° e 50° di latitudine, dove c’è umidità sufficiente  allo sviluppo di alberi d’alto fusto. Estese superfici si trovano in Europa centrale, alcune regioni dell’Asia orientale, degli Stati Uniti orientale e dell’Australia orientale. Gli alberi di queste foreste hanno foglie larghe che cadono dai rami durante la stagione fredda. La vegetazione arborea è caratterizzata dalle seguenti specie: querce, noci, faggi, betulle, aceri, tigli, olmi, frassini e carpini. Il clima è influenzato da temperature che possono essere anche molto rigide in inverno e calde in estate (da – 30°C a +30°C), da precipitazioni relativamente abbondanti e, di solito, equamente distribuite durante l’anno. La stagione di crescita dura 5-6 mesi con un diverso ritmo di sviluppo nel corso dell’anno: nel tardo autunno le foglie cadono e gli alberi diventano quiescenti. La caduta delle foglie serve a prevenire la disidratazione in inverno, quando gli alberi non possono assorbire acqua dal terreno gelato. Nella primavera successiva con condizioni climatiche più favorevoli avviene la formazione di nuove foglie pronte per la fotosintesi. Le foreste decidue sono più aperte che quelle pluviali e gli alberi non sono tanto alti e diversificati, ma la diversità biologica è anche qui piuttosto alta, comportando abbondanza di cibo e varietà di habitat che permettono la vita di numerose specie di animali. Moltissimi insetti e ragni (detritivori) vivono sul terreno sulla lettiera delle foglie e altri resti organici, accelerando la decomposizione operata da una grande varietà di microrganismi (decompositori), oppure si procurano il cibo sulle foglie o sui rami degli alberi e dei cespugli. Il suolo della foresta è molto ricco di sostanza organica in decomposizione e humus, ciò consente di avere una fauna ricca e diversificata. Vivono in questo bioma cervi, diverse specie di uccelli, piccoli mammiferi come il riccio, il tasso, il ghiro, il gatto selvatico (molto raro) e, laddove non siano stati cacciati dall’uomo, è possibile incontrare ancora linci, lupi, volpi, orsi bruni e puma. Un tempo le foreste decidue erano i biomi più estesi sulla Terra: vaste estensioni di queste foreste sono state distrutte dal disboscamento per far spazio allo sviluppo agricolo o urbano.

     

    • Foreste di conifere (taiga)  sono biomi con alberi che producono coni (o pigne) come l’abete e diverse varietà di pino, spesso presenti in poche specie dominanti.  Prima dello sviluppo agricolo e urbano in Europa nordorientale erano presenti grandi distese di foreste caratterizzate da una sola specie come il pino silvestre. La foresta di conifere più rappresentativa è la taiga (foresta di conifere dell’emisfero boreale), che si estende lungo un’ampia fascia geografica che va dal Nord America all’Eurasia, raggiungendo l’estremità meridionale della tundra artica (vedremo subito dopo). Il termine “taiga” deriva da un vocabolo russo che significa montagna, ciò significa che è presente anche a latitudini più basse in molte aree montane ad alta quota. Il clima è caratterizzato da inverni rigidi e da estati brevi e piovose, a volte calde.  Se la volta non è compatta è possibile la presenza di un sottobosco, altrimenti il suolo è acido e poco profondo, e si forma lentamente a causa delle basse temperature e per la presenza di aghi delle conifere, rivestite di cere, che richiedono tempi lunghi per la loro completa decomposizione. La neve di solito cade prima dell’arrivo di temperature più rigide, isolando il suolo. Spesso l’abbondanza delle nevicate provoca rottura di rami e la caduta di interi alberi, creando delle radure dove spesso crescono alberi decidui come la betulla, il pioppo, il salice e l’ontano vicino i corsi d’acqua. Durante l’estate sono frequenti gli incendi scatenati dai fulmini e si bruciano aree molto estese della taiga, ma vengono prontamente colonizzate da altre conifere perché hanno semi in grado di resistere al fuoco. Gli animali della taiga hanno sviluppato sistemi e meccanismi di adattamento per resistere agli inverni rigidi, per cui sono in attività durante tutto l’anno come i topi e i piccoli mammiferi, che passano l’inverno in cunicoli scavati nella neve a livello del terreno, mangiando vegetazione secca. Scoiattoli e molti uccelli, come il gallo cedrone, invece si nutrono in abbondanza dei semi delle conifere. I grandi erbivori di questi ambienti sono il cervo, l’alce e la renna che d’inverno si nutrono di gemme, cortecce e licheni. Tra i predatori si trovano orsi, lupi , linci e ghiottoni (gulo- simile ad un piccolo orso, abile e veloce, buon arrampicatore preda di solito piccoli roditori, ma a volte attacca anche i grossi mammiferi)

     

    • Tundra (da un vocabolo russo che significa pianura paludosa) è il bioma più settentrionale in sui sia presente vita vegetale e si trova ad elevate latitudini, subito al di sotto delle nevi e dei ghiacciai perenni. Le condizioni climatiche sono proibitive anche per le conifere: clima troppo freddo e siccitoso, poca luce per un lungo periodo dell’anno. La vegetazione è costituita da bassi cespugli,piante erbacee, muschi e licheni. Si estende dal polo Nord fino alle foreste di conifere. Anche alle alte quote delle alpi c’è un paesaggio simile alla tundra e si trova alle massime altitudine in cui possono crescere gli alberi. La tundra perciò è presente anche sulle Ande in Equador, posto a basse latitudini. Durante le brevi estate, quando il sole non tramonta mai, le piante crescono rapidamente e fioriscono in un lasso breve di tempo. Il terreno è caratterizzato dalla presenza del permafrost (dall’inglese permanent frost), cioè strato di terreno permanentemente gelato, che rende impossibile lo sviluppo delle radici di piante arboree. Il permafrost copre circa l’80% dell’Alaska e quasi metà del Canada, della Scandinavia e della Russia. La profondità varia da pochi metri a quasi 1500 metri nella Siberia settentrionale. Nonostante le scarse precipitazioni nella tundra il suolo è permanentemente satura di acqua, a causa delle basse temperature che ostacolano l’evaporazione e la presenza del permafrost. La vegetazione tipica è rappresentata da piante erbacee perenni come l’erica, giunchi ed altre graminacee. In alcuni ambienti si sviluppano muschi e licheni fruticosi, tra cui il noto lichene delle renne (Cetraria islandica). Gli animali si sono adattati ad affrontare i freddi estremi per mezzo di efficaci coperture del corpo che trattengono il calore. I grandi erbivori comprendono il bue muschiato, i caribù e le renne; animali di dimensioni minori sono roditori, come i lemmings, e alcuni piccoli predatori come la volpe artica e il gufo delle nevi. Inoltre molti uccelli sono migratori e soggiornano nella tundra d’estate per allevare i loro piccoli. Quando c’è il disgelo  la tundra viene invasa da miriadi nugoli di zanzare.molto voraci,  e moltissime altre specie di insetti che costituiscono il cibo degli uccelli. Appena la stagione calda finisce scompare questa grande varietà di specie.
  1. All’estremità della serie c’è l’ecosistema globale, la biosfera, cioè la parte della Terra in cui è presente la vita: insieme di tutti gli organismi viventi e dei luoghi in cui vivono. È il livello ecologico più complesso e comprende l’atmosfera per diversi km di altezza (circa 15 km); il suolo fino alle falde acquifere più profonde (anche a 1.500 metri sottoterra) e tutta l’idrosfera costituita da corsi d’acqua, laghi, mari e oceani fino a diversi km di profondità. La biosfera rappresenta un sistema chiuso, isolato nello spazio, eccetto che per le radiazioni solari e il calore che si disperde nello spazio. Rappresenta un ecosistema in continua modificazione naturale nei tempi lunghi e, ultimamente, cambiamenti per cause antropiche nei tempi brevi.

Il tipo di organizzazione della vita per livelli crescenti di complessità è caratterizzato dalla seguente caratteristica: via via che si passa da un livello a quello superiore subentrano nuove proprietà che non è possibile prevedere osservando una per una le singole componenti del livello più basso. Le nuove proprietà del sistema non sono il risultato della semplice somma dei componenti ma hanno origine dalla collaborazione e stretta interazione di tutte le componenti a quel dato livello.

La biosfera  attuale è il risultato di una lunga interazione tra materia vivente e materia inorganica che ha avuto inizio circa 3,5 miliardi di anni fa. La sua struttura, il suo funzionamento e il suo carattere di entità funzionale possono essere compresi solo alla luce del suo processo di genesi. Non sappiamo con certezza come si siano formate le diverse forme di vita sulla Terra, ma sicuramente possiamo affermare che le prime manifestazioni di vita furono legate all’acquisizione, tramite molecole complesse, di una struttura che consentisse loro, da una parte di prelevare ed incanalare l’energia, secondo un certo modello (capace cioè di costituire un centro di attività metabolica), e dall’altra di conservare, in forma trasmissibile, delle informazioni sul modo di costruire tale struttura funzionale a partire dagli elementi forniti dall’ambiente. Gli esseri viventi grazie al loro potere di diversificazione strutturale hanno potuto adattarsi, nel corso della storia della vita (filogenesi) alle condizioni sempre diverse imposte da ambienti in continuo cambiamento. La biosfera è molto varia e possiede dei limiti. Se comprendiamo bene la sua struttura e le dinamiche funzionali possiamo in qualche maniera intervenire per affrontare i problemi ambientali che la stanno affliggendo. Innanzitutto  è bene conoscere quali sono i fattori fisici e chimici che influiscono sullo sviluppo degli organismi viventi. Tutti gli individui viventi sono obbligati ad adattarsi al contorno che li circonda per sopravvivere e riprodursi. La selezione naturale fornisce agli organismi una serie di stratagemmi per utilizzare le risorse disponibili. Tutte le manifestazioni della vita implicano variazioni di energia: le comunità vegetali sono collegate al loro ambiente tramite i flussi di energia e i maggiori input ambientali che guidano la biosfera includono la radiazione solare, il fotoperiodismo, la temperatura, l’acqua, l’ossigeno, il suolo e il vento.

 

  • Energia solare alimenta tutti gli ecosistemi, tranne alcuni relativi a profondità eccessiva dove la luce non riesce a penetrare. La produzione di sostanza organica dipende, in gran parte dall’efficienza di trasformazione, nel processo fotosintetico, dell’energia solare in energia chimica. Negli ambienti acquatici, fin dove la luce riesce a penetrare, le radiazioni hanno un effetto immediato sulla crescita e sulla distribuzione delle piante e delle alghe. La maggior parte dei processi fotosintetici avviene vicino alla superficie dell’acqua. Negli ambienti terrestri la luce non è un fattore limitante per la crescita delle piante, ma nelle foreste molto dense, l’ombra degli alberi determina una forte competizione per la luce tra gli organismi che vivono all’altezza del suolo.

 

  • Fotoperiodismo In base ad alcuni esperimenti su colture di soia, eseguendo le semine in successione, ad intervalli di due settimane, dall’inizio di maggio alla fine di giugno, si è potuto osservare che tutte le piante, indipendentemente dalla data di semina, fiorivano solo alla fine di settembre. Variando le condizioni di crescita, ossia temperatura, umidità del terreno, apporto di elementi nutritivi e di luce, il fattore che risultava critico era la durata del periodo luminoso del giorno: le piante non fiorivano se la lunghezza del dì non si accorciava di un dato numero di ore. La soia è una specie brevidiurna (giorno corto). Questo fenomeno è definito fotoperiodismo ed è determinato da una reazione biologica al cambiamento del rapporto luce/oscurità nelle 24 ore di durata del giorno. Sulla base di risposta al fotoperiodo si spiega il perché certe specie non riescono a vivere in determinati ambienti. Per esempio piante che necessitano di periodi di dì pari a 14 ore e ½  per fiorire, come l’ambrosia (pianta aromatica simile alla ruta), non troveranno condizioni ecologiche favorevoli a latitudini in cui il periodo luminoso si accorcia solo nella tarda estate, quando i semi non avrebbero più il tempo di svilupparsi prima del sopraggiungere dell’inverno.

 

  • La temperatura è un importante fattore abiotico per il suo effetto sul metabolismo degli esseri viventi. Ci sono pochissimi organismi capaci di conservare una sufficiente attività metabolica a temperature prossime allo zero. Temperature superiori ai 50°C invece sono proibitive per quasi tutti gli organismi, perché in queste condizioni molti enzimi vengono alterati. Ci sono in natura alcuni speciali adattamenti che permettono ad alcuni organismi di vivere a temperature che superano i limiti suddetti: alcune specie di rane e tartarughe che vivono nelle regioni fredde si possono congelare durante i mesi invernali e comunque sopravvivere; alcuni tipi di batteri, che vivono nelle bocche idrotermali negli abissi degli oceani, da dove sgorga nuovo materiale lavico caldissimo, possiedono enzimi che funzionano in maniera ottimale anche ad elevate temperature. I mammiferi e gli uccelli (animali a sangue freddo) sono in grado di conservare il proprio corpo  a temperature notevolmente diverse rispetto a quelle ambientali, rimanendo attivi in un intervallo di temperature esterne piuttosto ampio. Comunque le prestazioni migliori sono a determinate temperature. A questo proposito è opportuno parlare dell’omeostasi (dal greco “restare lo stesso”), la capacità di autoregolazione degli esseri viventi, cioè mantenere un equilibrio interno stabile, nonostante il variare delle condizioni esterne. Per mantenere in ordine ed in efficienza insiemi di elementi complessi come le cellule di un organismo, occorre spendere energia. L’equilibrio delle condizioni interne è fondamentale per salvaguardare il buon funzionamento dell’organismo e la sua stessa vita. Uno dei meccanismi omeostatici è rappresentato dalla sudorazione: quando fa caldo, automaticamente si inizia a sudare. Il sudore emesso ha la funzione di abbassare la temperatura del corpo, e man mano che evapora sottrae calore al corpo, la cui temperatura tende ad abbassarsi.

 

  • L’acqua è il fattore abiotico indispensabile per tutte le forme di vita. A parte vi verrà data una piccola dispensa che ne spiega tutte le proprietà. Gli organismi acquatici hanno apparentemente una disponibilità infinita d’acqua, ma hanno anche una concentrazione di soluti diversa da quella del mezzo in cui vivono. Pertanto devono opporre resistenza affinché nel proprio ne entri una quantità giusta e nulla di più. Devono affrontare il problema del bilancio idrico.  Il problema per gli orgasmi terrestri è invece quello di evitare la disidratazione:molte specie terrestre hanno il corpo rivestito da tessuti impermeabili che riducono le perdite d’acqua. Inoltre molte specie hanno anche un apparato escretore fornito di reni che consentono di risparmiare acqua, grazie all’emissione di urine molto concentrate.

 

  • L’ossigeno non costituisce un limite al tasso di respirazione cellulare negli ambienti terrestri perché abbonda nell’atmosfera. Invece rappresenta un fattore limitante per gli organismi che vivono nell’acqua, dove è spesso scarsamente disponibile (sotto forma di O2 in soluzione).

 

  • Il suolo La struttura, il pH e le sostanze nutritive inorganiche rappresentano fattori abiotici molto importanti che condizionano lo sviluppo e la distribuzione delle piante e degli animali. La diversità dei suoli spiega in gran parte la varietà di piante che vivono in ecosistemi differenti tra loro.
  • Il vento è per diverse ragioni un importante fattore abiotico. Alcuni batteri, protisti e insetti che vivono sulle sommità innevate delle montagne, dipendono dalle sostanze nutritive che viaggiano trasportate dal vento. Altra influenza sugli organismi è il contributo del vento alla velocità di evaporazione e quindi alla perdita di acqua. Il conseguente raffreddamento potrebbe essere vantaggioso nelle estati calde, ma molto pericoloso negli inverni freddi.

Per chiudere questa parte generale, prima di affrontare lo studio della struttura e funzionamento di un ecosistema, diamo uno sguardo all’evoluzione, concetto unificante di tutti gli esseri viventi. Ogni individuo durante l’arco della sua vita cerca di mantenere l’omeostasi. Ma un gruppo di individui col passare del tempo e nel corso di successive generazioni, ha la capacità di cambiare, modificarsi, cioè di evolvere. L’idea fondante della biologia è l’evoluzione: teoria secondo la quale gli organismi attualmente viventi sono gradualmente derivati da forme più semplici nel corso di un processo continuo durato centinaia di milioni di anni e tuttora in corso. Concettualmente il termine evoluzione vuol dire sviluppo lento e graduale, svolgimento da una forma ad un’altra più completa e più perfetta (compiuta in tutte le sue parti; non manca di alcuna qualità propria della sua natura). L’evoluzione comunque non deve essere intesa come miglioramento o progresso verso un mondo sempre migliore: non esistono specifiche tendenze ad evolversi verso particolari direzioni. La teoria dell’evoluzione ha posto due tipi di problemi: individuazione delle prove, che in questa sede trascureremo; e la comprensione dei meccanismi. L’evoluzione è possibile grazie a tre processi naturali:

        • Variabilità genetica se si osservano gli studenti di questa classe si scoprono diverse caratteristiche differenti: colore degli occhi, dei capelli, altezza, caratteri somatici diversi…La variabilità è dovuta in parte ad alcune abitudini di vita o a condizioni ambientali, ma molte differenze sono legate alla nascita, cioè in gran parte derivano dalle caratteristiche trasmesse ereditariamente dai genitori. Ognuno di voi riceve dai propri genitori una certa eredità, costituita da particolari strutture chimiche presenti nel nucleo delle cellule germinali (gameti maschili e femminili) che si chiamano geni: in queste strutture sono “scritte” le informazioni che guidano il progetto di sviluppo e crescita dell’organismo e quindi, in  relazione con i fattori ambientali, tutte le caratteristiche dell’individuo. Ma se ci sono particolari condizioni ambientali, come esposizione a radiazioni o a sostanze mutagene, alcuni geni possono subire delle modificazioni chiamate mutazioni.
        • Ereditarietà come abbiamo appena detto quindi i figli ereditano il patrimonio genetico dai genitori. Solitamente le mutazioni sono molto rare e i geni che ognuno di noi riceve in eredità sono quasi identici a quelli dei genitori.
        • Selezione naturale La variabilità genetica e le mutazioni sono puramente casuali e su di esse agisce la selezione naturale, nel senso che gli organismi “mutati” che hanno acquisito strutture e meccanismi più efficaci per raccogliere le sfide dell’ambiente hanno maggiori possibilità di sopravvivere e favoriranno l’affermarsi di un nuovo genotipo (corredo genetico di un individuo). Fra gli organismi sotto l’influenza della selezione naturale avrà maggior successo chi ha una migliore fitness (l’insieme delle caratteristiche genotipiche e fenotipiche che lo rendono idoneo a sopravvivere e a riprodursi nell’ambiente in cui vive e maggiore capacità di trasmettere queste caratteristiche alla progenie). La selezione naturale quindi favorisce la trasmissione dei geni che permettono la sopravvivenza e la riproduzione di un individuo, eliminando quelli meno adatti. I comportamenti, le strutture e i meccanismi che favoriscono la sopravvivenza e la riproduzione in un particolare ambiente sono chiamati adattamenti.

         

ECOSISTEMA – interazione fra vivente  e non  vivente

 

Gli ecologi studiano le interazioni ambientali a diversi livelli. L’ecosistema rappresenta il quarto livello d’interazione considerato dall’ecologia a partire dall’organismo, popolazione e comunità. In questa sezione riprendiamo il temine “ecosistema”, già definito precedentemente, per arricchirlo di altri aspetti, quali i limiti spaziali e la struttura e il funzionamento.
L’ecosistema rappresenta un’entità complessa, cioè l’insieme di tutte le forme di vita e di tutti i fattori non viventi presenti in una determinata area. Le componenti non viventi, detti abiotici (non vivente), comprendono tutti quelli già visti: temperatura, forme di energia, presenza di gas (CO2, O2, …), acqua, sostanze nutritive ed altri composti chimici. Mentre tutti gli organismi , che costituiscono la comunità di specie presenti nell’area data, sono chiamate componenti biotici (vivente).
L’aspetto e la struttura di un ecosistema sono il prodotto delle relazioni tra le componenti biotica e abiotica. Gli organismi e l’ambiente fisico-chimico si influenzano vicendevolmente. Senza andare molto lontano, basti pensare a tutte le attività dell’uomo (essere vivente particolare) sull’ambiente: agricoltura, allevamento, estrazione minerali, trasformazione materie prime…
Nel campo delle scienze è pratica consolidata quella di isolare il campo, la parte del tutto, che risulta oggetto di studio, ciò al fine di rendere più agevole il compito di osservazione  e analisi. Nel caso degli ecosistemi, sul piano pratico, non sempre è facile delimitarne con precisione i limiti. In natura, per nostra fortuna, ci sono confini, barriere fisiche che permettono un’adeguata individuazione: rive di un fiume, di un lago; base di una formazione rocciosa; alberi perimetrali di una foresta. Moltissime altre volte non esistono confini netti, gli ambienti sembrano sfumare l’un verso l’altro: passaggio graduale fra bosco e prato; zona paludosa in una foce fluviale in cui è incerto il confine tra acqua e terra emersa. L’ecosistema è per gli ecologi l’unità di studio che ha confini convenzionali, individuato da modelli di riferimento che aiutano il lavoro di indagine.
Dopo  aver delimitato il nostro ecosistema, anche se in maniera convenzionale, bisogna considerare che esso rappresenta un sistema aperto: lo stretto rapporto con l’intorno si traduce in un continuo ingresso/uscita di energia e di materia. Tutti gli ecosistemi ricevono energia solare che è alla base della vita e perdono calore nell’ambiente; ricevono materia in ingresso e cedono materia in uscita.
La ricerca ecologica a qualsiasi livello viene condotta è basata sulle modalità necessarie per svolgere qualsiasi processo scientifico: osservazione, formulazione d’ipotesi, previsione e verifica. L’osservazione di un ecosistema evidenzia solitamente due tipi di problemi fondamentali:

  • le modalità di trasferimento di energia tra organismi e l’ambiente circostante
  • modo in cui le sostanze chimiche si riciclano

Per procedere finalmente allo studio di un ecosistema rimane da fare l’ultima precisazione: occorre distinguere la descrizione della struttura da quella del funzionamento.
Nell’analisi della struttura di un ecosistema si individuano

  • le componenti (struttura, pH e caratteristiche chimico-fisiche del suolo, composizione chimica delle soluzioni circolanti, composizione dell’atmosfera, temperatura, umidità, pressione, venti, microrganismi, piante, animali) rappresentano la parte relativamente stabile dell’ecosistema (litosfera, biosfera, atmosfera e idrosfera), modificabile in tempi  lunghi.
  • Mentre i fattori (clima, fenomeni atmosferici, incendi, interazioni interspecifiche) sono il prodotto nel tempo dei rapporti, delle interazioni tra le diverse componenti del sistema ecologico. Per tale ragione sono il prodotto di tempi brevi

Il funzionamento di un sistema ecologico si svolge:

  • Nello spazio, luogo, area, in cui è presente l’ecosistema. I principali meccanismi di regolazione che tendono a conservare un ecosistema in uno stato di equilibrio dinamico sono flusso di energia, ciclo della materia e omeostasi (vedremo più in dettaglio in seguito)
  • Anche gli ecosistemi sono modificabili a seguito di diverse azioni, subiscono un processo di evoluzione, che in fasi successive nel tempo, chiamata successione portano ad uno stato finale di equilibrio detto climax.

D’ora in poi esamineremo argomenti relativi soprattutto al funzionamento di un ecosistema. Si procederà quindi a definire tutti i termini evidenziati.

 

FLUSSO DI ENERGIA negli ecosistemi

Tutti gli organismi viventi per vivere e riprodursi hanno bisogno di un flusso continuo di energia. L’esperienza ci insegna che per svolgere qualsiasi tipo di attività impieghiamo dell’energia, che può derivare dal nostro interno o dall’esterno. Gli animali ricavano l’energia dal cibo di cui si nutrono, quindi il cibo possiede energia. Ciò è abbastanza intuitivo, ma che cos’è l’energia? Non si conosce l’intima essenza dell’energia, pertanto se ne dà  una definizione operativa: essa viene genericamente intesa come l’attitudine a compiere un lavoro. L’energia obbedisce alle leggi classiche della termodinamica:

  1. l’energia può essere trasformata ma non creata né distrutta. Esempio la luce che colpisce una superficie, può essere trasformata in energia termica (calore) oppure in meccanica (lavoro) o in energia potenziale (zuccheri nei vegetali fotosintetizzanti)
  2. In ogni processo di trasformazione di energia c’è sempre una degradazione dell’energia da una forma concentrata ad una forma dispersa: una certa quantità si disperde sotto forma di calore non utilizzabile, pertanto nessuna trasformazione spontanea di energia (luce) in energia potenziale  (carboidrati) è efficiente al 100%

L’energia della biosfera proviene originariamente dalle radiazioni luminose, che dal Sole giungono sulla superficie terrestre; viene catturata dagli organismi fotosintetici e trasformata in energia chimica e passa da una forma vivente all’altra attraverso le catene alimentari.
Il Sole è un astro incandescente con temperature altissime, causate da reazioni termonucleari, capace di emettere spontaneamente radiazioni. Lo spettro della radiazione solare contiene energia con lunghezza d’onda nell’ultravioletto, nel visibile e nel vicino infrarosso. La radiazione nell’attraversare l’atmosfera subisce delle modificazioni: generale attenuazione e assorbimento selettivo di alcune bande dello spettro da parte dei gasi atmosferici. Lo spettro di radiazioni, che giungono in superficie, varierà con l’ora del giorno, specialmente in vicinanza dell’alba e del tramonto, a causa dell’angolo d’inclinazione dei raggi solari, perché diverso sarà lo spessore di gas atmosferici da attraversare. L’atmosfera attenua quindi la luce attraverso l’assorbimento (parte dell’energia incidente passa nelle sostanze che colpisce) e la diffusione (processo per cui l’energia incidente viene diffusa in tutte le direzioni da parte dei gas atmosferici e delle particelle solide sospese). L’attenuazione delle radiazioni dipende dalla quantità e dalle caratteristiche dei materiali assorbenti e diffusivi: gas, acqua e polveri. La radiazione solare è attenuata dall’atmosfera terrestre in modo altamente selettivo:  CO2, O3 (ozono), H2O rimuovono dall’atmosfera una discreta quantità di energia a lunghezze d’onda dell’infrarosso (tra 850 e 1030 nm), mentre l’assorbimento nell’ultravioletto subisce una brusca interruzione, grazie soprattutto alla presenza di ozono, e l’energia che raggiunge la superficie terrestre non ha lunghezze d’onda dell’ultravioletto minori di 300 nm, che sarebbero fortemente nocive per la vita. La nostra atmosfera  in pratica fornisce una finestra attraverso la quale passano le lunghezze d’onda del visibile. Una conseguenza diretta dell’assorbimento selettivo sono le forme di vita della biosfera.
Tutto il mondo biologico ricava energia potenziale dalle sostanze organiche prodotte dagli organismi fotosintetici: l’energia luminosa del sole viene captata dalla clorofilla (pigmento verde) e immagazzinata nei carboidrati (molecole ricche di energia chimica) mediante un processo chiamato fotosintesi (fare cose con la luce). I due processi fondamentali (flusso di energia e riciclaggio delle sostanze) che sono alla base di ciascun ecosistema, sono messi in moto dalla fotosintesi (meccanismo costruttivo di sostanza organica attraverso la trasformazione di energia da la forma luminosa a quella chimica) e dalla respirazione (meccanismo di distruzione di sostanza organica con dissipazione di energia sotto forma di calore).
La fotosintesi, la luminosa strada che mette a nostra disposizione grandi quantità di cibo, di fibre e di energia, è un processo fotochimico svolto da organismi definiti fototrofi, autotrofi e, dagli ecologi, produttori primari. Gli organismi capaci di svolgere la fotosintesi sono piante verdi, alghe azzurre e verdi, e alcune specie di batteri), grazie alla presenza di un particolare pigmento verde chiamato clorofilla. Durante questo processo gli organismi autotrofi sono in grado di captare l’energia luminosa delle radiazioni solari e di convertire reagenti a basso contenuto energetico come l’H2O e la CO2 in prodotti ad alto contenuto energetico come il glucosio (carboidrato con formula = C2H12O6). La molecola della clorofilla utilizzando l’energia luminosa opera la scissione della molecola di H2O dalla quale si ottiene H2 necessario per la riduzione della CO2. La fotosintesi avviene in organuli particolari delle cellule vegetali chiamati cloroplasti (strutture a forma di lente); essa ha un posto di 1° piano nel ciclo del carbonio (come vedremo in seguito). I boschi, le foreste, la vegetazione marina e l’agricoltura continuano da millenni di anni a catturare l’energia luminosa e a trasformare grossi quantitativi di CO2 dell’atmosfera (ogni anno si stima una quantità pari a circa 75 milioni di tonnellate), in composti organici. I carboidrati vengono utilizzati dagli stessi produttori per formare altri composti organici necessari sia alla loro crescita sia come sorgente di energia in assenza di luce solare. L’importanza della fotosintesi clorofilliana per tutti gli esseri viventi è data dal fatto che questo processo costituisce la sorgente di tutta l’energia chimica utilizzata per il mantenimento e lo sviluppo della vita sul nostro pianeta e perché rappresenta il meccanismo fondamentale in grado di trasformare il carbonio inorganico, inutilizzabile dagli organismi viventi, in carbonio organico assimilabile. Sinteticamente il processo fotosintetico è rappresentato dalla seguente reazione:
6CO2 + 6H2O  + energia solare  C2H12O6 (glucosio) + 6O2   (endoergonica)
La fotosintesi è il processo che serve a catturare l’energia del sole e a trasformarla in vita biologica e in complessità. Le piante lavorano per noi, perché   il processo fotosintetico, non solo è utile per produrre l’indispensabile sostanza organica da elementi inorganici, ma in più libera l’O2, gas irrinunciabile per la respirazione cellulare di quasi tutti gli esseri viventi (eccetto microrganismi anaerobi, cioè capaci di vivere anche senza ossigeno).
Contrapposto alla fotosintesi c’è la respirazione, processo catabolico di demolizione del glucosio in anidride carbonica e acqua, con produzione di energia sotto forma di molecole organiche di un composto con tre atomi di fosforo, detto Adenosin-Tri-Fosfato (in sigla ATP), che ha la funzione di immagazzinare temporaneamente l’energia provenente dalla degradazione dei combustibili organici (grassi, carboidrati…) e di renderla immediatamente disponibile per quei processi metabolici che richiedono energia per la sintesi di altre molecole organiche. Le cellule in presenza di ossigeno ottengono l’energia tramite l’ossidazione delle sostanze organiche, con produzione di CO2  e H2O. La CO2  così prodotta torna in atmosfera pronta per un nuovo ciclo. Anche per la respirazione in sintesi proponiamo una reazione:
C2H12O6 (glucosio) + 6O2  6CO2 + 6H2O  + ATP (energia)    (esoergonica)

 

Catena alimentare e struttura trofica

Il biologo Elton nel 1927 affermò che “la principale forza guida di tutti gli esseri viventi è la necessità di trovare il giusto cibo ed una giusta quantità di esso. L’intera struttura e le attività di un ecosistema dipendono dalla questione del rifornimento alimentare”. In ogni tipo di  ecosistema la comunità ha una propria struttura trofica, cioè un modello di interrelazioni alimentari tra autotrofi ed eterotrofi costituito da più livelli. Negli ecosistemi l’energia fluisce, si ha cioè un passaggio continuo e unidirezionale che passa attraverso diverse fasi: l’energia del sole viene catturata dagli organismi fotosintetici e trasformata in energia chimica che passa ai consumatori come nutrimento e successivamente, attraverso i diversi passaggi lungo la catena alimentare, viene dispersa mediante la respirazione cellulare, sotto forma di energia termica. La materia, invece, circola, cioè atomi e molecole inorganiche vengono assorbite dagli organismi autotrofi, danno origine a composti organici, grazie all’intervento dell’energia solare, passano nei diversi livelli trofici (gli anelli della catena) attraverso i consumatori (eterotrofi), e infine la materia organica viene mineralizzata con l’intervento dei decompositori. Si dice che gli organismi appartengono allo stesso livello trofico, quando sono separati dai vegetali clorofilliani, nella catena alimentare, dallo stesso numero di tappe. Il meccanismo di trasferimento di energia e di materia da un organismo ad un altro è mosso dall’esigenza di assicurare a ogni membro della catena il necessario nutrimento
Per catena alimentare s’intende lo spostamento di sostanza organica, e con essa di energia, dagli organismi autotrofi (dal greco autos = stesso e da trophe’ = nutrimento, cioè capaci di fabbricare da sé il nutrimento di cui hanno bisogno), chiamati anche produttori dagli ecologici, a tutti gli organismi di livelli trofici superiori definiti eterotrofi (dal greco eteros = diverso e da trophe’ = nutrimento, cioè non capaci di fabbricare da sé il nutrimento di cui hanno bisogno), consumatori secondo gli ecologi. I consumatori sono, direttamente o indirettamente dipendenti dalla produttività dei produttori. A prescindere dal tipo di ecosistema, terrestre o marino, qualsiasi catena alimentare parte dal livello trofico più basso, cioè quello costituito dagli autotrofi, chiamati produttori dagli ecologici, che sostiene tutti gli altri livelli. Il livello trofico immediatamente sopra quello degli autotrofi è quello degli erbivori o consumatori primari (insetti, lumache vertebrati come i mammiferi erbivori e gli uccelli che mangiano semi e frutti), che si nutrono di piante, di alghe o di batteri autotrofi. Negli ambienti acquatici i consumatori primari comprendono moti organismi dello zooplancton che si nutrono del fitoplancton. Seguendo la catena troviamo i consumatori secondari, per lo più carnivori che si nutrono degli organismi del livello inferiore. Sulla terraferma a questa categoria appartengono molti piccoli mammiferi (topi, talpe..), grande varietà di piccoli uccelli, rane, ragni, e anche leoni, e altri felini carnivori. Negli ecosistemi acquatici ci sono i piccoli pesci che si cibano di zooplancton e piccoli crostacei che vivono sul fondo del mare. In alto della catena ci possiamo trovare consumatori terziari e consumatori quaternari, che rappresentano organismi carnivori che si cibano di altri carnivori (es. falco che si nutre di un serpente, che a sua volta si è nutrito di un topo, il quale ha mangiato un insetto).
Il termine finale della catena trofica è costituito dai decompositori o bioriduttori, vi appartengono tutti gli organismi che si nutrono di sostanza organica morta: questi esseri viventi vengono chiamati anche “spazzini” perché ripuliscono alcuni ambienti dai resti di organismi morti come le carogne o gli escrementi. All’interno di quest’ultimo gruppo occorre fare un’ulteriore distinzione fra: detritivori, che traggono il loro nutrimento dai materiali morti (detriti), prodotti da tutti gli altri livelli trofici: i rifiuti degli animali, le lettiere di foglie secche e ogni genere di organismi morti; per quanto i detritivori provino a sminuzzare i resti organici rimarranno sempre piccole porzioni non utilizzabili. Ebbene a questo punto intervengono i veri e propri decompositori, cioè una varietà di microrganismi tra cui funghi e batteri  che provvedono a trasformare (riciclare) gran parte della sostanza organica in materiale inorganico con un processo di mineralizzazione, che vedremo meglio quando affronteremo il ciclo della materia.
Ci sono diversi tipi di catene alimentari in funzione dell’ambiente e della struttura trofica ne consideriamo due tipi appartenenti rispettivamente all’ambiente acquatico  e all’ambiente marino:

  • Fitoplancton  copepode alborellatrota
  • Acero afide ragno cinciallegra astore

Ci sono diversi tipi di catene alimentare a secondo di qual è il primo livello trofico: quella dei predatori dai vegetali ad animali sempre più grossi; dei parassiti da animali più grossi a d animali più piccoli; e dei saprofiti da sostanze organiche morte ai  microrganismi.
Il modello della catena alimentare è molto semplificato, pertanto per studiare la struttura di un ecosistema è più corretto parlare di rete alimentare (food web, secondo la definizione di Elton), in quanto le catene alimentari non esistono isolate, ma risultano essere interconnesse da un insieme di interazioni trofiche che si intersecano fra loro. Molti organismi si potrebbero collocare in più livelli trofici in funzione delle loro abitudini alimentari: un esempio classico è rappresentato dall’uomo che si nutre sia di vegetali che di carne. La rete alimentare quindi rappresenta uno schema di relazioni trofiche complesso che comprende più catene alimentari: rapporti alimentari molteplici che un singolo individuo può instaurare con altri collocati in più livelli trofici. 

 

Le piramidi ecologiche

Quando la sostanza organica passa attraverso i diversi livelli trofici si assiste ad una riduzione della quantità di energia da un anello al successivo, a causa della respirazione, del calore irraggiato, dei materiali di escrezione, ecc… Al termine della catena alimentare tutta l’energia chimica risulta degradata a energia termica non riutilizzabile. Perciò occorre un continuo apporto di nuova energia, cioè luce solare. Le perdite di energia che si verificano ad ogni passaggio  di livello comportano che le popolazioni numerose si possono trovare solo ai livelli più bassi (p.e. erbivori > carnivori). Ciò ha importanti implicazioni anche per quanto riguarda l’alimentazione umana: più è breve la catena alimentare minore è la dispersione di energia. Dal punto di vista economico è strettamente più conveniente adottare una dieta a base di cereali e legumi, che utilizzare questi per allevare gli erbivori di cui ci cibiamo (lettura fotocopia: La piramide dell’energia spiega perché la carne è un bene di lusso per l’uomo). Il giovane ecologo Charles Elton, studiando le forme di vita nelle isole Spitzberger nel Circolo polare artico, fece una semplice e geniale osservazione: “i grandi animali sono sempre meno numerosi dei piccoli animali”Come si spiega ciò? Attraverso le considerazioni circa il flusso di energia e le leggi della termodinamica citate a pag. 10. Passando da un livello trofico a quello successivo il numero di individui diminuisce perché parte dell’energia disponibile ad un dato livello viene consumata, per cui non è più disponibile per il livello successivo. L’energia si disperde in calore che è una forma che non è più in grado di compiere lavoro utile per gli organismi. La dispersione avviene in accordo al secondo principio della termodinamica e perché gli esseri viventi consumano energia nel processo di respirazione per mantenere organizzate ed efficienti  le loro strutture (omeostasi) e per svolgere tutte le attività vitali. L’energia in ingresso ad un certo livello non potrà mai essere interamente trasferita l livello successivo.
La struttura trofica di un ecosistema o di una catena alimentare può essere descritta in termini di individui, in termini biomassa e in termini di energia. Le piramide ecologiche rappresentano raffigurazioni grafiche della struttura trofica:

      • piramidi dei numeri si suppone di sovrapporre dei rettangoli orizzontali della stessa altezza e la cui lunghezza è proporzionale al numero di individui per singolo livello. I gradini corrispondono al passaggio di livello. Nella catena alimentare dei predatori Tanto più alta è la piramide quanto più alto è il numero dei livelli trofici. Generalmente il numero degli individui diminuisce dal primo all’ultimo livello, pertanto la piramide ha la forma di una triangolo con la punta rivolta verso l’alto se abbiamo una catena alimentare dei predatori (i predatori sono sempre meno numerosi delle loro prede), mentre la punta è rivolta verso il basso se la catena trofica è dei parassiti.
      • Piramidi delle biomasse è un secondo modo di rappresentare i dati ecologici. In questo tipo di piramide si indica il livello trofico con lo stesso criterio di sovrapposizione di rettangoli, ogni gradino rappresenta la biomassa corrispondente del livello trofico
      • Piramidi dell’energia questo tipo sarebbe il più soddisfacente, ma non sempre si dispone dei dati sufficienti. Ogni livello trofico è rappresentato  da un rettangolo di lunghezza proporzionale alla quantità di energia chimica accumulata per unità di tempo e per unità di superficie (o volume) in quel livello trofico. Ha sempre la forma di un triangolo con la punta rivolta verso l’alto a causa della perdita di energia nei passaggi  da un livello a quelli successivi in conseguenza delle leggi della termodinamica.

 


Rendimento energetico

Le piante sono in grado di convertire, mediamente, in biomassa vegetale solo l’1-2% della radiazione solare disponibile. Nei successivi passaggi lungo la catena trofica la produttività si riduce al 10% di energie in ingresso nel livello trofico, cioè se i produttori primari di un ecosistema generano con la fotosintesi 100 Kcal/ora sotto forma di biomassa, gli erbivori convertono in biomassa animale solo 10 Kcal/ora di energia, mentre 90 Kcal/ora si disperde in parte trasformata in calore e in parte espulsa come rifiuto organico che sarà poi utilizzata dai decompositori. Serve quindi una grande quantità di biomassa di vegetali per sostenere un piccolo numero di superpredatori. Con questi calcoli molto approssimati è facile capire come mai il numero dei grandi predatori è sempre più piccolo del numero delle piccole prede.
Prima di parlare di produttività è bene fare riferimento ad altri organismi produttori. Esistono dei batteri capaci di svolgere la fotosintesi utilizzando l’acido solfidrico (H2S), anziché l’acqua per  ottenere H2 necessario per la riduzione della CO2. Questi organismi si chiamano solfobaterri e vivono in prevalenza in ambienti acquatici, marini o d’acqua dolce, in assoluta assenza di ossigeno: si stima siano responsabili del 3-5 % della fotosintesi nei laghi. Questi batteri, come vedremo nella sezione cicli biogeochimici, svolgono un ruolo importante nel ciclo dello zolfo. Altri batteri detti chemiobatteri sono in grado di utilizzare l’energia che deriva da reazioni chimiche che liberano energia, per trasformare la CO2 in glucosio.  I chemiobatteri vivono  nei profondi fondali degli oceani dove non arriva la luce; qui si pongono alla base della catena alimentare. Si definisce:

  • produttività primaria (PP) di un sistema ecologico, di una comunità o di una parte di essi, la velocità con cui i produttori trasformano, con l’attività fotosintetica e chemiosintetica,  l’energia solare in energia chimica (cioè composti organici). Nell’intera biosfera la PP è di circa 170 miliardi di tonnellate  di biomassa all’anno.
  • respirazione (R) la quantità di energia contenuta nelle molecole organiche, che viene utilizzata dai viventi per compiere lavoro, per mantenere ordinate le loro strutture.
  • produttiva lorda (PL) la quantità di materia vivente prodotta nell’unità di tempo (in generale un anno) da un determinato livello trofico o da uno dei suoi costituenti. Se ci riferiamo alle piante allora si dice produttività primaria lorda (PPL) e corrisponde alla velocità totale di fotosintesi, compresa la materia organica usata per la respirazione durante il periodo di misura.
  • produttività primaria netta (PPN) la velocità di immagazzinamento nei tessuti vegetali nel periodo considerato. In pratica la respirazione viene aggiunta alla PPN per ottenere la PPL             PPN = PPL + R
  • produttività netta della comunità la velocità di immagazzinamento di materia organica non utilizzata dagli eterotrofi (PPN – consumo degli eterotrofi) durante il periodo preso in considerazione
  • produttività secondaria la velocità di produzione di nuova massa da parte dei componenti gli altri livelli trofici, ossia consumatori e decompositori.

 

Efficienza ecologica

In un ecosistema il rapporto tra il valore dell’assimilazione ad un livello trofico di rango n e l’assimilazione ad un livello trofico di rango n - 1 viene chiamata efficienza ecologica. A1: PPL * 100
dove A1 = assimilazione a livello trofico degli erbivori; PPL = Produzione Primaria Lorda
L’efficienza  con cui l’energia luminosa è convertita in glucosio tramite il processo di fotosintesi  ci suggerisce in che misura la pianta si è adattata all’ambiente. Come abbiamo già detto, di tutta l’energia solare  incidente sui tessuti di una pianta, mediamente, solo il 2% di essa viene trasformata in energia chimica nelle molecole di glucosio. Le piante nel corso dell’evoluzione hanno sviluppato un sistema di utilizzazione della luce non ad alto rendimento ma in grado di operare in condizioni ambientali molto variabili: il sistema funziona in fasi di sviluppo differenti, con condizioni di illuminazione che vanno dal crepuscolo all’assolato mezzogiorno, con risorse come l’acqua e i sali minerali che possono scarseggiare e in presenza di contenuti di CO2 nell’atmosfera pari allo 0,03%. Il sistema anche se non ha alti rendimenti ha il vantaggio di funzionare in un vasto range di condizioni.
L’efficienza dei consumatori nell’utilizzare l’energia in ingresso al livello trofico può essere considerato in tre diversi tipi:

  1. rendimento di consumo, cioè la percentuale di energia (o biomassa) disponibile per un livello trofico, che viene effettivamente consumata nel livello trofico successivo. I rendimenti di consumo medi per il livello degli erbivori nel suo complesso sono nei diversi ecosistemi: a) foreste = ca 5%; b) praterie = ca 25%; c) comunità dominate da fitoplancton = 50%
  2. rendimento di assimilazione percentuale di energia ingerita come alimenti, che viene assorbito dal sistema digerente dei consumatori di un livello trofico e che verrà utilizzata per compiere lavoro o per produrre nuova biomassa (accrescimento). La rimanente parte non assimilata verrà espulsa come feci. I livelli sono bassi nel caso degli erbivori e dei detritivori (dal 20 al 50%), elevati invece per i carnivori (circa l’80%).
  3. rendimento di produzione percentuale di energia assimilata in un livello trofico che viene convertita in nuova biomassa. Il resto dell’energia assimilata è impiegata per compiere lavoro (respirazione) e si disperde nell’ambiente come calore. Gli invertebrati (insetti) hanno buoni rendimenti (30-40%), perché perdono poca energia nella respirazione; mentre i vertebrati a sangue freddo (rettili) rendimenti di produzione intorno al 10%; infine i vertebrati a sangue caldo come i mammiferi, perché devono mantenere costante la loro temperatura corporea, sprecano buona parte della loro energia durante la respirazione, i rendimenti sono molto bassi intorno al 2%

 

IL RICICLAGGIO CHIMICO DELLA MATERIA negli ecosistemi

Il passaggio delle sostanze organiche attraverso gli esseri viventi segue un movimento ciclico: gli elementi chimici come il carbonio, l’azoto, lo zolfo, il fosforo e tanti che costituiscono la materia vivente, passano dall’ambiente abiotico (aria, suolo e acqua) alla componente biotica del sistema ecologico. Le piante e altri organismi produttori prelevano questi elementi in forma inorganica dall’aria e dal suolo e li fissano in molecole organiche. A partire da questo momento la produttività primaria è in parte utilizzata dai consumatori primari (erbivori), detti anche “pascolatori”, mentre il resto andrà a costituire la sostanza organica morta che verrà abbandonata sul suolo: foglie, rami, frutti, tronchi. Questa massa di materiale organico morto rappresenterà la dieta degli organismi decompositori. In pratica la produttività primaria diventa fondamento alimentare per due catene: quella del pascolo e quella del detrito.  Queste due catene che si basano sui produttori coesistono e sono connesse fra loro nello stesso ecosistema, anche se operano in tempi, spazi e modi diversi. La materia organica morta in uscita dalla catena del pascolo entra a far parte della catena del detrito, al quale partecipano, naturalmente, anche i rifiuti organici e i resti dei corpi morti degli organismi della catena del detrito stesso. I microrganismi che decompongono i rifiuti organici e i detriti di altri organismi morti restituiscono al suolo e all’aria la maggior parte degli elementi in forma minerale. Il riciclaggio della materia implicano quindi il passaggio di sostanza attraverso i diversi livelli trofici di una catena alimentare. Come già sappiamo dai principi della termodinamica, ad ogni passaggio, nel suo movimento ciclico, la sostanza organica perde parte dell’energia chimica di cui è costituita sotto forma di calore.
La materia organica morta depositata sul suolo richiede un certo lasso di tempo prima di essere mineralizzata mediante l’intervento dei decompositori. Succede anche che non tutta la materia organica morta venga mineralizzata, soprattutto per due motivi:

  1. perché viene allontanata dall’ecosistema (esempio detriti organici asportati dalla corrente di corsi d’acqua)
  2. perché alcune sostanze organiche complesse non essendo mineralizzate subito si accumulano nel suolo e con il tempo si trasformano, attraverso una serie di processi prima in humus, poi se i suoli sono particolarmente ricchi di sostanza organica e in particolari condizioni il processo porta alla formazione di torba che col tempo può formare lentamente combustibili fossili e infine il petrolio.

Quindi una certa quantità degli elementi vengono momentaneamente sottratti al ciclo, andando a costituire depositi di materiale organico che segue un processo molto lento di mineralizzazione. La velocità di decomposizione della sostanza organica è strettamente correlata al suo contenuto d’azoto. I microrganismi decompositori contengono all’interno delle loro cellule materiale organico con una quantità di carbonio, mediamente, dieci volte superiore a quella di azoto. Quindi il rapporto carbonio/azoto è pari a 10. Il materiale vegetale è invece caratterizzato da un rapporto C/N di molto superiore che va da 40 a 100. Il materiale che ha un rapporto < 25 si ossida con una discreta velocità, mentre con un rapporto C/N > 25 il processo è più lento. Più è alto il contenuto di azoto del materiale vegetale in decomposizione, maggiore è lo sviluppo dei microrganismi e quindi più veloce è il processo di decomposizione. I microrganismi con la loro attività di decomposizione spostano il rapporto C/N della materia organica vegetale verso i valori tra 10 e 25 (corrispondenti al rapporto C/N dell’humus).
La mineralizzazione della sostanza organica, cioè la sua completa ossidazione, può avvenire quindi a due velocità:

  • una parte è subito trasformata in composti inorganici, perché costituita da molecole la cui struttura risulta facilmente decomponibile da parte degli organismi del suolo (zuccheri semplici, grassi e piccole molecole proteiche)
  • la restante parte, invece è costituita da una serie di molecole che risultano difficilmente attaccabili dai decompositori (lignina, macromolecole proteiche, cellulosa e emicellulosa, tannini, grassi, cere..). L’azione dei microrganismi e quella dei fattori chimico-fisici non riescono a decomporre completamente il materiale organico e il suolo tende ad arricchirsi di una sostanza organica diversa da quella iniziale, parzialmente decomposta,  cioè si forma l’humus

L’humus (dal latino humus che significa suolo, terreno) risulta quindi il prodotto di una parziale decomposizione del materiale organico presente sulla superficie del terreno (lettiera), è sempre di natura organica, ed è molto stabile. La sua completa decomposizione dipende da  alcuni fattori climatici e anche dalla concentrazione di O2. L’humus rappresenta un tipo di suolo ricco di sostanza organica: presenza di numerose sostanze molto diverse fra loro; alcune risultano forme di passaggio nel processo di demolizione in corso (lignine, cere, grassi, proteine e carboidrati) altre variamente note o di difficile identificazione, da considerare forme di arrivo, dette genericamente sostanze umiche (acidi umici, acidi fulvici, umina) Si presenta come una massa bruna omogenea di natura colloidale. Svolge un ruolo molto importante nei suoli sui processi biologici e sull’assorbimento radicale. L’humus infatti non è assorbito dalle radici delle piante, in quanto per lo più insolubile, ma ne favorisce l’alimentazione minerale, attraverso la formazione di sali umominerali con i cationi delle soluzioni circolanti. Altro ruolo importante è quello di conferire al terreno diversi caratteri fisico-chimici:

  • favorisce la formazione e il mantenimento della struttura glomerulare, che consente una buona circolazione dell’aria e acqua;
  • accentua il potere adsorbente (capacità dei colloidi del terreno di trattenere gli ioni minerali;
  • esercita un potere tampone di contenimento delle reazioni del suolo (pH) entro un fascia di neutralità. Condizioni ottimali per lo sviluppo della flora coltivata e della microfauna.
  • Accresce la capacità idrica del terreno e la capacità termica (suolo scuro)
  • Stimola le attività biologiche interne al terreno

La mancanza di humus che si verifica quando alla coltivazione intensiva del terreno non corrispondono adeguate restituzioni organiche, deprime la fertilità (caso di orientamenti produttivi a monocolture vegetali).

 

Fabbricanti di suolo: detritivori e decompositori

Se si pensa ad un bosco siamo abituati ad immaginarcelo come un qualcosa statico, o tutt’al più variabile con il ritmo delle stagioni, mentre ad osservarlo bene risulta essere un ecosistema estremamente dinamico. Il dinamismo del bosco non risulta a prima vista perché i flussi di energia e il ciclo della materia (costantemente presenti) sono mantenuti in equilibrio da meccanismi assai complessi e delicati. Un primo assunto da considerare è che tutta la materia organica elaborata dagli organismi viventi transita obbligatoriamente attraverso il suolo.
La superficie del suolo viene continuamente arricchita di foglie morte e frammenti vegetali vari; vertebrati e invertebrati partecipano anch’essi al fenomeno di accumulo di sostanza organica con le loro deiezioni e i loro resti. Anche in profondità le radici dei vegetali, alla loro morte, producono una discreta quantità di materiale organico. Tutto questo detrito, prodotto dalle attività vitali degli organismi viventi (vegetali e animali), se non ci fosse l’intervento di organismi “spazzini”, che hanno la funzione di decomporre, si accumulerebbe senza sosta, finendo così per ostacolare il ciclo della materia, ristagnando elementi nutritivi indispensabili allo sviluppo dei vegetali superiori. Cerchiamo di capire quindi il ruolo dei piccoli organismi presenti nel suolo. La mineralizzazione della sostanza organica morta costruita dai produttori (essenzialmente vegetali) e dai consumatori (animali erbivori e carnivori) è svolta essenzialmente dai funghi e dai batteri presenti nel suolo. In condizioni ottimali, cioè quando l’ecosistema è in “buona salute”, tutta la sostanza organica morta viene smaltita, mineralizzata, senza dare origine a fenomeni di accumulo.
Questo avviene grazie alla presenza di popolazioni di organismi presenti negli strati superficiali del terreno, rappresentati da differenti specie la cui azione combinata porta alla frammentazione e spezzettamento minuto della sostanza organica prodotta in quell’ambiente. La decomposizione completa di un detrito è sempre il risultato di azioni combinate di specie diverse di organismi.
I decompositori si suddividono in

 

  • Detritivori: gruppi di animali, essenzialmente protozoi, nematodi, anellidi, artropodi, molluschi e piccoli vertebrati. Non tutti hanno pari importanza in termini di biomassa e di impatto sull’ecosistema, tra questi ruolo di primo piano ce l’hanno i microartropodi, cioè gli acari e i collemboli. I detritivori, detti anche saprofagi (dal greco sapros “marcio, morto” e phagia  “mangiare”) sminuzzano e ingeriscono la sostanza organica morta, avviando così il processo di decomposizione. Quanti sono i piccoli organismi? In un bosco di faggio (o quercia) si possono trovare in media 300.000 acari e 200.000 collemboli per m2. Nelle praterie questi valori diminuiscono sensibilmente. L’importanza di questi organismi risiede, più che sull’abbondanza di numero, nei molteplici ruoli che svolgono nel suolo. Essi in pratica svolgono un lavoro  di preparazione che favorisce in seguito la liberazione, per azione della microflora, di elementi di carbonio, azoto, fosforo, potassio, magnesio e zolfo in una forma direttamente assimilabile dai vegetali superiori. La loro prima tappa consiste nel frammentare, mediante masticazione, i tessuti vegetali e animali rendendoli più accessibili ai microrganismi, si tratta sostanzialmente di una azione meccanica che con spezzettamenti successivi svolti da una catena di organismi in serie portano alla produzione di frammenti sempre più piccoli aumentando, a parità di massa biomassa iniziale, la superficie di esposizione. La frammentazione degli elementi della lettiera da parte della microfauna ha come conseguenza immediata l’insediamento della microflora sulle nuove superfici di attacco. L’aumento di superficie e le trasformazioni chimiche che l’accompagnano permettono al terreno di trattenere temporaneamente elementi di potassio, calcio e magnesio, altrimenti dilavati dalle acque superficiali, mantenendoli a livello della zona di assorbimento delle radici. Inoltre gli acari e i collemboli, durante la masticazione integrano i loro boli alimentari con una porzione minerale presente nel terreno: le loro deiezioni sono quindi composte da una miscela organico-minerale che stimola lo sviluppo dei batteri e si ritrova nel suolo sotto forma di microaggregati. I microarropodi rappresentano un alleato indispensabile allo sviluppo e alla propagazione della microflora

 

  • Decompositori propriamente detti, sono in prevalenza funghi e batteri. Le molecole organiche appartenenti al materiale morto hanno diversa natura chimica e perciò sono diversamente decomponibili sia in termini di tempo che per intervento di organismi viventi. Come abbiamo già detto a proposito della formazione dell’humus, gli zuccheri semplici, grassi e alcuni tipi di proteine sono velocemente decomponibili; risulta molto più lenta la decomposizione delle molecole più complesse come la cellulosa (polisaccaride), lignina (soprattutto nelle piante arboree –legno), chitina  (esoscheletro degli insetti) cheratina (unghie, peli corna) I funghi e i batteri (saprofiti- dal greco sapros “marcio, morto” e phyton  “pianta”)  sono molto veloci ad entrare in azione, appena si presenta l’occasione, che può essere determinata dalla disponibilità di piccoli materiali con enorme sviluppo superficiale. I decompositori propriamente detti, sono generalmente microrganismi, cioè microscopici (eccetto alcuni funghi). La loro azione si svolge tramite l’impiego di enzimi, che accelerano lo svolgimento di reazioni chimiche specifiche, che vengono immessi all’esterno delle loro cellule e vanno ad attaccare la sostanza organica dei detriti posti in loro vicinanza, portando a termine il lavoro preparatorio dei detritivori, cioè completa demolizione della sostanza organica morta, con liberazione di elementi nutritivi prontamente assimilabili da parte dei vegetali.

Grazie all’indispensabile compito dei decompositori la materia può circolare.

 

Cicli biogeochimici

Il movimento dei materiali nell’ecosistema ha un percorso più o meno circolare: gli elementi chimici presenti in natura vanno avanti e indietro dagli organismi all’ambiente: questi percorsi ciclici si ripetono infinite volte. Ogni elemento è caratterizzato da un ciclo detto biogeochimico: “bio” si riferisce agli organismi viventi, “geo” alle rocce e al suolo (litosfera), l’acqua (idrosfera) e l’aria (atmosfera) del pianeta, e “chimico” alle trasformazioni chimiche cui sono soggetti gli elementi nel continuo passaggio dagli organismi all’ambiente e viceversa. Un ciclo biogeochimico solitamente viene rappresentato sovrapposto ad uno schema semplificato di flusso energetico per mettere in evidenza le relazioni che intercorrono tra questi due processi fondamentali. Gli elementi chimici più diffusi negli esseri viventi non sono mai, o quasi mai., distribuiti in modo omogeneo, né sono presenti nella stessa forma chimica, in tutte le parti dell’ecosistema. I materiali esistono in compartimenti, o pool, con diverse intensità di scambio fra loro. Il pool di una sostanza in un sistema (cellula, organismo, popolazione o ecosistema) è la quantità di questa sostanza potenzialmente disponibile  e utilizzabile (immediatamente o no) per tutti i componenti del sistema stesso. In ecologia si distinguono:

  • Grande pool non biologico  (o di riserva) in lento movimento. Rappresenta la porzione di nutrienti non disponibile (chimicamente o fisicamente lontana dalla possibile assunzione degli organismi)
  • Sottocompartimento disponibile- pool più piccolo, ma molto più dinamico che è in rapido scambio con gli organismi. Forme chimicamente assimilabili e fisicamente più vicine agli organismi, soggette ad un’attiva circolazione.

Bisogna comprendere che fra i due tipi di pool non c’è una separazione netta e le assegnazioni (disponibile e non disponibile) hanno un significato relativo. Infatti un atomo nel pool di riserva non è necessariamente sempre inutilizzabile da parte degli organismi viventi. Quasi sempre si verifica un lento movimento di atomi tra pool non disponibile e quello disponibile.
Gli elementi e i sali indispensabili alla vita vengono indicati come elementi o sali biogeni e sono divisi in due gruppi:

  1. macroelementi gli elementi e i relativi composti che svolgono funzioni chiave nel citoplasma e sono necessari in quantità relativamente grandi. Carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, zolfo, potassio, calcio, magnesio, e fosforo.
  2. microelementi gli elementi e i loro composti anch’essi necessari  per il funzionamento degli organismi, ma richiesti in quantità minime. Alcuni di essi sono indispensabili per la produzione primaria: ferro, manganese, rame, zinco, boro, sodio, molibdeno, cloro, vanadio e cobalto.  

I microelementi rivestono una notevole importanza, perché essi si possono trovare nell’ambiente in quantità ancora più piccole di quelle necessarie per un organismo, quindi la loro scarsezza può limitare la produttività come accade per un macroelemento.
La composizione chimica della biosfera è diversa da quella dell’atmosfera, della litosfera e dell’idrosfera, pertanto gli organismi devono usare dei particolari meccanismi per prendere dall’ambiente gli elementi di cui hanno bisogno e per far sì che la circolazione dei materiali tra componente biotica e quella abiotica sia il più efficiente possibile.
I cicli biogeochimici sono di due tipi:

  • gassoso il pool di riserva è rappresentato dall’atmosfera o dall’idrosfera (composti gassosi liberi nell’aria o disciolti nell’acqua)
  • sedimentario il pool di riserva è localizzato nella litosfera, sotto forma di composti solidi.

 

Ciclo del carbonio

 

(dipende dall’attività della fotosintesi e dalla respirazione cellulare)

 

Il carbonio è un macroelemento particolare, grazie alla sua spiccata capacità di combinarsi con se stesso per formare catene più o meno lunghe ne fa l’elemento fondamentale di tutti i composti organici. La circolazione di questo elemento negli ecosistemi è data dalla contrapposizione dei due più importanti processi biologici: fotosintesi e respirazione. Il ciclo del carbonio rappresenta una serie di reazioni chimiche le quali si svolgono in parte ad opera degli organismi viventi e in parte senza il loro intervento diretto, che portano alla trasformazione del carbonio inorganico a basso contenuto energetico (CO2) in composti organici con alto contenuto energetico (glucosio) e alla successiva demolizione dei prodotti di sintesi della fotosintesi fino alla formazione di nuovo in CO2. contemporaneamente al ciclo del carbonio avviene anche il ciclo dell’ossigeno che con la fotosintesi passa da H2O a O2; durante la respirazione invece si ha il passaggio da O2 a H2O. La 1ª fase quindi consiste nella trasformazione della CO2 in composti organici (carboidrati). La è CO2 presente nell’atmosfera (0,03%), nell’acqua dei fiumi o dei mari (acido carbonio, bicarbonato o carbonati). La trasformazione avviene nelle piante, nelle alghe e in tutti gli organismi autotrofi, richiedendo una rande quantità di energia che viene fornita, nella maggior parte dei casi, dalle radiazioni solari captati da pigmenti contenuti in tali organismi (clorofilla). La fotosintesi avviene sia sulle terre emerse (Circa 35 miliardi di ton di C/anno), sia negli strati superficiali dei mari (40 miliardi di ton di C/anno). I carboidrati vengono in parte utilizzati direttamente dagli organismi produttori per le loro esigenze (trasformati in lipidi, protidi..) e soprattutto demoliti (respirazione) per ricavare l’energia per tutte le funzioni vitali. Una seconda parte è utilizzata dai consumatori primari (eterotrofi). Anche questa porzione di energia chimica contenuta nei materiali vegetali, che costituiscono l’alimento degli erbivori, viene utilizzata soprattutto attraverso la respirazione per ricavare l’energia per le esigenze vitali; mentre una minima parte è impiegata per la crescita e lo sviluppo degli organismi.
Sia gli organismi vegetali che gli organismi  animali danno origine a materiale organico morto che attraverso lenti processi di demolizione (svolta soprattutto da microrganismi) viene trasformata in CO2. La velocità del processo è più alta nelle acque (ricche di microrganismi) che nelle terre emerse. Ci sono delle connessioni fra quanto succede nei mari e ciò che succede nelle terre emerse,  perché il contenuto di CO2 nell’atmosfera è regolato dal contenuto della CO2 dei mari e viceversa. Gli oceani assorbono l’ CO2 dall’aria, trasformandola in bicarbonato e carbonati, mantenendone bassa la concentrazione  in atmosfera. Gli oceani svolgono un ruolo di equilibrio. Negli oceani gli ioni carbonati si possono legare agli ioni calcio e danno origine a dei sali insolubili che precipitano sul fondo e si accumulano dando origine ai depositi di calcare. Nei depositi di calcare il carbonio è in una forma non disponibile per la fotosintesi. Questa riserva di carbonio può diventare disponibile a seguito dell’erosione e solubilizzazione delle rocce calcaree che permettono quindi la formazione di CO2.
A questo ciclo si inserisce un altro che dura molto più a lungo grazie alla presenza nei materiali organici morti di particolari composti organici che risultano più resistenti alla decomposizione. La lignina e la cellulosa abbandonata non vengono prontamente mineralizzate ma si trasformano in humus. L’humus rappresenta in questo caso un deposito di carbonio organico non prontamente disponibile per la biosfera. Se la quantità di humus diventa eccessiva essa col tempo da origine alla torba. Nel corso di tempi molto lunghi (ere geologiche) i materiali organici non decomposti che si accumulano seguono un processo di lenta fossilizzazione e carbonizzazione, cioè aumento del contenuto di carbonio, che attraverso passaggi successivi vengono trasformati prima in

  1. torba carbone di età più recente e si rinviene nelle torbiere (in genere sedi di antiche paludi), in aggregati spugnosi o stratificati, bruno-nerastri. Possono essere: alte forma lievemente convessa in regioni montuose o alle alte latitudini; basse con forme piatte presenti in pianure con acque stagnanti. La torba può contenere fino al 90% di acqua al momento dell’estrazione.
  2. Lignite rappresenta uno stadio più avanzato di carbonizzazione dei vegetali. Ci sono diversi passaggi dalla torba alla lignite a seconda del materiale di partenza: lignite morbosa a partire da materiale povero di lignina si presenta stratificata brunastra. Lignite xiloide è più chiara e compatta ricca di legno
  3. Litantrace ulteriore stadio è nero con zone brillanti e opache. Viene usato per il riscaldamento e per la produzione di coke.
  4. Antracite rappresenta l’ultimo stadio del processo di carbonizzazione (formazione del carbone). Masse nere lucenti con fratture concoidi o angolare. Viene utilizzato come combustibile.

Anche il petrolio ha origine dal carbonio organico che si è depositato insieme ad altri detriti in proporzioni di circa l’1% del totale originario. Il carbonio così depositato si conserva nei bacini sedimentari e nel corso di tempi geologici viene sottoposto a un ciclo di trasformazioni che in funzione della durata e intensità dà origine al carbone, petrolio o grafite. Negli ambienti marini la sostanza organica fornita  dal plancton si deposita sul fondo insieme a minute particelle di minerali dando origine ad argille o marne al alto contenuto organico. Il fondo può abbassarsi per subsidenza (abbassamento) e le rocce sedimentarie ricche di materiale organico vengono spinte in profondità verso temperature sempre crescenti dove si verificano i diversi processi di trasformazione. Il processo di formazione del petrolio dipende dal valore del gradiente geotermico del bacino e dalla velocità di subsidenza della roccia madre.
Nel corso di ere geologiche (di durata di centinaia di milioni di anni) si sono accumulati circa 10 milioni di miliardi di tonnellate di C. Però a partire dalla riduzione industriale ad oggi l’industria nella sua continua ricerca di fonti di energia , per lo svolgimento delle attività produttive, si è introdotta in maniera molto forte in questo processo, estraendo e bruciando   quantità sempre maggiori di carbone e idrocarburi (petrolio). Tutto ciò comporta un aumento della CO2 nell’atmosfera, che viene compensata solo parzialmente dall’assorbimento attraverso la fotosintesi da parte dei produttori. Negli ultimi decenni l’immissione nell’atmosfera di CO2 è fortemente aumentata a causa delle maggiori richieste di energia per lo sviluppo demografico. Se il comportamento della specie umana, che continua a credere che le risorse siano illimitate, continuerà si avrà una profonda modificazione della composizione dell’atmosfera, provocando un effetto serra con surriscaldamento della Terra.

 

Ciclo dell’azoto (dipende soprattutto dall’attività dei batteri)

 

L’azoto allo stato gassoso, in forma di molecola biatomica (N2), costituisce circa l’80% dell’atmosfera. L’origine del gas è attribuibile alle attività vulcaniche che, in ere geologiche passate, ne hanno emesso piccole quantità. Siccome è poco solubile in acqua l’azoto si è progressivamente accumulato nell’atmosfera, pertanto il ciclo dell’elemento è di tipo gassoso, perché il pool di riserva è rappresentato dall’atmosfera. Questo macroelemento si trova allo stato combinato come costituente fondamentale nelle proteine animali e vegetali e in un grandissimo numero di molecole organiche. Nel mondo inanimato invece il principale minerale contenente azoto è il nitrato di sodio (NaNO3). La maggior parte degli esseri viventi non è in grado di assimilare l’azoto atmosferico, ma solo se esso è sotto forma combinata.
Il ciclo dell’azoto è l’insieme di tutte le trasformazioni che l’elemento subisce negli ecosistemi, in modo da risultare assimilabile da parte di tutti gli esseri viventi; successivamente l’azoto una volta entrato a costituire la materia vivente, non vi rimane indefinitamente: gli organismi viventi muoiono subiscono processi putrefattivi ad opera di microrganismi che lentamente liberano l’azoto, trasformandolo in sali inorganici e in azoto molecolare. Nel mondo vivente si è osservato che, mentre i vegetali possono assumere l’azoto dal suolo,ivi presente allo stato inorganico sotto forma di ioni nitrato (NO3-) o ioni ammonio (NH4+), i consumatori e i decompositori (eterotrofi), invece, possono utilizzare solo azoto organico, cioè sotto forma di proteine e altre molecole organiche. Infine solo pochi organismi (batteri e alghe azzurre-cianobatteri) specie più primitive nella scala evolutiva con cellula di tipo procariotico, sono in grado di fissare azoto atmosferico.
La prima tappa del ciclo riguarda le fasi attraverso cui l’azoto atmosferico o i suoi sali contenuti nel terreno sono trasformati in ammoniaca:

  • Fissazione atmosferica dell’azoto grazie all’azione dei raggi cosmici, di fulmini ecc.., che forniscono l’energia necessaria allo svolgimento delle reazioni, l’azoto molecolare si combina con l’idrogeno o l’ossigeno presente in atmosfera per formare rispettivamente ammoniaca e ossidi di azoto. Questi composti con le precipitazioni giungono sul terreno, dove possono essere direttamente utilizzati dagli esseri viventi. Questa quota è quantitativamente molto bassa rispetto alla totalità di azoto incorporato dagli esseri viventi.
  • Fissazione biologica dell’azoto atmosferico questo processo si svolge nel suolo grazie all’attività di alcuni microrganismi liberi o simbionti. detti azotofissatori, perché in grado di assorbire l’azoto atmosferico e trasformarlo in ammoniaca (NH3) che risulta la molecola organica base, da cui, per una serie di reazioni chimiche all’interno della cellula, si originano gli amminoacidi e quindi le proteine. Fra le forme autonome di azotofissatori abbiamo le alghe azzurre (cianobatteri) e vari batteri, tra cui Azotobacter (aerobi) e alcune specie di Clostridium (anaerobi). Mentre è molto più interessante la fissazione dell’azoto da parte dei batteri che vivono in simbiosi nelle radici di varie specie di piante (leguminose: erba medica, trifoglio, lupino, piselli, fagioli). Diverse specie del genere Rhizobium, introducendosi nelle radici delle piante vi provocano la formazione di particolari noduli radicali, a livello dei quali avviene la trasformazione dell’azoto molecolare in ammoniaca. Alla realizzazione del fenomeno contribuiscono sia i batteri  che le piante, realizzando un’associazione mutualistica, dalla quale entrambi ricavano un beneficio reciproco. L’assimilazione dell’azoto atmosferico non avviene spontaneamente, ma necessita di un complesso di enzimi, appunto presenti nel nodulo, che contengono tra altri componenti anche ferro e molibdeno. L’ammoniaca così formata viene in parte utilizzata per la sintesi degli amminoacidi necessari alla crescita degli azotofissatori e in parte immessa nel terreno.
  • Nitrificazione nel terreno giungeranno, alla morte degli organismi, resti vegetali e animali con la presenza di composti organici azotati. Le piante non hanno sostanze di rifiuto, ma la loro materia organica viene utilizzata dai consumatori ed è per questa via che i composti azotati entrano nella catena alimentare. Gli animali, invece eliminano, durante la loro attività metabolica, notevoli quantità di azoto come prodotto di rifiuto: a) gli invertebrati espellono soprattutto ammoniaca (NH3); b) i vertebrati invece composti organici azotati contenenti  ammine, tra cui i mammiferi eliminano soprattutto l’urea ((H2N-CO-NH2) e i rettili e gli uccelli l’acido urico (composto azotato fortemente acido, solido incolore con cristalli scarsamente solubili, si ritrova in natura in forti quantità nei depositi di guano). I composti azotati richiamati prima vengono mineralizzati dai decompositori con liberazione di ammoniaca gassosa e anidride carbonica. Una parte dell’azoto organico vegetale, comunque entra a far parte della formazione dell’humus, cioè non viene subito mineralizzata. L’ammoniaca si produce dalla sostanza organica morta attraverso l’azione di alcuni microrganismi decompositori, che con l’intervento di specie diverse svolgono tappe successive fino alla formazione dello ione ammonio (NH4+).  A questo punto lo ione ammonio prodotto può essere assorbito subito dalle piante, concludendo il ciclo, oppure entrare nella catena dei nitrificanti per essere trasformato con  due passaggi successivi in nitrato. Tale percorso si chiama nitrificazione ed è svolto da due specie diverse di batteri: nitrosanti, batteri chemioautotrofi appartenenti al genere Nitrosomonas che ricavano l’energia necessaria alla loro vita dall’ossidazione dell’ammoniaca con formazione di nitriti (NO2-); nitratanti della specie Nitrobacter, batteri chemioautotrofi, permettono l’ossidazione dei nitriti nitrati (NO3-)
  • Assimilazione dei nitrati da parte delle piante I nitrati, formati nel terreno grazie all’attività dei microrganismi introdotti con i concimi chimici, sono utilizzati dalle piante per la sintesi degli amminoacidi loro necessari. Questo processo è costituito da due stadi, in qualche maniera opposti a quelli della nitrificazione: 1) riduzione dei nitrati a nitriti; 2) riduzione dei nitriti ad ammoniaca. È quest’ultimo composto che fa partire una serie di reazioni all’interno delle cellule fino alla produzione di amminoacidi e quindi proteine.
  • Denitrificazione Accanto all’assimilazione da parte delle piante c’è un altro processo di assorbimento dei nitrati da parte di particolari specie di microrganismi detti denitrificanti (Pseudomonas denitrificante) batteri eterotrofi e anaerobi (in assenza d’ossigeno). Questi batteri, presenti nel terreno, nei fanghi e negli ecosistemi acquatici, provocano la riduzione dei nitrati a nitriti e di questi ultimi ad azoto molecolare che in parte passa nell’atmosfera. Per questi microrganismi i composti ossidati dell’azoto hanno la stessa funzione che l’ossigeno ha per il resto degli organismi viventi, quella cioè di rappresentare le sostanze che ricevono gli elettroni nel processo ossidoriduttivo durante la respirazione cellulare. La denitrificazione biologica è l’unico modo conosciuto in natura con cui l’azoto combinato può ritornare molecolare e quindi il ciclo considerarsi “chiuso”.

Da poco più di mezzo secolo, accanto ai processi naturali descritti prima si è affiancato in misura crescente l’intervento dell’uomo, sotto forma di immissione nei terreni di concimi azotati (prevalentemente sali d’ammonio e nitrati). Per tale ragione i batteri denitrificanti erano considerati come dei veri e propri nemici dal punto di vista economico, poiché la loro funzione è di trasformare i nitrati; invece i batteri azotofissatori erano considerati amici degli agricoltori perché capaci di assimilare l’azoto atmosferico, quindi forme utili per l’agricoltura. Venivano trascurata con un atteggiamento esclusivamente antropocentrico, l’importanza ecologica dell’attività di tutti i microrganismi, focalizzando l’attenzione solo sul mero interesse economico a breve periodo. I rischi dell’eliminazione di batteri denitrificanti dall’ecosistema agrario sarebbero alti, cioè di stravolgimento stesso del ciclo dell’azoto, comportando un accumulo di sali nitrici e l’azoto non potrebbe chiudere il suo ciclo con liberazione verso l’atmosfera. Inoltre durante l’ossidazione dell’ammoniaca a nitrati l’ossigeno atmosferico verrebbe in qualche maniera bloccato in questi composti, alterando la composizione gassosa dell’atmosfera e impedendo la vita a numerose specie viventi.

Ciclo del fosforo (dipende dall’erosione delle rocce)
Il fosforo è un macroelemento che non si trova libero in natura, ma sempre combinato, principalmente come fosforite e apatite, costituisce lo 0,11% della crosta terrestre. Il ciclo di questo elemento è molto semplice, è di tipo sedimentario. A differenza dell’azoto, l’elemento fosforo (così come il calcio e il potassio) ha il suo principale serbatoio abiotico nelle rocce, invece che nell’atmosfera. L’erosione delle rocce porta ad un graduale accumulo di fosfati (composti contenenti ione PO43-) nel suolo. Le piante assorbono gli ioni fosfato in soluzione nel terreno e li trasformano in composti organici. La forma principale di assorbimento è il fosfato biacido (H2PO4-), mentre la forma monoacida (HPO4-) è assorbita molto lentamente. Il fosforo assorbito dalle piante entra a far parte  di importanti molecole biologiche come il DNA, l’RNA e l’ATP. Le prime due molecole assumono un ruolo nella trasmissione dei caratteri e nella funzionalità generale dell’organismo, rappresentano l’informazione genetica; mentre la terza rappresenta una molecola energetica. I consumatori ricavano dalle piante il fosforo sotto forma organica e i decompositori restituiscono i fosfati al terreno. Il fosforo presente nel suolo è in generale scarsamente solubile e viene in parte asportato dalle precipitazioni con il terreno eroso e trasportato, attraverso i corsi d’acqua, fino ai mari dove può entrare nella catena alimentare o depositarsi. Alcuni fosfati sotto forma di precipitati  si depositano sul fondo dei laghi profondi e degli oceani, dopo un percorso avvenuto in parte nei corsi d’acqua che confluiscono nei bacini acquatici più vasti. Sul fondo di laghi e mari si sedimentano e in alcuni casi col tempo danno origine a nuove rocce, quindi una quota di fosforo sarà sottratta al riciclo all’interno della biosfera, fino a quando specifici processi geologici non riporteranno le rocce in superficie esponendole all’erosione. Di solito però l’erosione è un processo lento e negli ecosistemi naturali la quantità di fosfati disponibile per le piante è piuttosto bassa, pertanto la loro crescita può essere limitata dalla scarsa quantità presente nel suolo. Dal mare il fosforo può rientrare nel ciclo attraverso due vie:

  • il prelievo di pesce
  • le deiezioni degli uccelli marini che si cibano di pesce.

Questo tipo di ritorno alla terra ferma rappresenta una modalità estremamente importante in termini quantitativi e qualitativi, lasciando enormi depositi di guano in alcune regioni del nostro pianeta (coste del Perù). Nelle acque dei laghi che non sono state inquinate dall’attività umana, essendovi un basso contenuto di fosfati in soluzione vi è anche un ridotto sviluppo delle alghe: le acque risultano pulite e limpide. Purtroppo grazie all’intervento umano (responsabile della caratterizzazione del ciclo verso una sempre più marcata aciclicità, accelerando le perdite delle terre emerse) in alcune aree non è la carenza, ma l’eccesso di fosfati a porre seri problemi agli ecosistemi. Fenomeno analogo è costituito dall’eccesso di nitrati. Sia i nitrati che i fosfati sono tra le sostanze più abbondanti nei liquami; inoltre essi vengono usati in grandi quantità nei fertilizzanti chimici agricoli, risultano essere anche importanti componenti di molti insetticidi. L’aumento della concentrazione di nitrati e fosfati in fiumi e laghi determinano uno sviluppo abnorme di alghe (eutrofizzazione), che abbassano il contenuto di O2 nelle acque con la conseguente moria della fauna (pesci, molluschi, piccoli crostacei).

Eutrofizzazione
Da eutrofia (eu = bene e trofia = nutrimento) rappresenta il fenomeno di inquinamento cronico cui sono coinvolti soprattutto i bacini lacustri, causati dall’afflusso di determinate sostanze nutritive (per lo più sostanze azotate e fosfate) in quantità superore a quella che può essere normalmente metabolizzata dalla flora lacustre. Conseguenza è l’abnorme accrescimento della flora stessa, le quali decomponendosi innescano un consumo elevato di ossigeno; scompare dunque la fauna acquatica più sensibile a scarsi contenuti di ossigeno (ipossia) e prevalgono i fenomeni di decomposizione anaerobica delle sostanze organiche con formazione di CH4 (metano), NH3 (ammoniaca), PH3 (fosfina) e H2S (idrogeno solforato). L’idrogeno solforato è un gas tossico, incolore con odore caratteristico di uova marce; la fosfina (cui si attribuisce il fenomeno di fuochi fatui) invece, anch’essa incolore ha un caratteristico odore di pesce marcio.

 

Ciclo dello zolfo
Lo zolfo è presente in natura sia allo stato elementare che combinato in minerali. Questo macroelemento entra a far parte della biosfera a partire dall’idrosfera, litosfera e atmosfera; riveste grande importanza biologica, in quanto è essenziale per la vita, poiché entra a far parte delle molecole di alcuni amminoacidi (metionina e cisteina): contribuisce a mantenere la struttura tridimensionale delle proteine, indispensabile per la loro funzionalità.
Lo zolfo viene assorbito dalle radici delle piante nella forma si solfato (SO4- -), ione solubile in acqua. Le piante riducono prontamente lo ione solfato e lo incorporano negli amminoacidi solforati che vengono utilizzati per la sintesi delle proteine. Le rocce contengono pochi quantitativi di S che non giustificano l’alto tasso di concentrazione di SO4- - nelle acque. I ¾ dello zolfo derivano dall’atmosfera dove è presente sotto forma di acido solfidrico (H2S) e SO2 (anidride solforosa), composti volatili che passano nell’idrosfera e nella litosfera attraverso le precipitazioni (H2S e SO2 combinandosi con H2O formano H2SO4). Dello zolfo presente in atmosfera circa 1/3 è dovuto all’attività industriale fortemente inquinante che produce SO2 dalla combustione di materiali ricchi di S. Come si è detto le piante, dopo aver assorbito lo Zolfo sotto forma di solfati lo incorpora in composti organici: l’assunzione da parte delle piante non è mai superiore alle necessità (non avvengono escrezioni a base di zolfo) Dopo la morte degli organismi viventi la sostanza organica di cui sono costituiti viene gradualmente demolita con l’intervento di una serie di altri organismi (detritivori e decompositori) e come prodotto finale si ottiene la liberazione di solfo sot6to forma H2S, attraverso un processo simile a quello che porta alla produzione di ione ammonio nel ciclo dell’azoto. Ci sono alcuni microrganismi, solfobatteri fotosintetici, che utilizzano l’acido solfidrico al posto dell’acqua:
6CO2  + 12H2S  +  energia luminosa  → C2H12O6 (glucosio) + 6H2O +12S
I solfobatteri producono oltre al glucosio anche lo S elementare. Inoltre sempre i solfobatteri sono in grado di ossidare completamente lo S elementare in ione solfato (SO4- -), nuovamente disponibile per le piante. Ma lo ione solfato con l’intervento di un altro tipo di batteri, solfato-riduttori (anaerobi obbligati), può essere di nuovo ridotto ad H2S. I solfato-riduttori sono attivi soprattutto nei sedimenti fangosi e in assenza di ossigeno, fenomeno che si verifica in alcuni ecosistemi acquatici (paludi, stagni…) con una produzione di acido solfidrico che ha un caratteristico odore di uova marce. Inoltre l’acido solfidrico si lega con il ferro presente nei sedimenti fangosi e da origine al FeS (solfuro di ferro) che conferisce una colorazione nerastra ai sedimenti. I solfuri ferrosi nei sedimenti provocano il passaggio da una forma insolubile ad una forma solubile dei fosfati presenti, influenzando in questa maniera il ciclo del fosforo.

Fattori limitanti
A questo punto è necessario prendere in considerazione altri due aspetti importanti:

  • i fattori ambientali, come la temperatura, che non hanno a che fare direttamente con l’energia biologica né con le trasformazioni materiali, ma che determinano la condizione di esistenza per gli organismi viventi
  • le interazioni di organismi con organismi, che in molte comunità hanno profondi effetti sulle dimensioni e sella composizione delle popolazioni.

L’energia,  materiali, condizioni e comunità sono aspetti che in natura interagiscono in maniera molto complicata. Per provare a spiegare in parte le modalità di interelazione è opportuno introdurre i principi generali dei fattori limitanti.
Qualsiasi fattore che tenda a rallentare la crescita potenziale in un ecosistema è detto limitante. Se il freno mette addirittura in gioco la sopravvivenza, allora è più appropriata l’espressione fattore regolatore. La legge dei fattori limitanti è stata enunciata dall’agronomo Justus Liebig, nel 1840, che è stato il pioniere nello studio delle applicazioni di fertilizzanti chimici inorganici in agricoltura. Liebig nelle sue sperimentazioni rimase colpito dal fatto che spesso il raccolto veniva limitato dalla carenza di un qualsiasi elemento essenziale, indipendentemente dal fatto che la quantità totale richiesta fosse piccola o grande. Liebig enunciò la legge del minimo che afferma che la velocità di crescita di una pianta dipende da quell’elemento biogeno, o altro fattore, che è presente nella quantità minima in rapporto alla richiesta e alla disponibilità. Lo sviluppo di un organismo o di una popolazione è quindi determinato dal fattore più scarso.

Limiti di tolleranza
Possiamo estendere il concetto di fattore limitante includendovi anche l’effetto limitante del massimo, cioè anche l’eccesso può essere un fattore di limitazione. Possiamo ampliare ulteriormente il concetto, considerando che i fattori interagiscono, cioè la carenza di una sostanza può influire sul fabbisogno di altre di per sé non limitanti. Il range dei fattori, all’interno dei quali è possibile lo sviluppo per una determinata popolazione, viene detto limite di tolleranza con il quale si vuole intendere che per la vita di un organismo o di una popolazione è determinante non solo il fattore presente in quantità minimale, ma anche quello presente in quantità massimale. Oltre un certo livello di temperatura, luce, acqua, fosforo,etc..le condizioni risultano proibitive per determinati organismi. Per qualsiasi fattore chimico o fisico esiste un certo optimum. Un organismo può avere un ampio campo di tolleranza per un certo fattore e un ristretto campo per altri fattori. Gli stadi precoci di sviluppo generalmente hanno campi di tolleranza più ristretti rispetto alle forme adulte. Si usano i prefissi “euri” e “steno” per indicare rispettivamente ampi limiti di tolleranza e stretti limiti di tolleranza. Organismi con ampi limiti di tolleranza hanno ovviamente maggiori probabilità di presentare una vasta distribuzione, ma grande tolleranza per un fattore non vuol dire necessariamente ampi campi per tutti i fattori.
Ora possiamo affermare che il successo biologico di una popolazione o di una comunità dipende da un complesso di condizioni; qualsiasi condizione si avvicini o superi il limite di tolleranza dell’organismo o gruppo in questione può essere considerata un fattore limitante.

DINAMICA DI POPOLAZIONI
Gli ecologi definiscono una popolazione il numero di individui di una data specie che si incrociano tra loro e che sono più o meno isolati da altri gruppi simili. Gli individui di una popolazione utilizzano le stesse risorse e sono soggetti agli stessi fenomeni naturali (temperatura, rifornimento idrico e alimentare, predazione..)
La dinamica di popolazioni è legata ai cambiamenti delle dimensioni delle popolazioni e ai fattori che le regolano nel corso del tempo. All’interno di ciascuna popolazione gli individui interagiscono fra loro nel tempo e nello spazio. Quando si vuole studiare la dimensione e i cambiamenti nel tempo di una popolazione vuol dire prenderne in esame la struttura e le relazioni con l’ambiente.
Per operare un’analisi numerica di una popolazione occorre prenderne in esame alcuni parametri:

  • tasso di natalità numero di individui nati in un certo periodo di tempo in rapporto ad un determinato numero di individui della popolazione preesistente. Per esempio per la popolazione umana si usa il periodo pari ad un anno e il numero iniziale pari a 1.000
  • tasso di mortalità numero di individui morti in un certo periodo di tempo in rapporto ad un dato numero iniziale di individui vivi. Per l’uomo corrisponde al numero annuale di morti ogni 1.000 persone.
  • Immigrazione  arrivo di nuovi individui da altre popolazioni, ciò è frequente nelle specie animali; in quelle vegetali è possibile solo in maniera passiva.
  • Emigrazione allontanamento dalla propria area d’origine da parte di alcuni individui della popolazione
  • Incremento naturale differenza tra tasso di natalità e tasso di mortalità.
  • Incremento demografico corrisponde all’incremento naturale corretto con il saldo dei flussi migratori

Riassumendo l’ingresso di nuovi individui nella popolazione avviene per nascite o immigrazione, mentre l’uscita avviene per morte o per emigrazione. La popolazione

    • rimane stabile   nel tempo      se nascite + immigrati = morti + emigrati
    • cresce                                     se nascite + immigrati > morti + emigrati
    • diminuisce                             se nascite + immigrati < morti + emigrati

Se si trascura il fenomeno migratorio, la consistenza finale di una popolazione è il risultato di un equilibrio tra due parametri contrapposti:

      • potenziale biotico (proposto da Chapman nel 1928) rappresenta la capacità intrinseca degli organismi viventi di riprodursi e sopravvivere, cioè di incrementare il numero della popolazione. Corrisponde alla velocità massima alla quale la popolazione potrebbe aumentare, se si ipotizzano condizioni ideali, in termini di ambiente e disponibilità di risorse nutritive, che rendono massimo il tasso di natalità e minimo il tasso di mortalità.
      • Resistenza ambientale (vedremo meglio in seguito dopo in cosa consiste), rappresenta i limiti imposti dall’ambiente vivente e inanimato, costituti dalla disponibilità di cibo, di spazio, competizione con altri organismi che vivono nello stesso ambiente e i rapporti interspecifici (predazione, parassitismo…).

MODELLI TEORICI DI FORME DI ACCRESCIMENTO DELLE POPOLAZIONI
Nessuna altra specie di organismi si riproduce tanto velocemente come i batteri. In condizioni ottimali di laboratorio alcuni batteri riescono a dividersi (e moltiplicarsi) ogni 20 minuti: da un solo organismo dopo 20’ 2 batteri, dopo 40’ 4 batteri, dopo 60’ 8 batteri; dopo 36 ore i batteri sarebbero così tanti da ricoprire tutto il pianeta con uno strato di circa trenta centimetri di spessore.

Modello di crescita esponenziale
In condizioni ideale il tasso di crescita di una popolazione è detta esponenziale, quando l’intera popolazione si moltiplica in base a un fattore costante per intervalli di tempo costanti. La popolazione cresce secondo un esponente matematico (una potenza). La curva che rappresenta la crescita esponenziale ha la forma di una  J” . Nel caso del batterio abbiamo 2 come base e l’esponente aumenta di una unità ad ogni intervallo di tempo: 2n = 21, 22, …
In formula il tasso di crescita è espresso dalla seguente relazione:
                        G = r N                   dove G         tasso di crescita ; N        numero di individui e
r        tasso intrinseco di accrescimento o capacità innata
                                                                    dell’organismo di riprodursi
Un valore approssimato di “r” si ottiene sottraendo al tasso di natalità il tasso di mortalità. “r” corrisponde al potenziale biotico (influenzato da: età alla quale l’organismo si riproduce per la prima volta; frequenza delle riproduzioni; consistenza media di ogni nidiata; longevità riproduttiva dell’organismo e tasso di mortalità individuale in condizioni ideali) che, se non intervengono limitazioni ambientali, è costante. La relazione di  prima se “r” è costante vuol dire che la velocità con cui cresce una popolazione dipende dal numero iniziale degli individui, cioè da “N”: quanto più è grande “N” tanto più velocemente la popolazione aumenta e col passare del tempo “N” cresce sempre più velocemente.
Le popolazioni naturali hanno la possibilità di una crescita esponenziale solo per brevi periodi di tempo, cioè finché:

    • Le risorse nutritive non inizieranno ad esaurirsi
    • I prodotti di scarto non giungeranno a concentrazioni tali da essere nocivi
    • Non si sarà sviluppata una popolazione di predatori
    • Non cambieranno le condizioni ambientali da costituire fattori limitanti


              Strategia di sviluppo in condizioni naturali                                                                      


Nel momento in cui iniziano a manifestarsi le condizioni sfavorevoli si osservano bruschi arresti nella curva di accrescimento: diminuisce il tasso di natalità e aumenta il tasso di mortalità. I bruschi scalini sono intervallati da periodi di crescita esponenziale

                                                      Tempo

 

Alcune popolazioni, di solito costituite da specie di piccole dimensioni, con individui che si riproducono precocemente, danno origine a molti discendenti non appena le condizioni ambientali risultano favorevoli. Queste specie sono caratterizzate da cicli di accrescimento e di rapida diminuzione. Gli individui appartenenti a queste specie hanno vita breve e si disperdono velocemente sul territorio e colonizzano ambienti sfavorevoli ad altre forme di vita. Queste specie mostrano di avere una strategia riproduttiva opportunista: alcune di esse assumono i carattere di pioniere, cioè organismi viventi che contribuiscono a colonizzare habitat privi di vita.

Modello di crescita logistica o strategia riproduttiva prudente
I fattori ambientali che rallentano la crescita di una popolazione, come abbiamo visto prima, sono detti fattori limitanti. I fattori limitanti determinano un andamento della crescita delle popolazioni in maniera diversa a quello descritto precedentemente. La curva nel grafico ha un andamento detto sigmoide (a forma di S allungata)                                N


La curva rappresentata a destra è il risultato della seguente relazione matematica che esprime la      crescita delle popolazioni: G = rN(K – N)/K. In questa relazione G sta per crescita, r per potenziale biotico, N per numero di individui, e K per capacità portante. La capacità portante corrisponde al numero massimo di individui oltre il quale si arresta l’accrescimento.

L’equazione di una curva logistica è complicata dagli effetti dei fattori limitanti. La capacità portante è detta anche capacità biologica specifica o di sostentamento, cioè il numero di individui di una popolazione che l’ambiente può mantenere senza alcun aumento o decremento netto (in condizioni stabili).
Analizziamo come varia il rapporto (K - N)/K all’interno della curva. Quando la popolazione inizia a crescere N è vicino a 0, un valore molto piccolo, quindi il rapporto (K - N)/K si può approssimare a 1. In questa maniera il tasso di crescita G = rN(1), nella prima parte corrisponde alla crescita esponenziale. Mentre quando la popolazione aumenta N si avvicina sempre più alla capacità portante N → K e influisce sul rapporto (K – N)/K, questa frazione diventa sempre più piccola fino ad annullare il tasso di crescita G. Quando G = N la frazione si annulla e anche il tasso di crescita G = 0. Il tasso di crescita di una popolazione è piccolo quando la popolazione è piccola o grande, mentre quando la popolazione si trova a livello intermedio in rapporto alla sua capacità portante il tasso di crescita è maggiore. In pratica in natura se la popolazione è piccola le risorse nutritive sono abbondanti e quindi la popolazione è capace di crescere quasi in maniera esponenziale; mentre se N è grande i fattori limitanti contrastano fortemente la sua tendenza a crescere. I fattori limitanti fanno diminuire il tasso di natalità o aumentare il tasso di mortalità (o insieme). Quando il tasso di natalità = al tasso di mortalità la popolazio0ne si stabilizza al valore della capacità portante K.
Alcune popolazioni formate per lo più da individui di dimensioni maggiori, mostrano una strategia riproduttiva di equilibrio o prudente. Gli individui in genere maturano più tardi e producono pochi discendenti, cui dedicano intense cure parentali per tempi relativamente lunghi. Le dimensioni delle popolazioni possono assestarsi su valori pressoché stabili, intorno alla capacità portante.

Resistenza ambientale
La capacità biologica specifica è legata alla disponibilità di 2 tipi di risorse:

  • risorsa non rinnovabile → spazio
  • risorse rinnovabili → alimenti, acqua, luce…

Se lo spazio è insufficiente si avrà un’influenza negativa sulla riproduzione. Gli animali migrano. Se la pressione delle risorse rinnovabili è eccessiva si profila la morte per inedia e l’ecosistema riduce la sua capacità di sostentamento.
I fattori di resistenza ambientale classificabili in 2 categorie:

  • fattori densità – indipendenti influiscono sulla stessa percentuale di individui indipendentemente dalle dimensioni delle popolazioni. Fra questi il + importante è il clima. I cambiamenti climatici legati alle stagioni influiscono molto sulle popolazioni di insetti come zanzare, cavallette. Altri cambiamenti sono il fuoco, le inondazioni, le bufere e la distruzione degli habitat da parte dell’attività umana.
  • Fattori densità – dipendenti influsicono su una percentuale maggiore di individui via via che il numero degli individui cresce. Esempio limitata disponibilità di cibo o aumento di sostanze di rifiuto riducono il tasso di crescita delle popolazioni, facendo diminuire il tasso di natalità o di aumentare il tasso di mortalità.

Le specie longeve hanno perfezionato vari meccanismi per compensare i mutamenti stagionali e superare indenni le condizioni sfavorevoli. Fra i fattori limitanti si hanno la predazione, parassitismo, e la competizione tra individui della stessa specie o di specie diverse.
La predazione è legata alla densità, perché aumentano le possibilità di incontrare predatori: alcuni predatori adeguano la dieta al variare delle prede. I parassiti sono poco mobili e si diffondono più rapidamente in condizioni di sovraffollamento.
Poiché le risorse che determinano la capacità portante sono limitate, lo sfruttamento da parte di un individuo riduce la possibilità di utilizzazione da parte di un altro. La competizione sia interspecifica che intraspecifica costituisce, perciò, un fattore limitante di una popolazione. Di seguito affronteremo i rapporti tra gli individui.

RAPPORTI TRA INDIVIDUI

Rapporti intraspecifici
Ciascun organismo vivente durante la propria vita, in modo più o meno intenso, è obbligato ad avere rapporti diretti e/o indiretti con altri organismi della stessa specie: esempio della riproduzione sessuale. La socialità può limitarsi ad un periodo molto breve o estendersi lungo tutto l’arco della vita (branco negli animali in gruppo).
Società animale – costituita da un gruppo di individui della stessa specie organizzati in modo cooperativo. Le società possono essere:

  • tipo individualista, quando ciascun componente provvede solamente alle proprie necessità. Appartengono a questo tipo i mammiferi e gli uccelli che formano la società durante il periodo della riproduzione o per la conquista del cibo (lupi, mandrie di ungulati, elefanti, cavalli, maiali. Società familiari composte da un maschio e da un certo numero di femmine (scimmie)
  • tipo collettivista, ogni componente svolge la sua attività in funzione dell’intera associazione. Vi appartengono insetti sociali, imenotteri (vespe, api, formiche) e gli isotteri (termiti)

In una società di individui si scambiano continuamente stimoli di diverso tipo (sonori, olfattivi, tattili, gestuali) che servono a mantenere coeso il gruppo secondo schemi comportamentali. Ma fra individui della stessa specie esiste anche un altro tipo di relazione, questa volta negativa, rappresentata dalla competizione, che consiste nell’ostacolarsi a vicenda nella disponibilità di spazio vitale, nel contendersi il cibo o nel ricercare condizioni per soddisfare altre esigenze primarie per la sopravvivenza, o per il territorio riproduttivo. Due individui si contrappongono in una contesa molto forte e prevarrà chi sarà in grado di utilizzare meglio le risorse alimentari, insediarsi meglio in uno spazio vuoto, sfuggire ai predatori. In pratica avrà maggiore successo chi sarà in possesso di una migliore fitness (rappresenta l’insieme di caratteristiche genotipiche – patrimonio genetico - e fenotipiche – manifestazione dei caratteri in funzione dell’ambiente – che lo rendono idoneo a sopravvivere e a riprodursi nell’ambiente in cui vive) misurabile con la stima del suo valore riproduttivo. La fitness di un individuo si traduce in una maggiore capacità di trasmettere le proprie caratteristiche alla progenie.

Rapporti interspecifici
Quando due popolazioni sfruttano entrambe le stesse risorse presenti in quantità limitate, gli individui delle due specie entrano in competizione, detta interspecifica. Questo tipo di competizione può inibire lo sviluppo di entrambe le specie. A volte la competizione può addirittura giungere alla completa eliminazione dalla comunità di una delle popolazioni. Nel 1934 Gause, ecologo russo, studiò gli effetti della competizione interspecifica, utilizzando, negli esperimenti di laboratorio, due specie di protozoi1, strettamente imparentate: paramecius aurelia e paramecius caudata

 

In un primo momento l’ecologo tenne queste due specie separate in condizioni stabili, alimentandole ogni giorno con una quantità costante di batteri. Il terreno di coltura consiste in una provetta contenente un liquido con dentro batteri di cui si nutrono i protozoi. Le curve di accrescimento messe a confronto nel primo grafico hanno assunto un andamento sigmoide. Ogni popolazione si sviluppò in modo rapido agli inizi fino a diventare stabile, quando raggiunsero la capacità portante della propria coltura. In un secondo momento Gause coltivò le due specie nello stesso terreno di coltura. In queste condizioni il p. aurelia mostrò di essere in grado di sfruttare meglio le risorse disponibili fino a provocare l’estinzione di p. caudata. Da questa esperienza si può concludere che due specie molto simili che si trovano a competere per le stesse risorse limitate non possono coesistere nella medesima area. Una delle due utilizzerà le risorse in maniera più efficiente e si riprodurrà più rapidamente: questo vantaggio riproduttivo condurrà infine all’estinzione a livello locale del competitore più labile. Ciò si esprime con il principio dell’esclusione competitiva (causata da una carenza di risorse alimentari), fondamentale in ecologia e si applica a ciò che viene chiamata nicchia ecologica,  cioè il ruolo che una popolazione ha nella sua comunità, o anche l’utilizzo complessivo da parte della popolazione, delle risorse biotiche e a biotiche dell’habitat.
Una specie → una nicchia vuol dire che due popolazioni di specie diverse non possono coesistere in una stessa comunità se le loro nicchie sono identiche.
Gause fece in seguito un altro esperimento in cui utilizzò nella stessa coltura due specie diverse di paramecius (p. aurelia e p. bursaria), notando che riuscirono a coesistere e a raggiungere un equilibrio stabile. In un primo momento questo esperimento sembrava mettere in discussione quello precedente, ma ben presto si osservò che le due specie avevano occupato zone diverse del mezzo di coltura, cioè occuparono due differenti nicchie spaziali e perciò fu possibile la coesistenza. Ciò ci permette di affermare che in un ambiente naturale non esistono mai condizioni uniformemente distribuite e se coesistono specie diverse anche molto simili che si cibano delle stesse risorse, vuol dire che nell’ambiente dato esistono habitat2 e nicchie differenti.

In una comunità esistono diverse specie che possono instaurare fra loro altri tipi di relazione differenti dalla competitività. Le altre modalità di interazione fra specie diverse di una comunità sono:

  • neutralismo quando non c’è alcuna interazione reciproca fra due specie
  • predazione è un tipo di interazione in cui una specie si nutre di un’altra; prevede la presenza del consumatore predatore, che utilizza altri organismi vivi, come fonte di cibo, uccidendoli, dette prede. Anche l’interazione tra piante e erbivori (erbivoria) è un tipo di predazione. Tutte le specie sono in qualche maniera soggette a predazione, specialmente gli individui più giovani, e tutte hanno evoluto meccanismi di difesa per non essere mangiate. Nella rete alimentare i predatori, in genere, occupano parti al vertice della piramide ecologica: hanno un ruolo importante nel processo evolutivo, cioè contribuiscono all’equilibrio demografico delle popolazioni delle specie predate, eliminando gli individui meno adatti. Le interazioni tra predatori e prede favoriscono l’evoluzione di meccanismi di difesa tramite selezione naturale. Adattamenti che favoriscono i predatori, come la velocità e l’agilità, gli artigli, le zanne e le tattiche d’agguato, si contrappongono ai meccanismi di difesa delle prede (dimensioni troppo grandi – elefanti adulti – capacità di fuga e di nascondersi, involucri protettivi di piante e animali, spine o ghiandole che producono sostanze chimiche nocive). Quindi possiamo dire esistono difese contro i predatori estremamente diversificate tra loro, fra cui quelle meccaniche (aculei aguzzi dell’istrice); chimiche (colori vivaci per mettere in guardia i predatori). Assume importanza tra le difese il mimetismo, cioè somiglianza nel colore e nell’aspetto di un organismo animale con altri elementi del proprio habitat (criptico), oppure con altra specie (fanerico). Il mimetismo batesiano quando una specie non pericolosa assume colorazione e aspetto di un’altra specie velenosa, cioè usano una colorazione di avvertimento, traendo vantaggio selettivo perché tendono ad assomigliare a quelli velenosi.
  • Simbiosi una relazione simbiotica è una interazione fra due o più specie nella quale una specie vive all’interno o sopra un’altra specie. Ci sono diversi tipi di relazioni simbiotiche: parassitismo è un tipo di interazione che non si distingue nettamente dalla predazione. Il termine deriva dal greco. Para= vicino, sitos=cibo, vivanda. Il parassita vive a spese della produttività dell’ospite senza ucciderlo; può essere considerato un caso limite di predatore e l’interazione parassita-ospite come un caso particolare di predatore-preda. Le differenze rispetto alla predazione si hanno soprattutto nelle dimensioni (predatore più grande della preda) e nel comportamento (il predatore uccide la preda); mentre i parassiti sono molto più piccoli dell’ospite e possono vivere sulla superficie (ectoparassiti), oppure all’interno del suo corpo (endoparassiti). I parassiti non hanno bisogno di conservare stabile il proprio ambiente (ci pensa l’ospite) e si limitano a nutrirsi e riprodursi. La sopravvivenza è garantita dall’esistenza dell’ambiente adatto fornito dall’ospite, cioè dall’organismo specifico. Le relazioni parassita-ospite si sono evolute fino a raggiungere spesso un discreto equilibrio: adattamenti che servono a ridurre la virulenza a un livello che l’ospite può tollerare. Gli adattamenti dell’ospite, come le reazioni immunitarie, servono a tenere sotto controllo il parassita. Quindi un parassita vive a spese dell’ospite (che ne subisce il danno) durante una parte o la totalità della sua esistenza, senza provocare la morte immediata durante il contatto diretto.
  • Allelopatia interazione tra due specie in cui una, con l’emissione di sostanze chimiche dannose, comporta effetti negativi sull’altra. Gli antibiotici rappresentano l’esempio più conosciuto di queste sostanze e sono prodotti da alcuni microrganismi (batteri, muffe, attinomiceti) capaci in dosi adeguate di inibire la crescita e la moltiplicazione di altri microrganismi o di provocarne la morte. Anche alcuni arbusti sono in grado di produrre sostanze tossiche capaci di inibire la germinazione di semi di alcune essenze erbacee.
  • Commensalismo dal latino cum = insieme e mensa = tavola. Risulta essere un’associazione tra animali di specie diverse che comporta essenzialmente l’utilizzazione in comune di cibo e riserve alimentari, con vantaggio prevalente di uno dei commensali e senza danno diretto per l’altro. In questo caso un partner trae vantaggio dall’altro senza danneggiarlo in maniera significativa. Esistono pochi casi di commensalismo puro perché è difficile che uno dei partner non sia in qualche modo danneggiato. Esempi di commensalismo sono l’ostrica che ospita un piccolo granchio che si alimenta dei suoi rifiuti; uccelli che si posano sul dorso del bestiame mentre bruca, per cibarsi di insetti che si alzano in volo quando l’erba viene mossa.
  • Mutualismo (o simbiosi obbligata) dal latino mutualis = reciproco. Entrambi i partner traggono beneficio dalla relazione. Questa relazione rappresenta un’associazione obbligata tra due o più organismi di specie diverse in cui i simbionti traggono reciproco vantaggio e nessuno degli individui delle due specie è capace di vivere isolato. Esempio dei licheni che derivano da una stretta associazione tra funghi e alghe verdi o azzurre. Altro es. è l’associazione tra batteri della specie rhizobium (azotofissatori) e specie di leguminose. Altra associazione mutualistica molto diffusa ed importante è quella delle micorrize (insieme di radici del micelio fungino che vive in simbiosi con esse). Funghi ascomiceti come il tartufo o basidiomiceti come il porcino su radici di faggio o di castagno. Le micorrize svolgono una funzione molto importante: aumentano la capacità di assorbimento di acqua e sali minerali presenti nel terreno. Il fungo riceve dalla pianta composti energetici della fotosintesi. Alcune specie di alberi non sono in grado di accrescersi senza le micorrize.

 

DIVERSITÀ BIOLOGICA O BIODIVERSITÀ
Se vogliamo studiare un livello più alto della scala gerarchica della natura, in termini di organizzazione, cioè, superando la popolazione, dobbiamo prendere in esame la comunità biologica (insieme di tutti gli organismi che vivono e che potrebbero interagire in un determinato territorio). Scopriamo che anche la biocenosi ha le sue caratteristiche e le sue proprietà: aspetto prevalente della vegetazione (bioma), struttura trofica (catene alimentari e reti alimentari) e diversità biologica. Sui primi due ci siamo soffermati abbondantemente prima, ora invece affronteremo l’analisi della terza caratteristica.
Con diversità biologica si intende la varietà di organismi che costituiscono una comunità, formata essenzialmente da 2 componenti:

  • la varietà delle specie, cioè il numero totale di specie presenti in un determinato territorio
  • abbondanza relativa di organismi di ogni specie

Non sappiamo con certezza quante specie sono presenti sulla Terra: ne sono state classificate circa 2 milioni, ma alcuni elementi fanno supporre che si debbano considerare da 5 a 50 milioni di specie. I mammiferi, gli uccelli e tanti altri esseri viventi di grossa taglia sono già classificati, ma rimangono ignoti diversi insetti e tante altre specie di organismi di piccole dimensioni. Oggi ogni specie presente sul pianeta è il risultato di un percorso lungo di adattamento all’ambiente, attraverso il meccanismo della selezione naturale.
Per ogni specie c’è da considerare anche l’estrema varietà degli individui, dovuta alla diversità genetica, pertanto alcuni individui della specie possono risultare più o meno adatti alle condizioni ambientali, del momento, del loro habitat. Sopravvivranno solo quelli che hanno una migliore fitness (individui più adatti e prolifici, cioè dotati di una maggiore capacità di trasmettere le proprie caratteristiche alla progenie). L’ambiente cambia continuamente e le specie si evolvono con esso, modificando le loro abitudini alimentari e comportamentali. Ogni specie ha una propria nicchia ecologica ed occupa un determinato habitat. La diversità biologica del nostro pianeta è data anche dall’eterogeneità degli habitat, grazie anche a divisioni, confini naturali presenti sulla superficie terrestre.
La diversità biologica la si può riscontrare benissimo anche in un ecosistema agricolo (agroecosistema). Per esempio in una monocoltura ci si aspetterebbe la presenza di una sola specie, quella scelta dall’agricoltore, ma ad un esame più attento risulta  anche la presenza di altre specie vegetali, non desiderate, dette infestanti; ci sono sicuramente anche parassiti delle piante e nel suolo altre specie di organismi tra cui detritivori e decompositori. Comunque in un agroecosistema, che prevede un forte intervento umano, il numero di specie presenti è sempre più basso di un ecosistema naturale.
Per stabilire l’importanza relativa fra specie diverse di una comunità si possono considerare il numero di individui, la biomassa o la produttività. In base a questi criteri ci sono specie dominanti, poche e comuni di quel determinato ecosistema, e specie rare più numerose ma con minor numero di individui. Se una comunità è sottoposta ad un forte stress per cause naturali (prolungata siccità, alluvioni, incendi…) o per l’intervento dell’uomo (deforestazione, inquinamenti acuti), la struttura della comunità si modifica: aumentano le specie comuni e diminuiscono quelle rare, perché mostrano più difficoltà a superare le stress. 
Abbiamo già detto che anche all’interno di una stessa specie c’è un certo grado di diversità biologica, data dalla diversità genetica, cioè dalla ricchezza e dalla varietà del materiale genetico in dotazione ai singoli individui della specie di appartenenza. La diversità genetica è essenziale per la specie, perché rappresenta un patrimonio di caratteristiche vitali: ogni individuo possiede una sua potenzialità e plasticità utilizzabile per adeguarsi ai mutamenti delle condizioni fisiche, chimiche e biologiche dell’ambiente. Esistono due modalità di cambiamenti

  • adattamento individuale tipico delle specie superiori che hanno tempi lunghi di riproduzione. Esempio dell’uomo che in alta montagna per carenza di ossigeno aumenta il numero di globuli rossi nel sangue.
  • Cambiamenti delle caratteristiche della specie tipico degli organismi che hanno tempi brevi di riproduzione. Esempio: la resistenza dei batteri ad alcuni antibiotici.

La capacità di adattamento ai cambiamenti, cioè la plasticità di una specie, è strettamente correlata con la sua diversità genetica.
Con l’agricoltura e l’allevamento è l’uomo che sceglie quali specie utilizzare per fini produttivi.  Fra le svariate specie presenti in natura l’agricoltore e l’allevatore sceglie quelle ritenute più utili; opera una selezione delle caratteristiche migliori espresse da alcuni individui. Per garantirsi una certa standardizzazione delle caratteristiche l’uomo punta ad avere organismi molto simili fra loro; ciò si ottiene se il patrimonio genetico degli individui è il più possibile uguale. Ma tutto ciò va contro la diversità biologica. In pratica l’uomo cerca di diminuire la diversità biologica naturale per avere maggiore controllo sulle specie viventi utilizzate. L’idea di selezionare organismi con patrimonio genetico uguale si sta dimostrando fallimentare, perché la diversità genetica che si perde oggi è difficilmente recuperabile in futuro. Inoltre sta diventando più oneroso economicamente gestire le diverse produzioni, in quanto organismi molto simili fra loro reagiscono più o meno alla stessa maniera nei confronti delle insidie dell’ambiente, pertanto se c’è una malattia, questa potrebbe eliminare tutti gli organismi attaccati. Infine altro aspetto negativo è la continua e sempre più estesa sostituzione di varietà locali con un piccolo numero di specie coltivate che riduce ulteriormente la diversità genetica. Le specie selezionate dall’uomo sono molto rigide, non in grado di reagire alla plasticità dei parassiti naturali.
Occorre porre freno alla continua perdita di diversità biologica e di habitat adatti alle specie naturali. L’importanza della conservazione della biodiversità a tutti i livelli in cui si esprime è stata riconosciuta nella conferenza mondiale dell’ONU su “ambiente e sviluppo”, tenutasi a Rio de Janeiro (giugno 1992). In quella occasione è stata sottoscritta la Convenzione sulla diversità biologica che considera la biodiversità come opzione primaria per tutta l’umanità, cioè essa assume valore ecologico, genetico, culturale, educativo scientifico e economico.  Biodiversità significa:

      • plasticità e potenzialità di adattamento degli esseri viventi
      • salvaguardia delle opzioni future nelle scelte economiche e politiche
      • laboratorio materiale per fini culturali e scientifici
      • diritto all’esistenza di tutte le forme viventi

La biodiversità si conserva:

      • proteggendo le specie tutelando il loro habitat
      • costituire aree protette dove è maggiore la biodiversità
      • seria lotta all’inquinamento, iniziando a modificare i nostri comportamenti e stili di vita.

EVOLUZIONE DEGLI ECOSISTEMI
Un’altra proprietà di una comunità, e dell’ambiente in cui vive, è rappresentata dalla stabilità, cioè la capacità di resistere alle perturbazioni esterne e di ritornare alla sua originaria composizione di specie, dopo essere cessata la causa che ha determinato il cambiamento. Per stabilità si intende anche la capacità di un ecosistema di conservare un certo stato per un periodo più o meno lungo. In base ad un certo modello, un’idea dettata dall’osservazione di ecosistemi simili, tendiamo a riconoscere ecosistemi naturali come sempre uguali a se stessi e ci accorgiamo di qualche anomalia solo in particolari momenti, quando le perturbazioni esterne sono tali da alterare radicalmente la struttura della comunità. Perché un ecosistema possa mantenere a lungo la propria stabilità deve essere in possesso di meccanismi di regolazione e di controllo capaci di contrastare le perturbazioni. Questi meccanismi sono diversi sia in funzione del tipo e della struttura della comunità sia della natura delle perturbazioni stesse. Per comprendere meglio le modalità di regolazione è bene partire dal concetto di sistema: sia esso naturale o artificiale (automobile e qualsiasi macchina) è costituito da un insieme di componenti, parti, elementi che interagiscono fra loro in maniera organizzata, regolare e interdipendente, secondo precisi schemi, tali da formare un’unità funzionale. Un organismo vivente ha un suo livello di organizzazione costituito da organi, apparati che interagiscono fra loro dando origine ad un complesso funzionante. Stesso discorso si può fare con l’ecosistema formato da componenti (biotica e abiotica) che interagiscono dando origine ad una struttura funzionante. L’importante proprietà degli ecosistemi è che tendono a raggiungere, in funzione di propri meccanismi di regolazione, uno stato di equilibrio dinamico; questi meccanismi sono chiamati feedback (retroazione) e sono di due tipi:

  • feedback negativo permette al sistema di opporre resistenza alla perturbazione esterna rispondendo in maniera da annullare possibilmente la causa. In pratica il sistema cerca di conservare uno stato stazionario di equilibrio opponendosi alla perturbazione che minaccia di alterarlo. Esempio di questo tipo sono i sistemi artificiali come l’impianto di riscaldamento di un appartamento controllato dal termostato. Anche nei sistemi naturali esistono meccanismi di questo tipo per mantenere l’equilibrio stazionario come la regolazione della temperatura corporea di un animale a sangue caldo. Nei sistemi biologici i meccanismi di controllo sono tutti interni al sistema stesso e sono chiamati meccanismi omeostatici. L’omeostasi è presente anche negli ecosistemi. Abbiamo già visto i cicli biogeochimici a cui partecipano diversi tipi di organismi: interazione preda-predatore che regolano la crescita delle popolazioni. Quindi l’omeostasi di un ecosistema è regolata dalle interazioni tra gli organismi e tra questi e i componenti abiotici.
  • feedback positivo meccanismo con il quale il sistema reagisce alle perturbazioni esterne accentuandone gli effetti (la risposta potenzia le cause).

Questi meccanismi non partecipano al mantenimento dell’omeostasi ma sono comunque presenti in natura. Un classico esempio di questo tipo è l’effetto serra determinato dal variare del ciclo del carbonio a seguito delle attività produttive dell’uomo. Se aumenta la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è possibile un aumento della temperatura media la quale può provocare un incremento dell’attività degli organismi decompositori i quali a loro volta accelerano i processi di mineralizzazione dell’humus favorendo così un ulteriore aumento del tasso di anidride carbonica nell’aria. L’incremento del tenore di anidride carbonica comporta una variazione del clima che come sappiamo influisce sull’attività degli esseri viventi.
A questo punto facciamo una precisazione: i meccanismi omeostatici hanno una capacità di regolazione limitata, perciò il punto di equilibrio che viene ripristinato con feedback negativi non è detto che sia uguale a quello di prima, anzi spesso risulta spostato.

 

SUCCESSIONE ECOLOGICA


Le perturbazioni esterne possono alterare la struttura delle comunità. Inondazioni, incendi, scorrimenti di ghiacciai o eruzioni vulcaniche possono provocare la scomparsa di alcune forme di vita, per cui le comunità ecologiche possono cambiare radicalmente. Le biocenosi sono raggruppamenti di esseri viventi che interagiscono fra loro in modo dinamico e in rapporto ai fattori ambientali. I mutamenti graduali della struttura e della composizione in specie della comunità, dovuti al rapporto dinamico con l’ambiente che le condiziona, prendono il nome di successione ecologica, che risulta essere una diretta conseguenza della regolazione biologica della comunità nel suo complesso. Gli ecosistemi si evolvono in rapporto alle perturbazioni esterne e ai meccanismi di regolazione interna e seguono uno sviluppo che li porta, attraverso diverse fasi dette sere (intero gradiente di comunità caratteristico di una data area), a raggiungere una condizione terminale stabile con una comunità biotica tipica di una determinata regione e della situazione climatica ivi presente. La successione continua fino a che il numero delle specie presenti e la densità della popolazione non raggiungono valori relativamente stabili di equilibrio all’interno di quella definita come comunità climax3 o vegetazione climax, in quanto è il tipo di vegetazione l’aspetto che caratterizza una comunità biotica. La colonizzazione di un’area di nuova formazione (area sterile, in cui le condizioni di esistenza non erano state fino a quel momento favorevoli - duna di sabbia formatasi da poco tempo, torrente di lava di origine recente…) avviene secondo un processo chiamato successione primaria. Alcuni esempi sono: isole da poco emerse dal mare per attività vulcanica; cave abbandonate; morene glaciali appena formatesi. Le prime forme di vita che si insediano su queste aree sterili spesso sono i batteri autotrofi, seguiti dai primi organismi eucarioti che colonizzano le rocce, quali licheni e muschi4, che si sviluppano a partire da spore portate dal vento. Il suolo si forma gradualmente con l’accumularsi di sostanze organiche da attività biologica e con la disgregazione della roccia grazie ai fattori chimici e fisici, quindi inizia a formarsi un ambiente più adatto all’insediamento di organismi vegetali come le piante erbacee seguono poi arbusti ed infine alberi, che germoglieranno dai semi trasportati dal vento o dagli animali. Alla fine l’area verrà colonizzata dalle piante che diverranno la forma prevalente di vegetazione della  comunità. Un’associazione ecologica primaria che dal terreno arido porta alla formazione di un bioma può richiedere anche centinaia o migliaia di anni. Se in un’area precedentemente occupata da una comunità stabile (in una situazione di climax) avvengono fenomeni che sconvolgono l’equilibrio, come alcune perturbazioni che distruggono la struttura della comunità lasciando intatto il suolo, si avrà una successione secondaria. Esempi di questo tipo sono: campi coltivati abbandonati, prati arati, foreste abbattute o stagni di recente formazione. In una successione secondaria la velocità di cambiamento è più grande e il tempo necessario per il completamento delle sere è di gran lunga più breve. Le prime piante che colonizzano un terreno agricolo abbandonato sono molte specie erbacee, che si sviluppano dai semi trasportati dal vento o dagli animali e prosperano perché non c’è competizione con altre piante.  Se l’area non subisce incendi e non viene adibita a pascolo in breve tempo iniziano a svilupparsi arbusti che gradualmente sostituiscono le piante erbacee. Infine si assiste all’affermazione di alberi che via via sostituiranno gli arbusti dando origine ad una foresta.
Possiamo definire una successione ecologica in funzione dei seguenti tre parametri:

  • essa è lo svolgimento ordinato di cambiamenti nella comunità. Questi cambiamenti hanno una direzione e sono perciò prevedibili.
  • Risulta dalle perturbazioni apportate all’ambiente fisico dalla comunità.
  • Termina con l’affermarsi di quell’ecosistema che è il più stabile possibile dal punto di vista biologico nel territorio in questione.

È bene ribadire che la successione ecologica è regolata dalla comunità. Infatti ogni complesso di organismi altera il substrato fisico e il microclima ( condizioni locali di temperatura, luce, …), rendendo in tal modo le condizioni favorevoli per un’altra serie di organismi. Se un’area viene modificata da un processo biologico si sviluppa un equilibrio dinamico. Le condizioni geografiche, il clima, il substrato e altri fattori fisici determinano il tipo di specie che entrano a far parte dell’equilibrio dinamico, il tempo necessario per raggiungere l’equilibrio stesso e il grado di stabilità raggiunto. Il processo di successione in se stesso è biologico, non fisico. In pratica l’ambiente fisico determina il tipo di successione, ma non ne è la causa.


 

              Elementi del clima: temperatura, umidità e pressione. Definizione: insieme delle caratteristiche meteorologiche, relative ad uno stato medio dell'atmosfera riconoscibile per tempi che riguardano una determinata regione geografica. Fattori. latitudine, morfologia, natura delle rocce, presenza vegetazione, marittimità....

1              protozoi organismi animali unicellulari

2              Habitat ambiente naturale (spazio fisico) in cui una specie animale o vegetale si trova a vivere. È formato da tutti i biotopi in cui l’organismo è riuscito a stabilire la propria nicchia ecologica

3              Climax stadio di maturità raggiunto dalla vegetazione di una determinata zona. Le condizioni climatiche, biologiche e fisico-geografiche influiscono sulla comunità vegetale, determinando continue modificazioni fino a raggiungere uno stadio di equilibrio, cioè il massimo di staticità consentito dalle condizioni ecologiche.

4              Piante briofite che crescono in terreni umidi, su alberi o rocce in colonie numerose. Piante piuttosto piccole prive di sistema vascolare.

 

Fonte: http://www.giottoulivi.it/studioinrete/scienze_Santoro/ECOLOGIA.doc

sito web: http://www.giottoulivi.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine - Prof Michele Santoro ?

 

Ecologia definizione

 

L’ecologia è la scienza che si occupa dello studio delle relazioni tra gli esseri viventi e il loro ambiente. Ecosistema è  formato dall'insieme degli organismi vegetali e animali che popolano un dato luogo (componente biotica o biocenosi) e dai fattori ambientali (componente abiotica o biotopo). L’ecosistema si considera l’unità fondamentale dei sistemi ecologici e ne rappresenta il primo livello gerarchico, in cui si verifica l’interazione tra fattori abiotici e biotici; a livelli successivi, si trovano il bioma, formato da più ecosistemi, e la biosfera, composta da un insieme di biomi. Popolazione è l’insieme di individui della stessa specie che vivono in un dato luogo. Comunità o biocenosi è l’insieme di popolazioni animali e vegetali che vivono in un dato luogo. Un ecosistema è un sistema aperto dal punto di vista energetico e chiuso dal punto di vista della materia. L’energia fluisce in modo unidirezionale dalla radiazione solare all’ecosistema e viene in parte dissipata sotto forma di calore. La materia, invece, viene continuamente riciclata, essendo utilizzata dagli organismi viventi sia in forma minerale sia in forma organica.
Ciascuna specie, all’interno dell’ecosistema, occupa un determinato habitat, ovvero utilizza alcune delle componenti abiotiche disponibili; rispetto agli altri organismi, svolge una funzione che prende il nome di nicchia ecologica. Comunemente, si usa esplicare questo concetto immaginando che l’habitat di una specie sia il suo “indirizzo” e la nicchia ecologica sia la sua “professione”. Nell’ecosistema, due specie che si trovano nello stesso habitat non possono occupare la stessa nicchia; se ciò si verifica, si instaura un rapporto di competizione. La funzione di un organismo all’interno dell’ecosistema, dunque, può essere differente. Si riconoscono organismi produttori, capaci di svolgere la fotosintesi e di produrre materia organica (autotrofia), e organismi consumatori, incapaci di elaborare sostanza organica e perciò costretti a procurarsela nutrendosi di altri organismi (eterotrofia). I consumatori sono detti primari se si nutrono di produttori (animali erbivori); secondari se predano consumatori primari (animali carnivori); terziari se predano i consumatori secondari e così via. In genere, si dicono superpredatori gli organismi che non vengono predati e che, quindi, “chiudono” la sequenza. Tale insieme di passaggi è detto catena alimentare, perché stabilisce il “chi mangia cosa” dell’ecosistema; in altri termini, la catena alimentare è la sequenza dei rapporti trofici, o nutritivi, tra gli organismi. 
La materia organica derivante dagli organismi morti viene mineralizzata dagli organismi decompositori (funghi, batteri) e ritorna disponibile per l’assorbimento operato dagli organismi produttori. Mentre la materia subisce cicli, l’energia ad ogni livello trofico diminuisce del 90%, dissipata soprattutto come calore. Tale perdita può essere rappresentata graficamente con la piramide dell’energia, una piramide la cui base è occupata dai produttori ed il vertice dai consumatori di grossa taglia. Ogni livello trofico contiene un numero di individui inferiore al precedente.

CICLI    BIOGEOCHIMICI              
La materia viene riciclata. Importanti sono il ciclo del C,dell’N.

Il ciclo del carbonio
Il carbonio ha in natura un ciclo molto lungo: gli animali lo prelevano dalle sostanze organiche  e ne utilizzano una parte per produrre, tramite la respirazione, l'energia che necessita loro per vivere; in questo processo la materia organica (carbonio e idrogeno) si combina con l'ossigeno generando energia, acqua e anidride carbonica (CO2) che viene immessa nell'atmosfera e negli oceani; la CO2 atmosferica e oceanica viene a sua volta utilizzata dai vegetali nel processo inverso rispetto alla respirazione cioè la fotosintesi: qui gli ingredienti sono proprio l'anidride carbonica, l'acqua e l'energia solare e il risultato finale è la materia organica che va a costituire le piante stesse; altro carbonio proveniente dalla fermentazione di materia organica, in determinate condizioni geologiche e in tempi molto lunghi, può subire trasformazioni che lo portano a costituire i combustibili fossili, come petrolio e carbone. Le attività umane tuttavia incidono molto su questo ciclo, infatti l'uomo da un paio di secoli brucia legna e combustibili fossili per le proprie attività producendo CO2 ad un ritmo molto più veloce di quello con cui questa CO2 viene ritrasformata naturalmente in materia vegetale e combustibili fossili. Questa CO2 in eccesso si accumula nell'atmosfera.
Il ciclo dell'azoto. La principale riserva d'azoto è l'atmosfera, La maggior parte degli organismi viventi però non può utilizzare l'azoto atmosferico e quindi questi organismi dipendono dall'azoto contenuto nei minerali del suolo. Pertanto la sua scarsità nel suolo è spesso il principale fattore limitante per la crescita delle piante. Il processo mediante il quale questa limitata quantità circola attraverso gli organismi viventi è detto Ciclo dell'azoto. i suoi tre stadi principali sono:
1) l'ammonificazione   
2) la nitrificazione
3) l'assimilazione

Gran parte dell'azoto presente al suolo deriva dalla decomposizione di sostanze organiche e si trova sotto forma di composti organici come le proteine, amminoacidi ecc... Questi composti vengono spesso demoliti facilmente dagli organismi che vivono al suolo(dai batteri e funghi) A loro volta i microrganismi usano gli amminoacidi per formare le proprie proteine e liberano azoto in eccesso sotto forma di Ammoniaca (NH3) o ione ammonio, Questo processo è detto ammonificazione.

  

 


Alcuni tipi di batteri sono inoltre in grado di ossidare l'ammoniaca o lo ione ammonio; questa ossidazione viene detta nitrificazione, è un processo durante il quale viene liberata energia che viene utilizzata dai batteri come fonte primaria di energia.
Anche se le piante possono utilizzare direttamente lo ione ammonio, il nitrato è la forma in cui la maggior parte dell'azoto passa dal suolo alle radici per questo motivo i batteri hanno un ruolo fondamentale nel riciclaggio dell'azoto. Una volta che i nitrati si trovano all'interno delle cellule vegetali,sono ritrasformati in ione ammonio (assimilazione) e richiede energia, i ioni ammonio formati vengono trasferiti a composti contenenti carbonio per produrre amminoacidi e altri composti organici azotati necessari alla pianta. Alcuni batteri che vivono nel terreno; in assenza di ossigeno scindono i nitrati liberando l' azoto che torna all'atmosfera e utilizzando l'ossigeno per respirare, questo processo è detto denitrificazione.

INTERAZIONI   TRA SPECIE
Gli organismi  stabiliscono interazioni essendo in perenne competizione. Le interazioni possono essere intraspecifiche ed interspecifiche. Le seconde si dividono in: predazione, parassitismo, simbiosi.

  • Predazione= un animale si ciba di un altro di altra specie
  • Parassitismo= una specie vive a spese di un’altra specie
  • Simbiosi= può essere commensalismo e mutualismo
    • commensalismo è l’associazione di due specie di cui solo una è avvantaggiata mentre l’altra né favorita né danneggiata.
    • mutualismo nel caso che entrambi siano avvantaggiati.

 

Fonte: http://www.lilybaeumtest.it/res/site58982/res518235_ECOLOGIA.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

ECOLOGIA

 

L'ecologia (dal greco oikos che vuol dire casa o ambiente) è la disciplina che studia la biosfera, ossia la porzione della Terra in cui è presente la vita e le cui caratteristiche sono determinate dall'interazione degli organismi tra loro e con i fattori abiotici (elementi ambientali indispensabili alla vita come la luce stessa, la composizione chimica dell’atmosfera, le condizioni climatiche, l’umidità, i composti inorganici e organici presenti nel terreno ) .

Unità ecologiche

  • POPOLAZIONE: è l’unità ecologica più piccola che può evolvere, l’ecologia non prende infatti in considerazione il singolo individuo.
  • COMUNITÀ: insieme di popolazioni.
  • ECOSISTEMA: è una comunità in relazione ad un ambiente specifico, ogni comunità è infatti caratterizzata dalla necessità di particolari fattori abiotici.
  • BIOMA: insieme di ecosistemi
  • BIOSFERA: è il livello più ampio a cui si può considerare la vita, è l’insieme di biomi.

Lo studio dell’ecologia si concentra sulle relazioni tra fauna, flora e clima in un determinato ecosistema.

 

Dinamica delle popolazioni

È uno studio che definisce il numero di individui di una data specie che tendono ad abitare un determinato ambiente ( è una tecnica usata anche in socio-economia ). Viene considerato come e in quale numero animali o vegetali riescono a stabilizzarsi in un dato ambiente ( lo studio và condotto in base alla vita media dell’individuo ).
Vengono impiegati dei MODELLI DI CRESCITA che determinano quanti esseri si svilupperanno nel tempo a partire da una coppia di individui. Sull’asse delle ordinate c’è il numero di indivisui, su quello delle ascisse il tempo:

La curva S ( o curva logistica, in rosso sul grafico ) tende ad essere tangente ad una linea k che rappresenta la capacità portante di quel sistema per quanto riguarda quegli individui.
La curva J ( o curva esponenziale, in blu sul grafico ) rappresenta invece lo sviluppo di una popolazione che si riproduce ed ha un aumento degli individui esponenziale; al variare delle condizioni ambientali lo sviluppo smette.
La dinamica delle popolazione si serve anche del TASSO DI ACCRESCIMENTO ( r ) che indica l’accrescimento o la diminuzione del numero di individui di una popolazione ed è dato da:
r = tasso di natalità (% annua) - tasso di mortalità (% annua).
Spesso viene chiamato tasso intrinseco in quanto non è in relazione con fattori ambientali.

 

Strategie di accrescimento

Gli individui si accrescono secondo 2 strategie:

  • STRATEGIA K ( prudente ), caratteristiche di popolazioni che vivono in ecosistemi stabili, il numero di individui è limitato da fattori estrinseci. È tipica di animali di taglia grossa, descritti da una curva di tipo s.
  • STRATEGIA R ( opportunistica ), è tipica di specie che approfittano di determinate condizioni ambientali, favorevoli ma passeggere. Hanno una riproduttività esponenziale, descritta dalla curva j.

Gli animali k hanno grandi dimensioni, una vita lunga, pochi figli e molte cure parentali.
Gli animali r hanno vita breve, molti figli portati da un’ unica gravidanza e non hanno cure parentali.
Vengono chiamate strategie di accrescimento perché il fine ultimo degli animali è trasmettere il più possibile il proprio corredo genetico ai figli (sia con molte cure parentali, sia con un elevato numero di figli).
Esistono curve che caratterizzano la mortalità degli individui in relazione all’età (vedi libro pg 147);
la mortalità è influenzata da cure parentali, probabilità di essere predati e condizione ambientale.

Per costruire modelli demografici vengo utilizzati dei grafici che descrivono le curve delle età in una popolazione. Sono composti da COORTE, fasce di popolazione la cui età varia di 5 anni in 5 anni.

 

Incremento demografico

Commento del grafico a pg 149.
Il primo incremento demografico avvenne nell’8° millennio A.C. dovuto ad un cambiamento fisiologico di abitudini: con la Rivoluzione Agricola la vita diventa sedentaria, cambia l’alimentazione, le donne si sviluppano prima e i periodi di svezzamento si accorciano. L’andamento demografico si stabilizza. Nel ‘600 notiamo un calo dell’incremento a causa della peste bubbonica, seguito poi da una forte ripresa, che arriva fino ai giorni nostri. L’ultimo secolo è caratterizzato da un forte incremento della popolazione portato dal miglioramento delle condizioni igieniche, dalla scoperta del vaccino, e alla crescente industria.

Previsioni per il futuro: ci sono teorie che dicono che la capacità massima della Terra sarà di 10 miliardi, a discapito però delle qualità media di vita. Il problema più grave sarà la gestione dell’energia ( industrializzazione di paesi poveri come l’India).

Interazione biotica
Regola in condizioni naturali l’andamento di una popolazione. Due esempi sono il modello preda-predatore e l’escluzione competitiva, dove vi è l’eliminazione di una specie a discapito di un’altra.

 

 

Biodiversità

Ci dice quante specie animali e vegetali vivono in quell’ambiente. Va intesa in tre modi diversi:

  • B. NUMERICA: numero preciso di specie.
  • B. DI DISTRIBUZIONE: molte specie sono mescolate nello stesso ambiente, la biodiversità è molto grande.
  • B. GENETICA: maggiore è la diversità genica nella popolazione di individui di una determinata specie che vive in una determinata area, maggiore è la fitness evolutiva.

All’interno di una biodiversità ci possono essere dei DOMINANTI ECOLOGICI, ovvero una specie che si trova con più frequenza rispetto alle altre; nella maggior parte dei casi sono piante ad alto fusto (es. barriera corallina à D.E. animale).
Esitarono poi specie chiamate SPECIE CHIAVE DI VOLTA: sono quasi sempre dei predatori e la loro presenta garantisce una maggiore biodiversità e la loro scomparsa produce significativi cambiamenti nella comunità.
Alcune specie chiave di volta sono predatori terminali, ossia specie che predano altre senza essere a loro volta predate da nessuno. Ne sono un esempio le stelle marine Pisaster che vivono nelle zone del basso fondale della costa pacifica; furono condotti degli esperimenti in merito e togliendo la stella marina dalla comunità le specie passarono da 15 ad 8.
Non sempre le specie chiave di volta sono al vertice della catena alimentare e non tutte le comunità ne sono dotate.

 

Relazioni interspecifiche tra specie diverse

Gli organismi di una comunità possono interagire tra loro in molti modi.
Distinguiamo innanzi tutto:

  • relazioni intraspecifiche (tra organismi della stessa specie, come ad esempio due abeti in competizione per lo spazio e per la luce)
  • relazioni interspecifiche (tra organismi appartenenti a specie diverse, come ad esempio una zanzara che succhia il sangue di un mammifero)

Hanno diversi nomi, a seconda che le specie ricevano dal rapporto
-vantaggio (+)
-svantaggio (-)
-non vengano per niente influenzate (0)

Mutualismo+/+    In questo tipo d'interazione le specie coinvolte traggono reciproco vantaggio; l'associazione può essere più o meno stretta, fino a diventare obbligata se le specie non possono più sopravvivere autonomamente.
Pesci pulitori che tolgono i parassiti dai cetacei.
Api che impollinano un fiore (oppure le acacie).
Licheni.
Granchi e lombrichi di sabbia che gli puliscono il guscio.
Predazione +/-   Simile al parassitismo, in queste due relazioni c'è una specie che tra vantaggio e l'altra invece viene danneggiata, la differenza è che il predatore è grande, il parassita è piccolo.
Uccello rapace che mangia un topo.
Balena che mangia il plancton.
Parassitismo +/-   Il parassita usa l’ospite come casa, come incubatrice, a differenza della predazione non ha quindi interesse nell’ucciderlo.
Tenia (verme solitario) nell'intestino umano.
Zecca che succhia il sangue ad un cane.
Malaria, infezione da protesta che lascia in vita l’ospite anche per molto tempo (la malaria si riproduce nell’organismo umano).
Competizione -/-   La competizione interspecifica si ha quando due popolazione si "contendono" la stessa risorsa, ad esempio lo spazio, il cibo, la luce…… Naturalmente, la competizione può esistere anche tra individui della stessa specie. Generalmente la competizione si verifica tra specie che hanno esigenze e modi di vivere simili, quindi, in altre parole nicchie ecologiche e quindi habitat simili; essa può portare:
-alla convivenza delle due specie, se le loro rispettive nicchie sono sufficientemente diverse o anche se proprio come conseguenza della "convivenza" le popolazioni le diversificano, per quanto possibile.
-all'esclusione di una delle due popolazioni, nel caso in cui le nicchie ecologiche e quindi le esigenze siano uguali.
Uccelli appartenenti a due specie diverse che si cibano degli stessi insetti.
Commensalismo +/0    Nel commensalismo una delle due popolazioni riceve vantaggio, mentre l'altra non viene influenzata.
Alga+lichene (lichene avvantaggiato).
Animali necrofogi (avvoltoi, sciacalli).

Esclusione competitiva
La competizione è influenzata da:

  • habitat, caratteristiche tipicamente fisiche di un luogo in cui abitano animali e piante (es. foresta equatoriale), solitamente  equivale ad un ecosistema
  • nicchia, adattamento da parte di un animale o pianta ad un dato luogo

la competizione può essere:
-intraspecifica
-interspecifica
Per competizione intraspecifica si intende la competizione tra individui della medesima specie. Le risorse oggetto di tale competizione possono essere lo spazio, il substrato, il cibo, la luce, il partner riproduttivo o molti altri fattori.
Questa competizione può facilmente instaurarsi quando un essere vivente trova un substrato o un ambiente estremamente idoneo al suo sviluppo e alla sua proliferazione, senza che vi siano turbe esterne (ambientali) o predatori a disturbarlo.
I modi con cui si verifica la competizione interspecifica (cioè tra specie diverse) sono gli stessi della competizione intraspecifica, ma la differenza fondamentale è che la competizione non si ha tra individui che posseggono più o meno le stesse caratteristiche, bensì tra individui che, essendo di specie diverse, hanno differenti caratteristiche di riproduzione, di sopravvivenza e di assunzione delle risorse necessarie per la loro vita.
Sono stati fatti 2 studi sulla comp. Interspecifica:

  1. sul paramecio: la crescita di queste popolazioni di protozoi Paramecium aurelia e P. caudatum fu osservata sia quando ciascuna specie fu posta a vivere da sola sia quando entrambe furono poste a vivere nel medesimo mezzo nutritivo.

Se le due specie sono separate (primo grafico) entrambe si riproducono con successo; se vengono messe insieme prevale aurelia che ha un tasso di riproduzione più elevato.

 

  1. su 2 tipi di lenticchie d’acqua:  la Lemma Gibba, che si riproduce più piano, e la Lemma


Poliryza, che si riproduce più velocemente. In questo caso ad estinguersi è la Lemma Poliryza perché la Gibba ha sacche aeree che la fanno salire e scendere a diversi livelli in acqua permettendole si rubare la luce alle altre lenticchie.

A regolare l’esclusione contribuiscono quindi la velocità di riproduzione e l’utilizzo delle risorse.

 

A volte le specie coesistono in seguito ad una parziale esclusione competitiva: è il caso dei Balani, crostacei provvisti di un nicchio di forma subconica, saldamente attaccato ad un substrato solido. Il guscio è a forma di cono e vive fissato agli scogli marini, alle conchiglie di molluschi, sul legname degli scafi.
Vi sono tipicamente 2 specie di balanidi che occupano le scogliere marine: gli Chthamalus che vivono sulla parte alta, e i Semibalanus che vivono sulla parte bassa della scogliera. Se togliamo i S. noteremo una graduale espansione degli C., al contrario, togliendo C. non vedremo alcun espansione dei S.
Questo accade perschè S. senza acqua si disidrata e muore. Viene quindi fatta una distinzione tra 2 tipi di nicchie:

  • La nicchia fondamentale è la nicchia massima teorica occupata da una popolazione in condizioni ideali, cioè in assenza di competizione e con risorse non limitanti.
  • La nicchia realizzata è invece quella realmente occupata da una popolazione e la cui ampiezza è minore a causa della competizione interspecifica.

Modello delle biogeografia delle isole e successione delle specie

Dopo aver studiato le relazioni inter/intraspecie, gli ecologi hanno elaborato un principio:
“il numero di specie animali in un ecosistema rimane costante nel tempo anche se le specie cambiano”
Per studiare quante specie possono vivere in un ecosistema, quest’ultimo deve essere isolato.
Nel 1960 Milson e MacArthur studiarono le popolazioni di insetti su alcune isole della Florida molto piccole non popolate da altre specie animali. Con un telo di nylon coprirono l’isola e gasarono gli insetti provocandone la morte; studiarono quindi il ripopolamento dell’isola. Videro che il numero di specie raggiunto era uguale al precedente, si tornava ad un equilibrio.
 Il numero delle specie è quindi frutto di un equilibrio dinamico. Nuove specie arrivano, vecchie specie scompaiono, la composizione della fauna e della flora è in continua mutazione ma il numero di specie presenti in ogni dato istante rimane stabile. Il numero di specie all’incirca raddoppia al decuplicarsi dell’area ( effetto area). 

Andamento del tasso di immigrazione di alcune specie e del tasso di estinzione di specie già presenti in un’ipotetica sola isola.

 

 

Per calcolare il numero massimo di specie che possono popolare un dato territorio bisogna sapere quali sono le condizioni ambientali ottimali per tale sviluppo. L’IPOTESI della PERTURBAZIONE INTERMEDIA dice che: se in un ecosistema si verifica con una periodicità né troppo breve, né troppo lunga un cataclisma (incendi, eruzioni…), il numero di specie presenti in tale ecosistema sarà il più alto possibile.
Es: studio sul microsistema dei sassi di battigia.

  • Sassi piccoli → cataclisma frequente: i sassi vengono rivoltati dal mare molto spesso → poco tempo perché si riescano a formare molte specie di alghe sulla loro superficie
  • Sassi grandi → cataclisma quasi assente: l’acqua non riesce a ribaltare i sassi → si forma un maggior numero di specie e il tempo è abbastanza lungo per far sì che avvenga l’esclusione competitiva
  • Sassi di medie dimensioni → cataclisma che si verifica in un tempo intermedio ai precedenti: i sassi vengono ribaltati solo da forti mareggiate → formazione del maggior numero di specie possibili, le alghe non hanno il tempo di attuare l’esclusione competitiva

Per i vegetali è invece diverso, non vale il modello della biogeografia delle isole; si succedono nel tempo sia specie diverse sia il dominante ecologico.
Le successioni vegetali si dividono in:

  • Successione primaria: si colonizza un’area dove non c’è vita (per es. dove c’è un deserto o dove c’è stata una colata di lava)
  • Successione secondaria: si genera su un’area che ospita già vita vegetale ma che ha subito uno stravolgimento (area disboscata o coltivata che poi viene lasciata a sé stessa)

La comunità stabile che si sviluppa al termine di una successione viene detta comunità CLIMAX.

Nella successione primaria compaiono in ordine:
licheni e batteri → disgregazione rocce e decomposizione organica → briofite → piante erbacee → piante arbustive (non ad alto fusto) → piante ad alto fusto.
Uno dei migliori esempi di successione primaria avvenne 200 anni fa in Alaska con il lento ritiro dei ghiacciai si susseguirono:
roccia nuda → specie pioniere: muschi e pri me piante erbacee →  tappeto di dryas (rosa erbacea) e salicacee → ontani abeti → foresta mista → stagni e acquitrini   (vedi figura pg 161)
Dalla foresta si passò agli stagni perchè cominciarono a crescere muschi che assorbivano l’acqua ed a causa della loro presenza il terreno prese ad impregnarsi di umidità . Gli abeti, le cui radici non riuscivano più ad assorbire l’ossigeno di cui avevano bisogno, morirono.

Distinguiamo tre tipi di estinzione:

  • Per inibizione: la specie precedente cerca di non farsi rubare il posto da altre piante
  • Per tolleranza: due o più specie convivono, alla fine una prende il sopravvento
  • Per favoreggiamento: le specie prima preparano il terreno a quelle dopo

 

 

 

 

Flusso energetico in un ecosistema fluviale

 

L’energia che alimenta i sistemi biologici è quella solare, essa viene assorbita per fini metabolici (fotosintesi) solo per il 2-3% e parte di questa viene dissipata in calore: viene chiamata produttività primaria lorda.
Di questo 2-3%, il 50-80% diventa tessuto vegetale 20-50% è impiegato per il mantenimento vitale della pianta.

 

Fonte: http://firemusic.altervista.org/appunti/bio/03-ecologia.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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