Mantegna Andrea vita e opere

 

 

 

Mantegna Andrea vita e opere

 

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Mantegna Andrea vita e opere

 

ANDREA MANTEGNA

Nacque a Padova intorno al 1431, fece il suo apprendistato presso la bottega di Francesco Squarcione. Nel 1460 si trasferì a Mantova per volere di Ludovico II di Gonzaga, rimase nella città lombarda fino alla sua morte avvenuta nel 1506, fatta eccezione per due viaggi compiuti dal Mantegna in Toscana e a Roma.
Era un uomo erudito, appassionato all'arte degli antichi (in particolare alle sculture) e all'antiquariato. Nelle opere del Mantegna si possono notare diverse influenze delle correnti artistiche dell'epoca: della pittura Toscana nello studio dell'anatomia, nella prospettiva e nel disegno; della pittura Tonale, tipica di Venezia e di quella Fiamminga nel modo di disegnare che tende ad un effetto scultoreo dovuto al segno duro, secco e spigoloso.

 

ORAZIONE NELL'ORTO

Descrizione della scena: Il tema di questa opera è di carattere religioso (riproposto spesso nel periodo rinascimentale), viene rappresentato infatti il momento antecedente la cattura di Cristo da parte dei romani.

Analisi descrittiva: -In primo piano ci sono i 3 apostoli che hanno accompagnato Gesù: Pietro, Giacomo e Giovanni, essi stanno dormendo profondamente, le figure dei loro corpi appaiono come parti costitutive del paesaggio semidesertico, infatti si presentano come blocchi di pietra perfettamente incastrati tra di loro.
- Al centro della scena vi è invece Cristo , solitario e inginocchiato sulla dura roccia, intento a pregare il Signore. Questa è una scena di grandissima drammaticità resa intensa dal pathos che la figura di Cristo lascia trasparire.
- Di fronte a Cristo ci sono degli angeli che gli mostrano gli oggetti della Passione che però si discostano dalla simbologia classica religiosa (solitamente portano tra le mani un calice).
- In lontananza vi sono dei soldati romani che procedono armati in direzione di Cristo, al capo del gruppo vi è Giuda, il Traditore.
- Sullo sfondo svetta la Città Sacra ai piedi del Monte Sion, una Gerusalemme "restaurata" nella quale il Mantegna ha collocato numerosi monumenti provenienti dalle più note città italiane (l'Arena di Verona, il campanile di San Marco a Venezia e un monumento equestre che ricorda il Marco Aurelio a Roma). Le mura della città sono rappresentate restaurate, questo è un chiaro riferimento alla Bibbia che narra delle loro numerose distruzioni e riparazioni.
- Nell'opera sono presenti numerosi elementi simbolici:
. uccello nero = portatore di un nefasto presagio
. tronco d'albero posto di traverso = allude al peccato, è lo stesso legno che
viene utilizzato per fabbricare la croce di Cristo
. conigli = alludono all'anima che tende a Dio
. aironi = simbolo di Cristo
. albero fiorito = simbolo della futura Resurrezione

 

 

Il Mantegna si riconosce dal fatto che tutta la scena rappresenta un paesaggio che viene realizzato con spigoli vivi: è un ambiente quasi geometrizzato -> per accentuare meglio il senso prospettico. Le montagne vengono scolpite e la profondità spaziale viene evidenziata anche dal sentiero di forma sinuosa che si inerpica lungo i pendii delle montagne sullo sfondo.
La natura del paesaggio è semidesertica e pietrificat, sembra quasi modificata dall'azione dell'uomo. La roccia sula uqale è inginocchiato Cristo è sagomanta come se fosse artificiale e adattata per l'occasione.
La riva del fiume dove dormono i 3 apostoli sembra quasi scavato fra le lisce pareti rocciose. Il cielo è grigio e color piombo per accentuare la drammaticità del momento.

 

In questa opera vi è una grande razionalità, un rigido rigore compositivo e un attento studio della prospettiva. Allo stesso tempo si nota anche uno studio scientifico dell'anatomia nonostante i corpi siano coperti, c'è un'estrema chiarezza nel definire i volumi dei corpi.

 

SAN SEBASTIANO:

Questa è un'opera più vicina ai valori del Rinascimento poiché al centro colloca la figura dell'uomo. Il soggetto dell'opera si riduce a un pretesto del Mantegna per dare prova di una grande e profonda conoscenza antiquaria.

 

Descrizione della scena: Al centro della rappresentazione si trova San Sebastiano, il quale fu condannato a morte da Diocleziano poiché non solo aveva abbracciato la fede cristiana ma perché stava divulgando il pensiero di Cristo convertendo altre persone. [Diocleziano è l'imperatore che risolse la crisi politica ed economica dell'Impero Romano]

Analisi descrittiva:La figura di San Sebastiano è posta la centro della scena, il corpo del santo è trafitto da numerose frecce e ha il volto sofferente. Gli uomini in primo piano sono gli esecutori. Il corpo è legato ai resti di un edificio classico del quale si distinguono chiaramente alcuni elementi architettonici:
. la porzione di un arco
. una colonna conclusa con un ornatissimo capitello corinzio figurato
. una porzione di trabeazione
. una porzione di una statua della quale si disitngue un piede che calza un
sandalo e parte di una tunica
Un fico selvatico cresce tra le rovine, questa pianta rappresenta l'idea di salvezza poiché il latte da essa proveniente è in grado di guarire le ferite, stando a ciò che è scritto nella Bibbia; l'edera invece rappresenta la vita eterna dopo la morte.
Lo sfondo è costituito da una stratificazione urbana: più in basso si trovano edifici classici che sono stati adibiti ad un uso moderno, più in alto vi è una fortezza e sopra ancora su uno sperone di roccia che incombe sulla città, sul quale è costruita un'acropoli murata e turrita.

In questo quadro vi è stata posta una grande attenzione verso l'antichità, testimoniata dai numerosi reperti architettonici raffigurati.

 

CAMERA DEGLI SPOSI

Situata nel palazzo dei Gonzaga a Mantova è la camera da letto di Ludovico II, un locale di forma pressoché cubica di 8 m per lato.
L'impressione ottica fa apparire la stanza come se fosse rimpicciolita.
Le pareti sono scompartite con una finta architettura costituita da paraste poggianti su un basamento, gli elementi architettonici sono tutti dipinti.
Le immagini sono numerose e per questo motivo il Mantegna le contorna con una cornice per focalizzare l'occhio che altrimenti si disperderebbe. Nell'oculo si denota una notevole padronanza della prospettiva.
La scena principale costituisce un vero e proprio ritratto dell'intera corte mantovana. Qui l'artista mette in risalto sua completa preparazione artistica (il ritratto è considerato un tema complesso che mette in evidenza la bravura dell'artista). Il Mantegna infatti è stato in grado di "saper leggere" il personaggio (in questo caso Ludovico II e tutta la sua corte) e di ritrarlo non soltanto come lo vedeva lui stesso in prima persona ma anche come poteva essere visto agli occhi delle altre persone.

 

Fonte: http://clp07.altervista.org/100111_Vetrini_MasaccioMantegna.doc

Sito web da visitare: http://clp07.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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Andrea Mantegna, la Camera degli Sposi nel palazzo ducale di Mantova
Andrea Mantegna nasce a Isola del Canturo nel 1431 o 1432. Non si hanno notizie certe sulla sua infanzia, sappiamo che dovette trasferirsi giovanissimo a causa delle difficili condizioni familiari (verso i dieci/undici anni) a Padova, dove compì la propria formazione artistica nella bottega di Francesco  Squarcione. Nel 1448 Mantegna riuscì a uscire dalla bottega (si pensa che lo Squarcione sfruttasse i giovani artisti di bottega per ogni tipo di lavoro, anche le faccende domestiche) per prendere parte giovanissimo alla decorazione della cappella Ovetari agli Eremitani a Padova dove, accanto a Nicolò Pezzolo, mise a punto, per la prima volta, il proprio linguaggio espressivo, frutto soprattutto dell’appassionato studio dei modelli antichi, conosciuti e studiati nella bottega dello Squarcione, sia per il tramite degli antiquari che frequentavano l’ambiente padovano. Nel 1453 Mantegna sposò Nicolosia, figlia del pittore Jacopo Bellini e sorella di Giovanni, con il quale Mantegna avviò un rapporto che si tradusse in una notevole vicinanza stilistica e formale. Nel 1459 Mantegna si trasferisce a Mantova chiamato dal marchese Ludovico Gonzaga a ricoprire il ruolo di artista di corte. A Mantova l’artista resterà fino alla morte, legando il proprio nome alla cultura di questa raffinata corte del nord, dove la passione per il mondo classico si traduce in un’intensa attività collezionistica e dove l’artista entra in contatto, fra gli altri, con Leon Battista Alberti.
La bottega di Francesco Squarcione  e la diffusione dei modelli pittorici padovani.
Figura tra le più controverse e dibattute della storia dell’arte italiana del Quattrocento, Francesco Squarcione deve la sua fama soprattutto all’attività di capobottega  e maestro di un numero notevole di artisti, alcuni dei quali sono da considerarsi fra i più innnovativi del Rinascimento centrosettentrionale.
Si dice che lo Squarcione avesse ben centotrentasette allievi, attirati nella sua bottega dalla possibilità di studiare un gran numero di calchi dall’antico e opere antiche originarie portate nella bottega dalla Grecia; alcuni allievi furono anche adottati dallo stesso Squarcione (Mantegna fu tra questi), altri furono sfruttati dal maestro che si appropriò delle loro opere facendole passare per proprie (tra le fonti ricordiamo anche Giorgio Vasari).
Gli affreschi della Camera degli Sposi nel palazzo San Giorgio di Mantova
Il più famoso intervento di Mantegna al castello San Giorgio di Mantova, il palazzo ducale,  è la complessa decorazione della Camera Picta cioè la stanza di rappresentanza rinominata in seguito Camera degli Sposi. Si tratta di una stanza di forma pressoché cubica (8 m. di lato) sormontata da una volta a padiglione lunettata. La grande novità nella decorazione è rappresentata dallo sfondamento illusionistico di due pareti contigue e della volta, attuato tramite l’impiego della prospettiva, in modo da dare l’impressione di trovarsi in un loggiato aperto. In questo ciclo di affreschi Mantegna integra perfettamente elementi architettonici reali (lunette, peducci di appoggio delle lunette, camino) con architetture dipinte: i personaggi disegnati, infatti, sembrano appoggiarsi ai pilastri disegnati e camminare sul piano del caminetto.
L’opera iniziata nel 1465, viene terminata nel 1474 (come dichiarato da un’insegna posta sopra a una porta). Nella camera due pareti sono interamente coperte con finti tendaggi di broccato affrescati, mentre nelle altre due i tendaggi dipinti sono scostati per permettere la vista dei personaggi di corte.
In una parete viene rappresentata la famiglia con il marchese Ludovico in trono al quale viene consegnata una lettera. La scena viene rappresentata all’aperto, come se oltre la parete reale si estendesse un terrazzo con una transenna marmorea decorata. A sinistra troviamo il segretario di corte che consegna a Ludovico seduto in trono una lettera in cui, forse, si chiede la sua presenza a Milano per le gravi condizioni di salute del figlio Francesco che stava per diventare cardinale, nella scena si vedono poi la consorte, i figli e i nipoti; altri personaggi stanno salendo una scalinata. I ritratti della famiglia Gonzaga appaiono realistici, non c’è nessuna retorica, anzi, l’artista indaga e insiste sui difetti fisici di alcuni famigliari come la nana, la ridicola acconciatura della consorte simile alle orecchie del cane sotto la seggiola di Ludovico, la bassa statura del segretario di corte. 
Sull’altra parete invece, assistiamo all’incontro tra il marchese (in calzamaglia bianca, di profilo) con il figlio, il cardinale Francesco (con tunica blu e mantella rossa), tutti i personaggi sembrano camminare sullo zoccolo decorato a cerchi della camera. La scena si svolge all’aperto, sullo sfondo una città con alcuni monumenti classici che si armonizzano con le linee sinuose delle colline.
L’apice dell’illusionismo ottico di cui faranno tesoro Giulio Romano e Correggio nel Cinquecento, è  raggiunto nell’oculo dipinto nella parte centrale della volta a padiglione che copre la stanza, raccordata alle pareti verticali da lunette decorate con finti stucchi disegnati, ghirlande fiorite, monocromi a soggetto mitologico e ritratti di imperatori romani. L’oculo centrale, sembra aperto illusionisticamente verso il cielo azzurro cosparso di soffici nubi bianche: una balaustra marmore disegnata da cui si affacciano putti e personaggi è realizzata attraverso una rigorosa prospettiva centrale con fuoco all’infinito in centro. La sapienza prospettica di Mantegna, ben visibile nei superbi scorci della balaustra, del vaso, del pavone, dei putti, si sposa con il gusto dell’antico, della decorazione, della finzione e integrazione dello spazio reale con quello disegnato. Tra le curiose figure disegnate che compaiono nell’oculo troviamo una persona di colore, forse uno schiavo presente nella corte di Mantova, un vaso con arance in bilico sul bordo della balaustra e i simpatici putti alati talmente scorciati dalla visione dal basso.
La tecnica utilizzata da Mantegna è un misto di tempera e olio steso sulla parete con la tecnica dell’affresco; l’olio rende i colori brillanti.

 

Bibliografia:

  • Giulio Carlo Argan: Storia dell’Arte Italiana, ed. Sansoni
  • Art Dossier: Mantegna e la corte di Mantova, L. Ventura, ed. Giunti
  • Cricco, Di Teodoro: Itinerario nell’Arte, ed. Zanichelli
  • A.A.V.V., La grande storia dell’Arte, ed. Scala
  • A.A.V.V., La storia dell’Arte, ed. Electa

 

Fonte: http://www.websavona.it/arte/rinascimento/Mantegna.doc

Sito web : http://www.websavona.it/

Autore : Gaus

 

MANTEGNA:
lo sghignazzo dentro il dramma

  • Gioco satirico, logica in un mondo di follia. La punta più alta dell’intelligenza umana sta proprio nel gioco umoristico della vita.

Mantegna è capace in ogni situazione, anche la più drammatica, di catapultare, dentro le sue opere, donne, uomini, cavalli, bimbi che rovesciano la logica in un mondo di follia (Dante ?!).

 

  • Opera d’arte: Emozione e Catarsi – L’impossibile diventa possibile – sintonia. “Tu chiamale, se vuoi, “Emozioni” (Lucio Battisti) = sensazione che nasce di fronte a opere d’arte, con l’effetto del “brivido nella schiena” in generale. L’emozione scatta di fronte alla “grandiosità” o “magnificenza” della natura: mare, montagna, panorama, fiume, colori variopinti, tramonti, aurora, luna ….

L’arte è lo strumento con cui un personaggio, un po’ strambo, detto artista, trasmette ad altri le emozioni che prova di fronte al mondo, non come pure sensazioni, ma come esperienza organizzata, personale e collettiva, della vita. Se ci riesce, l’emozione prodotta in origine dalla magnificenza della natura (persona compresa) si ripropone nell’opera, costruita attraverso “artifici”: anche questa suscita emozioni a volte più forti e dirompenti. Si può saltare letteralmente di gioia di fronte alle opere di Michelangelo, Donatello, Piero della Francesca, Mantegna, Leonardo, Raffaello ……. o di fronte al Partenone.
Per emozionare occorrono vari fattori; oltre a una sensibilità di base. Serve la conoscenza previa dell’artista (grandezza e fama), per “incontrarlo” nella sua “emozione”.
E’ fondamentale l’ “impatto fisico” dell’opera originale, nelle dimensioni reali e nel contesto oggettivo.
Servono condizioni infine “fortunate”, come una bella giornata, la presenza di amici in armonia, l’assenza di code estenuanti, l’allestimento adeguato, la luce corretta, capace di dare la luce “originale”. Forse così il brivido percorre la schiena. Non sempre questa è emozione, ma se manca il brivido o qualche altro effetto fisico, è probabile che manchi anche l’emozione, o sia repressa o manca l’apprezzamento dell’opera.
Sembra allora evidente che l’emozione sia legata a qualche componente “estetica”, addirittura ne costituisca il fondamento, sul versante dei dati sensibili: è la reazione al primo impatto con l’opera d’arte. Poi entrano in gioco altre relazioni più complesse, pensieri profondi, consapevolezze culturali, conoscenza dei contesti lontani (cultura del tempo dell’autore), messaggio.
Essenziale però è l’emozione, in caso contrario resta solo la dimensione critica, importante, ma sterile se sola (“perché così, non è preciso, non si capisce, io avrei espresso in modo diverso …”). Quindi non solo l’erudizione, ideologia personale sottesa, gusto individuale, preferenze …
L’emozione, qualunque sia il campo di riferimento, è legata a una dimensione di tipo “creativo”, a una capacità di “percezione attiva”, progettuale, capace di “con-figurare” un’immagine, che poi si può tradurre, o meno, in opera.
E’ la dimensione artistica diffusa, che tutti possiedono, in misura maggiore o minore, e riguarda la natura e l’origine dell’arte stessa. C’è poi l’atteggiamento riflesso, recettivo, di ripiegamento su di sé e di connessione in “rete”, di corde sepolte nel profondo, che fa entrare “in risonanza” (l’ “Infinito”) con gli altri, provoca un “riconoscimento” reciproco: è la comunione; meglio ancora “la catarsi”.

 

MANTEGNA ANDREA:
“Scolpiva in pittura” (Ulisse Aleotti, poeta suo contemporaneo)
“Esto giovine padoano se vene in fastidio svalza come catapulta con lanci di petre” (un suo contemporaneo)
“Ell’è tanto molesto e rincrescevole che non è homo né vicino che possa pacificar con lui” (Aliprandi)
“EXCELSO PINTOR PADUANO”

Per “conoscerlo” osserva i suoi autoritratti, soprattutto il busto bronzeo (maschera, Cappella di S.G.Battista in S.Andrea); la Presentazione al Tempio (65-66) a Berlino; il Giudizio di S.Giacomo agli Eremitani, Cappella Ovetari; la Camera degli Sposi, “l’incontro”

N.B. – Il Duca di Mantova nel ’60 lo nominò “pittore di corte”
’66-’67 a Firenze
’88-’90 a Roma

 

Biografia
Nasce nell’Isola di Carturo (Piazzola sul Brenta) nel 1430/31. Questo è il fondale di tante opere di Mantegna: strisce di rogge e di fiumi spuntano fra le rupi scolpite dall’acqua: nell’Orazione nell’orto” (Londra), nell’Adorazione dei pastori (New York), “Morte della Madonna” (Madrid).
Il padre era falegname e per primo notò in Andrea una spiccata predisposizione per le arti plastiche e figurative. A 10 anni il padre lo porta a Padova in una scuola di apprendisti pittori e scultori, diretta dal maestro Francesco Squarcione che così viene descritto da un suo alunno: “Ei se sforsa a disegnar fughe in prospettiva, ma non ce ha vantaggio, per lo che non l’è capace!”.
Nello studio, oltre alle numerose tecniche del dipingere (pittura a tempera, disegno, incisione, pittura a olio, affresco), si imparava l’anatomia.
Lo Squarcione aveva una notevole collezione di pezzi d’antiquariato, che metteva a disposizione dei ragazzi: statue antiche, greche e romane, bassorilievi, un gran numero di disegni in originale, o copie.
Sfruttava come schiavi i suoi allievi per trarne vantaggio personale. Si faceva pagare una retta, li incaricava di riprodurre disegni e stampe, realizzare copie di sculture, eseguire pale d’altare, affreschi, a suo profitto; uno sfruttamento da negriero. Non c’era tempo per il riposo, lo svago ridotto al minimo, punizioni anche corporee.
Andrea, all’età di 17 anni, lo denunciò per sfruttamento. Il Tribunale di Venezia liberò il ragazzo, condannando questa specie di “mangiafuoco” a un risarcimento di duecento ducati (la giustizia veneziana funzionava rapida e immediata ….)
Nel ’48 realizzò un’opera tutta sua e la firmò: Pala di Santa Sofia Padova (oggi perduta).
Lo Squarcione, vantandosi, molti anni dopo: “Ho fatto un uomo de Andrea Mantegna, come farù de ti!”.
Sempre nel ’48 riceve la commissione di affrescare la Cappella Ovetari, nella Chiesa degli Eremitani. Affresco fortemente danneggiato dal bombardamento del 1944 (oggi meno della metà, con qualche particolare).
Mantegna dimostra grande perizia scenografica e architettonica.
La prospettiva segue i dettami scientifici di Piero della Francesca e di Leon Battista Alberti; nel ’49 è invitato a Ferrara.
Nelle città venete uno stuolo di Maestri: oltre ai già citati, Filippo Lippi, Andrea del Castagno, Antonello da Messina: “geometria scenica e meccanica dello spazio pinto”.
Mantegna riprende la Chiesa degli Eremitani.
A Venezia Mantegna (22 anni) incontra i Bellini, conosce la figlia di Jacopo, Nicolosia (bellezza straordinaria). E’ chiesta in sposa, la ragazza si innamora di lui.

 

1454 – Presentazione al Tempio, dove è ritratta parte della famiglia Bellini (soprattutto la sposa accanto alla vergine).
In tutta la serie degli affreschi del ’48 dominano l’architettura e la scenografia (S.Giacomo). A tutte le scene fanno da contrappunto dei ragazzini in basso e piccoli angeli in alto, che giocano, arrampicandosi verso il cielo (attenzione anche a rocce e montagne per la prima volta).

                                                                                                          Presentazione al Tempio

Ciò che colpisce in queste storie sono la leggerezza e il distacco quasi divertito: Martirio di S.Cristoforo (foto 40-41).
Le frecce si rifiutano di colpire S.Cristoforo, eseguono un repentino dietrofront e schizzano in tutte le direzioni. Una va a conficcarsi nell’occhio del tiranno affacciato alla finestra (uno degli sgherri, alle spalle del santo, ha le sembianze indubbie dello Squarcione, che si guarda attorno sgomento). Gli arcieri sono di schiena, ma ogni viso è torto a destra o sinistra, in modo da essere riconosciuto. Lo stesso nel Cristoforo decapitato. Il nobile guerriero sembra dire a un bambino in abiti sontuosi: “vedi figliolo, noi ammazziamo anche i giganti, specie se non sono d’accordo con noi. Impara!”. (cfr. la figura del santo enorme in rapporto agli altri soggetti).

 

Particolare Martirio di S.Cristoforo

 

1454 – La Madonna Butler: il Bambino e la Madonna sono visti in scorcio dal basso.
Dipinto dal vero (espressione del bambino prossimo al pianto e la madre con immensa tenerezza e con splendide mani lo accoglie premurosa). Anche lo sguardo di Maria, che con il viso si appoggia alla fronte del bimbo, comunica un amore struggente. L’invenzione maggiore è la positura scenica di Gesù. Per la prima volta il Bimbo non è “divino”. E’ un neonato, dall’espressione quasi ubriaca di latte e di sonno, la bocca spalancata in un lieve russare soddisfatto.

N.B.: Madonna col bambino di Bergamo: Gesù è rappresentato mentre si addormenta, con ruttino (suoi i figli?); donne con gli occhi  aperti.

Lo stesso atteggiamento nella Madonna con Bambino dormiente (Poldi Pezzoli, Milano)

 

1454 – S.Eufemia (Capodimonte): figura giovane, fuori degli schemi del tempo, austera, possente (Cerere di Roma): una regale dea-madre. Dall’arco pendono frutti rigogliosi, dono della primavera.

 

1455 – L’Orazione nell’orto (Londra):  In primo piano tre apostoli dormono sdraiati sulla roccia. Un albero secco, dove solo un ramo butta un pugno di foglie, sale torcendosi dalla terra e produce solo senso di angoscia. Su uno dei rami un corvo sta aggrappato, puntando lo sguardo verso Gesù che incontra sul dipinto. I tre sono in un sonno da incubo, sembrano plasmati come la roccia, che fa da giaciglio. Poco più in alto, inginocchiato su una larga pietra, Gesù prega.
La sua tristezza è insopportabile, disperata. La stessa che ci comunicano le rupi che s’innalzano al cielo, contrappuntate da torri e dalle mura  di una città da incubo. Sullo sfondo, lontano, una truppa di soldati e sacerdoti, che sta salendo verso il teatro della cattura. Essi, guidati da Giuda, disegnano un lungo serpente di corpi che avanza, badando di non far rumore. Unico suono: sembra di udire le parole di Cristo, rivolte al Padre. Parole disperate … L’uomo Gesù ha paura! Gli angeli presentano la consolazione della croce.
Drammatizzazione straordinaria descritta con la composizione scenica.

 

1457-59 – La pala di S.Zeno, Verona: Mantegna, maestro della capacità di organizzare lo spazio. L’impianto geometrico è il motore della drammatizzazione, soprattutto nella predella della crocifissione (ora al Louvre). La croce dove è issato Gesù sta esattamente al centro del dipinto, dividendolo in due parti: sul lato sinistro sotto la croce del primo ladrone, sta il gruppo delle donne che sorreggono Maria, sull’altro lato quattro soldati si giocano a dadi la veste rossa di Gesù. L’arcata della collina disegna un cerchio nella parte inferiore che raccoglie il gruppo con la Vergine e S.Giovanni. Di fronte, a specchio, un largo semicerchio abbraccia i soldati e due cavalieri. Dall’angolo del lato sinistro parte una diagonale che attraversa il primo cerchio e si ferma a metà della prima croce. A rovescio un’altra diagonale parte dalla base della stessa croce e giunge a tagliare tutto il restante della scena, fino all’angolo opposto in alto.
La sequenza grafica crea un incrociarsi di ritmi geometrici. Il dramma si svolge senza grida, né rumore, in un silenzio pietrificato, davvero assordante.

 

N.B. - Mantegna anticipa di una decina d’anni l’invenzione di Antonello da Messina. Entrambi allungano a dismisura i pali delle tre croci, issando Cristo e i due suoi compagni di patibolo in alto, così che le tre figure inchiodate si stagliano sole nel cielo quasi terso, con leggere bave di nuvole.

 

 

                                                                             
N.B. – Andrea Mantegna (mantovano, così anche si firmava)
Pittura:      “Poesia muta” (Mantegna)
“Ho imparato molto dalla pittura di Giotto a Padova”
“L’onor mi è molto caro
“sono diventato conte palatino”
“me ano sempre insegnato di farli onore a questa Famiglia Gonzaga”
passione per l’antico anche nella sua casa: è la “rinascita classica
la mia casa è simile alla “domus” romana
“orgoglioso del mio lavoro e umile servitore, vado a osservare la scena  da un pilastrino, così resterò per sempre insieme con i miei signori e alle mie meravigliose “invenzioni”, che hanno richiesto nove pazienti anni di studio e di lavoro (parla della “Camera degli sposi”)
“Il bronzo mi ritrae con lunghi capelli, su cui poggia una coroncina d’alloro, che di solito è attribuita ai poeti (“la mia pittura è poesia”)

 

N.B. – Mantegna, da ragazzino analfabeta, come una spugna assorbì tutto il sapere possibile, come stesse dentro un acquario: a bocca spalancata e occhi stupiti ingoiava immagini, espressioni, dottrine, follie con una avidità da affamato eterno. Niente sfuggiva di quanto veniva comunicato di nuovo.
Il suo grande maestro, che, con Donatello, gli squarciò il mondo dello spazio, fu senz’altro Leon Battista Alberti. Fu lui a leggergli per primo “Le metamorfosi” di Ovidio, soprattutto il doppio segno della dialettica, la coscienza che nulla è definitivo e assoluto. Ogni regola ha il suo contrario; sotto il tragico sta sempre nascosto il grottesco: è la violenza del dubbio che lo fa emergere. Nei dipinti di Mantegna vi sono a fianco della malinconia o nel più profondo dolore, una coppia di conigli che si rincorrono vicino a un piccolo cane come sperduto; più in là tagliatori di pietra che battono con la mazza sulla roccia, un impiccato appeso a un pergolato, due innamorati che si baciano tra le fronde, nel cielo una nuvola trasformata in un volto, una donna affacciata alla finestra, un ragazzino appoggiato al muro, un corvo in equilibrio su un lungo palo, un pavone che si sporge dall’oculo della volta e bimbi che spuntano da ogni dove.
Non sono appunti decorativi: sono il mondo! Quello di sempre, antico e nuovo, passato e futuro.

 

N.B. –    Fu buon maestro Mantegna per i suoi allievi? Può rispondere Leonardo e vale per Mantegna: “non necessita tener concione agli allievi e agli aiuti che ti sono appresso. Basta mostrar loro il tuo mestiere, le cose che ti vengono facili e l’altre dove ti scopri affaticato e in difficoltà: Chi di loro ha occhio curioso e doti acconce, impara, l’altri restano allocchi come pria”.

 

N.B. –  Artista di corte, cortigiano? Qualcuno dice di sì, fu artista di corte, secondo qualche critico contemporaneo, a servizio totale del principe, pittore di regime. E’ una enormità, costui non sa leggere l’ironia e la satira dei contenuti, perché guarda solo la forma.Un dubbio: come poteva il duca di Mantova non rendersi conto del doppio significato della rappresentazione e non veder affiorare il suono ironico?
La risposta a Machiavelli: “La vanagloria dei potenti li rende ciechi. Il loro palato e l’udito non assaporano né odori sgradevoli né suoni stonati. Le bandiere e i drappi che sventolano davanti al loro viso li rendono stolti, le trombe che spernacchiano contro le loro orecchie ubriachi di possenza”

 

Fonte: http://www.eremos.it/download/mantegna.doc

Sito web da visitare: http://www.eremos.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

 

 

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