Chimica fotografia in bianco e nero

 

 

 

Chimica fotografia in bianco e nero

 

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Fotografia in bianco e nero                Materiali e processi chimici

 

Per ottenere una fotografia sono indispensabili alcuni materiali: un supporto, un' emulsione sensibile alla luce e dei reagenti chimici capaci di sviluppare e di fissare l’immagine sul supporto.

 

I   Supporti

 

In teoria qualsiasi materiale solido su cui possa essere  spalmata una emulsione fotografica e che sia capace di resistere ai reagenti di sviluppo e di fissaggio, può essere usato come supporto, tuttavia i più usati sono di due tipi: la plastica per le pellicole trasparenti e la carta per le stampe fotografiche.

 

Supporti di pellicola

I supporti di pellicola flessibile sono stati introdotti nei primi anni del 1900. Le prime pellicole erano costituite da nitrocellulosa o da alcuni suoi derivati, come il collodio, preparato   mescolando nitrocellulosa ed alcol etilico, oppure la celluloide, un materiale plastico e trasparente ottenuto mescolando nitrocellulosa e canfora. ( la canfora è una resina vegetale, di colore biancastro, con odore penetrante, ottenuto per distillazione del legno di canforo (Cinnamonum   Camphora )  un albero delle zone tropicali..
La nitrocellulosa  è il prodotto della reazione tra la cellulosa e l’acido nitrico:

Si tratta di una reazione di esterificazione in cui un acido ( in questo caso l’acido nitrico ) reagisce con un gruppo ossidrilico OH di un alcol o di un composto assimilabile ( la cellulosa )  formando un estere ( la nitrocellulosa )  e acqua. Siccome ogni anello presente nella catena polimerica della cellulosa contiene tre gruppi OH, a seconda del grado di nitrazione potremo avere la mono-nitro-cellulosa, la bi-nitro-cellulosa o la tri-nitro-cellulosa.
La nitrocellulosa pura, chiamata anche fulmicotone, prende fuoco molto facilmente e brucia in modo violento e velocissimo, la sua infiammabilità aumenta con il grado di nitrazione,. Anche l’alcol etilico e la canfora sono molto infiammabili.
Con questi ingredienti possiamo ben immaginare come il collodio e la celluloide non fossero  i supporti più sicuri per le pellicole fotografiche. La celluloide aveva delle caratteristiche fisiche e chimiche apprezzabili per la riproduzione delle immagini ma,  ovunque ci fosse un consistente deposito di pellicole, si creava anche un grosso pericolo di incendio. In effetti, si verificavano parecchi incendi nelle cabine di proiezione dei cinema, dove la pellicola poteva prendere fuoco per il forte calore prodotto dalle lampade ad arco usate per la proiezione stessa, specialmente se la pellicola rimaneva inceppata nel proiettore.
Già nei primi anni del 1900, la Kodak propose una pellicola non infiammabile costituita da un materiale plastico a base di acetato di cellulosa, un estere ottenuto facendo reagire l’acido acetico con la cellulosa, ma non fu accolta favorevolmente dall’industria cinematografica perché, oltre al costo elevato, alcune caratteristiche, come la resistenza alle ripetute proiezioni, non erano buone come quelle del supporto di celluloide.
Negli anni successivi vennero prodotte altre versioni delle pellicole a base di acetato di cellulosa, queste soppiantarono del tutto la celluloide e, attualmente, costituiscono ancora il miglior supporto per le pellicole commerciali.
In questi ultimi anni sono stati proposti altri materiali tra cui i più promettenti sono alcuni poliesteri della cellulosa, simili all’acetato, o altri poliesteri sintetici..

 
Supporti di carta

La maggior parte delle stampe fotografiche sono su un supporto di carta. La carta per fotografia deve essere bianchissima, deve avere una buona resistenza meccanica ad umido ed una eccellente stabilità dimensionale. Pur non potendo essere impermeabile deve assorbire il meno possibile le sostanze che compongono i bagni di sviluppo e di fissaggio.
La materia prima per la produzione della carta è la pasta di cellulosa, costituita da una sospensione acquosa di fibre cellulosiche, queste, un tempo, erano  ottenute unicamente da stracci di cotone, lino o canapa, da cui si ricava una carta molto resistente, infatti è tuttora usata per le banconote  A causa del suo costo  elevato, della scarsità di materia prima e della grande richiesta di carta, da molti anni le fibre cellulosiche sono ricavate anche dal legno, specialmente  di pino, abete, pioppo o castagno. .In questo caso la carta  viene indicata come “carta con supporto di fibra o FB (da Fiber Base).”
La pasta cellulosica veniva sbiancata con cloro o con ipocloriti, attualmente si tende ad eliminare l’uso di questi composti  contenenti cloro nel processo di sbianca  perché accelerano il  deterioramento della carta.
Segue poi la collatura  ottenuta aggiungendo alla pasta cellulosica dei leganti, costituiti da colla animale o da  resine sintetiche e l’aggiunta di cariche inerti, costituite generalmente da caolino, si tratta di sostanze minerali, di colore bianco, sotto forma di polveri finissime, esse hanno principalmente la funzione di riempire gli interstizi tra i fasci di fibre, compattando e spianando la superficie e di aumentare l’opacità della carta. A questo punto l’impasto, costituito da acqua, cellulosa, colla e cariche inerti, viene avviato alla cosiddetta “macchina continua” dove viene trasformato in un foglio.      Successivamente una od entrambe le superfici del foglio  sono ricoperte con uno o più strati di un impasto di colla e di solfato di bario BaSO4 o altri pigmenti bianchi (patinatura, baritaggio nel caso del solfato di bario). La patinatura rende la superficie della carta ben livellata e priva di rugosità e limita la penetrazione dell’emulsione nel supporto stesso, consentendo una stesa più uniforme e, di conseguenza, di avere delle immagini più regolari, con i neri più uniformi.
Molte carte fotografiche vengono goffrate, ossia vengono fatte passare, sotto una forte pressione, tra una coppia di cilindri di cui uno è inciso in modo da imprimere una trama con una conformazione caratteristica..

Spesso, sulla superficie della carta si aggiungono degli sbiancanti ottici per aumentare la sensazione di biancore della carta stessa; questi prodotti, analoghi agli sbiancanti usati nei detersivi per il bucato, sono sostanze, di solito dei coloranti sintetici, che emettono fluorescenza quando si trovano esposti alle radiazioni ultraviolette, prodotte dalla maggior parte delle sorgenti di luce. In pratica queste sostanze trasformano le radiazioni ultraviolette in radiazioni visibili, nella zona del blu, che neutralizzano il colore gialliccio della cellulosa impura o invecchiata.

Spesso le fotografie sono ottenute su un supporto di carta ricoperto, su entrambi i lati, da uno strato di resina sintetica, la più usata è il polietilene perché è una delle resine sintetiche chimicamente più stabili . In questo caso parliamo di carte RC (da Resin Coated),  note più comunemente come carte politenate.
La pellicola di resina sintetica, che viene a trovarsi tra la carta e lo strato di emulsione sensibile, la protegge dalle soluzioni chimiche e dall’acqua, in questo modo i tempi di trattamento possono essere molto più brevi perché si possono usare soluzioni di sviluppo e di fissaggio più concentrate. Nella patinatura delle carte plastificate non si usa il solfato di bario, che impedisce l’adesione del film di polietilene, ma il biossido di titanio TiO2  che però non è del tutto inerte chimicamente ed è ritenuto essere il maggior responsabile del decadimento delle immagini su carta plastificata conseguente a fenomeni di depolimerizzazione del film protettivo  Specialmente per questo motivo, per le fotografie destinate all’archiviazione si preferiscono le normali carte non plastificate.

 

 

   L’emulsione fotografica

 

Nota: la parola “emulsione” indica una dispersione colloidale di un liquido A in un liquido B non miscibile con A. in questo caso il termine è usato impropriamente,
Un' emulsione fotografica è costituita da cristalli di alogenuro di argento sospesi in una gelatina. Questa emulsione viene stesa su un supporto che può essere trasparente, come nel caso delle pellicole, oppure opaco, come nelle carte da stampa.
Per visualizzare una emulsione di questo tipo, stesa su un supporto, essiccata  e pronta per reagire, pensate ad una tavoletta di cioccolato farcita di nocciole : così come le nocciole sono sospese nel cioccolato, le particelle di alogenuro sono sospese stabilmente nella gelatina.
Esistono molte ricette diverse per produrre una emulsione fotografica. La scelta del tipo di gelatina e di diverse combinazioni di sali, insieme ad altri componenti chimici, conferiscono all’emulsione determinate caratteristiche di rapidità, sensibilità cromatica ,granulosità, contrasto e risoluzione.
L’emulsione viene stesa allo stato fluido sulla pellicola o sulla carta e lo spessore dello strato viene regolato intervenendo sulla sua viscosità e sulla velocità con cui viene stesa.
L’emulsione viene poi sottoposta ad un rapido raffreddamento ed, infine, essiccata lentamente per espellere, quanto più possibile , l’acqua.
Gli alogenuri di argento reagiscono alla luce e formano un’immagine latente che viene poi sviluppata per produrre un'immagine visibile costituita da argento metallico.
La gelatina indurita agisce come un legante pittorico trasparente proteggendo i cristalli di alogenuro dalle abrasioni e da altre sollecitazioni meccaniche o chimiche.

 

La gelatina

Una gelatina è una soluzione colloidale, ossia un miscuglio a due fasi, apparentemente omogeneo, costituito da una o più sostanze, la cosiddetta fase dispersa, capace di rimanere sospesa stabilmente in acqua o in un altro solvente : la cosiddetta fase disperdente. Le dimensioni delle particelle in sospensione variano, approssimativamente, da 1 a 1000 nanometri, ossia a metà strada tra quelle delle particelle visibili al microscopio e quelle delle molecole non polimeriche.   ( un nanometro = un miliardesimo di metro ossia 1 nm = 10-9 m )
La gelatina usata in fotografia si ottiene attraverso la degradazione del collagene, una proteina a struttura lineare molto diffusa nel mondo animale, dove entra nella composizione di tendini, cartilagini, pelle ed ossa.
I cascami di pelle, le ossa triturate e gli altri scarti di macellazione vengono trattati con “ latte di calce ”, una sospensione diluita di idrossido di calcio Ca(OH)2  in acqua, allo scopo di disgregare le fibrille di collagene e di rompere in alcuni punti le catene proteiche.
Man mano che questo processo di rottura ( idrolisi ) delle proteine procede, aumenta la produzione di oligopeptidi, ossia di catene costituite da pochi amminoacidi, e di amminoacidi liberi. Tutte queste piccole molecole possiedono una elevatissima attività fotografica, talvolta benefica e talvolta nociva.

Una certa quantità di gelatina fotografica viene disattivata, ossia viene liberata da tutte le piccole molecole munite di attività fotografica in modo da ottenere un legante inerte che verrà usato per stendere una pellicola protettiva sopra lo strato di emulsione sensibile, in alcuni casi viene sostituito con leganti sintetici come l’alcol polivinilico  ( il vinavil ) .

La gelatina di origine animale è, ancora oggi, il miglior materiale conosciuto per ottenere le emulsioni fotografiche ,essa presenta diverse proprietà importanti per la fotografia, le principali sono:

- disperde i cristalli di alogenuro d’argento, impedisce che vengano              in contatto tra loro o che coagulino formando dei    granuli.   
- quando è asciutta è sufficientemente stabile e con delle buone      proprietà meccaniche..
- serve da ricettore degli atomi di alogeno che si liberano durante la formazione dell’immagine latente.
- non ha alcun effetto sugli alogenuri di argento, a parte una funzione protettiva, anche se alcune impurezze contenute in essa possono influire sulla qualità delle fotografie.
- è permeabile alle soluzioni che devono reagire chimicamente con
gli alogenuri d’argento durante lo sviluppo ed il fissaggio.
- è un prodotto poco costoso e può essere conservata a lungo prima di
venire utilizzata
- è trasparente

La gelatina essiccata, del tutto simile alla gelatina alimentare che troviamo in commercio, contiene circa il 10% di acqua ed è un materiale duro, con una buona resistenza meccanica. Per preparare l’emulsione sensibile si mette questa gelatina essiccata a bagno nell’acqua che penetra nella sua struttura e la rigonfia facendole assumere un volume molto superiore a quello originale. Quando la gelatina bagnata viene riscaldata a 40°C  diventa fluida e può essere diluita con acqua. Se la concentrazione di gelatina in acqua è superiore all’1%, essa si “rassoda” durante il raffreddamento, proprio come fa la gelatina preparata in casa e diventa un gel che può venire essiccato.

 

I reagenti salini nell’emulsione fotografica : alogenuri e nitrati

Gli alogenuri sono dei sali non ossigenati in cui abbiamo un metallo legato ad un alogeno. In fotografia l’alogeno più usato è il bromo, meno lo iodio ed il cloro, legati ai metalli alcalini sodio o potassio.

NaCl    cloruro di sodio                   KCl    cloruro di potassio
NaBr   bromuro di sodio                 KBr    bromuro di potassio
NaI      ioduro di sodio                     KI      ioduro di potassio

Sono dei solidi ionici, cristallini, molto solubili in acqua.

I nitrati sono dei sali ossigenati dati da un metallo legato allo ione nitrato NO3-
In fotografia si usa il nitrato d’argento AgNO3, anch’esso un solido ionico, cristallino, di aspetto simile a quello del cloruro di sodio e, come questo, molto solubile in acqua; però è molto sensibile alla luce ed al calore, si decompone facilmente con formazione di argento metallico nero e deve    essere maneggiato con cautela perché macchia la pelle in modo indelebile.

La preparazione dell’emulsione fotografica

I passaggi principali della preparazione di una normale emulsione in bianco e nero sono:         precipitazione, maturazione, lavaggio, aggiunta di additivi e stesa.

 

Precipitazione 

Una emulsione fotografica si prepara partendo da una soluzione relativamente diluita  (1%) di gelatina in acqua A questa soluzione si aggiungono uno o più alogenuri solubili, in quantità leggermente superiore a quella richiesta dalla reazione di precipitazione, quindi, ad una determinata temperatura, si aggiunge un sale solubile di argento, quasi sempre il nitrato, si formano, così, gli alogenuri di argento.  Le reazioni possibili sono le seguenti:

AgNO3   +   NaCl   →   AgCl   +   NaNO3
AgNO3   +   KCl     →   AgCl   +   KNO3
AgNO3   +   NaBr   →   AgBr   +   NaNO3
AgNO3   +   KBr     →   AgBr   +   KNO3
AgNO3   +   NaI      →   AgI      +   NaNO3
AgNO3   +   KI        →   AgI      +   KNO3

Come possiamo vedere, i prodotti di queste reazioni sono:

il nitrato di sodio e il nitrato di potassio, sali ionici, cristallini e molto solubili in acqua;

gli alogenuri di argento, anch’essi sali cristallini ma quasi del tutto insolubili in acqua pura,   sono  un po’ più solubili in presenza di altri sali disciolti, come succede nell’emulsione fotografica. Il legame argento-alogeno presenta un carattere ionico abbastanza elevato.

Se, come solvente, ci fosse solo l’acqua, i cristalli di  alogenuro di argento si depositerebbero in pochi minuti sul fondo del recipiente, sotto forma di un precipitato con aspetto caseoso, apparentemente amorfo, mentre  la gelatina, grazie alla sua particolare struttura costituita da un fitto intreccio di macromolecole proteiniche fortemente legate all’acqua, da una parte limita  la mobilità degli ioni e, quindi, la velocità della reazione di formazione degli alogenuri di argento, dall’altra, con la sua maggiore viscosità, mantiene in sospensione i cristalli che si vanno formando.

Questo è un fenomeno d'importanza essenziale nella preparazione dell’emulsione perché rende   possibile controllare che  la crescita dei cristalli avvenga in modo uniforme, fino al raggiungimento delle dimensioni volute
Naturalmente, dal momento in cui si verifica la formazione degli alogenuri di argento, tutti i materiali devono essere protetti dalle radiazioni elettromagnetiche a cui sono sensibili.
Infatti queste radiazioni provocano la reazione di ossido-riduzione dell’alogenuro di argento, con formazione di argento metallico di colore nero e del relativo alogeno in forma molecolare :

2 AgCl  →  2 Ag  +  Cl2          2AgBr  → 2 Ag  +  Br2                  2AgI  → 2 Ag  +  I2

per questo motivo le pellicole sensibili esposte alla luce solare per un tempo troppo lungo diventano nere.
.
In genere si preparano delle miscele dei tre alogenuri d’argento: essenzialmente bromuro e piccole quantità di cloruro e di ioduro, in particolare lo iodio introduce dei difetti nel reticolo cristallino del bromuro di argento con un notevole aumento della sensibilità.
Gli alogenuri d’argento sono sensibili a tutte le radiazioni con lunghezza d’onda minore di quella del campo del visibile, ad esempio le lastre per le radiografie vengono impressionate dai raggi X  mentre la radioattività venne scoperta notando che un minerale di uranio, emettitore di raggi γ, appoggiato su un pacco di lastre fotografiche, le impressionava.

Le lunghezze d’onda delle radiazioni visibili vanno da 380 nm al confine tra l’ultra violetto ed il violetto fino a 760 nm al confine tra rosso e infrarosso:
violetto da 380 a 430 nm, indaco da 430 a 460, azzurro da 460 a 500 nm, verde da 500 a 560, giallo da 560 a 595, arancio da 595 a 620 nm, rosso da 620 a 760 nm.
Il passaggio da un colore all’altro è molto graduale, perciò i valori di λ riportati sono convenzionali e, sui vari testi, possono essere leggermente diversi.

Il cloruro d’argento AgCl, che forma cristalli incolori , è sensibile alle lunghezze d’onda del visibile più corte, soprattutto alle radiazioni ultraviolette e violette, fino a circa 420 nm.
Il bromuro di argento AgBr forma cristalli di colore giallognolo, ha una sensibilità che si estende fino a circa 500 nm
Lo ioduro di argento  AgI forma cristalli di colore giallo, aggiunto in piccole quantità al bromuro, estende la sensibilità fino a circa 525 nm.

 

Maturazione  fisica
Si effettua lasciando a riposo, per un certo tempo, l’emulsione, che e una soluzione satura di alogenuro di argento, quindi esiste una situazione di equilibrio dinamico tra gli alogenuri di argento in soluzione ed il corpo di fondo, ossia i cristalli di alogenuro.   La solubilità degli alogenuri di argento, estremamente piccola in acqua pura, diventa maggiore nell’emulsione, sia per la presenza di altri sali solubili, sia per le piccole dimensioni dei cristalli (un micrometro o anche meno), il che determina un notevole    aumento del  rapporto superficie-peso. Questa differenza di solubilità in funzione delle dimensioni dei granuli spiega l’aumento della loro grandezza media durante la maturazione, nel corso della quale i cristalli più piccoli si dissolvono e gli ioni che entrano in soluzione tendono, successivamente, ad uscire dalla soluzione stessa aggregandosi ai cristalli più grossi.

 

Lavaggio

Come abbiamo visto, con gli alogenuri di argento si formano dei nitrati alcalini solubili, che restano in soluzione nell’emulsione sensibile, questi sali potrebbero poi cristallizzare sul supporto, specialmente se si tratta di una pellicola di materiale plastico  o di una carta plastificata, il problema è meno grave  se l’emulsione deve essere stesa su un supporto poroso, come una carta di fibra non trattata, in questo caso il nitrato alcalino in eccesso viene in buona parte assorbito dal supporto stesso. Perciò la gelatina viene fatta coagulare, mediante raffreddamento  o con reagenti chimici, sminuzzata ed i frammenti sono lavati accuratamente per alcune ore in modo di allontanare l’eccesso di sali solubili, infine i frammenti lavati vengono risciolti in acqua..

 

Aggiunta di additivi

A questo punto vengono aggiunte alcune sostanze che determinano la cosiddetta maturazione chimica dell’emulsione. Le principali sono

Gli induritori, come l’allume di potassio, che ritroveremo più avanti, servono ad indurire parzialmente la gelatina, aumentandone la resistenza meccanica
I sensibilizzatori chimici,  sono composti che aiutano la formazione di centri di sensibilità sulla superficie dei cristalli di alogenuro.                                                       I sensibilizzatori cromatici, sono dei coloranti che vengono adsorbiti sulla superficie dei cristalli di alogenuro

 

L’emulsione di base, con i soli alogenuri di argento, è sensibile unicamente alle radiazioni che     vanno dall’ultravioletto fino al blu, ossia da 180 a 500 nm circa, mentre la risposta più elevata della visione umana si ha nella regione del verde, con un picco prossimo ai 550 nm.
Di conseguenza, le fotografie realizzate con una emulsione per bianco e nero non sensibilizzata hanno una resa dei colori diversa da quella percepita dal sistema di visione umano.Nel 1873      H.W.Vogel scoprì che si poteva provocare la risposta delle emulsioni alle lunghezze d’onda della   luce nella regione del verde dello spettro aggiungendo un colorante rosa o rosso. L’emulsione     diventava sensibile  al colore assorbito dal colorante. Quando si usa, per la ripresa, un’emulsione sensibilizzata per il verde per mezzo di un colorante rosso, con un filtro giallo davanti all’obiettivo   per assorbire, in parte, la luce blu, alla quale la pellicola è già sensibile , si ottiene una risposta, in termini di bianco e nero, abbastanza vicina a quella dell’occhio umano. In questo caso si parla di     resa dei colori ortocromatica o isocromatica.
Successivamente, per estendere la sensibilità delle emulsioni, sono stati usati coloranti verdi e blu, che assorbono la luce rossa, rendendo l’emulsione sensibile al rosso. In questo modo l’emulsione diventa sensibile a tutti i colori dello spettro visibile e viene detta pancromatica

 

Stesa

Usando varie tecniche, l’emulsione viene stesa sul supporto. Anche questo è un    processo molto delicato: strati di emulsione spessi pochi micron debbono essere stesi, a grande   velocità, su un nastro di supporto largo più di un metro e lungo fino a 600 metri, con tolleranze   strettissime. Anche il più semplice dei materiali sensibili è costituito da due strati: l’emulsione   sensibile e lo strato protettivo, abbastanza spesso, poi, i materiali per il bianco e nero sono    fabbricati con due strati di emulsione con caratteristiche diverse, il che porta ad un totale di tre   strati. Il più semplice dei materiali a colori è composto da cinque strati: tre di emulsione sensibile,    un filtro giallo ed uno strato protettivo.

 

L’immagine latente

Quando un’emulsione a base di alogenuri di argento, stesa su carta o su pellicola, viene esposta all’immagine luminosa prodotta dall’obiettivo, si forma su di essa un’immagine “latente”.
Quasi sempre tale immagine non è visibile, perché la quantità di argento metallico che si forma è molto piccola.  Anche l’energia luminosa necessaria per ottenere questa immagine latente è relativamente piccola, questo permette di avere tempi di esposizione di un millesimo di secondo,o anche meno.
In pratica noi abbiamo un supporto su cui è stesa una emulsione sensibile contenente dei cristalli di alogenuri d’argento, composti ionici, formati da ioni Ag+ , positivi e da ioni Cl-, Br- o I-, negativi. Questi cristalli sono distribuiti, in modo uniforme, su tutta la superficie del supporto.
Quando questa superficie viene esposta alla luce dell’obiettivo per un tempo brevissimo, in alcuni cristalli un certo numero di  ioni Ag+  si riducono ad argento metallico Ag.

Naturalmente, il numero di cristalli interessati a questa reazione dipenderà dall’intensità della radiazione luminosa nei vari punti della superficie esposta : saranno più numerosi dove la radiazione è stata più intensa, più pochi dove la radiazione è stata meno intensa.
Questi cristalli che contengono alcuni atomi di argento metallico risultano attivati o, meglio,   sensibilizzati. Infatti, durante lo sviluppo, solo questi cristalli reagiranno subendo la riduzione di tutto l’argento contenuto e diventando completamente neri.
Per visualizzare questo fenomeno pensate a quel gioco enigmistico in cui bisogna annerire soltanto gli spazi bianchi segnati con un puntino per ottenere una figura. Gli spazi bianchi, che possiamo immaginare anche come le tessere di un mosaico, sono costituiti dai cristalli di alogenuro disposti    uno vicino all’altro, sulla superficie del supporto e mantenuti fermi dalla gelatina.
Durante l’esposizione “inseriamo i puntini neri”ossia provochiamo la formazione di alcuni atomi di   argento metallico su un certo numero di cristalli di alogenuro, formando quella che viene chiamata immagine latente. Durante lo sviluppo non facciamo altro che “annerire gli spazi con un puntino”,  ossia trasformiamo in argento metallico, di colore nero, solo i cristalli attivati durante l’esposizione.

Ricordiamo che il processo fotografico funziona “in negativo”, per cui registra le zone scure del soggetto come zone chiare sulla pellicola, mentre le zone chiare del soggetto sono scure sulla      pellicola. Quando utilizziamo una macchina fotografica, otteniamo un negativo che servirà come modulatore di luce per produrre una immagine positiva  su un’altra superficie sensibile.

 

Meccanismo di formazione dell’immagine latente

I cristalli di alogenuro sono costituiti da atomi di argento e di alogeno Siccome il legame tra l’argento e l’alogeno è fortemente polarizzato, con un forte carattere ionico, gli elettroni di valenza ceduti dagli atomi di argento appaiono ben localizzati nella zona di legame, la cosiddetta banda di valenza Ne deriva che in un cristallo perfetto, al buio ed a temperatura ambiente gli elettroni di valenza possiedono un’energia troppo bassa per poter uscire dalla zona di legame.
Infatti, in questi cristalli, tra i bassi livelli energetici della banda di valenza e quelli più elevati della banda di conduzione esiste una serie di livelli generalmente interdetti, chiamata    banda proibita.
Ma nulla vieta che gli elettroni di valenza possano prendere energia dall’esterno, ad esempio dalla luce assorbita dal cristallo quando viene illuminato.             Se nella struttura del cristallo vi sono dei difetti o delle impurezze che disturbano la struttura elettronica del reticolo cristallino, all’interno della banda proibita possono rendersi disponibili, per gli elettroni di valenza, dei livelli normalmente inaccessibili che rendono possibile il passaggio alla banda di conduzione.
In questo i cristalli di alogenuro di argento si comportano come i materiali semiconduttori, in cui     gli elettroni di valenza possono passare facilmente dalla banda di valenza alla banda di conduzione.

Alcuni elettroni di valenza, nel loro continuo movimento determinato da assorbimenti e cessioni di energia, cadendo dalla banda di conduzione verso la banda di valenza, mentre attraversano la banda proibita  possono rimanere intrappolati tra questi livelli anomali, detti appunto trappole, creando un    centro di sensibilità.
I fabbricanti di materiali sensibili usano tutti gli accorgimenti possibili per controllare la natura e      la disposizione di queste trappole nei cristalli di alogenuro.

Naturalmente, più è grande il cristallo di alogenuro, maggiore è il numero di centri di sensibilità che possono essere presenti su di esso e, quindi, è maggiore la probabilità che su di esso si formi un germe dell’immagine latente. In altre parole, esiste una correlazione tra le dimensioni dei cristalli e la sensibilità dell’emulsione : più grandi sono i cristalli, maggiore è la sensibilità.

Secondo la teoria attualmente più accreditata la formazione dell’immagine latente avverrebbe in tre    stadi.

Nel primo stadio le radiazioni luminose assorbite determinano l’espulsione di un elettrone di valenza   da parte di uno ione alogeno. Ad esempio     
Br-   +   radiazione   →   Br   +  e-
questo elettrone entra nella banda di conduzione dove è libero di muoversi fino a che non cade dentro ad una trappola posta nella banda proibita sottostante :                          
    e-   +   trappola   →    etr-   (elettrone intrappolato)
questo processo richiede pochi milionesimi di secondo, la trappola che, come si è detto, è costituita da un difetto del cristallo o da una distorsione del reticolo cristallino indotta da una impurezza, può    catturare diversi elettroni liberati per effetto fotoelettrico durante l’esposizione alla luce. Si verifica    così un accumulo di carica negativa che può attirare cariche positive mobili eventualmente presenti    nei dintorni. Cariche di questo tipo esistono in numero notevole nei cristalli di alogenuro precipitati in condizioni opportune. Si tratta dei cosiddetti ioni argento interstiziali che, in corrispondenza di determinati difetti, abbandonano la loro posizione naturale nel reticolo cristallino e si ritrovano ad occupare delle posizioni irregolari, negli interstizi tra atomo e atomo, questi ioni possono muoversi con una relativa libertà, a differenza degli ioni Ag+ in posizione regolare nel reticolo cristallino.

Quindi, nel secondo stadio della formazione dell’immagine latente, abbiamo la migrazione di ioni argento interstiziali verso i centri di sensibilità che hanno accumulato elettroni.

Il terzo stadio è costituito dalla neutralizzazione degli ioni argento interstiziali da parte degli elettroni intrappolati, con la formazione di aggregati di atomi di argento dai quali può iniziare    l’azione dello sviluppo.
Ag+   +   etr-   →   Ag
questi aggregati si dicono centri di sviluppo, termine più corretto che non germe dell’immagine latente.

Gli atomi di alogeno che si formano durante il primo stadio possono interagire con un “accettore di     alogeni”,come la gelatina, oppure possono dare luogo a delle reazioni “parassite” come :
Ag   +   Br    →   Ag+   +   Br--    oppure                                        Br   +   etr-   →   Br
Queste reazioni disturbano il processo di formazione dell’immagine latente, diminuendone l’efficienza

                                                                                                                                                                                                                                                      

Lo sviluppo

Abbiamo visto che l’immagine latente si forma quando un certo numero di quanti di energia luminosa riesce a produrre un gruppo di alcuni atomi di argento metallico sulla superficie di un      cristallo di alogenuro.
Durante l’esposizione e lo sviluppo ciascun cristallo di alogenuro presente nello strato di gelatina     sensibile può essere considerato una unità a se stante; tutte le reazioni chimiche che riguardano un   determinato cristallo non si estendono ad altri cristalli vicini, a meno che non siano a contatto.
Quattro atomi di argento vengono considerati il numero minimo necessario per costituire un’immagine     latente su di un cristallo.
Lo sviluppo consiste nella riduzione selettiva,ad argento metallico, degli ioni Ag+ che circondano    gli atomi di Ag  dell’immagine latente. Mentre lo sviluppo prosegue, la quantità di argento metallico nel cristallo aumenta e, se viene portato avanti abbastanza a lungo, l’intero cristallo di alogenuro si trasforma in argento metallico.
In condizioni normali la riduzione di cristalli di alogenuro non interessati dall’immagine latente è    trascurabile. Naturalmente se “si dimentica” il materiale esposto nel bagno di sviluppo, tutta la sua superficie diventerà nera.
Per espletare la sua azione, il rivelatore, presente nella soluzione di sviluppo, deve venire a contatto con i cristalli di alogenuro che sono immersi in uno strato di gelatina animale e cedere elettroni agli ioni Ag+    Alle normali     temperature di impiego ed a contatto con la soluzione alcalina di sviluppo, la gelatina si rigonfia   fortemente, in queste condizioni le molecole delle varie sostanze che compongono lo sviluppo      acquistano piena libertà di movimento ed il rivelatore può venire a contatto con i cristalli da sviluppare.
Immaginiamo di osservare un cristallo di bromuro di argento non impressionato, siccome si è sviluppato in un ambiente contenente un eccesso di ioni bromuro, la superficie del cristallo risulterà rivestita da uno strato continuo di ioni bromuro, con carica negativa, che costituiscono una barriera rispetto al passaggio degli elettroni provenienti dal rivelatore. Invece, nei punti in cui si sono formati i germi dell’immagine latente,la barriera di ioni bromuro è stata distrutta e quindi in quei punti può iniziare la reazione di riduzione che,gradualmente, coinvolge tutto il cristallo.
Poiché la riduzione ha inizio partendo dai piccoli centri di sensibilità dell’immagine latente, l’argento metallico si sviluppa sotto forma di un filamento che cresce alla sua base, come un filo d’erba, in seguito  alla progressiva riduzione di tutto il cristallo di alogenuro. In ogni cristallo vi sono più  centri di sensibilità dell’immagine latente, quindi si formano più filamenti che, crescendo, si    aggrovigliano determinandone il tipico aspetto granulare.

 

Si distinguono due tipi di sviluppo: lo sviluppo chimico e lo sviluppo fisico, anche se il termine       “fisico” è improprio perché si tratta pur sempre di reazioni chimiche.
Nello sviluppo chimico l’argento si  forma attraverso la riduzione ad Ag metallico degli ioni Ag+ presenti  nei cristalli di alogenuro dispersi  nello strato di gelatina sensibile :
Ag+   +   rivelatore   →   Ag   +   rivelatore ossidato

Ad esempio con l’idrochinone avremo la reazione seguente :
In questa reazione lo ione Ag+   contenuto in AgBr  acquista un elettrone che viene fornito dal  gruppo funzionale fenolico  C–OH dell’idrochinone che si ossida a  gruppo funzionale chetonico  C=O  del chinone, contemporaneamente l’atomo di idrogeno del gruppo OH si stacca come ione H+ che, in teoria , si lega all’atomo di alogeno formando un acido alogenidrico, ma, trattandosi di  un acido forte, resta in soluzione completamente dissociato. Gli ioni H+  vengono neutralizzati dai sali alcalini presenti nel bagno di sviluppo mentre gli ioni bromuro Br-, che tendono a riformare la barriera di ioni negativi  attorno ai cristalli di alogenuro, rallentano la velocità della reazione di sviluppo.

Nello sviluppo “fisico” l’argento proviene da sali di argento che si formano nella soluzione di sviluppo quando essa viene a contatto con il materiale da sviluppare.
Infatti, negli sviluppi è quasi sempre presente una certa quantità di solfito di sodio Na2SO3, questo   sale possiede, sebbene in scala ridotta, la stessa proprietà dell’iposolfito o tiosolfato di sodio   Na2S2O3  che troveremo nel bagno di fissaggio, ossia è capace di
solubilizzare gli alogenuri di argento formando un sale complesso argento-solfito che passa in soluzione nel  bagno di sviluppo :    
AgCl  +  2 Na2SO3   →  NaCl  +   Na3Ag(SO3)2  
Questo complesso viene lentamente ridotto dal rivelatore con formazione di argento metallico, esso tende a depositarsi sulla sommità dei filamenti in accrescimento che, quindi, crescono grazie all’aggiunta di materiale sia da una parte che dall’altra Però una piccola quantità di argento dovuto a sviluppo fisico si deposita anche lontano dai filamenti in accrescimento, questo determina una perdita di nitidezza dell’immagine..
Na3Ag(SO3)2 + rivelatore  → Ag  + rivelatore ossidato + 2 Na2SO3
Queste reazioni di sviluppo fisico sono responsabili anche della presenza  di un deposito di argento metallico nelle bottiglie di sviluppo usato, abbandonate per qualche tempo

 

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Composizione della soluzione per lo sviluppo

 

Agenti rivelatori

Il componente principale di una soluzione per lo sviluppo è in cosiddetto agente rivelatore o riduttore chimico,  mentre in passato si usavano rivelatori inorganici come il solfato ferroso, oggi si usano quasi unicamente dei composti organici aromatici, , i più usati sono l’idrochinone, il metolo ed il fenidone.

L’idrochinone, scoperto nel 1880, è probabilmente l’agente rivelatore più usato in assoluto ,anche se, spesso, in combinazione con un altro agente rivelatore.Si presenta sotto forma di aghetti bianchi. Necessita di una soluzione fortemente alcalina, è lento nell’avviarsi ma, una volta partito, procede rapidamente nello sviluppo e produce un contrasto elevato; è molto sensibile ai cambiamenti di temperatura ed è praticamente inattivo al di    sotto dei 15°C.

 

Il metolo o para-metil-ammino –fenolo, si presenta sotto forma di scagliette bianche, essendo poco solubile in acqua, viene preparato sotto forma di solfato, è un rivelatore che agisce dolcemente, anche se l’azione di sviluppo inizia quasi subito, produce immagini molto dettagliate ed è in grado di sviluppare una    discreta quantità di emulsione fotografica prima di esaurirsi.
Vengono chiamate MQ le soluzioni di sviluppo che contengono sia metolo che idrochinone. In miscela, i due rivelatori hanno un’efficacia superiore alla somma di quella di ciascuno dei due usato da solo, questo effetto, detto di supradditività, sembra dipendere anche dal fatto che il metolo si comporta da agente rivelatore primario ed i suoi prodotti di ossidazione vengono ridotti di nuovo a metolo dall’idrochinone, fino all’esaurimento dell’idrochinone stesso .
Il fenidone o 1-fenil-3-pirazolidone


Si usa sempre e soltanto in miscela con altri rivelatori, nella maggior parte dei casi con l’idrochinone. Anche le miscele costituite da idrochinone e fenidone manifestano un effetto di superadditività.

 

Acceleratori o attivatori 

I termini acceleratori o attivatori sono impropri. iSi tratta di composti  che eliminano gli ioni H+   mano a  mano che si formano  e, nello stesso tempo agiscono come tamponi di pH, cioè mantengono invariato, entro certi limiti, il pH della soluzione. Siccome la reazione di sviluppo è una reazione di equilibrio, eliminando gli ioni H+ essa risulta spostata verso destra e, mantenendo costante la loro concentrazione, anche la velocità della reazione stessa subisce meno variazioni. Di conseguenza, affinché l’agente rivelatore funzioni correttamente, durante lo sviluppo il pH della soluzione deve essere mantenuto maggiore di sette, ossia alcalino o basico, e sempre attorno allo stesso valore. Ciò si ottiene aggiungendo uno o più composti alcalini, i più usati sono alcuni sali di sodio, come il   carbonato di sodio  Na2CO3  il metaborato di sodio  NaBO2,  il borace  Na2B4O7 · 10 H2O, il monoidrogeno fosfato Na2HPO4, il diidrogeno fosfato NaH2PO4  o il   solfito di sodio  Na2SO3 . Usando questi composti nelle giuste quantità la soluzione risulta tamponata, ossia, il pH si mantiene   inalterato anche se la composizione del bagno subisce qualche piccola variazione.
L’idrossido di sodio  NaOH  è poco usato perché è una base troppo forte .Si possono usare anche i relativi sali potassici.

 

Preservatori

Il rivelatore è un composto riducente, quindi reagisce ossidandosi; di conseguenza tenderà a reagire    anche con l’ossigeno dell’aria presente sopra la soluzione, sprecando, così, le sue capacità riducenti.
Sono dette “preservatori” quelle sostanze che vengono aggiunte alla soluzione per prevenire le   reazioni di ossidazione dovute all’aria. Per sviluppi che usano agenti rivelatori organici, il         preservatore più usato è il solfito di sodio  Na2SO3  già indicato come accelerante, che in presenza di aria, quindi di ossigeno, si ossida a solfato:
2 Na2SO3  +  O2  →  2 Na2SO4

 

Ritardatori

Una soluzione di sviluppo semplice, con solo rivelatore  acceleratore e preservatore, non distingue per bene i cristalli di alogenuro attivati da quelli non attivati, questo significa che, oltre a sviluppare i cristalli interessati dall’immagine latente, tende a sviluppare anche quelli non sensibilizzati, formando il    cosiddetto velo. Abbiamo visto però che gli ioni alogenuro che si formano durante lo sviluppo tendono a riformare una barriera con carica negativa attorno ai cristalli di alogenuro, rallentando la velocità della reazione, ma rendendola, però, più selettiva Di conseguenza alla soluzione viene aggiunta una buona dose di alogenuro solubile, di solito un bromuro, è vero che questo rallenta la velocità della reazione di sviluppo, però la rende più costante e meno sensibile all’effetto ritardante dovuto all’alogenuro che si forma durate la reazione stessa e, inoltre, la rende più selettiva facendo in modo che ci sia una migliore differenziazione tra i cristalli attivati e quelli non attivati.

Antivelo

Anche se, molto spesso, il termine “antivelo” viene usato per indicare gli alogenuri solubili descritti qui sopra  come ritardatori, normalmente questo termine viene riservato ad un’altra categoria di additivi dello sviluppo, che riducono la formazione del velo ma che hanno un effetto meno rilevante sulla sensibilità generale della pellicola. In genere sono dei composti organici eterociclici azotati come il benzotriazolo

Altri componenti della soluzione di sviluppo

Ci sono molti altri composti che vengono aggiunti alla soluzione di sviluppo per migliorarne le proprietà.
Ad esempio, alcuni sali neutri, come il nitrato di potassio  KNO3 o il solfato di sodio  Na2SO4  aumentano la velocità della reazione di sviluppo, questo effetto si ritiene dovuto al fatto che essi aumentano la mobilità,   attraverso la gelatina sensibile, delle sostanze interessata alla reazione di sviluppo.
Altre sostanze, note con il loro marchio di fabbrica, vengono, spesso, aggiunte alle soluzioni di sviluppo per aumentare il periodo di conservazione, per abbassare il punto di congelamento degli   sviluppi liquidi, per incrementare la solubilità di alcuni composti, eccetera.
Per questo, uno sviluppo preconfezionato può essere molto diverso dallo stesso sviluppo preparato in proprio miscelando gli ingredienti. Infatti, molto spesso gli sviluppi preconfezionati presentano   alcuni vantaggi in più ma non corrispondono esattamente alle “ricette” che vengono divulgate.

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La velocità di tutte le reazioni chimiche è condizionata, oltre che dalla natura dei reagenti, anche da altri parametri, come la concentrazione dei reagenti, la temperatura e la superficie di contatto.
La maggior parte degli sviluppi in commercio riporta le indicazioni per ottenere i migliori risultati con una determinata combinazione di concentrazione, tempo, temperatura ed agitazione.

 

Concentrazione degli sviluppi

La reattività della soluzione di sviluppo non rimane costante per tutta la durata del processo. All’inizio sono presenti solo i reagenti, ossia i componenti della soluzione di sviluppo e gli alogenuri di    argento nella gelatina sensibile ed i reagenti di sviluppo devono penetrare nell’emulsione per raggiungere i cristalli di alogenuro d’argento.
Non appena inizia il processo di sviluppo, cominciano a formarsi i prodotti di reazione ed entra in    gioco una azione ritardante che viene, in una certa misura, controllata dalla rimozione di questi prodotti  e dalla sostituzione con rivelatore fresco per mezzo dell’agitazione. All’inizio c’è anche una concentrazione relativamente bassa di ioni argento in soluzione ed occorre un certo tempo prima che inizi lo sviluppo fisico.

 

Temperatura di sviluppo

La velocità della reazione di sviluppo è molto sensibile alle variazioni di temperatura, è quindi indispensabile misurare, ogni volta, la temperatura del bagno e regolare di conseguenza la durata dello sviluppo. Stesso. Si dovrebbe comunque fare il possibile per lavorare nell’intervallo di 18-20°C, anche se per piccoli abbassamenti della temperatura l’unico inconveniente è il maggior tempo richiesto, ma al di    sotto di una certa temperatura, variabile secondo il tipo di sviluppo, il bagno diventa inefficiente.
Se, invece, le temperature sono superiori alla norma il bagno diventa troppo attivo e lo sviluppo    diventa incontrollabile perché troppo rapido. Di solito le confezioni di sviluppi in commercio riportano delle tabelle attraverso le quali è possibile calcolare il tempo ottimale di sviluppo in funzione della concentrazione e della temperatura.

 

Agitazione

L’agitazione influisce sia sul grado di avanzamento, sia sulla uniformità dello sviluppo. Quando lo    sviluppo ha inizio, la soluzione penetra nell’emulsione e reagisce con i granuli di alogenuro di argento; man mano che questa reazione procede, la soluzione si esaurisce e deve essere sostituita con   soluzione  fresca. Infatti. se il bagno è stagnante, la soluzione esaurita si accumula sulla superficie del supporto e  rallenta la reazione di sviluppo.
L’agitazione rimuove lo soluzione esaurita e la sostituisce con soluzione fresca che diffonde nell’emulsione, continuando il processo. Il grado di agitazione deve essere tale da ottenere la massima uniformità di sviluppo, evitando la formazione di correnti direzionali che, facendo tornare più volte lo stesso liquido nello stesso punto, porterebbe alla formazione di macchie o di strisce;   ad esempio,nel caso di uno sviluppo in una bacinella si raccomanda una agitazione costante, ma la bacinella deve venire mossa in modo casuale, facendola oscillare sollevando un angolo, poi quello opposto e così via, in modo da ridurre al minimo le formazione di onde   stazionarie ed il loro effetto direzionale che produrrebbe delle striature sulla superficie sviluppata.

 

L’integratore
Per il trattamento di piccole quantità di materiale fotografico può essere conveniente usare una soluzione di sviluppo una sola volta e poi eliminarla con le dovute cautele, quando invece si devono sviluppare grandi quantità di materiale, per mantenere costante l’efficienza dello sviluppo si usano gli integratori.  Per determinare la composizione dell’integratore ela frequenza delle aggiunte da fare bisogna tener conto di vari parametri tra cui   il calo di attività dovuto all’accumulo di prodotti di reazione ed all’esaurimento dell’agente rivelatore e del solfito, la quantità di soluzione che viene asportata quando si toglie la pellicola o la stampa e le variazioni della quantità di acqua presente come solvente. La composizione dell’integratore viene determinata in modo da mantenere costante il livello di attività dello sviluppo .L’impiego di un integratore può mantenere a lungo costante l’attività di un bagno, ma non può mantenere costante la composizione. Infatti, con il passare del tempo, si accumulano i prodotti di ossidazione dei rivelatori, i bromuri, l’argento sciolto dal solfito, solfati dovuti all’ossidazione del solfito, tracce di gelatina ed una miriade di sostanze estratte dall’emulsione, formate in seguito all’invecchiamento del bagno o introdottevi con la polvere Quindi, prima o poi, il bagno deve essere cambiato.

 

Bagno di arresto

Un arresto immediato dello sviluppo permette un maggiore controllo dello sviluppo stesso ed evita che esso proceda nel bagno di fissaggio dove, a causa della grande quantità di sali di argento disciolti, nei primi istanti si avrebbe un notevole sviluppo fisico con formazione di un velo .
Alcuni fotografi, al posto del bagno di arresto, usano un lavaggio in acqua, in questo caso lo sviluppo, diluito bruscamente, procede ancora per qualche momento ma in condizioni diverse, proseguendo più a lungo sulle ombre e determinando un addolcimento del contrasto.
Il bagno di arresto è costituito da una soluzione contenente un acido debole, con un pH da 3 a 5,che   neutralizza l’alcalinità all’interno della gelatina e blocca l’azione del rivelatore.
Talvolta si usa una soluzione di bisolfito di sodio  NaHSO3  o di potassio  KHSO3., composti sconsigliabili perché reagiscono producendo anidride solforosa SO2, un gas tossico con odore acre.
Da questo punto di vista il composto migliore sarebbe l’acido borico H3BO3, dato che la sua volatilità a temperatura ambiente è praticamente nulla. Di solito però si usa l’acido acetico puro CH3COOH in quantità di circa 25-30 cc per litro d’acqua.
I bagni di arresto contengono un indicatore, ossia un colorante che cambia tonalità in seguito ad una sostanziale variazione del valore di pH, segnalando quindi il momento in cui l’acido è completamente neutralizzato e, di conseguenza, il bagno stesso deve essere sostituito; è importante  scegliere un indicatore che si possa distinguere alla luce rossa, arancione o ambrata  della lampada di   sicurezza.
Ad esempio con l’indicatore Verde di Bromocresolo, di colore giallo a pH minore di 5,4, alla luce della camera oscura il bagno d’arresto apparirà incolore, ma appena verrà superato questo valore di pH diventerà azzurro, colore che in camera oscura appare nero.

 

Bagno di fissaggio e di indurimento

In questo bagno sono presenti contemporaneamente i reagenti per due processi: il fissaggio e l’indurimento

Il Fissaggio
Forse il termine “fissaggio” non è molto appropriato, in quanto il compito del bagno di fissaggio è quello di trasformare i cristalli di alogenuro di argento che non sono stati ridotti dallo sviluppo e praticamente insolubili in acqua, in   complessi di argento solubili, che poi vengono asportati tramite il lavaggio, lasciando inalterati, al loro posto, i granuli di argento immersi nella gelatina. Se questi alogenuri non   venissero eliminati, appena esposti alla luce si trasformerebbero anch’essi in argento, distruggendo   l’immagine.
I composti più usati nei bagni di fissaggio sono il tiosolfato di sodio Na2S2O3  e il tiosolfato di        ammonio  (NH4)2S2O3    (nota : i termini iposolfito, usato nella vecchia nomenclatura, e tiosolfato, usato nella nuova, sono equivalenti) ed è formulata in modo da essere    acida, sia per neutralizzare ogni residuo alcalino dello sviluppo, sia perché la maggior parte degli induritori richiede un ambiente acido.

La reazione tra il tiosolfato di sodio o di ammonio e l’alogenuro di argento passa attraverso cinque stadi, formando cinque diversi  sali  complessi, tutti incolori e  contenenti diverse percentuali di argento
nel primo stadio si forma un complesso insolubile in acqua, con in contenuto in argento più elevato:
1)   2 AgCl    +   Na2S2O3  → NaCl  +   Ag2S2O3
nel secondo e nel terzo stadio si formano dei complessi poco solubili, mentre la % di argento diminuisce:              
2)      Ag2S2O3     +   Na2S2O3      →    2 NaAgS2O3
3)      4 NaAgS2O3  +  Na2S2O3     →          Na6Ag4(S2O3)5
infine, nel quarto e nel quinto stadio si formano dei complessi solubili, dove la % di Ag è minore:    
4)           3 Na6Ag4(S2O3)5  +  Na2S2O3    →  4 Na5Ag3(S2O3)4
5)             2 Na5Ag3(S2O3)4  +  Na2S2O3 →   3 Na4Ag2(S2O3)3

quando gli alogenuri d’argento si trasformano nei complessi 4 e 5, possono essere lavati via dalla    emulsione I complessi 1, 2 e 3 anch’essi incolori, passano inosservati e possono lasciar credere di avere fissato completamente l’immagine, mentre sono insolubili o poco solubili, non vengono rimossi dal lavaggio  ed in seguito rovineranno l’immagine con i loro prodotti di alterazione.
La durata del bagno di fissaggio deve essere tale da consentire l’asportazione totale dell’alogenuro    residuo. Una buona regola dice di operare per un tempo doppio di quello richiesto per la scomparsa   delle ultime tracce lattiginose di alogenuro.
Dopo il fissaggio il processo di sviluppo è terminato e le copie od i negativi sono ormai stabilizzati;    è sconsigliabile prolungare il trattamento oltre il tempo strettamente necessario perché il tiosolfato   corrode lentamente l’immagine, inoltre, nel caso di stampe su carta non plastificata, il tiosolfato si lega tenacemente alle fibre della carta stessa e risulta difficile asportarlo durante il lavaggio.

 

L’indurimento
Alcune sostanze hanno la proprietà di indurire la gelatina fotografica. Un notevole indurimento si ha già durante la sua fabbricazione ma è preferibile indurirla ulteriormente prima dell’asciugamento.             Gli induritori più usati sono l’allume di potassio  KAl(SO4)2·12 H2O (solfato di potassio e alluminio dodecaidrato) e l’allume di cromo KCr(SO4)2·12 H2O (solfato di potassio e cromo dodecaidrato) Questo sale agisce in pochi minuti ma solo in ambiente acido.

L’azione di indurimento della gelatina da parte di ioni metallici è simile a quella che si verifica nella concia delle pelli, dove si usano gli stessi reagenti.  In effetti, si ha sempre a che fare con del collagene, una sostanza proteica    costituente principale della pelle, dei tendini e dei tessuti connettivi in genere, che nella pelle è       mescolato ad altre sostanze, mentre nella gelatina è quasi puro.

 

Lavaggio

Il lavaggio finale dei negativi e delle stampe ha lo scopo di allontanare dall’emulsione qualsiasi traccia di prodotti chimici presenti nel bagno di fissaggio, soprattutto tiosolfati (iposolfiti ), sali di   argento ed acidi. I tiosolfati, anche in tracce nell’emulsione, finiscono per corrodere l’immagine in breve tempo, sbiancandola in parte o totalmente. I sali di argento sensibili alla luce provocano macchie sulla superficie dell’immagine, oppure velature, in seguito alla loro trasformazione in solfuro di argento per decomposizione o per azione dell’acido solfidrico presente nell’atmosfera.   Gli acidi ed i sali acidi di qualsiasi tipo rovinano la gelatina ed il supporto a più o meno lunga      scadenza.
Il lavaggio delle pellicole e delle carte politenate è facile perché il supporto è impermeabile e non assorbe i reagenti del bagno di fissaggio. Il piccolo spessore di gelatina si purifica rapidamente, purché sia assicurato un buon ricambio dell’acqua nella vasca di lavaggio. Le foto su carta non     protetta, invece devono essere lavate per un tempo molto più lungo
La temperatura dell’acqua deve essere compresa tra 13 e 20°C, in casi particolari fino a 25°C. Una permanenza eccessiva in acqua troppo calda può portare alla distruzione della gelatina.
Ha importanza anche la durezza dell’acqua. Con un’acqua troppo dolce la gelatina si rigonfia eccessivamente ed è possibile il suo distacco dal supporto, mentre non si ha alcun inconveniente se l’acqua è molto dura, in questo caso però si hanno dei problemi nella preparazione delle soluzioni per i vari bagni.
L’eliminazione del tiosolfato (iposolfito)  può venire facilitata inserendo tra due lavaggi l’immersione in un bagno contenente dei composti raggruppabili in due categorie.                                                              Nella prima abbiamo gli “additivi” o agenti di rimozione, che sono  dei sali   che agiscono sui tiosolfati e sui  loro complessi che rimangono dopo un breve lavaggio, sostituendoli con uno ione che viene asportato più facilmente da un ulteriore lavaggio; i più usati sono il solfito di sodio Na2SO3 ed il solfato di sodio Na2SO4.   Nella seconda abbiamo gli ipoeliminatori, dei forti ossidanti, come l’acqua ossigenata H2O2, essi agiscono ossidando il tiosolfato residuo a solfato, che viene poi rimosso più facilmente dal lavaggio. Il trattamento con ossidanti può essere fatto solo dopo che la maggior parte dei tiosolfati sono stati lavati via, meglio se con l’aiuto di un agente di rimozione.  Entrambe queste categorie di composti sono “sotto accusa”, in particolare è accertato che i residui di    ossidanti possono distruggere l’immagine nel giro di pochi anni.

 

Asciugatura

Su una pellicola o stampa, appena tolta dalla vasca di lavaggio, le gocce d’acqua che asciugano possono lasciare delle macchie bianche, costituite da calcare. Queste si possono evitare in due modi.   Il meno raccomandabile consiste nell’asportare l’eccesso d’acqua con una spugna o una pelle di     camoscio, perché è molto facile produrre delle rigature. Il sistema più efficiente consiste nel passare le pellicole o le stampe, per pochi secondi, in una soluzione di imbibente, un tensioattivo sintetico  simile a quelli usati nei detersivi, solo un po’ più selezionato come purezza e senza alcali. In questo    modo si sostituisce l’acqua con una soluzione a bassa tensione superficiale che si stende in modo uniforme su tutta la superficie senza lasciare gocce. Il velo calcareo si deposita lo stesso, ma è distribuito su tutta la superficie del film e risulta invisibile.
A questo punto, la gelatina bagnata può contenere ancora da pochi decimi di grammo fino a due grammi di acqua per dm2, a seconda dello spessore dell’emulsione. Per le carte, occorre aggiungere   quella assorbita dal supporto. I fattori che regolano l’eliminazione di questa notevole quantità di        acqua sono la temperatura e l’umidità relativa dell’ambiente in cui avviene l’essiccamento.
L’umidità relativa, generalmente espressa come percentuale, è il rapporto tra la massa d’acqua contenuta in un determinato volume d’aria e la massa che lo stesso volume può contenere al punto di saturazione (punto di rugiada) . A parità di umidità relativa, la massa d’acqua contenuta nella   unità di volume d’aria, cioè l’umidità assoluta, dipende dalla temperatura e, più precisamente ,aumenta  con questa. 
Quello che interessa, per l’essiccamento, è la velocità dell’operazione, che naturalmente aumenta con l’aumentare della temperatura e con il diminuire dell’umidità relativa.
D’altra parte, temperature troppo elevate possono rendere fragili le emulsioni e determinare anche   delle deformazioni dimensionali; in particolare, le carte non politenate dovrebbero essere asciugate a temperatura ambiente o con aria appena tiepida.

Le acque di scarico

Gli scarichi liquidi di un laboratorio fotografico sono di due tipi: le acque di lavaggio e le soluzioni esaurite, entrambe costituiscono un problema non indifferente per chi intende dedicarsi allo sviluppo ed alla stampa delle fotografie, anche perché la legislazione ed i relativi controlli tendono, giustamente, a diventare sempre più severi.                                                         Le soluzioni di  sviluppo e di  fissaggio  contengono grossi quantitativi di sostanze riducenti come i rivelatori, il solfito ed il tiosolfato di sodio,  inoltre vi sono alcali, acidi, bromuri, sali di ammonio, complessi di argento, tanto per citare le più comuni.
Tra queste le sostanze più pericolose per le proprietà biologiche delle acque sono i riducenti, dato che si ossidano a spese dell’ossigeno disciolto nell’acqua.
L’uso delle soluzioni di integrazione consente di rendere meno frequente la necessità di cambiare gli sviluppi, esiste anche la possibilità di eliminare alcuni prodotti di alterazione con una colonna di assorbimento, mentre l’eccesso di bromuro può essere bloccato con una colonna a scambio ionico, in questo modo il bagno può essere riciclato con poche aggiunte di aggiustamento.
L’ossidazione con in vasche di aerazione forzata può servire ad ossidare le sostanze riducenti ed a trasformarle in sostanze più facili da eliminare.
Comunque il problema è molto grave perché non esiste un metodo economico e, soprattutto, facilmente applicabile , per depurare, su piccola scala, questo tipo di scarichi; anche una semplice vasca di ossigenazione è, di solito, fuori dalle possibilità di un piccolo laboratorio artigianale. Le uniche vie d’uscita sembrano essere quella di creare  un consorzio tra piccoli laboratori oppure quella i consegnare i prodotti esauriti presso un grosso laboratorio fotografico munito di impianti per la depurazione

 

BIBLIOGRAFIA
F. Celentano – I materiali fotografici in bianco e nero – ed: Il Castello
L. Stroebel, J. Compton, I.Current, R. Zakia – Fondamenti di fotografia, materiali e processi. Ed: Zanichelli

 

http://88.42.123.18/archivio/Approfondimento/Fotografia%20in%20bianco%20e%20nero.doc

 

Autore del testo: Liceo Artistico  P. Candiani di Busto Arsizio C. Bogni
Anno scol. 2004/05

 

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