Appunti curiosi sugli elementi chimici

 

 

 

Appunti curiosi sugli elementi chimici

 

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Ugo Gabriele Becciani

 

Appunti curiosi sugli elementi chimici,
i loro derivati e su alcuni composti organici

 

Pistoia, 2006

 
  


INTRODUZIONE

La civiltà moderna, con i suoi ritmi frenetici, ci ha fatto dimenticare la storia travagliata degli elementi chimici inorganici e dei composti organici presenti in natura, dei quali ormai sfruttiamo il prodotto finito, senza pensare a tutto quello che sta a monte di esso, e, soprattutto agli studi d’innumerevoli chimici, fisici, medici, farmacisti e biologi che, nel corso dei secoli, a partire dai primordi della storia e, via via, attraverso gli alchimisti medievali, fino agli scienziati dell’era moderna, hanno migliorato, con enormi successi, la vita dell’uomo.
Intendimento di quest’opuscolo è di riportare alcuni flash sulla storia della chimica inorganica, con brevi cenni ad alcuni composti organici (ma mi propongo di fare una ricerca più approfondita sulla chimica organica del passato), che la mia amata docente, Elisa Ghigi, direttore dell’Istituto di Farmacia, ai tempi della mia laurea, seppe raccogliere ed infondere nella mente dei suoi studenti, con tanta precisione e dedizione, e da cui, non mi vergogno a dirlo, ho attinto a piene mani.


ELEMENTI INORGANICI

 

IDROGENO

Per molto tempo si sostenne che Paracelso (1492-1541) aveva scoperto che i metalli, a contatto con gli acidi, sviluppavano un gas. Boyle (1627-1691) scoprì la possibilità di bruciarlo, ma solo Cavendish (1731-1810) lo riconobbe come sostanza unica. Fu Lavoisier (1734-1794) a chiamarlo idrogeno, poiché, per combustione, genera acqua.
Le estrazioni si facevano da alcuni minerali, come la carnallite di Stassfurt ed il salgemma di Wieliczka, oltre che da emanazioni gassose vulcaniche.
Uno dei primi impieghi fu quella di riempire i dirigibili, ma l’idrogeno fu presto sostituito, per l’alta infiammabilità, dall’elio. Fu poi usato per il riscaldamento e l’illuminazione e, in seguito, miscelato all’ossigeno in rapporto di 2 a 1, nella fiamma ossidrica.
Il cannello per la saldatura è costituito da un beccuccio e da un’impugnatura dove avviene la miscelatura del comburente, nel nostro caso l’ossigeno, e del carburante (l’idrogeno). Nelle fiamme etilenica ed acetilenica, i carburanti sono l’etilene e l’acetilene.

 

OSSIGENO

Scoperto, indipendentemente, da C. W. Scheele (1742-1786) e da Priestley (1733-1804), negli anni 1771 e 1772. Più tardi Lavoisier ne studiò le funzioni nella combustione e nella respirazione (1781) e lo chiamò ossigeno, generatore d’acidi.
Durante la guerra del 1915-1918, fu usato, mediante cateterismo rino-faringeo, nelle intossicazioni da aggressivi chimici da guerra. I primordi dell’ossigeno-terapia.
L’ozono, forma allotropica triatomica dell’ossigeno, fu notato nel 1785 da Van Marum, per l’odore caratteristico che si sviluppa dopo i temporali, quando scariche elettriche si sviluppano nell’atmosfera. Scoperto da Schoenbein nel 1840, fu prodotto poi nell’ozonogeno Siemens o Berthelot: due tubi di vetro, uno dentro l’altro, l’esterno ricoperto internamente, e l’interno esternamente, da una lamina di stagno, vengono collegati con i poli di un apparecchio di Ruhmkorff, che trasmette una scarica elettrica oscura e silenziosa.
Si produceva anche per ossigenazione forzata dell’acqua ossigenata.
I primi impieghi furono quelli della disinfezione dell’aria, dell’imbiancamento della paglia e della carta, della decolorazione e deodorazione degli oli, della stagionatura del legno. Infine si usò, nell’industria del vino e dei liquori, come invecchiante, e, in quella dei profumi, come ossidante.
L’acqua pesante, od ossido di deuterio (altro isotopo dell’ossi­geno), fu isolata per la prima volta da H. C. Hurey della Columbia University e da G. N. Lewis dell’Università di California. Più vischiosa di quella ordinaria, fu usata nell’industria, per avere una minore solubilità ed ionizzazione dei sali posti in essa, e per la capacità di diminuire i processi ossidativi. Quest’ultima caratteristica la rende, però, altamente tossica, per cui è caduta in disuso.

 

ACQUA

Considerata nel Medioevo un elemento, soltanto dal 1780 al 1805, per gli studi di Cavendish, Watt, Lavoisier, Gay Lussac e Humboldt, s’avvenne alla definizione della composizione reale, e, nel 1895, alla combinazione ponderale ossigeno/idrogeno (E. W. Morley).
L’acqua ossigenata, scoperta da L. J. Thénard (1774-1857) nel 1818, oltre che come disinfettante, è usata come sbiancante, in varie concentrazioni: Pirozonio, a 166 volumi, pari al 50%; Perneozonio Erba, a 120 volumi, pari al 36%; Peridrol od Ortizon, a 100 volumi, pari al 30%, ecc., per tessuti, pellicce, oli, saponi, paglia, capelli. Ora si usano solo le concentrazioni di 10 vol., pari al 3%, per la disinfezione, di 36 vol. per decolorare i peli e di 130 vol. nell’artigianato e nell’industria.

 

SOLFO

Conosciuto fin dall’antichità, era considerato come un composto acido del flogisto . Solo Lavoisier lo definì come elemento.
Fino al 1850, l’estrazione mineraria, in Sicilia, era fatta nei calcatelli, piccole buche scavate nel suolo in pendio, per fusione del minerale. Con questo sistema la perdita era dei 2/3, ed inoltre si provocava un grave nocumento alla vegetazione ed alla salute pubblica. Dopo quella data, s’introdussero i calcaroni, ma una migliore resa si ebbe soltanto con il forno Gil, un ulteriore superamento tecnologico, che disperde al minimo anidride solforosa nell’aria. Negli Stati uniti, dove il minerale nativo si trova sotto strati sabbiosi e rocciosi, fu ideato da H. Frasch un apparecchio che fonde il solfo, lo emulsiona con acqua e aria e lo spinge, con forte pressione, in superficie, allo stato pressoché puro.
Il solfo di Romagna, mescolato con sostanze bituminose, è estratto per distillazione, facendo uso dei così detti doppioni, apparecchiature che consentono una distillazione di tipo frazionato.
In Svezia si ricava dalle piriti, o dalla miscela Laming, ottenuta, un tempo, come prodotto secondario della purificazione del gas illuminante, ed infine dai residui della fabbricazione della soda (metodo Leblanc).
Fu usato come antiparassitario, vermifugo, nella febbre tifoide, nella dissenteria amebica, nel reumatismo cronico, come depurativo del fegato, in quanto aumenta il tenore di glutatione nell’organismo umano. La pomata solforata fu impiegata, con efficacia, nelle ustioni, particolarmente quelle da acido fluoridrico.
L’idrogeno solforato è presente in natura nelle emanazioni vulcaniche, nelle acque solfidriche e nel gas illuminante, allo stato grezzo. Inoltre in tutte le sostanze organiche solforate in putrefazione, come ad esempio le uova vecchie; nel latte bollito, in tracce.
Si preparava, una volta, conducendo, contemporaneamente, vapori di solfo ed idrogeno, sulla pomice arroventata .
Usato con successo per la distruzione degli insetti nei silos. Il grano viene esposto per 48 ore a 400 g. d’idrogeno solforato per tonnellata. La velocità di germinazione non è ridotta ed il grano può essere consumato senza inconvenienti. Buoni risultati furono ottenuti anche nella distruzione dei funghi parassiti dei cereali.
L’anidride solforosa era nota anche nell’antichità. Il ‘fumo di solfo’ era impiegato per la disinfezione degli ambienti, durante le epidemie di peste. Fu il primo gas usato, in guerra come aggressivo chimico.
Libavius nel 1595 ne fece i primi studi scientifici. Priestley e Lavoisier, fra il 1770 e il 1777, la sintetizzarono e ne studiarono la composizione.
Per la sua azione antibatterica, venne, ed è tuttora impiegata, per impedire i processi fermentativi e putrefattivi della carne, della frutta, dei vini; inoltre, per il potere decolorante, sui tessuti di lana e seta, e per rendere più chiari i gusci delle noci.
E’ posta in commercio, allo stato liquido, in cilindri d’acciaio.
L’acido solfossilico riveste una notevole importanza in tintoria, e nella stampa, sotto forma di sale sodico, combinato con l’aldeide formica (Rongalite), o lo zinco (Decrolina).
L’acido solforico fu preparato, per la prima volta nel VIII secolo da Geber. Basilio Valentino (XV sec.) lo ottenne più puro distillando il solfato ferroso, detto vetriolo verde. Per l’apparenza oleosa fu detto olio di vetriolo o semplicemente vetriolo. Libavio, nel 1595, sostenne l’identicità di vari acidi solforici, ottenuti con diverse reazioni chimiche. A metà del XVIII secolo Cornelio Drebbel lo preparò, industrialmente, dal solfo. J. Roebuck (1718-1794) e Garbett, nel 1746, a Birmingham, introdussero il metodo delle camere di piombo. Il metodo si basa sull’arrostimento dell’anidride solforosa o del solfo in presenza d’ossigeno acqua e anidride nitrosa. Solo dal 1775 al 1795, Lavoisier e Richter ne determinarono la giusta composizione. Libero, si trova in natura nelle acque vulcaniche ed in alcuni fiumi dell’America del Sud, come il Rio Vinagre, o la fonte di Paramo (Nuova Granada). Si trova, in Sicilia, pure nel secreto ghiandolare d’alcune lumache (Doleum galea), e nei corpuscoli sanguigni e nel mantello delle ascidie. L’acido solforico puro non è un buon conduttore, mentre lo è se ben diluito: per questa caratteristica è usato nelle batterie delle auto. Per la sua affinità con l’acqua, è poi usato come disseccante.
Vanno ricordati processi industriali come quello di Nordhausen, piccola città della Germania, nel quale l’acido solforico s’ottiene dal solfato ferroso; e quello catalitico, o di contatto, che parte dall’anidride solforosa, preconizzato dal chimico italiano Piria e introdotto nell’industria da Winkeer (1875), e, con maggior successo, da Knietsch.                                                        
Una sola notizia per l’acido mono-persolforico, o acido di Caro: s’impiegò, in medicina, come ricostituente e stimolante del ricambio.

 

SELENIO

Scoperto da Berzelius nel 1817, nei depositi di scorie delle camere di piombo di Gripsholm. Gassman ne isolò piccole quantità nel tessuto osseo e nell’avorio. Presente nelle acque d’alcu­ni laghi nel Caucaso e dell’Asia Minore: la longevità degli abitanti di quelle regioni, ha portato, recentemente, alla scoperta della sua azione contrastante i radicali liberi, e quindi antitumorale .

 

TELLURIO

Segnalato, per la prima volta, nel 1782, in un minerale aureo, da un ingegnere delle miniere austriache, F. J. Muller, che però lo confuse con l’antimonio. La scoperta definitiva si deve a Klaproth, nel 1798. Presente, anch’esso nelle scorie delle camere di piombo, e nei residui della metallurgia del bismuto e del rame.
Ha azione antidiaforetica, e per questo s’usò, nella sudorazione profusa dei tisici. L’odore agliaceo del fiato e della pelle dei malati, trattati con tellurio, era dovuto ad un suo metabolita, il metiltellururo, eliminato col sudore, la respirazione e gli escrementi.
La facile riducibilità del tellurio fa sì che sia usato come rivelatore di microrganismi, in preparati che non possono essere sterilizzati, per le loro caratteristiche, come sieri, vaccini, prodotti opoterapici: le soluzioni si colorano in rosso e precipitano in nero, se microrganismi sono presenti. Con lo stesso principio si preparano le compresse rivelatrici di placca batterica dei denti e delle gengive (Gosio).

 

CLORO

Scoperto da Schèle (1774), in base alla teoria del flogisto, fu considerato come acido muriatico deflogisticato. Berthollet, nel 1785, ritenne, errando, che fosse un composto ossidato dell’acido cloridrico, già noto, e lo nominò, di conseguenza, acido cloridrico ossidato. Davy lo riconobbe come elemento, nel 1811, e lo chiamò cloro.
Rara la presenza in natura e sempre d’origine vulcanica od organica .
Scheele (1774), Geiger (1830), Mac Dougal e Rawson (1849), Klason (1890) e altri, s’occuparono di diversi processi di sintesi. Vanno ricordati in modi particolare quelli che ottengono cloro puro, in grado di distruggere le sostanze organiche, impiegato, in tossicologia, per la ricerca di metalli o metalloidi velenosi; e l’attuale processo elettrolitico, in uso in Germania (a Grieseim, a Bitterfeld, ecc.) dal 1894.
Del cloro si sfruttano, soprattutto l’azione decolorante (candeggina), quella disinfettante delle acque, da potabilizzare (ad esempio con lo Steridrolo) o di rifiuto, e quella purificante nel processo di fabbricazione della cellulosa.
Citiamo qui i coloranti indantrenici, in grado di resistere all’azione candeggiante del cloro, e quindi usati in tintoria.
Gli alchimisti arabi impiegavano l’acido cloridrico, miscelato con l’acido nitrico per sciogliere l’oro (acqua regia). La miscela s’otteneva distillando assieme nitrato di potassio, cloruro d’ammonio e solfato ferroso. Basilio Valentino, nel XI secolo, lo ottenne, da solfato ferroso e cloruro sodico, allo stato puro, e lo chiamò ‘spiritus salis acidus’. Glauber nel 1648 l’ottenne distillando, invece, cloruro sodico e acido solforico e fu chiamato ‘spiritus fumans Glauberi’. Lavoisier lo definì muriatico (muria = sale). Solo nel 1810, dopo le ricerche di Davy, Gay Lussac e Thénard ne fu stabilita l’esatta composizione.
Metodi recenti di preparazione industriale sono il processo Leblanc, per la fabbricazione della soda, dove s’ottiene come prodotto secondario, ed il metodo Hargreaves, migliorato da Robinson.
Trova impiego per saldature in metallurgia, per purificare il nero animale , in tintoria, ed in farmacia come stimolante della secrezione gastrica, in soluzione acquosa diluitissima.
Un accenno all’anidride ipoclorosa, all’ipocloride o biossido di cloro, all’acido clorico e perclorico, energici ossidanti ed esplosivi, per contatto con sostanze organiche o per urto leggero.
Infine al monocloruro di solfo, che s’impiega con il solfuro di carbonio, nella vulcanizzazione del caucciù e per la fabbricazione dell’iprite (solfuro di beta-cloretile), ben noto gas nervino, dai nefasti usi bellici.

 

Gli aggressivi chimici sono composti che hanno azione fisiologicamente dannosa o letale, impiegati sotto forma di gas in azioni belliche o a scopo intimidatorio.

Vengono classificati in: 1- lacrimogeni (ad es. il cloro-aceto-fenone, il bromo-fenil-aceto-nitrile, la cloro-picrina); 2- starnutatori, come la difenil-cloro-arsina; 3- vescicatori (l’iprite, la lewisite, un derivato dell’arsina); 4- Nervini e vomitatori (alchil-fluoro-fosfati).

 

BROMO

Scoperto da Balard, della Scuola di Montpellier, nelle acque marine. Molti scienziati s’occuparono di esso: Joss, Liebig, Vogel, Berzelius, Delarive, Lowig. Il nome, d’origine greca, significa fetore. E’ presente anche in alcuni molluschi, come la Murex brandaris o la Purpurea lapillus: da questi animaletti gli antichi estraevano il colore porpora (di-bromo indaco). Si può trovare anche nelle ceneri di molte piante, nella soda naturale e nel salgemma.
Fu usato, sotto forma di bromuri, per la depressione della funzione psichica e dei riflessi. Non fu impiegato nell’uso esterno, perché irritante per la cute, gli occhi e le vie respiratorie. Fu preconizzato anche per l’emicrania e per il ronzio delle orecchie, ma con scarsi risultati.

 

IODIO

Fu scoperto, casualmente da B. Courtois, nel 1811, mentre estraeva soda dalle alghe marine. Gay Lussac lo chiamò jodio, per il colore violetto dei suoi vapori.
Molto diffuso nelle acque minerali e del mare ed in minerali come il nitro del Cile, il salgemma di Kainite e di Silvina, la carnallite di Stassfurt, i carboni fossili, le fosforiti, le dolomiti, i calcari, il guano, la malacchite. Combinato con piombo, zinco, argento e mercurio, forma bellissimi e rari minerali. Molte piante acquatiche come le alghe, o altre dei generi Menyanthes, Ranunculus, Oenanthes e Nasturtium , ne contengono in quantità variabili dal 14% a tracce. E’ un metabolita fondamentale della tiroide, e la sua carenza provoca gozzismo.
L’estrazione industriale avveniva principalmente dalle alghe marine, come il Fucus o le Laminarie, e per carbonizzazione delle spugne. Ora si preferisce l’estrazione dal nitro del Cile o del Perù, o dalle acque minerali iodurate, anche se questo metodo presenta la difficoltà di dover trattare grandi quantità d’acqua, per ottener solo piccole quantità di iodio. Adottavano questo metodo gli stabilimenti balneari di Salsomaggiore, di Bagni di Monticelli (PR), di Fratta di Bertinoro (FC). In Russia e negli USA l’estrazione avviene dalle acque che accompagnano il petrolio grezzo.
E’ noto il suo potere disinfettante e microbicida, anche se irritante per la cute. L’uso interno è stato abbandonato (salvo che per il gozzo), per le manifestazioni di iodismo, più o meno grave, cui può portare. Ricordiamo comunque l’ormai storico Artritin (sale d’ammonio dell’acido ipoiodoso), impiegato, un tempo, in luogo dei salicilati, nel reumatismo articolare e nella gotta.

 

FLUORO

Presente in natura allo stato combinato, od incluso in minerali, come, ad esempio, lo smeraldo, fu sintetizzato soltanto nel 1886, dal premio Nobel per la chimica H. Moissan (1852-1907), per le difficoltà pratiche che porta la sua enorme affinità con tutte le sostanze, in particolare, con il vetro degli apparecchi chimici.
Per questa sua caratteristica è preferito ad ogni altra sostanza, per intaccare il vetro (ad esempio, dei termometri), per disgregare i silicati e, nelle smalterie, allo scopo di favorire l’adesi­vità della vernice al metallo. Dotato poi d’azione antisettica marcata, è adoperato per uccidere i fermenti lattici e butirrici dei mosti, poiché, contemporaneamente non si arresta lo sviluppo dei fermenti solubili, la cui diminuzione ridurrebbe la resa alcolica. S’impiega anche come disinfettante delle acque potabili sotto forma di fluoruro d’argento (Tachiolo).
L’acido fluoridrico è più efficace per la smerigliatura del vetro, la placcatura elettrica, la pulizia di pietre e mattoni ed, infine, nelle lavanderie che richiedono una detersione in ambiente acido.

 

I GAS NOBILI

Nel 1895 Lord Rayleigh, mentre studiava la densità dei gas, notò che l’azoto isolato dall’atmosfera, era sempre più pesante che quello preparato in laboratorio. Già 90 anni prima aveva isolato, dai principali componenti l’atmosfera, una frazione definita gas inerte, per la mancata reattività con tutti gli elementi noti. La spettrografia confermò, in seguito l’esistenza di questi gas che Ramsay chiamò, genericamente argon. Tre anni dopo, assieme a Travers scoprì neon, cripto e xeno. L’elio era stato scoperto, invece, 27 anni prima, non sulla terra, bensì durante un esame spettrografico della cromosfera del sole da Janseen e Frankland.
L’elio, come già detto, sostituì presto l’idrogeno negli aeromobili. Fu inoltre sperimentato, con successo, nelle camere iperbariche, per la sua insolubilità nel sangue, a differenza dell’azoto.
L’embolia gassosa dei palombari, colpiva anche, frequentemente, gli operai addetti alla costruzione dei pilastri dei ponti , perché costoro operavano a pressione superiore di quella abituale.
L’elio è, inoltre, un ottimo superconduttore.
Noto l’impiego della luce del neon, nelle lampade, per un minore consumo d’energia elettrica, e per una maggiore penetrabilità della nebbia. Se una scarica elettrica viene portata in un’atmosfera di neon, a pressione ridotta, si manifesta una fiamma brillante, rosso-arancio, che è utilizzata negli avvisatori di pericolo. I fari dei nostri porti sono muniti, appunto, da due lampade, una bianca, fissa, ed una rossa, lampeggiante, entrambe al neon.
L’argon è impiegato sempre nell’industria delle lampade, per la sua inerzia, poiché ritarda l’annerimento dei globi ed assicura una più lunga durata ai filamenti.
Per la scarsa reperibilità, nessun uso pratico hanno xeno e cripto, mentre il radon è impiegato, nella chemioterapia antitumorale, per la sua economicità e per evitare la manipolazione di sali di radio, con eventuali perdite di radioattività.

 

AZOTO

Nel 1772 Rutheford d’Edimburgo, scoprì, nell’aria un costituente che, da solo non consentiva la combustione e la respirazione. Poiché l’aria veniva considerata un elemento, fu chiamato aria flogisticata. Successivi studi di Scheele, Lavoisier e Chaptal (1823), portarono alla denominazione di nitrogeno: generatore di nitro.
L’azoto serve, in medicina, per la cura della tubercolosi con il pneumotorace, e, nella grande industria, per la preparazione di composti, come ad esempio i sali d’ammonio.
L’ammoniaca era nota agli alchimisti, ma solo combinata. Il nome deriva da Ammon, località dell’Africa settentrionale dove s’estraeva il sale da cui derivarla. Altro sistema d’estra­zione, dalle corna di cervo, da cui il sinonimo di ‘spirito di corna di cervo’ (Basilio Valentino).
Allo stato gassoso fu isolata da Priestley (1774), che la chiamò aria alcalina. In seguito fu nominata alcali volatile. La composizione chimica, nota dal 1785, fu definita esattamente da Berthollet nel 1803.
Stimolante, a piccole dosi del sistema nervoso e del centro respiratorio, fu usata per combattere i prodromi dell’ubriachezza (spiritus ammonii anisatus), all’esterno come revulsivo e, tutt’oggi, come neutralizzante delle punture d’insetti, o delle irritazioni di piante urticanti. In veterinaria come eccitante, stomachico e caustico.
Geber (VIII sec.) menziona l’acido nitrico nel “De inventione veritatis”.
Si otteneva per distillazione del salnitro (nitro del Cile), poiché non si trova, in natura, allo stato libero.
Molto usato nell’industria della nitrocellulosa, della nitroglicerina, del tritolo, dell’acido solforico inglese, ricordiamo, fra i derivati, l’aqua regis, già citata, capace di solubilizzare i metalli nobili, resistenti agli acidi isolati.
Il protossido d’azoto fu scoperto nel 1793. Nel 1800, Sir H. Davy, ne scoprì l’effetto esilarante, quando il gas era inalato. Nella seconda metà del ’800. P. Bert (1833-1886) dimostrò che si poteva usare, miscelato con l’ossigeno (4:1) per l’anestesia generale.

 

FOSFORO

Brand, mercante d’Amburgo ed alchimista, nel 1669, alla ricerca della pietra filosofale, distillava il residuo dell’urina, con sabbia ricca di quarzi: scoprì così il fosforo. Da 600-700 l. d’urina se n’ottenevano circa 30 g., che potevano costare fino a 16 ducati.
A Gahn e a Scheele (1769 e 1781) risale la scoperta del fosfato di calcio nelle ossa, ma la natura chimica di quest’elemento si deve agli studi di Lavoisier( 1772-1788). Il nome, portatore di luce, si deve alla caratteristica luminescenza.
In combinazione organica, troviamo il fosforo nella lecitina, nella sostanza nervosa, del tuorlo d’uovo, ecc.. I minerali più diffusi sono la fosforite e l’apatite.
Il fosforo, fregato contro superfici ruvide s’infiamma. Di qui, l’utilizzo, da parte di R. Rottger, nella fabbricazione dei fiammiferi svedesi, ora vietati per l’alta tossicità. Sotto forma di fosfuro di stagno o di rame si usa nella preparazione di un tipo di bronzo.

 

ANTIMONIO

Gli antichi Cinesi e Babilonesi, utilizzavano l’antimonio per tingere le ciglia. Preparato per estrazione dalla stibina, a metà del XV secolo, da Basilio Valentino, monaco benedettino del convento di Saint Pierre ad Erfurth, che ne descrisse le caratteristiche in “Currus triunphalis antimonii”. Il contemporaneo Paracelso ne trattò le proprietà medicinali, creando, fra gli scienziati del tempo, una famosa disputa che durò più di un secolo; in realtà una guerra fra i partigiani della medicina tradizionale e di quella chimica nascente.
In natura si trova anche sotto forma d’anidride o d’altri sali.
Il tartaro emetico (di potassio ed antimonio) è il farmaco più importante, andato in disuso per l’azione troppo lenta, seguita da depressione. Per iniezione endovenosa presentò efficacia nel trattamento del Kala-azar e d’altre malattie parassitarie tropicali. Entra nella composizione di leghe facilmente fusibili e di gran durezza, come la Britannia, l’antifrizione, il similoro e quelle per caratteri tipografici.
Ricordiamo la ‘pulvis angelicus’ o polvere dell’Algarotti e il ‘liquor stibii chlorati’ (tricloruro d’antimonio ed acqua, in proporzioni diverse), caustici energici, impiegati nella fase esterna nel lupus eritematosus. Entrambi furono usati anche per la brunitura dei metalli.
E l’anidride antimoniosa, nota con vari sinonimi: stibium oxidatum album, stibium emeticum, stibium griseum, flores antimonii, bianco d’antimonio; già nota a Dioscoride, Galeno, Plinio Ezio. Berzelius nel 1812 ne stabilì, definitivamente la composizione.
Il vetro d’antimonio, ottenuto fondendo assieme trijoduro e solfuro d’antimonio, fu, a lungo utilizzato nell’industria chimica.
L’antimonio esplosivo è una miscela di tricloruro d’antimonio in antimonio.
Lo stibium sulfuratum crudum è la stibina, già detta, mentre lo stibium sulfuratum rubeum sine oxido stibico è un miscuglio d’antimonio rosso e piroantimoniato di sodio ed era detto kermes . Kermes minerale o di Kluzel ; e pulvis carthusianorum, era invece nominato il kermes con ossido d’antimonio. Nel 1810 il governo francese, riconoscendone l’utilità acquistò il brevetto per la preparazione.
Il fegato d’antimonio è la massa giallo-bruna che s’ottiene per fusione del trisolfuro d’antimonio con carbonato di potassio. Ha la proprietà d’essere solubile in acqua. E’ utile, anch’esso, per la brunitura dei metalli.
Il sulfur auratum stibii, o solfodorato d’antimonio, è un pentasolfuro usato nella vulcanizzazione della gomma.

 

 

Fonte: http://www.ugobecciani.it/libri/appunticuriosi.doc

Sito web : http://www.ugobecciani.it/

Autore: Ugo Becciani

 

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