Fondare gli edifici

 

 

 

Fondare gli edifici

 

Fondare gli edifici: storia e concezione
Umberto Barbisan

Il rapporto con il terreno di fondazione è stato fin dalle origini uno dei luoghi ove riflettere su comportamento strutturale dei manufatti.
Le architetture egizie realizzate su terreni di varia natura, da quelli rocciosi a quelli alluvionali di scarsa resistenza, hanno suggerito diverse soluzioni di strutture fondazionali . Nelle zone di pianura soggette alle annuali inondazioni del Nilo, il problema dei cedimenti differenziati pose in evidenza la necessità di realizzare adeguati allargamenti delle murature sotto il livello del terreno. E’ possibile che l’idea di rastremare all’esterno le murature possa essere stata introdotta nelle regioni alluvionali dell’Egitto, per indirizzare i cedimenti dei terreni verso l’interno dell’edificio.
Viceversa, nelle regioni rocciose un muro o una colonna potevano essere quasi direttamente posati sul terreno. Per esempio, le fondazioni delle colonne della Sala Hypostile a Karnak sono formate da un parallelepipedo di lato pari al diametro della colonna, costituito da quattro corsi di pietra la cui altezza totale è inferiore al raggio della colonna.



- Karnak, sbandamento e fuori esercizio di un pilastro per cedimento delle fondazioni.
Le vicende del crollo della piramide di Meidum (l’ultima a gradoni), voluta da re Huni, dimostrano, ancora notevoli incertezze a riguardo delle opere fondazionali. Il successore di re Huni, Sene¬feru , tentò di rendere geometrica questa pi¬ramide rivestendola con lastre di pietra; il rivestimento esterno, però, franò plausibilmente per difetto di posa in opera o per cedimento della fondazione esterna, quella a sostegno del rivestimento.



- Dettaglio delle fondazioni della piramide di Meidum secondo M. Isler, “On Pyramid Building”, Journal of the American Research Center in Egypt, volume XXII, 1985; si può osservare la differente quota di posa delle fondazioni esterne del rivestimento rispetto a quelle del nucleo centrale a gradoni.
Anche in Mesopotamia si dovettero affrontare problemi fondazionali nella costruzione degli ziggurat, realizzati sui terreni argillosi e palustri e suscettibili di cedimenti differenziati. A Babilonia, la massiccia Porta di Ishtar è costruita su un rilevato sabbioso che distribuiva i carichi su un’ampia superficie, ciononostante, i fianchi dell’edificio hanno punzonato la sabbia, sprofondando per una quindicina di metri .
La tecnica romana sviluppò tutti i principali tipi di fondazione per la diversa varietà di terreni che i costruttori incontrarono nell’espandersi dell’impero. Impiegando fondazioni dirette a gradoni, su archi e pali, i romani diedero l’avvio ad un procedere che in funzione della “mole” dell’edificio e dell’intuitiva consistenza del terreno stabiliva il tipo di fondazione e le proporzioni sulla scorta dell’esperienza acquisita.
Vitruvio quando disquisisce sulle fondazioni afferma: “che la parte sotterra tenga spazio maggiore è più grossa sia che i pareti sopraterra e quelle fondamente siano riempite di sodissime pietre mescolate con calce e arena”; mentre il Barbaro, dopo quindici secoli, alcune righe sotto la traduzione del testo di Vitruvio, commenta :
Sia la parte di sotto più ampia e sia più grossa della superiore imitando la natura delle cose, e specialmente gli alberi, che sono da piedi più grossi che da cima.
Nel Rinascimento i precetti di Leonardo da Vinci sulle fondazioni introducono e importanti osservazioni :
La prima parte neciessarissima è la loro permanetia. Delli fondamenti che ànno le membrificationi componitrici delli templi e altri edifiti pubblici, tal proportione deve essere da profondità a profondità quale è da peso a peso che scaricare si deve sopra essi membri...
Sempre tu devi fare i fondamenti che sportino egualmente fori del carico de lor muri e pilastri ... e se farai come molti fanno cioè di fare uno fondamento d’equale larghezza in sino la superficie della terra e di sopra li danno diseguale carico... la parte del fondamento... perché è piena del pilastro del cantone, più pesa e più spigne in basso il suo fondamento che non fa il muro.


 

            - Sistemi di fondazioni continue secondo G. A. Rusconi, Dell’Architettura... secondo i precetti di Vitruvio, Venezia, 1590.
Sempre nel Rinascimento il veneziano Alvise Cornaro afferma che le fondazioni si facciano “tutte in un tempo” e che poi si “lassino riposare un anno”, concetto che dimostra la conoscenza del problema del cedimento differenziato e il suo smorzamento nel tempo; inoltre Cornaro scrive :
Verrò hora a le regole, et dico che la prima è che li fondamenti, che si fanno sotto terra siano più grossi in fondo, che di sopra, et venir in cima a scarpa cioè facendosi di sopra dove di principia il muro, che deve andar sopra terra, sì che tal fondamenti avanzino, et dentro, et di fuori dalla fabrica secondo la grandezza dell’edificio, et la grossezza delli muri, et sian fondati tal fondamenti o sopra tavole grosse di rovere o di larese, overo sopra pali fitti, come facciam noi a Venetia sopra li canali, et tal fondamenti si dieno reposar fatti un anno perché si assettino, et se dieno calar calano, et non importa molto se la calcina, che si mette in essi fondamenti non è grassa, cioè che habbia troppo sabbione, che come ella ne ha poco si chiama grassa, né se le pietre non sono troppo bagnate non importa, perché non stanno di far buona presa in quella humidità: li muri sopra terra vogliono essere fatti con calcina più grassa et le pietre cotte vogliono esser molto ben bagnate, et tali muri si dieno menar suso tutti ad uno, perché si legano meglio, et se in quella fabbrica vi va volto, o supra le cantine per far Cielo, ed esse, o nel pian, per far il cielo del pian, tal volti debbano esser fatti tutti ad un tempo con il muro, et non si deve lassar li relassi, per farli poi, perché mal si legano bene con li muri.
Andrea Palladio tratta il problema delle fondazioni con essenziale chiarezza; nel I Libro suggerisce, per la valutazione della consistenza dei terreni, di riferirsi ai pozzi e alle cisterne per capirne la sodezza, indica le misure della lunghezza e diametro dei pali in funzione della lunghezza delle murature in elevazione, cioè del peso stabilendo una empirica relazione fra carichi (pesi) e resistenza (pali) . Inoltre precisa :
Si faranno le palificate non solo sotto i muri di fuori, posti sopra i canali, ma anche sotto quelli, che sono fra terra e dividono le fabbriche: perché se si faranno le fondamenta a muri di mezo, diverse da quelle di fuori... i muri di mezo caleranno a basso; e quelli di fuori per essere sopra i pali, non si moveranno: onde tutti i muri verranno ad aprirsi... Il piano della fossa deve essere eguale: acciocché ‘l peso prema ugualmente, e non venendo a’ calare in una parte più che nell’altra, i muri si aprono.



- Fondazioni per plinti collegati da archi secondo G. A. Rusconi, Della architettura... secondo i Precetti di Vitruvio, Venezia, 1590.
Vincenzo Scamozzi rimarca gli aspetti costruttivi “senza approfondire riflessioni teoriche sull’interazione suolostruttura, ma introducendo alcuni concetti di grande rilievo” ; per esempio, quando tratta del costipamento dei terreni in cui consiglia che avvenga in maniera sistematica partendo dalla periferia dell’area delle future fondazioni per arrivare al centro.
Sul finire del Seicento Giovan Battista Spinelli afferma:
Il secondo modo di fondare sopra archi che posano sopra Pilastroni, detti volgarmente Piloni, si prattica né terreni paludosi, e luoghi di terreno poco buono, misto di varie sorti, poco sicuro per fondarvi sopra Fabriche, specialmente di considerazione, riportandosi lontano l’uno dall’altro piedi 10 o più, secondo la longhezza e larghezza della Fabrica. Questi Piloni si devono profondare sin tanto si trovarà il terreno buono, ed in caso disperato, non trovandosi, bisogna supplire al mancamento con piantarvi sotto Agucchie buone fisse, e ben battute, et unite assieme in modo che fra l’una e l’altra non se ne possa piantarne un’altra, e poi sopra farvi il fondamento murato bene come si deve con buona calcina.
In Teofilo Gallacini troviamo un avanzato approccio al problema delle fondazioni. Gallacini inizia le sue argomentazioni trattando il problema dell’analisi del terreno, avvertendo il principale “errore” di considerare il terreno “tutto uguale” in ogni parte interessata dalle opere di fondazione, sia in estensione che in profondità. Dopo una descrizione dei principali “terreni di fondazione”, è posta l’attenzione sui terreni “paludosi” in quanto “essendoci molta umidità, il terreno cederebbe al peso delle murature”; rimedio essenziale in questi casi rimangono le palificate e sovrastante zatterone. In generale Gallacini ritiene migliori le fondazioni a platea in quanto si presentano “corpo unito e resistente”, mentre le fondazioni continue nastriformi sono ritenute sicure se “profonde e ferrate”, o se realizzate ad “archi”. Suggestiva è l’immagine delle “fondazioni su nave” per fondare pile nel fondo dei fiumi o “in mare”, sistema che anticipa le fondazioni “a cassoni autoaffondanti”, utilizzate per la costruzione dei grandi ponti ottocenteschi.



- “Angoli ingrossati” di murature e fondazione “autoaffondante” secondo T. Gallacini, Trattato sopra gli errori degli architetti..., Venezia, 1767.
Nel Settecento il tema delle fondazioni si intreccia con quello dei muri di sostegno delle terre, questione delineata da Bernard Forest de Belidor ne La science des ingénieurs dans la conduite des travaux de fortification et d’architecture civile, pubblicato a Parigi nel 1729. Belidor partendo dall’osservazione del comportamento del cuneo sul piano inclinato, traccia una metodologia per valutare la spinta delle terre e quindi applica l’equilibrio fra il momento “ribaltante”, originato dalla spinta del terreno, e quello “stabilizzante” derivato dalla massa della muratura.
Il problema dei muri di sostegno è quindi perfezionato da Charles De Coulomb che nel 1773 presenta all’Accadémie Royale des Sciences una memoria in cui sviluppa il modello di de Belidor introducendo la valutazione dell’attrito del terreno.
Lo studio della spinta delle terre e il problema dell’equilibrio al ribaltamento dei muri di sostegno divenne importante riferimento anche per la conoscenza del comportamento delle strutture di fondazione soggette a carichi non assiali.

 


- Fondazioni su pali secondo G. B. Amico, L’architetto prattico, Palermo, 1726.
Con Gustav Adolph Breymann e altri coevi autori dell’Ottocento si concretizza la valutazione delle opere di fondazione in termini di equilibrio fra il carico verticale e reazione del terreno. Breymann sviluppa questo approccio iniziando la trattazione di fondazioni elementari per giungere alle fondazioni di murature sottoposte a carichi laterali, imponendo che il “momento rovesciante” sia inferiore al “momento statico” della muratura, analogamente a quanto fatto per i muri di sostegno. Sempre preciso nei calcoli, Breymann applica con chiarezza i principi della scienza delle costruzioni sfruttandoli per dimensionare le fondazioni. Il problema dei plinti è risolto con l’applicazione della formula della compressione assiale, ponendo però sempre in evidenza il problema della pressoflessione. Per l’altezza delle riseghe di una fondazione nastriforme in muratura Breymann suggerisce la semplice regola :
h = da 1 a 3 volte d
Il calcolo delle dimensioni delle opere di fondazione si sviluppa in maniera ragguardevole attorno alla metà del Novecento ad opera di autori come Terzaghi, Kogler, Caquot, Mayer, Cestelli Guidi, Croce, Pozzati etc., per citare i nomi più noti , rendendo la geotecnica una disciplina fra le più recenti del settore delle costruzioni.
L’analisi del terreno di fondazione ha quindi abbandonato la veste empirica per assumere la fisionomia d’autonoma disciplina con una solida base teorica anche se i terreni presentano fattori non valutabili in maniera deterministica.
La diffusione del calcestruzzo armato ha rappresentato una completa innovazione nelle opere di fondazione facendo progressivamente abbandonare le fondazioni in muratura, tanto che la trattazione delle regole e principi per il dimensionamento di queste sono scomparsi nella manualistica tecnica più recente.
Per quanto riguarda le fondazioni su pali le prime testimonianze risalgono all’Età del Bronzo; in particolare le scoperte archeologiche compiute a Glastonbury (Gb) dimostrano l’esistenza di palificazioni formate da pali d’ontano, betulla e quercia del diametro di 8-20 cm, infissi a distanza di 15-40 cm gli uni dagli altri.
La consapevolezza del funzionamento delle fondazioni su pali si concretizza in epoca romana; Vitruvio, infatti, ricorda :
Ma s’egli non si trova il sodo, che il suolo sia mosso, overo palustre, all’hora quel luogo si deve cavare e votare e con pali d’Alno, o di Olivo, o di Rovere arsicciati conficcare, e con le macchine fatte a questo proposito siano battute le palificate spessissime e gli spacij che sono tra i pali siano empiti di carboni e le fondamenta siano empite di sodissime murature.
Il commento al testo di Vitruvio compiuto da Daniele Barbaro precisa :
Sia la palificata più grossa del muro il doppio: i pali spessissimi et grossi per la lunghezza loro la duodecima parte, ne corti meno dell’ottova; ne luoghi d’acqua sortiva per più sicurtà si fonda a volti sopra pali.
Documentazioni di opere di fondazione su pali le troviamo nel IX-X secolo; per esempio a Venezia sono utilizzate per la primitiva torre del campanile di S. Marco; è noto l’utilizzo di fondazioni su pali per la ricostruzione della cattedrale di Winchester (circa 1079).
L’uso dei pali si trova quindi frequentemente nelle strutture di fondazione delle pile e delle spalle dei ponti e degli acquedotti. L’originario Ponte di Londra, XII secolo, era “sostenuto” da una serie di pali infissi nel fondale del fiume, da cui si ergevano le pile.
Vincenzo Scamozzi descrive le principali regole delle fondazioni su pali. Scamozzi specifica le specie legnose più
idonee per realizzare pali di fondazione, fra cui suggerisce il “rovo”, la quercia, l’olmo, il frassino e il castagno, in quanto ritenuti “molto soddi, densi e nerbosi”, in mancanza di queste specie propone il larice, il noce o il faggio. Quindi avverte di non utilizzare legname fresco appena tagliato. Scamozzi quindi analizza i problemi statici del palo, ricordando che pali troppo sottili “quando troveranno qualche poco di terreno cretoso, duro, e soddo, non haveranno ne fermezza ne forza alcuna da poterli passare; anzi al colpo del battipalo si torceranno e piegheranno”. Inoltre, propone di utilizzare tre tipologie di palo: pali “grandi, mezani e piccioli”, i primi infissi con battipalo fino a raggiungere il terreno “soddo”, i secondi più corti e gli ultimi infissi negli interstizi per realizzare il costipamento, individuando quindi i due sistemi di comportamento del palo: resistenza di punta rispetto a strati di terreno “sodo” e resistenza per attrito laterale.



- Macchina battipalo secondo G. A. Rusconi, Dell’Architettura... secondo i precetti di Vitruvio, Venezia, 1590.
L’uso dei pali si diffonde ampiamente nel Rinascimento; per esempio ad Amsterdam si avvia la consuetudine dell’abbandono delle fondazioni a solo zatterone in legno per quelle con preventiva infissione di pali in legno di circa 20 cm di diametro e lunghezze non superiori ai 3 metri, dimensioni aumentate nel Seicento.
Nel costruito veneziano l’uso dei pali si consolida nel XV secolo. Comunque non tutti gli edifici veneziani sono palificati; esistono, infatti, esempi, come la fac¬ciata del Palazzo Ducale, o di buona parte dell’edificato minore, rea¬lizzati con fondazioni dirette senza pali. In genere le palificate sono presenti soprattutto nelle facciate prospicienti i canali, nelle fondazioni dei ponti di maggiore dimen¬sione, negli edifici religiosi più grandi e nei campanili.



- Studio per fondazione risalente alla fine del XVII secolo. Si osservano il sistema di fondazioni su pali, lo zatterone in legno, si comprende come le fondazioni su pali siano previste solo nella facciata.
A Venezia i pali erano battuti manualmente fino al Cinque-Seicento quando si diffusero le macchine battipalo, prima essenziali strumenti a bilanciere, poi a incastellatura con maglio sollevato e lasciato ricadere sulla testa del palo. Generalmente s’inserivano circa nove o dieci pali per metro quadro e si verificava empiricamente la resistenza quando, finita la fase di evidente penetrazione nel terreno, il palo non mostrava ulteriori abbassamenti dopo una cin¬quantina di colpi. Sopra i pali si sistemava uno strato singolo o doppio di tavoloni, per ottenere lo zatterone su cui edificare le tradizionali fondazioni in muratura.



- I “battipalo”, acquerello di Giovanni Grevembroch, XVIII secolo. I pali erano battuti fino a che non subivano ulteriori abbassamenti per un’altra cinquantina di colpi di maglio.
Lo sviluppo dei mezzi meccanici di battitura è perfezionato nel Settecento. Bernard Forest de Belidor apporta miglioramenti nei meccanismi e nei sistemi di controllo della caduta del maglio. Con la diffusione della macchina a vapore l’efficienza delle macchine battipalo aumenta ponendo in evidenza i limiti dei pali in legno che in presenza di strati di terreno più consistente deviavano il loro percorso fino a giungere alla rottura.



- Macchina battipalo secondo G. Valadier, Manuale di Architettura pratica, Roma, 1839. Macchine battipalo secondo B. F. de Belidor, Architecture Hydraulique, Parigi, 1737.


L’uso dei pali in legno permane anche quando s’inizia la diffusione dei pali in calcestruzzo armato introdotti nel 1897 da François Hennebique. Per esempio, buona parte delle grandi costruzioni statunitensi, fino alla fine degli anni Venti del Novecento, avevano palificazioni in legno; edifici di ingente mole come la Southern Railroad e la Chamber of Commerce Building di Boston, la Public Library di Chicago, l’Irvin Building di New York o i Government Graving Docks di Brooklyn, furono realizzati con fondazioni su pali in legno.
Le regole di calcolo di dimensionamento dei pali si diffondono sul finire dell’Ottocento, inizialmente basate sull’applicazione della formula della compressione; procedimento che non teneva in considerazione l’attrito laterale offerto dai pali, presumendo sempre l’appoggio della punta del palo su strati resistenti di terreno. I procedimenti per la valutazione dell’attrito laterale sono introdotte attorno agli anni Venti del Novecento per svilupparsi successivamente ad opera di autori come Terzaghi, Kogler, Caquot, Mayer, etc.



I pali in calcestruzzo armato sono introdotti da Hennebique nel 1887, mentre i primi pali in calcestruzzo armato precompresso, anche se non immediatamente utilizzati per opere di fondazione, si devono a Eugene Freyssinet che li brevetta nel 1928. Dopo le prime proposte di pali per fondazione a sezione quadrangolare costante e quindi poligonale costante (Considére e Zublin), i pali in calcestruzzo armato prefabbricati si sono attestati sulla forma leggermente troncoconica in modo da migliorare la resistenza per attrito laterale con il terreno.
Le varie formulazioni dinamiche proposte per il dimensionamento e verifica dei pali sono state approntate sulla base dell’ipotesi di Newton sull’urto di due corpi, in questo caso fra il maglio e il palo, da cui sono derivate diverse metodologie come la formula di Redtenbacher, 1859, quella di J. A. Eytelwein, 1820, di Brix, formula olandese, formula danese, formula di Goodrich, di Vierendel, di Rankine, di Stern, di Kreuter, di Krapf, di Wellington, di Hiley, di Terzaghi, Mc Kay, di Crandall, e di Janbu; cui si associano le numerose sperimentazioni di Caquot e Kerisel, Terzaghi, Sorensen e Hansen, Meyerhof, Mohan e Kumar, etc.
La varietà di procedimenti elaborati pone in evidenza l’incertezza della metodologia di calcolo fondata sull’applicazione del principio di Newton valido solo per corpi liberi di muoversi e indeformabili; in realtà il comportamento di un palo infisso per battitura nel terreno ha un comportamento più complesso. Anche l’analisi statica è stata oggetto di diverse interpretazioni che hanno generato diverse metodologie di calcolo: formula di Benabenq, Vierendel, Dorr, Mayer, Caquot e Kerisel, Terzaghi, Meyerhof, Berezantev, etc., evidenziando, anche in questo caso, la necessità di una approccio probabilistico.

 

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