Chimica generale appunti

 

 

 

Chimica generale appunti

 

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Chimica generale appunti

 

CHE COSA E' LA CHIMICA?

L’Universo è composto di materia ed energia, due aspetti della medesima entità visto che, come dimostrò Einstein, esse possono convertirsi l’una nell’altra secondo la relazione E = mc2.
La chimica è la scienza che studia le caratteristiche, la struttura e le trasformazioni della materia e gli scambi energetici connessi a tali trasformazioni.

I veri progressi tecnologici nel campo chimico sono piuttosto recenti ma le sue origini si perdono nella preistoria, quando l'uomo iniziò a interessarsi di se stesso e della natura che lo circondava, di minerali, vegetali e animali tutti costituiti da sostanze chimiche. Nello sviluppo della chimica si possono quindi distinguere diversi periodi: uno prealchimistico, uno alchimistico, quello atomico-molecolare, e infine il periodo contemporaneo.
Noi ci occuperemo prevalentemente di quest'ultimo periodo, delle innovazioni nelle tecniche analitiche e le ultime scoperte fatte. 

 

    • LA CHIMICA SUDDIVISA PER SETTORI:

 

La chimica, col tempo, è stata suddivisa in moltissimi settori, di cui  quattro principali: Chimica Analitica, Chimica Organica, Chimica Inorganica e Chimica Fisica.
Chimica Analitica: è quella branca che tratta tutte quelle tecniche che producono ogni tipo di informazione circa lo stato chimico del sistema. 
Chimica Organica: si occupa di tutti i composti formati dal carbonio come petrolio e derivati, zuccheri, amminoacidi, proteine, ecc.. 
Chimica Inorganica: tratta tutti gli elementi chimici e i loro composti, fatta eccezione per quelli del carbonio.
Chimica Fisica: si occupa della struttura degli atomi e della natura delle forze che li tengono uniti nei vari composti, delle trasformazioni della materia, delle caratteristiche fisiche delle sostanze, delle proprietà dei sistemi omogenei ed eterogenei, della velocità con cui si effettuano i processi chimici e dei fattori che influiscono su di essi.
Indipendentemente da questa suddivisione nell’ultimo secolo, grazie ai progressi tecnologici si sono sviluppate diverse discipline come: chimica strumentale, tecnologie chimiche industriali, chimica biologica, biotecnologie, e tante altre.

 

    • LA MATERIA

 

Tutto ciò che costituisce l’Universo è materia. La materia è composta da un numero limitato di sostanze semplici chiamate elementi. Tale concetto ebbe origine già nell’antica Grecia. I Greci pensavano che la materia esistente sulla Terra derivasse da quattro elementi: la terra ,l’aria, l’acqua e il fuoco. I corpi celesti, che erano considerati perfetti, si pensava che fossero costituiti da un altro elemento, il quinto elemento. Tale concetto fu considerato buono per molti secoli fino a quando Boyle prima e Lavoisier poi considerarono elementi quelle sostanze che non potevano essere scomposte in prodotti più semplici.
Oggi sono noti 106 elementi ognuno dei quali è identificato con una sigla di una o due lettere derivata, a seguito di accordi internazionali, dal nome latino dell’elemento.
La parte più piccola della materia è l’atomo che può aggregarsi in molecole. Ogni atomo è costituito da tre cariche: i protoni, particelle di carica positiva, i neutroni, di carica neutra e gli elettroni, di carica negativa. Protoni e neutroni sono raggruppati nel nucleo mentre gli elettroni ruotano attorno al nucleo in apposite orbite.

Protoni (+)
Nucleo{
Neutroni (n)

 

                  Elettroni (-)

La massa di un protone è circa uguale alla massa di un neutrone ed entrambi sono circa 2000 volte più pesanti di un elettrone. E’ per questo che sono gli elettroni che ruotano attorno al nucleo (molto più pesante) e non viceversa. Il nucleo è molto pesante e “concentrato” mentre gli elettroni sono molto leggeri e mobili.
La materia, anche se appare densa e “dura”, è in effetti praticamente vuota. Se, facendo le proporzioni, consideriamo il nucleo grande come una mela, gli elettroni gli ruotano attorno ad una distanza pari a circa un chilometro. Questo fatto è di estrema importanza e, se in qualche modo, riuscissimo ad eliminare tutto questo spazio, riusciremmo a “compattare” tutta la massa in uno spazio molto piccolo raggiungendo densità enormi. Questo è ciò che succede nei buchi neri e nelle stelle di neutroni in cui, per esempio, tutta la enorme massa di una stella viene compattata in uno spazio di pochi chilometri cubi.

Ogni elemento è caratterizzato da due numeri: il numero atomico (Z), che corrisponde al numero dei protoni e il numero di massa (A), che corrisponde alla somma del numero dei protoni con il numero dei neutroni. Dato che un atomo è elettricamente neutro, il numero dei protoni e quello dei neutroni è uguale.

N° ATOMICO = n° dei protoni

N° DI MASSA = n° dei protoni + n° dei neutroni

 

Se si toglie o si aggiunge uno o più elettroni da un atomo o da una molecola neutri, questi assumono una carica positiva o negativa uguale alla somma delle cariche rimosse o aggiunte ed assumono il nome di ioni.
Gli atomi che perdono elettroni si caricano positivamente e si chiamano cationi, gli atomi che acquistano elettroni si caricano negativamente e si chiamano anioni.

Alcuni elementi possono essere formati da vari tipi di atomi che differiscono l’un l’altro per il numero di massa. Atomi che presentano lo stesso numero atomico ma diverso numero di massa si chiamano isotopi ed hanno le stesse proprietà chimiche (cioè di creare composti, molecole, dalle stesse  proprietà).
Un esempio di ciò è l’atomo di idrogeno.
  (Trizio)
In natura esso è presente in grande maggioranza  formato da un protone ed un elettrone che gli ruota attorno. Vi è però, in minore quantità, anche il deuterio che è formato da un protone, un neutrone ed un elettrone. Con esso si forma l’acqua pesante. Vi è anche  il trizio (più raro) formato da un protone, due neutroni ed un elettrone. Chimicamente, idrogeno, deuterio  e trizio hanno le stessa proprietà (in  quanto hanno lo stesso numero di protoni ed elettroni).

 

1.4       LO STATO DELLA MATERIA – I PASSAGGI DI STATO

 

In natura la materia può trovarsi in stati fisici diversi; può essere solida, liquida o gassosa. In qualunque stato si trovi la materia possiede volume, massa ed energia.

Se i legami elettrici fra le molecole sono forti, la materia si presenta allo stato solido e le molecole sono disposte in modo da formare un reticolo (che può essere regolare od irregolare (amorfo)). Le molecole oscilleranno così attorno a punti geometrici fissi
senza allontanarsi significativamente da essi.

Se i legami elettrici fra le molecole sono meno forti, si ha lo stato liquido. In questo stato, i legami sono meno forti rispetto allo stato solido ma sufficientemente forti da costringere il liquido (a causa della gravità) in un recipiente. In questo caso non si ha un reticolo e le molecole hanno la possibilità di traslare disordinatamente senza però abbandonare il liquido (se non in maniera sporadica (evaporazione)).

Se i legami elettrici fra le molecole sono deboli o quasi assenti, si ha lo stato gassoso. Le molecole sono libere di muoversi ed andare in qualunque punto disponibile nello spazio.



     SIMBOLOGIA CHIMICA

Agli inizi dell’800 erano già stati identificati una cinquantina di elementi chimici che il chimico svedese J.J. Berzelius (1779 – 1848) raccolse nel 1818 in una tabella. Lo stesso Berzelius propose di adottare la simbologia chimica attualmente in uso.
Ciascun elemento chimico viene univocamente associato ad un simbolo, in genere corrispondente all’iniziale del suo nome latino (o alle prime due lettere se vi è possibilità di equivoco con altri elementi).
Ad esempio C è il Carbonio, Ca il Calcio, Ce il Cerio, Co il Cobalto, Cu il Rame.

I simboli rappresentano sia gli elementi che i relativi atomi. Così N rappresenta l’elemento Azoto, ma anche un atomo di Azoto. In questo modo è possibile rappresentare le sostanze chimiche mediante opportune scritture convenzionali, dette formule.
Nelle formule sono rappresentati i simboli degli elementi chimici che costituiscono la sostanza, ciascuno seguito in basso a destra da un numero, detto indice, che specifica quanti atomi di quell’elemento sono presenti. L’indice 1 non compare, essendo sottinteso.

H2SO4             CO2                 H2O                N2                   Na2CO3           O2        Mg(NO3)2

Come si può osservare dalle formule che le rappresentano, le sostanze chimiche possono essere costituite da atomi di uno stesso elemento (O2 N2) e sono perciò dette sostanzeelementari, o da atomi di elementi diversi (H2SO4   CO2) e sono perciò dette sostanzecomposte o, semplicemente, composti.

I composti sono sostanzialmente di due tipi: molecolari o ionici.
Un composto molecolare è formato da molecole. Una molecola è la più piccola parte di materia che presenta le medesime caratteristiche chimiche della sostanza alla quale appartiene. È costituita da un gruppo definito di atomi, tra loro legati, ma distinti e separati dagli atomi che costituiscono altre molecole. Le formule che  rappresentano tali composti sono dette formule molecolari.

Un composto ionico è costituito dall’alternarsi di anioni e cationi legati dalla reciproca attrazione elettrostatica e presenti in rapporti precisi, definiti dalla loro carica. Ad esempio nel carbonato di sodio si alternano ioni Na+ e ioni CO32- nel rapporto di 2:1, necessario per neutralizzare le cariche elettriche. La formula Na2CO3 non rappresenta la molecola, che non esiste in quanto tale, ma descrive il minimo rapporto di combinazione tra gli elementi. Tali formule sono dette formule minime.

Tali formule non danno alcuna informazione sulla disposizione spaziale degli atomi e dei loro legami. A questo scopo sono state introdotte rappresentazioni, dette formule di struttura. In relazione al grado di dettaglio e di accuratezza desiderato le formule di struttura possono eventualmente riportare, oltre alla posizione dei legami, anche la loro orientazione nello spazio (angolo di legame) e quindi dare informazioni sulla struttura tridimensionale (geometria) della sostanza.

 

Nella seconda metà dell’Ottocento la scoperta di nuovi elementi chimici e lo studio delle loro proprietà, sia fisiche che chimiche, rese evidente l’esistenza di regolarità all’interno dei diversi tipi di atomi.
Vi furono molti tentativi di classificare e raggruppare gli elementi in funzione delle loro caratteristiche.
Il risultato di maggior rilievo in questa direzione fu senz’altro quello conseguito dal russo D.I. Mendeleev che nel 1869 propose una tavola periodica degli elementi ordinati secondo il peso atomico relativo crescente in periodi (righe orizzontali) e gruppi (colonne verticali). All’interno di uno stesso gruppo venivano collocati gli elementi che presentavano caratteristiche chimiche analoghe.

 

Tavola periodica

Metalli e non metalli

 

E' possibile tracciare all'interno della tabella periodica una ideale linea obliqua che, passando per il Silicio (Si), l'Arsenico (As) ed il Tellurio (Te),  va dal Boro (B) all'Astato (At) e divide tutti gli elementi in due grandi gruppi: a sinistra i metalli (più numerosi), a destra i non metalli. Le caratteristiche chimiche e fisiche dei metalli sono più accentuate all'inizio della tabella periodica e vanno lentamente sfumando mentre ci avviciniamo alla zona dei non metalli.

Gli elementi chimici che si trovano adiacenti alla linea di separazione presentano quindi caratteristiche intermedie tra quelle dei metalli e quelle dei non metalli e vengono per questo motivo chiamati semi-metalli.

I metalli presentano una tendenza a perdere elettroni trasformandosi in ioni positivi o cationi. Dal punto di vista fisico sono lucenti, tenaci (si rompono con difficoltà), duttili ( possono essere tirati in fili sottili), malleabili (possono essere tirati in lamine sottili), buoni conduttori di calore e di elettricità.

I non metalli presentano una tendenza ad acquistare elettroni trasformandosi in ioni negativi o anioni. Dal punto di vista fisico non sono lucenti, sono fragili, non presentano né duttilità, né malleabilità, sono cattivi conduttori o addirittura isolanti termici ed elettrici.

 

 LA PRIMA LEGGE DELLA CHIMICA

 

Le prime leggi della chimica risalgono alla fine del 700 e formalizzano alcuni comportamenti regolari che si iniziano a scoprire nei rapporti di combinazione tra le sostanze che reagiscono. Le regolarità osservate nel comportamento della materia durante le reazioni vennero espresse attraverso una serie di leggi quantitative che costituirono i presupposti alla formulazione della stessa teoria atomica.

 

Legge della conservazione della massa di Lavoisier (1789)

“In una reazione chimica, la somma dei pesi dei reagenti è sempre uguale alla somma dei pesi dei prodotti di reazione”.
Essa afferma che la materia non si crea e non si distrugge. Tale legge, che oggi sembra ovvia, non lo era affatto al tempo in cui venne formulata.
La combustione, ad esempio, in cui materiali come il legno o la carta, perdono apparentemente peso durante il processo sembrava confermare la tesi opposta. Gli stessi fenomeni di fusione dei metalli in cui si producevano scorie, dette allora calci, più pesanti dei metalli stessi ponevano grossi problemi interpretativi.

    LA MOLE ED IL PESO MOLARE

 

Un concetto strettamente correlato al peso relativo e fondamentale in chimica per i calcoli quantitativi è quello di mole. La mole è una delle grandezze fondamentali, definite nel Sistema Internazionale (SI) di unità di misura come quantità di sostanza: simbolo mol.
La mole è una quantità di una sostanza chimica numericamente uguale al suo peso relativo, espresso in grammi  (più correttamente andrebbe espressa in kg, ma in chimica è più diffuso l’uso del grammo).

 

1.8       IL NUMERO DI AVOGADRO

 

Si può facilmente verificare che 1 mole di una qualsiasi sostanza contiene sempre lo stesso numero di particelle costituenti (atomi, ioni, molecole etc).


Tale numero, indicato con NA, è conosciuto come numero di Avogadro.

 

1.9       LE REAZIONI CHIMICHE

Nelle trasformazioni chimiche, comunemente dette reazioni chimiche, le sostanze messe a reagire, dette reagenti, si trasformano in altre specie chimiche, dette prodotti di reazione. Ciò avviene essenzialmente perché alcuni legami che tenevano uniti gli atomi nelle sostanze reagenti si spezzano e si riformano secondo nuove combinazioni. Le nuove configurazioni atomiche che si generano costituiscono i prodotti finali della reazione.
Ovviamente durante tali trasformazioni il numero totale di atomi di ciascun elemento chimico non varia, anche se si trova diversamente combinato nei prodotti rispetto ai reagenti (principio della conservazione della materia).
Una reazione chimica viene simbolicamente rappresentata mediante un’equazione chimica. A primo membro troviamo le formule dei reagenti, mentre a secondo membro le formule dei prodotti di reazione, tutte separate dal segno di addizione (+). Il segno di eguaglianza tra i due membri (=) viene sostituito dalla freccia di reazione (®), se la reazione si completa e tutti i reagenti si trasformano nei prodotti o dalla doppia freccia di reazione (), se si tratta di un equilibrio chimico e la reazione forma una miscela in equilibrio di reagenti e prodotti.

Affinché l’equazione descriva la reazione non solo dal punto di vista qualitativo (quali specie chimiche  sono coinvolte nella reazione), ma anche quantitativo, è necessario anteporre a ciascuna formula un numero intero, detto coefficiente stechiometrico, che specifichi il numero di molecole di ciascuna specie chimica che partecipano alla reazione.

La determinazione dei coefficienti stechiometrici costituisce il bilanciamento della reazione.
Bilanciare una reazione significa dunque calcolare opportuni coefficienti per i quali è necessario  moltiplicare le formule delle specie chimiche che partecipano alla reazione, affinché ogni elemento compaia a sinistra e a destra del segno di reazione con il medesimo numero di atomi. In altre parole una reazione è bilanciata quando soddisfa il principio di conservazione della materia.

Per bilanciare una reazione non vi sono regole precise, ma in genere è opportuno seguire i seguenti consigli:

  • Si pareggiano inizialmente gli atomi di elementi che compaiono in un minor numero di specie chimiche (in genere l’ossigeno e l’Idrogeno sono molto diffusi e si bilanciano rispettivamente per ultimo (O) e penultimo (H));
  • Se, bilanciando un elemento, si modifica qualche altro elemento, si procede subito al suo bilanciamento

 

Una volta che l'equazione è bilanciata siamo in grado di effettuare considerazioni di tipo quantitativo sulla reazione.

Come abbiamo già avuto modo di dire il concetto di mole è essenziale per semplificare i calcoli quantitativi o stechiometrici. La stechiometria (dal greco stoiceion = elemento, sostanza fondamentale) è quella parte della chimica che si occupa degli aspetti quantitativi delle reazioni ed in particolare dei rapporti numerici e ponderali che intercorrono tra le specie chimiche che reagiscono.

Per poter procedere con i calcoli stechiometrici è necessario che una equazione sia bilanciata.
In un’equazione bilanciata sono già definiti i rapporti numerici tra specie chimiche.
Quando scriviamo l’equazione bilanciata
3H2 + N2 ® 2NH3
individuiamo ad esempio il rapporto numerico di reazione tra Idrogeno e Azoto che risulta essere pari a 3:1. Il rapporto tra Idrogeno ed ammoniaca è invece di 3:2 e così via.

 

Capitolo 2

 

2.1       MODELLI ATOMICI

L'ipotesi che la materia sia formata da atomi risale a Democrito (400 a.C.). Atomo, in greco, significa "non divisibile". L'idea atomistica fu però avversata da Aristotele che, successivamente, divenne il filosofo "ufficiale" della chiesa. Per questo motivo dobbiamo aspettare addirittura fino al 1800 perché gli scienziati riprendessero in considerazione l'ipotesi atomica. Nel 1803 Dalton spiegò i ben noti fenomeni chimici secondo i quali le sostanze sono formate dai loro componenti secondo rapporti ben precisi fra numeri interi, ipotizzando che la materia fosse  costituita da atomi. Con la scoperta della radioattività naturale, si capì successivamente che gli atomi non erano particelle indivisibili, essi erano  composti da parti più piccole. Nel 1898 Thomson propose il primo modello fisico dell'atomo. Egli immaginò che un atomo fosse costituito da una sferetta di materia caricata positivamente (protoni e neutroni non erano stati ancora scoperti) in cui gli elettroni negativi (da poco scoperti) erano immersi.

Nel 1911 Rutherford fece un esperimento cruciale per mettere alla prova il modello di Thomson.Bombardò un sottilissimo foglio di oro con raggi alfa (atomi di elio completamente ionizzati, cioè privati degli elettroni). L'esperimento portò alla constatazione che i raggi alfa non erano quasi mai deviati. Essi attraversavano il foglio di oro senza quasi mai esserne disturbati. Solo alcuni raggi alfa (1 %) erano deviati dal foglio di oro e lo erano in modo notevole (alcuni, addirittura, venivano completamente respinti).

Sulla base di questo fondamentale esperimento, Rutherford propose un modello di atomo in cui quasi tutta la massa dell'atomo è concentrata in una porzione molto piccola, il cosiddetto nucleo (caricato positivamente) e gli elettroni gli ruotano attorno così come i pianeti ruotano attorno al sole.

Il nucleo è così concentrato che gli elettroni gli ruotano attorno a distanze relative enormi.

Il modello di Rutherford ha però un grande "difetto" che lo mette in crisi. Secondo la teoria elettromagnetica una carica in movimento accelerato (non in moto rettilineo uniforme) emette onde elettromagnetiche e quindi perde energia. Per questo motivo, gli elettroni dell'atomo di Rutherford, perché ruotano su orbite circolari, dovrebbero emettere onde elettromagnetiche e quindi, perdendo energia, cadere nel nucleo cosa che invece non accade, perché gli atomi sono oggetti molto stabili (la materia appare normalmente stabile).

Nel 1913 Bohr propose una modifica concettuale al modello di Rutherford. Pur accettandone l'idea di "modello planetario", postulò che gli elettroni avessero a disposizione orbite di "parcheggio" fisse nelle quali non emettono né assorbono energia. Un elettrone emette od assorbe energia elettromagnetica sotto forma di onde elettromagnetiche solo se "salta" da un'orbita all'altra.

Questa idea, non compatibile con le leggi della fisica classica (di Newton), si basa sulle idee della nascente meccanica quantistica.

Il modello di Bohr spiegava molto bene l'atomo di idrogeno ma non quelli più complessi. Sommerfeld propose allora una correzione al modello di Bohr secondo la quale si aveva una buona corrispondenza fra la teoria e le osservazioni degli spettri degli atomi (uno spettro è l'insieme delle frequenze delle radiazioni elettromagnetiche
emesse o assorbite dagli elettroni di un atomo).

Successivamente, si pervenne ad un modello atomico più coerente ai grandi progressi che la meccanica quantistica nel frattempo aveva fatto.

Nel 1930 fu scoperto il neutrone per cui si pervenne presto ad un modello dell'atomo pressoché completo in cui al centro vi è il nucleo composto di protoni (positivi) e neutroni (protoni e neutroni si chiamano collettivamente nucleoni) ed attorno vi ruotano gli elettroni.

Anche l'idea di come gli elettroni ruotano attorno al nucleo venne profondamente modificata alla luce delle scoperte della meccanica quantistica.
Fu abbandonato il concetto di orbita e fu introdotto il concetto di orbitale.

Secondo la meccanica quantistica un elettrone non è descrivibile in termini di traiettoria. Non si può quindi affermare con certezza dove un elettrone si trova in un certo istante né dove si troverà in un istante successivo. Si può solo conoscere la probabilità di trovare l'elettrone in un certo punto dello spazio.

Un orbitale non è una traiettoria in cui un elettrone (secondo le idee della fisica classica) può stare, è invece una "nuvoletta" di probabilità in cui si può trovare l'elettrone.

 

2.2       I NUMERI QUANTICI

La configurazione elettronica di un atomo contenente un certo numero di elettroni è suddivisa in gusci, a loro volta suddivisi in sottogusci e questi da uno o più orbitali occupati dagli elettroni.
Ciascun elettrone è identificato per mezzo di 4 numeri quantici che stanno a identificare guscio, sottoguscio, orbitale ed elettrone.

1) numero quantico principale, n, identifica il guscio o livello a cui appartiene l’elettrone e la distanza media dell’elettrone dal nucleo.
Il valore di n è un numero intero positivo: 1,2,3 ecc.

 

2) numero quantico secondario o azimutale indicato con l.
Il numero quantico secondario determina la forma dell'orbita descritta dall'elettrone. Comunemente però i quattro tipi di orbite possibili vengono per semplicità indicate con le lettere s, p, d ed f.

 

l è un numero intero positivo il cui valore dipende dal valore assunto da n
0   £  l  £   n - 1
Quindi
se n = 1           l = 0   ®  orbita di tipo s
( ciò significa che nel primo livello vi è una sola orbita circolare, indicata appunto con l = 0, o anche con la lettera 's').

se n = 2           l = 0     ®  orbita di tipo s
l = 1     ®  orbita di tipo p
(ciò significa che nel secondo livello oltre ad una orbita circolare (l = 0), naturalmente di diametro maggiore della precedente, vi è anche un'orbita ellittica ( l = 1) indicata anche con la lettera 'p'.

se n = 3           l = 0     ®  orbita di tipo s
l = 1     ®  orbita di tipo p
l = 2     ®  orbita di tipo d
(ciò significa che nel terzo livello possono trovar posto oltre ad un'orbita circolare s ed una ellittica di tipo p, una seconda orbita ellittica (l = 2), avente naturalmente eccentricità differente, indicata anche con la lettera 'd'.

se n = 4           l = 0     ®  orbita di tipo s
l = 1     ®  orbita di tipo p
l = 2     ®  orbita di tipo d
l = 3     ®  orbita di tipo f
(ciò significa che nel quarto livello, oltre alle precedenti orbite può trovar posto una terza orbita ellittica (l = 3), avente forma diversa ed indicata con la lettera 'f'.

 

Le lettere s, p, d, f sono le iniziali dei termini con cui storicamente venivano indicate in spettroscopia le righe corrispondenti; sharp, principal, diffuse e fundamental.

 

3) numero quantico magnetico m che può assumere solo i valori interi compresi tra -l e + l.
-l£ m £  +l

Il valore del numero quantico magnetico determina il numero di orbite di una certa forma presenti in ciascun livello energetico principale.

 

se l = 0 (orbita circolare s)   m = 0
ciò significa che sottoposta ad un campo magnetico esterno un'orbita circolare dà luogo ad un’unica orientazione. Avremo perciò una sola orbita circolare di tipo s.

se l = 1 (orbita ellittica di tipo p) m può assumere i valori +1  0  -1
ciò significa che tale orbita può orientarsi in tre modi diversi producendo tre sottolivelli a differente energia. Avremo perciò 3 orbite di tipo p, indicate ciascuna con un diverso valore di m.

se l = 2 (orbita ellittica di tipo d)  m può assumere i valori +2 +1  0  -1  -2
ciò significa che questo tipo di orbita ellittica può orientarsi in 5 modi differenti producendo quindi 5 sottolivelli a differente energia. Avremo perciò 5 orbite di tipo d, indicate ciascuna con un diverso valore di m.

se l = 3 (orbita ellittica di tipo f)  m può assumere i valori +3 +2 +1  0 -1 -2 -3 ( ciò significa che questo tipo di orbita può orientarsi in 7 modi diversi, producendo 7 sottolivelli a differente energia. Avremo perciò 7 orbite di tipo f, indicate ciascuna con un diverso valore di m.

 

4)  Nel 1925 il fisico tedesco Wolfgang Pauli formulò il principio noto come principio di esclusione, che permise di descrivere correttamente la distribuzione degli elettroni nelle diverse orbite.

Il principio di esclusione di Pauli afferma che ogni orbita quantica non può contenere più di due elettroni, i quali si differenziano per il valore di un quarto numero quantico detto numero quantico di spin. Il numero di spin  può assumere solo i valori +1/2 e -1/2, dato che sono possibili solo due direzioni di rotazione.

Con una formulazione alternativa, ma equivalente diremo

Il principio di esclusione di Pauli afferma che in un atomo non possono esistere 2 elettroni con tutti e quattro i numeri quantici uguali.

In altre parole ogni combinazione particolare dei quattro numeri quantici individua uno ed uno solo elettrone.

 

 

2.3       LEGAMI CHIMICI

Gli atomi tendono a raggiungere delle configurazioni energeticamente più stabili legandosi in raggruppamenti detti molecole.
Le molecole possono essere composte da 2 o più atomi dello stesso elemento, come nel caso dell'idrogeno (H2) o dello zolfo solido (S8). Si parla in questo caso di molecole elementari.
Più spesso le molecole sono composte dall'unione di due o più atomi di elementi diversi, come nel caso dell'anidride carbonica (CO2) e dell'acqua (H20). si parla in questo caso di molecole composte o, più semplicemente di composti.

I numeri che si trovano a pedice di ciascun simbolo chimico nella formula che rappresenta una molecola sono detti indici ed indicano il numero di atomi di quell'elemento presenti all'interno della molecola.
Le formule fin qui utilizzate per descrivere le molecole sono dette formule brute. Esse ci danno informazioni solo sui rapporti numerici esistenti tra gli atomi dei diversi elementi che compongono una molecola ma non sulla struttura delle molecole e la disposizione dei legami.

La formula CO2, ad esempio ci dice solo che nell'anidride carbonica due atomi di ossigeno sono uniti ad uno di carbonio, ma non ci permette di sapere quali delle seguenti strutture corrisponde effettivamente alla molecola di anidride carbonica.

                                                            C-O-O              O-C-O

Posto dunque che un atomo forma dei legami chimici poiché in tal modo raggiunge una configurazione energetica complessivamente più stabile, vediamo di descrivere i principali tipi di legami chimici.
Poichè, come abbiamo già detto, gli elettroni coinvolti nei legami chimici sono quelli che occupano il livello energetico più superficiale (elettroni di valenza), introduciamo un metodo semplice per rappresentarli, noto come configurazione di Lewis degli elementi. 

 

2.4       CONFIGURAZIONE DI LEWIS

 

Secondo tale metodo i 2 elettroni s e i 6 elettroni p del livello più esterno vengono rappresentati come punti o coppie di punti disposte ai quattro lati del simbolo chimico dell'elemento.
Per maggior chiarezza diamo la configurazione di Lewis degli elementi appartenenti al 3° periodo.

Come si può osservare ciascuno dei quattro lati di un elemento viene considerato come un orbitale in cui disporre fino ad un massimo di due elettroni. Le coppie di elettroni (orbitale saturo) vengono più spesso rappresentate come una barretta. Gli elettroni spaiati come un puntino singolo.

 

I legami chimici sono le forze che tengono insieme gli ioni di un composto ionico o gli atomi di un composto molecolare.

  • Legame covalente: un legame si dice covalente quando è costituito da una coppia di elettroni condivisa tra due atomi. esso può essere:
  • Puro: legame covalente in cui non troviamo presenza di alcun tipo di cariche elettriche all'interno della molecola.
  • Polare: legame covalente in cui troviamo la presenza di cariche all'interno della molecola.
  • Dativo o donatore - accettore: legame covalente in cui un atomo, avente un doppietto elettronico completo, cede entrambi i suoi elettroni ad un altro atomo che viene definito appunto accettore.

 

  • Legame ionico: un legame si dice ionico quando si verifica un'attrazione che si stabilisce tra cationi e anioni per effetto delle cariche opposte.
  • Legame dipolo - dipolo: legame in cui due molecole si uniscono a causa di una differenza di prevalenze di cariche.

 

  • Legame a idrogeno: legame in cui l'elemento idrogeno fa da "ponte" tra due molecole.
  • Legame Van Der Waals o dipolo indotto - dipolo indotto: legame in cui un dipolo indotto (cioè in cui viene a formarsi al suo interno una separazione delle cariche) induce un altro dipolo a caricarsi elettricamente.

 

2.5       IL LEGAME COVALENTE PURO O OMOPOLARE

Si tratta di un legame che si stabilisce tra due o più atomi di uno stesso elemento non metallico. E' tipico di molecole come quella dell'idrogeno gassoso (H2), dell'ossigeno gassoso (O2), del cloro gassoso (Cl2), dell'azoto gassoso (N2) etc.   
La natura del legame covalente venne suggerita per la prima volta da G. Lewis, dell'università della California nel 1916. Fu Lewis che per primo attribuì l'inerzia chimica dei gas nobili al fatto di possedere 8 elettroni superficiali e avanzò quindi l'ipotesi che gli altri elementi che non presentavano la stessa configurazione elettronica esterna tendessero a raggiungerla mediante legami chimici.
Prendiamo ad esempio due atomi di cloro, rappresentandoli mediante la loro configurazione di Lewis
              

Possiamo pensare che entrambi i nuclei attirino fortemente l'elettrone spaiato dell'altro atomo senza peraltro riuscire a strapparlo.
Il risultato di questa intensa attrazione incrociata è che i due elettroni spaiati vengono alla fine condivisi da entrambi gli atomi ed il doppietto elettronico funge da legame, finendo per appartenere ad entrambi gli atomi.
In questo modo ciascun atomo  "vede" intorno a sè 8 elettroni raggiungendo la configurazione stabile dell'ottetto. Il legame che si forma per condivisione di una coppia di elettroni da parte di due atomi di uno stesso elemento è detto legame covalente semplice e può essere rappresentato mediante una barretta che unisce i due simboli chimici.

                                                                       Cl - Cl

 

Nel caso di un legame semplice come quello descritto per la molecola del cloro gassoso, gli orbitali atomici che si sovrappongono sono due orbitali p. Essi tendono a sovrapporsi lungo l'asse maggiore in modo da rendere massima la sovrapposizione. Questo tipo di sovrapposizione produce un legame particolarmente stabile detto legame .

                               

Nella formazione di un legame covalente possono essere condivise anche più di una coppia di elettroni.
E' il caso ad esempio delle molecole dell'ossigeno e dell'azoto.

L'ossigeno presenta 6 elettroni nell'ultimo livello. Per completare l'ottetto ciascun atomo di ossigeno  deve dunque condividere 2 elettroni

Il legame che si forma è un legame covalente puro doppio che può essere rappresentato con due barrette poste tra i simboli chimici dei due atomi

O = O

Tale legame è detto di tipo p e risulta essere meno forte di un legame di tipo sigma in cui vi è una migliore sovrapposizione.

                                                 
La forza di un doppio legame risulta quindi complessivamente maggiore di quella di un legame semplice anche se non raggiunge due volte l'intensità di un legame semplice.
Un doppio legame risulta essere inoltre anche più breve di un legame semplice.

Nel caso dell'azoto, con tre elettroni spaiati su due orbitali p, per completare l'ottetto ciascun atomo deve dunque condividere 3 elettroni

Il legame che si forma è un legame covalente puro triplo che può essere rappresentato con tre barrette poste tra i simboli chimici dei due atomi

N N

In questo caso si formano  un orbitale di legame di tipo e due orbitali di legame di tipo p.
Naturalmente un triplo legame risulta essere più forte e più breve di un legame doppio.

 

2.6       LEGAME COVALENTE POLARE E ELETTRONEGATIVITÀ

 

Quando i due atomi che condividono una coppia di elettroni appartengono ad elementi diversi il legame covalente è detto polare. In questo caso infatti l'attrazione esercitata dai due nuclei risulta essere di diversa intensità. Mentre nel legame covalente puro possiamo pensare che i due elettroni siano equamente condivisi, nel legame covalente polare il doppietto elettronico di legame risulta maggiormente attratto dall'atomo che presenta la maggior carica nucleare.

Nella molecola d'acqua, ad esempio, in cui l'ossigeno raggiunge l'ottetto condividendo i suoi due elettroni spaiati con gli elettroni spaiati di due atomi di idrogeno, ciascun doppietto risulta maggiormente attratto dall'ossigeno.
In tal modo sopra l'ossigeno si forma una parziale carica negativa, mentre sopra gli idrogeni si produce una parziale carica positiva.

 

 

Un legame covalente può essere più o meno polare, in relazione alla diversa tendenza manifestata dagli atomi coinvolti nel legame ad attrarre a sè gli elettroni condivisi.

Si definisce elettronegatività la capacità di un atomo di attrarre gli elettroni di legame.
Convenzionalmente un legame covalente si definisce polare se la differenza di elettronegatività tra i due atomi coinvolti è compresa tra 0 ed 1,9. Se la differenza di elettronegatività supera il valore convenzionale di 1,9 il legame viene definito legame ionico.

 

2.7       ELETTRONEGATIVITÀ (c)    (la lettera greca "chi")

 

I valori dell'elettronegatività sono riportati nella tabella periodica. Possiamo verificare che i valori maggiori di elettronegatività si trovano in alto a destra nella tabella periodica, tra i non metalli (il valore maggiore è quello del Fluoro, pari a 4) mentre i valori minori sono quelli in basso a sinistra, tra i metalli (il valore minore è lo 0,7 del Francio).
E' evidente che tanto maggiore sarà la differenza di elettronegatività tra due elementi impegnati in un legame, tanto maggiore sarà la polarità del legame.
Non sempre la presenza di un legame covalente polare è sufficiente a produrre una molecola polare.

 

Tutte le molecole biatomiche in cui è presente un legame covalente polare sono necessariamente dipoli. Ad esempio

In tutti gli altri casi è necessario conoscere la geometria della molecola per sapere se siamo in presenza di un dipolo.

Ad esempio le molecole dell'anidride carbonica CO2 e del fluoruro di berillio BF2 non sono polari, in quanto hanno una struttura lineare, tale che il baricentro delle cariche negative coincide con il baricentro delle cariche positive.

                             

La molecola d'acqua è invece polare poiché presenta un angolo di legame di circa 104°.

La molecola si comporta come se fosse un bastoncino polarizzato avente l'estremità negativa sopra l'ossigeno e l'estremità positiva  tra i due idrogeni.
Il legame covalente polare può essere considerato come un ibrido di risonanza tra un legame covalente puro ed un legame ionico. In questo caso è possibile descriverlo assegnandogli una certa percentuale di carattere ionico e la percentuale rimanente di carattere covalente omopolare.

 

2.8       LEGAME IONICO

Quando un metallo reagisce con un non metallo, gli elettroni sono trasferiti dagli atomi del metallo a quelli del non metallo e si forma un composto ionico. Gli atomi che perdono elettroni si caricano positivamente e si chiamano cationi. Gli atomi che acquistano elettroni si caricano negativamente e si chiamano anioni. Questi ioni si attraggono l’un l’altro formando un cristallo.

L’esempio più classico è quello del cloruro di sodio (NaCl), dove un elettrone si trasferisce dal sodio al cloro che ha prodotto la formazione degli ioni Na+ e Cl- che si attraggono tra loro formando un composto molto stabile come è il cloruro di sodio.

 

2.9       LEGAME METALLICO

 

Se i non metalli si uniscono tra loro mediante legami covalenti, metalli e non metalli si uniscono tra loro mediante legami ionici, i metalli si uniscono tra loro mediante il legame metallico, che interessa buona parte degli elementi esistenti, essendo la tavola periodica occupata per 4/5 da metalli.
In parole povere il legame metallico può essere schematizzato come un enorme legame covalente che coinvolge miliardi di atomi. Tutti questi atomi mettono in comune gli elettroni di valenza, cioè i più esterni, i quali sono liberi di muoversi da una parte all’altra del cristallo metallico.
Le proprietà tipiche dei metalli, quali la conducibilità elettrica e termica, la malleabilità e la duttilità sono dovute proprio alla libertà di movimento degli elettroni più esterni.

 

2.10     LEGAME A IDROGENO

Il legame a idrogeno più classico è quello che riguarda la molecola dell’acqua:

 

L’ossigeno di una molecola di acqua si attacca facilmente a un doppietto elettronico dell’ossigeno della molecola vicina;

      

                   
legame a idrogeno

Ciò avviene perché l’ossigeno è più elettronegativo dell’idrogeno (l’elettronegatività è la capacità di un atomo di attrarre elettroni),  per cui i quattro elettroni liberi dell’ossigeno tendo no ad attrarre su di se gli atomi di idrogeno delle molecole adiacenti.

 

 

 

 

 

Capitolo 3

ALCUNI COMPOSTI SEMPLICI DI RILEVANTE IMPORTANZA CHIMICA

 

3.1       NUMERI DI OSSIDAZIONE

Ad ogni elemento di un dato composto si attribuisce un numero di ossidazione, N.Ox., corrispondente ad una carica elettrica fittizia, multiplo, positivo o negativo, della carica elettronica. La carica complessiva, somma dei N.O. di tutti gli atomi della formula molecolare del composto, deve essere nulla, se si tratta di una molecola neutra, ovvero essere uguale alla carica reale del composto, se questo è una specie ionica.

Le regole per assegnare i numeri di ossidazione sono le seguenti:

  • Ad ogni atomo non combinato o facente parte di una molecola costituita da un  unico elemento viene assegnato un numero di ossidazione zero.
  • La somma dei numeri di ossidazione degli atomi in un composto è zero dato che i composti sono elettricamente neutri.
  • Il numero di ossidazione di uno ione monoatomico è uguale alla carica dello ione. La somma dei numeri di ossidazione degli atomi che costituiscono uno ione poliatomico corrisponde alla carica dello ione stesso.
  • Il numero di ossidazione del fluoro, l’elemento più elettronegativo è 1- in tutti i composti che lo contengono.
  • Nella maggior parte dei composti che contengono ossigeno il numero di ossidazione dell’ossigeno è 2-. Ci sono tuttavia alcune eccezioni:
  • Nei perossidi ogni atomo di ossigeno ha un numero di ossidazione 1-. I due atomi di ossigeno dello ione perossido O2- sono equivalenti. Ad ognuno di essi deve essere attribuito un numero di ossidazione 1- in modo che la somma corrisponda alla carica dello ione.
  • In OF2, l’ossigeno ha un  numero di ossidazione 2+.
  • Il numero di ossidazione dell’idrogeno è 1+ in tutti i suoi composti eccetto negli idruri metallici (CaH2, NaH) dove si trova nello stato di ossidazione 1-.

Pochi riferimenti fissi, schematizzati in tabella, permettono di calcolare il N.O. di qualsiasi elemento in qualsiasi composto:

 

Riferimento

N.Ox.

 


Elemento libero, cioè singolo atomo, o
combinato con se stesso (Na, O2, Cl2, O3)

0

Ossigeno

-2

Idrogeno

+1

Alogeni negli alogenuri (NaCl, KBr, ecc.)

-1

Metalli alcalini (Li, Na, K, ecc.)

+1

Metalli alcalino terrosi (Be, Mg, Ca, ecc.)

+2

Ossigeno nei perossidi (H2O2)

-1

Idrogeno negli idruri metallici (NaH, MgH2, ecc.)

-1

 


Alcuni elementi possono assumere nox differente, a seconda della molecola di cui fanno parte. E’ immediato ricavare che il Fe ha nox. = +2 in FeO (ossido ferroso), ma ha nox = +3 in Fe2O3 (ossido ferrico). Il nox. dello zolfo è +4 in SO2 (biossido di zolfo o anidride solforosa), ma diventa +6 in SO3 (triossido di zolfo o anidride solforica) e in H2SO4 (acido solforico) e nello ione solfato SO4=. Il nox dell’azoto è –3 nell’ammoniaca, NH3, ma è +5 nell’acido nitrico HNO3.

 

Esempio 1

Qual è il numero di ossidazione dell’atomo di P in H3PO4?

 

Soluzione

 La somma dei numeri di ossidazione deve essere  zero, per cui

 
3(nox. H) + (nox. P) + 4 (nox. O) = 0

nox H = 1+
nox O = 2-

3 (1+) + x + 4(2-) = 0
x = (8+) – (3+)
x = 5+

 

Esempio 2                                                                                               2-                                                                                      

Qual è il numero di ossidazione del Cr nello ione bicromato Cr2O7?

Soluzione

La somma dei numeri di ossidazione deve essere uguale alla carica dello ione 2-.

2(nox. Cr) + 7 (nox. O) = 2-

nox O = 2-
2x + 7(2-) = 2-
2x =  12+
x = 6+

Esempio 3

Qual è il numero di ossidazione del Cl nel perclorato di calcio Ca(ClO4)2?

Soluzione

(nox  Ca) + 2 (nox Cl) + 8 (nox O) = 0

Dato che il calcio appartiene al gruppo IIA, corrisponde al numero di ossidazione 2+

(2+) +2x + 8(2-) = 0
2x = 14+
x = 7+

Il bilancio dei nox. tra gli atomi di una stessa molecola può essere di aiuto nel determinarne la stechiometria interna, vale a dire il numero di atomi di ogni elemento presente nella formula molecolare, quando se ne conosca il rispettivo nox.. Ad esempio, una molecola composta da N e H, dove N ha nox = -3, dovrà necessariamente avere formula NH3. Allo stesso modo si può prevedere che una molecola costituita da N e O, dove N ha nox = +5, dovrà necessariamente avere formula N2O5.

 

3.2       COMPOSTI BINARI

I composti binari sono formati da due soli elementi chimici.
Il simbolo di ciascun elemento è seguito da un numero a pedice, detto indice, che  indica quanti atomi di quell'elemento sono presenti nel composto.

 

Principali composti binari

 

Idruri

Sono composti dell'idrogeno con metalli più elettropositivi. Gli idruri dei metalli alcalini (I gruppo A) hanno formula generale

                                                                   MeH
Ad esempio idruro di potassio, KH

Gli idruri dei metalli alcalino terrosi (II gruppo A) hanno formula generale

                                                                   MeH2
Ad esempio idruro di calcio, CaH2.

Il loro nome è formato dal termine "idruro" seguito dal nome del metallo

 

Perossidi

Sono composti in cui è presente il gruppo perossido ( O O ) unito ad elementi più elettropositivi.
Il loro nome è formato dalla parola "perossido" seguito dal nome dell'elemento legato.

Ad esempio
Perossido di idrogeno H2O2, perossido di bario BaO2. 

 

Ossidi

 

Sono composti in cui un metallo si lega con l'ossigeno.
Si formano per la reazione di un metallo con l'ossigeno

                                             Metallo + O® ossido

La reazione è rapida con i metalli dei primi gruppi, che presentano forte carattere metallico, più lenta con gli altri metalli.
Il loro nome è formato dalla parola "ossido" seguito dal nome del metallo.

I gruppo A

                     Li2O,  Na2O,  K2O etc

II gruppo A

                    BeO, MgO, CaO etc

III gruppo A

                   Al2O3, Ga2O3 etc

IV gruppo A

 Gli unici metalli sono stagno e piombo che presentano nox +2 e +4, formando con    l'ossigeno due tipi di ossidi. In tal caso il composto a nox maggiore  prende la desinenza -ico, quello a nox minore prende la desinenza -oso.

 Stagno (+2, +4)     ossido stannoso SnO     ossido  stannico SnO2

                         Piombo (+2, +4)    ossido piomboso PbO   ossido piombico PbO2.

 

Anidridi

Le anidridi sono composti binari dei non metalli con l'ossigeno.

Il loro nome è formato dalla parola "anidride" seguita dal nome del non metallo.

                                             Non Metallo + O2  Anidride

Cloro (+1, +3, +5, +7)           anidride ipoclorosa (nox +1)            Cl2O               
anidride perclorica (nox +7)              Cl2O7

Bromo (+1, +5)                     anidride ipobromosa (nox +1)           Br2O

Iodio (+1, +5, +7)                  anidride iodica (nox +5)                    I2O5

Zolfo (+4, +6)                        anidride solforosa (nox +4)               SO2
anidride solforica (nox + 6)               SO3

 

Idracidi

Gli idracidi sono composti binari dei non metalli con l'idrogeno.
I principali idracidi si formano dall'unione dell'idrogeno con i non metalli del VII gruppo A (alogeni) e con i non metalli del VI gruppo A.

Il nome degli idracidi si forma facendo seguire al termine "acido" il nome del non metallo seguito dalla desinenza -idrico.

Negli idracidi del VII gruppo A
acido fluoridrico                    HF
acido cloridrico                      HCl (acido muriatico)
acido bromidrico                    HBr
acido Iodidrico                      HI

Negli idracidi del VI gruppo A

                                               acido solfidrico                      H2S
acido selenidrico                    H2Se
acido telluridrico                    H2Te

Altri idracidi sono

l'acido cianidrico HCN          HCN
l'acido azotidrico  HN3          HNNN

Altri composti idrogenati binari  sono

l'ammoniaca NH3
la fosfina      PH3
l'arsina         AsH3

 

3.3       COMPOSTI TERNARI: OSSIACIDI ED IDROSSIDI           

Ossidi e anidridi reagiscono con l'acqua per dare due importanti classi di composti ternari, gli idrossidi e gli acidi ossigenati o ossiacidi, i quali oltre a contenere ossigeno contengono evidentemente anche idrogeno.

Gli acidi sono sostanze che, sciolte in acqua, tendono a dissociarsi in un anione e in uno o più ioni H+.

Gli idrossidi sono sostanze a carattere basico che, sciolte in acqua, tendono a dissociarsi in un catione e in uno o più anioni ossidrile OH-.

 

Un composto ternario che contenga idrogeno e ossigeno viene convenzionalmente scritto in modo diverso a seconda che presenti un carattere acido o basico.

Se si tratta di un acido vengono messi in evidenza gli atomi di idrogeno, scrivendo per primo l'idrogeno seguito dal simbolo chimico del non metallo X ed infine dall'ossigeno.

ACIDO                      HnXmOl

se si tratta di un idrossido vengono messi in evidenza i gruppi ossidrili, scrivendo per primo il simbolo dell'elemento metallico Y seguito da tanti gruppi ossidrili racchiusi tra parentesi tonde, quanti ne richiede il numero di ossidazione "n" del metallo.

IDROSSIDO                 Y(OH)n

Alcuni composti possono comportarsi come acido o come base, a seconda delle condizioni di reazione. Sono detti composti anfoteri e la loro formula chimica può essere scritta come quella di un acido o come quella di un idrossido in realazione alla particolare comportamento che presentano in una data reazione.

 

Acidi

 

Gli acidi si formano sommando una o più molecole d'acqua ad un'anidride

                                           Anidride  +  acqua  =   Acido

Definizione di acido secondo Arrhenius (1887)
Acido è una specie chimica che in soluzione acquosa si dissocia dando uno o più ioni idrogeno. (H+)

Definizione di acido secondo Bronsted (1923)
Acido è una specie chimica in grado di perdere uno o più protoni accettati da una base

Definizione di acido secondo Lewis (1923)
Acido è una specie chimica in grado di accettare uno o più lone pairs (coppia di elettroni in un orbitale completo)

Il carattere acido di queste sostanze, cioè la loro tendenza a liberare ioni H+, è legato alla presenza   nella molecola di un non metallo, un elemento elettronegativo che attirando  gli elettroni di legame li allontana dagli atomi di idrogeno. Sugli atomi di idrogeno si forma una parziale, ma intensa carica positiva che ne facilita la liberazione come ioni H+, una volta in acqua.

Il nome degli acidi si ottiene da quello dell'anidride corrispondente, sostituendo il termine "acido" al termine "anidride".

Per costruire un acido è sufficiente sommare all'anidride 2 atomi di idrogeno e 1 di ossigeno per ogni molecola d'acqua che viene aggiunta.
Ad esempio dall'anidride carbonica si ottiene l'acido carbonico

                                                    CO2 + H2O H2CO3

mentre dall'anidride nitrica si ottiene l'acido nitrico
N2O5 + H2O H2N2O6  2HNO3
Forza di un acido
Un acido si dice forte quando in soluzione acquosa è completamente o quasi completamente dissociato in anioni e ioni H+, si dice debole quando è poco dissociato. La forza di un acido si può prevedere in linea di massima, osservando il numero di atomi di idrogeno e di ossigeno presenti nella sua molecola. Un acido può ritenersi forte quando la differenza tra il numero di atomi di ossigeno ed il numero di atomi di idrogeno è uguale o maggiore di due, debole in caso contrario. Così mentre l'acido carbonico è debole, l'acido nitrico è forte.

 

Dissociazione di un acido
Un acido con un solo atomo di idrogeno è detto monoprotico, con due biprotico etc.
Una acido monoprotico come l'acido nitrico si dissocia in acqua

                                                  HNO3  H+ + NO3-
un acido poliprotico presenta invece tante dissociazioni quanti sono gli atomi di idrogeno contenuti nella sua molecola. L'acido carbonico ad esempio può dare due dissociazioni

                                                H2CO3  H+  +  HCO3-

HCO3-  H+   +  CO32-

Naturalmente è possibile scrivere l'intera dissociazione in forma sintetica
H2CO3  2H+   +  CO32-

 

VII gruppo A

 

Il Cloro con i numeri di ossidazione +1, +3, +5 e +7 forma i seguenti acidi

                        Cl2O + H2O H2Cl2O2  2HClO acido ipocloroso  (esiste solo in soluzione)
Cl2O3 + H2O H2Cl2O4  2HClO2 acido cloroso (esiste solo in soluzione)
Cl2O5 + H2O H2Cl2O6  2HClO3 acido clorico (esiste solo in soluzione)
Cl2O7 + H2O H2Cl2O8  2HClO4 acido perclorico

Il Bromo con i numeri di ossidazione +1 e +5 forma i seguenti acidi

                        Br2O + H2O H2Br2O2  2HBrO acido ipobromoso
Br2O5 + H2O H2Br2O6  2HBrO3 acido bromico

Lo Iodio con i numeri di ossidazione +1, +5 e +7 forma i seguenti acidi

                        I2O + H2O H2I2O2  2HIO acido ipoiodoso (teorico, esistono i suoi sali)
I2O5 + H2O H2I2O6  2HIO3 acido iodico
I2O7 + H2O H2I2O8  2HIO4 acido periodico

VI gruppo A

                                                        

Lo zolfo con i numeri di ossidazione +4 e +6 forma i seguenti acidi

                        SO2 + H20 H2SO3  acido solforoso (esiste solo in soluzione)
SO3 + H20 H2SO4  acido solforico

 

V gruppo A

 

L'Azoto con i numeri di ossidazione +3 e +5 produce i seguenti acidi

                                   N2O3 + H2O  H2N2O4  2HNO2       acido nitroso
N2O5 + H2O  H2N2O6  2HNO3       acido nitrico

 

IV gruppo A

 

Il Carbonio con il numero di ossidazione +4 forma l'acido carbonico

                        CO2 + H2O H2CO3                    acido carbonico (esiste solo in soluzione)

 

Idrossidi

 

Gli idrossidi si formano sommando una o più molecole d'acqua ad un'ossido

                                           Ossido  +  acqua  =   Idrossido

Definizione di  idrossido secondo Arrhenius (1887)
Idrossido è una specie chimica che in soluzione acquosa da uno o più ioni idrossido (OH-).

Definizione di idrossidosecondo Bronsted (1923)
Idrossido è una specie chimica in grado di addizionare uno o più protoni cedutigli da un acido

Definizione di idrossido secondo Lewis (1923)
Idrossido è una specie chimica in grado di fornire uno o più lone pairs (coppia di elettroni in un orbitale completo)

 

Il carattere basico di queste sostanze, cioè la loro tendenza a liberare ioni OH-, è legato alla presenza nella molecola di un metallo, che rende polare il legame con i gruppi ossidrilici. Sull'atomo di ossigeno dell'ossidrile si  intensifica in tal modo la parziale carica negativa, mentre sul metallo si forma una parziale carica positiva che ne facilita la liberazione come catione, una volta in acqua, e la separazione dei gruppi OH-.

Il nome degli idrossidi si ottiene da quello dell'ossido corrispondente, sostituendo il termine "idrossido" al termine "ossido".

Per costruire un idrossido è sufficiente far seguire al metallo tanti gruppi ossidrili quanti ne richiede il numero di ossidazione del metallo.
Ad esempio dall'ossido di potassio si ottiene l'idrossido di potassio

                                                    K2O + H2O 2KOH

mentre dall'ossido di rame si ottiene l'idrossido di rame
CuO + H2O   Cu(OH)2
Forza di un idrossido
Un idrossido si dice forte quando in soluzione acquosa è completamente o quasi completamente dissociato in cationi e ioni OH-, si dice debole quando è poco dissociato. La forza di un idrossido si può prevedere in linea di massima, osservando se il metallo appartenga o meno ad uno dei primi gruppi chimici. In linea di massima un idrossido è forte quando il metallo che lo forma e un ametallo alcalino o alcalino-terroso. Così mentre l'idrossido di rame è debole, l'idrossido di potassio è forte.

Dissociazione di un idrossido
Un idrossido con un solo gruppo ossidrile è detto monoprotico, con due biprotico etc.
Unidrossido monoprotico come l'idrossido di potassio si dissocia in acqua

                                                  KOH K+ + OH-
un idrossido poliprotico presenta invece tante dissociazioni quanti sono i gruppi ossidrile contenuti nella sua molecola. L'idrossido di rame  può dare due dissociazioni

                                                Cu(OH)2  CuOH+  +  OH-

CuOH-  Cu2+   +  OH-

Naturalmente è possibile scrivere l'intera dissociazione in forma sintetica

                                                Cu(OH)2  Cu2+   +  2OH-

 

I gruppo A

 

I metalli alcalini hanno tutti nox +1 e quindi formano idrossidi del tipo  LiOH,  NaOH,  KOH etc

II gruppo A

 

 I matalli alcalino-terrosi hanno tutti nox +2 e formano quindi idrossidi del tipo Be(OH)2, Mg(OH)2 etc


III gruppo A

 

I metalli del terzo gruppo A presentano tutti nox +3 e formano quindi idrossidi del tipo Al(OH)3 etc

L'idrossido di alluminio è in realtà un composto anfotero.
In soluzione acida si comporta infatti come una base, mentre in soluzione basica si comporta come un acido (acido alluminico)
H3AlO3 AlO33- + 3H+

IV gruppo A

 

I metalli del quarto gruppo formano idrossidi con nox +2 e +4

Lo stagno con nox +2 forma l'idrossido stannoso Sn(OH)2, avente carattere anfotero (acido stannoso, H2SnO2). Con nox +4 forma invece un composto a carattere acido

                                               SnO2 + H2O H2SnO3                 acido stannico

Il Piombo, con nox +2 forma l'idrossido piomboso Pb(OH)2, a carattere anfotero (acido piomboso H2PbO2). Con nox +4 forma l'idrossido piombico Pb(OH)4, anch'esso anfotero (acido piombico H4PbO4).

 

I sali

 

I sali sono composti chimici che derivano dagli acidi per sostituzione di uno o più ioni H+ con cationi metallici. I sali sono composti che possono presentare solubilità diverse in acqua (alcuni sono molto solubili, altri poco solubili), ma la frazione di un sale che si scioglie in acqua è comunque totalmente dissociata negli ioni che lo costituiscono. In altre parole i sali sono tutti elettroliti forti.
Si dicono elettroliti tutti i composti chimici che in acqua si dissociano in ioni.
Sono detti forti gli elettroliti che si dissociano completamente, deboli quelli che si dissociano parzialmente.
Il termine "elettrolita" deriva dal fatto che solo i composti chimici che in acqua si dissociano  producendo ioni sono in grado di dare "elettrolisi", processo di cui ci occuperemo in seguito.

Per costruire la formula chimica di un sale è necessario

1) procedere alla dissociazione dell'acido
2) sostituire agli ioni H+ il catione metallico
3) scrivere gli opportuni indici, in modo da rendere neutra la molecola (si utilizzerà il nox del metallo come indice dell'anione e viceversa)
4) procedere alla eventuale semplificazione degli indici

Esemplifichiamo la procedura costruendo il sale di sodio dell'acido carbonico
1) dissociamo l'acido carbonico
H2CO3  2H+ + CO32-
2) lo ione sodio Na+ va a prendere il posto degli idrogeni

Na CO3
3) il nox del sodio (+1) diventa l'indice dell'anione, mentre il nox dell'anione (-2) diventa l'indice del catione.
Na2CO3

4) gli indici sono già semplificati

 

Proviamo ora a costruire il sale d'alluminio dell'acido solforico

1) dissociamo l'acido solforico
H2SO4  2H+ + SO42-

2) lo ione alluminio Al3+ va a prendere il posto degli idrogeni

Al SO4
3) il nox del alluminio (+3) diventa l'indice dell'anione, mentre il nox dell'anione (-2) diventa l'indice del catione.
Al2(SO4)3
Si noti che l'anione proveniente dalla dissociazione dell'acido è stato messo tra parentesi, infatti l'indice 3 si riferisce a tutto l'anione. Il sale in tal modo risulta neutro, infatti nella molecola sono presenti 2 ioni Al3+, per un totale di 6 cariche positive e 3 anioni SO42-, per un totale di 6 cariche negative.

4) gli indici sono già semplificati

I sali si possono formare sia utilizzando un anione proveniente da un acido completamente dissociato, ed in tal caso sono detti sali neutri, sia da un acido parzialmente dissociato. In tal caso l'anione possiede ancora atomi di idrogeno nella sua molecola e il sale che si forma è detto sale acido.

Ad esempio l'acido ortofosforico può formare tre tipi di sali utilizzando gli anioni provenienti dalle tre dissociazioni successive
H3PO4  H+ + H2PO4-      anione biacido
H2PO4-  H+ + HPO42-     anione monoacido
HPO42-   H+ + PO43-       anione neutro
Se ora vogliamo costruire i tre sali di calcio utilizzando i tra anioni, otterremo (il calcio ha nox +2)
Ca(H2PO4)2              sale biacido
CaHPO4                     sale monoacido
Ca3(PO4)2                 sale neutro

I nomi dei sali si formano da quelli degli acidi corrispondenti cambiando le desinenze secondo tale schema

                                               OSO             ®        ITO
ICO              ®        ATO
IDRICO       ®        URO

ad esempio i sali dell'acido solforoso si chiamano "solfiti", quelli dell'acido carbonico "carbonati", quelli dell'acido solfidrico "solfuri". Alcuni sali acidi utilizzano ancora la vecchia denominazione. Ad esempio il carbonato monoacido di sodio NaHCO3 è detto anche bicarbonato di sodio.

 

3.4       PROCESSI DI SALIFICAZIONE

 

La formula chimica di un sale si può costruire come abbiamo appena esposto, ma i sali si producono attraverso numerose reazioni chimiche. Vediamo le principali.
Possiamo riassumere le principali reazioni di salificazione attraverso il seguente schema

                            

 

1) metallo + non metallo ® sale

                        2K + F2 ® 2KF                                            (fluoruro di potassio)

2) ossido + anidride ®  sale

                        MgO + SO3 ® MgSO4                                (solfato di magnesio)
3) idrossido + acido ® sale + acqua

                        Ca(OH)2 + H2CO3 ® CaCO3 + H2O        (carbonato di calcio)

4) ossido + acido ® sale + acqua

                        Na2O + H2SO3 ® Na2SO3 + H2O                        (solfito di sodio)

5) anidride + idrossido ® sale + acqua

                        P2O5 + 2KOH ® 2KPO3 + H2O                (metafosfato di potassio)

 

 

 

 

 

Capitolo 4

STECHIOMETRIA

La stechiometria (dal gr. stoikeion = elemento, sostanza fondamentale) è lo studio delle relazioni numeriche e dei rapporti ponderali che intercorrono tra le sostanze chimiche durante le reazioni.

 

4.1       BILANCIAMENTO DELLE REAZIONI CHIMICHE

 

Le equazioni chimiche sono la rappresentazione simbolica delle reazioni chimiche, cioè dei processi in cui una o più sostanze, dette reagenti, si trasformano in altre, dette prodotti di reazione.

Un'equazione in cui compaiano a sinistra del segno di reazione () le formule dei reagenti e a destra le formule dei prodotti di reazione, ha solamente significato qualitativo.
Affinchè la reazione acquisti anche un significato quantitativo, in modo da permettere il calcolo delle quantità delle sostanze che partecipano alla reazione, è necessario che la reazione venga bilanciata.

Bilanciare una reazione significa porre dinanzi alla formula di ciascuna sostanza un numero, detto coefficiente stechiometrico, in modo che ogni elemento compaia a destra e a sinistra del segno di reazione con lo stesso numero di atomi e venga così soddisfatto il principio di conservazione della massa.

Per bilanciare una reazione non vi sono regole precise, ma in genere è opportuno seguire i seguenti consigli:

1) Si pareggia inizialmente un elemento che non sia l'idrogeno o l'ossigeno.
2) se bilanciando tale elemento si modifica qualche altro elemento, si procede subito al suo bilanciamento
3) bilanciati tutti gli elementi, si procede a bilanciare l'idrogeno ed infine l'ossigeno

Bilanciamo ad esempio la seguente reazione

                                   Fe2(CO3)3 + HNO3 ® Fe(NO3)3 + H2CO3

Iniziamo bilanciando il ferro:
poichè vi è un atomo di ferro tra i prodotti di reazione e 2 tra i  reagenti, moltiplichiamo per 2 il nitrato ferrico ponendogli davanti un coefficiente "2".

                                   Fe2(CO3)3 + HNO3 ® 2Fe(NO3)3 + H2CO3

in tal modo abbiamo modificato anche il numero di atomi di azoto tra i prodotti di reazione che ora sono 6. Poichè tra i reagenti vi è un solo atomo di azoto, poniamo un coefficiente "6" davanti all'acido nitrico

                                   Fe2(CO3)3 + 6HNO3 ® 2Fe(NO3)3 + H2CO3

Ora sia il ferro che l'azoto sono bilanciati. Bilanciamo il carbonio. Vi sono 3 atomi di carbonio tra i reagenti e 1 tra i prodotti di reazione. Poniamo quindi un coefficiente "3" davanti all'acido carbonico

                                   Fe2(CO3)3 + 6HNO3 ® 2Fe(NO3)3 + 3H2CO3

Verifichiamo l'idrogeno. 6 atomi tra i reagenti, 6 atomi tra i prodotti di reazione. L'idrogeno è bilanciato.
Verifichiamo l'ossigeno. 27 atomi tra i reagenti, 27 tra i prodotti di reazione. L'equazione è bilanciata!
Una volta che l'equazione è bilanciata siamo in grado di effettuare considerazioni di tipo quantitativo sulla reazione.
Nel caso della reazione appena bilanciata possiamo ad esempio affermare che una molecola di carbonato ferrico Fe2(CO3)3 necessita di 6 molecole di acido nitrico HNO3 per reagire e che da tale reazione si producono 2 molecole di nitrato ferrico Fe(NO3)3 e 3 di acido carbonico H2CO3.

Inoltre, a seguito della proporzionalità esistente tra numero di molecole e numero di moli, i coefficienti stechiometrici rappresentano contemporaneamente anche il numero di moli di ciascuna sostanza, coinvolte nella reazione chimica.
Ciò è fondamentale poichè ci permette di trasformare i rapporti numerici in proporzioni ponderali, consentendoci di calcolare le quantità in peso che partecipano alle reazioni chimiche.
Ad esempio, dopo aver calcolato il peso molare delle diverse specie chimiche,

 

possiamo calcolare quanti grammi di ciascun composto partecipano alla reazione chimica, moltiplicando il peso molare di ciascuno per il numero di moli con cui ciascuna sostanza compare nella reazione.

Possiamo in definitiva affermare che

292 g di carbonato ferrico (1 mole x 292 g/mol) reagiscono con 378 g di acido nitrico (6 moli x 63 g/mol) per dare 484 g di nitrato ferrico (2 moli x 242 g/mol) e 186 g di acido carbonico (3 moli x 62 g/mol).

Reazioni di ossidoriduzione
ossidazione
Un elemento chimico si ossida quando, durante una reazione, il suo numero di ossidazione aumenta. Una reazione di ossidazione comporta quindi un trasferimento di elettroni. L'elemento che si ossida perde tanti elettroni quanti sono indicati dalla variazione del suo numero di ossidazione.

riduzione
Un elemento chimico si riduce quando, durante una reazione, il suo numero di ossidazione diminuisce. Una reazione di riduzione comporta quindi un trasferimento di elettroni. L'elemento che si riduce acquista tanti elettroni quanti sono indicati dalla variazione del suo numero di ossidazione.

E' allora evidente che quando, durante una reazione chimica, un elemento si ossida, perdendo elettroni, dovrà esistere un altro elemento che, acquistandoli, si riduce. Le reazioni di ossidazione e di riduzione devono perciò necessariamente avvenire contemporaneamente. Si parla pertanto di rezioni di ossidoriduzione o di reazioni redox.

Naturalmente è prima necessario verificare che la reazione sia effettivamente una "redox". E' cioè necessario verificare che almeno due elementi abbiano subito durante la reazione dei cambiamenti nei numeri di ossidazione.

 

Le Reazioni Redox sono quelle in cui almeno due elementi, appartenenti a due differenti composti (reagenti), modificano il proprio N.O. nel passaggio da reagenti a prodotti: uno dei due elementi “si riduce”, cioè vede diminuire il proprio N.O., mentre l’altro elemento “si ossida”, cioè vede aumentare il proprio N.O.. La “riduzione” può essere equiparata all’acquisto di elettroni (cioè cariche negative), mentre la “ossidazione” equivale alla perdita di elettroni. Il composto che si ossida ha il ruolo di riducente, mentre quello che si riduce ha il ruolo di ossidante.

E’ importante ricordare che un dato composto non è sempre e comunque riducente o ossidante, poiché questo ruolo è relativo alla specifica reazione che di volta in volta si considera.

 

  0        0                4+ 2-
S + O           SO2

Il numero di ossidazione  di ciascun atomo è scritto sopra il suo simbolo. Dato che il numero di ossidazione dell’atomo S aumenta da 0 a 4+ si dice che lo zolfo è ossidato; il numero di ossidazione dell’atomo O diminuisce da 0 a 2- per cui l’ossigeno si è ridotto.
Nessuna ossidoriduzione avviene nella reazione:

  4+ 2-      1+  2-             1+ 4+ 2-
SO2 +H2O          H2SO3

Dato che nessun atomo subisce variazione del numero di ossidazione.

Poiché nessuna sostanza può essere ridotta senza che un’altra venga simultaneamente ossidata, la sostanza che si riduce provoca l’ossidazione, perciò chiamata agente ossidante o ossidante; il materiale che viene ossidato è l’agente riducente o riducente. Perciò

   0                            0                          4+ 2-
  S        +        O                 SO2
riducente            ossidante
ossidato                ridotto

 

Per bilanciare le equazioni di ossidoriduzione si usa il metodo elettroionico.
In questo metodo si utilizzano le equazioni parziali.

Esempio:

nella reazione
0              0                                            1+                    1-   
2Na   + Cl2                           2Na    +   2Cl

le equazioni parziali  che rappresentano le semireazioni sono   
+                    -
Ossidazione                    2Na                         2Na     +   2e     (si perdono elettroni)
-                                                      -
Riduzione           2e    + Cl2                               2Cl    (si acquistano elettroni)

Un’equazione parziale è usata per l’ossidazione, l’altra per la riduzione. L’equazione finale si    ottiene combinando le equazioni parziali in modo che il numero di elettroni persi uguagli il numero di elettroni acquistati.
Per bilanciare equazioni con il metodo elettroionico si utilizzano due procedimenti diversi: uno per  le soluzioni acide, l’altro per le soluzioni alcaline.

Esempio 1 (in ambiente acido)

             2-            -                            3+
Cr2O7    + Cl                  Cr   +   Cl2

Si scrivono le equazioni parziali
2-                                 3+
Cr2O7                    2Cr  
-                         
2Cl                 Cl2
Successivamente bilanciamo gli atomi H e O. Essendo la soluzione acida vanno aggiunti H+ e H2O.
+                2-                                3+
14H  + Cr2O7                        2Cr    + 7 H2O
-
               2Cl                   Cl2
Adesso bisogna bilanciare elettricamente le semireazioni. Nella prima equazione parziale la carica netta è 12+ a sinistra (14+ e 2-) e 6+ a destra. Occorre aggiungere 6 elettroni a sinistra in modo che la carica netta risulti 6+ da ambo i lati. La seconda equazione parziale viene bilanciata aggiungendo 2 elettroni a destra.

           -                +                2-                                3+
     6e  +  14H  + Cr2O7                        2Cr    + 7 H2O
-                                             -
                   2Cl                     Cl2  + 2e

Il  numero di equazioni acquistati deve essere uguale al numero di quelli ceduti; la seconda equazione parziale va moltiplicata per 3.

             -                +                2-                                3+
     6e  +  14H  + Cr2O7                        2Cr    + 7 H2O
-                                               -
                   6Cl                     3Cl2  + 6e

La somma delle due equazioni parziali da l’equazione finale

                 +                2-                   -                                 3+
      14H  + Cr2O7    +   6Cl                          2Cr   +  3Cl2    + 7 H2O

 

Esempio 2 (Ambiente acido)

            -                                                 2+
MnO4 + AsO6                    Mn  +H3AsO4

    Si dividono le due equazioni parziali
-                               2+                                                              
MnO4                     Mn 

AsO6                    4H3AsO4

Per bilanciare  la prima servono 4H2O a destra e 8H+ a sinistra. Nella seconda servono 10 H2O per avere i 10 ossigeni necessari. A questo stadio servirebbero 20 atomi di H a sinistra e 12 a destra; occorre aggiungere a destra 8H+
+                   -                              2+                                                               
8H  + MnO4                     Mn   +  4H2O
+                                                 
10 H2O +  AsO6                    4H3AsO4   +  8H

      Bilanciamo le cariche elettriche
-            +                 -                              2+                                                              
5e + 8H  + MnO4                     Mn   +  4H2O
+          -                                           
10 H2O +  AsO6                    4H3AsO4   +  8H + 8e

Perché il numero di elettroni perduti nella reazione di ossidazione deve essere uguale a quelli della reazione di riduzione la prima deve essere moltiplicata per 8 e la seconda per 5.
-            +                 -                                      2+                                                              
40e + 64H  + 8MnO4                    8Mn   +  32H2O
+          -                                           
50 H2O +  5AsO6                    20H3AsO4   +  40H + 40e

Sommando le equazioni parziali si ottiene
+                                                            -                                                                      2+
24H  +18H2O + 5AsO4+ 8MnO4                             20H3AsO4  +  8Mn

 

Nel caso di reazioni che avvengono in soluzione alcalina si fa in un modo leggermente diverso.

Esempio 1 (Ambiente alcalino)

            -
MnO4 + N2H4                     MnO2   + N2

Si scrivono le equazioni parziali
-
MnO4                 MnO2
N2H4                         N2

In questo caso si usano OH- e H2O per bilanciare ossigeno e idrogeno. Per ogni O si aggiungono 2 OH- dove manca l’ossigeno e un H2O dalla parte opposta. Per ogni H viene aggiunta una molecola di H2O dal lato dove manca l’idrogeno e uno ione OH- dal lato opposto.

Quindi nella prima equazione a destra mancano 2 atomi di ossigeno. Si aggiungono 4 OH- a destra e 2H2O a sinistra.
-                                                        -
2H2O +   MnO4                 MnO2   + 4 OH

Nella seconda equazione mancano 4H a destra, quindi verranno 4H2O a destra e 4OH- a sinistra
-
4 OH +  N2H4                          N2 + 4H2O

Si aggiungono gli elettroni per ottenere il bilancio delle cariche
-                                  -                                                        -
3e + 2H2O +   MnO4                 MnO2   + 4 OH
-                                                                                -
4OH +  N2H4                    N2 + 4H2O   + 4e

Il minimo comune multiplo tra 3 e 4 è 12, quindi:
-                                      -                                                             -
12e + 8H2O +   4MnO4                 4MnO2   + 16 OH
-                                                                                             -
12OH +  3N2H4                         3N2 + 12H2O   + 12e

Sommando si ha l’equazione finale
-                                                                                              -
4MnO4  + 3N2H4                       4MnO2   + 4H2O  + 4OH

 

 

 

Capitolo 5

I GAS

5.1       GENERALITA’

Lo stato di aggregazione di una sostanza, solido, liquido o aeriforme, dipende, oltre che dal tipo e dall'intensità delle forze intermolecolari, dai valori che assumono la pressione P, la temperatura T ed il volume V. Per questo motivo tali grandezze sono dette variabili di stato.

Nello stato gassoso le distanze tra le molecole risultano molto elevate, poiché le particelle possiedono energia cinetica sufficiente a vincere le forze di attrazione intermolecolari e sono perciò in grado di separarsi. Il moto caotico delle particelle allo stato gassoso determina il fenomeno della diffusione, per il quale un gas occupa sempre tutto lo spazio a sua disposizione e presenta per questo motivo forma e volume del recipiente che lo contiene.

Il Volume è definito come la porzione di spazio occupata da un corpo. Esso viene misurato in m3 ed in chimica, più spesso in litri  (l).

La Temperatura misura la capacità di un corpo di dare sensazioni di caldo e freddo. Più precisamente essa è una misura dell'energia cinetica media delle particelle che costituiscono un corpo.

La temperatura si misura in
1) gradi centigradi o Celsius (°C)
2) gradi assoluti o Kelvin (°K)
3) gradi Fahreneit (°F).

La scala Celsius (t) è convenzionalmente costruita assegnando al ghiaccio fondente  la temperatura di 0 °C e all'acqua bollente la temperatura di 100 °C.

La scala delle temperature assolute (T) è  costruita partendo dalla constatazione che la più bassa temperatura Celsius corrisponde a -273,15°C. Poiché non sono possibili temperature inferiori, tale valore rappresenta lo zero assoluto delle temperature.
La scala delle temperature assolute si ottiene quindi traslando l'origine della scala Celsius dagli 0°C a -273,15°C.
E' evidente quindi che per trasformare i gradi Celsius in gradi Kelvin è sufficiente utilizzare la seguente relazione di conversione
T = t + 273,15

Così, ad esempio, lo zero della scala Celsius corrisponde a 273,15 °K, mentre l'acqua bolle a 373,15 °K.

La Pressione si definisce come il rapporto tra una forza e la superficie sulla quale la forza agisce.
Le unità di misura della pressione sono molteplici. Le più utilizzate sono

a) Chilogrammo su centimetro quadrato (Kg/cm2)

b) Atmosfera (atm). E' definita come la pressione esercitata dall'atmosfera terrestre sul livello del mare (slm), a 0°C, a 45° N, con un'umidità relativa pari allo 0% .
1 atm = 760 mm di Hg ( o torr) = 1,033 kg/cm2

c) Pascal (Pa). Nel Sistema Internazionale SI è la forza esercitata da 1 N (newton) sulla superficie di m2. ( 1 newton è la forza che, applicata alla massa di 1 Kg produce un'accelerazione di 1 m/s2).

d) Bar. Nel sistema cgs è la forza esercitata da 106 dine su 1 cm2. ( 1 dina è la forza che, applicata alla massa di 1 g produce un'accelerazione di 1 cm/s2).
1 atm = 1,013 Bar = 101.300 Pascal

Si definiscono condizioni normali (c.n.) o standard  di  temperatura e pressione (STP), la temperatura di 0 °C e la pressione di 1 atm.

 

5.2       LE LEGGI DEI GAS

Le leggi dei gas sono 4. Le prime tre sono state ottenute mantenendo costante una delle tre variabili di stato ed osservando sperimentalmente la relazione esistente nelle variazioni delle due rimanenti. La quarta legge mette invece in relazione contemporaneamente tutte e tre le variabili di stato in un'unica equazione.

 

5.3       LEGGE DI BOYLE    (relazione tra P e V con T costante)

Mette in relazione PRESSIONE e VOLUME, e dice che un aumento di pressione provoca una proporzionale diminuzione del volume.

P1.V1 = P2.V2 = K

ed in definitiva

PV = K

V µ  1/P

 

 

5.4       LEGGE DI CHARLES o 1a legge di Gay-Lussac  (relazione tra V e T con P costante)

Mette  in relazione TEMPERATURA  e VOLUME, e dice che il volume di qualsiasi gas varia in maniera direttamente proporzionale al volume.

 

V µ  T

 

5.5       LEGGE DI AMONTONS  2a legge di Gay-Lussac  (relazione tra P e T a V costante)

 

Mette in relazione PRESSIONE e TEMPERATURA. La pressione di un gas varia proporzionalmente alla temperatura assoluta, a volume costante.

 

P µ  T

 

5.6       LEGGE DEI  GAS IDEALI  

Le tre leggi dei gas possono combinarsi in un'unica relazione in cui compaiono contemporaneamente tutte e tre le variabili di stato. L'equazione è dovuta al francese Clapeyron (1834).

Unendo la legge di Boyle, la legge di Charles, e tenendo presente che il volume di un gas varia proporzionalmente al numero di moli del gas (V µ  n) si ha:

V µ  1/P      V µ  T     V µ  n

Perciò    V µ   (1/P) (T) (n)
Riarrangiando l’equazione con una serie di passaggi matematici si ha

 

 V= R (1/P) (T) (n)

Ed ancora 

PV = nRT

Questa è l’equazione di stato di un gas ideale.

Per convenzione si stabiliscono temperatura e pressione standard rispettivamente 0°C (273,15K) e 1 atm. Il volume di una mole di gas, risulta essere 22,41 litri.
Sostituendo questi dati, possiamo calcolare R:

R= PV/nT

R = (1 atm) ( 22,41litri)/ (1 mole) (273,15 K) = 0,082 litri . atm/ K . mol

 

Capitolo 6

LE SOLUZIONI

6.1       GENERALITA’

 

Una soluzione è un sistema omogeneo di due o più componenti solidi, liquidi o gassosi,  in cui i componenti sono presenti allo stato atomico o molecolare e risultano pertanto inosservabili.
Per definizione si chiama solvente la sostanza presente in quantità maggiore e soluto (o soluti) la sostanza (o le sostanze) presente in minor quantità.

Le soluzioni gassose (gas in gas) vengono normalmente dette miscele gassose.
Le soluzioni solide sono dette leghe.
Noi ci occuperemo delle soluzioni liquide in cui un soluto (solido, liquido o gassoso) si scioglie in un liquido ed essenzialmente delle soluzioni acquose, in cui il solvente è l'acqua.

 

6.2       CONCENTRAZIONE DI UNA SOLUZIONE

 

La concentrazione esprime la quantità relativa dei soluti rispetto al solvente. La concentrazione di un soluto si indica mettendo tra parentesi quadre la formula chimica. Ad esempio [H2SO4] si legge "concentrazione dell'acido solforico". Esistono diversi modi per esprimere la concentrazione di una soluzione.

1) Percentuale in peso C(p/p)
E' il rapporto percentuale tra il peso del soluto ed il peso della soluzione (grammi di soluto per 100 g di soluzione)

                                                         

2) Percentuale in volume C(v/v)
E' il rapporto percentuale tra il volume del soluto ed il volume della soluzione (ml di soluto per 100 ml di soluzione). Viene spesso utilizzata nelle soluzioni in cui tutti i componenti sono liquidi. La gradazione delle bevande alcoliche è ad esempio espressa come percentuale in volume.

3) Rapporto peso-volume C(p/v)
E' il rapporto tra il peso del soluto espresso in grammi ed il volume della soluzione espresso in litri (g/l).

4) Frazione molare (c)
E' il rapporto tra il numero di moli di soluto ed il numero di moli totali.

5) Molarità (M)
E' il rapporto tra il numero di moli di soluto ed il volume della soluzione espresso in litri. Indica il numero di moli di soluto presenti in un litro di soluzione (mol/l).

6) Molalità (m)
E' il rapporto tra il numero di moli di soluto ed il peso del solvente espresso in Kg. Indica il numero di moli di soluto presenti per chilogrammo di solvente (mol/Kg)

7) Normalità (N)

E' il rapporto tra il numero di equivalenti di soluto ed il volume della soluzione espresso in litri. Indica quanti equivalenti sono presenti in un litro di soluzione (eq/l).

 

6.3       SOLUBILITÀ

Una vecchia regola della chimica afferma che il simile scioglie il simile: solventi polari sciolgono sostanze ioniche o polari, mentre solventi apolari sciolgono sostanze apolari.

Le parziali cariche elettriche dell'acqua esercitano sugli ioni o sulle molecole polari di un soluto un'attrazione che indebolisce considerevolmente le forze interne che mantengono integra la struttura del solido. Le particelle che si trovano sulla superficie del solido (polare o ionico) posto in acqua, finiscono quindi per essere estratte, circondate dalle molecole dell'acqua (solvatazione) e portate in soluzione. Se il solvente è l'acqua il fenomeno prende il nome di idratazione.

Si definisce solubilità la massima quantità di soluto che può essere disciolta in una data quantità di solvente. La solubilità è quindi la concentrazione della soluzione satura.

Effetti della temperatura sulla solubilità
In genere se il soluto è un solido il processo è endotermico (per questo motivo i soluti solidi si sciolgono meglio in liquidi caldi). Nonostante il processo non sia favorito dal punto di vista energetico esso risulta egualmente spontaneo poichè l'entropia di una soluzione è molto maggiore di quella di un solido cristallino (il grado di disordine è molto più elevato nei fluidi che nei solidi).

     Se il soluto è un fluido (liquido o gas) in genere il processo di solubilizzazione è esotermico (per questo motivo i gas si sciolgono più facilmente in liquidi a bassa temperatura).

6.4       GLI ELETTROLITI, I NON-ELETTROLITI E GRADO DI DISSOCIAZIONE

Le sostanze che si sciolgono in acqua (ed in generale nei solventi polari) si dividono in elettroliti e non-elettroliti.

1.   I non-elettroliti sono sostanze che sciolte in acqua non si dissociano in ioni di carica opposta. Sono esempi di non elettroliti il glucosio, l'alcool etilico, l'anidride carbonica. Il termine "non-elettrolita" fa riferimento all'impossibilità per le soluzioni che contengono questo tipo di soluti di dare il processo dell'elettrolisi.

2.   Gli elettroliti sono sostanze che disciolte in acqua si dissociano, in misura più o meno elevata, in ioni di carica opposta. Il termine "elettrolita" fa riferimento al fatto che solo le soluzioni che contengono ioni di carica opposta sono in grado di dare processi elettrolitici.

Gli elettroliti si dicono "forti" quando si dissociano in modo completo. Sono elettroliti forti quasi tutti i sali, gli acidi forti (HCl, HBr, HI, HNO3 etc) e le basi forti (idrossidi dei metalli alcalini e alcalino-terrosi).

Gli elettroliti si dicono "deboli" quando sono solo parzialmente dissociati. Sono elettroliti deboli gli acidi deboli (HF, H2S, HCN HNO2 etc) e le basi deboli (gli idrossidi degli altri metalli).

Si definisce grado di dissociazione a il rapporto tra il numero di moli dissociate ed il numero di moli inizialmente presenti.

Il grado di dissociazione è evidentemente uguale a 0 per i non-elettroliti, è pari a 1 per gli elettroliti forti e assume valori compresi tra 0 ed 1 per gli elettroliti deboli.

Se una sostanza presenta ad esempio un grado di dissociazione pari a 0,3 significa che per ogni 100 molecole che sono state poste in soluzione, 30 si sono dissociate in ioni, mentre 70 sono disciolte senza essere dissociate.

 

6.5       OSMOSI E PRESSIONE OSMOTICA

Il fenomeno dell'osmosi si produce ogniqualvolta una soluzione a maggior concentrazione è separata da una  a minor concentrazione da una membrana semipermeabile, che permette il passaggio selettivo del solvente, ma non del soluto.

                                             

In condizioni normali il soluto, più concentrato nel recipiente B, tenderebbe a diffondere nel recipiente A, mentre il solvente, più concentrato nel recipiente A, tenderebbe a diffondere nel recipiente B.
Poichè il movimento di diffusione del soluto è impedito dalla presenza della membrana semipermeabile, l'unico movimento consentito è quello del solvente che diffonde dalla soluzione più diluita (A) verso la soluzione più concentrata (B). Il fenomeno è noto come osmosi.
Il risultato finale è sempre quello di eliminare le differenze di concentrazione, infatti la soluzione A, inizialmente più diluita, tende a concentrarsi per la fuoriuscita del solvente, mentre il contrario avviene per la soluzione B.

L'entrata del solvente nella soluzione più concentrata (B) provoca un aumento del volume della soluzione. Il livello del liquido si alza fino al punto in cui la pressione esercita dalla colonna di liquido innalzatasi fa esattamente equilibrio alla pressione esercitata dal solvente in entrata.
Quando viene raggiunto l'equilibrio è quindi possibile utilizzare il peso della colonna d'acqua come misura della pressione esercitata dal solvente in entrata, o pressione osmotica, p.

Sperimentalmente si osserva che la pressione osmotica prodotta da una soluzione rispetto al solvente puro obbedisce all'equazione di stato dei gas perfetti

                                                              

dove V = volume della soluzione ed n = numero di moli di soluto
Tenendo conto poi che n/V è la molarità della soluzione, la relazione diventa


La pressione osmotica di una soluzione, a temperatura costante, dipende dunque esclusivamente dalla sua concentrazione.

Nel caso si prendano in considerazione 2 soluzioni a diversa concentrazione, la pressione osmotica è proporzionale alla differenza di concentrazione DM.

 

CHIMICA ORGANICA

 

La chimica organica è un ramo della chimica relativamente moderno. Si può dire che la chimica organica sia nata nel 1828 quando un chimico tedesco, Friedrich Wölher  preparò per caso l’urea (sostanza organica), un componente dell’urina, in laboratorio, a partire da sostanze inorganiche.
Questo esperimento ed altri che seguirono di li a poco aprirono la strada alla moderna sintesi organica.
La definizione di chimica organica sarebbe: chimica del carbonio e dei suoi derivati. Ma alcuni composti del carbonio quali carbonati e cianuri vengono normalmente classificati come composti inorganici. Per cui il modo migliore di definire la chimica organica è di indicarla come la chimica degli idrocarburi (composti contenenti soltanto carbonio ed ossigeno) e dei suoi derivati.

In chimica organica è quindi fondamentale il legame carbonio-carbonio. La proprietà caratteristica del carbonio, è la capacità quasi illimitata che questo atomo ha di condividere elettroni non soltanto con elementi diversi, ma anche con altri atomi di carbonio. Due atomi di carbonio possono ad esempio legarsi fra loro e contemporaneamente con altri atomi. Questo legame può presentasi semplice, doppio o triplo.

 

                   H    H
|      |
H—C—C—H                 legami semplici
|      |
H    H

 

CH2=CH2          legame doppio

CHºCH      legame triplo

 

ISOMERIA

In generale due o più composti si dicono isomeri se hanno la stessa formula molecolare ma diversa formula di struttura. Gli isomeri hanno proprietà chimiche e fisiche differenti.

Esempio:

Formula molecolare   C2H6O

Può avere due formule di struttura:   CH3CH2OH    o    CH3OCH3

Il primo è un alcol (alcol etilico), il secondo è un etere (etere dimetilico) con caratteristiche completamente diverse tra loro.

 

IDROCARBURI

Gli idrocarburi possono essere distinti in idrocarburi alifatici ed aromatici.

 

                                                    Alcani
                    A catena aperta       Alcheni

                                                    Alchini

Alifatici

                   A catena chiusa        Cicloalcani
                                                    Cicloalcheni

 

Aromatici

 

Gli alcani, hanno tutti legami carbonio-carbonio semplici, gli alcheni,  presentano almeno un doppio legame; gli alchini,  presentano un legame triplo.

Gli alcani corrispondono alla formula    CnH2n+2   dove n indica il numero degli atomi del composto.  ( 1<n<70)

Esempi:


Metano       CH4                                                                                                                                                                                                                                                       
Etano        CH3CH3                                                                                                                                                                                                                                   Propano      CH3CH2CH3                                                                                                                                                                                                                                                                                                
Butano        CH3CH2CH2CH3                       


Questi sono chiamati composti a catena lineare. Possono esistere anche composti a catena ramificata.

CH3CHCH3        Metilpropano
|
CH3

Gli alcheni presentano un doppio legame carbonio-carbonio ed hanno una formula generale  CnH2n.

 

CH2=CH2       etilene

Nella molecola degli alchini è presente un triplo legame ed hanno una formula generale CnH2n-2.

CH  ≡ CH

 

I cicloalcani hanno una forma tipicamente ad anello che può assumere forma triangolare, quadrata, pentagonale ecc. di formula generale CnH2n.
 

 

 


Ad ogni vertice corrisponde un gruppo CH2.
Le precedenti figure prendono il nome di CICLOPROPANO (C3H6), CICLOBUTANO (C4H8), CICLOPENTANO(C5H10), CICLOESANO (C6H12).

Gli idrocarburi aromatici, sono caratterizzati dalla presenza dall’anello BENZENE. Il benzene è un idrocarburo di formula C6H6.


Il benzene è rappresentato tipicamente da un cerchio inscritto in un esagono.


 

 

 


Quando un qualsiasi composto contiene almeno un anello benzene, quel composto si definisce aromatico, non tanto per  il suo odore ma per le sue caratteristiche chimiche.

 



                                   Br    

 

 



                                  CH3   

 

Le fonti di alcani

Attualmente le principali fonti naturali di alcani sono il petrolio e il gas naturale. Il petrolio è una miscela liquida complessa di composti organici molti dei quali sono alcani e cicloalcani così come anche alcani a catena ramificata. Il gas naturale, che nei giacimenti si trova spesso associato al petrolio consiste essenzialmente di metano e di etano.

 

Proprietà fisiche degli alcani

Gli alcani sono composti nei quali il carbonio è ibridato sp3, per cui formano legami forti. Le molecole di un alcano hanno disposizione tetraedrica con angoli di 109.5°.
Gli alcani sono gassosi da C1 a C4, liquidi da C5 a C16 e solidi quelli da C17 in poi.
Gli alcani sono sostanze insolubili in acqua. Questa insolubilità è sfruttata dalle piante che utilizzano molti alcani per formare le pellicole protettive che rivestono foglie e frutti allo scopo di impedire la perdita d’acqua. Mele e cavoli utilizzano cere che contengono alcani così come le foglie di tabacco. Altri alcani si trovano anche nella cera d’api.

 

Le reazioni degli alcani

Gli  alcani sono detti anche paraffine (parola che deriva dal latino e che significa “poco reattivo”) e quindi sono abbastanza inerti. Non reagiscono ne con acidi ne con basi. Possono tuttavia reagire con l’ossigeno o con gli alogeni.

 

CH4   +   2O2                                  CO2    +   2H2O

CH4   +    Cl2                                 CH3Cl    +   HCl

CH3Cl    + Cl2                                     CH2Cl2   +   HCl

CH2Cl2  +  Cl2                                     CHCl3  +   HCl

 

CHCl3  +  Cl2                                   CCl4   +   HCl

 

Proprietà fisiche degli alcheni

 
Gli alcheni possiedono proprietà fisiche simili a quelle degli alcani. Possono essere gas incolori oppure liquidi volatili.
Gli alcheni (oleofine) sono composti nei quali il carbonio è ibridato sp2. Ogni orbitale forma con quelli vicini angoli di 120°. Gli alcheni da C2 a C4 sono gassosi; liquidi da C5 a C16 e solidi quelli da C17 in poi.

Le reazioni degli alcheni

 

Le reazioni degli alcheni comportano, in genere, la rottura del legame, addizionando ioni o radicali.

Ossidazione a glicoli
alcuni ossidanti energici, ad es. permanganato di potassio, in ambiente alcalino e a freddo, trasformano gli alcheni in glicoli (o dioli), alcoli con due gruppi -OH.

                                                           CH2         CH2
 


                                                            OH          OH

Addizione di alogeni o di acido

Gli alcheni reagiscono con facilità con bromo e cloro dando origine ad alogenuri alchilici o con acidi inorganici venendo trasformati in composti saturi contenenti 2 atomi di alogeno legati ad atomi adiacenti di carbonio.

CH3CH=CHCH3  + Cl2                             CH3CHClCHClCH3

CH2= CH2  + HCl                                CH3CH2Cl

Le reazioni degli alchini

Così come gli alcheni anche gli alchini reagiscono con alogeni ed acidi.

 

CH ≡CH    + Br2                        CHBr=CHBr

CH  ≡ CH + HBr                           CH2 =CHBr

 

 

ALCOLI

FENOLI

Gli alcoli sono composti di formula R – OH, strutturalmente simili all’acqua dove uno dei due atomi di idrogeno viene sostituito da un gruppo organico.
CH3OH           Metanolo ( alcol metilico)
CH3CH2OH            Etanolo ( alcol etilico)
CH3CH2CH2OH         Propanolo  ( alcol propilico)

CH3 CH CH3       2-propanolo ( alcol isopropilico)
 





OH

 

Quando il gruppo alcolico è unito ad un anello aromatico si originano fenoli
 



                                   OH    

 

Anche la Vitamina A appartiene alla famiglia degli alcoli.

 

Le fonti di alcoli

 

Gli alcoli a basso peso molecolare, fino a 4 atomi di carbonio vengono tutti preparati su scala industriale. Il metanolo (CH3OH) viene ottenuto  per distillazione del legno. L’etanolo (CH3CH2OH)viene preparato per fermentazione dello zucchero di canna o di barbabietola. Per reazione dell’etanolo con la calce viva (CaO) si ottiene l’alcol assoluto.

 

Le reazioni degli alcoli

Gli alcoli reagiscono con gli acidi alogenidrici per dare alogenuri alchilici.

CH3CH2OH   +  HCl                                     CH3CH2Cl     + H2O

 

Dalla disidratazione di alcoli si ottengono alcheni

 

CH3CH2OH                              CH2 =CH2    +  H2O

 

ACIDI CARBOSSILICI

 

ESTERI


Gli acidi carbossilici sono largamente presenti in natura, molti hanno un odore pungente o sgradevole e molti altri sono stati isolati nei grassi e perciò chiamati acidi grassi. La loro formula generale è:

R-COOH

Dove il gruppo carbossilico è:

                                                    O
||
- C-OH

Esempi:
Acido Formico    HCOOH
Acido Acetico     CH3COOH
Acido Butirrico    CH3CH2CH2COOH

 

Acido Capronico   CH3(CH2)4COOH

 

Gli esteri sono invece sostanze dall’odore gradevole responsabili del profumo dei fiori e della frutta e quindi largamente usati in profumeria. Si ottengono per la reazione di un acido e un alcol.
La loro formula generale è:

                                           O   
||                                
R-C-OR1

Dove R1 può essere sia identico a R oppure diverso.

 

Gli esteri nascono dalla reazione di un acido carbossilico con un alcol

CH3COOH  + CH3CH2OH                                                           CH3COOCH2CH3

Acido acetico        alcol etilico                                                            acetato di etile

 

 

 

 

ALDEIDI

CHETONI

 

Anche le aldeidi ed i chetoni sono composti abbastanza odorosi molti dei quali isolabili dalla frutta o da erbe aromatiche. Le aldeidi hanno come gruppo caratteristico il gruppo
O
||
-C-H

mentre i chetoni hanno il gruppo

                              O
||
-C-

Esempi:                                                           O
                                                                         ||
Benzaldeide                                                     C-H     

                           O
||
Formaldeide   H-C-H   

                           O
||
Acetone      CH3-C-CH3

Anche la Vitamina K appartiene alla famiglia dei chetoni.

 

ETERI 
EPOSSIDI

L’etere più noto è sicuramente l’etere dietilico (CH3CH2-O-CH2CH3), uno dei tanti eteri presenti in natura. Altrimenti sono degli ottimi solventi, sono composti incolori dotati di odori abbastanza gradevoli. Sono composti tuttavia molto infiammabili e quindi vanno maneggiati con estrema attenzione.
Il gruppo caratteristico degli eteri è

                                                R-O-R1

Dove R ed R1 possono essere identici oppure no.

L’etere dietilico si ottiene industrialmente a partire da alcol etilico

2 CH3CH2OH                                  CH3CH2OCH2CH3   + H2O

Gli epossidi sono eteri ciclici con un anello a tre termini contenente un atomo di idrogeno

                                                           CH2          CH2
 



O

 

AMMINE

Le ammine possono essere considerate derivati dell’ammoniaca (NH3) per sostituzione di 1,2 o tutti e 3 gli atomi di idrogeno. Conseguentemente avremo le ammine primarie, secondarie e terziarie.

 H-N-H                   R-N-H                          R-N-R                          R-N-R
|                              |                                    |                                     |
H                            H                                  H                                   R

Ammoniaca           Ammina                        Ammina                      Ammina
primaria                       secondaria                    terziaria

L’odore che caratterizza le ammine è simile a quello dell’ammoniaca e del pesce non fresco. Le ammine aromatiche sono tossiche e spesso cancerose.

 

LE BIOMOLECOLE

 

PROTEINE

Le proteine sono polimeri naturali composti da unità di amminoacido legate tra loro.

               O
//
R-CH-C
|         \
NH2      OH

Formula generale di un amminoacido

Caratteristica degli amminoacidi è la presenza contemporanea di un gruppo amminico (NH2),basico, e un gruppo carbossilico (COOH) acido.
La presenza di un gruppo acido ed uno basico contemporaneamente fa si che gli amminoacidi si comportino da composti anfoteri, cioè composti che possono contemporaneamente comportarsi sia da acidi, cedendo un protone ad una base forte che da basi, ricevendo un protone da una base forte.

 


Sia nelle piante che negli animali le proteine sono componenti essenziale delle cellule. Nel corpo umano ce ne sono migliaia di tipi diversi distribuite nei muscoli, nei tendini, nei capelli, nelle ossa, nella pelle, nei vari organi; in pratica ovunque. L’emoglobina del sangue, gli ormoni, gli anticorpi, gli enzimi sono tutte proteine.
Le proteine sono macromolecole formate da composti più semplici, gli ammino-acidi. Un ammino-acido è formato da un acido carbossilico in cui è presente un gruppo amminico –NH2. In natura esistono “solo” 20 ammino-acidi, ma in una data proteina gli ammino-acidi si susseguono in un ordine ben definito, e naturalmente un ammino-acido specifico sarà usato molte volte nella costruzione della proteina. Il numero di diverse proteine che è possibile costruire con 20 ammino-acidi è spaventoso.
Parlando di architettura delle proteine si citano quattro livelli di struttura. La struttura primaria corrisponde alla sequenza degli ammino-acidi; la conformazione (o disposizione) spaziale della catena degli ammino-acidi di una proteina viene detta struttura secondaria. Si dice struttura terziaria di una proteina la disposizione spaziale ad un livello più alto della struttura secondaria, cioè la disposizione reciproca delle varie strutture secondarie. Se un a proteina contiene più di una catena di ammino-acidi, il numero di catene e la loro reciproca disposizione darà la struttura quaternaria delle proteine.


 


LIPIDI

Grassi ed oli fanno parte della famiglia dei lipidi  e sono detti trigliceridi ossia sono esteri del glicerolo.

 

CH2OH

 

CHOH
 

CH2OH

glicerolo

O
|| 
CH2—O—C—R
 




O
||
CH—O—C—R

O
|| 
CH2—O—C—R

Un trigliceride

 

Gli acidi grassi sono acidi carbossilici aventi una lunga catena e  possono essere saturi o insaturi, qualora presentino uno o più doppi legami.

 

Alcuni comuni acidi grassi

ACIDI SATURI

ACIDO                         FORMULA                                      PROVENIENZA
 



laurico                     CH3 (CH2)10COOH                      olio di cocco, di palma, grasso animale
miristico                  CH3 (CH2)12COOH                      olio di cocco, di palma, grasso animale
palmitico                 CH3 (CH2)14COOH                      grasso animale, olio di cotone, di palma
stearico                   CH3 (CH2)16COOH                      grasso animale

ACIDI INSATURI

ACIDO                         FORMULA                                      PROVENIENZA
 



oleico                           C17H33COOH                    olio di mais, di cotone, di oliva                            
linoleico                       C17H31COOH                    olio di mais, di cotone, di lino
linolenico                     C17H29COOH                    olio di lino
arachidonico                C19H31COOH                    olio di sardina, di mais, grasso animale

Riscaldando grassi e oli con una soluzione acquosa basica si ottiene glicerolo ed i sali degli acidi grassi. Tale reazione si chiama saponificazione perché i sali ottenuti, in genere di sodio sono appunto saponi.

 

CARBOIDRATI

I carboidrati sono prodotti naturali che svolgono un grande numero di funzioni vitali. Tramite la fotosintesi le piante trasformano l’anidride carbonica in carboidrati: i più comuni sono la cellulosa, l’amido e tutti gli zuccheri. La cellulosa è il principale componente delle pareti cellulari rigide delle piante, l’amido è accumulato come alimento o fonte di energia, alcune piante (barbabietola  e canna da zucchero), producono saccarosio che è il comune zucchero da tavola. Negli animali superiori il glucosio appare tra i componenti essenziali del sangue.

I carboidrati vengono classificati come monosaccaridi, disaccaridi e polisaccaridi. La maggior parte di essi hanno formula generale Cx(H2O)y da qui il nome di carboidrati (idrati del carbonio). Le tre classi di carboidrati possono essere messe in relazione tramite reazione di idrolisi:

                                    H20                                                    H20
Polisaccaride                                         Disaccaride                                Monosaccaride

Esempio:

                              H20                                          H20
Amido                                           Maltosio                                         Glucosio

 

I monosaccaridi più comuni sono a 5 o 6 atomi di carbonio (es. il glucosio e il fruttosio hanno formula C6H12O6  mentre il fruttosio ha formula).
I disaccaridi sono  formati da due molecole di monosaccaridi, che possono essere tra loro diverse o identiche come  ad esempio il saccarosio,  il comune zucchero da tavola (C12H22O11) formato da una unità di glucosio e una di fruttosio.
I polisaccaridi, come ad esempio l’amido sono composti da varie molecole di glucosio unite assieme a formare un polimero.

 

Fonte: http://www.massimoparisi.it/docs/Chimica%20(elementi%20base)/Chimica%20(elementi%20base).doc


Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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