Impressionismo

 

 

 

Impressionismo

 

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IMPRESSIONISMO

 

Caratteri generali
L’impressionismo è un movimento pittorico francese che nasce intorno al 1860 a Parigi. È un movimento che deriva direttamente dal realismo, in quanto come questo si interessa soprattutto alla rappresentazione della realtà quotidiana. Ma, rispetto al realismo, non ne condivide l’impegno ideologico o politico: non si occupa dei problemi ma solo dei lati gradevoli della società del tempo.

La vicenda dell’impressionismo è quasi una cometa che attraversa la storia dell’arte, rivoluzionandone completamente soprattutto la tecnica. Dura poco meno di venti anni: al 1880 l’impressionismo può già considerarsi una esperienza chiusa. Esso, tuttavia, lascia una eredità con cui faranno i conti tutte le esperienze pittoriche successive. Non è azzardato dire che è l’impressionismo ad aprire la storia dell’arte contemporanea.

La grande rivoluzione dell’impressionismo è soprattutto la tecnica, anche se molta della sua fortuna presso il grande pubblico deriva dalla sua poetica.

La tecnica impressionista nasce dalla scelta di rappresentare solo e soltanto la realtà sensibile. Evita qualsiasi riferimento alla costruzione ideale della realtà, per occuparsi solo dei fenomeni ottici della visione. E per far ciò cerca di riprodurre la sensazione ottica con la maggior fedeltà possibile.
Dal punto di vista della poetica l’impressionismo sembra indifferente ai soggetti. In realtà, proprio perché può rendere piacevole qualsiasi cosa rappresenti, l’impressionismo divenne lo stile della dolce vita parigina di quegli anni. Non c’è, nell’impressionismo, alcuna romantica evasione verso mondi idilliaci, sia rurali sia mitici; c’è invece una volontà dichiarata di calarsi interamente nella realtà urbana di quegli anni per evidenziarne tutti i lati positivi e piacevoli. Ed anche le rappresentazioni paesaggistiche o rurali portano il segno della bellezza e del progresso della civiltà. Sono paesaggi visti con occhi da cittadini.
I protagonisti dell’impressionismo furono soprattutto pittori francesi. Tra essi, il più impressionista di tutti, fu Claude Monet. Gli altri grandi protagonisti furono: Auguste Renoir, Alfred Sisley, Camille Pissarro e, seppure con qualche originalità, Edgar Degas. Un posto separato lo occupano, tra la schiera dei pittori definiti impressionisti, Edouard Manet, che fu in realtà il precursore del movimento, e Paul Cézanne, la cui opera è quella che per prima supera l’impressionismo degli inizi.

Date fondamentali per seguire lo sviluppo dell’impressionismo sono:

  • 1863: Edouard Manet espone «La colazione sull’erba»;
  • 1874: anno della prima mostra dei pittori impressionisti presso lo studio del fotografo Nadar;
  • 1886: anno dell’ottava e ultima mostra impressionista.

L’impressionismo non nacque dal nulla. Esperienze fondamentali, per la sua nascita, sono da rintracciarsi nelle esperienze pittoriche della prima metà del secolo: soprattutto nella pittura di Delacroix e dei pittori inglesi Constable e Turner. Tuttavia, la profonda opzione per una pittura legata alla realtà sensibile portò gli impressionisti, e soprattutto il loro precursore Manet, a rimeditare tutta la pittura dei secoli precedenti che hanno esaltato il tonalismo coloristico: dai pittori veneziani del Cinquecento ai fiamminghi del Seicento, alla pittura degli spagnoli Velazquez e Goya.
Punti fondamentali per seguire le specificità dell’impressionismo sono:

  • il problema della luce e del colore;
  • la pittura en plain air;
  • l'esaltazione dell’attimo fuggente;
  • i soggetti urbani.
  •  

Le rivoluzioni tecniche sul colore e sulla luce
La grande specificità del linguaggio pittorico impressionista sta soprattutto nell’uso del colore e della luce. Il colore e la luce sono gli elementi principali della visione: l’occhio umano percepisce inizialmente la luce e i colori, dopo di che, attraverso la sua capacità di elaborazione cerebrale distingue le forme e lo spazio in cui sono collocate. La maggior parte della esperienza pittorica occidentale, tranne alcune eccezioni, si è sempre basata sulla rappresentazione delle forme e dello spazio.
Il rinnovamento della tecnica pittorica, iniziata da Manet, parte proprio dalla scelta di rappresentare solo la realtà sensibile. Su questa scelta non poca influenza ebbero le scoperte scientifiche di quegli anni. Il meccanismo della visione umana divenne sempre più chiaro e si capì meglio il procedimento ottico di percezione dei colori e della luce. L’occhio umano ha recettori sensibili soprattutto a tre colori: il rosso, il verde e il blu. La diversa stimolazione di questi tre recettori producono nell’occhio la visione dei diversi colori. Una stimolazione simultanea di tutti e tre i recettori, mediante tre luci pure (rossa, verde e blu), dà la luce bianca. Questo meccanismo è quello che viene definito sintesi additiva.
Il colore che percepiamo dagli oggetti è luce riflessa dagli oggetti stessi. In questo caso, l’oggetto di colore verde non riflette le onde di colore rosso e blu, ma solo quelle corrispondenti al verde. In pratica, l’oggetto, tra tutte le onde che costituiscono lo spettro visibile della luce, ne seleziona solo alcune. I colori che l’artista pone su una tela bianca seguono lo stesso meccanismo: selezionano solo alcune onde da riflette. In pratica, i colori sono dei filtri che non consentono la riflessione degli altri colori. In questo caso, sovrapponendo più colori, si ottiene, successivamente, la progressiva filtratura, e quindi soppressione, di varie colorazioni, fino a giungere al nero. In questo caso si ottiene quella che viene definita sintesi sottrattiva.
I colori posti su una tela agiscono sempre operando una sintesi sottrattiva: più i colori si mischiano e si sovrappongono, meno luce riflette il quadro. L’intento degli impressionisti è proprio evitare al minimo la perdita di luce riflessa, così da dare alle loro tele la stessa intensità visiva che si ottiene da una percezione diretta della realtà.
Per far ciò adottano le seguenti tecniche:

  • utilizzano solo colori puri;
  • non diluiscono i colori per realizzare il chiaro-scuro, che nelle loro tele è del tutto assente;
  • per esaltare la sensazione luminosa accostano colori complementari;
  • non usano mai il nero;
  • anche le ombre sono colorate.

Ciò che distingue due atteggiamenti fondamentalmente diversi, tra i pittori impressionisti, è il risultato a cui essi tendono:

  • da un lato ci sono pittori, come Monet, che propongono sensazioni visive pure, senza preoccuparsi delle forme che producono queste sensazioni ottiche;
  • dall’altro ci sono pittori, come Cézanne e Degas, che utilizzano la tecnica impressionista per proporre la visione di forme inserite in uno spazio.

Monet fa evaporizzare le forme, dissolvendole nella luce; Cezanne ricostruisce le forme, ma utilizzando solo la luce e il colore.

La pratica dell’en plain air
La pittura, così come concepita dagli impressionisti, era solo colore. Essi, pertanto, riducono, e in alcuni casi sopprimono del tutto, la pratica del disegno. Questa scelta esecutiva si accostava all’altra caratteristica di questo movimento: la realizzazioni dei quadri non negli atelier ma direttamente sul posto. È ciò che, con termine usuale, viene definito en plain air.
L’en plain air non è una invenzione degli impressionisti. Già i paesaggisti della Scuola di Barbizon utilizzavano questa tecnica. Tuttavia, ciò che questi pittori realizzavano all’aria aperta era in genere una stesura iniziale, da cui ottenere il motivo sul quale lavorare poi in studio rifinendolo fino alla stadio definitivo. Gli impressionisti, e soprattutto Monet, portarono al limite estremo questa pratica dell’en plain air realizzando e finendo i loro quadri direttamente sul posto.
Questa scelta era dettata dalla volontà di cogliere con freschezza e immediatezza tutti gli effetti luministici che la visione diretta fornisce. Una successiva prosecuzione del quadro nello studio avrebbe messo in gioco la memoria che poteva alterare la sensazione immediata di una visione.
Gli impressionisti avevano osservato che la luce è estremamente mutevole. Che, quindi, anche i colori erano soggetti a continue variazioni. E questa sensazione di mutevolezza è una delle sensazioni piacevoli della visione diretta che loro temevano si perdesse con una stesura troppo meditata dell’opera.

La poetica dell’attimo fuggente
La scelta dei pittori impressionisti, di rappresentare la realtà cogliendone le impressioni istantanee portò questo stile ad esaltare su tutto la sensazione dell’attimo fuggente.
Secondo i pittori impressionisti la realtà muta continuamente di aspetto. La luce varia ad ogni istante, le cose si muovono spostandosi nello spazio: la visione di un momento è già diversa nel momento successivo. Tutto scorre. Nella pittura impressionista le immagini trasmettono sempre una sensazione di mobilità.
L’attimo fuggente della pittura impressionista è totalmente diverso dal momento pregnante della pittura neoclassica e romantica. Il momento pregnante sintetizza la storia nel suo momento più significativo; l’attimo fuggente non ha nulla a che fare con le storie: esso coglie le sensazioni e le emozioni. E quelle raccolte nella pittura impressionista sono sempre sensazioni e impressioni felici, positive, gradevoli. L’impressionismo, per la prima volta dopo la scomparsa della pittura rococò, rifugge dagli atteggiamenti tragici o drammatici. Torna a rappresentare un mondo felice ed allegro. Un mondo dove si può vivere bene.
L’attimo fuggente della pittura impressionista ha analogie evidenti con la fotografia. Anche la fotografia, infatti, coglie una immagine della realtà in una frazione di secondo. E dalla fotografia gli impressionisti non solo prendono la velocità della sensazione, ma anche i particolari tagli di inquadratura che danno alle loro immagini particolare sapore di modernità.

I soggetti urbani
Sul piano dei soggetti l’impressionismo si presenta con un’altra notevole caratteristica: quella di rappresentare principalmente gli spazi urbani. E lo fa con una evidente esaltazione della gradevolezza della vita in città. Questo atteggiamento è una novità decisa. Fino a questo momento la città era stata vista come qualcosa di malefico e di infernale. Soprattutto dopo lo sviluppo della Rivoluzione Industriale, i fenomeni di urbanesimo avevano deteriorato gli ambienti cittadini. La nascita delle industrie avevano congestionato le città. Erano sorti i primi effetti dell’inquinamento. I centri storici si erano affollati di immigrati dalle campagne, le periferie sorgevano come baraccopoli senza alcuna qualità estetica ed igienica. Le città erano dunque viste come entità malsane.

L’impressionismo è il primo movimento pittorico che ha un atteggiamento positivo nei confronti della città. E di una città in particolare: Parigi. La capitale francese, sul finire dell’Ottocento è, sempre più, la città più importante e gaudente d’Europa. In essa si raccolgono i maggiori intellettuali ed artisti, ci sono i maggiori teatri e locali di spettacolo, si trovano le cose più eleganti e alla moda, si possono godere di tutti i maggiori divertimenti del tempo.

Tutto questo fa da sfondo alla pittura degli impressionisti, e ne fornisce molto del suo fascino. I luoghi raffigurati, nei quadri impressionisti, diventano tutti seducenti: le strade, i viali, le piazze, i bar, gli stabilimenti balneari lungo la Senna, i teatri (da ricordare soprattutto le ballerine di Degas), persino le stazioni, come nel famoso quadro di Monet raffigurante «La Gare Saint-Lazare».
MANET
Édouard Manet (1832-1883), nato in una famiglia borghese, dopo gli studi classici si arruolò in Marina. Respinto agli esami, decise di iniziare la carriera artistica. Dal 1850 al 1856 studiò presso il pittore accademico Couture, pur non condividendone gli insegnamenti. Viaggiò molto in Italia, Olanda, Germania, Austria, studiando soprattutto i pittori che avevano scelto il linguaggio tonale quali Giorgione, Tiziano, gli olandesi del Seicento, Goya e Velazquez.

Notevole influenza ebbe sulla definizione del suo stile anche la conoscenza delle stampe giapponesi. Nell’arte giapponese, infatti, il problema della simulazione tridimensionale viene quasi sempre ignorato, risolvendo la figurazione solo con la linea di contorno sul piano bidimensionale.
Manet è stato un pittore poco incline alle posizioni avanguardistiche. Egli voleva giungere al rinnovamento della pittura operando all’interno delle istituzioni accademiche. E, per questo motivo, egli, pur essendo il primo dei pittori moderni, non espose mai con gli altri pittori impressionisti. Rimase sempre su posizione individuale e solitaria anche quando i suoi quadri non furono più accettati dalla giuria del Salon.
Le sue prime opere non ebbero problemi ad essere accettate. La rottura con la critica avvenne solo dopo il 1863, quando Manet propose il quadro «La colazione sull’erba». In questa tela sono già evidenti i germi dell’impressionismo. Manet aveva abbandonato del tutto gli strumenti classici del chiaroscuro e della prospettiva per proporre un quadro realizzato con macchie di colori puri e stesi uniformemente. In esso, tuttavia, l’occhio riesce a cogliere una simulazione spaziale precisa se osservato ad una distanza non ravvicinata.

Nello stesso anno realizzò l’«Olympia». Come «La colazione sull’erba», anche questo deriva da un soggetto tratto da Tiziano. Da questo momento, infatti, molte delle opere più famose di Manet derivano da soggetti di pittori del passato, quasi a rendere omaggio a quei pittori tonali a cui lui aveva sempre guardato. Ne «Il balcone» riprende un analogo soggetto dipinto da Goya. E sempre da Goya («La fucilazione dell’8 maggio 1808») deriva il suo «Esecuzione dell’imperatore Massimiliano». Da Velazquez («Las meninas») riprende le visioni riflesse che si ritrovano nel suo caleberrimo «Bar aux Folies Bergère». Tutti questi quadri sono la dimostrazione inequivocabile di come la pittura di Manet sia decisamente moderna, sul piano della visione, rispetto a quella del passato. Tuttavia, questo progresso non fu compreso proprio dal mondo accademico del tempo, al quale in realtà Manet si rivolgeva. Fu invece compreso da quei giovani pittori, gli impressionisti, anche loro denigrati e rifiutati dal mondo ufficiale dell’arte.
Nei confronti degli impressionisti Manet ebbe sempre un atteggiamento distaccato. Partecipava alle loro discussioni, che si svolgevano soprattutto al Cafè Guerbois, e, in seguito, al Cafè della Nouvelle Athènes, ma non espose mai ad una mostra di pittura impressionista. Egli, tuttavia, non rimase impermeabile allo stile che egli stesso aveva contribuito a far nascere. Dal 1873 in poi, sono evidenti nei suoi quadri le influenze della pittura impressionista. Il tocco diviene più simile a quello di Monet, così come la scelta di soggetti urbani («Bar aux Folies Bergère») rientra appieno nella poetica dell’impressionismo. Egli, tuttavia, conserva sempre una maggior attenzione alla figura e continuerà sempre ad utilizzare il nero come colore, cosa che gli impressionisti non fecero mai.

Tra tutti i pittori dell’Ottocento francese, Manet è quello che più ha creato una cesura con l’arte precedente. Dopo di lui la pittura non è stata più la stessa. E la sua importanza va ben al di là del suo contributo alla nascita dell’impressionismo.

MONET
Claude Monet (1840-1926), tra tutti i pittori dell’impressionismo, può essere considerato il più impressionista di tutti. La sua personale ricerca pittorica non uscirà mai dai confini di questo stile, benché egli sopravviva molto più a lungo dell’impressionismo. La sua formazione avvenne in maniera composita, trovando insegnamento ed ispirazione in numerosi artisti del tempo. A diciotto anni iniziò a dipingere, sotto la direzione di Boudin, che lo indirizzò al paesaggio en plain air. Recatosi a Parigi, ebbe modo di conoscere Pissarro, Sisley, Renoir, Bazille. In questo periodo agisce su di lui soprattutto l’influenza di Courbet e della Scuola di Barbizon.
Nel 1863 si entusiasmò per «La Colazione sull’erba» di Manet e cercò di apprenderne il segreto. Nel 1870 conobbe la pittura di Constable e Turner. In questo periodo si definisce sempre più il suo stile impressionistico, fatto di tocchi di colore a rappresentare autonomi effetti di luce senza preoccupazione per le forme. Nel 1872 dipinse il quadro che poi diede il nome al gruppo: «Impression. Soleil levant». Questo quadro fu esposto nella prima mostra tenuta dagli impressionisti nel 1874.
In questo periodo lo stile di Monet raggiunge una maturazione che si conserva inalterata per tutta la sua attività posteriore. Partecipa a tutte le otto mostre di pittura impressionista, tenute fino al 1886. I suoi soggetti sono sempre ripetuti infinite volte per esplorarne tutte le varianti coloristiche e luministiche. Tra le sue serie più famose vi è quella che raffigura la cattedrale di Rouen. La facciata di questa cattedrale viene replicata in ore e condizioni di luminosità diverse. Ogni quadro risulta così diverso dall’altro, anche se ne rimane riconoscibile la forma di base pur come traccia evanescente e svaporizzata.
Dal 1909 al 1926, anno della sua morte, esegue una serie di quadri aventi a soggetto «Le ninfee». In questi fiori acquatici sono sintetizzati i suoi interessi di pittore, che rimane impressionista anche quando le avanguardie storiche hanno già totalmente demolito la precedente pittura ottocentesca.

RENOIR
Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) è il pittore che, dopo Monet, ha meglio sintetizzato la poetica del nuovo stile pittorico. Iniziò la sua attività da ragazzo decorando porcellane, stoffe e ventagli. Si iscrisse all’École des Beaux-Arts e frequentò lo studio del pittore Gleyre dove incontrò Monet e Sisley. Dalla metà degli anni ’60 la sua pittura si configura già pienamente impressionista.
Partecipa alla prima mostra impressionista del 1874 presso lo studio di Nadar. I quadri di questo periodo sono caratterizzati dalle immagini en plain air. In essi si avverte una leggerezza e un tono gaio che ne fanno una rappresentazione di gioia suprema. Capolavoro di questo periodo sono «La Grenouillère», o il «Bal au Moulin de la Galette». Renoir è anche insuperabile nella resa delle figura femminile, specie nei nudi. Le sue immagini sono create dalla luce stessa che, attraverso mille riflessi e rifrazioni, compone una immagine insolita ma di grande fascino.
Dopo il 1881 la sua pittura entrò in crisi. Abbandonò la leggerezza del periodo impressionista per aprire un nuovo periodo che egli stesso definì «agro». La sua pittura tese ad un maggior spirito neoclassico, e a ciò non fu estraneo un viaggio che egli fece in Italia e che gli permise di conoscere i grandi pittori del passato. Colpito da artite reumatica continuò imperterrito la sua attività di pittore fino alla morte.

DEGAS
Edgar Degas (1834-1917) tra tutti i pittori impressionisti è quello che conserva la maggiore originalità e distanza dagli altri. I suoi quadri non propongono mai immagini di evanescente luminosità ma rimangono ancorati ad una solidità formale assente negli altri pittori. Ciò fu, probabilmente, originato dalla sua formazione giovanile che lo portava ad essere un pittore più borghese degli altri. Degas era infatti figlio di un banchiere e compì, a differenza di altri suoi amici, regolari studi classici. Viaggiò molto in Italia, suggestionato dalla pittura rinascimentale di Raffaello e Botticelli.
Nel 1862 realizzò il suo primo quadro che lo rese famoso: «La famiglia Bellelli». In esso raffigura la famiglia della sorella sposata ad un fiorentino di nome Bellelli. Nel quadro compaiono il marito, la moglie e due figlie. L’inedito taglio compositivo, insieme ad una precisa introspezione psicologica dei personaggi, ne fanno un’opera di un realismo e di una modernità che addirittura anticipa alcune delle successive conquiste di Edouard Manet.
Negli anni successivi iniziò ad uscire dal suo ambiente borghese per frequentare il Café Guerbois dove strinse amicizia con Manet e gli altri pittori che avrebbero formato il gruppo degli impressionisti. Fu tra i fondatori del gruppo e fu proprio egli ad organizzare la mostra presso il fotografo Nadar. E partecipò a tutte le otto successive mostre impressioniste, tranne quella del 1882.
Le sue differenze con gli altri impressionisti sono legate soprattutto alla costruzione disegnata e prospettica dei suoi quadri. Le forme non si dissolvono e non si confondono con la luce. Sono invece rese plastiche con la luce tonale e non con il chiaroscuro, e in questo segue la tecnica impressionista. Ciò che contraddistingue i suoi quadri sono sempre dei tagli prospettici molto arditi. Per questi scorci si è molto parlato dell’influenza delle stampe giapponesi, anche se appare evidente che i suoi quadri hanno una inquadratura tipicamente fotografica.
Tra i suoi soggetti preferiti ci sono le ballerine, (che costituiscono un tema del tutto personale), e le scene di teatro. Anche in questo, Degas coincide con l’impressionismo: la scelta poetica di dar immagine alla vita urbana, con i suoi riti e i suoi miti, a volte borghesi, a volte bohemiène.

 

Fonte: http://www.oratoriosavio.it/images/Documenti%20word/Compiti%20ragazzi/Arte/Impressionismo.doc
Autore: non indicato nel documento

 


 

Impressionismo

Claude Monet
Claude Monet (1840-1926), tra tutti i pittori dell’impressionismo, può essere considerato il più impressionista di tutti. La sua personale ricerca pittorica non uscirà mai dai confini di questo stile, benché egli sopravviva molto più a lungo dell’impressionismo. La sua formazione avvenne in maniera composita, trovando insegnamento ed ispirazione in numerosi artisti del tempo. A diciotto anni iniziò a dipingere, sotto la direzione di Boudin, che lo indirizzò al paesaggio en plain air. Recatosi a Parigi, ebbe modo di conoscere Pissarro, Sisley, Renoir, Bazille. In questo periodo agisce su di lui soprattutto l’influenza di Courbet e della Scuola di Barbizon.
Nel 1863 si entusiasmò per «La Colazione sull’erba» di Manet e cercò di apprenderne il segreto. Nel 1870 conobbe la pittura di Constable e Turner. In questo periodo si definisce sempre più il suo stile impressionistico, fatto di tocchi di colore a rappresentare autonomi effetti di luce senza preoccupazione per le forme. Nel 1872 dipinse il quadro che poi diede il nome al gruppo: «Impression. Soleil levant». Questo quadro fu esposto nella prima mostra tenuta dagli impressionisti nel 1874.
In questo periodo lo stile di Monet raggiunge una maturazione che si conserva inalterata per tutta la sua attività posteriore. Partecipa a tutte le otto mostre di pittura impressionista, tenute fino al 1886. I suoi soggetti sono sempre ripetuti infinite volte per esplorarne tutte le varianti coloristiche e luministiche. Tra le sue serie più famose vi è quella che raffigura la cattedrale di Rouen. La facciata di questa cattedrale viene replicata in ore e condizioni di luminosità diverse. Ogni quadro risulta così diverso dall’altro, anche se ne rimane riconoscibile la forma di base pur come traccia evanescente e svaporizzata.
Dal 1909 al 1926, anno della sua morte, esegue una serie di quadri aventi a soggetto «Le ninfee». In questi fiori acquatici sono sintetizzati i suoi interessi di pittore, che rimane impressionista anche quando le avanguardie storiche hanno già totalmente demolito la precedente pittura ottocentesca.



Claude Monet, Impression. Soleil levant, 1872
I quadri dei pittori impressionisti venivano sistematicamente rifiutati dai Saloni ufficiali. Alcuni giovani pittori decisero quindi di autopromuovere una loro esposizione. Nel 1874 questi pittori – Claude Monet, Auguste Renoir, Camille Pissarro, Alfred Sisley, Edgar Degas e Paul Cezanne – si unirono in società e realizzarono una loro mostra presso lo studio del fotografo Nadar. A questo gruppo gli artisti diedero il nome di: «Società anonima di pittori, scultori, incisori». Il nome «Impressionisti» fu loro dato dal critico francese Louis Leroy che coniò il termine con intento dispregiativo. E il nome derivava proprio dal titolo di questo quadro dipinto da Claude Monet.
Esso è divenuto uno dei simboli della pittura impressionista. In questo quadro ci sono molti degli elementi caratteristici di questa pittura: la luce che svolge il ruolo da protagonista, il colore steso a tocchi e macchie, la sensazione visiva che fa a meno della definizione degli oggetti e delle forme, il soggetto del tutto casuale e al di fuori della ordinaria categoria di paesaggio.
Il quadro rappresenta uno scorcio del porto di Le Havre. L’immagine è còlta all’aurora quando il sole inizia a filtrare attraverso la nebbia mattutina. Monet è del tutto indifferente a ciò che ha innanzi. Non ne cerca la riconoscibilità ma abbozza forme indistinte. Due barche sono solo due ombre scure, il cerchio del sole rimanda alcuni riflessi nell’acqua, un insieme di gru e ciminiere fumose si intravvedono in lontananza.
Egli, tuttavia, è attento a registare con immediatezza e verità solo l’impressione visiva che si coglie guardando una immagine del genere. Nella sua pittura esiste solo la realtà sensibile, ossia solo ciò che l’occhio coglie d’istinto: la luce e il colore. Alle forme e allo spazio egli è del tutto indifferente.
In questo quadro la sensazione, o meglio l’impressione, visiva è data dalla sintesi di luce e di colore. Ed è una sintesi che si basa sulla percezione istantanea. La registrazione che dà il quadro della percezione riguarda un attimo fuggente. Un istante dopo la visione può essere già diversa, perché la luce è cambiata e, con sé, anche la tonalità di colore che essa diffonde nell’atmosfera. Ma rimane una sensazione, fatta di suggestioni ambientali e atmosferiche, che il pittore coglie come testimonianza del suo vedere e del suo sentire.
Da notare che, in questo quadro, benché poco evidente un ruolo essenziale lo svolge lo specchio d’acqua del porto. In moltissima parte della pittura impressionista, e di Monet in particolare, l’acqua svolge sempre un ruolo fondamentale. Essa riflette le immagini distorcendole. E il riflesso varia in continuazione. Questa visione tremolante che si coglie di riflesso nell’acqua è già una immagine impressionista per eccellenza. E permetteva ai pittori di rappresentare le immagini con una libertà di tocco, fatto in genere a tratteggi e virgole, che sintetizzano immediatamente la loro poetica dell’attimo fuggente.
Questo quadro è stato rubato nel 1985 dal Musée Marmottan di Parigi.


Auguste Renoir
Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) è il pittore che, dopo Monet, ha meglio sintetizzato la poetica del nuovo stile pittorico. Iniziò la sua attività da ragazzo decorando porcellane, stoffe e ventagli. Si iscrisse all’École des Beaux-Arts e frequentò lo studio del pittore Gleyre dove incontrò Monet e Sisley. Dalla metà degli anni ’60 la sua pittura si configura già pienamente impressionista.
Partecipa alla prima mostra impressionista del 1874 presso lo studio di Nadar. I quadri di questo periodo sono caratterizzati dalle immagini en plain air. In essi si avverte una leggerezza e un tono gaio che ne fanno una rappresentazione di gioia suprema. Capolavoro di questo periodo sono «La Grenouillère», o il «Bal au Moulin de la Galette». Renoir è anche insuperabile nella resa delle figura femminile, specie nei nudi. Le sue immagini sono create dalla luce stessa che, attraverso mille riflessi e rifrazioni, compone una immagine insolita ma di grande fascino.
Dopo il 1881 la sua pittura entrò in crisi. Abbandonò la leggerezza del periodo impressionista per aprire un nuovo periodo che egli stesso definì «agro». La sua pittura tese ad un maggior spirito neoclassico, e a ciò non fu estraneo un viaggio che egli fece in Italia e che gli permise di conoscere i grandi pittori del passato. Colpito da artite reumatica continuò imperterrito la sua attività di pittore fino alla morte.



Auguste Renoir, La Grenouillère, 1869
Questo quadro appartiene alla fase in cui Renoir lavorava gomito a gomito con Claude Monet. Entrambi avevano lavorato presso lo studio del pittore svizzero Gleyre; entrambi si riunivano intorno a Edouard Manet nel Café Guerbois; insieme si recavano, nell’estate del ’69, alla Grenouillère per dipingere. La Grenouillère era uno stabilimento balneare che sorgeva lungo la Senna, e ricorre in numerosi quadri sia di Monet che di Renoir.
Il luogo sembra un paesaggio ma è in realtà un luogo urbano per eccellenza. Qui si portavano i parigini per passare ore felici e spensierate, passeggiando, nuotando, remando in barca. Il luogo non ha una presenza monumentale che ne segni lo spazio. È un ambiente fatto di elementi impalpabili: acqua, aria, luce che filtra tra gli alberi. Ed è indubbio che siano proprio questi elementi a costruire il fascino di un simile ambiente.
Renoir cerca di cogliere la sensazione di essere in un luogo attraverso la percezione di luci e colori. Il tutto è reso con una immediatezza sorprendente. La visione che ha innanzi è in continuo movimento. Variano le luci e i riflessi nell’acqua. Le persone e le barche si spostano in continuazione. Renoir cerca di fissare sulla tela il tutto, senza però congelare il loro continuo divenire. Le forme, grazie a questa sensazione di sfumato e sfocato che la pittura trasmette, sembra che stiano in bilico tra due attimi successivi. Tra due spostamenti successivi.
La tela è satura di colori stesi a pennellate divise, più nette nella parte inferiore del quadro, più sfumate nella parte alta, così da trasmettere una sensazione prospettica virtuosisticamente ottenuta solo con luci e colori, nella più pura tradizione tonale. Da notare il verde cupo delle foglie dell’albero sulla rotonda che staccano in maniera perfetta il primo piano dal piano di fondo, trattato con diversa tonalità di verde; in questo secondo piano pochi tocchi di bianco-celeste riescono a dare l’illusione perfetta di un ulteriore piano di profondità.
Il quadro, per il suo contenuto lieve e spensierato, per la sua tecnica esecutiva fatta a tocchi staccati, è un’opera già pienamente impressionista, e rimane come una delle più alte testimonianze non solo dell’attività di Renoir, ma di tutta la pittura impressionista francese dell’Ottocento.

Fonte: http://www.oratoriosavio.it/images/Documenti%20word/Compiti%20ragazzi/Arte/Monet%20e%20Renoir.doc

Autore: non indicato nel documento

 

DOPO L’IMPRESSIONISMO

1886 fine Impres e chi viene dopo riprende da loro ma cerca autonomia:
Tecniche tradizionali (olio, tempera) + nuove come guazzo (v. Van Gogh) e sviluppo delle stampe, i poster, le prime realizzate da Toulouse-Lautrec (manifesto x propaganda politica o pubblicità). Stampe possono essere Litografie (matrice in pietra), Calcografie (matr in metallo), Xilografia (matr in legno), Cianografia.
Georges Pierre Seurat con “Une dimanche après-midi à L’Ile de la Grande Jatte”(v. sotto) fu innovativo che  Fénéon coniò x quello il termine Neoimpressionismo (partire da radice come Monet, ma luce da scindere sulla tela secondo criteri oggettivi e approccio + scientifico con preparazione in atelier). Per coniare pittura di Seurat nacque il termine Puntinismo, metodo “a puntini”, piccolissime macchie di colore x coprire la tela, x decomporre luce fisicamente e ricomporla nella retina dell’osservatore.
“Une dimanche après-midi à L’Ile de la Grande Jatte” p12 : Grande Jatte è isola di Senna, piccole pennellate e puntini, mancanza di scorci prospettici arditi, realizzato prevalentemente in atelier con studi (x es allo zoo x scimmietta), l’immobilità dell’insieme valorizza la vibrazione della luce e dunque il sistema puntinista.

Paul Cezanne: introduce la 4a dimensione (tempo), conflitto con padre, fissato dalla mania della morte, vuole superare l’impressionismo, “tutto in natura è formato da sfera, cilindro e cono”= mente umana percepisce la natura solo sotto forme geometriche, eliminare i contorni, costruzione del dipinto tramite la “modulazione” cioè macchie poste l’una accanto all’altra e x loro differenza di tono danno effetto tridimensionale, toni bassi.
“Montagna Saint Victoire” p 16: si vede suo cupo senso della morte, difficili relazioni interpersonali, solitudine e tardiva conversione religiosa, la realizza più volte in modi sempre diversi,  montagna come insieme di rettangoli (anticipa cubismo).
“Le grandi bagnanti” p 17: donne formano 2 triangoli davanti a alberi che sono come arco gotico (rigore costruttivo), contorni non continui.
“Due giocatori di carte” p18:logica del gioco simbolo di logica pittorica=schema fortemente geometrizzato. Spazio costruito su griglia di orizzontali (tavolo, finestra) e verticali (gambe tavolo, bottiglia, sedie) + oblique (pipa, caduta tovaglia a dx, braccia + el geometrici (pipa, torso, avambraccio come cilindri x giocatore sx; piramidi flosce come cappello, giacca braccia, viso x giocatore a dx); distribuzione chiastica del colore con tavolo come asse di simmetria (giacca bluastra e pantaloni gialli e vicev).

Paul Gauguin: fuga dalla civiltà occidentale, ricerca di spirito di puro cristiano; la pittura doveva rifuggire ogni naturalismo, doveva essere uno specchio del mondo interiore piuttosto che di quello esteriore e il primo mezzo che consentiva ciò era colore. Trovò paradiso incontaminato nella località di Pont-Aven in Bretagna. Abolizione (come in “Visione dopo...” di ombre portate definite come “inganno del sole” e quindi ridotte alle ombre proprie.
“Visione dopo il sermone” p19: lotta tra Giacobbe e l’angelo dopo averne ascoltato un sermone, un gruppo di contadino vede la scena, angelo come lottatore di sumo (≠ iconografia occidentale), albero separa realtà da immaginazione, contrasti cromatici di colori (rosso-verde; bianco-nero)
“Cristo giallo” p20: trasferitosi in un villaggio di pescatori, forti contorni, pennellata piatta (significa purezza, ripresa da giapponismo), riprende mosaici gotici.
“Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?” p 21: carica di simboli e riflessioni sulla vita. Al centro Eva Thaitiana raccoglie frutta da albero di paradiso tropicale, a sx una vecchia accovacciata (simile a mummia periuvana), a dx tre donne con bambino che dorme, dietro idolo orientale che con braccia indica un altro mondo→rappresentati tutti gli stadi della vita umana (dall’infanzia all’età fertile alla morte).
“Nevermore” p21: ricorda Venere di Tiziano o la ben più ciolla Olympia di Manet, antitesi tra orizzontalità sinuosa del corpo, della testa del letto e verticalità dei fregi sullo sfondo.

Vincent Van Gogh: segue le orme del padre (pastore protestante) e vive dentro baracca di legno. Supportato da fratello e sorella, continuamente licenziato da aziende. Theo, fratello, lo convince a fare l’artista e lui gli fa da gallerista. All’inizio tele in bianc e nero (es. copricapo bianco delle donne bretoni). Spesso litografia, matrice in pietra. Le sue opere emanano luce, forza vitale, ma anche disperazione, soffre di malattia mentale e quindi si sente incompreso. Tipica tavolozza chiara, dai contrasti tra i colori complementari, ispirato a divisionismo non scientifico. Disegno a “punto e tratto” e riprese stampe giapponesi. Tecnica del guazzo: x sfondo, fatto da mescol colla e biacca (sali di piombo). Cerca la luce del colore.
“Mangiatori di patate” p 24: studio del colore, ma aspetti impressionistici (giustapposizione dei colori), voleva rappresentare aspetto interiore, psicologico (tipico del post. impressionismo) e anche sensazione di familiarità, di ambiente interno,
“I Girasoli” p 26: serie di dipinti, uomo come fiori non può avere altra certezza che rivolgersi a Dio; giallo. colore molto caldo, vuole trovare sulla tela il colore della luce.
“La camera dell’artista ad Arles” p 23: no sfumature (come Gauguin), c’è interiorità di Van Gogh (pipa su sedia→serenità).
“Autoritratti” p 27: concezione dell’artista di sè: personaggio marginale rispetto alla società, non integrato, ma x questo capace di vedere più lontano, sua persona centrale nella sua pittura.
-Autor. 1887→divisionismo non scientifico, abiti composti di un parigino (cappello, cravatta, giacca), occhi guardano oltre la sua condizione presente e verso una missione da compiere: testa circondata come da aureola (parte dal suo corpo [stesso colore giacca] per estendersi verso l’alto).
-Autor 1888→effetto aureola, ha missione da compiere ( si rifà ad un bonzo buddista, da tratti somatici orientali, no capelli [come monaco]). Sparisce cravatta segno di inserimento in comunità x un medaglione.
-Autor 1889→stop aureola, ma andamento turbinoso della pennellata, a testimoniare perdita di orientamento successiva a 4 crisi nervose. Non più Divisionismo (tutti i colori) ma variazioni di blu-verde e rossiccio.
In questi tre ritratti artista oscilla tra considerazione di sè come pastore con missione ad un incompreso.

SIMBOLISMO E ART NOUVEAU
Conflitto con realismo, il simbolismo non solo estetico, ma anche etico.

In Gran Bretagna troviamo in Preraffaeliti, che proponevano un’arte che si ispirasse a quella pre-rinascimentale (prima di Raffaello a cui si contestava d’aver fatto dell’artista un pensatore). Secondo loro artisti avrebbero dovuto riportare l’umanità a uno stato di purezza (intento sociale). Es. come Dante Gabriel Rossetti (amava la musica).
“L’Ofelia” p 34: di Millais, riprende eredittà romantica soprattutto nei rapporti tra uomo e natura

In Italia messaggio simbolista proprio di pittori ispirati da Puntinismo→Divisionismo, non  messaggio scientista; dividono la pennellata, colore diviso sulla tela, ≈ puntinismo con tratti allungati.
Giovanni Segantini, infanzia infelice, conoscenza di Millet, parla di vita agreste, lontana da rumori cittadini e vicina allo spirito religioso.
“Le due madri” p 37: interesse per l’esistenza contadina; 2 madri   a) donna b) vacca (quella seduta)

Giuseppe Pellizza da Volpedo
“Il quarto stato” p 39: 3 figure in primo piano simboleggiano le componenti che sorreggono l’intera società, la forza lavoro, intesa anche come maternità. Quei tre vengono in avanti staccandosi dal buio del passato alla luce del progresso (luce del mezzodì). La donna è Teresa, moglie del pittore (ricorda statue greche) e altri personaggi non modelli (costosi), ma gente del posto. I due pers a lato dx e sx chiudono la rappresentazione (xke non rivolti frontalmente come gli altri). Marcia di operai quindi prima intitolata “Fiumana”. Guidano una fila orizzontale e il fatto di essere più avanti da senso di movimento verso spettatore. Mani uniscono con una linea curva tutta la composizione (unione compositiva del quadro) Vuole esprimere riscatto sociale della classe più povera; collega realismo a monumentalità (drappeggio), e con elevazione spirituale (luce più chiara al centro).

Per quanto riguarda la scultura da ricordare Medardo Rosso, italiano.

Secessione di Monaco: movimento per designare la volontà degli artisti che vi partecipavano di rompere con la cultura tradizionale e creare un’alternativa alle strutture espositive ufficiali. Uso di linea sinuosa. Fondata da Franz von Stuck.
Gustav Klimt decorazione palazzi pubblici, appiattimento dello spazio in favore dei fondi oro ispirati ai mosaici di Ravenna e Venezia (come “Giuditta “ p43). Fondali si arricchirono di motivi decorativi che si legavano alle ambientazioni e agli abiti. sopratutto figura femminili.
“Il bacio” p44: emerge il tema della superiorità della donna (colei in grado di procreare) e che si sa abbandonare senzza paura né difese all’amore; uomo realizzato con rettangoli allungati (organo genitale maschile), donna coi cerchi (decorazione a occhio di pavone). Linea retta=uomo. Linea curva= donna.

Art Nouveau: “l’arte è una, diverse sono solo le sue tecniche espressive”. Ultimo decennio dell’ottocento a partire da GB, riguardò la ricca borghesia. Stile ornamentale x architetture contemporanee e industriale, x riviste, x grafica pubblicitaria e addirittura segnaletica stradale→considerate arti minori (≠  da arti maggiori: pittura, architettura, scultura). Varianti nazionali:   Liberty o Floreale in Italia
Modernismo in Catalogna                       
Antoni Gaudì esponente dell’Art Nouveau in Catalogna, figlio di artigiano (fabbro), riprende arte gotica e natura come ispirazione degli elementi strutturali oltre che decorativi, molto credente.
“Casa Battlò” p51 sx: edificio all’angolo tra due strade in cui el decorativi si integrano alla struttura, la pelle del palazzo risulta muoversi come quella di un essere vivente, con effetti che ricordano le venature dei vegetali, ma anche muscoli e ossa. Facciata con mosaici policromi e il tetto ricorda la schiena di un armadillo.
“Casa Milà” p51 a dx: facciata segue una successione di linee serpentinate che mettono in evidenza i solai di separazione di ogni piano. Finestre sembrano bocche di caverne e le inferriate dei balconi rielaborano motivi naturalistici; materiale, trattato x mettere in evidenza porosità della pietra, sembra scavato da intemperie naturali. Progettato su basamento di statua della Madonna che non fu costruita xke in quel periodo vi erano movimenti anti-clericali. Scolpita l’Ave Maria sul cornicione.
“Parco Güell” p 52: panchine ergonomiche, riciclaggio interno di acqua piovana, realizza arco iperbolico che funge da portico.
“Sagrada Familia” p 52: ci lavora x 40 anni e muore preso sotto da tram uscendo dal cantiere (insomma uno attento!), con teoria che linea retta propria dell’uomo, quella curva della natura e di Dio. Guglie danno idea di ascensione.

La scuola di Chicago ’71 incendio città→necessaria la ricostruzione. Altissime costi dei terreni: edifici sempre più alti. Difficoltà di costruire strutture capaci di sorreggere pesi di palazzi a più piani→strutture portanti non più in muratura ma in metallo (acciaio). Inventato anche ascensore da Otis. Sullivan fu il primo a mettere in evidenza la struttura metallica autoportante ad alveare→ornamentazione si colloca organicamente alla struttura, “come fiore tra le foglie”. e principio di Courtain wall: parete esterna non più x sorreggere ma x filtrare la luce (→facciate a vetrate).

 

Fonte: http://styx.altervista.org/Scuola/Arte/5_DOPO_IMPRESSIONISMO.doc
Autore: non indicato nel documento

 

L'IMPRESSIONISMO

 

Parigi al tempo degli impressionisti

 

 

Quadro storico
Nel 1852 in Francia nasce il “Secondo Impero”, ad opera di Luigi Napoleone ( il nipote di Napoleone Bonaparte, che precedentemente, nel ’48, era stato eletto presidente della Repubblica Francese). Parigi in seguito alle innovazioni urbanistiche di Haussmann, aveva cambiato aspetto e, nel 1855, si preparava ad accogliere una notevole massa di visitatori per l’Esposizione mondiale. Nell’ambito di questa colossale manifestazione era stata compresa anche una esposizione d’arte, che aveva come obiettivo l’affermazione della acquisita importanza a livello mondiale dell’arte Francese.
Nel 1870 la Francia entra in guerra con la Prussia. In seguito alla sconfitta di Napoleone III a Sedan, a Parigi, si perviene alla Repubblica.
Tale proclamazione non comporta un vero rinnovamento socio-culturale, ma si assiste ad un ulteriore consolidarsi della vecchia classe dirigente che mira a mantenere i suoi privilegi. Il proletariato e la piccola borghesia danno luogo in seguito alla cosiddetta Comune, di fatto una rappresentanza popolare che si era prefissa di dare un orientamento socialista. Questa rivoluzione venne però violentemente sedata dalle truppe della Repubblica Francese: era il Maggio del 1871.
La cittadinanza ne rimase scossa… In alcuni ambiti per riflesso, si tenderà a guardare con diffidenza le forme di innovazione culturale. Si tenderà per tale ragione a prediligere un’arte dal sapore accademico e si nutriranno sospetti nei confronti di tutto ciò che si propone come “nuovo”.
Parigi, pur essendo piena di contrasti comunque si affaccia prepotentemente nel panorama artistico europeo.
Un interessante spunto per comprendere la posizione dell’artista nel vorticoso mondo parigino è fornito dall’analisi del ruolo del Salon. Nel XIX secolo, i contatti tra artisti e i fruitori avvenivano già attraverso forme di esposizione pubblica. Si era ormai affermato il concetto che l’artista fosse libero esprimersi senza condizionamenti, rendendosi indipendente da certe forme di committenza che, in passato, avevano influenzato la produzione delle opere d’arte. Pertanto il pittore si trovava adesso nella situazione di dover collocare il proprio prodotto all’interno del mercato dell’arte.
A Parigi una importantissima occasione ai singoli artisti veniva fornita dai “Salon”. I Salon in realtà esistevano già dalla fine del 1600. Erano stati ideati per ospitare le opere dei membri della Reale Accademia delle Arti. Il termine Salon deriva dal luogo dove si svolgeva l’esposizione, e cioè la grande sala del Palazzo reale- il Louvre. Dalla fine del 1700 l’esposizione accolse anche artisti non membri dell’accademia (solo dal 1881 le autorità concessero che i Salon potessero essere organizzati dagli artisti stessi, che da allora, scelsero la giuria per l’accoglimento delle opere). Si può comprendere quindi come sia nato tra gli artisti e coloro i quali gestivano i Salon, un rapporto di diffidenza e si può comprendere anche il perché alcuni pittori avessero deciso di non partecipare nemmeno a tale occasione espositiva, temendo di essere rifiutati.
Nel 1863 accadde che ben 4000 delle 5000 opere proposte, venissero rifiutate dalla giuria. Napoleone decise quindi di consentire agli artisti che avevano subito tale rifiuto di esporre, in altri locali del Palazzo, le loro opere: nacque così il “Salon des Refusés”.
La borghesia emergente comincia a guardare con attenzione alla produzione artistica in relazione anche alle opportunità di investimento che si delineano nel mercato dell’arte.
Successivamente alla rapida ripresa economica si assistette nel 1873 ad una altrettanto veloce crisi economica. Nel 1875 l’Assemblea Nazionale approvò una costituzione Repubblicana che si mantenne fino al 1940.
Questo il quadro storico e quello sociale offerto agli artisti dell’epoca. Senza dubbio la nascita dei nuovi fermenti artistici si deve al complesso clima culturale che si sviluppa in quegli anni a Parigi grazie ai molteplici stimoli prodotti dalla concomitanza di tutti questi fattori.
Un altro aspetto non trascurabile è quello relativo alla rapida industrializzazione. Grazie alle innovazioni tecnologiche, si comincia infatti a respirare un’aria di progresso e di fiducia. La città si arricchisce di locali per lo svago e, la sua immagine si associa sempre più alla gioia di vivere. La notte si accendono le luci di innumerevoli lampioni che fanno da cornice ad una intensa vita notturna. Di giorno i dintorni della città e le rive della Senna si popolano di quanti desiderano passare all’aperto i propri momenti di riposo in una atmosfera allegra e spensierata.
Questo clima di particolare vivacità, caratterizza la Parigi dell’epoca che concorrerà alla nascita di uno dei fenomeni artistici più significativi di ogni tempo: l’impressionismo.

 

Nascita dell’impressionismo

Si ipotizza spesso che una delle cause principali di quello sconvolgimento radicale che si attua, nella II metà del 1800, nel panorama artistico tradizionale europeo sia da attribuire alla nascita della fotografia. Molto probabilmente si trattò invece di un insieme di cause, che spostarono l'attenzione dalla rappresentazione, al più vasto ambito della percezione sensoriale, imponendo un modo nuovo di vedere l'arte.
Alcune tra le maggiori personalità del mondo dell'arte migrarono in questo periodo a Parigi dove, avrà origine una corrente artistica che segnerà una linea netta di cesura tra l'arte tradizionale e quella nuova.
L'impressionismo nasce in Francia tra il 1870 e il 1880, ed accomuna i suoi protagonisti in una volontà inedita di pittura dal vero basata essenzialmente su un impressione individuale rispetto al soggetto da ritrarre. Quello che l'occhio percepisce è pura impressione visiva di colori, che tuttavia mutano al variare della luce. Questo era maggiormente riscontrabile dipingendo en plein air. Già Delacroix aveva compreso le profonde differenze tra l’osservazione dei colori in studio e all’esterno, tracciando di fatto la strada alla ricerca impressionista. Delacroix aveva anche individuato nel colore l'elemento costruttivo della raffigurazione, sovvertendo nelle sue opere l'antico rapporto forma-colore. E già, compatibilmente al naturalismo di Courbet, i pittori di Barbizon avevano auspicato una pittura all'aria aperta. Le intuizioni degli impressionisti quindi si può affermare emergessero da una maturazione rispetto ad un procedimento già parzialmente avviato. L’esperienza, sulle infinite possibilità offerte dal colore, porterà gli impressionisti ad un graduale abbandono dei toni grigi e all'uso dei colori complementari. Come afferma Argan, l'Impressionismo, non fu “banale verismo, ma rigorosa ricerca sul valore dell'esperienza visiva come momento primo ed essenziale del rapporto tra soggetto ed oggetto, e fondamento concreto, della coscienza”.
Il termine impressionismo si attribuisce ad un critico d'arte del tempo che, in modo quasi dispregiativo, prese spunto dal titolo di un dipinto di Monet, “Impression, soleil levant”, per etichettare quel gruppo di artisti ( circa trenta) che si proposero per la prima volta al pubblico in una mostra organizzata nel 1874, presso lo studio del fotografo Nadar. Questa innovativa corrente artistica segnerà da questo momento indelebilmente gli sviluppi dell'arte successiva, avendo mostrato la possibilità agli artisti di esprimersi perseguendo ricerche di un linguaggio personale, non influenzato né dai desideri di un committente, né dalle convenzioni imposte dalla società.
Immediatezza nella rappresentazione e pennellate rapide con colori, a volta direttamente stesi sulla tela, erano le principali caratteristiche di questi rivoluzionari pittori che, lavorando all'aria aperta per cogliere il variare delle luci e delle ombre nelle diverse ore del giorno, realizzarono i loro dipinti senza disegno preliminare e, a volte, senza i ritocchi e sfumature. Avendo quasi abolito l'uso del nero per sottolineare che l'ombra, anch'essa determinata dalla luce, non è assenza di colore, i pittori impressionisti raffigurarono scene di vita quotidiana, paesaggi, architetture e anche ritratti.
In sintesi questi sono per le vie generali alcuni tra gli esiti della ricerca impressionista:
- quello che si percepisce con gli occhi prosegue oltre il nostro campo visivo, pertanto la prospettiva perde di senso e il disegno può essere quasi del tutto abolito;
- ogni colore esiste in rapporto a quelli che gli sono vicini;
- qualunque aspetto della realtà può ispirare l'artista e divenire opera d'arte;
-le pennellate possono essere rapide al fine di consentire all’artista di cogliere l’attimo fuggente senza che l’ “impressione si dissolva”.
Alcune delle opere degli Impressionisti furono come è noto, in un primo momento rifiutate dai Salon ufficiali perché, si riteneva che la società di quel tempo, considerasse “arte” soltanto le immagini composte nello studio del pittore.
In realtà le opere degli impressionisti dopo una iniziale diffidenza, cominciarono ad essere apprezzate anche da quella parte del pubblico che amava riconoscersi negli ambienti ripresi dalla pittura impressionista. Gli impressionisti infatti ebbero come soggetti dei loro quadri anche scene di vita della piccola borghesia del tempo, paesaggi luminosi e ritratti delicati che, esprimendo un sentimento positivo di apprezzamento della vita, hanno nel tempo reso amabili le loro opere, che sono apprezzate anche dal pubblico di oggi .
Ma lo scopo dei pittori non era limitato all’essere apprezzati o a conquistare il mercato …. Essi volevano dipingere ciò che vedevano e sentivano di rappresentare in un determinato momento. Si rivolsero ai soggetti della vita parigina per rappresentare la realtà come si presentava alla loro vista. Tale realtà non poteva dunque che essere attuale. E non poteva che essere dinamica. Il quotidiano, pertanto offriva loro continui spunti da cui attingere. Grazie agli impressionisti oggi possiamo anche ricostruire il modo di vivere, di sentire, di essere della società parigina dell’epoca.

 

Gli esponenti

Gli artisti maggiormente noti nell’ambito dell’impressionismo sono Manet, Monet, Renoir, Bazille, Pissarro, Sisley e Degas. Cezanne, pur essendo incluso nel novero, più di ogni altro condurrà una ricerca autonoma, per certi versi distante dalle premesse impressioniste. È opportuno però affermare che tutti gli artisti definiti da un certo momento in poi “impressionisti”, condussero all'interno della corrente, una ricerca autonoma. Comune fu invece il desiderio di indagare la rappresentazione della realtà, o meglio di alcuni aspetti della realtà come essa appare ai nostri occhi.
Una delle prime opere ad essere inclusa nell’ambito della ricerca impressionista è “Le dejeuner sur l'herbe” del 1863, di Manet, considerato uno dei maggiori esponenti del gruppo. Rifiutato dal Salon, questo quadro suscitò scalpore. Manet infatti oltre all'inedita stesura pittorica fatta senza chiaroscuro, mostrò una donna (una nota modella dell’epoca) nuda, che conversava serenamente con due uomini vestiti, in un bosco. Principalmente due quindi furono i motivi di scandalo: il soggetto rappresentato e il modo di dipingerlo.
Argan scrive a proposito di Manet: “Non c'è più distinzione tra i corpi solidi e lo spazio che li contiene: nell'immagine (e per Manet l'immagine è sensazione visiva) non vi sono elementi positivi e negativi, tutto si dà alla vista mediante il colore”. 
Al Salon del 1865 Manet espose Olympia. Il richiamo visivo è la Venere di Urbino di Tiziano. Proprio questo riferirsi al celere dipinto degli Uffizi turbò gli osservatori dell’epoca, che non tollerarono di vedere nei panni della Venere una donna contemporanea, nota per i suoi facili costumi.
 Manet per il suo particolare modo d’essere, per la sua cultura visiva e per il ruolo che ricoprì all’interno del gruppo a partire dal 1865 venne considerato il principale punto di riferimento degli artisti che successivamente presero il nome di impressionisti. Allora si trattava di un gruppo di amici, che si riunivano per parlare d’arte al cafè Guerbois e che diedero origine ad una nuova scuola pittorica che prese il nome dal quartiere dove Manet aveva lo studio: Batignolles.
Pissarro, fu uno dei più convinti pittori impressionisti. Si dice che non si lasciò sfuggire una sola occasione di mostrare i propri dipinti all’interno del gruppo. Amò più di ogni altro soggetto il paesaggio campestre, che dipingerà andando spesso oltre la semplice impressione transitoria tanto da influenzare le successive ricerche di Cézanne. Riproduceva spesso le rive della Senna, della Marna e dell’Oise. I suoi dipinti spesso raffiguravano filari di alberi e case, che trascinavano lo sguardo dell’osservatore in profondità spezzando la staticità del soggetto. La sua arte tuttavia non permise di vivere una vita agiata, né a lui nè alla sua numerosa famiglia, (aveva ben otto figli). Pur essendo stati quasi sempre accettati dai Salon i suoi quadri rimasero invenduti e le condizioni economiche dell’artista rimasero a lungo disastrose. Oggi l’arte di Pissarro sta conoscendo un’ampia rivalutazione che rende giustizia ad un artista che ricoprì un ruolo fondamentale negli sviluppi dell’arte successiva.
Cézanne fu allievo di Pissarro. Spinse la sua interpretazione visiva della realtà, fino al limite dell'astrazione. Si orientò verso una personale ricerca delle strutture costruttive della natura.
Egli manifestò inizialmente la volontà di fissare sulla tela le sensazioni visive e lavorò sempre osservando dal vero, costruendo l'immagine con pennellate di colore che determinano ombre, luce, spazialità. Volle fondere figura e sfondo tra di loro al punto che lo spazio del dipinto giungesse ad annullare la profondità. Attraverso semplificazioni sempre maggiori, i suoi soggetti sembrano astrarsi in pure forme geometriche.
La Montagna di Sainte Victoire ne è un esempio. La profondità è dentro la materia del colore e non nel vuoto intorno alle cose. Afferma Argan riguardo il tema della profondità in Cézanne: “La profondità è una e continua, non una prospettiva davanti alla quale l'artista si pone e contempla rimanendone fuori. Non può esservi distacco tra lo spazio della vita, o dell'artista che dipinge e lo spazio del quadro”.
Se la spinta alla creazione del movimento si deve essenzialmente a Manet è Monet ad essere considerato per certi versi, l’esponente più rappresentativo della corrente, e non solamente perché il termine “impressionismo” sia stato desunto da una sua opera.
È nel 1873 che nasce il celebre dipinto di Monet dal titolo “ Impression. Soleil Levant”. Si tratta di una veduta di un vecchio avamporto, e, nello sfondo si percepiscono imbarcazioni, impianti di sollevamento e fabbriche. Per Monet, la percezione di un riflesso della luce nell'acqua equivaleva alla percezione di una cosa reale. Le ricerche luce colore furono da questo eccezionale interprete portate alle estreme conseguenze, fino a realizzare opere dal contenuto quasi informale. Realizza numerosi quadri aventi come oggetto la Cattedrale di Rouen dipinta in momenti successivi per carpire i diversi effetti della luce sulle superfici in relazione ai mutamenti d’orario o climatici. Quello che interessa Monet, non è l’oggetto architettonico rappresentato, ma gli effetti che la luce assume su di esso. L’uomo che si dedicò per tutta la vita a cogliere le impressioni in lui suscitate dalla vista delle cose, per un assurdo scherzo del destino morì cieco.
Degas, più vicino a Manet che agli altri impressionisti, fu essenzialmente un pittore figurativo e non si cimentò mai nella riproduzione di paesaggi. Fu influenzato dalla produzione delle stampe d’arte giapponesei. Alla luce naturale e ai suoi effetti, preferiva quella artificiale. Fu attivo nella organizzazione di molte mostre degli impressionisti anche se sempre negò di appartenere al gruppo. Mentre i suoi colleghi e amici guardavano a Delacroix, lui ammirava Ingres.
Il mondo della danza lo rapì sino al punto di fare delle ballerine il soggetto ricorrente di moltissime delle sue opere. La "Scuola di danza" del 1874, è una delle sue opere più note;, coglie le ballerine anche nei loro momenti di riposo, nella verità della fatica delle esercitazioni di danza. Al posto dei paesaggi esterni, Degas propone il pavimento polveroso di una scuola, dove figure esili in movimento sembrano fiori, nei loro abiti di tulle fatti di luce. Anche il mondo delle corse dei cavalli tuttavia rappresentò un tema ricorrente nella pittura di quasto straordinario e raffinato artista che, contrariamente agli altri impressionisti, non abbandonò mai nelle sue tele l’utilizzo del nero.
Sisley, nato a Parigi, era figlio di un commerciante inglese e conservò sempre la nazionalità britannica. Dipinse spesso sulle rive della Senna con Monet e Renoir. Le sue opere furono pervase da particolari toni luministici, per dare un maggior senso del sentimento della natura. Le atmosfere cromatiche da lui suggerite ci trasportano in rappresentazioni in cui prevale l'aspetto emotivo. Verso la fine della sua attività i suoi quadri prima pervasi da toni di grigi e azzurri rarefatti, sembrano caricarsi di toni più accesi, pennellate più materiali che ne resero l'aspetto più drammatico.
 Bazille, ebbe particolare interesse allo studio della luce all’aperto, e agli effetti che essa produceva sui colori. Nel 1868 il suo celebre dipinto, “Riunione di Famiglia” veniva accettato al Salon. Bazille pone qui dei personaggi che pare non abbiano alcun contatto emotivo tra loro. La morte precoce dell’artista, caduto in battaglia nel 1870, concluse una ricerca che poteva rivelare aspetti di particolare interesse. Bazille è altresì noto per avere consentito a Renoir di perseguire il suo sogno artistico sostenendolo finanziariamente. Renoir nasce a Limoges nel 1841. Il padre e la madre, che esercitavano il mestiere di sarti, decisero di recarsi a Parigi quando ancora Renoir era un fanciullo.
Renoir parteciperà attivamente ai dibattiti del cafè Guerbois. Dipingerà en plein air spesso, insieme all’amico Monet. Le prime opere impressioniste di Renoir saranno caratterizzate da una infinità di piccoli tocchi di colore che sembrano promanare luce, tanto da vibrare agli occhi dell’osservatore, come di moto proprio. I
L’opera di Renoir, maggiormente concentrata sulla figura umana, sarà orientata a cogliere le sottili sfumature insite in uno sguardo e a sottolinearle con un guizzo di luce negli occhi o con il riprodurre il moto rapido di un gesto.
“La natura”,- affermerà Renoir,- “conosce soltanto i colori. Il bianco e il nero, non sono colori”.
Nel 1881 Renoir sarà preda di una crisi che lo porterà lontano dalle sue scelte artistiche. Durante un viaggio in Italia la sua arte conoscerà una svolta che lo porterà ad una ulteriore evoluzione e ad un recupero del contorno e delle forme. Ritroverà un rinnovato entusiasmo che gli restituirà la gioia di dipingere. Lavorerà fino al giorno della sua morte conservando pur nelle oggettive difficoltà (le gambe paralizzate e l’uso non più agevole delle mani), la voglia di trasmettere la gioia di vivere.

 

Donne impressioniste

Poco note, a volte quasi sconosciute poiché adombrate dalla fama dei loro colleghi e amici uomini, le donne che si distinsero nell’ambito dell’impressionismo furono principalmente Berthe Morisot ed Eva Gonzalès. La Morisot era la pronipote di Fragonard, il noto pittore rococò. Prevalentemente le sue opere avevano come tema i paesaggi anche se, i soggetti nei quali si espresse con maggiore intensità, furono quelli dove riproduceva aspetti di vita familiare. La pittrice infatti prestava particolare attenzione alla rappresentazione degli aspetti psicologici dei suoi personaggi. Morisot mostrerà altresì nei suoi dipinti una inedita capacità nell’accostare colori contrastanti. Nel 1874 sposò il fratello minore di Manet. Aiutò finanziariamente, come fece a sua volta Bazille nei confronti di Renoir, il gruppo degli impressionisti e partecipò a diversi Salon con successo. Eva Gonzalès, era l’allieva di Manet. La qualità dell’opera della Gonzalès risulta tuttavia discontinua e di scarso apporto innovativo rispetto a quello della Morisot. Solo in alcune opere mostrerà una particolare attenzione agli aspetti psicologici dei soggetti ritratti che la avvicineranno al modo di dipingere di Degas. La Gonzalès ebbe vita breve. Morì a soli 43 anni dando alla luce il primo figlio. Le pittrici operanti nell'ambito della corrente impressionista ebbero il particolare merito di saper interpretare gli atteggiamenti delle donne da loro ritratte. Aspetti intimi che forse, solamente una donna, avrebbe saputo cogliere in un'altra donna.

 

Fonte: http://www.icmanzonicellino.it/docs/terze/doc/impressionismo.doc
Autore: non indicato nel documento

 

Gli impressionisti

 

Altri due nomi di pittori impressionisti, entrambi francesi, che iniziarono ad accrescere la loro importanza a partire dal 1874 (anno in cui un gruppo di giovani artisti, destinati a diventare alcuni dei più famosi pittori di fama mondiale, organizzò una mostra alternativa dei loro lavori, dopo che essi furono ripetutamente rifiutati dalle principali e prestigiose esposizioni ufficiali: i Salons) furono Claude Monet e Pierre-Auguste Renoir.

 


CLAUDE MONET (1840 – 1926)
Claude Monet viene considerato l’impressionista in senso stretto del termine, poiché egli seppe esprimere nella propria produzione artistica tutti i principali aspetti del movimento di cui era diventato il più alto rappresentante: l’Impressionismo. Fu lo stesso Monet ad attribuire tale nome al movimento artistico e a definirne tutte le caratteristiche fondamentali, quali, per esempio: il profondo disprezzo per l’arte accademica, l’amore per la pittura “en plein air”, il riconoscimento dell’importanza dello studio della luce e dei colori, l’utilizzo di pennellate piccole e veloci con l’eliminazione dello schizzo preparatorio. L’artista, in linea con il pensiero impressionista, pone in primo piano l’insieme delle sensazioni, che il quadro sa suscitare nell’osservatore, piuttosto che la sua forma. È per questo motivo che i soggetti delle sue opere sono principalmente paesaggi naturali, nei quali si impegna a cogliere “l’attimo fuggente” e, per rendere possibile tutto ciò, si specializza in un vero a proprio studio scientifico della luce e sceglie tecniche veloci, quali la giustapposizione di colori caldi e freddi, senza l’uso dello schizzo o delle linee di contorno.
La vita:  
Egli nacque il 14 novembre 1840 a Parigi, da una famiglia di umili origini. Grazie all’intervento economico della zia, che seppe riconoscere in lui un grande talento, venne avviato, durante la sua fanciullezza, agli studi in una scuola d’arte parigina. Una volta arrivato nella capitale francese, però, il giovane Monet rimase affascinato dalla vivacità della vita artistica e culturale della città, in particolare dei Caffé,che costituivano all’epoca dei veri e propri ritrovi culturali ed artistici, frequentati da artisti di grande calibro, tra i quali lo stesso Manet. Egli abbandonò, così, il suo progetto iniziale di iscriversi ai regolari corsi accademici e portò avanti la sua formazione artistica attraverso l’assidua frequentazione di questi ambienti artistici. Dopo essersi dedicato per circa un anno alla carriera militare torna a Parigi, dove ebbe l’occasione di conoscere, tra gli altri, Pissarro e Degas ed arricchire enormemente le sue conoscenze artistiche. Gli anni successivi furono caratterizzati da un duro lavoro, spesso nel completo isolamento della sua casa ad Argenteuil, dove l’artista soleva ritirarsi, per dedicarsi completamente all’attività artistica. A partire dal 1880, grazie al successo delle sue opere, Monet si affermò come l’uomo simbolo dell’impressionismo.
Claude Monet, Impressione  sole nascente
Claude Monet, Impressione sole nascente (olio su tela)
Anno:1872
Dimensioni: 48x63 cm
Luogo di conservazione: Museo Marmottan, Parigi
Fu l’opera da che diede il nome all’intero movimento impressionista. Tale titolo, però, non è da attribuire alla creatività del suo autore, ma piuttosto ad un giudizio dispregiativo di un critico d’arte, che, vedendo durante l’esposizione del 1874 tale opera senza nome, commentò dicendo che “dava l’impressione di un sol nascente”. Monet rappresenta in quest’opera una vista del porto di Le Havre nel fuggente attimo del sorgere del sole. L’elemento determinante che testimonia la presenza dell’alba è il riflesso del sole sull’acqua, realizzato attraverso la scomposizione di tocchi di colore. L’artista rappresenta sulla tela la registrazione immediata di una sensazione, come dimostrano la totale mancanza di disegni preparatori e l’applicazione del colore direttamente sulla tela, attraverso pennellate brevi e veloci, la cui oggettività naturalistica del soggetto viene interamente abolita, per far spazio alle impressioni ed emozioni provate dallo stesso artista nell’ammirare l’aurora. Sullo sfondo emerge il porto, che si confonde nell’atmosfera nebbiosa circostante, dando l’impressione che esso si trovi ad una grande distanza rispetto l’occhio dell’osservatore. Questo effetto estremamente suggestivo è reso dalla giustapposizioni dei colori: quelli caldi, come il rosso e l’arancio, e quelli freddi, come il verde azzurrognolo. 

Claude Monet, La cattedrale di Rouen

Claude Monet, La cattedrale di Rouen (olio su tela)
Anno: 1894
Dimensioni: 107x73 cm
Luogo di conservazione:Musée d’Orsay, Parigi
Quest’opera  è una delle tante testimonianze dell’attenzione da parte del pittore per  la luce: particolare che, nei dipinti di Monet, assume un ruolo centrale, fino a diventare un autentico soggetto. L’artista fu a tal punto affascinato dai giochi di luce e ombra, che si proiettavano sulla superficie della facciata della cattedrale di Rouen attraverso il fitto ricamo delle cuspidi e degli archi fiammeggianti, da compierne un vero e proprio studio in maniera scientifica. Egli realizzò, dalla finestra della sua stanza di albergo, che costituiva sempre lo stesso punto di ripresa, una ripetizione seriale della cattedrale, in modo che a cambiare fossero le condizioni oggettive di luce ed egli potesse, così,  cogliere i mutamenti temporali ed atmosferici dello stesso soggetto nei vari momenti della giornata, in cui la luce dei raggi solari colpiva in maniera diversa la superficie della costruzione. Come tipico del suo stile, Monet, per cogliere il momento culminante della luce, si serve di pennellate veloci e brevi, accostando i colori senza sfumature ed rovesciando qualsiasi elemento legato alla tradizione classica.

 

 

 

 

 

 

Claude Monet, Lo stagno delle Ninfee

Claude Monet, Lo stagno delle ninfee (olio su tela)
Anno: 1899
Dimensioni: 83,3x93,1 cm
Luogo di conservazione:National Gallery, Londra
Nello Stagno delle Ninfee, dipinto nel 1899, Monet rappresenta il ponte giapponese, costruito nel giardino, che lo stesso artista aveva progettato, della sua casa di Giverny. In questo dipinto emerge uno degli elementi che avevano maggiormente affascinato Monet: l’acqua. Il pittore, infatti, riteneva l’acqua un elemento dinamico, capace di giocare con la luce e i colori dei paesaggi. Un aspetto interessante della vita di Monet fu proprio il suo trasferimento a Venezia nel 1908, perché entusiasta degli innumerevoli spunti artistici, che la città lagunare sapeva offrirgli. L’atmosfera è data dalla luce verdastra che filtra attraverso le fitte chiome dei salici piangenti ai lati del ponte, dallo scrosciare dell’acqua sulla cui superficie affiorano sgargianti ninfee in fiore. Il quadro dà all’osservatore la sensazione di immergersi in un mondo fiabesco in cui regnano calma e tranquillità.
Claude Monet, I papaveri

Claude Monet, I papaveri (olio su tela)
Anno:1873
Dimensioni: 50x65 cm
Luogo di conservazione:Musée d’Orsay, Parigi
Il dipinto I papaveri, realizzato dall’artista nel 1873, e conservato oggi nel Musée d’Orsay di Parigi, fu ispirato dall’osservazione della moglie Camille e del figlioletto Jean, che passeggiavano fra l’erba alta e i papaveri. Sul lato destro della tela spiccano, infatti, le figure della donna accompagnata dal bambino, mentre il paesaggio naturale della campagna occupa la restante parte del dipinto.  Osservando a distanza ravvicinata il dipinto appare come un’unica ed indistinta massa di colori, tra cui quelli più dominanti sono il verde del campo, l’azzurro del cielo e le picchiettature rosse dei papaveri, ma, mano a mano che l’occhio dell’osservatore si allontana i contorni non definiti prendono forma. L’immediata sensazione trasmessa dal quadro è quella di allegria, tenerezza, vivacità e freschezza, che solo un attento uso della luce poteva rendere possibile.

PIERRE – AUGUSTE RENOIR (1841 – 1919)
Renoir, come lo stesso Monet, con il quale instaurerà una profonda amicizia, è uno dei maggiori rappresentanti del movimento Impressionista. La sua produzione artistica è espressione di una vera e propria “gioia di vivere”. Infatti, per l’artista, la pittura rappresentava un vero e proprio piacere, un divertimento  e la capacità di stupirsi ogni giorno di fronte alle piccole-grandi meraviglie del creato. Nonostante le caratteristiche principali della sua pittura in età giovanile si differenzieranno molto da quelle dell’età adulta, alcuni elementi rimarranno costanti, come, ad esempio: l’analisi della luce e dei giochi di colori che essa sa creare, l’attenzione verso il colore e l’uso di pennellate brevi e veloci, semplicemente accostate su tela. Il forte legame che lo univa a Monet lo portò a prediligere inizialmente opere a soggetto paesaggistico, ma solo successivamente, si orientò in modo deciso verso il genere in assoluto da lui prediletto: il ritratto o, più in generale, la rappresentazione di soggetti umani mirabilmente inseriti nel loro ambiente. Nel corso della sua formazione artistica assumono un’importanza sempre più centrale le rappresentazioni di soggetti femminili, che diventeranno una vera e propria mania dell’autore, come dimostra il caso dell’opera Le bagnanti, di cui egli realizzerà ben oltre quaranta dipinti.                                          Come gli altri esponenti del gruppo impressionista, anche le opere dello stesso Renoir furono oggetto di aspre critiche, soprattutto durante la fase giovanile, in cui si accusava l’artista di usare colori troppo luminosi e, pertanto, volgari, di servirsi di pennellate “spregiudicate”, che lasciava pensare i critici artistici che si trattasse di lavori sommari e non rifiniti secondo le giuste regole accademiche. Il suo stile si modificherà in seguito al viaggio in Italia (Palermo, Napoli, Roma e Venezia)del 1881, che Renoir affronterà al fine di perfezionare le proprie tecniche e ampliare le sue conoscenze, soprattutto per quanto riguarda l’uso dei colori. Infatti, essendo un grande appassionato dei colori, il viaggio nella penisola gli consente di studiare in maniera più approfondita l’uso di questi ultimi da parte dei grandi maestri italiani, quali Tiaziano e Raffaello. Fu proprio durante questa esperienza e, in particolare, dopo aver ammirato l’incredibile originalità dei colori mediterranei, sempre saturi e squillanti, degli affreschi vaticani di Raffaello, che il pittore metterà in crisi la sua visione impressionista della realtà, nella quale tutto si limita all’apparenza e alla sensazione di un fuggente attimo. Nella fase matura Renoir effettuerà alcuni cambiamenti radicali nella forma, nella scelta dei colori, che diventeranno più densi e solidi e della definitiva rinnegazione del suo passato impressionista, quando il pittore ritornerà, seppure in maniera marginale, al tradizionale disegno preparatorio.
La vita:                                                                                                                                                                                         Egli nacque il 25 Febbraio 1841 a Limoges, in Francia. La famiglia da cui proviene è di umili origini, infatti, il padre è un modesto sarto, che si trasferisce a Parigi quando il figlioletto ha appena tre anni e lo avvia solo in seguito, all’età di tredici anni,  a dei corsi serali di disegno, con l’intento di farlo diventare un artigiano di qualità. Nel 1862 entra alla Scuola di Belle Arti, presso la quale fece le sue prime amicizie nel campo artistico, tra cui si distinse quella con il giovane Monet. Nel 1881 decise di compiere un lungo viaggio in Italia alla scoperta delle principali città della penisola, che rappresenterà l’occasione della crisi dell’artista per quanto riguarda il suo passato da impressionista. Dopo il riconoscimento del successo a partire dai primi anni del Novecento e  gli innumerevoli spostamenti, morì nel 1919.
Renoir, La Grenouillère
Renoir, La Grenouillère (olio su tela)
Anno:1869
Dimensioni: 66x81 cm
Luogo di conservazione: National Museum, Stoccolma
Il dipinto fu realizzato nel 1869 insieme all’amico Monet. Entrambi, infatti si erano recati nel luogo chiamato scherzosamente Grenouillère (“stagno delle rane” letteralemente), che in francese parlato veniva usato per indicare un luogo frequentato da ragazze in cerca di divertimenti. Il luogo era costituito principalmente, come testimonia il dipinto, da uno zatterone, collegato tramite un ponte alla terraferma, sul quale era stato allestito un caratteristico ristorante all’aperto con alcuni stabilimenti balneari, immerso nella florida vegetazione. Entrambi gli artisti raffigurano il momento in cui la piattaforma si riempie di personaggi, giovani e fanciulle, che dipingono mentre sono intenti nella naturalezza delle loro attività. L’analisi parallela delle due opere ci consente di analizzare il diverso modo di vedere ed interpretare la realtà dei due pittori. Anche se il punto di vista è pressoché il medesimo, l’attenzione che viene posta da entrambi sulla scena è totalmente differente. Infatti, mentre Monet privilegia l’immagine nel suo insieme e sintetizza velocemente le figure per coglierne gli aspetti generali, come testimonia il fatto che sia la natura e sia i personaggi vengono trattati in maniera estremamente sintetica, Renoir attribuisce più attenzione alle figure e ai particolari, attraverso delle pennellate minute e ad una vasta gamma di colori accessi e squillanti, che danno una sensazione di gioiosa vivacità.

Renoir, Le Moulin de la Galette
Renoir, Le Moulin de la Galette (olio su tela)
Anno: 1876
Dimensioni: 131x175 cm
Luogo di conservazione: Musée d’orsay, Parigi
Quest’opera rappresenta un esempio della meticolosità con cui Renoir eseguiva le sue opere. L’artista, infatti, per poterlo dipingere, dovette frequentare per sei mesi  un vecchio mulino abbandonato, denominato Moulin de la Galette, che si trovava nel quartiere di Montmartre, nella parte settentrionale di Parigi. Il dipinto fu iniziato en plein air e successivamente terminato in atelier. La scena ritratta è quella di un ballo popolare ambientato all’aperto in cui vengono raffigurati alcuni amici dell’artista, di cui egli si serve come modelli. Una caratteristica predominante è  l’intenso gioco delle ombre, originate dalla filtrazione della luce attraverso le fronde degli alberi circostanti (caratteristica prediletta dall’autore). Il contrasto che crea l’alternarsi delle zone buie con quelle di luce e, pertanto, l’alternarsi dei colori scuri e freddi con quelli caldi, pervade la scena e ne determina la profondità prospettica. Nelle zone d’ombra spicca la presenza di macchie azzurrognole, che uniscono tra loro i personaggi. Emerge un uso nuovo e libero del colore, che riesce a trasmettere all’osservatore il senso di gioia e allegria di un festoso pomeriggio. Un’altra novità della produzione matura dell’artista è rappresentata della presenza del disegno preparatorio, che, nonostante giochi un ruolo fortemente marginale, richiama un’attenta valutazione compositiva, frutto dello studio dei classici.

 

Renoir, La colazione dei canottieri

Renoir, La colazione dei canottieri (olio su tela)
Anno: 1881
Dimensioni: 129,5x172,7 cm
Luogo di conservazione: Phillips Collection, Washington
Il dipinto, realizzato nel 1881 in occasione di un articolo di Zola, è immediatamente precedente al viaggio dell’artista in Italia, quindi rappresenta l’ultimo capolavoro appartenente al periodo impressionista, prima che l’artista avesse un ripensamento riguardo la sua pittura. La scena raffigurata rappresenta una colazione estiva in un club di canottieri, collocati sotto la veranda del ristorante La Fournaise in un paesino lungo la Senna. I quattordici personaggi, tra canottieri ed amici, sono intenti a consumare il pasto e a discorrere amabilmente tra loro. il dipinto costituisce l’ennesima occasione di esercitazione dell’artista con la pittura en plein air : egli dipinse dal vivo i personaggi e le stesse pietanze, nella cui raffigurazione, però, si concesse qualche libertà artistica, rappresentata dalla natura morta tipicamente autunnale, mentre la scena rappresentata è chiaramente estiva. L’opera non presenta alcun tipo di disegno, nonostante le forme emergano naturalmente.
Renoir, La bagnante seduta
Renoir, La bagnante seduta (olio su tela)
Anno: 1883
Dimensioni: 119,7x93,5 cm
Luogo di conservazione: Fogg Art Museum, Cambridge, Harvard University
È il primo capolavoro realizzato in seguito al viaggio in Italia. Il soggetto rappresentato è quello di una bagnante seduta su uno scoglio sulla riva de mare, con lo sguardo rivolto verso l’osservatore. In esso sono facilmente riconoscibili le innumerevoli innovazioni rispetto l precedente produzione. Innanzitutto, i contorni della figura sono ben definiti attraverso la maggiore attenzione alla linea, lo sfondo marittimo alle spalle della donna è di tipo impressionista, ma la figura impressionista che vi viene inserita ha fattezze rinascimentali e ricorda la tradizione ritrattistica cinquecentesca, che l’autore aveva da poco ammirato nei musei italiani. Emerge con altrettanta chiarezza lo studio dell’anatomia del corpo femminile e, come tipico della tradizione accademica, la sua bellezza viene idealizzata.

 

 

fonte: http://clp06.altervista.org/101216_MediciMonet_Renoir.doc

autrice :Sara Medici

 

L'impressionismo

Il 15 aprile 1874, a Parigi, in alcune sale prestate gratuitamente dal celebre fotografo Nadar, in Boulevard des Capucines, si apriva una mostra, organizzata da un gruppo di giovani pittori, in opposizione al Salon, l'esposizione ufficiale che consacrava la fama degli artisti (e dava quindi loro la possibilità di trovare acquirenti). Per essere ammesse al Salon  le opere dovevano passare attraverso il vaglio di una giuria, che accettava quelle consone alla tradizione, ligie agli insegnamenti accademici e perciò ripetitive, e respingeva quelle piú originali, che, con la loro novità, sconvolgevano il metro di giudizio degli esaminatori e disturbavano il quieto modo di pensare loro e del pubblico. Non è una novità: accade oggi ed è sempre accaduto. Nel 1863, anzi, perfino Napoleone III, di fronte alle clamorose proteste dei molti esclusi dal Salon, aveva fatto organizzare un Salon des refusés («Mostra dei rifiutati») per sottoporre le loro opere al giudizio d'appello del pubblico. L'atto era sembrato molto liberale, ma non aveva sortito nessun risultato nuovo perché l'opinione del pubblico coincideva, per le stesse ragioni, con quella della giuria.
Nel caso della mostra del '74 I'iniziativa non era del governo; era degli espositori stessi, che, per poterla organizzare, se ne erano accollate anche le spese, costituendosi in «Società anonima». In qualche modo, ma in gruppo, ricalcavano le orme del «Padiglione del realismo» del 1855 e di Courbet, che agli occhi dei giovani appariva ancora, per la sua arte e per la sua coraggiosa indipendenza, un punto di riferimento (pag. 292).
Da vari anni questi artisti si battevano contro l'accademismo per l'affermazione di una pittura che interpretasse la realtà in maniera nuova, totale e libera. Come scrive a questo proposito un critico dell'epoca, il loro naturalismo, «che accetta tutte le realtà del mondo visibile e al tempo stesso tutti i modi di capire [...] è il contrario di una scuola [...] Sii libero, dice all'artista».
Il gruppo si era formato per aggregazione spontanea e per unità di intenti nella battaglia comune. Le idee, sperimentate giornalmente nella pittura, venivano fervorosamente discusse negli incontri che avvenivano al Caffè Guerbois (e, piú tardi, al Caffè della Nouvelle-Athènes) dove gli artisti si recavano quando, tramontato il sole, diventava impossibile continuare a dipingere. Veniva perciò chiamato «gruppo di Batignolles» dal quartiere parigino ove si trovava il Caffè Guerbois.
Personaggio centrale ne era Edouard Manet, cui si affiancavano, con frequenza regolare o saltuaria, Camille Pissarro, Claude Monet, Edgar Degas, Auguste Renoir e, piú raramente e silenziosamente, Paul Cézanne, per non citare che i nomi maggiori, oltre a critici, letterati e, qualche volta, il fotografo Nadar.
Poiché la giuria del Salon aveva quasi sempre respinto le loro opere, non comprendendone le novità, nacque gradualmente l'idea di una mostra di pittori indipendenti. Ad essa tuttavia (ed anche a quelle organizzate successivamente) Manet rifiutò di partecipare preferendo sempre tentare la via del Salon, con la speranza di ottenere finalmente un riconoscimento ufficiale.
La mostra ottenne un esito disastroso. L'incasso bastò appena a coprire le spese; poche le opere vendute, scarsi i visitatori: 175 il primo giorno, 54 l'ultimo e, qualche volta, non piú di 2. Del resto, salvo l'eccezione di qualche intelligenza superiore (Zola, per esemplo), anche quel pochl vlsltatori si recavano alla mostra per curiosare, per ridere, per sbeffeggiare. «La coscienza pubblica era indignata; [...] erano cose orribili, sciocche, sporche; [...] era pittura priva di senso», ricordò uno scrittore pochi anni dopo (1877), mentre un critico, recensendo la mostra, aveva scritto: «Sporcate di nero e di  bianco tre quarti di una tela, cospargete il resto di giallo, distribuite a caso macchie rosse e blu e otterrete un"'impressione" di primavera dinanzi alla quale gli iniziati andranno in estasi».
Un altro critico, Louis Leroy, non ritenne neppure necessario prendere sul serio la mostra: su un celebre giornale satirico, <Le Charivari», scrisse un articolo (indubbiamente spiritoso), nel quale immaginava di accompagnare nella visita un vecchio pittore di fama sicura, tentando invano di spiegargli che quelle macchie, quelle «linguette» erano le «impressioni» dell'artista. Non soltanto usava anch'egli questa parola («impressione»), ma vi insisteva ironicamente per tutto l'articolo e se ne serviva perfino nel titolo: Mostra degli impressionisti. E chiaro che il termine veniva adoperato in senso spregiativo: le impressioni sono prive di meditazione, superficiali, non definite, quindi non degne di diventare pittura; i quadri sembravano solo abbozzi in attesa di essere rifiniti. A rinforzare questa opinione era esposta una tela di Monet intitolata proprio Impressione. Il levar del sole (pag. 331) (cfr. Documento n. 37).

 

Brani dell'articolo di Leroy

 «Ah, fu un giorno duro quando mi arrischiai a visitare la prima esposizione del Boulevard des Capucines insieme a Joseph Vincent, paesaggista, allievo di Bertin, premiato con medaglia e decorato da vari governi! L'imprudente ci era venuto senza pensar male: credeva di vedere della pittura come se ne vede dappertutto, buona e cattiva, piú cattiva che buona, ma che non attentasse al buon costume artistico, al culto della forma e al rispetto dei maestri [...].
Entrando nella prima sala, Joseph Vincent ricevette il primo colpo davanti alla Ballerina di Renoir. «Peccato» mi disse, «che il pittore, che pure ha un certo gusto del colore, non disegni meglio: le gambe della ballerina sono inconsistenti come la garza del suo vestito». «La trovo severo con lui» replicai «anzi, questo disegno è molto compatto».
L'allievo di Bertin, credendo che facessi dell'ironia, si limitò ad alzare le spalle senza darsi la pena di rispondermi. Piano piano allora, con l'aria piú innocente che potevo, lo portai davanti al Campo arato di Pissarro. Alla vista di questo paesaggio eccezionale, il brav'uomo credette che gli si fossero appannate le lenti degli occhiali. Le asciugò con cura, se le rimise sul naso.
«Per Michalon!» gridò «che cos'è questo?» «Lo vede... Brina bianca sui solchi profondi». «Questi dei solchi, quella della brina?... Ma è raschiatura di tavolozza distribuita uniformemente su di una tela sporca. Non c'è capo né coda, né alto né basso, né davanti né didietro».
«Forse no... ma c'è I'impressione».
«Be', è un'impressione ben strana! Oh! e... questo?»
«Un Orto, di Sisley. Guardi quell'alberello a destra: è allegro; ma l'impressione...» «Ma mi lasci in pace con l'impressione! ... Non è né carne né pesce [...]».
Il pover'uomo sragionava così con una certa compostezza e nulla poteva farmi prevedere il penoso incidente che doveva nascere dalla sua visita a questa esposizione da far rizzare i capelli. [...].
Sfortunatamente ebbi l'imprudenza di lasciarlo troppo a lungo davanti al Boulevard des Capucines  dello stesso pittore.
«Ah ah!» sghignazzò mefistofelicamente «eccone uno ben riuscito... Qui c'è dell'impressione, se ben me ne intendo... Soltanto, mi dica, che cosa rappresentano quelle innumerevoli linguette nere, là in basso?»
  «Ma come» risposi «sono gente a passeggio».
«Allora io assomiglierei a loro quando vado a spasso sul Boulevard des Capucines?... Morte e maledizione! Ma lei mi sta prendendo in giro!»
  «Le assicuro, signor Vincent...»
«Ma quelle macchie sono quelle degli imbianchini che dipingono il finto marmo: pif paf, plic plac! Vai con Dio! E inaudito, è spaventoso! Mi verrà un colpo di sicuro! [...]»
Tutt'a un tratto gettò un grido vedendo la Casa dell'impiccato di Paul Cézanne. L'impasto prodigioso di questo piccolo gioiello completò l'opera iniziata dal Boulevard des Capucines: il vecchio Vincent delirava.
Fu all'inizio una pazzia abbastanza tranquilla. Mettendosi nei panni degli Impressionisti, esagerava nel senso loro.
«Boudin ha del talento» disse davanti a una spiaggia di questo artista «ma perché fa cosí il pignolo nelle sue marine?»
  «Ah, trova che la sua pittura è troppo finita?»
«Senz'altro. Prenda invece la Morisot! Questa signorina non si diverte a riprodurre una folla di particolari oziosi. Quando deve dipingere una mano, fa tante pennellate quante sono le dita ed è fatta. Gli sciocchi che cercano il pelo nell'uovo in una mano non capiscono niente dell'arte impressiva, e il grande Manet li caccerebbe dalla sua repubblica». «Allora Renoir è sulla buona strada: non c'è niente di troppo nei suoi Mietitori. Oserei dire persino che le sue figure...»
  «Sono ancora troppo studiate».
«Ma signor Vincent!... Guardi quei tre tocchi di colore che dovrebbero rappresentare un uomo nel grano».
  «Ce n'è due di troppo: uno bastava».
Gettai un'occhiata all'allievo di Bertin: la sua faccia dava nel rosso scuro. Sentii che una catastrofe era imminente, e toccò a Monet dargli il colpo di grazia.
«Ah, eccolo, eccolo!» gridò, davanti al n. 98 «lo riconosco, il preferito di papà Vincent! Che cosa rappresenta questa tela? Guardi il catalogo».
  «Impressione. Levar del sole».
«Impressione, ne ero sicuro. E poi mi dicevo, visto che sono impressionato, deve esserci dell'impressione... e che libertà, che facilità nella resa! La tappezzeria allo stato embrionale è ancor piú finita di quella marina!»
[...] Invano cercai di rianimare la sua ragione vacillante [...] l'orribile ormai lo affascinava [...].
Il vaso infine traboccò. Il cervello classico del vecchio Vincent, attaccato da troppi lati contemporaneamente, cedette in pieno. Egli si arrestò davanti alla guardia che veglia su tutti quei tesori, e prendendola per un ritratto si mise a farne una critica severa.
«Non è brutto?» fece, alzando le spalle. «Di faccia, ci sono due occhi... e un naso... e una bocca!... Non sono certo gli impressionisti che avrebbero sacrificato cosí al particolare. Con quello che il pittore ha sprecato in questa figura, Monet avrebbe fatto venti quadri!»
«Circolare, circolare» gli disse il ritratto.
«Sentitelo! Non gli manca nemmeno la parola! Chissà il tempo che ci ha messo a rifinirlo, quel pedante che l'ha fatto!»
(L. LEROY, L'exposition des impressionnistes, in (Le Charivari», 25 aprile 1874)

L'articolo del Leroy fece scalpore: da allora i pittori del gruppo vennero definiti da tutti (anche da loro stessi) «Impressionisti». La data dell'apertura della mostra (15 aprile 1874) e quella dell'articolo del Leroy (25 aprile 1874) acquistano dunque un significato storico: l'«impressionismo» era nato ufficialmente. Tuttavla esso eslsteva già da vari anni; da tempo, nelle discussioni che il gruppo teneva al caffè, il termine era usato per sottolineare che noi percepiamo la realtà attraverso «impressioni» di forme, di luci, di colori, impressioni diverse dall'uno all'altro osservatore.
Il punto di partenza del gruppo era la resa della realtà, non di una scelta, non di una parte piú significativa di altre. Poiché noi viviamo in mezzo alla realtà, poiché stabiliamo con essa un contatto quotidiano, attraverso il quale la conosciamo e la giudichiamo, ogni suo aspetto, anche quello apparentemente piú banale, fa parte di noi stessi ed è quindi passibile di essere dipinto.
Il rapporto degli impressionisti con la realtà è dunque diverso da quello della «Scuola di Barbizon» (pag. 275), che, tuttavia, ha avuto un peso non indifferente per la loro formazione, avendo insegnato a dipingere la natura in piena libertà. Di fronte alla natura, i pittori di Barbizon esprimono romanticamente il sentimento grandioso che essa suscita in loro. Gli impressionisti la rendono cosí come la vedono e non si limitano a rappresentare la realtà naturale, ma la comprendono tutta, anche quella umana e cittadina.
Da qui trae origine l'indifferenza al tema; qualunque soggetto sia trattato, esso vive solo per la vita che gli dà l'artista. Scrive Zola, dopo averne lungamente parlato con gli amici pittori, che l'artista «esiste di per sé e non per i soggetti che sceglie; [...] non è l albero, ll volto, la scena rappresentati che mi commuovono, è l'uomo che trovo nell'opera».
Courbet rendeva la realtà con precisione oggettiva, immobilizzandola per renderla evidente, Daumier la deformava espressionisticamente, il primo sottintendendo, il secondo esprimendo apertamente il significato di polemica sociale. Negli impressionisti non vi sono intenti politici, un po', forse, per la stanchezza generata dalle tante delusioni subíte, un po' per l'eterogeneità sociale del gruppo (Pissarro era anarchico mentre Manet e Degas uscivano da ambiente borghese e benestante) ma, soprattutto, proprio per l'indifferenza al tema. Tuttavia la loro rivoluzione è forse piú violenta; le straordinarie novità della loro pittura, l'opposizione decisa all'accademismo, la tenace resistenza a tutti gli attacchi della critica ufficiale e dell'opinione pubblica (un critico, nel 1877, li chiamava «canaglie»), in una parola l'affermazione costante della propria libertà di artisti, malgrado gli insuccessi, la miseria piú dura, la derisione, sono state altamente dirompenti (cfr. Documento n. 38).

Reazioni della critica alla seconda esposizione degli impressionisti
 La rue Le Peletier è sfortunata... Dopo l 'incendio dell'Opéra, ecco che un nuovo disastro si abbatte sul quartiere. Si è appena aperta da Durand-Ruel una mostra che si dice di pittura. Il passante inoffensivo, attirato dalle bandiere che decorano la facciata entra, e ai suoi occhi atterriti si offre uno spettacolo crudele: cinque o sei alienati, fra cui una donna, un gruppo di sventurati presi dalla follia dell'ambizione, vi si sono dati appuntamento per esporre le loro opere. C'è gente che davanti a queste cose scoppia dal ridere; io mi sento stringere il cuore. Questi sedicenti artisti si definiscono gli intransigenti, gli impressionisti, prendono tele, colori e pennelli, buttano giú qualche tono a casaccio e firmano il risultato... Pauroso spettacolo della vanità umana che si perde fino alla demenza.
 (A. WOLFF, Articolo sulla mostra del 1876, in <«Le Figaro~), 3 aprile 1876)

La modernità degli impressionisti è nel modo diverso di affrontare il problema del rapporto con la realtà. Essi si rendono conto che noi non percepiamo la realtà per frammenti isolati, definiti, immobilizzati, ma la sentiamo nella sua totalità e continuità.
Nessun oggetto vive da solo, ma in un contesto generale che, collegando l'uno all'altro, non ha mai termine, così come la nostra vita è un continuo fluire, senza pause. Lo spazio non è definibile, secondo le norme della prospettiva, come una scatola geometrica, perché esiste non soltanto in profondità verso il «punto di fuga», ma anche a destra e a sinistra; se non lo vediamo con la stessa esattezza come quando mettiamo a fuoco un oggetto solo, tuttavia lo intravediamo con la «coda dell'occhio» e ne intuiamo la presenza alle nostre spalle. Nella riproduzione pittorica dunque nulla potrà essere definito, enumerato come in un elenco, ma la realtà dovrà essere resa nella sua globalità come noi la percepiamo.
 Riferendosi a una «natura morta» composta da grappoli d'uva e da un salmone, rappresentati davanti a una parete tappezzata a strisce, Manet diceva a una sua allieva: «Non stia tanto a guardare lo sfondo. Pensi soprattutto ai valori. Quando la guarda e soprattutto quando pensa a renderla come la sente, ossia in modo da provocare nel pubblico la stessa impressione che provoca in lei, le righe della tappezzeria non le vede [...] E quando guarda tutto l'insieme non si sogna di contare quante sono le scaglie del salmone [...] Le vede come piccole perle argentate contro il grigio e il rosa [...] E l'uva! Vuol contare gli acini? Certamente no. Quello che colpisce è il tono d'ambra chiara e la polvere che modella le forme [...]».
Il passo citato è estremamente significativo. Il nostro occhio vede oggettivamente ogni dettaglio sul quale si sofferma. Ma la ragione, trascurando il superfluo e cogliendo solo «I'impressione» generale, opera una sintesi e comprende la realtà nella sua sostanza, così come quando, terminata la lettura di un libro, noi ne abbiamo compreso il significato, senza per questo ricordarne dettagliatamente tutte le parole che lo compongono. Di un grappolo d'uva, dice Manet, noi sentiamo l'essenza, costituita da un certo numero di acini, ma non sapremmo certo dire da quanti; e ne vediamo la forma attraverso il colore e le sue variazioni a seconda della posizione rispetto alla luce.
E questo è un altro punto fondamentale. La luce è I'elemento indispensabile per la visione: tutto ciò che è davanti ai nostri occhi è visibile solo se illuminato. Ed è la luce che, colpendo gli oggetti, viene parzialmente assorbita o respinta, scomponendosi nei vari colori, che, a loro volta, si mescolano o si accostano, trasformandosi, esaltandosi reciprocamente o reciprocamente deprimendosi. Tutto ciò che noi vediamo è luce e colore, l'una e l'altro cangianti continuamente, di minuto in minuto, a seconda dell'ora, e quindi della posizione della fonte luminosa, a seconda della stagione, a seconda del nostro punto di vista.
Da qui lo studio accurato che gli impressionisti dedicano alla luce e al colore. Riprendendo teorie scientifiche contemporanee (essi vivono in età positivista), constatano che non esiste il «colore locale» (ossia quello singolo di un oggetto), perché ogni colore che vedlamo nasce dall'influenza del suo vicino in un concatenamento reciproco.
A un giovane che aveva dipinto la neve bianca, Renoir, ormai vecchio (1910), dirà:
«II bianco in natura non esiste [...] Sopra la neve c'è un cielo azzurro; sulla neve questo azzurro si deve vedere. Al mattino nel cielo c'è del verde e del giallo. Anche questi colori si devono vedere sulla neve [...] Di sera si sarebbero dovuti vedere del rosso e del giallo [...] Le ombre non sono nere; nessun'ombra è nera. La natura conosce solo i colori [...] Bianco e nero non sono colori».
L'impressionismo è il trionfo del colore. Le ombre, invece che nere, come si rappresentavano tradizionalmente, benché meno luminose, benché velate, sono anch'esse formate da colori, per lo piú «complementari». L'uso dei complementari, o meglio l'accostamento di un colore al suo complementare, che già avevamo visto applicato intuitivamente dal Veronese (vol. II, pag. 972) e dal Tiepolo (pag. 77), diventa cosciente e sistematico negli impressionisti e genera la straordinaria luminosità dei loro quadri. Essi perciò, evitando di mescolarli sulla tavolozza, giustappongono i colori sulla tela, frammentandoli in tócchi di misura variabile a seconda degli infiniti casi che si presentano ai loro occhi, a seconda del loro modo del tutto personale di vedere. Lo stesso tema potrà essere dipinto, nella stessa ora e da un unico punto di vista, da piú pittori e il risultato non sarà mai uguale, perché ciascuno ha un proprio mondo interiore, ciascuno sente differentemente da ogni altro e perciò vede e giudica in maniera diversa la realtà. Sono esperimenti che gli impressionisti (Monet e Renoir soprattutto) hanno compiuto piú volte, piantando il cavalletto uno accanto all'altro e ritraendo lo stesso soggetto. Non solo: ciascuno di noi è anche diverso da se stesso di minuto in minuto con il progredire del tempo, che opera in noi, insieme a quella fisica dalla gioventú alla vecchiaia, una lenta e continua trasformazione interiore; il medesimo soggetto, allora, potrà essere rappresentato, oltre che da piú pittori contemporaneamente, anche da un solo pittore in momenti diversi e ne nasceranno quadri diversi (pag. 331).
Sebbene dunque gli impressionisti siano esponenti di un'età, quella positivista, che si pone come scopo lo studio dei fenomeni naturali, essi sentono l'impossibilità di ridurre questi fenomeni a qualcosa di statico, obbediente a leggi immutabili e sicure come quelle scientifiche, perché la realtà è molto piú complessa e relativa alla mutabilità dell'uomo, che la fiItra attraverso la propria coscienza. Gli impressionisti, intuitivamente, vanno al di là della loro epoca e preludono ad alcuni atteggiamenti propri della cultura moderna volta a rendersi conto dei modi d'essere dell'uomo, come, del resto, la loro pittura segna la nascita dell'arte del Novecento.
E per questo che essi rendono anche il senso del movimento, quel movimento che è una ricerca costante dell'epoca nella riproduzione del vero (e che culminerà nell'invenzione del cinematografo), quel movimento che fa parte dell'«impressione» che noi riceviamo percependo il mondo esterno.
La loro resa constante della realtà li ha fatti talvolta qualificare come «realisti». Un critico, fin dal 1863, piú di dieci anni prima della celebre mostra del '74, preferì chiamarli «naturalisti» e il termine venne ripreso anche da Zola. Le due parole, «realismo» e «naturalismo», spesso si identificano; tuttavia nella seconda è possibile cogliere una sfumatura che la distingue dalla prima; il realismo, riproducendo il vero ed isolandolo dal contesto, lo mette in risalto e, comunque, gli dà spesso il significato di polemica sociale; il naturalismo esprime la vita in tutte le forme, quelle della natura e quelle create dall'uomo, integrandole insieme in un tutto unitario, senza sottintesi sociali.
Se fin qui abbiamo parlato in generale dell'impressionismo senza distinzioni fra i vari pittori, è solo perché esistono elementi che li accomunano e che fanno sì che, tradizionalmente, si parli di essi come gruppo unico. Tuttavia, come vedremo meglio, ognuno del componentl ha una sua personalità e interpreta in maniera diversa i princìpi comuni. Le divisioni interne sono continue, le discussioni spesso aspre.
Uno degli argomenti maggiormente dibattuti era, per esempio, quello del plein air («aria aperta»). Da un lato la maggioranza degli impressionisti sosteneva la necessità di dipingere all'aperto, di fronte alla natura libera, per ricevere con immediatezza l'impressione in tutte le infinite sfumature della luce, del colore, dei riflessi, dei movimenti, degli spazi. Altri, come Degas, preferivano dipingere in studio ritenendo che l'impressione ricevuta dalla realtà venisse come filtrata attraverso il ricordo e quindi fosse piú autentica perché non soggetta al pericolo della riproduzione banale del vero. Anche Manet dipingeva in studio, convertendosi al plein air  solo piú tardi.
Né i vari artisti vivevano tutti e sempre a Parigi. Anzi, a un certo momento, si verifica una vera diàspora (dal greco diasporà, «dispersione»), come è stata definita: molti abbandonarono la capitale per rifugiarsi in un luogo tranquillo, ove portare avanti, solltarlamente, le proprie esperienze artistiche. E del resto, pur operando ciascuno anche dopo (Monet è vissuto fino al 1926), la durata dell'impressionismo è breve. Nel 1886, quando viene  organizzata l'ultima mostra, di fatto non esiste piú. Per ironia della sorte soltanto allora sono giunti i riconoscimenti ufficiali, la fama, il benessere.
E tuttavia gli impressionisti ancora oggi costituiscono una corrente artistica unitaria, un complesso di uomini diversi fra loro ma reciprocamente complementari, miracolosamente conviventi negli stessi anni, come, qualche secolo prima, a Firenze, le maggiori personalità del rinascimento.

 

Fonte: http://www.istitutobalbo.it/autoindex/indice/Liceo%20Classico/Lezioni%20di%20storia%20dell%27Arte/1800/impressionismo.doc

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