Tessuti vegetali

 


 

I TESSUTI VEGETALI

 

La colonizzazione dell’ambiente terrestre:  problemi posti e soluzioni adottate

 

I tessuti specializzati che compongono il corpo dei vegetali superiori (Gimnosperme  e Angiosperme) sono il risultato attuale di un lungo processo evolutivo, processo che ha subito una netta accelerazione a partire dal momento in cui i vegetali hanno iniziato a colonizzare l’ambiente terrestre .
Nell’ambiente acquatico tutte le cellule dell’organismo si trovano a vivere  e crescere in condizioni molto simili, perché uniforme  è la distribuzione in acqua  di elementi nutritivi,CO2 , luce ecc. L’ambiente acquatico , inoltre, non pone problemi per quanto riguarda il sostegno meccanico e, ovviamente , il rifornimento idrico.
L’ambiente terrestre pone nuovi problemi, ai quali è necessario trovare  adeguate soluzioni.
Nell’ambiente terrestre risultano fisicamente separati i fattori necessari alla vita della pianta : acqua e elementi minerali nel terreno, CO2 e luce nell’atmosfera;. in entrambi questi ambienti  la pianta dovrà collocare parti di se stessa.
Un primo problema da risolvere sarà quindi il sostegno meccanico della parte di pianta collocata nell’atmosfera.
A differenza dell’ambiente acquatico, l’atmosfera, con il suo potenziale idrico in genere molto negativo , pone seri problemi  di conservazione dell’acqua .
Un secondo problema dovrà trovare soluzione: proteggere, isolare la parte aerea della pianta per impedirne il disseccamento.
L’isolamento della  parte aerea dovrà essere di natura tale da non impedire scambi gassosi con l’atmosfera, per introdurre la CO2 necessaria alla fotosintesi; ciò provocherà  inevitabili perdite di acqua, che dovranno essere reintegrate con l’acqua assorbita nel terreno.
Un terzo problema dovrà essere risolto: la conduzione dell’acqua (e degli elementi minerali disciolti) dal terreno alla parte aerea.
Le soluzioni di questi tre problemi via via  adottate hanno scandito il percorso evolutivo dei vegetali durante la conquista e colonizzazione dell’ambiente terrestre e sono sfociate nella costituzione di un organismo tipicamente costituito da tre organi (radice, fusto, foglia), costituiti da tessuti specializzati in funzioni differenti.
Un tessuto è definibile come un insieme di cellule (non necessariamente identiche da un punto di vista strutturale) che svolgono la stessa funzione e che sono associate fra loro in modo congenito, cioè fin dalla nascita. Questo significa (se ricordate le modalità con le quali avviene la divisione cellulare) che le cellule risultano associate fisicamente fra loro grazie alla lamella mediana e collegate funzionalmente in modo coordinato dai plasmodesmi
L’”invenzione” di molti dei tessuti che descriveremo è stata preceduta, durante l’evoluzione, dalla comparsa casuale (dovuta, cioè, alle mutazioni ) di alcune nuove sostanze e dal successivo corretto impiego delle stesse, che ha consentito ad alcune cellule l’acquisizione di proprietà nuove e funzionali alla soluzione dei problemi prima indicati.
Le sostanze chiave sono state cutina, suberina, lignina .
La cutina è un polimero di acidi grassi (a 16-18 atomi di C ) idrossilati   e in associazione con le cere(miscele di lipidi a lunga catena) è utilizzata per modificare la composizione chimica delle pareti cellulari di alcuni tessuti tegumentali, impermeabilizzandoli.
Ruolo simile,in altri tessuti tegumentali, ha la suberina, polimero più complesso della cutina; fra i suoi monomeri troviamo, oltre agli idrossiacidi , anche alcoli e composti fenolici.
La lignina è un polimero, ad alta complessità, di composti fenolici quali l’acido coniferilico, l’acido sinapilico  ecc. L’organizzazione tridimensionale   della lignina, a causa della complessità del polimero, non è ben conosciuta. Ben note sono invece le proprietà che la presenza di lignina conferisce alla parete cellulare: elevata resistenza meccanica, soprattutto alla compressione.
I tessuti vegetali presenti in tutte le piante sono relativamente pochi.  Una prima classificazione vi è già nota dalle lezioni di biologia cellulare : tessuti meristematici  e tessuti adulti.
Le cellule meristematiche o embrionali sono già state descritte durante le lezioni di biologia cellulare(Tav.8): piccole (tipicamente 15-20 mm), isodiametriche, poliedriche, con elevato rapporto nucleo-plasmatico, parete pectocellulosica sottile costituita da poco più del setto di separazione, assenza del vacuolo (ridotto a piccoli pro vacuoli) plastidi allo stadio di proplastidi, assenza di spazi intercellulari fra le varie cellule, ecc. Questa è la descrizione appropriata per le cellule che costituiscono  l’embrione e che derivano direttamente dalla moltiplicazione dello zigote (cellule embrionali) .
Caratteristica delle piante è il mantenere ai due opposti poli  (caulinare e radicale) dei gruppi di tali cellule, che costituiscono gli apici vegetativi (di fusto e radice)  e assicurano la crescita indefinita della pianta. Per essere una diretta derivazione dello zigote questi tessuti  vengono definiti “meristemi embrionali” o “meristemi primari “e dalla loro attività deriverà la struttura adulta della pianta  definita “struttura primaria”.
Un'altra caratteristica delle piante è che il differenziamento (che porta alla formazione dei vari tipi cellulari di tessuti adulti), non determina mai la perdita della totipotenza tipica delle cellule meristematiche da cui derivano. Detta in altri termini, ogni cellula adulta (purché viva, ovviamente) può “dedifferenziarsi “, tornare ad essere e comportarsi come una cellula meristematica, moltiplicarsi per mitosi e produrre cellule destinate a diventare adulte.
Questa capacità di dedifferenziazione può manifestarsi in conseguenza di stimoli esterni di varia natura  ed è all’origine della grande capacità  di rigenerazione di parti della pianta (Tav.13) e/odi produzione di una pianta completa anche a partire da poche o una sola cellula adulta. Ma è anche presente nel piano di realizzazione della struttura adulta di molte piante, è inscritta, cioè, nella sua informazione genetica e diventerà operante in momenti specifici della morfogenesi della pianta.
I meristemi  che si formano con queste modalità, per dedifferenziamento di cellule adulte, prendono il nome di “meristemi secondari” e dalla loro attività deriverà la struttura adulta della pianta definita “struttura secondaria”.
I tessuti meristematici secondari hanno in comune con quelli primari la capacità di moltiplicazione cellulare per mitosi e di produzione di cellule destinate a diventare adulte, ma hanno forma, dimensioni  e  proprietà citologiche differenti, a causa della loro origine: da tessuti adulti, appunto, e non dallo zigote. Tipicamente, le cellule di un meristema secondario  hanno maggiori dimensioni, (diverse decine o anche centinaia di mm)  non  sono isodiametriche ma allungate, presentano un maggior  grado  di differenziazione citologica  e risultano  più o meno vacuolate.I tessuti meristematici secondari dai quali deriverà la struttura secondaria sono due: il cambio cribro-vascolare  (destinato a produrre tessuto cribroso e tessuto vascolare) e il cambio subero-fellodermico,  (che produrrà sughero e felloderma) o fellogeno.
Tessuti meristematici sono già rintracciabili in organismi pluricellulari della fase acquatica , nei quali costituiscono limitate porzioni del corpo della pianta alle quali soltanto è affidato il compito della crescita della pianta, mentre il resto  ( la maggioranza ) delle cellule costituisce l’apparato vegetativo, impegnato nella fotosintesi. Le caratteristiche delle cellule dell’apparato vegetativo sono del tutto confrontabili  con quelle dei tessuti adulti delle piante terrestri che definiamo tessuti parenchimatici.
Alcune caratteristiche sono comuni a tutti i tipi tessuti parenchimatici: cellule vive (la precisazione non è superflua : vedremo che alcuni tessuti adulti nel mondo vegetale diventano funzionali solo dopo la morte,) , non isodiametriche ma, in genere, allungate, di dimensioni maggiori  (per es 100-150mm) delle cellule  meristematiche, provviste della sola parete primaria, (pectocellulosica e di modesto spessore) e di  spazi intercellulari tra le varie cellule.
I differenti tipi di tessuti parenchimatici  svolgono ovviamente funzioni diverse  e sono riconoscibili , strutturalmente , grazie al diverso differenziamento subito da alcuni comparti cellulari. I principali tipi di tessuti parenchimatici sono:
tessuto parenchimatico clorofilliano. Nel corso del differenziamento i proplastidi sono diventati cloroplasti, presenti in numero molto variabile (orientativamente,20-30/cellula) , dispersi nello strato di citosol periferico, adiacente alla parete cellulare. Questa posizione è la più adatta per intercettare la radiazione solare e catturare la CO2 diffusa dagli spazi intercellulari.(Tav.14)
tessuti parenchimatici di riserva . Sono situati in parti più profonde della pianta, non esposte direttamente alla luce (nella radice, quindi, ma  anche nelle zone più interne dei fusti). Il più diffuso è il parenchima amilifero e l’amido è la sostanza di riserva più abbondante nel mondo vegetale. I proplastidi di queste cellule si differenziano in leucoplasti (nel caso specifico definiti in genere amiloplasti) nel cui stroma viene polimerizzato l’amido a partire dagli zuccheri solubili trasportati a queste cellule dai tessuti fotosintetizzanti. Le sostanze di riserva immagazzinate nei parenchimi sono ovviamente anche altre: lipidi (in genere trigliceridi)  , presenti in forma di piccole gocce (diametro oscillante intorno a 1mm)  delimitate da una semimembrana unitaria costituita da lipidi polari e proteine; proteine, di diversa natura e grado di solubilità, sintetizzate a livello del reticolo endoplasmico e poi trasferite entro vescicole nel citosol o nel vacuolo (tipici, in questo caso, i granuli di aleurone di alcuni semi già descritti in precedenza) (Tav.15)

  • tessuto parenchimatico acquifero. In questo tessuto, caratteristico di piante che vivono in ambienti aridi, la sostanza che assume carattere di “riserva” è l’acqua  e l’organulo cellulare che caratterizza il tessuto è naturalmente il vacuolo. Le cellule sono grandi, estremamente turgide, con parete sottile e vacuolo che può occupare  il 90% del volume complessivo. Lo stato di turgescenza è dovuto all’elevato contenuto di acqua del vacuolo, che accumula e trattiene l’acqua stessa grazie al potenziale idrico molto negativo;(Tav.16)

- tessuto parenchimatico aerifero. Tipico di piante che vivono su terreni acquitrinosi, sommersi dalle acque per periodi più o meno lunghi o permanentemente. In queste situazioni gli scambi gassosi delle parti sommerse della pianta sono difficoltosi  (perché in acqua l’ossigeno non ha una buona solubilità e la sua velocità di diffusione è migliaia di volte più bassa che in fase gassosa). E’ quindi necessario il rifornimento a partire dalle parti aeree tramite la rete degli spazi intercellulari . Caratteristica del parenchima aerifero non è tanto il tipo di differenziamento subito da uno o più organuli cellulari quanto piuttosto la forma assunta dalle cellule o la loro disposizione spaziale. In entrambi i casi il risultato è la formazione di un tessuto con spazi intercellulari molto ampi , che possono occupare un volume superiore a quello delle cellule del tessuto. Poiché la funzione principale del tessuto è assicurata dalla organizzazione spaziale delle cellule, è possibile che queste possano svolgere anche altre funzioni, per es, se il tessuto è localizzato nelle porzioni superficiali di un fusto, le sue cellule possono contenere cloroplasti ed effettuare la fotosintesi come un  parenchima clorofilliano(Tav.16).
Tessuti tegumentali. Avvolgono esternamente il corpo della pianta, la sua struttura primaria (tessuti tegumentali primari: epidermide e esoderma)  o la sua struttura secondaria  (tessuti tegumentali secondari: sughero). Entrambe le categorie di tessuti servono, genericamente, a isolare e proteggere la pianta dall’ambiente esterno ma più specificamente servono ad impedire la perdita incontrollata di acqua per evaporazione e quindi ad evitare il disseccamento e la morte dei tessuti interni (nel caso della radice la situazione sarà un po’ diversa). Questo risultato viene ottenuto immettendo nella parete cellulare sostanze idrofobe (cutina, cere, suberina) capaci di impermeabilizzare la parete stessa.
L’epidermide. Riveste la  parte aerea del corpo primario della pianta ed è, tipicamente, costituita da uno strato monocellulare . Non sono ovviamente presenti spazi intercellulari  . La parete esterna di ogni singola cellula ha subito una modificazione chimica secondaria della sua composizione, mediante immissione di cutina e cere  nella matrice. La cutina spesso viene escreta all’esterno della parete a formare uno strato più o meno consistente di cutina allo stato puro (non mescolata,cioè, agli altri componenti della parete) denominato “cuticola” e , in certe piante, può essere ricoperta da un ulteriore strato impermeabilizzante costituito da cere.(Tav.17)
Sebbene il tessuto epidermico sia il più superficiale, e quindi  il più esposto alla radiazione solare, le sue cellule non contengono cloroplasti  ben differenziati, quindi il tessuto è incolore. Per alcuni aspetti, infatti, (impermeabilizzazione della parete, assenza di spazi intercellulari ) il tessuto epidermico non appare molto adatto allo svolgimento di una fotosintesi di buona intensità , mentre la presenza di cloroplasti ben differenziati nelle sue cellule sottrarrebbe radiazioni solari al sottostante parenchima clorofilliano.
Naturalmente grado di cutinizzazione e di cuticolarizzazione , e la quantità di cere presenti, variano molto con le specie e con le loro esigenze di ridurre la perdita di acqua per evaporazione. In epidermidi fortemente cutinizzate e cuticolarizzate,la perdita di acqua attraverso le cellule epidermiche (traspirazione cunicolare)   è inferiore al 2% della perdita totale di acqua.
La parte aerea del corpo primario delle piante appare quindi rivestita da una “pellicola” impermeabile  all’acqua. Questa pellicola , tuttavia , è pressoché impermeabile anche ai gas , quali O2 e Co2 , indispensabili alla pianta per respirazione  e fotosintesi. La soluzione adottata dalle piante è dotare questa pellicola di aperture , cioè spazi intercellulari situati fra cellule epidermiche particolari, dette apparati stomatici o, più semplicemente, stomi. Il numero di queste aperture è molto variabile con le specie  (un dato medio indicativo può essere 2-300./mm2) ed è stato calcolato che la perdita di vapor acqueo per diffusione dall’interno verso l’atmosfera esterna attraverso queste piccole ma numerose aperture non è di molto inferiore a quella che si verificherebbe da tutta la superficie dell’epidermide se questa non fosse impermeabilizzata. Questo apparente paradosso trova la sua soluzione nel fatto  che le dimensioni di queste aperture sono regolabili, fra un minimo (chiusura completa) ed un massimo. Le basi materiali  della regolazione dell’apertura, sono date dalla forma delle cellule stomatiche (dette”cellule di guardia”) e dalla dissimmetria delle loro pareti. (Tav.18 e 19)
In uno dei più diffusi tipi di apparati stomatici, viste dall’alto le cellule di guardia dello stoma appaiono reniformi e la parete di entrambe le cellule adiacente la rima stomatica è di spessore maggiore Inoltre , la disposizione delle fibrille di cellulosa è “radiale ”, nel senso che si dipartono dalla zona della rima e si allontanano a ventaglio  verso la parete opposta. In altri tipi di apparati (caratteristici di specie e raggruppamenti sistematici) la descrizione sarebbe diversa  ma in tutti forma della cellula e struttura della parete sono tali da determinare sempre il medesimo risultato: una variazione dello stato di turgore  (per assunzione o perdita di acqua)comporta no n un semplice aumento o diminuzione del volume cellulare ma un cambiamento di forma delle cellule, con conseguente ampliamento o restringimento dello spazio intercellulare  (rima stomatica ) presente fra le due cellule. In particolare, l’aumento del turgore determina apertura e la sua diminuzione chiusura della rima stomatica.
Va notato fin da ora un aspetto interessante delle modalità di apertura-chiusura : strutture destinate a controllare gli scambi gassosi e in particolare a impedire una eccessiva perdita di acqua, devono la possibilità di apertura al turgore (e quindi alla disponibilità di acqua ) e di chiusura alla deturgescenza  (e quindi alla carenza di acqua ). Vedremo più avanti,  a proposito della foglia, che le variazioni di turgore non dipenderanno solo da adeguamenti passivi allo stato idrico della pianta ma dipenderanno da meccanismi di regolazione attivi, sensibili a diversi fattori. In questi meccanismi un ruolo importante è sostenuto dai cloroplasti, presenti, in tutta l’epidermide, solo nelle cellule stomatiche..
Altre cellule epidermiche (oltre a quelle stomatiche ) possono differire profondamente dalle tipiche cellule che costituiscono la grande maggioranza del tessuto. Si tratta dei tricomi o peli, presenti in molte piante e diversi per forma, struttura e funzioni . I due tipi principali sono  1) peli (uni o pluricellulari ) ghiandolari, nei quali tutte o alcune cellule secernono una o più delle sostanze che durante le lezioni di Biologia cellulare abbiamo definito “ metaboliti secondari “. Questi peli ovviamente sono costituiti da cellule vive (Tav.27) . 2) peli di protezione, uni- o pluricellulari e delle forme più diverse. Tipicamente, a maturità questi peli sono morti , ripieni di aria, riflettenti la radiazione solare. È  per questo motivo  che foglie  o giovani fusti provvisti di una fitta peluria appaiono di un colore verde meno intenso o addirittura biancastri. (Tav.20)
La presenza di un fitto tappeto di peli epidermici “protegge” dai rischi di una eccessiva perdita di acqua da parte della pianta perché rallenta la diffusione nell’atmosfera del vapor acqueo fuoriuscito dalle aperture stomatiche, determinando la formazione, intorno alla foglia o al fusto, di uno strato di aria (“strato limite”) con un tasso di umidità superiore rispetto alla circostante atmosfera. Poiché il movimento del vapor acqueo dall’interno all’esterno della foglia dipende, come tutti i movimenti di diffusione, dalla differenza di concentrazione  fra i due comparti ( nel nostro caso, interno ed esterno della foglia,) lo strato limite determina una riduzione, a parità di altre condizioni ( temperatura, grado di apertura degli stomi ecc.), della perdita di acqua per diffusione
Un’ epidermide del tutto particolare è quella che riveste  il corpo primario  ( o meglio, come vedremo, una parte di esso) della radice. Funzioni e struttura di questa epidermide ( spesso denominata rizoderma proprio per sottolineare la sua specificità) differiscono profondamente da quelle dell’epidermide delle parti aeree. (Tav.21)
L’ambiente (il terreno) in cui vive la radice presenta minor rischi di disidratazione rispetto all’atmosfera e non consente, ovviamente, lo svolgimento della fotosintesi. Non è quindi necessaria la presenza di stomi, destinati al controllo degli scambi gassosi imposti dalla fotosintesi, e neppure la cutinizzazione delle pareti (ispessimento e cutinizzazione sono presenti solo in casi particolari e in epidermidi radicali che non svolgono più il ruolo assorbente tipico della radice).
Il rizoderma è quindi costituito da cellule vive, disposte in uno strato monocellulare, privo di spazi intercellulari, con parete sottile, pectocellulosica e quindi permeabile, per facilitare l’assorbimento di acqua e sali minerali. Funzionali all’assorbimento appaiono i peli radicali  che, a differenza  della varietà di strutture , forme e funzioni osservate nell’epidermide delle parti aeree, nel rizoderma rispondono ad un unico modello : semplici estroflessioni tubolari  (lunghe anche 1mm o più) della cellula epidermica , che si formano in seguito ad una intensa crescita localizzata. In alcune piante il rizoderma è formato da due tipi di cellule : gli atricoblasti (cellule che non formano peli ) e tricoblasti (cellule che formano peli), facilmente distinguibili fra loro anche prima della formazione dei peli per le maggiori dimensioni degli atricoblasti. In altre piante tutte le cellule del rizoderma hanno dimensioni simili e tutte sono potenzialmente capaci di formare peli. Anche se non tutte poi formeranno effettivamente peli.
I peli consentono una notevole estensione della superficie assorbente della radice e sebbene siano localizzati (come vedremo esaminando l’anatomia della radice ) solo su una esigua porzione della radice ( di solito 1 o pochi cm di lunghezza anche in radici lunghe molti metri) la loro superficie totale è maggiore della superficie di tutta la restante radice .
Per quanto abbiamo detto in precedenza, viene definito tessuto tegumentale secondario   un tessuto che deriva dall’attività di un meristema secondario. Genesi e funzionamento di tale tessuto meristematico verranno  descritti esaminando la struttura anatomica della pianta. Qui sarà sufficiente delineare le caratteristiche del tessuto tegumentale secondario, denominato sughero. (Tav.21)
Il sughero è tipicamente un tessuto pluristratificato, con cellule regolarmente distribuite in file sovrapposte e privo di spazi intercellulari. Durante il differenziamento, ogni cellula depone contro la parete primaria pectocellulosica una “ parete secondaria”che in realtà è costituita da strati alternati di suberina e cere.
In alcune piante la costruzione  della parete si conclude con la deposizione di uno strato terminale  (verso il lume cellulare) pectocellulosico. Una parete del genere, a prescindere dal suo spessore ( molto variabile da specie a specie) è impermeabile. A maturità le cellule del sughero muoiono, si  riempiono di aria  (diventando così anche un buon isolante termico)e possono apparire colorate  (in giallo, bruno) a causa di tannini e/o resine presenti nel lume cellulare.
A differenza dell’epidermide, alla cui struttura concorrono molti tipi di cellule , nel sughero è presente, oltre a quello descritto, un solo altro tipo di cellule: quello delle lenticelle, spesso visibili ad occhio nudo.  Le lenticelle sono porzioni, rotondeggianti o lenticolari, dello strato di sughero le cui cellule hanno forma arrotondata e non poliedrica. E attraverso gli spazi intercellulari presenti fra queste cellule  (la cui parete è suberificata in modi differenti nelle varie specie) che sono possibili scambi gassosi fra pianta e ambiente esterno.
Tessuti meccanici o di sostegno. Le cellule di questi tessuti sono in genere allungate, (con la dimensione maggiore secondo l’asse dell’organo in cui sono inserite), sprovviste di spazi intercellulari fra di loro e devono la loro funzione alle caratteristiche della parete cellulare. Due sono le categorie dei tessuti meccanici : tessuto collenchimatico e tessuto sclerenchimatico.
Il tessuto collenchimatico è costituito da cellule vive, provviste della sola parete primaria pectocellulosica . Quest’ultima presenta ispessimenti solo in certe zone, intervallate a aree in cui la parete rimane sottile. Una parete con queste caratteristiche conferisce una limitata capacità di sostegno ma garantisce alle cellule: a) facilità di scambi e quindi buona attività metabolica (frequentemente i collenchimi svolgono contemporaneamente più funzioni, per esempio, possiedono cloroplasti funzionanti e fanno una buona fotosintesi ; b) possibilità di assecondare, distendendo la propria parete, la crescita dell’organo di cui fanno parte. I collenchimi sono tipici, per esempio, dei giovani fusti in accrescimento. (Tav.22)
Le cellule del tessuto sclerenchimatico sono invece sempre provviste di parete secondaria, spesso di notevole, oltre che omogeneo, spessore. Sono distinguibili due tipi di tessuto sclerenchimatico: sclereidi e fibre. (Tav.23)
Le sclereidi sono cellule isodiametriche, spesso a contorno irregolare e lobato, strettamente incastrate tra loro a costituire ammassi più o meno estesi ( es. i gusci di alcuni semi). In queste cellule spesso lo sviluppo della parete secondaria è notevole, tanto da ridurre il lume cellulare a piccole dimensioni, e la parete è tipicamente lignificata. L’introduzione della lignina nella matrice cellulare  (può arrivare  a costituire oltre il 30% del peso secco) conferisce alla parete doti di resistenza meccanica elevatissima, perché combina la resistenza alla trazione delle fibrille di cellulosa con la resistenza alla compressione della lignina (un po’ quello che succede nel cemento armato). La distribuzione delle sclereidi é delle più varie. Sclereidi, in genere in piccoli gruppi, possono trovarsi in foglie e fusti ed anche nei tegumenti di semi o nell’endocarpo di frutti .
Le fibre hanno diffusione senza dubbio più ampia delle sclereidi. Le cellule sono allungate , affusolate, non presentano spazi intercellulari fra di loro, hanno parete di spessore variabile, spesso lignificata. Le fibre vengono divise in due grandi gruppi: xilari (presenti, cioè, insieme ad altri tipi cellulari, nel legno o xilema, che descriveremo successivamente), e extraxilari, presenti in altri sistemi e regioni della pianta. Tipicamente sempre lignificate sono le fibre xilari.
La lunghezza delle fibre può essere notevole, anche parecchi mm. Queste dimensioni vengono raggiunte grazie al tipo di accrescimento e differenziamento illustrato in Fig.26.

Fig.26 – Schema della distensione e del differenziamento di una fibra sclerenchimatica.  Da 1 a 2: la fibra (f) e le cellule parenchimatiche (p) crescono insieme per distensione (accrescimento simplastico ). In 3 : continua la crescita della sola fibra ai due apici, che si insinuano fra le cellule circostanti (accrescimento intrusivo) mentre la parte mediana ha cessato la crescita e ha deposto più strati di parete secondaria. In 3 la freccia indica l’apice che è ancora in crescita, provvisto di sola parete primaria.

La lignificazione della parete determina alla fine la morte della cellula  (una parete lignificata  risulta infatti anche impermeabile) senza che ciò influisca sulle funzioni del tessuto, affidate esclusivamente alla parete.

Tessuti di conduzione. Nell’indicare i problemi affrontati dalle piante nella conquista dell’ambiente terrestre è stata indicata, in termini di conduzione, solo la necessità del trasporto di acqua dal terreno alle foglie, la cui soluzione effettivamente ha incontrato le maggiori difficoltà. In realtà  i vegetali terrestri hanno dovuto inventare anche un altro sistema di trasporto: quello delle  sostanze organicate con la fotosintesi dalle zone “autotrofe” (foglie, giovani fusti) capaci di svolgere la fotosintesi  stessa alle zone “eterotrofe”  (prima fra tutte la radice) incapaci di  fotosintesi.
Due saranno quindi i sistemi di conduzione che esamineremo : lo xilema o legno , che trasporta acqua e sali minerali  ( o linfa grezza) e il floema o libro , che trasporta sostanze organiche (linfa elaborata).
Come potremo meglio comprendere dopo aver esaminato i meccanismi di ascesa della linfa grezza, le “tubazioni “ dello xilema dovranno possedere almeno questi requisiti : a) presentare una scarsa resistenza di attrito al movimento dei liquidi ; b) essere provviste di pareti capaci di resistere alla pressione che, in qualche modo, al loro interno dovrà realizzarsi ( pensate, per es. alla pressione che è necessario applicare per sollevare acqua per 10,40 o 100m contro la forza di gravità).
Il primo obbiettivo è stato ottenuto con una soluzione drastica: eliminazione del citoplasma e di tutti gli organuli cellulari, fino a ridurre la cellula a un  guscio vuoto consistente solo nella parete. Abbiamo già incontrato cellule morte che svolgono egregiamente  la loro funzione, es. sclereidi e fibre ben lignificate , nelle quali la morte sopravveniva dopo un tempo più o meno lungo dal completamento del differenziamento, come conseguenza della difficoltà di effettuare scambi a causa della spessa parete impermeabilizzata. Nel caso del tessuto vascolare la morte della cellula non è una conseguenza del differenziamento ma ne costituisce una tappa precisa  (l’ultima ), realizzata attivamente grazie a una intensa attività “lisosomiale” del vacuolo, che digerisce e  idrolizza le strutture cellulari.
Un'altra soluzione adottata va nella direzione della riduzione della resistenza al flusso: la forma delle cellule. Cellule allungate  disposte una sopra l’altra secondo la direzione del flusso  riducono il numero di pareti trasversali che il flusso deve attraversare. Naturalmente l’eliminazione di queste pareti migliorerebbe ulteriormente il flusso ed anche questa soluzione nel corso dell’evoluzione è stata adottata, originando un tipo di elemento vascolare denominata  trachea o vaso aperto. (mentre gli elementi che mantengono le pareti trasversali sono detti tracheidi o vasi chiusi).
Infine, un ulteriore miglioramento del flusso può essere ottenuto aumentando il diametro delle tubazioni. Questa soluzione è presente nelle trachee. Indicativamente , si può dire che il diametro medio di una tracheide  è di 30  mm, quello di una trachea 150 mm. Per il momento, pensate solo al fatto che il flusso è proporzionale alla 4a potenza del raggio e capirete  quale può essere l’effetto di un aumento del Ø degli elementi conduttori.
Il secondo obbiettivo (capacità di sopportare pressioni elevate) è stato raggiunto dotando  le cellule di una parete secondaria lignificata. Poiché gli elementi conduttori non potranno avere solo una stazione di partenza e una di arrivo ma dovranno rifornire di acqua e elementi minerali tutti i territori della pianta che attraverseranno a partire dalla radice  e visto che una parete ben lignificata risulta anche fortemente impermeabilizzata, è evidente che la parete secondaria lignificata non potrà essere continua ma dovranno  alternarsi, in ogni cellula , zone in cui è presente parete secondaria lignificata (assicurando così resistenza alla pressione) e zone di sola parete primaria non lignificata , che consentiranno il passaggio dell’acqua e dei soluti .
Le modalità con le quali questa duplice esigenza viene soddisfatta sono svariate e definiscono i vari tipi di elementi vascolari.
Le tracheidi presentano la più elevata varietà di tipi (Tav.24). La parete secondaria lignificata  può essere apposta contro la parete primaria in forma di anelli più o meno  ravvicinati (tracheidi anulate) di spirali (tracheidi, spiralate), di combinazione dei due tipi (tracheidi anulo-spiralate)  o in modo più esteso  (tracheidi reticolate, scalariformi). La deposizione di parete secondaria è massima nelle tracheidi punteggiate, nelle quali le zone di sola parete primaria non lignificata  sono ridotte a numerose ma piccole aree circolari o  ellittiche. Un tipo particolarmente elaborato di tracheide punteggiata è quello  caratteristico delle Gimnosperme, detta tracheide con punteggiature areolate (Fig.27) .

Fig.27 – Schema di punteggiatura areolata. 1: lamella mediana e parete primaria, 2: parete secondaria; 3: volta della punteggiatura; 4: toro; 5:  camera della punteggiatura; 6: orifizio della punteggiatura , 7:margo. Quando il toro è nella posizione in figura, i liquidi passano attraverso l’orifizio e il margo; se il toro è spostato contro un orifizio il passaggio è bloccato

Una struttura come la punteggiatura  aureolata (Tav.25) è in grado di funzionare come una vera e propria valvola, chiudendo le comunicazioni fra due tracheidi adiacenti ogni volta che fra le due cellule  si determini una differenza di pressione (ed è spinta a chiudersi proprio da tale differenza di pressione). Capiremo, esaminando le modalità dell’ascesa dell’acqua, che la differenza di pressione fra due elementi adiacenti segnala la presenza di un “guasto” nel sistema idraulico. Le valvole (punteggiature areolate) chiudendosi, isolano l’elemento danneggiato e impediscono al “guasto” di propagarsi al resto del sistema conduttore, preservandone l’efficienza idraulica.
Nelle trachee la varietà di tipi è minore ; i tipi scalariforme e punteggiato, sono i più frequenti.(Tav.26)
Le cellule conduttrici del floema (Tav.26), destinate a trasportare la linfa elaborata dai luoghi di produzione a quelli di utilizzazione , consumo e accumulo, sono fra le più strane del mondo vegetale. Si tratta di cellule vive  ma a maturità (a differenziamento ultimato) la loro struttura interna è profondamente alterata:  nucleo e ribosomi  sono assenti, l’ultrastruttura di mitocondri e  plastidi è rudimentale e alterata, il tonoplasto ,in tutto o in parte, è stato distrutto, per cui citoplasma e succo vacuolare non sono più separati e al loro interno compaiono numerosi gruppi di fibrille proteiche. Le cellule dei tubi cribrosi sono allungate, sovrapposte le une alle altre, hanno una parete primaria,spesso (ma non sempre )sottile, non lignificata e sono provviste  (in particolare sulle pareti trasversali, che collegano longitudinalmente la varie cellule) di strutture particolari , le “placche cribrose” , costituite da grossi porocanali attraversati da plasmodesmi al cui livello spesso si riscontrano quei fascetti di fibrille proteiche prima ricordati.(Fig.28)
Ogni porocanale della placca  è delimitato, nello spessore della parete, da un manicotto di callosio (polisaccaride che ha alcune proprietà della cellulosa e altre della emicellulosa) Nei periodi di inattività delle piante (nei nostri climi : in inverno) l’intera placca cribrosa appare ricoperta da una massa di callosio (sintetizzato in precedenza dalla cellula ), callosio che verrà idrolizzato, (fino a riportarlo alla dimensione dei manicotti iniziali) nella primavera successiva, alla ripresa dell’attività vegetativa. Naturalmente placche cribrose (in genere meno specializzate , con porocanali più piccoli e per questo definite “aree cribrose”) sono presenti anche sulle pareti longitudinali, per gli stessi motivi che impongono per es. a una tracheide punteggiata di avere punteggiature sia sulle pareti trasversali che su quelle longitudinali.
I tubi cribrosi sono sempre strettamente associati a “cellule compagne”, strutturalmente assimilabili a cellule parenchimatiche  e provviste quindi, a differenza dei tessuti cribrosi, di tutti gli organuli. (Fig.28). Nel caso delle Angiosperme  le cellule compagne sono vere e proprie cellule “sorelle ”, vista la loro genesi. Il ruolo delle cellule compagne sarà precisato analizzando i meccanismi di movimento della linfa elaborata.
I tessuti descritti sono presenti in tutte le piante. Distribuzione più ristretta hanno invece i tessuti secretori, molto diversi fra loro quanto a meccanismi, grado di specializzazione, localizzazione nella pianta. Le sostanze secrete  (terpeni, tannini ecc..) rientrano nella categoria dei “prodotti secondari del metabolismo”, le cui caratteristiche e i cui ruoli abbiamo esaminata a livello cellulare. Di alcuni di questi tessuti una descrizione è riportata nelle Tav. 27 e 28.



Fig.28 – Schema di sezione trasversale (A) e longitudinale (B e C ) di tubi cribrosi. In A: placca cribrosa (1) e cellula compagna (2). In B : placca cribrosa (3); area cribrosa (4). In C: particolare di placca cribrosa, con i manicotti di callosio (in azzurro) dei porocanali (5) e le fibrille proteiche(6).

 

http://www.agr.unifi.it/laboratorio/biologia/testi/I%20TESSUTI%20VEGETALI.doc

 


 

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