Borromini Francesco vita opere

 

 

 

Borromini Francesco vita opere

 

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FRANCESCO BORROMINI

 

Rappresenta l'antitesi dialettica del concetto di architettura e storia del Bernini.
Tutto quello che nel Bernini era stato certezza, per Borromini é dubbio ed inquietudine, dovuto ad una più profonda cognizione dello svilupparsi di una evoluzione in campo artistico e di una più entusiastica partecipazione ad essa.


Per la prima volta nel Barocco, l'esigenza estetica e quella morale, tentano di coincidere. Senza Borromini non ci sarebbe stato mai il salto da parte del Barocco al di là del piacere estetico e di un esame puramente contemplativo della realtà; in lui avviene la rivalutazione dell'artigianato in quanto tale é la sua origine, essendosi formato nelle botteghe dei maestri lombardi, lontano dal mondo delle corti e vicino invece alla pura attività manuale dell'uomo.
La prima arma del Borromini é la polemica che egli usa ad esempio nei confronti di chi vede l'architettura con timore e non si lascia continuamente coinvolgere dalle innovazioni del tempo.


Il rimprovero a Bernini e a Pietro da Cortona é soprattutto quello di non aver completamente superato il Manierismo (non avendo capito che il Manierismo era stato un superamento inconscio del classicismo e che non aveva portato regole nuove).
Per Borromini lo spazio é la base dell'architettura e la ricerca su di esso viene fatta, coerentemente, dalla prima all'ultima opera, rimproverando, nuovamente il Bernini di averla abbandonata dopo la fine dell'esecuzione del baldacchino di S.Pietro. Non é più sufficiente valutare l'architettura attraverso il vaglio dello sguardo, cogliendo i rapporti di vicinanza e lontananza tra le parti o le interrelazioni tra i vari elementi compositivi di una architettura; bisogna ricercare un metodo che consenta di lavorare sullo spazio con le stesse certezze con cui il Brunelleschi lavorava sui volumi o sulle strutture, basandosi su dei parametri classici.
Ma lo spazio per Borromini non é una realtà astrattamente geometrizzabile; é piuttosto qualcosa di soggettivo che richiede sperimentazione continua. Le sue prime ricerche sono sull'apporto delle linee curve nella creazione dello spazio in continua contrazione e dilatazione.


La seconda ricerca fondamentale è sulla luce, in quanto garantisce l'effetto di profondità necessario a modellare lo spazio.
Riprende da Bernini l'uso di fori della struttura,in quanto necessari ad introdurre la luce, ma non li mette più in relazione con delle visioni privilegiate di scultura. Già il Maderno aveva impostato delle ricerche sull'uso prospettico della luce e il Borromini inizia la sua ricerca da questo punto, in quanto si sentiva profondamente legato a tutta la cultura lombarda, dove per cultura lombarda si intende anche la tradizione gotica-lombarda che ritroviamo nell'uso frequente di linee spezzate,nelle decorazioni a forma triangolare riconducibili al gotico fiorito. Sono proprio questi inconsueti riferimenti a dare la misura del nuovo modo di accostarsi alla tradizione, vera necessità per il rinnovamento della cultura romana che era sempre molto rigida nei confronti dei modelli classici. Per Borromini la storia é soprattutto una successione di esperienze da non schematizzare in una semplice distinzione tra bene e male.


Chiaramente il riferimento al gotico é molto polemico, in quanto non bisogna dimenticare che fino alle grandi rivalutazioni medievali dell'ottocento, il medioevo sarà considerato un periodo di oscurantismo dopo il fulgore classico.
Conoscere bene il Medio Evo, significava allora soprattutto aver scoperto che, come c'é continuità tra i fatti storici, altrettanto é riscontrabile nei fatti artistici.
A Roma l'architettura barocca diventa un fenomeno di massa, ma all'interno di questo fenomeno, Borromini rimarrà sempre un isolato, un caso particolare, tant’è vero che per un lungo periodo, stabilito che i canoni dell'architettura barocca ufficiali erano diversi da quelli del Borromini, egli fu considerato addirittura un antibarocco.
In realtà egli ha tutte le caratteristiche, non solo per rientrare nel periodo, ma per esserne anche il portavoce più caratteristico, per la forte carica rivoluzionaria, per la profonda coscienza storica, per l'imitazione strutturale continua della natura, per il gusto dell'artificio, per la passione, per i simboli, per il culto dell'infinito.
Usa fin dal principio la materia e la luce come fossero elementi sullo stesso piano, cioè gioca con la luce come fosse un materiale e con i materiali come fossero luce.
Rispetto a Bernini, egli ha una maggiore coscienza oltre che delle grandi tradizioni storiche, anche di quelle minori e più recenti. Inoltre é attento alle produzioni contemporanee e preoccupato di non perdere contatto con la realtà che lo circonda. La sua é una ricerca di organicità non solo limitata alle forme, ma estesa alla storia, comprendendo in questo modo un concetto fondamentale per i secoli successivi, che ä quello della non esistenza di periodi negativi alternati a periodi positivi: è da questo che ha origine la divulgazione del suo linguaggio in Europa, dovuta a questa compresenza di cultura romana,lombarda, tradizione gotica, antichità classica. Il grande divulgatore delle sue concezioni nell'Italia settentrionale sarà il Guarini, che costituirà a Torino il secondo grande centro del Barocco.
Il Borromini inizia a lavorare nello studio del Maderno, dove compie un vero e proprio tirocinio come disegnatore. Fin dall'inizio é chiaro il suo apporto: dapprima elementi decorativi secondari fino ad elementi sempre più determinanti.


Nel progetto di Palazzo Barberini ä difficile stabilire il contributo dato dal Borromini, anche perché egli aveva una concezione abbastanza conservatrice del palazzo gentilizio, contrariamente all'apertura che dimostra nel campo dell'architettura religiosa.
Ci sono alcuni punti che testimoniano con sicurezza il suo intervento: le porte del salone centrale, la scala a chiocciola, le finestre ai lati del loggiato e le finestre ai lati del prospetto posteriore. Particolarmente nella scala a chiocciola compie un'invenzione nella ricerca di una balaustra che si schiaccerà salendo verso l'alto in un processo che si chiamerà ANAMORFOSI. Le colonnine appaiono sempre più basse, come se fossero state soggette ad una pressione. Per Borromini si tratta di un esperimento sulla deformazione provocata sulle forme come le spirali (questo si riscontrerà spesso in tutta la carriera di Borromini). Egli disegna all'ultimo piano del Palazzo, delle finestre quadrate dove introdurrà un elemento che diventerà tipico del Barocco: la conchiglia inserita nel mezzo del timpano e collegata ad esso attraverso forme morbidamente tondeggianti. La prima vera partecipazione ad un'opera fondamentale del Barocco, avviene quando si richiede il suo contributo da parte del Bernini in S.Pietro. è infatti del Borromini la scelta di concludere il "baldacchino" non attraverso due archi incrociati, ma attraverso volute a dorso di delfino, che favoriscono l'innalzarsi lieve verso l'alto del "baldacchino". In questa opera di trasfigurazione delle forme naturalistiche in quelle architettoniche, é evidente l'esigenza di trovare nell'architettura quei caratteri di mutevolezza e metamorfosi continua e di dinamismo che diventeranno tipici nell'architettura barocca. (Ben diversa dall'esigenza di tipo scultoreo che caratterizza il Bernini).
La prima grande opera è il S. Carlo alle Quattro Fontane in cui appare completamente matura la sua concezione architettonica.

 

L'organismo é costituito da una chiesa e da un convento basato sul programma psicologico di creare un contrasto tra semplicità funzionale nelle varie parti riservate alla comunità religiosa, e la chiesa che si deve evidenziare come un episodio di qualificazione architettonica, affinché l'osservatore si trovi improvvisamente in una atmosfera magica ed evidentemente artificiale che ä il luogo del culto. Il convento ed il chiostro trovano la loro espressione nell'esigenza di unire prezzi non molto elevati con qualificazione formale e sapiente legame tra le varie parti, unite tra loro in un modo solo fisico, ma anche ideale, raccogliendo nello stesso luogo i vari elementi di una gerarchia religiosa.


Borromini fa un profondo recupero delle tradizioni artigianali, elevandole però a livello di opera unica, attraverso i contrasti tra le diverse parti. Ad es. la facciata sul giardino é divisa in tre parti che rispecchiano dall'esterno le varie funzioni interne, con una distinzione tra le funzioni private e quelle pubbliche, distribuite in tre piani-. Nel chiostro il Borromini si trova vincolato da uno spazio limitato, e questo si trasforma in stimolo positivo. L'obbiettivo ä quello di trovare un'immagine basata sull'uso di toni molto elevati. Egli crea con questo scopo uno spazio chiuso ottagonale di colonne binate, creando una cortina di confini non ben delimitati, in cui esterno ed interno dei porticati giocano dialetticamente tra di loro attraverso la luce e l'ombra. E' chiara qui l'intenzione di modellare lo spazio sia nell'uso della pianta ottagonale, sia nella terminazione di questa con una volta anulare. Operazione architettonica di estrema difficoltà in quanto forme rettilinee dovranno legarsi a forme curve ed il risultato rimane forse unico nella storia. Le colonne sono disegnate in modo completamente nuovo, in quanto al posto del capitello hanno una modanatura che le lega tra loro, iniziando morbidamente questa tendenza unificatrice verso l'alto. La base della colonna ä invece classica con il cuscino molto ridotto e con base quadrata che serve a distanziare le colonne dal pavimento. Nell'ordine superiore il capitello, per richiamo alla forma generale del chiostro, diventa ottagonale, in modo che su ogni facciata di questo ottagono sia richiamata la stessa luce che arriva sulla facciata dell'ottagono più grande; tra una colonna e l'altra sono state disposte delle balaustre in epoca successiva.

Questo crescendo in senso lirico prosegue nella chiesa, volendo dimostrare, il Borromini, una preponderanza dell'aspetto religioso su quello civile. Egli attua sempre questa rinuncia della poesia nelle opere civili, non adottando la stessa forma rivoluzionaria che troviamo nelle sue chiese in quanto, secondo lui, le opere civili erano indirizzate alla ragione e quelle religiose alla sfera più complicata dei sentimenti. La ricerca tipologica del S.Carlino deriva dall'accettazione delle sue principali tipologie rinascimentali: quella centrale e quella longitudinale.
L'organicità é data da un rapporto stretto tra estetica e funzione. La fusione tra i due tipi avviene ad un livello di progettazione, partendo da uno schema longitudinale ed inscrivendosi dapprima linee spezzate curve, operando poi nel senso di rendere organiche queste convessità e concavità. La pianta resta quindi vagamente ellittica, rivelando da una parte la conoscenza degli architetti della seconda metà del '500 tra cui il Vignola.

La forma serve a disporre in modo autonomo ognuno degli altari, collocandoli in ambienti leggermente staccati dallo spazio centrale, ma tali da non alterare l'omogeneità dell'insieme. Egli spezza la continuità del contorno ovale, attraverso ampie nicchie, corrispondenti agli altari, con dei richiami lontani, ma visibili, al modello di San Pietro che aveva fatto il Bramante. Borromini opera la sintesi tra le due piante non facendo una contaminazione, cioè non adoperando, semplicemente, mescolanze di linguaggi tradizionali, ma intervenendo con un linguaggio veramente nuovo.


Completamente diversa é l'interpretazione che dà degli aggetti e delle rientranze, mentre utilizza la base della geometria come se fosse un'idea architettonica dalla rielaborazione della quale nascono delle forme. Se egli avesse condotto una sintesi di tipologia, sarebbe, inevitabilmente caduto in un linguaggio classico, invece Borromini interviene sul linguaggio come già aveva fatto Michelangelo, con lo stesso criterio eversivo e rivoluzionario. Non é possibile una lettura del S.Carlino con lo sguardo orientato in senso orizzontale. Tutto ciò che appare nel campo visivo riconduce direttamente a successivi sviluppi che si compiono e si chiariscono solo nella zona alta della muratura. Quindi lo sguardo tende verso l'alto, dove l'apparente combinazione degli elementi che si trovano a terra, diventa organicità assoluta. 
Guardare verso l'alto significa ricercare un momento di fusione dei vari elementi dove compaiono i significati strutturali dell' opera. Anche il gioco dei chiaroscuri inizia verso il basso in modo delicato e con poco contrasto, ma arrivato alla zona della cupola diventa splendente, quasi trionfale; infatti i raggi del sole penetrano dagli ottagoni, colpiscono il cassettonato e creano una zona di luce quasi assoluta. Studiando la pianta si vede come la matrice deriva da una costruzione geometrica in cui, scoperta la forma (il cerchio e il triangolo equilatero), questa forma diventa generatrice di altre forme non più pure, ma tutte con la stessa matrice . Borromini sceglie il diametro delle colonne e la dimensione dei due assi della cupola ovale, ricavando tutto il resto con l'uso del compasso. Tanto la struttura quanto la decorazione rispondono a schemi di tipo ternario, che fanno del triangolo equilatero l'elemento geometrico generatore. Le decorazioni compaiono soprattutto in prossimità dei cosiddetti nodi strutturali con lo scopo di legare o staccare le parti della struttura.
Quando si dice che nel Barocco la decorazione ha il valore strutturale, si vuole dire che essa contribuisce a dare significato e tono alla struttura. Un accenno merita ancora la cappella sotterranea, in cui l'organicità é raggiunta, contrariamente a ciò che avviene di sopra, attraverso la semplicità delle forme, quasi un contrappeso a quello che Borromini aveva ottenuto nella cappella Maggiore.


La seconda grande occasione del Borromini é l'Oratorio dei Filippini che gli viene commissionato attorno al '37 e nel quale egli sviluppa alcuni temi già impostati nel S.Carlino. La pianta si vale di uno studio di percorsi funzionali estremamente curato che servirà da modello per gli schemi distributivi dei neoclassici;la pianta é costituita da due cortili interamente circondati da ali di muratura che creano loggiati continui in una soluzione apparentemente rigida; in realtà sono talmente tanti gli episodi architettonici, decorativi e funzionali, che il risultato é la creazione di un organismo estremamente complesso ed articolato.

La costruzione vede due toni diversi di progettazione: uno aulico per quel che riguarda gli ambienti collettivi destinati a vita di relazione; l'altro dimesso ed accogliente per quel che riguarda la vita privata del convento, la residenza e l'incontro all'interno del complesso: oratorio, sala ricreativa, refettorio e biblioteca sono i momenti in cui avviene l'aggregazione tra i fruitori dell'opera, quindi anche i punti di accumulazione dei valori architettonici in quanto luoghi di sosta e contemplazione.
La sala dei congressi contiene uno degli episodi più altamente lirici dell'opera: il camino che assume la forma di una tenda da campo a padiglione e che diventa uno dei punti focali dove gli sguardi degli osservatori vanno posati. Quello che per Borromini é il maggior interesse nel caso dell'oratorio, é il rapporto fra interno ed esterno, tema che svolge in modo accurato sia nella facciata principale che nel prospetto verso il monte Giordano. La continuità delle altezze dei prospetti é rotta dalla creazione di un elemento verticale di torri, destinate ad ospitare un grande orologio pubblico. La presenza di un volume verticale non é slegato dalla facciata sottostante, in cui sono particolarmente accentuate le ripetizioni in senso verticale, nelle quali egli disegna delle specchiature ripetute, che raggruppano in ordine diverso gli elementi, rivoluzionando il tema manieristico del collegio (andamento delle finestre sempre uguali). La facciata principale era anticamente rivolta su un ampio spazio triangolare e vista da molto lontano, si pone come la continuazione ideale della vicina chiesa del Rugesi, man mano che ci si avvicina, questa identità scompare sempre più, e un esame attento, rivela la grande distanza che separa il Borromini dal linguaggio manierista.


Verticalmente due ordini di lesene suddividono il piano, lasciando nel centro un ampio intervallo, nel quale si innesta a pian terreno una lieve convessità che trova compenso nell'ordine superiore in una uguale concavità, contrastata a sua volta da un poggiolo ellittico. Quindi Borromini cerca di rompere la tradizionale rigidezza operando su modanature orizzontali, nel senso di assottigliarle. Esaminando le finestre del secondo piano, chiuse tra le lesene, si vede che in esse si é applicato un criterio diverso da quello del secondo ordine, dove i finestroni sono tagliati a mezza altezza ed assumono, dal punto di vista decorativo, caratteristiche completamente nuove, che derivano da una fusione di elementi manieristici in una forma mistilinea, dove coesistono il ricordo di un timpano triangolare e di una forma curva.
Ma la novità più importante é la curvatura della facciata, nell'intento di rappresentare in gesto allegorico le braccia aperte. Non mancavano a Roma esempi di curvatura di origine cinquecentesca da parte di Giuliano da Sangallo e dell'Ammannati , architetto del tardo rinascimento, é di qui che Borromini deriva la sua analisi.
Il modo in cui questa curvatura viene provocata é estremamente originale e complicato. Nel primo ordine abbiamo solo la convessità centrale molto accentuata e ai lati parti di pareti piane che finiscono con una lesena leggermente concava. Questo avviene in modo da dividere l'organismo in cinque parti. Questa forma mistilinea é rotta da una cornice tra i due ordini ed é da questa che si genera la curvatura poco accentuata del secondo ordine, curvatura che ha il centro circa nel centro della vecchia piazza.
La curva non ha significato di matrice comune a tutto l'organismo, ma di elemento usato per risolvere un organismo di forme diverse.
Borromini coinvolge nella lettura dell'opera anche l'elemento temporale in quanto immagina a priori in che modo l'opera sarà fruita dall'osservatore.Inizia in modo sommesso con il basamento in pietra e gradualmente si arricchisce verso l'alto fino agli ultimi frontespizi delle finestre che vanno legate con l'architrave; tutto questo organismo così complesso ä tale perché in esso gli elementi tradizionali (porte, finestre, balconi) subiscono una revisione totale; ma soprattutto cambiano totalmente i loro rapporti reciproci.


L'unificazione e l'organicità é data dall'uso totale del mattone arrotato che qui raggiunge dei livelli, di fattura e di uso, rimasti insuperati. Una variazione é data dall'uso di un mattone più alto e non lisciato per passaggio alle ali laterali, dove Borromini inventa alcuni elementi fondamentali del Barocco: come le finestre con il timpano composto da due frammenti di cornice curva verso l'alto, oppure la finestra del secondo piano incorniciata semplicemente in modo marcato sugli spigoli attraverso semicerchi disposti in diagonale. La progressiva caduta di tono verso l'esterno, culmina nella creazione di finestre all'estremità sinistra fuori scala, alte 40 centimetri, che chiudono il tutto con un tocco asimmetrico degno di un architetto romanico.


Questa soluzione non é che un dimesso anticipo di quello che sarà una delle più importanti trovate stilistiche del Borromini. Il cantonale verso il fianco ä costituito da uno smusso, che accentua il gioco delle cornici e delle lesene ed evita la durezza di uno spigolo.
La terza occasione del Borromini é la cappella di S. Ivo alla Sapienza, tema difficilissimo, condizionato dalla preesistenza di un palazzo e di un cortile in cui la chiesa dovrà sorgere. E' proprio da tutti questi vincoli che egli ricaverà un'occasione di grande libertà. Sceglie anche qui una matrice triangolare che gli consente di creare un organismo orientato già dalle linee del triangolo costruito. La scelta deriva da un parametro che lo vincolava; l'esigenza di sfruttare il più possibile un lotto di forma quadrata, l'interesse per un involucro mistilineo, che gli permettesse di continuare l'esperienza di S.Carlino, l'idea di trarre spunto da forme simboliche, capaci di legare l'origine e lo schema a dei significati primari. La trinità é simboleggiata dal triangolo, che é la figura di partenza, che combinata con parti di cerchio, verrà a formare la figura stilizzata di un'ape, simbolo a sua volta di carità e prudenza, ma nello stesso tempo elemento araldico nello stemma dei Barberini.

La simbologia che il Borromini adopera in pianta, legata al tema della religione, é interessante per chiarire certe componenti della scultura del Borromini, ma l'elemento ispiratore maggiore, é l'intuizione dello spazio come elemento che reagisce in senso negativo, rispetto al movimento della massa muraria. Continuità ed organicità si raggruppano comprendendo che si deve creare un ordine nuovo, perciò la cupola non é più sorretta da arconi strutturali che creano delle unità secondarie confluenti a crearne una sola primaria, ma va a poggiare direttamente sul contorno mistilineo della Cappella, trasformando in modo lento e graduale la complessa forma di partenza in un cerchio perfetto. Il tutto é ottenuto con estrema purezza e semplicità: una serie di lesene scanalate, delle sottilissime cornici orizzontali, una cornice più profonda anche se non eccessivamente aggettante, con funzioni di trabeazione, in cui ritroviamo il motivo del soffitto leggermente concavo, già visto nel S.Carlino, ed infine nella cupola sottili costolature che convergono all'ultimo anello della lanterna.

Lo spazio interno é racchiuso in un involucro unitario in cui c'é un riferimento classico al Pantheon, come testimonia anche la totale visibilità da ogni parte di tutta la struttura. Del resto la partenza geometrica, creata dalla contaminazione di forme dure e forme concave, fa pensare al concorrente di una serie di movimenti centrifughi e centripeti, intrecciati tra loro. La conclusione più profonda é verso l'alto, dove decorazioni di stelle, che rimpiccioliscono, e l'immagine dello Spirito Santo sul soffitto della lanterna, suggeriscono altezza smisurate ed intoccabili.
La luminosità in crescendo diventa cielo luminoso, mentre la costolatura, inondata di luce, crea un effetto di trasparenza totale, come nella copertura di un chiostro nel giardino, di una uccelliera di enormi dimensioni permeabile allo spazio.
Nella sua ricerca di sintesi, egli opera una fusione di elementi classici e gotici, usandoli non come ingrediente per un compromesso, ma come elementi rivissuti prima separatamente e poi organicamente.

La stessa operazione di coerenza avviene tra esterno ed interno e non per ragioni meccaniche, anzi perché da questo punto di vista, la cupola sarebbe un falso strutturale, in quanto la diversità dei sei lobi interni non traspare nell'esterno, e il sesto acuto interno ä nascosto da un tamburo ed un tetto a gradinate va verso la lanterna. (Non esiste corrispondenza tra interno ed esterno). La lanterna che all'interno é completamente rotonda,all'esterno é composta da sei parti concave con doppie colonne che terminano in pinnacoli altissimi, mentre la spirale che sale verso l'alto non trova corrispondenza in una forma interna dove la lanterna finisce molto prima. La continuità é resa dalla linea sinusoidale del tamburo che viene evidenziata dalla cornice in alto. L'aspirazione all'infinito é data dalla spirale e la leggerezza ricreata trova il suo compimento nella gabbia di ferro sopra la spirale che sorregge a sua volta un globo, traduzione del senso interno dell'uccelliera.


Il rapporto tra la muratura e la atmosfera diventa qui più serrato e Borromini dimostra che la materia é anche entità incorporea, senza peso, nella luce.
Come nei casi dei globi di travertino, che sono tenuti sollevati da una piccola asta di ferro sopra i merli che hanno funzione di contrafforti. I riferimenti sono nel gotico fiorito del Duomo di Milano, rappresentazioni mitiche della Torre di Babele che hanno giocato sulla fantasia del Borromini,ma egli si allontana moltissimo dal modello gotico su strade di organicità spaziale che troveranno i loro riferimenti solo più tardi nell'architettura moderna (Antonio Gaudì).


Il Bernini accusa Borromini di essere un buon eretico,dichiarando di preferirvi un cattivo cristiano infatti il Borromini appare come un buon eretico della Roma di Urbano VIII in cui il silenzio della storia era ormai un fatto compiuto ed in cui egli porta invece, improvvisamente, l'intero bagaglio dello storicismo manierista settentrionale; é questo uno dei nodi della poetica borrominiana: porsi come erede delle travagliate contestazioni manieriste, del suo inquieto modo simbolico, del suo criticismo ed é per questo che Borromini pone la storia al primo posto nel suo discorso, un discorso estremamente complesso in cui l'architettura deve ripiegarsi su se stessa prima di uscire come rinnovato strumento di comunicazione;deve stratificarsi in una serie di elementi, immagini, di matrici geometrico-simboliche, per cui questi elementi saranno unificati in una sintesi spaziale dotata però di mille facce.
Il Borromini compie delle sintesi tipologiche per configurare lo spazio ed in esse si insinua sempre un bricolage di immagini, ricordi, oggetti recuperati in parte dall'antichità classica, dal tardo antico, dal gotico, dal paleocristiano, dall'umanesimo dell'Alberti, dai più svariati modelli dell'architettura del '500:
si recupera con lui l'anamorfosi di Michelangelo, le contrazioni spaziali, le ricerche antropomorfiche del tardo manierismo. Nella progettazione del S.Carlino c'é il ricordo degli esperimenti condotti dal Peruzzi, Serlio, Vignola, ma in più una ricerca di citazioni, formidabile.Così nel S.Ivo, accanto ad un'idea originaria legata al Pantheon, ricompaiono le compenetrazioni geometriche del Peruzzi, il ricordo delle incisioni bibliche ed il riferimento michelangiolesco allo svariato uso della decorazione. Si é detto per lungo tempo che queste continue citazioni snaturano il valore storico dei fatti antichi, mentre se si esamina la realtà,Borromini ha creato una vera e propria esperienza nella storia antica, ha creato cioè il concetto di un bagaglio culturale a cui sempre fare riferimento.
Nel '45 Borromini riceve l'incarico di trasformare la preesistente chiesa di S.Giovanni in Laterano, da parte di Innocenzo X, ed é sicuramente questo l'incarico più importante che egli riceve, ma nello stesso tempo quello che gli provoca le maggiori frustrazioni, in quanto i limiti posti dal Papa sono talmente gravi da compromettere l'organicità del lavoro e da creare profondissime trasformazioni nel carattere del Borromini, in quanto causa della perdita della serenità e concentrazione che finiranno per incidere sulla sua attività. Il programma di ricostruire il S.Giovanni non può essere compreso a fondo se non si comprende la rinuncia che Borromini deve fare riguardo alla volta, nella quale si erano incentrati invece tutti i suoi sforzi progettuali, nella previsione di una forma che sarà richiamata nella successiva Cappella dei Re Magi nel collegio di Propaganda Fide. La base era paleocristiana; su di essa Borromini interviene in modo molto violento, contestando l'indeterminatezza prospettica, tipica del periodo storico, e trasformando la grande navata in una enorme navata interrotta più volte, ma di proporzioni ben definite. La terminazione convessa é l'unica coerenza rimasta con la ricerca spaziale del Borromini. Dal punto di vista decorativo, l'ordine di lesene scanalate ricorda la compostezza che avevamo trovato in S.Ivo, ma qui egli non riesce ad infondere quei profondi significati che là avevamo incontrato.
Nell'attimo in cui lo slancio verticale dovrebbe trovare compimento in una volta coerente, avviene invece il taglio netto del soffitto cinquecentesco.
Quindi la convessità é l'unico scatto lirico terminante in una grande edicola immersa di luce. La ricerca é di guidare lo sguardo verso una serie di navate laterali per rompere la monodirezionalità della navata centrale.

Durante il pontificato successivo Borromini verrà chiamato per arricchire la chiesa dei frammenti di antiche tombe. Un incarico apparentemente secondario che invece gli permetterà di studiare il rapporto tra le memorie ed i frammenti antichi e l'architettura contemporanea.
Sempre sotto il pontificato di Innocenzo X, Borromini riceve l'incarico di terminare, trasformandola, la chiesa di S. Agnese, iniziata dal Rinaldi. Egli comunque lavora non tanto all'interno, dove accetta la pianta originaria cambiando le proporzioni, quanto invece nella facciata di fronte a Piazza Navona, dove riprende il discorso della concavità che abbiamo visto caratterizzare l'interno di S.Giovanni in Laterano. La facciata ä scavata in forma semiovale con lo scopo di avvicinarla con l'imposta della cupola, mettendo in evidenza il senso di verticalità.
Lo stesso senso é recuperato ai lati con la presenza di due torri che si pongono dialetticamente nei confronti della cupola (illusionismo ottico- prospettico).

Questi elementi verticali sono coordinati da elementi orizzontali di cui il più evidenziato é la profonda cornice che divide l'ordine classico dalla base inferiore della balconata degli elementi verticali della parte superiore. L'esterno non é del tutto originale in quanto non fu terminato dal Borromini, ma da un gruppo di architetti chiamati a sostituirlo, i quali crearono un attico ed un timpano triangolare che non erano previsti. Borromini nel progetto originale aveva pensato ad un attico basso, quasi ad una doppia cornice, mentre aveva valorizzato nuovamente con una forma mistilinea, ricercando l'artificio di ottenere in prospetto quello che aveva in pianta. Da questo periodo i rapporti con il principe Pamphili peggiorarono dopo la morte di Innocenzo X; questa può essere considerata una delle grandi tragedie che Borromini vive. Egli perde la occasione di dare alla piazza una sua impronta. Assiste impotente all'alterazione del progetto, alla rinuncia di rivestire la cupola di travertino, che avrebbe dato unità all'insieme, all'abbassamento ed alla modificazione della lanterna, di cui egli aveva costruito un modello in legno, in scala 1:1.
Egli si vede nuovamente sostituito dal Rinaldi, ma ciò che gli crea maggiori frustrazioni é l'incarico dato al Bernini di decorare l'interno della chiesa, rivincita per il duro attacco che il Borromini aveva rivolto al tempo in cui aveva disegnato i campanili di S. Pietro. Borromini lascia il cantiere non appena gli viene riferito che il Principe parlava con disprezzo dei suoi ornati triangolari.

Il gusto del Principe era classicista, perciò le innovazioni del Borromini non gli erano congeniali, quindi non vennero mai realizzati i progetti per la famiglia Pamphili ed inizia così la sfortuna professionale dell'architetto.
L'ultima grande occasione ai fini  della ricerca spaziale, iniziata nella chiesa, avviene nella Cappella dei Re Magi nel Palazzo di Propaganda Fide. Per Borromini il luogo é da ricavare nella distruzione di una chiesetta ovale del Bernini che egli stesso abbatte. Gli elementi verticali sono costituiti da lesene a cui non si contrappongono pareti continue, ma una fitta intelaiatura costituita da elementi in parte decorativi, in parte strutturali e tra questi hanno preminenza le finestre nella ricerca di rendere strutturale la parete e ridurla ad una serie di membrature e di annullare la stessa sotto il gioco violento della luce.

La Cappella segna la vittoria della luce sulla massa muraria; Borromini recupera gli effetti di luce radente ma li recupera anche quando solo realmente intende la luce come parte strutturale.
Il Collegio di Propaganda Fide ed in particolare questo interno,sostituiranno un modello per la concezione luministica barocca, che si sviluppa nell'Europa centro orientale, in cui la luce colpisce violentemente organismi resi trasparenti dalla presenza di finestre e di muri bianchissimi, con lo scopo di ritardare visualmente l'immagine dell'involucro murario e di consentire allo spazio di penetrare nella materia in profondi giochi di contrasto.
Qui , a differenza del S.Giovanni, Borromini trova una logica conclusione nella volta ad archi intrecciati che servirà come riferimento al Guarini come ricerca sulle cupole e sulle volte. Anche per Borromini c’è un riferimento: la chiesa di S.Lorenzo del periodo manierista lombardo, nel quale a sua volta  entrano elementi gotici, dimostrazione questa di un'ulteriore ricerca di un legame con la storia. Attraverso questa volta il Borromini mette in relazione le lesene binarie angolari con quelle poste lungo le pareti laterali. Un altro elemento di estremo interesse é la facciata del Collegio, drammatica ed eterogenea in cui vengono portate alle estreme conseguenze alcune ricerche teoriche iniziate mirabilmente da Michelangelo, sulla terribilità dell'architettura. Un ordine di lesene giganti introduce nella strada un ritmo di graduale intensità che raggiunge il momento di massima tensione nella zona concava centrale. Le finestre che, nelle prime opere erano raffinate incorniciature, diventano organismi a sé stanti che si inseriscono in modo violento ed apparentemente indipendente nella facciata; nel finestrone centrale il senso di profondità è ancora più accentuato per l'arretramento dell'infisso e lo sbalzo a tutto tondo della cornice. In questo senso la scelta di un ordine che si rifà al gotico é significativa, in quanto coerente con la ricerca di sensazioni rudi e quasi primitive e con una concezione storica senz'altro non classicista in senso tradizionale.
Borromini riceve verso la fine della sua vita l'incarico di completare la chiesa di S.Andrea delle Fratte nella parte iniziata nel 1605 da un certo Guerra, in modo molto tradizionale. I vincoli creati dalle preesistenze non gli permettono grandi trasformazioni esterne. Egli risolve lo spazio con l'uso di una cupola circolare e con l'abside semicircolare. All'esterno Borromini sintetizza in un intervento di così piccole dimensioni, uno dei momenti più importanti dell'architettura barocca con la creazione di un tamburo e di un campanile, che costituiscono un intervento su scala urbanistica di estrema importanza. A Borromini era sempre mancata l'occasione di intervenire urbanisticamente nella città. S.Giovanni in Laterano era stata, in questo senso, la grande occasione perduta, in quanto egli aveva previsto, di fronte alla facciata, una piazza ad anfiteatro. Il progetto, lasciato privo di intonaco nella parte del tamburo, è coerente con la ricerca di illusionismo prospettico, in quanto pone in relazione due forme apparentemente in contrasto, ma in realtà obbedienti a leggi comuni. In questo tiburio egli continua la ricerca che aveva iniziato nel Convento dei Filippini a proposito dei risvolti dei cantonali. Qui, data la piccola dimensione dell'oggetto architettonico, il nodo si ripropone quattro volte per diventare l'elemento costitutivo più importante, in quanto movimenta in senso planimetrico un elemento che in senso verticale é bloccato. Vicino a questo il campanile presenta quattro sezioni planimetriche diverse, composte di elementi completamente fuori della storia: colonne, volute, figure, cariatidi, membrature ad S che sostengono come una lampada l'insegna araldica e la corona di ferro. Da notare che Borromini troverà agli inizi dell'ottocento un imitatore molto lontano nell'Antonelli.
L'incompiutezza del tiburio gli dà un fascino insuperabile,legandolo idealmente ai ruderi romani, nonostante Borromini lo abbia considerato sempre come un limite. Borromini conclude la sua carriera con la facciata della chiesa di S.Carlino. La facciata si inserisce nell'organismo curvilineo della pianta con elementi curvilinei, staccandosi come uno scudo a contatto con la preesistenza. Anche qui egli porta avanti il discorso sull'accentuazione degli elementi decorativi e strutturali, come ad esempio le colonne fortemente staccate dalla lastra e le profondissime cornici che chiudono gli ordini.
Egli in realtà poté realizzare soltanto il 1’ ordine, ma é pensabile che anche la conclusione fosse già nelle sue intenzioni, escluso l'orrendo medaglione appeso in modo obliquo e sostenuto, come una specchiera, da due figure vagamente angeliche.
Il rapporto con ciò che era stato già costruito é di estrema coerenza, anche se i disegni giovanili dimostrano che all'inizio le sue intenzioni erano ben altre. Egli riprende il tema geometrico dei triangoli equilateri, che fanno il centro sugli opposti vertici di tre triangoli equilateri disposti in continuità alternata.
La corrispondenza ä profonda anche a livello visivo, in quanto la parete ondulata aderisce al corpo della chiesa e la convessità centrale traduce in forma più ampia la curva dell'abside di ingresso, mentre le parti concave laterali fanno da quinte urbanistiche sulla strada. Questa facciata é l'ultima testimonianza di una lunga battaglia tesa a slegare completamente l'architettura da ogni legame con la concezione volumetrica e per superfici piane tipiche della tradizione rinascimentale, a vantaggio di una concezione che unisca piani ortogonali obliqui, esaltando nell'architettura il discorso della continuità e quindi dell'organicità.
Con Borromini il Barocco raggiunge dei livelli di intensità e di profondità speculative mai superati. Per anni la sua eredità rimane inoperante, aperta invece alle cattive interpretazioni che egli aveva temuto quando, preso dall'ira per la consapevolezza della sua morte, aveva dato alle fiamme i progetti irrealizzati.
La presenza del Borromini come di un Galileo e di un Caravaggio, fu la presenza di un ospite tenuto d'occhio con sospetto dalla parte più potente della cultura locale. Ma Borromini, al contrario di Caravaggio, amava Roma, l'aveva studiata, aveva ricercato gli stimoli, gli spunti nella sua cultura. Per questo la sua opera é la più difficile da cancellare. Il suo esempio continua in modo quasi sotterraneo nella cultura artigianale, avendo nei primi disegni del '700, un momento di fortunata restaurazione, che trasformò capillarmente, l'aspetto della città con la creazione di una serie di interventi urbanistici in forma di quinta stradale che consciamente ,o meno,si possono localizzare nell’ambito dell’ illusionismo ottico e prospettico.

 

Fonte: http://www.istitutobalbo.it/autoindex/indice/Liceo%20Classico/Lezioni%20di%20storia%20dell%27Arte/1600/borromini.doc

 

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Borromini Francesco vita opere

 

 

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