Edgar Degas vita opere riassunto e biografia

 

 

 

Edgar Degas vita opere riassunto e biografia

 

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti. Se vuoi saperne di più leggi la nostra Cookie Policy. Scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.I testi seguenti sono di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente a studenti , docenti e agli utenti del web i loro testi per sole finalità illustrative didattiche e scientifiche.

 

 

EDGAR  DEGAS

 

                Manet ebbe a lottare contro gli artisti, i critici, il pubblico, sostenuto da un'intima certezza, da una felicità spontanea e spensierata. Degas s'isolò per non combattere contro le opinioni altrui, che d'altronde guardava dall'alto del suo orgoglio cosciente, ma dovette combattere contro se stesso, contro la sua educazione, i suoi pregiudizi, spinto dal dubbio continuo e dalla volontà eroica del ricercatore.
La sua famiglia apparteneva alla borghesia di banca, di tendenza reazionaria accentuata dal pericolo corso durante il Terrore dal nonno del pittore, che aveva dovuto riparare a Napoli, ove aveva fondato una banca fiorente e creato una famiglia imparentata con la nobiltà italiana.


Nato nel 1834 Edgar Degas crebbe in un ambiente dove l'interesse per l'arte era vivo non senza una particolare ammirazione per Ingres. Così che finito il liceo e iscrittosi all'Ecole des Beaux -Arts, entrò nello studio di Louis Lamothe (1822-69), un allievo prediletto di Ingres. Edgar fu anche presentato a Ingres, al "suo Dio", che gli diede il noto consiglio "Faites des traits, jeune homme, beacoup de traits, soit de souvenir, soit d'après nature, c'est ainsi que vuos deviendrez un grand et noble artiste".Ingres si riferiva di continuo all'autorità del Rinascimento italiano, il padre di Degas trovava che il disegno di Lamothe era alquanto molle, molti parenti, nonno, zie, cugini, vivevano a Napoli e a Firenze; era naturale che il giovane pittore andasse di frequente in Italia. Vi passò la maggior parte degli anni 1857 e 1858, copiò molti quadri e disegni dei secoli XV e XVI, e tornò padrone di un disegno sicuro, forte, fine, del miglior gusto della scuola di Ingres. Era il disegno classico, a un di presso quello che aveva imparato Manet alla scuola di Couture, e che allora imparavano nelle scuole quasi tutti i giovani pittori. Manet, Renoir, Cezanne vi si ribellarono presto. Non così Degas: nè l'ambiente donde usciva nè l'eccellenza dei modelli bastano a spiegare il suo entusiasmo per il disegno "classico". Egli aveva naturalmente una tendenza al disegno, si compiaceva del contorno sottile, continuo, puro, vedeva in esso una ragione di nobiltà e l'unico mezzo per ottenere l'adorata bellezza: la linea diventò per lui una passione, e vi riuscì tanto bene che nessuno così meravigliosamente tra i seguaci diretti o indiretti di Ingres. Era facile prevedere che seguitando per la via iniziata egli sarebbe stato un pittore accademico, il più grande certo dei pittori accademici dopo Ingres. Ma col suo ingegno Degas s'accorgeva che attorno a lui qualcosa fremeva che non andava precisamente d'accordo con Ingres, e che si chiamava "realismo". L'arte di Courbet doveva apparire a lui, anche più che a Manet,troppo "volgare", e a quanto pare lo attrasse piuttosto la teoria del realismo, quale Louis-Emile Duranty (1833-80) diffondeva nel suo giornale "Realisme" sino dal 1856. Essa predicava di abbandonare le formule e l'antico per riprodurre semplicemente e sinceramente ciò che si aveva davanti agli occhi. I soli mezzi che Degas avesse a disposizione erano la sua linea purissima e la conseguente pratica di chiaroscuro, cioè due astrazioni dalla realtà tendenti a raggiungere la bellezza ideale. Per rappresentare il reale era necessario piegare quei mezzi a individuare delle immagini, a fare dei ritratti, nobilitandoli certamente, ma non tanto da far loro perdere il carattere individuale. E il giovane Degas si mise a dipingere se stesso e le persone della sua famiglia. A parte le copie ch'egli dipinse tra il 1853 e il 1859 sono quasi tutti ritratti.
Ecco dunque i tre termini inconciliabili contro cui andò a cozzare la volontà ferrea di Degas: uno scopo realista, un disegno idealizzato e un colore dotto. Alcuni atteggiamenti del suo spirito vennero poi a esasperare i contrasti. Vasari direbbe che Degas era molto amico delle "difficoltà" dell'arte, e, aggiungeremo noi, anche della vita. Qualunque soluzione facile, egli la rigettava, e preferiva cercare sotto e lavorare in profondità. La spontaneità ne soffriva, ed egli si compiaceva anche troppo, a guida di sfida, di rinnegarla: "Aucune art n'est aussi peu spontaine que la mienne. Ce que je fais est le résultat de la reflexion et de l'etude des grands maîtres; de l'inspiration, la spotaneité, le temperament, je ne sais rien". Se si ricorda che nella seconda metà del secolo XIX, e soprattutto negli ambienti realistici, si assegnava all'arte un valore sociale e umanitario, e si profittava dell'arte per molta retorica sul "temperament", nuovo deus ex machina, si capisce la punta polemica dell'atteggiamento di Degas. Tanto più grande era la sua passione per l'arte, alla quale dedicò anzi sacrificò la vita, quanto più gelosamente egli la nascondeva, sino ad apparire in certi momenti un nemico dell'arte. "L'art, c'est le vice. On ne l'epouse pas legitimement, on le viole. Qui dit art, dit artifice. L'art est malhonnête et cruelle". S'intende che nelle sue pitture migliori la creatività di Degas oltrepassa questo stato d'animo che si esprime solo nella polemica, e tuttavia un sostrato di polemica esiste che dà un accento particolare a ogni sua opera. La sua passione per l'arte è certo una febbre, ma una "febbre fredda".


Degas era sensibile al colore, come provano non solo le tinte tenui e armoniose dei suoi primi quadri, ma anche le note del suo viaggio in Italia. Ma per la medesima ragione per cui ricercava il disegno dotto di Ingres, così si ispirava al colore degli antichi: "Chercher l'esprit et l'amour de Mantegna avec la verve et la coloration de Veronèse". Sino negli ultimi anni della sua vita ricercò d'altronde i "segreti" del colore veneziano, naturalmente senza trovarli perchè non erano "segreti" ma soltanto modi di vedere che non si potevano risuscitare nel secolo XIX.


La sincerità del suo atteggiamento verso l'arte è provata dalla sua coerenza con l'atteggiamento verso la vita. Sin da giovane egli si compiace nell'isolamento. Ventiquattrenne ad Assisi si sente persino attratto dalla religione che gli permetterebbe una vita isolata; è un momento fuggevole perchè preferisce un orgoglioso cinismo.


D'altra parte il suo orgoglio è l'effetto del suo spirito, più elevato di quello della gente con cui viene a contatto, e soprattutto più serio e più rigoroso. L'umiliazione sofferta per la disfatta della guerra 1870-71 lo induce a non stimare i suoi contemporanei, e poichè non ha interessi politici e sociali si isola in un orgoglioso egoismo, che diviene tragico alla fine della vita. Il suo isolamento e la sua lingua caustica gli procurano la fama di "uomo cattivo", che Ernest Rouart ed altri hanno sfatata. Ma non è dubbio che l'impegno posto da Degas nel nascondere ciò vi potessere essere in lui di affettuoso e di benevolo spiega il sorgere della leggenda.
I suoi ritratti del periodo giovanile sono lo specchio esatto della sua fede nel disegno, della sua abilità senza limiti, della sua finezza e del suo rigore morale.
La famille Bellelli, che rappresenta due zii e due cugine del pittore, fu eseguita a Parigi circa il 1860-62 dopo numerosi studi compiuti a Napoli e a Firenze tra il 1856 e il 1860. La sua grandezza (largo due metri e mezzo) e la complessità del tema (gruppo di figure nel loro ambiente) suggeriscono l'impegno che Degas vi pose. Si tratta di una scena realistica, ma dove la rappresentazione dello spazio manca, nè il disegno finissimo riesce a dare il senso del volume, nè il colore delicato e armonioso (celeste, bianco e nero) ottiene un effetto di tono; l'attenzione del pittore è concentrata nelle immagini. Esse non posano per una particolare espressione, ma non sono nemmeno viste in un momento della vita; si mostrano per rivelare la loro "distinzione", che è peculiare alla loro classe aristocratica, il loro desiderio di ordine, che è comune a loro come al pittore, la loro natura di volitivi imbronciati che li difende da qualsiasi familiarità. E nel volto della zia Degas ha raccolto tutta la finezza che per lui teneva il posto della bellezza, senza tuttavia giungere a molta vitalità. I personaggi, come li vedeva Degas, incutevano soprattutto rispetto; e così il quadro, per il suo disegno elettissimo: ma quel rispetto è troppo  accentuato per sollevare una commozione artistica.
Circa sette anni dopo, nel 1867, Degas dipinse il ritratto di Mr et Mme Morbilli, sua sorella e suo cognato. Il disegno rimane in grista, ma assume tutta una nuova energia, per cui le immagini risaltano potentemente, anche se prive di volume e di spazio.Soprattutto i colori hanno una intensità ignorata nella Famille Bellelli: il nero e grigio della veste di Morbilli contrastano con il giallo della parete, e il contrasto giallo e nero continua nel tappeto, mentre la figura della donna si accorda col grigio azzurro della tenda del fondo. Non un effetto di tono, ma un accordo di qualità cromatiche vivace di contrasti e perfettamente realizzato. Si direbbe che in questo ritratto la fusione del disegno in grista e dell'intenzione realistica sia raggiunta, eppure sentiamo ancora nella esasperazione delle immagini un difetto di vita. Pe ritrovare il capolavoro puro, senza residui di stilismo intellettualistico, bisogna cercare nel Museo dell'impressionismo un piccolo Portrait de jeune femme, 1867. I capelli castani e la veste bruno-nera sono di tono sul fondo grigio. I colori non hanno intensità, eppure quel volto è carezzato dalla luce, che rivela la trepidazione del pittore per la nascita di un valore formale, dove il dotto disegno alla Ingres è appena un sottointeso. Tutto ciò che il pittore sa, tutto ciò che egli vuole, sono al di fuori della sua sensibilità che trema in quella carezza di luce e apre la strada alla creazione dell'arte assoluta. Sublime momento di sosta lungo la strada della ricerca esasperata.
La tradizione di Ingres favoriva il quadro storico, e Degas ci ha provato qualche volta prima di intendere che si trattava di una strada senza uscita. L'ultimo dei suoi tentativi è Scène de guerre au Moyen-Age o Les malheurs de la Ville d'Orleans, 1865. La composizione è parallela al piano di fondo, le figure non sono vedute nello spazio e non hanno alcuna azione, il colore è morto, salvo un giallo nell'arciere che scocca la freccia, il contrasto drammatico dei chiari e degli scuri nel paesaggio è completamente mancato. Alcuni disegni fatti per le vittime nude sono molto belli, ma trasportati nel quadro divengono pura accademia.
Dopo questo tentativo fallito Degas si rivolse altrove; sapeva che i ritratti gli riuscivano bene, e risolse secondo la formula realistica di fare la storia del proprio tempo. Sopravvenuta la guerra, durante la quale Degas fece il soldato in artiglieria, e risentita la depressione morale per la sconfitta, per distrarsi egli si recò verso la fine del 1872 a New Orleans dove uno zio e due fratelli si dedicavano al commercio del cotone. Vi trovò l'affezione familiare di cui aveva assai bisogno, ma si sentì spaesato e dopo alcuni mesi tornò a Parigi. Una lettera da New Orleans del 5 dicembre 1872 al suo amico Henri Rouart c'illumina sulle sue aspirazioni parigine: "Je tombe chez moi et j'y  entame une vie regulière, comme pas un, exceptè Bouguerau à l'energie et la facture duquel je ne comte pas arriver. J'ai soif d'ordre... Je reve quelque  chose de bien fait un tout ordonne (style Poussin et la vieillesse de Corot)". Anche se l'accenno a Bouguereau sia una bravata paradossale, risulta indubbio che nella mente di Degas ordine e accademia erano sinonimi nel 1872.


Il maggiore risultato pittorico del suo viaggio a New Orleans è Le bureau de coton, 1873. Vuole essere una scena della vita contemporanea, messa di moda da Manet e dagli altri suoi amici realisti e futuri impressionisti, ed è un insieme di ritratti familiari con uno sviluppo dello spazio e delle cose determinanti l'ambiente, ignorato dapprima. In un assunto di questo genere la funzione del colore è importante, e pare che essa indispettisca Degas: il fatto è che il colore diviene banale, per esempio il rosso della parete. D'altra parte, se la forma è precisa, ritrattistica, la posizione delle immagini è troppo casuale, perchè ne risulti una composizione qualsiasi. Degas vuol fare del realismo senza crederci, ed esagera la banalità dell'effetto.
Eppure insiste e tratta anche un soggetto naturalista alla Zola. Le Viol, 1874, è lo sproposito di gusto più grave che Degas abbia compiuto, e l'obbiettività dell'esecuzione ingigantiscono la ripugnanza del pittore verso la propria opera. Le bureau de coton e Le Viol chiudono un periodo dello stile di Degas, il periodo che si può chiamare accademico-realista, quando era "prigioniero della forma". Già da vari anni d'altronde egli aveva accennato a motivi e a visioni che potevano liberarlo, e che si svilupperanno nel periodo successivo.
Prima di discorrere delle occasioni esterne -Manet, gli impressionisti, i giapponesi- che favorirono il nuovo stile di Degas dopo il 1873, occorre cercare nella coerenza intima dell'artista le ragioni del mutamento. Quella sensibilità che gli aveva permesso di andare oltre lo stile accademico nel suo primo perido, e di superare ogni pittore accademico del suo tempo, prese il so- pravvento circa il 1873 sopra ciò che egli aveva già imparato. La sua persistente passione per la linea, precisa e incisiva, dovette piegarsi a nuove esigenze, che si possono riassumere nel moto e nell'effetto di luce e ombra. La lotta fra linea da un lato, e moto-luce-ombra dall'altro fu acerba; nè Degas rinunziò al suo orgoglio di disegnatore provetto e sapiente. Ma dopo il 1873 la lotta non si concluse più con la vittoria assoluta della linea. A volte anzi parve che la vittoria toccasse alla luce-ombra, ma fu una illusione. L'effetto di luce e ombra fu per Degas una esplosione della linea, e pertanto non scaturì mai naturalmente dal colore come avvenne a Tiziano, a Tintoretto, a Rembrand, a Manet o a Cezanne; esso fu più intellettuale, più tormentato e più limitato. Ma appunto per questo esso assunse un valore più raro, più rigoroso, di un'energia e di una finezza incomparabili. La lotta di Degas per mantenere in vita simultaneamente due principi contraddittori e dominarli è la ragione di molte sue cadute, ma anche di alcuni capolavori.
Parecchi anni prima della guerra del '70, Degas era divenuto amico di Manet e frequentatore del Cafè Guerbois dove si riunivano i futuri impressionisti e i letterati naturalisti, e dopo il '70 egli continuò a frequentare il medesimo gruppo al caffè della Nouvelle Athènes. In compagnia di coloro che dovevano rivoluzionare il mondo della pittura (e non della pittura soltanto) Degas si sentiva tuttavia un isolato. Un suo discorso al pittore Sickert ne chiarisce la ragione. "Ho sempre cercato di convincere i miei colleghi a cercare nuovi effetti secondo i principi del disegno, che io considero più fecondo del colore. Ma essi non vollero saperne e sono andati per l'altra via".


Inoltre egli è indiffernte alla natura dell'aperta campagna, che faceva la gioia e costituiva l'appoggio morale degli impressionisti. Nel 1873 Degas scriveva a Henri Rouart: "Je me sens donc, une canne à la main mais sans parasol, etudiant les valeurs, la courbe des routes, sur les petites collines... C'est de la nature j'en attends moins de bonheur furieux que vous, mais seulement un peu de bien pour mes yeux, et un peu de detente pour le reste". Cioè Degas faceva uno sforzo nel 1873 per allinearsi agli impressionisti, per interessarsi alle "routes tournantes" di Cezanne, ma l'inibizione scettica era più forte di lui. E nel 1887 confermava a Henry Lerolle: "En aimant la nature, nous ne pouvons ja mais savoir si elle nous le rend". E qui il pensiero ricorre a Ruskin, che sapeva benissimo come la natura non rendesse l'amore dell'uomo, eppure l'amava disperatamente.
Discorrendo con Moreau-Nelaton nel 1870 Degas s'irrita al pensiero dei paesaggisti che dipingono "d'après nature, comme si l'art ne vivait pas de convention. Ne me parlez pas de ces gaillards qui encombrent les champs de leur chevalets"; vorrebbe avere il potere d'un tiranno per fucilarli tutti.
Con simili idee era impossibile una comunità di lavoro con gli impressionisti. Li frequenta, e talvolta li ammira, ma si sente loro avversario, e vuole realizzare i loro stessi motivi, ma seguendo la via del disegno.
Nel 1882 scrive a Henri Rouart a proposito del Salon: "Manet bete et fin, carte à jouer, sans impression, trompe l'oeil espagnol, peintre... enfin vous verrez".             Ma un anno dopo, morto Manet, egli confessa: "Il etait plus grand que nous ne pensions". A Renoir Degas rimproverava di render belle le sue immagini di donne. Non risparmiava a Monet qualche stoccata, come "Le temps est beau, mais plus Monet que mes pauvres yeux ne peuvent le supporter", an che se poi dichiarava a Sickert: "Sacre Monet, tout ce qu'il fait est toujours tout de suite d'aplomb, tandis que je me donne tant de mal, et ce n'est pasca". Degas aveva poi una particolare simpatia per Pisarro, di cui scriveva a proposito di un'esposizione in data imprecisata che "est ravissant d'ardeur et de foi". Quando fu inaugurata nel 1874 la società dei pittori, che poi furono chiamati impressionisti, per esporre al di fuori del Salon, Degas che non era stato rifiutato dal Salon come gli altri e che aveva persino una mezza promessa di una menzione onorevole, si associò ai ribelli, anzi fu uno degli organizzatori più attivi dell'esposizione, ottenendo varie reclute.
Manet tanto più vicino agli impressionisti rimase invece fedele al Salon.
Anche alle esposizioni successive, che si chiusero come è noto nel 1886, Degas rimase fedele, salvo che nel 1882 quando pose come condizione alla sua partecipazione l'esclusione di Monet, di Renoir e di Sisley, colpevoli di aver esposto al Salon.


La partecipazione volenterosa di Degas alle esposizioni secessionistiche fu a un tempo generosa, coraggiosa e abile. Generosa perchè portò un appoggio indiscutibile agli impressionisti e coraggiosa perchè sfidò i critici farisaici e i pittori ufficiali, facendosi ribelle all'ordine convenzionale dei Salons per ottenere un ordine artistico reale. Ma anche trasse profitto dalla sua lontananza dal Salon, come parve a Zola nel 1880: "M.Degas seul a tire un veritable profit des expositions particuliäres des impres sionnistes; et il faut en chercher la raison dans le talent meme de ce peintre. M.Degas n'a jamais ete un persecute aux Salon officiels. On le recevait, on le mettait relativement en belle place. Seulement, comme il est de temperament artistique delicat, comme il ne s'impose point par une grande puissance, la foule passait devant ses tableaux sans le voir. De là une irritation fort legitime chez l'artiste, qui a compris combien il beneficierait des avantages d'une petite chapelle oó ses oeuvres si fouillÇes et si fines pourraient etre vues et etudiees à part. En effet,däs qu'il n'a plus ete perdu dans la cohue des Salons, tout le monde l'a connu: un cercle d'admirateurs fervents s'est forme autour de lui".


Comunque sia, non è dubbio che un altro vantaggio Degas abbia tratto dalla collaborazione con gli impressionisti, e cioè un impulso a rinnovare la sua arte.
Sin dal 1862 Degas si era interessato al soggetto delle corse dei cavalli e ne aveva tratto dei motivi più o meno finiti. Tra il 1870 e il 1873 dipinse La voiture aux courses dove è ancora evidente lo stile lineare, di eccezionale finezza, che pone le immagini in un'aria rarefatta senza che possano respirare. Il bruno dei cavalli, il nero della carrozza, il grigio e il viola attenuato delle vesti, il verde acido del prato, e il grigio del cielo, sono preziosi ma non costituiscono alcun rapporto di luce ed ombra. D'altra parte la composizione fuori centro risente dell'arbitrio bizzarro. E la posa diagonale della carrozza non occupa spazio, sembra abbia lo scopo di fare uscire in parte un cavallo dal quadro. Vi si sente un occhio acuto, una sensibilità per la sfumatura, l'ardimento di affermare la propria soggettività; ma è una visione a pezzetti.
Si confronti quest'opera con Aux courses del 1877-80 e si osservi come la visione di Degas sia completamente mutata. La linea è sottintesa, ma non disturba il rapporto fra i colori che si ordinano secondo l'effetto di luce e ombra, e costituiscono una visione unitaria, per cui il tono che dà la forma a un fantino è uguale a quello che accenna alle case lontane; e dall'unità della visione, dal non finito pittorico, scaturisce la sensazione dell'atmosfera in cui ogni immagine respira. Manca, è vero, il volume delle immagini, e anche la rappresentazione dello spazio, ma codesti non sono difetti, perchè non necessari alla unità della visione. La figura di schiena in primo piano tagliata dalla cornice è una bizzarria inutile: invece i fantini riassumono e ravvivano l'effetto cromatico con le loro divise variopinte di giallo, di rosa, di rosso, di celeste, bene armonizzati con le zone verdi, azzurrogrigie e giallo-grige del fondo. Cioè è avvenuta anche per Degas l'immersione della forma in una atmosfera colorata e respirabile. Certo egli ha dipinto il suo quadro di memoria,anzi che in pleinair, ma la sua memoria ha ritenuto non una forma astratta, bensì una visione concreta di forma-colore.
Abbiamo già accennato alla voluta indifferenza di Degas verso la natura e alla sua ironia verso i paesisti. Tuttavia circa il 1869 egli eseguì molti studi a pastello soprattutto di spiagge marine. Furono trovati tutti nello studio alla sua morte, e cioè egli li tenne gelosamente nascosti. Più tardi ne dipinse alcuni con contrasti di luce e ombra, ma quelli del 1869 mi sembrano più indicativi di come Degas vedesse la natura. Con pochi tocchi, assai sommari, ma finissimi, con una linea d'orizzonte tracciata di memoria e con poche sfumature egli seppe dare il senso dell'ampiezza, della lontananza, dell'estasi provata davanti cielo e terra in quanto tali, senza individuazione di luogo.
Quanto agli effetti di luce Degas non li cercò nell'aperta campagna, ma nel teatro, nel caffè-concerto, attorno alle danzatrici. E' vero che le scene di teatro attrassero dapprima l'attenzione di Degas piuttosto come pretesto di dipingere ritratti. L'orchestre de l'Opèra del 1868-69 fu dipinta per fare il ritratto di un suo amico, Desire Dihau, e dei suoi compagni. E' un gruppo folto di suonatori, bene individuati, contro la scena con danzatrici che serve di sfondo senza che partecipi alla composizione. Ma il motivo ripetuto varie volte indusse l'artista a prestare attenzione sempre maggiore alle luci, sino a che nel Cafè-concert des Ambassadeurs, 1876-77, la scena con la sua fantasmagoria, anzi che sfondo, diviene protagonista del quadro. E' un pastello su monotipo, e cioè Degas vi ha dapprima fissati i chiari e gli scuri e poi ha pensato ai colori. Il primo piano è sfocato per ricondurre l'attenzione sulla cantante, ed è l'apparente disordine delle luci e delle ombre artificiali che imprime vivacità fantastica alla rappresentazione.


Degas è noto al pubblico come il pittore delle danzatrici, e di nessun altro soggetto infatti egli si è tanto compiaciuto, con nessun altro forse egli ha trovato modo di identificare il suo stile . C'erano nel tema delle danzatrici infinite possibilità di accostare linee squisite con effetti di luce artificiale. An
che per questo tema tuttavia egli procedette gradualmente, senza rinunziare dapprima alla linea, come se la linea gli servisse a scoprire il terreno su cui poi lanciarsi in corsa.


Le foyer de la danse à l'Opera  del 1872, è una miniatura deliziosa, bene equilibrata, realizzata nello spazio, dove il disegno alla Ingres precisa la bellezza delle danzatrici, ma in maniera assai delicata, senza troppa insistenza. I toni dominanti sono grigi, grigio-azzurri, gialli attenuati. Eppure dopo aver ammirato ci sentiamo davanti un gingillo.
Qualche anno dopo circa il 1877 Degas dipinge La repetition de danse. La luce partecipa attivamente alla scena. Permane il disegno eccelso, ma non si ferma a dirvi delle grazie di ciascuna danzatrice; esso è in funzione della luce, lo scheletro, se volete, della luce.
Luce impressionistica, ma non colori impressionistici: era questo un intero programma, un motivo di capolavori, e Degas se ne accorse e con mutamenti di particolari ne fece moltissimi.
Per esempio La repetition au foyer de la danse, 1875, dove il contrasto di scuri e di chiari, dovuto ai pilastri e ai muri e alle finestre, è anche più deciso, e fantastico, non senza un tocco di mistero.
L'effetto di luce svela a Degas il valore del moto. Anzi tutta la luce pittorica è una vibrazione perenne, cosmica, che elimina ogni staticità di contorno, ed essa giustifica la trasformazione della posa nel moto, dando alle danzatrici quella leggerezza ch'è il loro fascino.
Malgrado la serie delle danzatrici-luce e ombra sia numerosa e ricca di capolavori, Degas, l'eterno cercatore, non si accontenta. Danseuses attachant leurs sandales sembra essere posteriore al 1890, del tempo in cui la vita gli appare tragica. Dopo aver ripetuto tante volte questo motivo, ecco che lo esegue pensando alla sua tragedia, e la esprime non certo nei gesti, ma nei contorni che sono solchi e non linee, e nei contrasti delle luci e delle ombre tutti frementi di energia vitale e di maledizione al destino. Il grigio dominante diviene argento, con qualche tocco di verde e di arancio su fondo bruno. Il colore comunque si fa più profondo, ha più risonanza, il moto è più deciso, la luce e l'ombra più contrastate, la forma più sintetica e la vita scaturi sce più intensa di prima. Dal Foyer de la danse à l'Opera alle Danseuses attachant leurs sandales c'è tutto lo sviluppo dello stile di Degas, dal realismo pre-impressionista, attraverso un approccio all'impressionismo, sino a una specie di espressionismo. Espressionismo, in senso lato, è uno stile che semplifica la forma all'estremo per accentuarne l'espressione. Degas amava le stampe giapponesi per i loro contorni sintetici e per il loro ribaltare alla superficie ogni scorcio e ogni prospettiva. D'altro lato per un breve periodo egli si appassiona ai temi naturalistici alla Zola e vi impresse un contenuto drammatico estraneo alla sua opera precedente. Appunto sia la semplificazione delle forme sia il contenuto drammatico condussero ad una specie di espressionismo.


Il processo di semplificazione è tipicamente rappresentato da Femmes se peignant dipinto circa nel 1877. La linea d'orizzonte è co sì alta, che la sabbia della spiaggia giallo-rosa costituisce un fondo unito su cui si stendono i bianchi delle camicie e i rossi-castani dei capelli. E' un sintetismo che annunzia Gauguin. E l'effetto è bizzarro, ma con una serietà formale e realistica indiscu ibile.


Dalla elevazione della linea d'orizzonte Degas trasse le migliori conseguenze nel Diego Martelli del 1879. I colori sono più vivaci di quelli che aveva usato prima. Il fondo ha tre zone in grigio, verde-viola e giallo-arancio. Il pavimento è giallo-grigio-azzurro. Il sofà è azzurro, e sul tavolo si ammassano le carte grige, brune, gialle e nere. Martelli è in bruno e grigio. Degas si è lanciato a capofitto nel colore. Ma la forma dell'immagine umana, anche se laterale alla composizione, è il centro della creatività dell'artista: tutto l'ambiente gira attorno al ritratto.Martelli, bene caratterizzato e provvisto di un forte volume, è una massa che esce dal quadro e trascina con se tutte le cose che l'attorniano: fra uomini e cose c'è unità di visione grazie alla trattazione omogenea, anzichè all'isolamento dell'immagine che il rilievo sempre produce. Massa volumetrica e colori squillanti ecco due qualità pittoriche di cui Degas prima mancava, e ci si domanda se egli non ne sia eventualmente debitore a Cezanne. Il medesimo motivo in un quadro di Degas della National Gallery of Scotland, Edinburgh (Lemoisne 519) è più finito ed ha una energia minore. L'altro aspetto dell'arte di Degas, legato ai temi naturalistici, ci è rivelato da L'absinthe del 1876 e da Femmes devant un cafè, le soir del 1877. Degas è alla ricerca di soggetti per esprimere il suo pessimismo caustico, per pronunciare la sua condanna morale di ciò che l'attornia.


Perciò nell'Absinthe egli trasforma una graziosa attrice, Ellen Andree, e il suo amico Marcellin Desboutin in una prostituta e in un "clochard", e cioè Degas ha immaginato un soggetto alla Zola. Eppure la luce e l'ombra genialmente composte danno a quest'opera un valore pittorico impressionistico eccezionale, anche se i colori non sono vivaci, ma tendono alle sfumature piene di finezza. Nelle Femmes devant un cafè, ch'è un pastello, l'effetto della luce artificiale è anche più complesso, e l'intenzione caustica è tanto più evidente quanto meno decisa è l'abbiezione di classe delle due immagini principali.
Con queste due opere e alcune altre, Degas sfiora la caricatura sociale, che limiterebbe la sua arte all'aneddotico. Ma altri impulsi spingono il suo animo verso nuovi ideali.
Dal 1886, quando partecipò all'ultima esposizione degli impressionisti, fino alla sua morte nel 1917, Degas non espose più. La sua pittura divenne sempre più un'attività privata. Durand-Ruel e altri ottenevano da lui quadri e pastelli che sparivano nelle collezioni a insaputa del pubblico. Quanto più numerosi diventavano i suoi ammiratori, tanto più egli li allontanava. L'orrore della folla, che aveva sempre risentito, lo induceva all'isolamento, appena interrotto dalla frequenza di pochi amici fidati. E se mostrava interesse per qualche giovane pittore agiva in modo dispotico. Senza famiglia, in mezzo a numerosi quadri e abbozzi e disegni che celava gelosamente a tutti, e in mezzo a una collezione sceltissima che andava da Ingres a Delacroix a Cezanne a Gauguin, egli viveva solo. Nel 1893 sentì che stava per diventare cieco, eppure si affannava a disegnare e dipingere con tanto maggiore passione quanto più sapeva che lavorava per sè. E' naturale che in queste condizioni il suo carattere ch'era sempre stato di una severità crudele, anche verso se stesso, si esacerbasse pericolosamente.
In una lettera del 1890 al suo amico de Valernes che temeva di avere offeso con la durezza dei suoi giudizi, spunta un senso di pietà verso se stesso: "J'etais uo je semblais dur avec tout le monde, par une sorte d'entrainement à la brutalite qui me venait de mon doute et de ma mauvaise humeur. Je me sentais si mal fait, si mal outille, si mou, pendant qu'il me semblait que mes calculs d'art etaient si justes. Je boudais contre tout le monde et con tre moi".
Nel 1884 scrisse a Henri Lerolle: "Si vous etiez celibatarie et age de cinquante ans, vous auriez de ces moments ou,  on se ferme comme une porte, et non pas seulement sur ses amis. On supprime tout autour de soi, et une fois tout seul, on s'annihile, on se tue enfin, par degout. J'ai trop fait de projets, me voici bloqué, impuissant... J'entassais tous mes plans dans une armoire dont je portais toujours la clef sur moi, et j'ai perdu cette clef".
Proprio questa "pietà" per se stesso rende Degas più umano nello ultimo periodo della sua vita; e alla sua maggiore umanità corrisponde la scelta di una tecnica più facile e corsiva.


Non è casuale infatti che dal 1880 in poi Degas abbia adoperato soprattutto il pastello, spesso mescolato con tempera e acqua. Sin dalla giovinezza conosceva questa tecnica, ma preferiva la pittura ad olio, ch'era comune sia alla tradizione cui voleva restare fedele sia all'impressionismo che, pur diffidando, assimilava. Ma il pastello gli permetteva di dipingere disegnando, secondo la sua passione essenziale, e di ottenere effetti cromatici senza coprire il disegno.
Il suo spirito di ricercatore e la padronanza assoluta della forma umana profittano bene di ciò che d'improvvisato è nella tecnica del pastello, mutando forme e atteggiamenti per mezzo di calchi successivi, cioè su carta diversa, anzi che per mezzo di correzioni.
Inoltre il pastello offre l'opportunità di adoperare colori sfavillanti, strettamente connessi col disegno, in modo da farli apparire "irradiazioni della forma", come disse il Gromaire, ottenendo per mezzo di tratti paralleli persino quella divisione dei colori che prima Degas aveva sempre scartata.
Perciò egli coltiva dal 1880 in poi quelle qualità pittoriche, che ha dimostrato occasionalmente nel ritratto di Diego Martelli, e cioè i colori intensi e la massa volumetrica. Rinunzia invece ai suggerimenti giapponesi, salvo che per qualche motivo compositivo, e anche alle finezze dei contorni accurati e dedicati alla bellezza ideale, preferendo a tutto l'espressione della vitalità e dell'energia.
Se si confronta con Femmes se peignant il quadro delle Repasseuses  circa del 1884 si vede bene la differenza: la nuova concezione del volume, la naturalezza dell'apparenza, la richezza del colorito, la certezza spregiudicata dell'esecuzione, l'energia sostituita al capriccio fantastico, sono gli effetti che Degas cerca ancora, ma trova facilmente. Il quadro è dipinto ad olio, ma è veduto a pastello: cioè il suo colorito risente dell'uso del pastello. Sulla parete grigio-celeste rotondeggiano i rossi, i rosa, i gialli, i bianchi e gli azzurri delle donne. Non vi è una composizione di luce, ma la luce è aderente ai colori e imprime loro un'apparenza plastica.
Il tema che più ha preoccupato Degas negli ultimi anni è stato quello del nudo femminile. Egli ha concorso più di chiunque altro a togliere al nudo la sua tradizione accademica. Sono ricerche di forma, di luce e di movimento, del meccanismo del corpo e della sua azione. Egli vuole essere il ritrattista della "bete humaine" ma s'intende che il suo entusiasmo per il meccanismo umano, la sua azione, la sua energia, è tale che la freddezza intellettuale scompare nelle immagini. Anzi tutta la sua passione, e talvolta la sua disperazione, si riflettono in esse.
Ecco come presenta nel 1886 una serie di suoi pastelli: "Suite de nus de femmes se baignant, se lavant, se sechant, s'essuyant, se peignant ou se faisant peigner". Ma il tono ironico della presentazione nulla toglie all'impegno del pittore. Tra le centinaia di pastelli di nudi ne scelgo quattro che indicano bene due aspetti della visione ultima di Degas.


Le tub, del 1886, è un capolavoro di forma-luce. Più di dieci anni dopo Degas ha dipinto un motivo simile, La sortie du bain, dove il tratteggio del pastello è meno fuso, la forma è meno modellata e i colori sono più ricchi e profondi. Sembra che l'immagine appaia sotto una pioggia di scintille preziose di bianchi, di gialli, di azzurri e di viola. Cioè negli ultimi due decenni della sua attività Degas non solo acquista una ricchezza cromatica ignota prima, ma progredisce nel creare la sua forma per mezzo di tocchi cromatici e quindi nel liberare la sua forma dall'isolamento, nell'immergerla in un bagno di colore.
Un pastello, Le petit dejeuner aprè le bain, circa 1895-98, e una pittura ad olio, Après le bain, 1899, rivelano il dramma del pittore che contorce i suoi nudi e si tormenta nel trovar loro equilibri impossibili, e fa vibrare di luce gli oggetti inanimati come i corpi, e poi si rasserena nei colori teneri, nei soffici rosa.
Vi è in queste sue opere una libertà creativa assoluta, e malgrado tutti i tormenti una gioia che non si riscontra negli anni giovanili. E' la gioia della creazione prima che le tenebre scendano sulle sue orbite.

 

Fonte: http://www.istitutobalbo.it/autoindex/indice/Liceo%20Classico/Lezioni%20di%20storia%20dell%27Arte/1800/degas.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

EDGAR DEGAS

Edgar Degas nasce nel 1834 da un’agiata famiglia nobile dove il padre, banchiere di origine napoletana e uomo di grande cultura, si impegna, non appena notata la predisposizione per la pittura del figlio, ad appoggiarlo nel suo percorso.
Impostasi quasi come caratteristica fissa, la disponibilità economica dell’artista era infatti necessaria per investire tempo e denaro, appunto, in questa nuova realtà.
L’educazione al gusto per Degas ha inizio con le prime visite al museo del Louvre, fonte di riflessione sul Rinascimento italiano, e successivamente presso l’ambiente accademico dove si sviluppa la formazione pittorica dell’artista rivolta soprattutto alla purezza del disegno. Nonostante infatti la propaganda impressionista, Degas rimane legato alla tradizione accademica; fa largo uso quindi di prospettiva, disegno, bianco e nero ed ambientazione in luoghi chiusi.
La caratteristica tuttavia forse più discordante dal movimento impressionista è la pittura in atelier: secondo l’artista infatti l’istantaneità di un momento è così complessa e ricca di sfumature che una riproduzione altrettanto rapida non riuscirebbe a coglierne la profondità. Ciò che è essenziale al contrario è quello che resta nella memoria perchè colpisce l’osservatore. Immaginazione e memoria collaborano quindi all’essenzialità caratterizzante del pittore.
Si ha poi verso la metà degli anni 60 una caratterizzazione più realistica della pittura pur rimanendo fedele ai tratti accademici del disegno e della pittura in atelier. Ancora una volta riflessioni, rifiniture e lunghi studi del soggetto stanno alla base di una rappresentazione di personaggi non per come appaiono bensì per come siamo soliti vederli (si passa quindi ad una sorta di idealizzazione).  

 

LE OPERE

 

 

LA LEZIONE DI BALLO
Morto il padre nel 1874, Degas è costretto a dipingere per vivere. È proprio in seguito a questa difficoltà che l’artista intraprende un lungo lavoro sul tema delle ballerine, soggetto di successo tra i collezionisti. “La lezione di ballo”, prima opera su questo tema, include in se già molti tratti distintivi dell’artista. Il momento rappresentato è infatti molto informale: le ballerine, colte in un momento di pausa, stanno compiendo gesti spontanei sotto gli occhi di un osservatore invisibile. La rilassatezza e la spontaneità dei soggetti sono possibili proprio grazie al punto di vista anonimo dell’autore che nel rappresentarli usa una prospettiva occidentale (“quasi spiata dal buco della serratura”) e non centrale. L’istantaneità quasi fotografica dell’attimo realizzato non corrisponde tuttavia ai tempi di lavoro dell’artista che per tre anni ne ha studiato approfonditamente ogni dettaglio e sfumatura.

L’ASSENZIO
Soprattutto in questa opera Degas è riuscito a definire la vita moderna parigina in tutti i suoi aspetti contemporanei, anche quelli più sgradevoli: la prostituta ubriaca e il clochard all’interno del cafè Nouvelle-Athènes ne sono un esempio.
L’inquadratura squilibrata verso destra contribuisce subito alla sensazione di visione improvvisa in contrasto con il rigore compositivo di Degas. Questo realismo fotografico è usato ora da Degas per trattare temi di carattere sociale: il moderato impressionismo, la lettura morale, ideologica e politica volti tutti ad una nuova sensibilizzazione della società.
I soggetti (interpretati da due amici dell’artista) sono seduti ad un tavolo bevendo assenzio, un tempo l’alcol dei poveri, e vino. Nonostante la loro vicinanza i due non comunicano, sono assorti nei loro pensieri, sono come lontanissimi separati dalla solitudine che li accomuna (e di cui Degas soffrì per tutta la vita). L’atmosfera prospettica nel cafè è cupa e quasi squallida come lo stato d’animo dei personaggi che descritti con realismo impietoso sono portati ad esempio come denuncia sociale.

 

 

LA TINOZZA
La prospettiva dell’opera è assolutamente anticonvenzionale: il punto di vista molto alto dell’autore  lascia trasparire un senso di artificiosità. I lineamenti della ragazza sono condotti armonicamente seguendo l’andamento curvo della tinozza in cui è immersa ma dalla quale si distacca grazie alla contrapposizione dei colori. La grande compostezza classica del corpo ed il volume rendono realista la rappresentazione della ragazza, della quale si possono avere solo percezioni illusive di movimento. Ancora una volta l’atmosfera è intima, rilassata, spontanea.                                                                                           

 

http://clp05.altervista.org/091124_Monti_Degas.doc
autrice :Carlotta Monti

 

Edgar Degas vita opere riassunto e biografia

 

 

Visita la nostra pagina principale

 

Edgar Degas vita opere riassunto e biografia

 

Termini d' uso e privacy

 

 

 

Edgar Degas vita opere riassunto e biografia