La mente del cane

 

 

 

La mente del cane

 

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La mente del cane


Con questo topic vorrei dare inizio ad un serie di post, sia a carattere scientifico che non, riguardanti la mente dei nostri cani.
Ognuno di voi può contribuire con le proprie esperienze e postare tutto quel materiale utile alla comprensione della mente del cane.

Inizierei con una conversazione tratta dal sito di Maurizio Dionigi, noto allevatore di Golden Retrievers

Diamo un'occhiata alla mente del cane...
Se abbiamo avuto la fortuna di vivere l’emozione della nascita di una cucciolata e siamo restati ad osservare in silenzio, certamente avremo ricevuto l’indicazione più esplicita per addentrarci nella mente del cane. Non appena la mamma ha terminato la complessa operazione di liberare il cucciolo dall’involucro ed ha reciso il cordone ombelicale fornendo piena realtà alla nuova esistenza, sistema se stessa in modo funzionale alla nascita successiva spingendo il neonato lontano da sé.
Questo non turba affatto il nuovo arrivato; emettendo suoni più o meno acuti, con il capo oscillante e l’instabilità a cui lo costringono gli arti non soliti al peso del corpo, inizia la caparbia ricerca del capezzolo incurante di tutti gli errori a cui va incontro. Ogni errore di direzione viene prontamente corretto, ogni incertezza superata; a volte ci vuole tempo, ma la ricerca ottiene sempre come premio la prima, indispensabile, poppata. E’ stata dura, ma da questo momento in poi dovunque noi collochiamo il cucciolo, egli si dirigerà con sicurezza verso il capezzolo e gli errori diventeranno sempre di meno sino a sparire completamente.
Ricordiamoci che mentre accade tutto questo il cucciolo è sordo, ha gli occhi chiusi e l’olfatto non è certamente al massimo. Questo è apprendimento; è il primo, fondamentale, entusiasmante apprendimento.
La ricerca del corpo della madre, fonte di calore e di cibo è certamente dovuta all’istinto che in questo caso ha funzione di STIMOLO. L’incerto ma deciso e finalizzato movimento verso la madre rappresenta la RISPOSTA.
Il calore e il latte tiepido sono il RINFORZO.
Il susseguirsi di movimenti sempre più sicuri verso la madre in presenza del medesimo stimolo è indicatore di apprendimento. Se, all’interno della stessa situazione, sostituissimo alla madre un oggetto freddo e al latte un liquido disgustoso, il cui raggiungimento rappresenterebbe una sorta di punizione, il nostro cucciolo, dopo alcune spiacevoli ripetizioni saprebbe in quale direzione non andare.
In questa semplice e primitiva sequenza troviamo l’indicazione fondamentale per comprendere come, in modo completamente naturale, possiamo portare il cane ad apprendere. Partendo dall’ultima affermazione non è difficile ricavare che una punizione può, se impartita efficacemente, far capire qual è il comportamento sbagliato, ma non indicherà mai al cane ciò che va fatto, non gli insegnerà mai qual è la risposta adeguata allo stimolo proposto. Al contrario, un tangibile e ripetuto rinforzo in presenza di una risposta adeguata allo stimolo proposto determina la ripetizione della risposta stessa. E’ questa l’essenza dell’educazione cinofila con metodo naturale.

Quasi mi dimenticavo: come avete visto l’educazione del cucciolo comincia molto prima di quanto spesso si crede, quindi: non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi.

 

Il Cervello e la Mente del cane

Il cervello del cane, come quello umano, immagazzina le informazioni che giungono dal mondo esterno, principalmente attraverso i sensi, e le elabora, in base ad una predisposizione genetica, ma soprattutto in base al vissuto emozionale ed alle esperienze fatte.
La maggiore differenza tra i due cervelli, quello umano e quello canino è la grandezza dei lobi frontali della corteccia cerebrale.
Queste aree del cervello, nell’uomo, sono coinvolte nella funzione intellettuale ( capacità di astrarre, di formulare pensieri,di usare simboli, il linguaggio ecc.), nel cane, queste aree, essendo di dimensioni inferiori non forniscono le capacità sopra menzionate, sono invece deputate alla: prontezza, all’intelligenza, al temperamento del soggetto.
Detto questo vorrei però sottolineare che se sottoponiamo un cane fin da cucciolo a molti stimoli che tendono ad accrescere la sua esperienza, la
sua capacità decisionale, ci troveremo senz’altro davanti ad un cervello con un maggior numero di connessioni sinaptiche, di conseguenza anche più sviluppato in senso fisico.
Da qui l’importanza di un ambiente altamente stimolante per il nostro amico a quattro zampe, il parlargli come se potesse comprendere il nostro linguaggio, per esempio. Pensate che è stato notato che il cervello dei cani meticci è più grande dei cani di razza..forse perché devono affrontare e risolvere più situazioni difficili nella loro vita, fin da piccoli, se vogliono sopravvivere ? E’ in commercio un interessantissimo libro scritto da un veterinario di nome Bruce Fogle dal titolo “La mente del cane” che spiega in modo dettagliato e semplice come nascono i pensieri, le emozioni e l’intelligenza del cane.

fonte: http://lauraannarella.blogspot.com/

Quello che più differenzia il cervello umano da quello del cane è la modesta quantità di massa grigia dell’animale rispetto a quella contenuta nella scatola cranica umana.

Gran parte del cervello del cane riguarda l’attività sensoriale e di riconoscimento, mentre molto poco di esso è usato per l’associazione di idee. Il sistema libico, che governa la sfera del sonno, è in questa specie, ben sviluppato come nella nostra: ciò determina la capacità anche nel cane di sognare e rilassarsi attraverso l’attività cerebrale delle onde beta.

Una cosa curiosa ed interessante è il fatto, che nel cervello del cane, la zona responsabile del senso dell’olfatto abbia un numero di cellule nervose 40 volte superiore a quelle presenti nella stessa zona del cervello umano.

Per capire quanto, ma soprattutto come, è intelligente il cane non basta avere delle nozioni sul funzionamento neurologico del suo cervello. Egli non sarà in grado di capire concetti astratti, ma è sicuramente in grado di fare delle associazioni, tramite le quali apprende.

Il cane apprende tramite le associazioni ed i rinforzi positivi: un esempio storico è quello del cane di Pavlov.

E’ importante sapere anche che i cani non associano eventi separati nel tempo.

Queste sono nozioni FONDAMENTALI soprattutto quando l’uomo si trova a dover insegnare qualcosa all’animale o a sgridarlo.

Per questo i proprietari dovrebbero ricordare sempre che:


non serve a nulla sgridare il cane dopo che egli ha messo in pratica un comportamento a noi sgradito, o lo si trova sul fatto o si indurrà in lui solo un senso di paura nei nostri confronti

solo il rinforzo positivo è educativo per il cane

La mente del cane e gli organi di sensi

Il mondo del cane è un mondo fatto, prima di tutto, di ODORI.

Un cane può essere sordo, cieco o senza un arto e la sua vita sarà pressoché normale, un cane che ha perso per qualsiasi motivo il suo fiuto, sarà un essere menomato.

Gli odori svelano al cane il mondo che lo circonda, gli fanno capire ciò che è stato e ciò che potrebbe essere.

Per un cane annusare un marciapiede è come per un umano leggere un giornale, attraverso le tracce lasciate egli capisce cosa lo circonda: se è un posto nuovo, se ci sono cani in giro o ci sono stati, se altri umani, oltre al suo padrone, sono passati di lì, se c’è un giardino vicino dove poter sporcare, se ci sono altri animali nei paraggi.

Egli è in grado di creare delle proprie categorie attraverso l’olfatto: il suo odore, quello della sua casa, quello di altri umani, quello di altri cani, quello dei gatti, quello del cibo, ecc………

L’acume olfattivo che lo accomuna ha molti degli animali selvatici, si è sviluppato proprio perché indispensabile per la sopravvivenza: il lupo (dal quale il cane deriva) grazie al suo fiuto individua le prede, anche molto lontane, e sa tracciarne gli spostamenti.

L’olfatto guida e governa anche la vita sociale del cane: grazie hai feromoni, lasciati dagli altri membri della sua specie, egli è in grado di capire i vari gradi sociali degli altri, se le femmine sono in estro, se c’è un pericolo imminente, se è possibile ingaggiare una lite.

Gli ambulatori veterinari, per i cani, è come se fossero “tappezzati” di volantini dove c’è scritto “sono stato qui ed ho avuto paura”, “questo posto è pericoloso” ecc………

Per questo i proprietari dovrebbero capire:


quanto è importante l’annusare, senza tirare i guinzagli perché il cane si è trattenuto troppo all’angolo di una strada (a noi non piace essere interrotti durante una lettura particolarmente avvincente o piacevole)

quanto è importante l’esplorare posti nuovi, smettendo di pensare che il giardino di casa sia già abbastanza (a noi non piacerebbe leggere ogni giorno lo stesso quotidiano)

La VISTA del cane è diacromatica: il cane percepisce bene il colore blu e giallo; gli altri colori sono sfumature di questi due. E’ un po’ come se noi umani vedessimo solo bianco e nero, il resto dello spettro dei colori sarebbe percepito come varie sfumature di grigio.

Non è vero quindi che i cani vedono in bianco e nero: percepiscono bene blu e giallo, il resto sono sfumature di questi.

E’ vero invece che la visione diventa migliore con una luce bassa o soffusa (questo perché nell’occhio canino sono presenti in numero maggiore i bastoncelli a scapito dei coni).

L’occhio laterale da la possibilità all’animale di avere un campo visivo più ampio del nostro, a scapito però della visione binoculare (appartenete alla razza umana).

I cani hanno una scarsa risoluzione dei dettagli, mentre riescono molto bene a vedere oggetti in movimento anche ad elevate distanze.



L’UDITO del cane è molto più sviluppato del nostro, tanto che l’animale riesce a sentire suoni (ultrasuoni) che noi non percepiamo. Per questa sua caratteristica egli è usato come guardiano. Una piccola stimolazione uditiva può per lui essere già abbastanza per intimarlo all’attenzione.

Attraverso l’udito il cane è capace di codificare la comunicare con i membri della sua specie.

Anche la taglia influenza questo aspetto: i cani piccoli di solito sono più stimolati dal rumore e per questo reagiscono abbaiando, come delle vere e proprie sentinelle; mentre i cani di grossa mole tendono ad essere meno “rumorosi”, ma più portati alla difesa del territorio.

Usando l’abbaio, l’ululato, il ringhio, l’uggiolio e altre sfumature di vocalizzo importanti egli è in grado di comunicare anche con la nostra specie.

L’abbaio serve soprattutto per allertare, difendere il territorio, identificare, sollecitare il gioco, richiedere attenzione. Questo tipo di vocalizzo è molto soggetto a variazioni riconducibili al cane e ad i rituali che mette in pratica con il suo padrone.

L’ululato serve per mantenere un territorio, localizzare, riconoscersi, coordinare delle attività. Questo tipo di vocalizzazione è più presente degli esemplari allo stato selvatico che non nei cani di casa, anche se alcune razze mantengono l’ululato come comunicazione (es. pastore maremmano, siberian husky, malamute, pastore cecoslovacco, pastore di sarlos).

Il ringhio serve come minaccia aggressiva o di difesa, tranne che nella razza dalmata in cui il mostrare i denti è associato con un aspetto piacevole e ludico (è in uso tra gli umani dire infatti che i dalmata “sorridono”).

L’uggiolio indica spesso dolore, sottomissione, richiesta d’attenzione. Il significato di questo vocalizzo varia molto se a praticarlo è un cucciolo o un adulto: di solito i cuccioli lo praticano più di frequente per chiedere attenzione materna ed umana, mentre cani adulti per esprimere dolore.



Il senso del TATTO è usato dal cane in misura minore, rispetto agli altri sensi. Possiamo immaginare che, come noi usiamo le mani per esplorare e capire il mondo, i cani usino il muso per farsi un idea di ciò che hanno davanti.

Per capire se una pallina è morbida, liscia o dura il cane, invece di prenderla in mano come faremmo noi, la spinge col muso, la pesta con una zampa.

Il pelo veicola il senso del tatto nel cane: egli ha peli speciali (vibrisse, i peli che ha sul muso, tragi, peli dell’orecchio, ciglia) con una maggiore innervazione ed apporto sanguigno che permettono all’animale di captare il mondo circostante.

fonte:psicologiacanina

 

Un'altra bella riflessione sulla mente del cane...

Il cane non concepisce il bene come lo concepiamo noi, il cane ama principalmente chi rispetta, adora il suo capobranco e lo seguirebbe in capo al mondo e si getterebbe nel fuoco per lui.
Il coccolare e baciare è una manifestazione molto umana, anzi per il cane sono dimostrazioni di dominanza e all'inizio nessun cane li accetta, poi col tempo impara anche il linguaggio umano e riesce a capire che quelle manifestazioni non sono pericolose per lui, ma non credere che sia contento di questo, anzi posso dire che si spazientiscono parecchio quando li sbatacchiamo ecc., ma queste nostre manifestazioni hanno un compito ambivalente: dimostrare la nostra umanità e nel contempo sottometterlo (utile per farlo essere un subalterno), perché nel linguaggio canino chinarsi su un cane, mettere la testa vicino, sono tutti segni di dominanza, per questo alcuni cani non abituati ad essere maneggiati in questo senso, quando si avvicina il viso lo deturpano, proprio per "difesa personale"; prova a chinarti su di un cane che non conosci, avrai una brutta sorpresa, per questo quando si incontrano i cani, si deve stare ben eretti, non guardarli negli occhi (segno di sfida), non tentare di accarezzarli, ma rimanere totalmente indifferenti e solo se il cane si avvicina, si deve mettere una mano sotto al naso del cane col palmo rivolto all'insù, per dargli la possibilità di "odorarci" e esolo allora, se il cane ci farà le feste, potremmo ricambiare con una semplice carezza sulla testa, ma se il cane rimane impassibile non si deve prendere alcuna iniziativa. In realtà pensaci bene, la maggior parte di noi, che prende cani li prende per manifestare il proprio amore su di essi, usandoli a nostra insaputa come valvola di scarico per le nostre frustrazioni ed insoddisfazioni; il cane non parla, ti guarda e non ha mai nulla da obiettare, ti ama se sei magro, sei grasso, sei un delinquente, un assassino persino, per il cane non esiste né il bene né il male, così come non si possono definire i cani né buoni né cattivi, sono semplicemente cani, creature meravigliose, enigmatiche, empatiche e piene di mistero, completamente diverse da noi; è questo il lato da amare del cane, la sua diversità, il suo essere istintivo e nello stesso tempo la sua razionalità, il suo bisogno di ordine, di gerarchie, la loro società è perfetta; non ci sono invidie, non ci sono competizioni; il capo è il capo, perché ha meritato di diventare capo, la loro è davvero una società meritocratica, non come la nostra, dove ognuno tenta di fare le scarpe all'altro, dove tutti hanno bisogno di apparire; nella società dei canidi, ognuno ha il suo ruolo: il capobranco, i suoi gregari diretti, le balie, le tate, i cuccioli, i guardiani, gli affiancatori alla caccia, gli abbattitori; ognuno ha il ruolo che gli compete. Quando il cane ci guarda con occhi adoranti, è perché ci rispetta, gli diamo da mangiare, da bere, puliamo i loro bisogni, li curiamo, insomma siamo dei capobranco che provvedono al fabbisogno del branco.

(Fonte : lavocedeglianimali.it)

 

Andando avanti……

 

L’articolo seguente, tratto dal sito adozioni cani, illustra il percorso logico con cui si forma un ragionamento nella mente del cane.

Il Cervello
Il sistema cerebrale del cane è diviso in 3:
Cervello: che controlla apprendimento, emozioni e comportamento;
Cervelletto: che controlla muscoli e movimenti;
Midollo Spinale: che collega il cervello al sistema nervoso;
Come nel nostro caso quindi il cane dispone di una “centrale di controllo” (cervello) perfettamente in grado di esprimere funzioni complesse.

Il Sistema Limbico
Controlla nel cervello la memoria ed il livello di interesse.
L’utilizzo del cane dei propri “5 sensi” è sottilmente differente da quello umano, mentre l’uomo cerca di mantenere tutti e 5 sensi sempre aperti e disponibili il cane si limita spesso ad utilizzarne uno alla volta affinando in particolar modo quello e desensibilizzando vistosamente gli altri.
il sistema limbico regola in pratica l’attribuzione di un interesse ad un determinato stimolo.

Gli Organi di Senso
Gli organi di senso del cane sono un tema piuttosto dibattuto, purtroppo ad oggi le informazioni non sono del tutto complete, questo purtroppo, grazie anche all’impossibilità di creare un termine di paragone completo con quelli dell’uomo.
Si ipotizza addirittura che il cane abbia dei sensi in più o semplicemente piu sviluppati rispetto a quelli dell’uomo.
Atteniamoci a quelli di cui abbiamo un riscontro di base:
Olfatto: Senso principale del cane, di seguito le principali differenze dall’uomo.
Olfatto Umano
- 5 Ricettori Olfattivi
- 50 cm circa di mucosa olfattiva
- Limitatissima memoria olfattiva,
limitata agli odori particolarmente
intensi.

Olfatto Canino
- 220 Ricettori Specifici
- 7 metri quadri di mucosa olfattiva
- Memoria olfattiva sviluppata
al punto di identificare qualsiasi
odore vecchio di sei settimane,
e di permettere il riconoscimento
dopo tre anni.

Udito: Nel cane è molto più potente che nell’uomo, riesce a sentire suoni a distanza quattro volte superiore, percepise inolte diverse gamme in piu, come gli ultrasuoni

Gusto: Nel caso del gusto benchè il cane si dotato di ben novemila papille gustative, contro le nostre millesettecento, il gusto al cane serve a ben poco perchè viene coperto quasi totalmente dall’olfatto.
Di norma i cibi che vengono tenuti in bocca a lungo dal cane sono quelli che ha accettato per compiacerci.

Tatto: Questo senso nel cane è concepito molto diversamente dal nostro, mentre per noi la pelle in senso generico produce piu o meno sensibilmente stimoli per il tatto nel cane questo avviene tramite il pelo, piu specificamente sopracciglia, vibrisse e pelo collocato sotto la mascella.

Vista: Al terzo posto per il cane, è sicuramente al primo nell’uomo a livello di importanza, anche se ben sviluppata non è a livello di quella umana.
Il cane infatti non è in grado di riconoscere una persona dall’altra a 2/3 cento metri se non grazie all’ausilio di altri sensi. questo non significa che il cane sia generalmente “miope” la vera differenza risiede nel grado di definizione. alcuni cani sono capaci di rilevare movimenti anche a più di mille metri di distanza.
Il campo visivo in alcune specie è nettamente superiore 270° contro i nostri 180° ma anche nei cani è una specifica di poche razze.
Per quanto riguarda la vista notturna il cane ci batte sonoramente arrivando quasi ai livelli del gatto.

Uso selettivo dei 5 sensi
Questo sistema di utilizzare i propri sensi viene definito “one track mind” ovvero “mente a una traccia” questo comporta che in fase di utilizzo di un senso gli altri vengono penalizzati per garantire una concentrazione superiore ed un utilizzo più efficace dello stesso.
La capacità di Ragionamento
Come abbiamo visto nei punti precedenti il cervello del cane è simile al nostro, i suoi sensi anche superiori, che sia in grado di fare associazioni di idee lo dimostrano la paura e la possibiltà di addestrarlo, che sono funzioni tipiche del ragionamento, quindi possiamo definire che il cane ragiona, il problema è stabilire in quale misura.
Il cane attinge dai ricordi e dalle proprie esperienze informazioni che mette a frutto per elaborare le proprie strategie di sopravvivenza. un esempio alla portata di tutti è il cane che impara ad aprirsi il cancello da solo.
I suoi meccanismi mentali non sono uguali ai nostri e ovviamente sono molto limitati, ma questo ci porta cmq a capire che il cane non ragiona solo con l’istinto di sopravvivenza o tramite i condizionamenti.
Il cane ha un istinto ed è geneticamente portato a seguirlo, ma poichè sa pensare, per quanto in maniera limitata, è o può essere in grado di controllarsi e non dare libero sfogo al proprio istinto.

I Sentimenti
Il cane prova emozioni che vanno dalla gioia al dolore dall’eccitazione alla disperazione, questo è facile da intuire dato che questo tipo di sensazioni sono legate al sistema nervoso centrale.
I cani sono anche capaci di vivere sensazioni come l’ansia e lo stress. Uno dei casi piu comuni è l’Ansia da Separazione, che si manifesta nel cane con la dilatazione delle pupille, movimenti convulsi, orecchie portate iposizione retratta, rifiuto del cibo, aumento del battito cardiaco, tremore degli arti, minzione.
Attenzione questa non è da confondere con paura o terrore, in quanto malgrado i sintomi siano simili l’ansia non comporta un cosi rempentino cambio di umore. per tenere sotto controllo queste situazioni i veterinari posso addirittura arrivare a prescrivere medicinali antidepresivi.
Durante gli stati d’ansia l’ipofisi secerne corticotropina, un ormone adrenocorticotropo che, insieme all’adrenalina favorisce attenzione e vigilanza.
L’azione dell’adrenalina stimola l’attivazione di particolari centri cerebrali determinando il risveglio, aumento del tono muscolare, aumento dell’attenzione e della sensibilità algli stimoli interni ed esterni, della vivacità di reazione e della capacità di memorizzazione.
L’ormone corticotropina ha un rilascio piu lento nell’organismo ma piu duraturo e funziona come risposta comune agli stati di stress.
Esistono stress di natura differente, come: traumi, emorragie, fratture e malattie, ma esistono anche stress emotivi, particolarmente nelle situazioni di conflitto.
Lo stress nel cane puo essere semplicemente causato da situazioni di noia, esubero di energia inespressa, rapporto conflittuale con il proprietario, uso e abuso della punizione, tecniche di educazione e addestramento che inducono a pressione psicologica.
Lo stress nel cane conduce ad un’aumentata produzione di cortisolo con conseguente possibilità di riduzione delle difese immunitarie.

 

Questo che vi propongo ora è un ottimo saggio della Dott.ssa Maria Chiara Catalani – Medico veterinario e tratta l’etologia e la mente del cane.

Il termine etologia (dal greco ethos e logos che significano rispettivamente «carattere» o «costume» e «ragionamento») indica la moderna disciplina che studia il comportamento animale nel suo ambiente naturale.

Vi consiglio di leggerlo per la chiarezza e la qualità dei contenuti.

ETOLOGIA E MENTE DEL CANE

La convivenza del cane con l’uomo è antichissima ed il tempo trascorso insieme a lui ha fatto sì che la nostra specie sia stata influenzata tanto quanto lo è stata quella canina.
Il cane ha vissuto in diversi modi accanto all’uomo, frequentemente sfruttato per diverse qualità che lo caratterizzano: l’attitudine alla difesa, alla caccia, al riporto, alla ricerca. Qualità, tutte, fondate su caratteristiche tipiche dell’etogramma del cane come la socialità, la tendenza alla collaborazione, la ricerca di appartenenza e partecipazione ad un gruppo composto da co-specifici ma anche dall’uomo.

In Italia i cani da lavoro sono migliaia, divisi in varie categorie in base alla specializzazione: cani di varia utilità (da pastore, da guardia, da difesa, da tartufi ecc.), cani da protezione civile (da soccorso su macerie, da soccorso in superficie, da valanga, da salvataggio in acqua), cani di pubblica utilità (antidroga, antiesplosivo e in genere quelli utilizzati da polizia, carabinieri, guardia di finanza, corpo forestale, polizia penitenziaria, vigili del fuoco), cani da pet therapy e cani da assistenza (per persone non vedenti, per non udenti, per persone diversamente abili), cani da sport.

Il cane così come ha una anatomia che lo caratterizza, ha anche una struttura mentale specie-specifica la cui priorità assoluta è rappresentata dalla ricerca di un gruppo strutturato (o branco) di appartenenza.
Quotidianamente nel rapportarsi con noi, questo animale osserva e ricerca indizi dalla relazione per identificare il proprio ruolo ed il posizionamento rispetto agli altri individui che compongono il gruppo. Tale ricerca avviene in modo naturale e prescinde da qualsiasi forma di violenza, imposizione, prevaricazione da parte dell’altro o sull’altro.
Al contrario, i rapporti tra i membri di un gruppo, per un cane, si fondano sull’individuazione di quei soggetti che risultano propositivi, sicuri, equilibrati, coerenti, chiari, affidabili nell’interazione. E’ a questi individui che ogni cane offre la propria fedele devozione, da questi cerca indicazioni su ciò per cui si lavorerà insieme, con questi prova emozioni positive nell’interazione e non con quelli che si propongono attraverso contatti sporadici o violenti o difficilmente comprensibili.
Per quei soggetti dall’approccio impositivo o violento ogni cane ha sviluppato un ricco codice comunicativo atto a sedare gli animi e di fronte alle manifestazioni aggressive emette dei segnali, detti segnali di pacificazione, per calmare l’interlocutore ed interrompere quei comportamenti preoccupanti di minaccia o di provocazione.

Ogni individuo di questa specie porta con sé la capacità di dialogare anche con l’uomo, pur avendo codici molto differenti dalla nostra specie e spesso il nostro approccio, fatto di molte parole, toni forti, voce alta, minacce, costrizioni fisiche viene interpretato e vissuto dal cane come una vera e propria aggressione, fonte di grande stress e condizione assolutamente sfavorevole per stabilire un rapporto di fiducia e collaborazione, base fondamentale per lavorare insieme.

Si dimentica, troppo spesso, che il cane è diverso dall’uomo, nella sua anatomia e nella configurazione delle sue capacità sensoriali così come nelle sue modalità di comunicazione, apprendimento, elaborazione delle esperienze.

Le capacità sensoriali del cane fanno sì che questo si trovi immerso nel mondo in maniera completamente diversa da quanto accade alla nostra specie e questo è, probabilmente, il più significativo punto di partenza per molte incomprensioni.

La più importante fonte di informazioni, per un cane, proviene dalla percezione olfattiva.
La mucosa nasale è circa 70 volte più estesa rispetto a quella dell’uomo. Ma non è solo questo che rende l’olfatto del cane così sviluppato e fondamentale per sondare il mondo.
Le informazioni raccolte dalla mucosa nasale, infatti, vengono decifrate da un’area cerebrale altamente sviluppata quindi sono fortemente amplificate e valorizzate.
Perciò, la grande capacità olfattiva del cane non dipende esclusivamente da un maggiore sviluppo anatomico dell’organo deputato a tale funzione ma dall’ampiezza e la complessità dell’area cerebrale che presiede alla funzione di elaborazione delle informazioni ricevute.

Nel sistema nervoso centrale, la quantità e la solidità anatomica viene favorita dalla stimolazione precoce e, successivamente, dall’allenamento.
Ciò significa che per sviluppare un “buon fiuto”, il cane ha bisogno di vivere numerose esperienze olfattive, di esplorare differenti contesti, di divertirsi ad allenare questo senso per aumentare la quantità di neuroni che lavorano sull’elaborazione olfattiva, consolidare i collegamenti che si formano tra di essi, sviluppare maggiore attenzione alla ricerca di questi stimoli, provare piacere nel
farlo.
Una vita deprivata delle condizioni minime di benessere, non favorisce né questo né altri aspetti
dello sviluppo del cane.

Perché un individuo, di qualsiasi specie, possa essere nelle condizioni di apprendere, lavorare, socializzare ha la necessità di soddisfare prima i requisiti minimi di benessere.
Questi requisiti comprendono il cibo, che deve essere di ottima qualità e bilanciato, l’acqua di abbeveraggio che deve essere sempre fresca e pulita, i trattamenti antiparassitari, le cure mediche e le profilassi varie, che devono essere costanti, il luogo di vita che deve essere tenuto in condizioni igienicamente ottime, termoregolato, sicuro, non isolato ma abbastanza appartato da offrire tranquillità.
Altri requisiti minimi di benessere etologico riguardano, per il cane, tutti gli accorgimenti correlati
alla socialità di questa specie.

La gestione in box non offre al cane sufficienti occasioni per allenare le sue capacità sensoriali, per realizzare esercizi e giochi che arricchiscano l’area olfattoria del cervello di nuove esperienze e consolidino le conoscenze acquisite. Pertanto, per un cane che vive in box è necessario un allenamento quotidiano di queste capacità, che preveda l’esplorazione di luoghi, persone, oggetti e, non meno importante, che lo arricchisca di esperienze diverse, che verranno vissute ed elaborate col corpo, la mente ma, prima di tutto, “col naso”.

Un altro senso che merita attenzioni è rappresentato dalla vista che, pur essendo al secondo posto nel processo di esplorazione del mondo, è un importante mezzo di esplorazione.
Il cane ha un campo visivo di 270° (contro i nostri 180°) perciò riesce a vedere le immagini prodotte da oggetti o soggetti posizionati dietro/lateralmente alle proprie orecchie.
Il cane, inoltre, ha la possibilità di distinguere oggetti in movimento circa 10 volte meglio dell’uomo.
La ridotta visione binoculare non gli permette, tuttavia, di distinguere bene i contorni di oggetti fermi e vicini e la gamma di colori percepiti è molto differente rispetto alla nostra specie.
La vista è una capacità sensoriale centrale nella comunicazione. Il cane, infatti, mentre raccoglie informazioni olfattive dal soggetto che ha di fronte, osserva attentamente una serie di indizi fondamentali per coglierne intenzioni, stato emotivo, richieste.

Nella comunicazione canina la postura del corpo dell’interlocutore, la velocità e l’intensità dei movimenti, il posizionamento del corpo rispetto a chi osserva, rappresentano la base per la comprensione. Mentre la nostra specie è abituata a dare maggior importanza all’aspetto verbale della comunicazione, nel cane l’aspetto verbale è secondario mentre possono essere significativi tono ed intensità della voce.



L’udito in questa specie è molto sviluppato grazie alle caratteristiche anatomiche dell’orecchio esterno (padiglione mobile, posizionato all’apice e lateralmente nel cranio, corrugazioni cutanee che fungono da amplificatori) e grazie a un’area cerebrale in grado di processare informazioni anche a bassissima intensità sonora oltre che ad alta frequenza (ultrasuoni).
Per il cane il tono ed il volume della voce rappresentano indizi di comunicazione ma spesso risultano eccessivi rispetto all’intensità che la nostra specie è solita utilizzare. L’uomo ha la cattiva abitudine di gridare al cane ciò che desidera, ripeterlo aumentando di volta in volta l’intensità e la durezza del tono.
Questa modalità non aumenta l’efficacia dell’informazione sia perché sgradevole e talvolta paurosa per il cane, sia perché basata su mezzi di comunicazione impropri per la modalità comunicativa canina.
L’efficacia di una richiesta verbale rivolta al cane non dipende, quindi, dall’intensità della voce, dalla minacciosità del tono o dal numero di ripetizioni della stessa ma dall’affiancamento di un linguaggio corporeo adeguato rispetto a ciò che si desidera comunicare.

Gusto e tatto non rappresentano sensi fondamentali nell’esplorazione del mondo se non in particolari momenti dello sviluppo nel cucciolo. Questo, infatti, durante una fase dello sviluppo precoce (fino a circa 1 mese di età) consolida quelle strutture neuronali che costruiranno le potenzialità cognitive e di relazione col mondo.
Una stimolazione tattile dal periodo di sviluppo in poi, quando effettuata con delicatezza, senza costrizioni né manovre dolorose e proporzionata alle caratteristiche fisiche del piccolo, può favorire uno sviluppo equilibrato e ricco del sistema nervoso centrale, oltre a gettare le basi per un rapporto di fiducia con l’uomo.
Il gusto, seppur fondamentale durante tutta la vita del cane per salvaguardarlo dall’assunzione di sostanze nocive, non ha ruoli specifici se non quando viene coinvolto nella esplorazione orale tipica del periodo precoce dello sviluppo (fino a 6 mesi di età).
L’abitudine del cucciolo di mordicchiare, prendere in bocca, masticare e, talvolta, ingerire sostanze non alimentari non è tanto collegata all’eruzione e/o al cambio della dentatura quanto alla necessità di utilizzare gusto (e tatto) per conoscere gli oggetti che incontra, saggiarne la consistenza, il peso, il sapore.
Generalmente, quando non si instaura un circolo vizioso di interruzione da parte del proprietario e di fissazione da parte dell’animale, questo comportamento è destinato a cessare quando i sensi del tatto e del gusto sono stati sperimentati e lasciano posto alla sperimentazione delle capacità fisiche, della coordinazione motoria, dell’esplorazione visiva ed olfattiva del mondo.
Infine, il cane possiede un ulteriore senso sconosciuto alla nostra specie, detto para-olfatto.
Le parti anatomiche coinvolte nell’attivazione del paraolfatto sono: la cavità boccale, quella nasale, l’organo vomero-nasale o di Jacobson e una specifica area cerebrale. Questo senso viene attivato da molecole volatili chiamate feromoni le quali, una volta penetrate nella bocca, attraverso dei canalicoli raggiungono la cavità nasale e da qui, attraverso l’organo vomero-nasale, il cervello. Qui i feromoni agiscono da modulatori del comportamento e sullo stato emozionale.
Il paraolfatto, dunque, non è basato sulla percezione di odori ma sulla azione di sostanze in grado di modificare il comportamento dell’animale. Esistono feromoni emessi durante esperienze che spaventano (feromoni di allarme), quelli utilizzati per il richiamo amoroso (feromoni sessuali) e quelli in grado di tranquillizzare e rassicurare (feromoni di appagamento).
Questo strumento di interazione col mondo è totalmente incomprensibile per l’uomo ma centrale per il cane e causa di notevoli incomprensioni poiché, talvolta, il cane può manifestare comportamenti apparentemente fuori luogo ma concretamente dovuti alla percezione di informazioni che alla nostra specie sfuggono completamente.

Conoscere le differenze sensoriali del cane significa porre le basi per un approccio migliore e più coerente perché fondato sulla consapevolezza di una differente immersione nel mondo.
Tutti i sensi del cane hanno un’efficacia correlata alle caratteristiche specie-specifiche, razza-specifiche e definiscono il suo comportamento tanto quanto l’ambiente di vita durante lo sviluppo e le esperienze vissute durante questa fase di vita.
Conoscere varie esperienze e differenti luoghi, vivere una vita varia e sicura, costruire e vivere un rapporto con l’uomo costante e di fiducia significa, per il cane, sviluppare e consolidare un apparato sensoriale ed un sistema cerebrale assolutamente solidi.

L’adattabilità del cane (così come quella dell’uomo) è fortemente legata a ciò che possiamo chiamare “allenamento mentale” e questo processo dovrebbe essere sempre finalizzato alla stimolazione varia e a complessità crescente sia dell’apparato sensoriale sia del sistema nervoso centrale, esattamente come avviene per ciò che si realizza nell’allenamento fisico.
Questi apparati, infatti, allo stesso modo dell’apparato muscolo-scheletrico, aumentano le proprie capacità funzionali ed il proprio sviluppo in relazione alle occasioni di esercizio, alla richiesta di performance differenziate, al graduale aumento dell’intensità e della difficoltà ma sono anche correlate alla positività o meno della percezione che l’animale ha delle esperienze vissute durante il lavoro.

Un cane che viene coinvolto in uno specifico lavoro (caccia, ricerca, pet therapy, salvataggio, ecc.) non potrà mai offrire il massimo di sé quando gestito in una condizione di privazione.
Tale privazione è riferita ad esperienze sensoriali povere come una vita in box, lunghi periodi di inattività, l’esclusiva esplorazione di luoghi relativi all’uso specifico (campo da caccia, siti di ricerca, ecc.), lo sviluppo comportamentale carente di esperienze di socializzazione e di conoscenza di situazioni ed ambienti vari e incentrata esclusivamente alla preparazione specifica.
Non solo. Anche la privazione riferita all’aspetto sociale è nociva ai fini dello sviluppo di capacità e abilità e ciò può accadere a quei soggetti che vengono affidati in momenti sbagliati dello sviluppo (prima dei 60 giorni di vita) o, al contrario, tardivamente e passando da un ambiente ipostimolante ad uno significativamente differente.
Anche il tipo di relazione che l’animale vive con il conduttore/proprietario ha un’importanza centrale in merito.
Relazioni sporadiche (legate a periodi/giornate di lavoro), coercitive o violente, fondate esclusivamente su interazioni specifiche rispetto alla mansione affidata all’animale, incoerenti rispetto alle sue caratteristiche, influiscono negativamente sulle sue performance, sul suo rendimento, sulla sua adattabilità a differenti contesti.

La mente del cane ha forti capacità di memorizzazione, elaborazione delle informazioni provenienti dall’ambiente e dall’organismo, creazione e modellamento delle rappresentazioni.
Ciò significa che ogni esperienza, anche per il cane, forgia le capacità mentali e crea un ponte di collegamento tra ciò che accade, ciò che viene percepito attraverso il sistema sensoriale, ciò che proviene dalle emozioni, quanto il soggetto ricerca sulla base delle motivazioni.
Il cane, infatti, è caratterizzato da un insieme di motivazioni specifiche che sono forme di orientamento verso il mondo e definiscono ciò che per ogni cane è significativo e che va ricercato
nel mondo e dal mondo.

Tra le tante motivazioni che caratterizzano la specie canina la predatoria, la sillegica (tendenza a raccogliere e portare con sé) e la collaborativa fanno sì che questo sia da sempre l’animale maggiormente sfruttato dall’uomo per la caccia, la ricerca, il salvataggio, la conduzione o la guardia di animali d’allevamento.

Lavorare sull’educazione del cane significa dare sia una cornice all’espressione delle motivazioni, ovvero far sì che queste vengano espresse nei giusti contesti, sia creare un registro di espressione delle motivazioni, ovvero favorire la loro attivazione sul giusto livello, quello che permetta la concentrazione, che sia fondato sulla collaborazione con l’altro, che promuova un vissuto fatto di esperienze positive, che abbia il giusto peso nella rappresentazione che il cane si crea del mondo.

L’addestramento coercitivo, in verità ancora troppo utilizzato, non consente questo processo poiché mette in atto metodi che tendono ad una inibizione comportamentale, alla “potatura” comportamentale e, quindi, all’impoverimento della adattabilità del cane e della sua espressione comportamentale.

Lavorare sull’inibizione e sulla coercizione significa, spesso, esitare in una fissazione comportamentale dell’animale in quanto, in questo modo, si crea uno sbilanciamento dell’assetto motivazionale, facendo prevalere pochissime motivazioni su tutte. Operare per inibire alcune sequenze comportamentali piuttosto che per arricchire le capacità di un soggetto, significa privare il cane di attività che possono essere per lui gratificanti e rendere il lavoro poco divertente o addirittura frustrante per l’animale.

L’esito di un lavoro mal gestito può essere la rinuncia alla collaborazione da parte del cane, una sua fissità comportamentale ed altri problemi comportamentali che talvolta determinano la necessità di rinunciare al lavoro con lui. Un cane “da lavoro” può offrire il massimo di sé solo se stimolato a vivere esperienze numerose, varie e caratterizzate da emozioni positive, dato che solo queste modalità garantiscono l’elaborazione di rappresentazioni del mondo da ricercare e replicare.
Imparare attraverso il gioco, vivendo un rapporto quotidiano con il proprio gruppo, nella vicinanza fisica costante al proprio conduttore/proprietario, senza coercizioni o punizioni fisiche fa sì che il cane sviluppi sicurezza, alleni la propria motivazione collaborativa, affini l’intesa comunicativa con l’uomo, alimenti la propria innata fiducia verso l’uomo. Tutto ciò rende il cane in generale ed il cane “da lavoro”, in particolare, un animale affidabile, sano, equilibrato, capace di imparare sempre meglio a ricoprire il proprio ruolo ed il lavoro al suo fianco non può che essere positivamente influenzato da tutto questo.

Ecco a voi un altro articolo, tratto dalla rivista Focus, riguardante la mente del cane ed in particolare sulla sua astuzia.


Il vostro cane combina disastri ma non riuscite mai a coglierlo sul fatto?
Uno studio inglese spiega fino a che punto sa essere furbo.

Se avete il sospetto che il vostro cane a volte sia più furbo di voi, sappiate che potreste avere ragione. La conferma arriva da uno studio condotto da Shannon Kundey, un’esperta di comportamento animale presso lo Hood College del Maryland, che ha evidenziato la capacità di Fido di agire con scaltrezza valutando le conseguenze dei propri gesti.
La Kudney e i suoi colleghi hanno insegnato a 40 cani a non rubare il cibo lasciato in bella vista su un piatto. Hanno poi offerto agli animali la possibilità di mangiare da due diverse ciotole, una delle quali riempita con rumorose campanelle. Il loro comportamento è stato assolutamente inaspettato.

Se ti becco…
Mentre qualcuno li osservava, i cani mangiavano indifferentemente da uno o dall’altro recipiente, ma quando l’osservatore fingeva disinteresse, per esempio girandosi dall’altra parte, gli animali si servivano della ciotola silenziosa. Secondo gli studiosi ciò significa che i cani sapevano di potersi guadagnare un pasto senza essere scoperti. O anche che -esattamente come i bambini che intingono la mani nella marmellata - anche i cani rubano il cibo cercando di fare meno rumore possibile, per non essere colti sul fatto e, magari, ricevere una punizione. E la motivazione può essere una sola: i cani sono in grado di prevedere cosa penserà il loro padrone nel momento in cui scoprirà la loro "marachella".
Non solo, secondo la Kudney i cani sarebbero in grado di "visualizzare" il modo in cui sono percepiti dagli altri. Significa dunque che sono in grado di elaborare pensieri astratti e complessi? I ricercatori non si sbilanciano, ma secondo Mark Bekoff dell’Università del Colorado, i risultati di questo studio dimostrano come alcune abilità mentali non siano un’esclusiva dell’uomo.

 

Questa  è una bellissima recensione
sul libro "L’identità del cane" di Roberto Marchesini concernente il rapporto uomo-cane e l'incitazione dell'autore a pensare da cane...con la mente del cane!
Leggetelo è davvero piacevole ed interessante.



L'IDENTITA' DEL CANE

Nel suo ultimo libro L’identità del cane Roberto Marchesini si pone nei confronti del cane come un archeologo alla scoperta di un continente inesplorato, inoltrandosi in territori poco battuti per cercare di tracciare nuovi percorsi e di offrire al lettore una nuova prospettiva del rapporto uomo – cane.

Sicuramente un “saggio anomalo” come lo stesso autore lo definisce, questo lavoro vuole essere una specie di provocazione. Lo si intuisce già dalla copertina, in cui Marchesini ci incita a metterci in gioco, ci spinge oltre la “soglia”: a osare l’avventura di un cambio di prospettiva, ad usare tutta la nostra empatia per riuscire a “pensare da cane”.

Nel saggio vengono sviscerati a fondo tutti gli aspetti della relazione uomo–cane, a cominciare da quello che fu il loro primo incontro avvenuto più di centomila anni fa. Ma quello che più interessa l’autore, è la scintilla che questo momento fa scoccare, sono le conseguenze di quell’incontro, è l’idea di animale come partner di cultura, è cercare di capire l’uomo proprio a partire da quell’ incontro, che in un processo di coevoluzione, ha portato entrambe le specie a plasmarsi l’una con l’altra. Per Marchesini noi siamo l’esito di quell’ incontro. Senza il cane sicuramente saremmo stati un’altra cosa : “possiamo ritenere l’alleanza uomo-cane come una vera e propria rivoluzione antropologica, che ha dato vita a un nuovo modo di essere uomo”.

Ed ecco allora che è impossibile comprendere il cane trattandolo solo come una entità biologica a se stante. E’ la relazione, la coniugazione con l’uomo a dare identità al cane, infatti non vi è un solo cane, ma abbiamo tanti cani quante sono state le culture umane. Al punto che se vogliamo veramente incontrare il cane dobbiamo capirlo e annetterlo nella nostra kosmopolis umana anche e soprattutto come entità culturale.

Ma siamo veramente capaci di incontrare il cane? Di forzare le chiusure di specie e di spingerci oltre le colonne d’Ercole? Di avere un rapporto di coniugazione trans-specifica con i nostri animali d’affezione?

Per Marchesini se vogliamo veramente incontrare il cane “dobbiamo porci in un punto eccentrico rispetto alla dimensione antropocentrata e di lì iniziare il viaggio”, solo allora riusciremo a considerare i cani e gli umani come esseri dotati di capacità specifiche di comprensione, e questo avrà anche delle ricadute sulla morale, come osserva Danna Haraway - filosofa del Post-humanesimo - in Compagni di specie, quando afferma: “ il possesso, la proprietà riguardano la reciprocità. Se io ho un cane, il mio cane ha un umano”, e questo lo aveva già capito nel settecento Pierre De Beaumarchais, l’autore delle Nozze di Figaro che aveva fatto incidere sul collare della sua cagnetta: “ Mi chiamo Mademoiselle Follette, Monsier De Beaumarchais mi appartiene”..

La riflessione morale inoltre non può prescindere dal concetto di “alterità”, dove la differenza con l’uomo si trasforma da minorità dell’animale in valore della diversità. Come dice il filosofo Karl Lowith : “ci si può “appropriare” autenticamente di se stessi solo a partire dall’altro, e non a partire dalla “propria” isolata individualità”. E’ solo in quest’ottica, in questo cambio di prospettiva che si riesce a capire che “il cane parla di noi”, e che dare un’identità al cane aiuta a dare un’identità a noi stessi. Scrive Marchesini: “Il cane che vive accanto al proprietario arriva a conoscerlo meglio di quanto lui stesso si conosca”. Sarà per questo che una delle menti più acute del novecento, la scrittrice Gertrude Stein, ha affermato: “Io sono io perché il mio cagnolino mi riconosce”, e non è stato forse Argo l’unico ad aver riconosciuto Ulisse?

I cani ci hanno sempre riconosciuto, e quando l’uomo si è accanito sull’altro uomo fino al punto di disconoscergli la natura umana, è toccato al cane ridare dignità all’uomo. I filosofo Emanuele Levinas, di religione ebraica, internato in un campo di concentramento, si rende conto che agli occhi dei guardiani, ma persino dei passanti, non appartiene più alla specie umana. Poi un cane randagio viene ad unirsi a loro: “ per lui – non c’era alcun dubbio – eravamo uomini ”.

Ma è altrettanto vero che se i cani parlano dei vizi e delle virtù dell’essere umano, le loro sofferenze inevitabilmente diranno delle nostre crudeltà.

L’uomo deve farsi carico delle sue azioni passate e future e iniziare una riflessione etica sulla sua “responsabilità” nei confronti del cane.

Una responsabilità storica o filogenetica, che è quella della domesticazione, Antoine de Saint-Exupery nel Piccolo Principe fa dire alla volpe: ”tu divieni responsabile per sempre di ciò che hai addomesticato”; l’altra ontogenetica dello sviluppo soggettivo, basata sulla consapevolezza che è la relazione quotidiana a formare il singolo individuo: “un cane arriva ad apprendere più cose dal proprietario che da un altro cane”.

Se vogliamo veramente incontrare il cane dobbiamo riuscire a guardarlo con occhi diversi, in un nuovo modo, che vada oltre l’antropomorfizzazione, ossia il raggiungimento per analogia, o la reificazione, avvero la trasformazione in oggetto.

Dobbiamo utilizzare un approccio zooantropologico e considerare il cane come un’entità cognitiva ossia dotato i una mente che gli permette di costruire la propria esperienza nel mondo e non semplicemente di essere esposto al mondo. Solo allora riusciremo a comprendere che “una società senza cani è una società più povera”.
Scriveva Schopenhauer: “non troverei alcuna gioia nel vivere in un mondo dove i cani non esistessero”.

Fonte: Palmerino Masciotta - associazioneamaltea; gruppo Bairo.

 

 

Fonte: http://www.maryscavalierking.com/psicologia/Lamentedelcane.docx

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