Diritto dell'arbitrato interno ed internazionale

 

 

 

Diritto dell'arbitrato interno ed internazionale

 

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Diritto dell'arbitrato interno ed internazionale

1. Premessa: la crisi del sistema della giustizia italiana. L’importanza dell’istituto dell’arbitrato è giustificata dalla grande crisi del sistema della giustizia italiana dovuta, da un lato dal venir meno della fiducia nelle istituzioni e nell’operato dei magistrati, dall’altro dalle spese e dai tempi processuali che incombono sui cittadini; ad esempio i lunghi tempi processuali, i costi e le incertezze sulla decisione finale possono paralizzare, anche definitivamente, l’attività economica di un’impresa.

 

2. I rimedi per la composizione delle controversie alternativi alla decisione del giudice ordinario: l’arbitrato, la conciliazione e la transazione. Gli strumenti di giustizia alternativa che affiancano quelli della giustizia ordinaria sono: la transazione, l’arbitrato e la conciliazione.
La transazione (art. 1965 c.c.) è il contratto con cui le parti attraverso reciproche concessioni pongono fine ad una lite già sorta o che sta per sorgere fra loro; quindi, con un accordo transattivo, ciascuna parte rinunzia parzialmente alle proprie pretese iniziali in cambio della reciproca concessione dell’altra parte.
L’arbitrato, sia rituale che libero (irrituale), si ha quando le parti in conflitto, mediante un’apposita manifestazione di volontà (accordo compromissorio), rinunciano alla tutela istituzionale e conferiscono ad uno o più soggetti (collegio arbitrale) il potere di porre fine ad una lite mediante una decisione (lodo arbitrale), formulata alla fine di una procedura più semplice e più rapida di quella del processo giudiziale.
La differenza fondamentale fra transazione e arbitrato è che nella transazione vi è un’auto-composizione o composizione diretta della controversia, cioè la lite è risolta direttamente dalle parti, mentre nell’arbitrato vi è un etero-composizione della controversia, cioè la lite è risolta da un terzo (arbitro).
In una posizione intermedia tra la transazione e l’arbitrato si pone la conciliazione.
Ci sono delle similitudini e delle differenze sia con la transazione che con l’arbitrato:

  • in relazione alla transazione, la similitudine è che entrambe sono strumenti di composizione diretta della lite ad opera delle parti; le differenze sono che nella conciliazione l’accordo tra le parti deve essere raggiunto con la presenza e l’intervento attivo di un terzo (conciliatore), e che mentre nell’accordo transattivo vi è una reciproca concessione, nella definizione conciliatoria può esserci anche una rinuncia integrale di una delle parti;
  • in relazione all’arbitrato, la similitudine è che entrambi richiedono l’intervento di un terzo per la composizione della lite (arbitro e conciliatore); le differenze sono che mentre l’arbitro risolve la lite in base al potere conferitogli dall’accordo compromissorio, il conciliatore si limita solo a formulare un consiglio per favorire la conciliazione; altra differenza, è che sul piano strutturale, nell’arbitrato la manifestazione di volontà delle parti precede la decisione del terzo, mentre nella conciliazione il consiglio del conciliatore precede l’atto di autonomia privata con il quale le parti pongono fine alla lite.

3. L’arbitrato: la funzione e i vantaggi. L’accordo compromissorio ha un duplice contenuto:

  • uno abdicativi, in quanto vi è la rinunzia delle parti alla giurisdizione ordinaria;
  • uno attributivo, in quanto esso conferisce il potere di emettere una decisione a giudici privati prescelti dalle stesse parti.

L’accordo compromissorio può essere stipulato attraverso un contratto che ha ad oggetto il conferimento ad arbitri della composizione della lite, oppure attraverso una clausola compromissoria, contenuta in un contratto, con la quale le parti rimettono al giudizio di arbitri le eventuali e future controversie che potrebbero sorgere fra di loro.
I vantaggi dell’arbitrato sono: la celerità dei tempi, lo snellimento del procedimento processuale, la specializzazione degli arbitri in determinate materie, la riservatezza degli arbitri e la predeterminazione dei costi.
La differenza fra il giudice ordinario e l’arbitro è che il giudice ordinario giudica secondo diritto dando ragione ad una sola delle parti, l’arbitro giudica secondo equità contribuendo al mantenimento del rapporto fra le parti.
Allo stato attuale, l’arbitrato è molto diffuso nel settore commerciale, in quanto c’è una maggiore esigenza di certezza e celerità da parte dell’impresa; negli altri settori l’arbitrato trova difficoltà ad inserirsi soprattutto per l’eccessiva onerosità della procedura e per l’insufficiente diffusione della cultura dell’arbitrato.

4. L’arbitrato nella storia. L’arbitrato ha origini antichissime; basti pensare che sue prime tracce si trovano già nella mitologia greca, ma l’apice fu toccato durante l’età repubblicana dell’antica Roma.
L’arbitrato si componeva di 2 fasi: nella prima fase, le parti formulavano le reciproche pretese e contestazioni dinanzi al magistrato e nella seconda fase, l’arbitro scelto dalle parti raccoglieva le prove e pronunciava la sentenza. L’arbitrato ebbe poi fasi alterne durante la storia per poi essere ripreso dal legislatore italiano.

5. L’arbitrato nell’attuale normativa legislativa. La legge 5 gennaio 1994, n°25 recante “Nuove disposizioni” in materia di arbitrato. L’istituto dell’arbitrato sta diventando sempre più importante, infatti, basta vedere la sua frequente applicazione nella composizione delle controversie nelle operazioni economiche internazionali, nel diritto agrario, nelle controversie di natura europea, nella pubblica amministrazione, ecc…
Altro esempio che denota l’aumento dell’interesse del legislatore verso l’arbitrato è l’emanazione della legge n°25 del gennaio 1994, che assicurava all’arbitrato rituale una maggiore autonomia e un allineamento con i modelli stranieri di arbitrato.
Le più importanti innovazioni furono:

  • l’inosservanza del principio del contraddittorio è motivo di nullità del lodo;
  • la possibilità di stipulare validamente il compromesso e la clausola compromissoria sia mediante telegrafo o telescrivente e di stipulare la clausola compromissoria con un atto separato dal contratto;
  • l’onere per l’attore di proporre la domanda prima della costituzione del collegio arbitrale;
  • la possibilità di sostituire l’arbitro che ritarda o non adempie alle sue funzioni;
  • la sede dell’arbitrato è determinata dalle parti nel territorio italiano;
  • l’impugnabilità del lodo a prescindere dal suo deposito presso la cancelleria del tribunale;
  • l’inserimento di norme in materia di arbitrato internazionale.

6. Profili costituzionali: l’arbitrato volontario e l’arbitrato obbligatorio. L’arbitrato si distingue in: arbitrato obbligatorio, se la sua fonte è legge; arbitrato volontario, se la sua fonte è un atto negoziale (compromesso o clausola compromissoria) posto in essere dalle parti.
In Italia il tentativo del legislatore di introdurre forme di arbitrato obbligatorio per velocizzare il sistema giudiziario è stato definito incostituzionale dalla Corte Costituzionale, in quanto veniva violato il principio del diritto alla tutela giurisdizionale.
L’arbitrato è, quindi, considerato conforme alla Costituzione solo quando è dettato da una libera manifestazione di volontà delle parti di ricorrervi.

 

7. L’arbitrato irrituale, l’arbitraggio e la perizia contrattuale. L’arbitrato volontario si divide in arbitrato rituale, quando esso è regolato dal codice di procedura civile, e in arbitrato irrituale o libero, quando le parti, attraverso un mandato, affidano agli arbitri il compito di definire in via negoziale le contestazioni mediante una composizione amichevole che può essere una transazione o un negozio di accertamento.
Continuando, la decisione dell’arbitro irrituale non ha valore di titolo esecutivo, perché è un atto negoziale e può essere rimosso solo mediante gli ordinari mezzi di impugnazione e non può essere impugnato per nullità del lodo.
L’arbitrato libero o irrituale si divide in 2 tipi:

  • nel primo, gli arbitri decidono con un lodo irrituale contenuto in un atto separato dal mandato e dal fatto che le parti si impegnano ad osservarlo nel momento in cui hanno conferito l’incarico;
  • il secondo, l’arbitrato per biancosegno, è caratterizzato dal fatto che le parti consegnano un foglio sottoscritto bianco agli arbitri, i quali lo riempiranno con la loro decisione e tale atto risulterà come atto negoziale scaturente direttamente dalla volontà delle parti.

L’arbitraggio si ha quando le parti conferiscono ad un terzo (arbitratore) il compito di integrare un contratto tra loro concluso ma incompleto e non il compito di dirimere una lite.
La perizia contrattuale si ha quando le parti conferiscono ad una o più persone, scelte per la loro competenza tecnica, il compito di effettuare un accertamento tecnico che esse (le parti) si impegnano ad accettare preventivamente come se fosse espressione diretta della loro volontà.

8. Il dibattito sui criteri di distinzione tra arbitrato rituale ed arbitrato irrituale. In merito alla differenza tra arbitrato rituale ed arbitrato irrituale, ci sono due autorevoli dottrine contrastanti:

  • la prima dottrina individua tale differenza nel fatto che gli arbitri rituali svolgono un’attività di giudizio al pari del giudizio ordinario, mentre gli arbitri irrituali si limitano a compiere un atto di volontà negoziale in sostituzione delle parti;
  • la seconda dottrina individua, invece, tale differenza nel fatto che il lodo rituale può essere impugnato per i motivi previsti dalla legge, mentre il lodo irrituale è impugnabile solo secondo le regole dettate dal codice civile in materia di negozi invalidi; solo il lodo rituale può essere depositato presso la cancelleria del tribunale competente per renderlo titolo esecutivo a differenza del lodo irrituale.

In conclusione, la differenza si denota solo sugli effetti ulteriori come l’esecutorietà del lodo rituale e non sugli effetti naturali, perché entrambi i tipi di arbitrato dirimono una controversia e la decisione degli arbitri è vincolante per le parti.
9. La natura giuridica dell’arbitrato. A differenza dell’arbitrato irrituale di cui è certa ed indiscussa la sua natura privatistica, per l’arbitrato rituale vi è un’accesa discussione fra 2 scuole di pensiero:

  • da una parte ci sono coloro che ritengono l’arbitrato rituale di natura privatistica, in quanto il potere decisionale degli arbitri è stato conferito a questi direttamente dalle parti;
  • dall’altra parte ci sono coloro che ritengono l’arbitrato rituale di natura giurisdizionale, in quanto il lodo rituale ha la stessa efficacia esecutiva della sentenza del giudice ordinario.

In conclusione, la dottrina ritiene che l’arbitrato rituale abbia una doppia anima: una privatistica e una giurisdizionale.

 

 

 

CAPITOLO SECONDO – LA FONTE DEL GIUDIZIO
ARBITRALE: L’ACCORDO COMPROMISSORIO

1. L’Accordo compromissorio quale fonte dell’arbitrato nelle forme di manifestazione del compromesso e della clausola compromissoria. Con l’accordo compromissorio le parti rimettono ai giudici, da loro nominati, la decisione su una controversia nata tra loro.
Tale accordo è espressione dell’autonomia negoziale e richiede il consenso di tutte le parti contendenti, in quanto non è ammissibile precludere ad una di esse di ricorrere alla tutela giurisdizionale.
L’accordo compromissorio si manifesta attraverso il compromesso e la clausola compromissoria. La differenza fa i due è puramente sul piano temporale, perché:

  • con il compromesso le parti fanno decidere ad arbitri la controversia fra loro già insorta;
  • con la clausola compromissoria le parti, in sede di conclusione di un contratto, stabiliscono preventivamente che le future ed eventuali controversie nascenti dal medesimo contratto siano decise da arbitri da loro nominati.

Altra differenza tra il compromesso e la clausola compromissoria consiste nell’oggetto dell’accordo, perché se il compromesso ha un oggetto ben determinato, ossia la lite appena sorta, la clausola compromissoria ha un oggetto determinabile, cioè può riguardare tutte le controversie che potrebbero nascere; tuttavia, le parti possono circoscrivere gli effetti della clausola compromissoria soltanto a determinate categorie di liti.

 

2. Funzione del compromesso e della clausola compromissoria. Il compromesso e la clausola compromissoria presentano naturali aspetti comuni come la funzione, la natura giuridica, gli effetti e la disciplina.
La funzione tipica dell’arbitrato è quella di esprimere la libertà delle parti di derogare ad arbitri da loro nominati la composizione di una lite rinunciando alla tutela giurisdizionale.


3. La natura giuridica dell’accordo compromissorio e della distinta figura del contratto di arbitrato. Per quanto riguarda la natura giuridica del compromesso e della clausola compromissoria, la dottrina e la giurisprudenza sono concordi ad assegnare a questi due una natura di negozio con effetti processuali; infatti, l’accordo compromissorio è considerato come una contratto.
Una differenza importante è quella fra l’accordo compromissorio e il contratto di arbitrato, perché l’accordo compromissorio è il contratto che disciplina il rapporto tra le parti contendenti, il contratto di arbitrato è il contratto che regola il rapporto tra le parti in causa e gli arbitri.
Per quanto riguarda la natura giuridica del contratto di arbitrato, la dottrina più recente attribuisce a quest’ultima la natura di ufficio privato.
L’ufficio privato si ha quando un soggetto, il titolare dell’ufficio, è chiamato a svolgere un’attività che riguarda più soggetti di pari grado, di pari diritti ed obblighi e, nell’esercizio della sua funzione tale soggetto non deve ubbidire ad alcuno degli interessati, ma solo alla normativa relativa alla funzione assegnatagli.

 

4. Gli effetti del compromesso e della clausola compromissoria. L’effetto fondamentale dell’accordo compromissorio è quello di rimettere ad un arbitro la decisione di una controversia e, quindi, di precludere la competenza del giudice ordinario.
Tale regola non è assoluta, perché le parti possono decidere di sciogliere l’accordo per mutuo consenso in forma scritta.
L’effetto preclusivo dell’accordo compromissorio non è mai vincolante per le controversie in materia di lavoro: vi è, invece, l’effetto preclusivo per una sola delle parti contendenti nel caso della clausola compromissoria unilateralmente obbligatoria, con cui una delle parti rimane vincolata alla sua dichiarazione di voler rinunciare alla tutela giurisdizionale e l’altra è libera di scegliere tra l’azione degli arbitri o l’azione giurisdizionale.
Tale clausola è valida, in quanto considerata come un contratto di opzione.
Il vincolo dettato dall’accordo compromissorio si estende, oltre ai contendenti, anche ai successori: infatti, salvo diversa determinazione, con la cessione del contratto avviene anche la cessione della clausola compromissoria.

 

5. L’eccezione di compromesso. Nel momento in cui le parti hanno stipulato fra di loro un accordo compromissorio e una di queste si rivolge al giudice ordinario per la risoluzione della controversia tra loro sorta, quest’ultimo non può rilevare d’ufficio la sua incompetenza, ma è onere dell’altra parte compromittente convenuta in giudizio ad opporre l’eccezione di compromesso, intesa come eccezione di incompetenza del giudice ordinario in favore degli arbitri.
Tale eccezione deve essere opposta nei termini convenuti affinché il giudice possa dichiarare improponibile ed improseguibile l’azione giudiziale, altrimenti nel caso di opposizione mancata o non tempestiva, s’intenderà una rinuncia tacita dell’accordo compromissorio e resterà ferma la competenza del giudice ordinario.
In merito al comportamento del giudice adito, verso cui è stata sollevata l’eccezione di compromesso, la dottrina prevalente asserisce che il giudice, al fine di pronunciarsi sull’eccezione, debba necessariamente sindacare la validità dell’accordo compromissorio e, nel momento in cui è verificato la sua nullità, egli debba conservare la causa presso di sé.
6. La disciplina del negozio compromissorio. Per la disciplina dell’accordo compromissorio vengono prese in considerazione sia alcune norme del codice di procedura civile in materia di arbitrato e sia alcune norme del codice civile in materia di contratto, in quanto l’accordo compromissorio è un contratto.

 

7. La forma. Per quanto riguarda la forma, il compromesso è disciplinato dall’art. 807 c.p.c. che si divide in 2 commi:

  • il primo comma asserisce che il compromesso deve essere fatto per iscritto, pena la nullità, perché è necessario responsabilizzare le parti circa la loro decisione di rinunciare alla tutela giurisdizionale;
  • il seconda comma asserisce che la forma si ritiene rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo o telescrivente, comprendendo anche il telefax e la posta elettronica.

L’art. 807 c.p.c., come disciplina l’art. 808 c.p.c., vale anche per la clausola compromissoria e, quindi, anche essa deve avere la forma scritta.
Secondo un’autorevole dottrina la forma scritta delle clausola compromissoria deve considerarsi ad substantiam, ossia a pena di nullità, quando tale clausola è relativa ad un contratto da concludere in forma solenne; mentre è da considerarsi ad probationem, quando assolve solo fini probatori.
Tale tesi vale per l’arbitrato irrituale, mentre per l’arbitrato rituale la forma scritta della clausola compromissoria è da considerarsi rigorosamente ad substantiam.
In relazione all’arbitrato rituale, la forma scritta dell’accordo compromissorio è valida anche quando la volontà negoziale delle parti è sottoscritta in documenti separati, ma inscindibili; per quanto riguarda la clausola compromissoria, essa è validamente accettata per comportamento concludente, solo nel caso in cui la volontà risulti inequivocabilmente manifestata in una dichiarazione scritta.
Secondo la riforma dell’art. 808 c.p.c., la clausola compromissoria può essere formalizzata anche in un atto separato antecedente il contratto stesso.
La clausola compromissoria può essere inserita anche in contratti con condizioni generali o in moduli o formulari.
È considerata una clausola vessatoria solo quando presenta i caratteri tipici delle condizioni generali di contratti (es: la predisposizione unilaterale da parte di uno dei contraenti) e quindi per la sua validità, è necessaria una specifica sottoscrizione.

 

8. Il contenuto. Per quanto riguarda il contenuto, i suoi requisiti sono disciplinati dagli art. 806 e 808 c.p.c. a pena di nullità e sono essenzialmente due: la determinazione dell’oggetto della controversia e la possibilità di deferire la decisione ad arbitri.
Inoltre l’art. 809 c.p.c. disciplina che il compromesso e la clausola compromissoria debbano contenere la nomina degli arbitri, oppure stabilire il loro numero e il modo di nomina, pena l’intervento del Presidente del Tribunale competente e non più la nullità.
L’oggetto della controversia è definito dai quesiti posti agli arbitri dalle parti; esso è:

  • determinato per il compromesso, in quanto riguarda una lite già sorta;
  • determinabile per la clausola compromissoria, perché riguarda tutte le possibili e future liti che potrebbero nascere, oppure tutte le liti di una determinata materia.

Circa la possibilità di deferire la decisione ad arbitri, in base all’art. 806 c.p.c., le parti non possono deferire al giudizio di arbitri le controversie in materia di lavoro, di previdenza e di assistenza obbligatoria, in materia di stato e di separazione personale dei coniugi e le controversie che non possono formare oggetto di transazione.
L’art. 808 c.p.c. disciplina, comunque, che le controversie in materia di lavoro possono essere risolte da arbitri, purché vengano rispettati i limiti come la derogabilità dell’accordo compromissorio, come autorizzare gli arbitri a giudicare secondo equità, ecc…., pena la nullità della clausola compromissoria.

 

9. La disciplina del compromesso e della clausola compromissoria alla luce del codice civile. Il compromesso e la clausola compromissoria sono disciplinati dal IV Libro del Codice Civile, che regola i contratti in generale.

 

10. Il regime di invalidità dell’accordo compromissorio. L’accordo compromissorio è nullo se mancano o non sono rispettati i requisiti di forma e di contenuto. In particolare:

  • il compromesso è nullo quando è stipulato in forma orale, o riguarda una controversia indeterminabile, o che non può essere oggetto di arbitrato;
  • la clausola compromissoria è nulla quando prevede criteri non imparziali per le parti circa la nomina degli arbitri.

L’accordo compromissorio nullo non produce effetti ed è insanabile: le parti possono rivolgersi presso l’autorità giudiziaria per dirimere la lite.
Per la clausola compromissoria, la riforma del 1994 ha introdotto il principio secondo cui la validità di quest’ultima deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce; infatti, la nullità di uno (contratto o clausola compromissoria) non invalida l’altro, anche se non è escluso che l’invalidità possa riguardare entrambi come nel caso di un vizio del consenso.
L’accordo compromissorio è annullabile per difetto del consenso nei casi di vizi della volontà come violenza, dolo ed errore e per difetto di capacità di uno dei contraenti.
Tale annullabilità può essere chiesta solo dalla parte legittimata e, fino a quando non viene pronunciata la sentenza di annullamento, l’accordo compromissorio è efficace.
Per quanto riguarda la capacità dei contraenti a concludere un accordo compromissorio, bisogna fare una differenza fra persone fisiche e persone giuridiche:

  • persone fisiche ® il potere di stipulare un accordo compromissorio spetta ai rappresentanti legali specifici;
  • persone giuridiche (es: società commerciali) ® il potere di stipulare un accordo compromissorio spetta agli amministratori muniti di poteri rappresentativi nel rispetto della legge o dell’atto costitutivo; per quest’ultimo caso delle persone giuridiche, la riforma del 1994 ha stabilito che il potere di stipulare il contratto comprende anche il potere di stipulare la clausola compromissoria per gli amministratori autorizzati dalle delibere assembleari.

L’invalidità dell’accordo compromissorio è causa di invalidità del lodo e, anche quando la decisione arbitrale è emanata lo stesso, la parte legittimata può esperire le varie azioni per rimettere in discussione tale decisione.

 

11. l’interpretazione dell’accordo compromissorio. L’interpretazione è l’operazione logico-giuridica che accerta la comune intenzione delle parti nell’accordo compromissorio. Tale interpretazione si risolve in due problemi:

  • il primo problema è di verificare se la controversia rientri o meno nella sfera giuridica degli arbitri: in particolare, quando la clausola compromissoria riguarda tutte le possibili controversie che potrebbero sorgere, queste cmq devono avere la loro fonte nel contratto attinente e non possono riguardare la responsabilità aquiliana (extracontrattuale). In caso di dubbi interpretativi la controversia viene risolta dal giudice ordinario;
  • il secondo problema è di stabilire se l’arbitrato sia rituale o irrituale: secondo la dottrina, la natura del contratto va desunta dalla volontà delle parti e nel caso di dubbi interpretativi l’arbitrato viene ritenuto irrituale.

 

CAPITOLO TERZO – L’ARBITRATO SECONDO DIRITTO E SECONDO EQUITA’

 

1. L’arbitrato secondo equità. Uno dei vantaggi dell’arbitrato è che gli arbitri possono essere abilitati dalle parti a pronunciarsi secondo equità e non secondo diritto al fine di recuperare i rapporti, soprattutto economici e commerciali, tra le parti.
Difatti, l’art. 522 c.p.c. afferma che gli arbitri devono decidere sempre secondo le norme di diritto, salvo nei casi in cui le parti li hanno autorizzati a deliberare secondo equità: quindi, nell’arbitrato il giudizio secondo diritto è la regola, il giudizio secondo equità è l’eccezione.
La facoltà delle parti di autorizzare gli arbitri a decidere secondo equità è preclusa, però, alle controversie in materia di lavoro, pena la nullità.
Le parti autorizzano gli arbitri a pronunciare il lodo secondo equità mediante la locazione “amichevoli compositori” o attraverso la dichiarazione di non impugnabilità.
Secondo l’orientamento prevalente, la differenza fra giudizio secondo diritto e secondo equità sta nel fatto che mentre il primo segue criteri e norme generali già presenti, il giudizio secondo equità segue norme caratteristiche dell’ambiente sociale e culturale.

 

2. I limiti del giudizio equitativo degli arbitri. Gli arbitri, sia che pronunciano secondo diritto che secondo equità, sono tenuti a rispettare le regole procedimentali fissate dalle parti e dai principi del processo, come il rispetto del contraddittorio.
Un altro obbligo cui sono tenuti gli arbitri è l’obbligo di motivazione del lodo a pena di nullità sia che gli arbitri abbiano deciso secondo diritto che secondo equità.
L’impugnazione del lodo per nullità è ammessa quando sono violate le norme di diritto, salvo nel caso in cui le parti hanno autorizzato gli arbitri a pronunciarsi secondo equità o hanno dichiarato il lodo non impugnabile; tuttavia, tale preclusione non è valida nel caso in cui sono violate le norme di ordine pubblico.

 

5. La deliberazione del lodo sulla base di un criterio diverso da quello stabilito dalle parti. Quando gli arbitri giudicano una controversia con parametri diversi da quelli fissati dalle parti, queste ultime possono impugnare il lodo e sottoporlo ad un giudizio di nullità.
Ci sono due casi di eccesso di potere degli arbitri:

  • primo caso ® gli arbitri decidono secondo diritto pur essendo stati autorizzati dalle parti a decidere secondo equità: in questo caso il lodo è impugnabile, salvo che la decisione secondo diritto coincida con quella secondo equità e tale coincidenza deve essere motivata dagli arbitri;
  • secondo caso ® gli arbitri decidono secondo equità pur non essendo stai autorizzati dalle parti: il lodo è nullo per eccesso di potere.

 

 

CAPITOLO QUARTO – GLI ARBITRI

 

1. La nomina degli arbitri. L’art. 809 c.p.c. disciplina il procedimento di nomina degli arbitri: “Gli arbitri devono essere uno o più di uno purché in numero dispari; l’accordo compromissorio deve contenere il numero di essi o il modo di nominarli; in caso di numero pari, l’ulteriore arbitro è nominato dalle parti o dal Presidente del Tribunale secondo l’art. 810 c.p.c.; nel caso manchi il numero degli arbitri o le parti non convengono alla decisione, gli arbitri sono 3 e, in mancanza di nomina fatta dalle parti, provvede il Presidente del Tribunale secondo l’art. 810 c.p.c.”.
La nomina degli arbitri è facoltà delle parti ed è necessario il consenso di tutti: tuttavia, le parti, attraverso un mandato collettivo, possono rimettere la nomina ad un terzo.
Gli effetti della nomina da parte del terzo ricadranno esclusivamente nella sfera giuridica dei mandanti-parti.

 

2. L’atto di nomina: forma e requisiti. Non sussistono problemi di forma scritta quando la nomina è contestuale all’accordo compromissorio; invece, è richiesta la forma scritta nel momento in cui la nomina non è contestuale all’accordo.
Tuttavia, anche se non imposta da nessuna norma giuridica, è più consono rispettare la forma scritta per la nomina, al fine di poterla ricercare in qualche documento qualora ve ne sia la necessità.

 

3. Il numero degli arbitri e gli arbitri di parte. Il collegio arbitrale deve essere formato da un numero dispari di arbitri per due motivi:

  • il primo motivo è che in questo modo, anche in caso di disaccordo, si perverrà comunque ad una decisione mediante la maggioranza dei voti;
  • il secondo motivo è quello di assicurare l’imparzialità del collegio.

Quando gli arbitri non sono d’accordo sulla nomina di un arbitro ulteriore o in caso di inerzia delle parti, la nomina viene fatta dal Presidente del Tribunale, come detta la riforma del ’94; la sua nomina, secondo la dottrina, è un atto amministrativo con forma giurisdizionale.

4. Gli arbitri e l’imparzialità. Il principio ispiratore dell’arbitrato è l’imparzialità. Tuttavia, tale imparzialità viene messa in discussione quando si parla di arbitri di parte, ossia quegli arbitri nominati da ognuna delle parti i quali, pur agendo secondo lealtà, fanno venir meno la fiducia sulla loro imparzialità (sembrerebbe poco logico che tali arbitri deliberino contro la parte che li ha nominati). Quindi la decisione sulla controversia spetta all’arbitro ulteriore nominato da entrambe le parti. In merito a ciò vi sono due orientamenti:

  • da una parte vi sono coloro che sostengono che debba essere conservato il potere di nomina per le parti;
  • dall’altra, coloro che sostengono la rinuncia alla figura dell’arbitro di parte.

Una soluzione al problema potrebbe essere quella di affidare la nomina degli arbitri ad un terzo scelto dalle parti.
Il problema dell’imparzialità si pone sia per l’arbitrato rituale che per quello libero; la dottrina, comunque, ritiene che gli arbitri di parte sono soggetti alla clausola generale del dovere di buona fede, che li obbliga a comportarsi con lealtà ed onestà.

 

5. Gli arbitri: requisiti. L’art. 812 c.p.c. dispone che gli arbitri possono essere sia cittadini italiani che stranieri e che non possono essere arbitri: i minori, gli interdetti, gli inabilitati, i falliti e coloro che sono interdetti dai pubblici uffici.
A queste limitazioni, le parti possono ulteriormente prevedere con l’accordo compromissorio che gli arbitri debbano avere particolari requisiti come, ad esempio, l’iscrizione in determinati albi professionali.
Anche le persone giuridiche sono interdette dall’essere nominate arbitri in quanto viene a mancare il rapporto di fiducia tra arbitro e parte e, inoltre, il c.p.c. prevede esclusivamente la nomina di arbitro ai cittadini intesi come persona fisica.
I dipendenti pubblici possono essere nominati arbitri solo previa autorizzazione del Ministero; mentre i magistrati possono essere nominati arbitri solo quando una delle parti è l’amministrazione dello Stato o azienda ed ente pubblico e previa autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura.

 

6. L’accettazione della nomina e l’instaurazione del procedimento. L’accettazione degli arbitri deve essere fatta per iscritto a pena di nullità e può risultare anche dalla sottoscrizione del compromesso: tale accettazione deve riguardare tutti gli arbitri e tutte le parti.
Gli arbitri investititi dalle parti hanno il diritto e il dovere di svolgere la propria attività fino alla conclusione del processo e devono pronunciare il lodo entro il termine stabilito dalla legge.

 

7. Gli obblighi degli arbitri e le responsabilità. Gli arbitri hanno l’obbligo di emettere il lodo entro i termini fissati: sono tenuti al risarcimento del danno alle parti qualora siano inadempienti e il lodo è dichiarato nullo.
Gli arbitri sono tenuti al risarcimento del danno anche quando rinunciano al loro incarico senza un legittimo motivo: in questo caso concorrono sia la responsabilità contrattuale che quella personale.
Rientra nel campo della responsabilità personale il risarcimento del danno quando gli arbitri, per un loro comportamento chiaramente omissivo, non permettono la conclusione del procedimento.
Gli arbitri sono tenuti a risarcire il danno emergente e il lucro cessante, oltre alla restituzione del compenso: tuttavia gli arbitri non sono tenuti alla restituzione del compenso quando il lodo, regolarmente deliberato, è stato annullato in sede d’impugnazione.

 

8. Diritto al compenso ed al rimborso delle spese. Gli arbitri hanno il diritto al rimborso delle spese e a ricevere l’onorario per l’opera prestata, salvo che non vi abbiano espressamente rinunciato al momento dell’accettazione o con atto scritto successivo.
La legge non determina il compenso da dare agli arbitri, in quanto questo deve essere determinato in base all’opera prestata; per i professionisti, i parametri di determinazione del compenso rispettano le tariffe prefissate.
Le parti sono tenute solidalmente fra loro, salvo rivalsa, al pagamento dell’onorario e al rimborso delle spese. Nel momento in cui gli arbitri provvedono direttamente alla liquidazione (determinazione) delle spese e dell’onorario, questa non è vincolante per le parti, perché, in caso di disaccordo fra gli arbitri e le parti, la determinazione sarà fatta dal Presidente del Tribunale con un’ordinanza non impugnabile.

 

9. Sostituzione e ricusazione degli arbitri. Qualora vengano a mancare tutti o parte degli arbitri, questi vengono sostituiti secondo quanto stabilito dall’accordo compromissorio e, nel caso la parte interessata o il terzo non vi provveda e l’accordo non dispone nulla in merito, la nomina viene fatta dal Presidente del Tribunale.
I motivi che possono rendere necessaria la sostituzione sono la morte, la rinuncia, l’incapacità sopravvenuta e la ricusazione.
La ricusazione può essere fatta da una delle parti nei confronti dell’arbitro da essa non nominato (nominato dall’altra parte) nel momento in cui questi abbia un interesse nella causa oppure sia parente di una delle parti oppure ecc…
I termini per presentare la ricusazione sono di 10 giorni dalla notificazione della nomina e dalla conoscenza della causa di ricusazione. Sembra strano che sia esclusa la possibilità per la parte di ricusare un arbitro da lei stesso nominato. Quando viene presentata la ricusazione, il processo viene sospeso fino a decisione del Presidente del Tribunale.

 

10. Rapporto parti-arbitri: mandato o manus publicum. Per quanto riguarda la nomina del rapporto che si instaura tra gli arbitri e le parti ci sono due orientamenti contrastanti:

  • il primo ritiene tale rapporto come un mandato, in quanto gli atti giuridici posti in essere dagli arbitri producono i loro effetti direttamente nella sfera giuridico-patrimoniale del mandante (la parte);
  • il secondo lo ritiene come un rapporto di diritto pubblico, in quanto la responsabilità degli arbitri circa l’obbligo di pronunciarsi entro i termini stabiliti trova il suo fondamento, più che nell’inadempimento, nel non rispetto del manus publicum (dovere pubblico).

CAPITOLO QUINTO – IL PROCEDIMENTO ARBITRALE

 

1. Il procedimento arbitrale e l’autonomia decisionale delle parti. Il procedimento

arbitrale è una serie di atti che si conclude con la pronuncia del lodo con cui gli arbitri risolvono una lite sottoposta alla loro attenzione (cognizione).
La normativa codicistica dell’arbitrato considera le soli fasi della costituzione del collegio arbitrale e della decisione, in quanto la fase della scelta della disciplina da attuare per la deliberazione del lodo è rimessa all’autonomia decisionale delle parti.
Tale autonomia decisionale delle parti può risolversi in tre alternative:

  • le parti indicano direttamente le norme che gli arbitri devono seguire;
  • le parti rimettono la determinazione delle norme agli arbitri;
  • le parti possono ricorrere ai regolamenti già predisposti dagli enti specializzati nell’istituto dell’arbitrato.

Nei primi due casi si parla di arbitrato ad hoc, in quanto sono le parti o, in loro mancanza, gli arbitri a dettare la normativa; nel terzo caso si parla di arbitrato amministrato o istituzionale, in quanto il procedimento è regolato dalle norme dettate dagli enti predisposti nell’amministrazione dell’arbitrato.

 

2. L’arbitrato amministrato. Una volta scelto l’arbitrato per la risoluzione di una lite, devono decidere se avvalersi dell’arbitrato ad hoc o di quello amministrato.
Quando le parti scelgono l’arbitrato amministrato, decidono che il procedimento arbitrale sia regolato dalle norme e dai regolamenti predisposti dagli organismi arbitrali.
Questa scelta non paralizza in modo totale l’autonomia negoziale delle parti, perché esse possono anche nominare gli arbitri, scegliere tra arbitrato rituale o irrituale, ecc…
Nell’arbitrato amministrato, gli organismi arbitrali intervengono non solo sul piano organizzativo, come la gestione logistica del procedimento, nomina di un terzo arbitro per assicurare l’imparzialità, determinare il pagamento dell’onorario e le spese, ecc…, ma anche sul piano sostanziale, ad es: come verificare la ricusazione, ecc….
È opportuno precisare che gli organismi arbitrali non svolgono la funzione di arbitri.
I vantaggi dell’arbitrato amministrato sono di una maggiore garanzia di imparzialità, di professionalità e di correttezza in giudizio.
Il rapporto organismi arbitrali-parti è considerato un mandato collettivo con rappresentanza, perché gli organismi arbitrali nominano il terzo arbitro in nome delle parti; il rapporto organismi arbitrali-arbitri è considerato un rapporto contrattuale.   

 

3. Brevi cenni sull’arbitrato amministrato nell’esperienza internazionale e italiana. L’arbitrato è molto applicato in campo internazionale come, ad esempio, l’arbitrato amministrato offerto dalla Camera di Commercio Internazionale di Parigi; in Italia, invece, gli organismi arbitrali più importanti solo le Camere Arbitrali istituite dalle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura.


4. L’arbitrato ad hoc. L’arbitrato ad hoc è il procedimento arbitrale maggiormente diffuso per quanto riguarda la composizione stragiudiziale delle controversie.
Si ha quando le parti stabiliscono nel compromesso, nella clausola compromissoria o in un atto scritto separato e anteriore all’inizio del procedimento arbitrale, le norme che gli arbitri devono rispettare; se le norme non sono stabilite dalle parti, gli arbitri hanno la facoltà di svolgere il procedimento arbitrale nel modo che ritengono più opportuno, purché le norme scelte siano determinate subito dopo la costituzione del collegio.
Il limite dell’arbitrato ad hoc è che le parti non conoscono preventivamente i criteri di determinazione dell’aspetto economico del procedimento arbitrale; il vantaggio è che le parti possono autoregolamentare il procedimento arbitrale.

 

5. I limiti del potere regolamentare delle parti e degli arbitri. Sia le parti che gli arbitri, nella determinazione delle regole del giudizio arbitrale devono necessariamente rispettare determinati principi, come il principio al diritto di difesa, il principio dell’imparzialità, ecc.
Uno dei principi più importanti è sicuramente il principio del contraddittorio, secondo cui le parti hanno il diritto di esporre la propria tesi, di sostenere le proprie ragioni, di presentare documenti nel rispetto dei termini, di conoscere le osservazioni e la difesa dell’altra parte, ecc. Nel momento in cui non si rispetta tale principio, il lodo può essere dichiarato nullo secondo impugnazione.
La rilevanza del principio del contraddittorio sta nel fatto che il procedimento arbitrale si qualifica come processo, in quanto le parti vi partecipano in condizione di simmetrica parità. Inoltre, la dottrina e la giurisprudenza si trovano in disaccordo, in merito all’arbitrato irrituale, perché la dottrina ritiene che il contraddittorio debba essere sempre garantito, mentre la giurisprudenza ritiene che il contraddittorio debba essere rispettato solo se imposto dalle parti nel mandato agli arbitri.
Altro limite al potere delle parti e degli arbitri di regolamentare il procedimento arbitrale è quello secondo cui l’impugnazione per nullità del lodo è ammessa solo se non sono state rispettate le forme prescritte sotto pena di nullità, e quando tali cause di nullità non siano state rimosse.
Altro principio importante è quello della collegialità degli arbitri, secondo cui se gli arbitri delegano uno di loro a svolgere gli atti di istruzione, gli altri atti e operazioni devono essere compiuti da tutto il collegio arbitrale.

6. Le parti del giudizio arbitrale. Nel procedimento arbitrale distinguiamo da un lato gli arbitri, ossia coloro che sono chiamati a dirimere la controversia, e dall’altro lato le parti, ossia coloro che sono coinvolti nella controversia. Tuttavia, non necessariamente le parti coincidono con i soggetti che hanno originariamente stipulato l’accordo compromissorio: infatti, tale accordo può subire delle modificazioni soggettive tramite atti inter-vivos o mortis-causa.
Nel caso di contumacia, le parti si ritengono automaticamente presenti per effetto dell’accordo compromissorio.
La morte o l’incapacità sopravvenuta di una delle parti non provoca l’interruzione del processo, ma determina la proroga di 30 gg. del termine di emissione del lodo per consentire alla difesa del successore di partecipare attivamente al procedimento arbitrale.
In merito a tale fattispecie, la dottrina ritiene ammissibile l’intervento volontario di un terzo solo se vi è il consenso delle parti e se vengono rispettati i requisiti di forma del compromesso.
7. La sede del giudizio arbitrale. Secondo l’art 816 c.p.c. le parti possono determinare la sede dell’arbitrato nel territorio della Repubblica e, qualora non vi provvedano, la sede è determinata dagli arbitri in prima riunione. Le parti, tuttavia, possono decidere di far pronunciare il lodo all’estero, in quanto tale preclusione è stata abrogata.
La determinazione della sede è molto importante, perché definisce la competenza territoriale del Presidente del Tribunale per la nomina degli arbitri, in caso di inerzia delle parti, e la competenza della Corte d’Appello ai fini dell’impugnazione del lodo per nullità.

 

8. Le fasi del procedimento arbitrale. L’introduzione. Le fasi del procedimento arbitrale sono l’introduzione, l’istruttoria e la deliberazione del lodo: a queste fasi si aggiunge l’eventuale fase del deposito del lodo su iniziativa della parte interessata ad ottenere la dichiarazione di esecutività del lodo.
La fase dell’introduzione consta di due momenti che sono la presentazione della domanda di arbitrato e la costituzione del collegio arbitrale mediante accettazione della nomina da parte degli arbitri: la dottrina, comunque, ritiene che il procedimento arbitrale si instaura solo quando vi è l’accettazione della nomina da parte degli arbitri.
La domanda di arbitrato consiste nell’atto con cui una parte, nel momento in cui sorge la lite, dichiara la propria intenzione di ricorrere all’arbitrato e procede alla nomina degli arbitri per quanto le spetta.
Quindi, la domanda di arbitrato ha una triplice funzione, in quanto contiene la dichiarazione di volontà di un parte di ricorrere all’arbitrato, la nomina degli arbitri per quanto spetta alla parte e la descrizione dell’oggetto su cui si basa la controversia.
La notifica della domanda di arbitrato determina l’effetto interruttivo permanente della prescrizione, la quale riprende il suo corso quando il lodo è passato in giudicato o è dichiarato impugnabile.
Quando la controversia ha per oggetto beni immobili o mobili registrati, la parte che presenta la domanda di arbitrato ha l’onere di trascriverla per rendere opponibile il lodo a terzi che abbiano trascritto successivamente atti di acquisto aventi ad oggetto i beni della controversia. La ratio della retroattività della trascrizione del lodo ha il suo fondamento nella difesa della parte che ne esce vincitrice.
La parte che ha esposto la domanda di arbitrato può richiedere la tutela cautelare d’urgenza solo se ha notificato alla controparte la domanda di arbitrato nei termini stabiliti (30 gg.).
Nel momento in cui vi è l’accettazione degli arbitri, le parti possono dettare le regole del procedimento ed entro 180 gg. gli arbitri dovranno pronunciare il lodo.

9. L’istruttoria. L’istruttoria, sia per il giudizio ordinario che per quello arbitrale, è la fase dove viene ricostruito il fatto oggetto della lite mediante l’assunzione di mezzi di prova richiesti dalle parti o disposti d’ufficio dall’organo giudicante.
Per questa fase la disciplina dettata dal codice è scarna, perché prevede che solo gli atti di istruzione possano essere delegati dagli arbitri ad uno di essi e non l’assunzione delle prove, in quanto spetta all’organo collegiale.
L’attività probatoria deve rispettare le modalità dettate dalle parti e, in caso di inerzia di queste, l’attività è regolata dagli arbitri, fermo restando il rispetto dei principi generali del contraddittorio.

 

10. I singoli mezzi di prova: l’ispezione, l’ordine di esibizione di documenti e la richiesta di informazioni. La fase istruttoria del giudizio arbitrale non è del tutto simile a quella del giudizio ordinario, in quanto gli arbitri non hanno il potere d’imperio e, quindi, non possono disporre le ispezioni e gli ordini di esibire in giudizio cose o documenti.
Anche rispetto al terzo, gli arbitri non possono richiedere l’esibizione di cose, perché il difetto di coercitività esonera il terzo da tale obbligo e non consente agli arbitri di disporre dell’accompagnamento coattivo o di applicare sanzioni pecuniarie al terzo che si è rifiutato. L’assenza del potere d’imperio è, però, colmata dal procedimento di istruzione preventiva, con cui gli arbitri possono assumere direttamente quei mezzi di prova che il terzo si è rifiutato di presentare.

 

11. Le prove documentali. Le prove documentali consistono nell’atto pubblico e nella scrittura privata e sono rimesse all’attività di valutazione del giudice.
Tuttavia la loro efficacia probatoria può essere messa in discussione con la querela di falso per gli atti pubblici e con il giudizio di verificazione per la scrittura privata: in tali casi gli arbitri dovranno sospendere il giudizio se i documenti contestati hanno una rilevanza determinante.

 

12. Il giuramento. Il giuramento, che è una dichiarazione favorevole a chi la fa, è considerato inammissibile nel giudizio arbitrale, in quanto porterebbe a sanzioni penali e c’è un elevato rischio di spergiuro.

 

13. La testimonianza. La testimonianza è ammissibile in quanto la legge attribuisce agli arbitri la facoltà di assumere la testimonianza direttamente presso di loro o presso il testimone, previo suo consenso.
Gli arbitri, comunque, possono anche consentire al testimone di fornire per iscritto le risposte richieste: in merito a tale fattispecie, la dottrina è in una posizione contraria, in quanto verrebbe meno l’oralità e l’immediatezza della testimonianza e tali principi si considerano soddisfatti solo se vi è il consenso delle parti.

 

14. La confessione e l’interrogatorio. La confessione e l’interrogatorio sono ammessi nel giudizio arbitrale, in quanto rispettano il principio del contraddittorio: in particolare la confessione è qualificata giudiziale se resa in giudizio e non necessariamente dinanzi all’autorità giudiziaria. Confessione = dichiarazione sfavorevole a chi la fa.

 

15. La consulenza tecnica. Gli arbitri possono richiedere nel giudizio arbitrale l’ausilio di esperti per la definizione della lite. Per quanto riguarda tale consulenza tecnica la dottrina e la giurisprudenza si trovano in disaccordo, perché se la dottrina la ritiene ammissibile, la giurisprudenza, invece, ritiene inammissibile che gli arbitri rimettano a tecnici il compito di risolvere questioni di natura giuridica.


16. L’eccezione di incompetenza ai sensi dell’art. 817 c.p.c. L’art. 817 c.p.c. disciplina che nel corso del giudizio arbitrale una delle parti può ricorrere all’eccezione di incompetenza quando l’altra parte ha dato delle conclusioni che superano i limiti dell’accordo compromissorio. Nel caso in cui, però, la parte che poteva eccepire è rimasta inerte, il lodo non può essere impugnato per nullità.
L’art. 817 c.p.c. è collegato con l’art. 829 c.p.c. che disciplina le cause di nullità del lodo: tale collegamento si spiega nel fatto che il lodo è nullo se il superamento dei limiti è dipeso direttamente dagli arbitri; mentre il lodo può essere impugnato per eccezione d’incompetenza se il superamento dei limiti è dipeso indirettamente dagli arbitri.
L’eccezione di incompetenza va sollevata dinanzi al collegio arbitrale durante il procedimento arbitrale a pena di decadenza: la parte non può più sollevare tale eccezione quando essa è deceduta o quando la parte vi abbia rinunciato espressamente con una dichiarazione o con un comportamento concludente.

 

17. Le questioni incidentali. Durante il giudizio arbitrale possono insorgere delle questioni che per legge non possono essere definite mediante arbitrato e che gli arbitri considerano rilevanti, in quanto dalla loro soluzione dipende la decisione sulla controversia; tali questioni hanno il carattere dell’incompatibilità e della pregiudizialità.
In presenza di una questione incidentale, quindi, il collegio arbitrale sospende con ordinanza non revocabile il procedimento che riprenderà dopo con la notifica fatta dalla parte interessata agli arbitri della sentenza passata in giudicato che ha deciso sulla questione incidentale.
Il provvedimento di sospensione sospende la pronuncia del lodo fino alla riattivazione del giudizio arbitrale: nel caso in cui il termine che resta è inferiore a 60 gg., viene di diritto prorogato a 60 gg.

 

18. La connessione tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario. Quando si verifica la connessione di una causa sottoposta a giudizio arbitrale con una sottoposta a giudizio ordinario, l’art. 819 bis c.p.c. dispone che il collegio arbitrale può, comunque, condurre a termine il procedimento senza essere condizionato dal giudizio ordinario.
Tale disposizione è un’innovazione introdotta con la riforma del ’94, in quanto prima il giudizio arbitrale soccombeva rispetto al giudizio ordinario.

 

19. Il divieto posto agli arbitri di emanare provvedimenti cautelari. Durante il giudizio ordinario, la parte può ricorrere alla tutela cautelare al fine di evitare che nei tempi processuali il suo diritto possa essere pregiudicato e che la pronuncia del lodo possa essere vana.
Tale tutela non può essere offerta dagli arbitri e secondo l’art. 818 c.p.c. tale preclusione è inderogabile e assoluta. L’art. 818 c.p.c., tuttavia, non impedisce alle parti di richiedere la tutela cautelare dinanzi all’autorità giudiziaria sia prima che durante il giudizio arbitrale.


20. La sospensione, l’interruzione e l’estinzione del procedimento arbitrale. L’art. 820 c.p.c. prevede:

  • la sospensione, nel caso di ricusazione dell’arbitro e fino alla pronuncia sulla stessa; la sospensione si riferisce al termine per la decisione e non al giudizio;
  • l’interruzione, quando si procede alla sostituzione dell’arbitro venuto meno per recesso, scomparsa o ricusazione; il termine di deliberazione del lodo decorrerà ex novo;
  • l’estinzione, che può verificarsi per volontà delle parti, o mediante rinuncia e revoca del mandato riferito agli arbitri, o risolvendo il patto compromissorio, o stabilendo già preventivamente delle specifiche cause estintive del procedimento.

 

CAPITOLO SESTO – LA CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO ARBITRALE

1. La precisazione delle conclusioni definitive delle parti. Tra la fase istruttoria e quella decisoria vi è l’attività delle parti, le quali provvedono a presentare le rispettive conclusioni. Le conclusioni e, in generale, l’attività difensiva non devono essere necessariamente svolte in una o più udienze, perché le repliche e i documenti devono essere presentati entro i termini stabiliti. L’importanza è che sia rispettato il principio del contraddittorio a pena di nullità del lodo.

2. La decisione arbitrale: il lodo. Il lodo (dal latino laudum, approvazione del signore feudale) è la decisione presa dagli arbitri in merito alla controversia a loro sottoposta e rappresenta la conclusione naturale del giudizio arbitrale.
Il lodo, come la sentenza del giudice, può essere:

  • di merito, quando gli arbitri risolvono la lite pronunciandosi sulle domande poste dalle parti; i lodi di merito possono consistere in decisioni oltre che di accertamento anche di natura costitutiva, in quanto costituiscono, modificano o estinguono rapporti giuridici  fra le parti;
  • di rito, quando gli arbitri risolvono la lite basandosi sulla loro competenza;
  • definitivo, quando gli arbitri decidono in merito alla controversia e in merito alle questioni incidentali che precludono la prosecuzione del giudizio arbitrale;
  • non definitivo, è un lodo parziale, in quanto gli arbitri si pronunciano su una singola domanda o su una singola questione incidentale senza che il giudizio arbitrale sia concluso.

 

3. Il termine per la decisione. L’art. 820 c.p.c. fissa in 180 gg. il termine legale entro cui gli arbitri devono pronunciare il lodo: tale termine inizia a decorrere dall’ultima accettazione degli arbitri. Il termine è legale ed opera in via suppletiva all’inerzia delle parti, le quali potrebbero definire un tempo maggiore o minore.
Questo termine legale, però, è applicabile solo per l’arbitrato rituale, perché nell’arbitrato irrituale nel caso di inerzia delle parti, il termine è fissato dal giudice.
Affinché il termine legale o convenzionale possa essere ritenuto rispettato, è necessaria non solo la stesura, ma anche la sottoscrizione da parte di tutti gli arbitri.
La comunicazione può avvenire anche successivamente alla scadenza del termine, purché sia rispettato il termine dalla data dell’ultima sottoscrizione.


Il termine può essere sospeso o interrotto:

  • sospensione ® quando il giudizio arbitrale viene riattivato, il termine inizia di nuovo a decorrere per la parte residua;
  • interruzione ® quando il giudizio arbitrale viene riattivato, il termine inizia a decorrere ex novo.

La proroga è un prolungamento della durata del termine, e può essere:

  • legale, in quanto la legge prevede che, in caso di morte di una delle parti, il termine venga differito di 30 gg.; per il  giudizio ordinario, invece, in caso di morte o di incapacità sopravvenuta di una delle parti, il processo viene interrotto;
  • convenzionale, quando è frutto della decisione delle parti, purché risulti per iscritto ed esse possano determinare anche la durata della proroga.

La proroga del termine può essere deliberata anche dal collegio arbitrale, purché rientri nei casi e nei limiti previsti dalla legge.
Qualora gli arbitri deliberino il lodo senza rispettare i termini prefissati, la parte interessata può impugnare il lodo solo se prima della deliberazione ha notificato alle altre parti e agli arbitri la volontà di far valere la loro decadenza del potere di decisione.

 

4. La deliberazione e i requisiti del lodo. L’art. 823 c.p.c. stabilisce il principio della necessaria presenza di tutti gli arbitri in sede di deliberazione e sancisce che, in casi di pluralità di arbitri, il lodo debba essere deliberato a maggioranza dei voti.
Quindi, la conferenza personale degli arbitri è requisito necessario solo per la deliberazione del lodo e non anche, ad esempio, per lo studio di particolari aspetti della lite.
Qualora un arbitro ammetta o ritardi di compiere un atto relativo alle sue funzioni, può essere sostituito in base alle disposizioni dell’art. 813 cpc.
Il lodo deve essere redatto per iscritto e deve contenere:

  • l’indicazione delle parti;
  • l’indicazione del compromesso o della clausola compromissoria;
  • l’esposizione sommaria dei motivi;
  • il dispositivo;
  • l’indicazione della sede dell’arbitrato e del luogo o del modo in cui è stato deliberato;
  • la sottoscrizione di tutti gli arbitri con l’indicazione del giorno, mese e anno in cui tale sottoscrizione è stata apposta.

La sottoscrizione, invece, può essere apposta anche in luogo diverso da quello della deliberazione e nel caso manchino le sottoscrizioni di arbitri che non hanno voluto o potuto apporle, il lodo è valido, purché vi sia la sottoscrizione della maggioranza degli arbitri, la deliberazione in conferenza personale di tutti gli arbitri e la motivazione della mancanza di sottoscrizione degli arbitri.
Gli arbitri devono redigere il lodo in tanti originali quante sono le parti e hanno l’obbligo di comunicare per ciascuna di esse entro il termine di 10 gg. dall’ultima sottoscrizione; il ritardo della comunicazione è fonte di responsabilità degli arbitri.


5. L’efficacia del lodo. L’efficacia del lodo è materia di un acceso dibattito e per comprenderlo al meglio bisogna rifarci alla prima normativa e alle 2 seguenti riforme:

  • la normativa originaria imponeva che il lodo fosse depositato entro 5 gg. dalla pronuncia nella Cancelleria del Pretore competente, il quale conferiva al lodo l’efficacia esecutiva, altrimenti il lodo non avrebbe avuto alcun effetto;
  • la riforma dell’83 imponeva che il lodo fosse efficace tra le parti a prescindere dal deposito, che il deposito fosse facoltativo per la parte interessata entro 1 anno dalla pronuncia e lasciava invariata la regola secondo cui il lodo produce effetti solo dopo il decreto di esecutività del Pretore;
  • la riforma del ’94 imponeva la facoltà della parte interessata di depositare il lodo in qualsiasi momento, abrogava l’obbligatorietà di far conferire dal Pretore l’esecutività al lodo, sostituiva il termine “sentenza arbitrale” con quella di “lodo”; dettava le norme per l’impugnazione del lodo.

Anche la riforma del ’94 lasciava inalterata la differenza fra efficacia vincolante ed efficacia esecutiva:

  • circa l’efficacia vincolante, il lodo è vincolante per le parti a prescindere dal deposito;
  • circa l’efficacia esecutiva, il lodo è titolo esecutivo solo dopo il deposito e la dichiarazione di esecutorietà, permettendo l’esecuzione forzata della decisione degli arbitri, la sua trascrivibilità e la possibilità di iscrizione di ipoteca giudiziale.

 

6. Il deposito e l’omologazione del lodo. Il lodo acquista efficacia esecutiva solo dopo il suo deposito, insieme a quello dell’accordo compromissorio, presso il Tribunale competente: il deposito ha la funzione di chiedere domanda di omologazione del lodo, con cui la parte chiede al giudice di accertare la validità del lodo e ne dichiara l’esecutività.
Il giudice, tuttavia, non può valutare la regolarità del procedimento o della nomina degli arbitri, al fine di evitare che ci siano lungaggini per la procedura di omologazione.
Qualora il giudice, mediante un provvedimento, rifiuti di deliberare l’esecutorietà del lodo, la parte interessata può impugnare tale provvedimento mediante reclamo entro 30 gg. dalla comunicazione e il collegio del Tribunale, sentite le parti, provvede con ordinanza non impugnabile; non può essere impugnato, invece, il decreto che dichiara esecutivo il lodo.


CAPITOLO SETTIMO – LA CORREZIONE DEL LODO

1. Cenni in tema di correzione del lodo. Per quanto riguarda la correzione del lodo, anche se ci sono ancora accese discussioni, l’art. 826 c.p.c. fa una differenza di correzione per il lodo depositato e lodo non depositato:

  • per il lodo depositato, la correzione è a carico del Tribunale dove è stato depositato e ci sono 2 ipotesi:
    • se le parti hanno presentato richiesta concorde di correzione, il Tribunale vi provvede senza sentirle;
    • se la richiesta di correzione è presentata da una delle parti, il Tribunale convoca le parti e in base al contraddittorio delibera di conseguenza;
  • per il lodo non depositato, la correzione è a carico degli arbitri su richiesta di una delle parti entro 20 gg. e, nel momento in cui uno degli arbitri non sia più disponibile, alla correzione provvede il Tribunale con conseguente deposito e omologazione del lodo.

Gli errori che vengono corretti non sono errori di volontà o errori di giudizio, ma errori di formazione del documento o errori di calcolo: questi ultimi errori sono qualificati errori materiali, in quanto correggibili e non inficiano la validità del lodo.
La mancanza di sottoscrizione, di data o della sede, viene ritenuta da una parte della dottrina come un errore omissivo e quindi correggibile; un’altra parte, invece, la ritiene come causa di nullità del lodo.

 

CAPITOLO OTTAVO – L’IMPUGNAZIONE DEL LODO

 

1. I mezzi di impugnazione. Secondo la normativa originaria, la parte poteva impugnare il lodo solo dopo il suo deposito, mentre la riforma del ’94 ha introdotto la possibilità di impugnare il lodo anche indipendentemente dal suo deposito; tale impugnazione s’instaura dinanzi alla Corte d’Appello.
Il lodo può essere impugnato per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo.

 

2. Impugnazione dei lodi non definitivi. L’art. 827 c.p.c. prevede l’impugnazione anche dei lodi non definitivi, ma bisogna fare una distinguere tra:

  • il lodo parziale (che decide sulle domande della controversia) che è direttamente impugnabile perché determina un’immediata soccombenza delle parti;
  • il lodo parziale (che decide sulle questioni insorte durante il giudizio arbitrale) che è impugnabile solo unitamente al lodo definitivo, in quanto non determina un’immediata soccombenza.

Anche per la revocazione sussiste tale differenza, in quanto:

  • il lodo parziale (o no definitivo) sulle domande può essere proposto sia in via immediata che differita;
  • il lodo parziale (o non definitivo) sulle questioni può essere proposto esclusivamente in via differita, in quanto è impugnabile solo unitamente al lodo definitivo.

3. Impugnazione per nullità. Prima della riforma del ’94 vi era una distinzione circa la competenza sull’impugnazione, difatti:

  • se la controversia rientrava nella competenza del Tribunale, si applicavano le norme sul procedimento innanzi alla Corte d’Appello;
  • se, invece, rientrava nelle competenze del Pretore o del Conciliatore, si applicavano le norme sul procedimento innanzi al Tribunale o al Pretore.

Con la riforma del ’94, questo problema di competenza è stato risolto perché l’impugnazione viene fatta dinanzi alla Corte d’Appello.
L’impugnazione per nullità si manifesta in una citazione che, a pena di nullità, deve contenere il motivo di nullità e deve essere proposta entro 90 giorni dalla notifica del lodo: tale impugnazione non può essere più proposta quando è trascorso 1 anno dall’ultima sottoscrizione.
I soggetti legittimati all’impugnazione sono solo le parti e tutti coloro nella cui sfera giuridica va ad incidere il lodo, come i creditori della parte soccombente o il successore a titolo universale.
L’impugnazione per nullità consta di due fasi:

  • la fase rescindente, che è la fase relativa ai motivi di nullità proposti dalle parti e dà luogo all’annullamento del lodo; la legge prevede per la Corte d’Appello il potere di pronunciare la nullità parziale del lodo quando l’invalidità riguarda una sola parte del lodo ed il lodo è scindibile;
  • la fase rescissoria, che è la fase relativa alla sostituzione del lodo annullato; la legge prevede per la Corte d’Appello il potere di trasferire la risoluzione della controversia al giudice oppure ad un nuovo giudizio arbitrale, salvo diversa disposizione delle parti.

I motivi d’impugnazione di nullità del lodo, salvo rinuncia, sono dettati dall’art. 829 cpc e sono:

  • se il compromesso è nullo; l’accordo compromissorio è nullo quando vi sono vizi di forma, vizi del contenuto e quando non sono rispettati i limiti di compromettibilità;
  • se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti dal codice di procedura civile, purchè la nullità sia presentata durante il giudizio arbitrale; quindi, il lodo è impugnabile per nullità se il collegio arbitrale non è in numero dispari e se c’è una violazione sulle norme circa la nomina o la sostituzione di un arbitro;
  • se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro: in questo caso, il vizio di incapacità deve sussistere al momento della pronuncia del lodo e non è importante che ci fosse la capacità al momento della nomina; se non viene rispettata una condizione per la nomina dell’arbitro prevista dalle parti, tale fattispecie rientra nella competenza del punto 2;
  • se il lodo pronunciato fuoriesce dai limiti del compromesso o non riguarda alcuni oggetti del compromesso o contiene disposizioni contraddittorie, salvo disposizione dell’art. 817 c.p.c. Tale motivo consta di 3 vizi: il primo consiste nell’eccesso di potere decisisorio degli arbitri; il secondo vizio è l’omissione di pronuncia sia che gli arbitri si sono limitati a pronunciarsi solo su determinate domande sia che essi non hanno volutamente deciso su alcune domande; il terzo vizio consiste nella contraddittorietà delle disposizioni, cioè quando nel lodo si individuano disposizioni inconciliabili fra di loro;
  • se il lodo non contiene l’espressione sommaria dei motivi (la motivazione del lodo), il dispositivo, la sede, il luogo e il modo di deliberazione e la sottoscrizione di tutti gli arbitri;
  • se il lodo è stato pronunciato dopo la scadenza del termine indicato: la decadenza del potere di decisione degli arbitri deve essere contestato dalla parte mediante notifica prima della sottoscrizione del dispositivo;
  • se nel procedimento non sono state osservate le forme prescritte che le parti avevano fissato e la forma prescritta dal legislatore a pena di nullità;
  • se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti, purchè la relativa eccezione sia stata dedotta nel giudizio arbitrale;
  • se non è stato osservato il principio del contraddittorio, ossia gli arbitri hanno deciso la controversia senza concedere alle parti la possibilità di illustrare le proprie ragioni o se non hanno concesso ad una parte la possibilità di presentare documenti, prove, ecc…..
  •  L’art. 829 c.p.c. aggiunge che il lodo può essere impugnato per nullità se gli arbitri non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li abbiano autorizzati a pronunciarsi secondo equità e che abbia dichiarato il lodo non impugnabile.

 

4. La revocazione. Prima della riforma del ’94, la revocazione poteva essere promossa solo dopo l’impugnazione per nullità; con la riforma del ’94, tale preclusione è stata abrogata e, se i casi di revocazione si presentavano durante il processo di impugnazione per nullità, il termine di presentazione della domanda di revocazione è sospeso fino alla sentenza sulla nullità.
Il lodo è impugnabile per revocazione:

  • se vi è il dolo di una parte nei confronti dell’altra;
  • se si è giudicati in base a prove false oppure che la parte soccombente ignorava essere tali;
  • se dopo la sentenza si sono rinvenuti documenti che non potevano essere presentati per forza maggiore o per fatto dell’avversario;
  • se la sentenza presenta dolo del giudice ed è accertato con sentenza passata in giudicato.

 

5. L’opposizione di terzo. Se prima con la normativa originaria non era esperibile, con la riforma del ’94, il terzo, che non è parte del giudizio arbitrale, può impugnare il lodo nel momento in cui tale lodo produce effetti pregiudizievoli nella sua sfera giuridica.
Questa impugnazione è proposta alla Corte d’Appello della circoscrizione dell’arbitrato nel termine di 30 giorni dalla scoperta del dolo o degli effetti pregiudizievoli.
Vi è, tuttavia, un acceso dibattito, infatti parte della dottrina ritiene che il terzo possa impugnare il lodo solo dopo che sia diventato esecutivo, in quanto solo in quel momento si materializza il pregiudizio; un’altra parte della dottrina, ritiene che il terzo possa impugnare il lodo anche se non è stato reso esecutivo, perché basta che sia vincolante per produrre l’effetto pregiudizievole.


CAPITOLO NONO – LA DISCIPLINA FISCALE DELL’ARBITRATO

1. Premessa. Con la riforma del ’94, il regime fiscale dell’arbitrato è meno gravoso per le parti, in quanto i costi fiscali vengono versati solo dopo l’eventuale fase di dichiarazione di esecutorietà.
Il regime tributario dell’arbitrato irrituale e quello rituale è abbastanza simile, tuttavia:

  • per l’arbitrato irrituale i costi sono riferiti al negozio (transazione, trasferimento, pagamento o rinuncia) contenuto nel lodo;
  • per l’arbitrato rituale i costi si differenziano per le varie fasi del procedimento.

L’accordo compromissorio è soggetto all’imposta di registro e di bollo.

2. Aspetti fiscali del compromesso. Secondo la disciplina generale, la tassa di registro ha misura fissa e proporzionale a seconda che il compromesso abbia o meno natura patrimoniale.
Se il compromesso è stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata, vi è l’onere di versare £ 250.000 entro 20 giorni;, se il compromesso è stipulato per scrittura privata semplice, la somma di £ 250.000 deve essere versata solo in caso di registrazione.

3. Aspetti fiscali della clausola compromissoria. Anche se la clausola compromissoria è sottoposta all’imposta di registro, bisogna fare una distinzione quando la clausola è parte integrante del contratto e quando è contenuta in atto autonomo.
Nel primo caso, bisogna verificare il rapporto di connessione tra la clausola compromissoria e il contratto perché, se esiste tale connessione e il contratto deve essere registrato, anche la clausola deve essere registrata con conseguente pagamento di £ 250.000.

4. Aspetti fiscali del lodo. Per quanto riguarda l’aspetto fiscale del lodo, bisogna distinguere tra il lodo depositato e lodo non depositato: in quest’ultimo caso, la tariffa va versata solo nel caso di uso amministrativo; negli altri casi il lodo è sempre tassabile.
In merito al lodo definitivo, la parte che intende far eseguire il lodo deve depositarlo insieme all’accordo compromissorio al Tribunale dove ha sede l’arbitrato.
La cancelleria redige un verbale di deposito sul Registro Lodi e il giudice, accertata la regolarità formale del lodo, emette il decreto di esecutorietà e lo registra nel Registro Lodi. La cancelleria, poi, lo trasmetterà all’ufficio registro e, in caso di beni immobili, lo trasmetterà al registro immobiliare.
Il pagamento dell’imposta è dovuto solidalmente dalle parti entro 60 giorni dalla notifica di liquidazione dell’ufficio registri e anche nei casi di impugnazione per nullità, revocazione od opposizione del terzo; l’imposta varia a seconda dell’oggetto della controversia.

5. L’imposta di bollo nel procedimento arbitrale. Il lodo non depositato è soggetto all’imposta di bollo che deve essere versata mediante carta bollata, marche o punzone; anche il lodo depositato è soggetto all’imposta di bollo che, però, deve essere versata in misura differente a seconda delle fasi.
Nel caso in cui durante il procedimento vengano presentati documenti che non rispettano l’imposta di bollo, gli arbitri non sono ritenuti responsabili e, quindi, possono tranquillamente acquisire la relativa documentazione.


6. Il compenso degli arbitri. Secondo l’art. 814 c.p.c., le parti sono obbligate solidalmente, salvo rivalsa, a pagare agli arbitri l’onorario per l’opera prestata e il rimborso delle spese, salvo che gli arbitri non vi abbiano rinunziato al momento dell’accettazione o con atto scritto successivo.
Circa la tassazione dell’onorario percepito, bisogna fare una distinzione tra l’arbitro che svolge l’attività professionale in modo saltuario e l’arbitro che svolge l’attività professionale abitualmente.

  • Saltuario ® l’onorario è tassabile secondo disposizioni predisposte;
  • Abitualmente ® l’onorario è tassabile secondo la disciplina del lavoro autonomo. Tale discorso vale anche per l’IVA.

Nel caso di arbitro non residente in Italia, il suo compenso non è soggetto ad IVA, salvo che egli non sia residente in Italia.

 

7. Il rimborso delle spese. Le spese sostenute durante il giudizio arbitrale sono rimborsate dalle parti e hanno lo stesso trattamento previsto per l’onorario.

 

CAPITOLO DECIMO – L’ARBITRATO NELLE CONTROVERSIE DI LAVORO

1. Premessa. L’arbitrato in materia lavoro non ha avuto una grande fortuna anche perché molte norme sono rimaste quasi del tutto inapplicate.
L’arbitrato in materia di lavoro è stato introdotto nel 1966 in quanto era consentito alle parti, in materia di licenziamento, di far ricorso all’arbitrato nel momento in cui era fallito il tentativo di conciliazione.
Nel 1970 fu sancita la possibilità per il lavoratore di impugnare le sanzioni disciplinari dinanzi ad un collegio di conciliazioni.
Nel 1990 furono introdotte delle clausole che autorizzavano il ricorso all’arbitrato per qualsiasi tipo di controversia e fu sancito che la decisione del collegio arbitrale acquistava efficacia di titolo esecutivo.
In sostanza, si è cercati di assimilare la disciplina degli arbitrati a quella della conciliazione.

 

2. L’arbitrato rituale secondo la legge n. 533/73. L’arbitrato in materia di lavoro e di previdenza fu escluso dalla legge del 1942 come alternativa al processo giudiziario: in sostanza, era preclusa alle parti la possibilità di ricorrere all’arbitrato in caso di controversie relative ai contratti e agli accordi collettivi di lavoro e relativi ai contratti individuali.
Tale preclusione trovava il suo fondamento nell’assicurare l’accentramento della funzione giurisdizionale dello Stato e nella necessità di tutelare l’autonomia dei sindacati.
Questa preclusione, comunque, è stata superata con la legge n. 533 dell’11 agosto 1973 (art. 4), secondo cui le controversie in materia di lavoro di contratti e accordi collettivi di lavoro potessero essere decisi da arbitri, purchè non fosse preclusa alle parti la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria e purchè la clausola compromissoria non autorizzasse gli arbitri a pronunciarsi secondo equità oppure che potessero dichiarare il lodo non impugnabile, a pena di nullità.
La preclusione della possibilità delle parti di ricorrere all’autorità giudiziaria non deve sussistere, in quanto verrebbe violato l’art. 24 della Costituzione, che consente a tutti di ricorrere all’autorità giurisdizionale.
La possibilità degli arbitri di deliberare secondo equità non deve presentarsi, in quanto né gli arbitri né il giudice possono decidere secondo equità sui diritti indisponibili; tuttavia, tale preclusione vale solo per l’arbitrato rituale.
L’arbitrato con la legge 533/73 era consentito solo per le controversie in materia di contratti e accordi collettivi di lavoro: solo con la riforma del ’94 veniva ammessa per un contratto individuale la possibilità di ricorrere all’arbitrato.
Per quanto riguarda la nomina degli arbitri, lo svolgimento del procedimento, l’emanazione del lodo e l’acquisto dell’efficacia esecutiva si applicano le norme dell’arbitrato rituale.

3. L’arbitrato irrituale secondo la legge n. 533/73. La rigida preclusione dettata dalla legge del ’42 che vietava il ricorso all’arbitrato rituale per le controversie in materia di lavoro fece aumentare il numero di ricorsi all’arbitrato irrituale o libero.
Una prima norma che regolava l’arbitrato irrituale fu quella del 1966 la quale in materia di licenziamento stabiliva che se il tentativo di conciliazione aveva avuto esito negativo, le parti potevano ricorrere all’arbitrato irrituale.
La svolta si è avuta con la legge n. 533 del 1973 (art. 5), la quale stabiliva che l’arbitrato irrituale è ammesso solo nei casi previsti dalla legge oppure dai contratti e accordi collettivi, che non doveva essere preclusa alle parti la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria, che il lodo non è valido quando sono state violate le disposizioni inderogabili di legge o quelle dei contratti o accordi collettivi.
La preclusione della possibilità delle parti di ricorrere all’autorità giudiziaria non deve sussistere in quanto verrebbe violato l’art. 24 della Costituzione, che consente a tutti di ricorrere all’autorità giurisdizionale.
In merito al fatto che il lodo non è valido quando sono state violate le disposizioni inderogabili di legge o quelle dei contratti o accordi collettivi, la ratio di tale principio era quella di garantire che l’arbitrato irrituale si svolgesse secondo la norma al punto da identificarsi con l’arbitrato rituale.
Tale comma, tuttavia, è stato abrogato dal d.lgs. n. 80/98 dando la possibilità agli arbitri di giudicare secondo equità, a differenza dell’arbitrato rituale.
Un’ulteriore svolta si è avuta con la legge del 1990 che introduceva il tentativo obbligatorio di conciliazione per le controversie in materia di licenziamento e che le parti, nel caso in cui tale tentativo non fosse andato a buon fine, potessero ricorrere all’arbitrato entro 20 giorni e che la decisione arbitrale avesse efficacia esecutiva.
Un limite dell’arbitrato irrituale si materializza nell’instabilità del lodo a causa della sua impugnatività per violazione di norme inderogabili di legge o contratti collettivi.

 

4. Insufficienza normativa della legge n. 533/73. La normativa del ’73 ha, comunque, mostrato non poche incertezze e limiti.
I limiti dell’arbitrato rituale sono il divieto per gli arbitri di decidere secondo equità e la nullità della clausola compromissoria che prevedeva la non impugnabilità del lodo.
I limiti dell’arbitrato irrituale sono la contraddizione che sussiste tra il divieto di impugnazione delle rinunce e delle transazioni in sede sindacale e, nello stesso tempo, la possibilità di impugnare il lodo irrituale.
5. L’arbitrato nei decreti legislativi nn. 80 e 387 del 1998. Il decreto legislativo n. 80 del 1998 ha abrogato i commi 2 e 3 dell’art. 5 della legge n. 533/73, lasciando in vigore il comma 1 di suddetto articolo e l’art. 4 della stessa legge.
L’innovazione più importante è sicuramente l’introduzione dell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione con la possibilità per le parti di ricorrere entro 60 giorni al giudizio arbitrale.

 

6. Aspetti innovativi della disciplina dell’arbitrato in materia di lavoro. Le innovazioni più interessanti dell’arbitrato irrituale sono state l’eliminazione del divieto di impugnazione delle rinunce e della transazione e l’eliminazione dell’impugnazione per violazione delle norme collettive, conservando l’impugnazione per violazione delle disposizioni inderogabili di legge e del difetto assoluto di motivazione.
Altre innovazioni riguardano una nuova disciplina per l’avvio del procedimento arbitrale, la composizione del collegio arbitrale con la possibilità per i contratti collettivi nazionali di istituire collegi o camere arbitrali, una nuova disciplina per il termine di deposito del lodo, per la liquidazione dei compensi e per la fase istruttoria.

 

7. Il d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387. Il d.lgs. n. 387 del 1998 ha modificato gli artt. 412 ter e 412 quater i quali dispongono che, se il tentativo di conciliazione non è andato a buon fine o è decorso il termine per l’espletamento e se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro ne prevedono la facoltà, le parti possono deferire la controversia ad arbitri, anche tramite l’organizzazione sindacale a cui aderiscono o mediante mandato, stabilendo:

  • le modalità e il termine entro cui si può devolvere la controversia ad arbitri;
  • la composizione e la nomina del collegio arbitrale e del presidente;
  • le forme e i modi di esecuzione della fase istruttoria;
  • il termine per l’emanazione del lodo;
  • le modalità per la liquidazione del compenso degli arbitri.

Altre innovazioni sono che: se gli arbitri riconoscono dei crediti al lavoratore, in sede di pronunzia del lodo, ne comprendono anche gli interessi legali e la rivalutazione; gli arbitri devono porre le spese a carico della parte soccombente, salvo diversa previsione; sulla validità del lodo decide in unico grado il Tribunale e, quindi, si può fare ricorso solo dinanzi alla Cassazione: il lodo acquista efficacia esecutiva su istanza di una delle parti e non degli arbitri o quando le parti hanno dichiarato di accettare la decisione arbitrale.

8. L’arbitrato in materia di sanzioni disciplinari: art. 7 l. n. 300/70. quando il lavoratore subordinato subisce una sanzione disciplinare ha 3 alternative:

  • può ricorre al giudice ordinario, con la conseguenza che alla sanzione si aggiunga la sospensione della retribuzione;
  • può utilizzare la procedura arbitrale prevista dalla contrattazione collettiva;
  • può ricorre al collegio arbitrale previsto dell’art. 7 della legge n. 300/70.

In questo terzo caso, il lavoratore pur potendo ricorrere sempre al giudizio ordinario, promuove nei 20 giorni successivi alla sanzione, anche tramite l’org. ne sindacale o un mandato, la costituzione tramite l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione (u.p.l.m.o.), di un collegio arbitrale formato da un rappresentante per ogni parte e da un terzo scelto di comune accordo, o dall’ufficio del lavoro in caso di disaccordo.
Tale iniziativa sospende la sanzione disciplinare e, se il datore di lavoro non nomina entro 10 giorni il suo rappresentante, la sanzione perde ogni suo effetto. Tale iniziativa è logicamente facoltativa.
Il termine di 20 giorni entro cui il lavoratore può chiedere il giudizio arbitrale decorre non dal momento dell’applicazione della sanzione, ma dalla sua emanazione; la decadenza di tale termine riguarda esclusivamente il giudizio arbitrale e non quello ordinario.
Finché il lavoratore non ha comunicato istanza di arbitrato al datore di lavoro, quest’ultimo può porre in esecuzione la sanzione fino a che l’ufficio non gli comunichi la volontà del lavoratore.
Nel momento in cui il datore di lavoro non intende aderire al procedimento arbitrale, il lavoratore può ricorrere al giudice ordinario per accertare la legittimità della sanzione e, in caso di inerzia del datore di lavoro, la sanzione non produce più i suoi effetti.
L’arbitrato fin qui analizzato è irrituale e si conclude con un lodo che ha valenza di atto negoziale.

 

CAPITOLO UNDICESIMO – L’ARBITRATO E LE CONTROVERSIE IN MATERIA DI LAVORI PUBBLICI

1. L’arbitrato nell’evoluzione dei lavori pubblici. L’istituto dell’arbitrato per la risoluzione delle controversie in materia di appalti pubblici fu introdotto con la legge 2248 del 20 marzo 1865 art. 349, la quale disciplinava che nei capitolati d’appalto le controversie tra amministrazione e appaltatore potevano essere decise da arbitri a differenza di prima, quando appalto erano di competenza esclusiva dei tribunali speciali del contenzioso amministrativo.
L’art. 349 ha trovato applicazione grazie al D.M. del 1889 e del 1895, i quali stabilivano che l’arbitrato era la procedura ordinaria e obbligatoria per le controversie tra la Pubblica Amministrazione e l’appaltatore, e grazie al d.P.R. del 1962, che stabiliva che nel momento in cui il procedimento arbitrale obbligatorio non fosse andato a buon fine, le parti potevano sottrarsi al giudizio arbitrale e rivolgersi al giudice ordinario.
Questo D.P.R. fu dichiarato illegittimo perché venne riconosciuto alla sola Amministrazione il potere di scegliere tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario, mentre l’appaltatore non poteva far altro che accettare la volontà di questa.

 

2. L’arbitrato alla luce della riforma della normativa sui lavori pubblici. La materia dei lavori pubblici fu riformata dalla legge quadro dell’11 febbraio 1994 (cd legge Merloni), che voleva assicurare l’efficienza e l’efficacia dell’amministrazione nelle opere e nei lavori pubblici e garantire l’esecuzione delle procedure nel rispetto del diritto comunitario e della libera concorrenza fra gli operatori.
La legge, però, si trovava in contrasto col d.p.r. del 1962, perché introduceva un divieto generale di inserimento delle clausole compromissorie nei capitolati generali e speciali.
Tale contraddizione, comunque, fu superata con la legge del 1965, che stabiliva che qualora non si fosse raggiunto un accordo bonario, le controversie in materia di lavori pubblici potevano essere rimesse al giudizio arbitrale.
Nel 1996, poi, un nuovo disegno di legge del Consiglio dei Ministri stabiliva la nullità della clausola compromissoria e riattivava, di fatto, la competenza esclusiva del giudice amministrativo su quello arbitrale.
Oggi, il legislatore ha riconfermato la propria fiducia nell’arbitrato tramite la legge del 1998, la cd legge Merloni.

 

3. L’arbitrato e la legge 18 novembre 1998, n. 415 (cd l. Merloni ter). La legge Merloni ter, oltre a lasciare inalterata la risoluzione bonaria delle liti in materia di lavori pubblici, introduceva anche la possibilità di risolvere tali controversie tramite un giudizio arbitrale.
Le novità più importanti sono:

  • l’arbitrato è facoltativo e non è più obbligatorio, per non incorrere in questioni di illegittimità costituzionale della disposizione (in quanto non doveva essere preclusa alle parti la possibilità di ricorrere al giudice ordinario art. 24 Cost.);
  • è stato ampliato il campo di applicazione della disposizione non solo alle controversie che non sono state risolte con un accordo bonario, ma a qualsiasi controversia;
  • l’introduzione della Camera arbitrale per i lavori pubblici presso l’Autorità di vigilanza, per garantire la correttezza, la funzionalità e la trasparenza del procedimento, e la possibilità di introdurre un nuovo caso di arbitrato amministrato.

Tale disposizione presenta, tuttavia, una piccola contraddizione in quanto se da una parte rende l’arbitrato facoltativo (e non obbligatorio), dall’altra obbliga le parti a ricorrere all’arbitrato amministrato e gestito dalle Camere arbitrali presso l’autorità di vigilanza.

 

4. La disciplina dell’arbitrato dettata dal regolamento generale del 21 dicembre 1999 n. 554 di attuazione della legge Merloni ter. Il D.P.R. n. 554 del 21 dicembre 1999 ha regolato l’istituto dell’arbitrato in materia di lavori pubblici affermando che le parti possono deferire la controversia al giudizio arbitrale presso la Camera arbitrale solo in presenza di clausole compromissorie inserite nel contratto o di autonomi accordi compromissori.
Tale disposizione, tuttavia, pone in una posizione di svantaggio l’appaltatore il quale è vincolato alla decisione imposta dall’amministrazione: la dottrina risolve tale questione consigliando l’istituto della declinatoria con cui, in presenza di una clausola compromissoria, l’appaltatore può declinare la controversia al giudizio arbitrale successivamente all’insorgere della lite, salvaguardando la sua facoltà di scelta.
Il regolamento dettato dal suddetto D.P.R. disciplina la costituzione del Collegio, la nomina, la nomina del terzo arbitro con funzione di presidente, la determinazione della sede, il pagamento dell’acconto delle parti, il saldo del compenso entro 30 giorni dalla comunicazione del lodo alla Camera arbitrale secondo le tariffe prefissate.
Gli organi della Camera arbitrale sono il Consiglio arbitrale, composto da 5 membri scelti dell’autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, e il Presidente, nominato all’interno del Consiglio.
Le funzioni della Camera arbitrale sono la formazione dell’albo degli arbitri, la formazione dell’elenco dei periti e dei consulenti tecnici, la costituzione e il funzionamento del Collegio arbitrale, la determinazione dei costi, il compenso e le spese sostenuti dalle parti secondo le tariffe prefissate.


Degli albi degli arbitri fanno parte diverse categorie, fra cui avvocati dello Stato, professori universitari, magistrati e contabili, ingegneri, ecc.
Per assicurare la correttezza del procedimento, gli arbitri sono iscritti per 3 anni con rotazione e, durante il periodo di iscrizione, non possono svolgere altre funzioni di arbitro di parte e nei casi di incompatibilità previsti dal codice di procedura civile.

 

5. Il decreto interministeriale del 2 dicembre 2000, n. 398, recante le norme di procedura del giudizio arbitrale in materia di lavori pubblici. Il decreto interministeriale n. 398 del 2 dicembre del 2000 ha introdotto non poche novità ai procedenti regolamenti:

  • ha reso più rigido il procedimento disciplinando quelle materie che erano rimaste ancora prive di regolamentazione come la conciliazione, le spese, ecc…;
  • fase iniziale ® stabilisce che la domanda di arbitrato deve essere notificata e deve contenere, a pena di nullità rilevabile d’ufficio, la determinazione dell’oggetto della controversia, le spese richieste e gli elementi di fatto presentati;
  • decadenza ® stabilisce l’onere per la parte che solleva la domanda di arbitrato di nominare il suo rappresentante entro 60 giorni dalla notifica della domanda;
  • ricusazione ® si attiene alla precedente normativa, arricchendola;
  • conciliazione ® prevede che le parti possano risolvere la lite mediante la conciliazione anche nel corso del giudizio;
  • svolgimento del giudizio ® il nuovo regolamento si attiene a rispettare i principi del contraddittorio, dell’assunzione dei mezzi di prova, ecc..;
  • pronuncia del lodo ® stabilisce che il lodo deve contenere la sottoscrizione di tutti i membri del Collegio e deve essere depositato presso la Camera arbitrale entro 180 giorni;
  • corrispettivo dovuto ® si attiene alla competenza della Camera arbitrale e sono previsti otto fasce di tariffe a seconda del valore della controversia.

CAPITOLO DODICESIMO – L’ARBITRATO NELLE SOCIETA’

1. Premessa. Nell’ambito del diritto commerciale, il ricorso all’istituto dell’arbitrato da parte delle società è un fenomeno molto imponente. Esso era presente già nel 1807 nel codice di commercio francese in cui era previsto che le controversie attinenti ai rapporti interni fossero deferite ad arbitri per assicurare la segretezza.
L’istituto dell’arbitrato è molto presente in materia di consorzi, cooperative, società di persone e di capitali per due motivi: il primo è quello di assicurare la segretezza delle informazioni e, quindi, non portare all’esterno l’esistenza di conflitti interni; il secondo è dovuto alla maggiore rapidità delle procedure arbitrali rispetto a quelle giurisdizionali.

 

2. La compromettibilità in arbitri delle controversie societarie. Secondo le disposizioni del codice di procedura civile, sono compromettibili ad arbitri tutte le controversie tra soci e soci e tra soci e società che possono formare oggetto di transazione o che hanno ad oggetto diritti non sottratti alla disponibilità delle parti.
In sostanza, possono essere deferite ad arbitri tutte le controversie che non riguardano gli interessi della società o che riguardano la violazione di norme poste a tutela dei soci o dei terzi.
Il criterio utilizzato per determinare la compromettibilità delle controversie societarie è la valutazione degli interessi in gioco e, secondo tale criterio, sono compromettibili:

  • le controversie circa l’impugnazione delle delibere assembleari, purché tali delibere abbiano un contenuto disponibile oppure che non riguardino gli interessi dei terzi o della società, come lo scioglimento della società, l’approvazione del bilancio;
  • le controversie relative all’esclusione del socio: l’orientamento prevalente è in disaccordo con tale compromettibilità, perché sono coinvolti interessi indisponibili;
  • le controversie relative al recesso del singolo socio e la liquidazione della sua quota;
  • l’azione sociale di responsabilità promossa contro gli amministratori: l’orientamento passato era in disaccordo con il legislatore in quanto erano posti in gioco i terzi e l’ordine pubblico; tuttavia, tale compromettibilità trova il suo fondamento nel fatto che l’azione sociale riguarda diritti patrimoniali disponibili e può formare oggetto di rinuncia e di transazione.

Un orientamento giurisprudenziale ha consigliato di sostituire il criterio degli interessi posti in gioco con il criterio della invalidità delle delibere assembleari che esclude la compromettibilità delle controversie che hanno ad oggetto la nullità delle delibere impugnate. Tuttavia, il problema della compromettibilità è ancora aperto e necessita di interventi legislativi.

 

3. La clausola compromissoria pattuita dal rappresentante della società. Per quanto riguarda la validità della clausola compromissoria pattuita dal rappresentante della società, bisogna innanzitutto verificare il problema circa i poteri necessari per inserire tale clausola nei contratti conclusi per conto della società. Difatti, prima della riforma del ’94, il potere del rappresentante della società di stipulare i contratti non comprendeva il potere di inserire la clausola compromissoria.
Con la riforma del ’94, fu precisato che i potere di stipulare il contratto comprendeva anche il potere di inserire la clausola compromissoria, sia per gli atti di ordinaria che di straordinaria amministrazione.
Altro discorso riguarda il problema inverso, in quanto, se il rappresentante non aveva il potere di stipulare il contratto, il vizio di questo colpisce anche la clausola compromissoria inserita.
Tuttavia, l’art. 808 c.p.c. afferma che vi è una diversa valutazione di validità per il contratto e per la clausola compromissoria e, quindi, la validità di quest’ultima va valutata in modo indipendente dalla valutazione della validità del contatto attinente.
Tali conclusioni valgono, però, solo per l’arbitrato rituale, infatti, per l’arbitrato irrituale, la validità della clausola compromissoria e del lodo dipendono da quella del contratto attinente, in quanto il lodo è considerato un negozio di secondo grado.

 

4. Le questioni relative alla validità della clausola compromissoria inserita negli statuti societari. Secondo la norma, il ricorso al procedimento arbitrale per le controversie societarie avviene: 1) in virtù di una clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo della società; 2) in virtù di una clausola compromissoria aggiunta posteriormente nello statuto.
Nel 1° caso non sussistono problemi, perché l’inserimento della clausola compromissoria è frutto delle volontà dei tutti i soci.
Nel 2° caso, bisogna fare una distinzione:

  • se l’introduzione della clausola compromissoria necessita della volontà delle parti, non ci sono problemi ed è importante che sia rispettata la forma scritta;
  • se, invece, l’inserimento tale clausola richiede la sola maggioranza di soci, il problema è superato in quanto la maggioranza dei soci rispecchia la volontà di tutti ed è importante che sia rispettata la forma scritta.

Per quanto riguarda il problema che sorge per l’operatività della clausola compromissoria nei confronti di un nuovo socio entrato dopo la costituzione della società:

  • un orientamento ritiene valida la clausola solo se vi è una specifica approvazione;
  • un 2° orientamento ritiene che la clausola sia opponibile al nuovo socio, in quanto lo statuto è un contratto associativo già concluso e, con la sua sottoscrizione, il nuovo socio accetta tutte le condizioni;
  • un 3° orientamento ritiene valida la clausola perché opponibile erga omnes e, quindi, opponibile al nuovo socio e ai terzi.

Altri problemi sussistono circa la validità della clausola compromissoria che devolve le controversie tra soci e soci e tra soci e società ad un organo nominato dall’assemblea o al Collegio Sindacale o al collegio dei probiviri, in quanto viene a mancare il requisito della terzietà o e di indipendenza degli arbitri.
Tuttavia, una parte dell’orientamento ritiene valida questa clausola purchè gli arbitri siano nominati dall’assemblea prima dell’insorgere della lite oppure che gli arbitri-probiviri siano eletti con la partecipazione del socio coinvolto.
Un’altra parte dell’orientamento ritiene valida tale clausola perché il lodo pronunciato da tale organo non ha la natura di una sentenza arbitrale, ma di atto negoziale con il solo obiettivo di pervenire ad una pattuizione, con la conseguente possibilità per il socio di rivolgersi al giudice ordinario.


CAPITOLO TREDICESIMO – L’ARBITRATO NEI CONTRATTI BANCARI E PARABANCARI

1. Il ruolo dell’arbitrato nei rapporti bancari o parabancari. Le relazioni verticali sono quelle che scaturiscono tra le banche e i clienti o tra gli enti finanziari e i clienti, come il deposito, il conto corrente, ecc…; le relazioni orizzontali sono quelle che scaturiscono dai contratti tra gli istituti di credito e tra gli enti finanziari, come i bid bond.
Tra i contratti parabancari troviamo il leasing e il factoring: il leasing è il contratto con cui una parte (concedente) si obbliga ad acquistare su indicazione di un’altra parte (utilizzatore) un determinato bene per poi darlo in godimento all’utilizzatore il quale, alla scadenza del termine, ha la possibilità di acquistare il bene, di rinnovare la sua utilizzazione o di restituirlo, previo pagamento di un canone mensile.
Il factoring è il contratto con cui un’impresa cede, al fine di ottenere un corrispettivo, i propri crediti presenti e futuri ad una società di factoring che può essere una società di credito o altra società iscritta all’albo.
Nei tipici contratti bancari vi è un quasi totale disinteresse delle banche ad inserire le clausole compromissorie soprattutto quando il cliente è un privato e la somma non è rilevante: questo perché le banche, ricorrendo all’arbitrato, perderebbero la loro posizione di supremazia e perché hanno interesse a rendere nota la controversia al pubblico per condannare il cliente e per utilizzare la sanzione come deterrente.

 

2. I metodi di composizione stragiudiziale delle liti alternativi rispetto all’arbitrato: in particolare, l’Ombudsman bancario. Gli operatori economici bancari ricorrono sempre di più alla composizione stragiudiziale della lite in quanto ritengono sia necessario affidare la decisione su determinate controversie a soggetti competenti nel settore e, anche, per offrire una maggiore sicurezza ai clienti, soprattutto quelli deboli (consumatore).
Uno degli istituti alternativi all’arbitrato è l’Ombudsman bancario, istituito sull’esempio dell’esperienza europea: tale organo fu istituito con l’accordo interbancario del 1993 al fine di assicurare una più adeguata garanzia al cliente e, in particolare, a quello debole.
L’Ombudsman bancario è un organo collegiale composto da 5 soggetti particolarmente esperti in materie economiche, creditizie e giuridiche; esso delibera sulle controversie in base alla qualifica del consumatore che fa ricorso e in base al contenuto economico della controversia, che non deve superare i 5 milioni.
Il consumatore per ricorrere all’Ombudsman bancario deve prima presentare reclamo all’Ufficio Reclami e non deve ricorrere all’autorità giudiziaria o all’arbitrato.
Il giudizio emesso è vincolante solo per la banca in quanto il consumatore insoddisfatto della decisione può ricorrere sempre al giudice ordinario.
La decisone dell'Ombudsman bancario non è dotata di coercitività (sanzionabilità), in quanto quest’istituto può soltanto rendere nota l’inadempienza del consumatore dandone pubblicità a mezzo stampa a spese dell’inadempiente.


CAPITOLO QUATTORDICESIMO – L’ARBITRATO NELLE ASSICURAZIONI

 

1. La clausola compromissoria tra regolamentazione legislativa e prassi negoziale nel contratto di assicurazione. Nel settore delle attività assicurative si è reso sempre necessario ricorrere a forme di composizione delle controversie alternative alla giustizia ordinaria a causa della drammaticità di tale settore; infatti, il legislatore, per snellire i procedimenti ordinari, ha deferito le controversie al di sotto dei 30 milioni di lire al Giudice di Pace.

  • Contratti di assicurazione ® il d.lgs. n. 175 del 17 marzo 1995 ha disciplinato che, in caso di disaccordo tra assicurato e assicuratore, le parti possono ricorrere alla giustizia ordinaria o rimettere la controversia alla decisione arbitrale secondo equità, purché tale facoltà sia prevista nel contratto.
  • Assicurazioni per la responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli ® se nel contratto tra l’assicurato e l’assicuratore è stata inserita la clausola compromissoria, tale clausola non è opponibile al danneggiato, sempre che quest’ultimo non dia il suo consenso.
  • Assicurazioni contro i danni diretti a beni e contro gli infortuni ® è molto ampio il ricorso al deferimento della controversia ad un collegio arbitrale.

 

2. La clausola peritale. Nelle polizze di assicurazione contro i danni a cose e nelle polizze sugli infortuni, le parti possono inserire le c.d. clausole peritali, con cui rimettono la valutazione del danno a periti, infatti la valutazione spetta alle parti, le quali con tale clausola la rimettono a 2 periti designati uno dall’assicuratore e l’altro dall’assicurato.
Nel momento in cui tali esperti sono in disaccordo, questi periti, o in loro disaccordo il Presidente del Tribunale, nominano un terzo perito.
Nell’assicurazione contro i danni a cose, i periti valutano il danno, valutano le cause del sinistro, valutano l’esattezza delle dichiarazioni e dell’esistenza delle cose assicurate, ecc…..
Nell’assicurazione contro gli infortuni, i periti valutano il grado d’invalidità permanenti o durata di quella temporanea, le conseguenze dell’infortunio, ecc…..
La giurisprudenza considera la perizia contrattuale come una sottospecie di arbitrato libero e precisamente come un arbitraggio, quando la clausola peritale è impugnabile solo nei casi di errore, dolo, violenza o violazione dei patti contrattuali.

 

 

 

CAPITOLO QUINDICIESIMO – LA TUTELA DEL CONSUMATORE E L’ARBITRATO

 

1. La categoria dei consumatori. Il consumatore ha varie definizioni: è inteso come il soggetto da proteggere dai pregiudizi che possono derivare dal rapporto di consumo; è la controparte contrattuale dell’imprenditore; è il contraente debole perché si trova in una condizione di notevole debolezza nei confronti dell’altro contraente.

 

2. L’arbitrato dei consumatori. Per quanto riguarda la materia dei consumatori, il ricorso ai giudici privati può rappresentare un efficace rimedio per la risoluzione delle controversie, in quanto è superato il grande problema della lentezza del giudizio ordinario, che (la lentezza) spingeva spesso i consumatori a rinunciare al diritto di essere risarciti.
La commissione europea ha adottato un testo, il c.d. Libro Verde, che tratta della tutela dei consumatori e da cui emerge lo stato di arretratezza dell’Italia, in quanto manca la regolamentazione di molte materie.
Un primo passo lo si è avuto con l’applicazione dell’art. k del trattato di Maastricht che ha portato alla costituzione di nuovi istituti o organismi come l’Ombudsman bancario, il regolamento di conciliazione e il regolamento di arbitrato fatto dalla Telecom, la costituzione di commissione arbitrali e conciliative da parte delle Camere di Commercio, ecc…..

 

3. La clausola compromissoria nei contratti dei consumatori. La direttiva 93/13/CEE del 5/4/1993 ritiene abusive le clausole che hanno per oggetto o per effetto quello di sopprimere o limitare l’esercizio delle azioni legali o il ricorso del consumatore, obbligandolo a rivolgersi esclusivamente ad un arbitrato non disciplinato da disposizioni giuridiche.
Tale direttiva è stata attuata con l’art. 1469 bis c.c. che prevede la vessatorietà della clausola di deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria.

 

 

 

 


CAPITOLO SEDICESIMO – L’ARBITRATO NEL DIRITTO AGRARIO

 

1. L’arbitrato nelle controversie in materia di contratti agrari. Per quanto riguarda la composizione stragiudiziale delle controversie in materia di lavoro, il legislatore si è limitato a definire che le relative controversie sono devolute alla competenza delle sezioni agrarie specializzate.
Con tale norma il legislatore non ha precluso la possibilità di ricorrere all’arbitrato, ma ha voluto risolvere un problema di competenza: infatti, il legislatore fa riferimento agli art. 409 e 808 del c.p.c. disponendo che le controversie in materia di lavoro possono essere deferite ad arbitri solo se ciò è previsto nei contratti e accordi collettivi e non sia preclusa la facoltà per le parti di ricorrere all’autorità giudiziaria.
Di conseguenza, le clausole compromissorie possono essere inserite nei contratti agrari individuali, solo se è prevista l’autorizzazione negli accordi collettivi.
Secondo l’art. 45 della legge 203/82, le parti possono stipulare fra di loro il compromesso anche se tale facoltà non è prevista dagli accordi collettivi.
In tal caso un ruolo importante è svolto dall’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura, il quale ha il duplice compito di esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione, che è il presupposto per proporre la domanda giudiziale, e di determinare l’indennità per i miglioramenti apportati alla cosa dalle parti.

 

2. Il ricorso al giudizio arbitrale negli altri settori dell’agricoltura. Il legislatore ha espressamente previsto il ricorso all’arbitrato in altri settori del diritto agrario attraverso una serie di leggi come la possibilità di deferire ad arbitri la determinazione dell’indennizzo, nel momento in cui le parti si fossero trovate in disaccordo, per quanto riguarda la materia di boschi e terreni lontani; tuttavia, tali leggi sono in gran parte dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale, perché violano gli art. 24 e 102 della Costituzione.

 

3. Conclusioni. La poca importanza che ha l’arbitrato nel diritto agrario non dipende dallo scarso interesse del legislatore, ma dal fatto che la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali la maggior parte di queste leggi.

 


CAPITOLO DICIASSETTESIMO – L’ARBITRATO NEL DIRITTO SPORTIVO

 

1. La giustizia sportiva. L’ordinamento sportivo può essere considerato un ordinamento nell’ordinamento, in quanto gode di un’ampia autonomia organizzativa: infatti non solo fissa le regole che disciplinano i rapporti tra gli associati e le associazioni, ma risolvono anche le controversie che insorgono nell’arbitrato sportivo.
Gli associati, secondo i regolamenti e gli Istituti Federali, possono rivolgersi in caso di controversia alla giustizia sportiva e, solo in casi eccezionali, all’autorità ordinaria; questo fatto, logicamente, non impedisce ai soggetti di rivolgersi alla giurisdizione statale.
La giustizia sportiva si divide in 4 tipologie:

  • amministrativa, risolve i conflitti tra organi federali ed interpreta le norme;
  • disciplinare, valuta gli illeciti sportivi e le sanzioni;
  • tecnica, garantisce la regolarità delle competizioni sportive;
  • economica, si occupa delle controversie di natura contrattuale tra gli atleti e le società sportive.

Per quest’ultima, le parti possono deferire le controversie al giudizio arbitrale solo se non riguardano diritti indisponibili e se sono rispettate le norme che escludono l’arbitrato per le controversie di natura tecnica, amministrativa e disciplinare, quindi, l’arbitrato è maggiormente usato per dirimere le controversie a contenuto economico.

 

2. L’arbitrato nel diritto sportivo. Le clausole compromissorie contenute negli statuti e nei regolamenti federali devolvono le eventuali controversie tra i tesserati alla cognizione di arbitri.
Tali clausole, però, sono operative solo verso le società, le associazioni affiliate e i tesserati, e non per le Federazioni.
Per quanto riguarda il problema se parlare di arbitrato volontario o di arbitrato necessario, si può ritenere che l’arbitrato introdotto dalle clausole compromissorie sia volontario, in quanto il nuovo socio, aderendo agli statuti, aderisce automaticamente anche alla clausola compromissoria.
Per quanto riguarda il problema se parlare di arbitrato rituale o di arbitrato irrituale, un primo orientamento parla di arbitrato irrituale, in quanto la pronuncia degli arbitri è fatta secondo equità e non è impugnabile; un altro indirizzo rimette tale valutazione alla valutazione dei singoli casi.
Per quanto riguarda la forma, è richiesta la forma scritta ad substantiam ed è valida la clausola compromissoria scritta in un documento esterno all’atto di adesione.
Il collegio arbitrale è formato da 2 arbitri, nominati da ognuna delle parti, e da 1 terzo arbitro che secondo alcuni è nominato dai 2 arbitri, secondo altri è nominato dagli Organi Federali.
Per quanto riguarda i lodi dell’arbitrato sportivo, bisogna distinguere gli effetti naturali che sono quelli vincolanti per le parti, e gli effetti interni ulteriori che si producono al momento del deposito presso l’organizzazione sportiva, e fanno sì che se il lodo non sia rispettato, vi sarà un’infrazione disciplinare.

 

CAPITOLO DICIOTTESIMO – L’ARBITRATO E IL FALLIMENTO

 

1. L’arbitrato e le controversie fallimentari non compromettibili. L’istituto arbitrale non trova agevole ingresso nella procedura fallimentare, in quanto i criteri di ammissibilità della controversia al giudizio arbitrale trovano dei limiti non solo dal punto di vista della compromettibilità, ma anche perché determinate controversie fallimentari devono essere definite obbligatoriamente dal procedimento camerale o sommario, come ad esempio l’ingiunzione pronunciata nei confronti dell’associato in partecipazione, il decreto di ripartizione degli oneri inerenti al passivo fallimentare fra i soci, ecc.....
Anche le azioni che derivano dal fallimento, secondo l’art. 24 della legge fallimentare, non possono essere deferite al giudizio arbitrale.
Possono essere deferite ad arbitri le controversie tra l’amministrazione fallimentare e la massa dei creditori, cioè coloro a cui la legge riconosce un diritto sull’attivo fallimentare.

 

2. Gli effetti del fallimento sulla convenzione arbitrale. Brevi cenni. Nel caso in cui l’imprenditore abbia stipulato un compromesso o una clausola compromissoria prima dell’instaurazione della procedura fallimentare, la giurisprudenza ritiene che la dichiarazione di fallimento elimina direttamente la convenzione arbitrale precedentemente convenuta, tenendo conto degli interessi sottesi e dell’esclusiva competenza del tribunale Fallimentare.
Tale opinione, però, non è del tutto condivisa, in quanto si verrebbe a creare un’incompatibilità tra l’arbitrato e il fallimento, e anche perché l’art. 35 della legge fallimentare prevede la facoltà per il curatore fallimentare di stipulare compromessi per risolvere in via arbitrale le controversie inerenti al fallimento.
Il curatore fallimentare, pertanto, resta vincolato nel momento in cui vi è l’accettazione della nomina da parte del Collegio arbitrale.
Per quanto riguarda, invece, l’accordo compromissorio stipulato dopo l’instaurazione della procedura fallimentare, la compromettibilità delle controversie è determinata dalle norme circa l’ammissibilità dell’arbitrato nel fallimento.   

 

 

 

 

 

CAPITOLO DICIANNOVESIMO – L’ARBITRATO INTERNAZIONALE ED ESTERO

1. La nozione e la disciplina dell’arbitrato internazionale. Visto l’aumento vertiginoso degli scambi commerciali internazionali e, di conseguenza delle controversie tra gli operatori di mercato di diversa nazionalità, il legislatore ha introdotto con la legge n. 25 del 5 gennaio 1994 una nuova disciplina per l’arbitrato internazionale, garantendo una maggiore autonomia alle parti e riducendo i controlli sulle pronunce arbitrali fatte dalla giurisdizione ordinaria.
L’arbitrato internazionale si ha quando alla data della sottoscrizione dell’accordo compromissorio, almeno una delle parti deve avere residenza o sede all’estero, oppure quando una parte importante delle prestazioni inerenti al rapporto cui si riferisce la controversia deve essere eseguita all’estero.
L’arbitrato internazionale è pur sempre un arbitrato appartenente all’ordinamento italiano, in quanto ha sede in Italia; l’arbitrato, invece, si dice estero quando la sede è al di fuori del territorio italiano.
All’arbitrato internazionale non vengono applicate solo le norme inerenti all’arbitrato rituale interno, ma anche le norme dettate dalle convenzioni internazionali: vengono, quindi, contemperate sia le norme dell’ordinamento italiano, sia quelle dell’ordinamento internazionale; tra i trattati internazionali in materia, il più importante è la Convenzione di Ginevra del 21 aprile 1961.

 

2. Il regime di forma e di efficacia della clausola compromissoria. Anche se non è previsto da una specifica normativa, la dottrina è concorde a ritenere necessaria l’osservanza della forma scritta per l’accordo compromissorio.
Per quanto riguarda l’efficacia della clausola compromissoria, inclusa in contratti con condizioni generali o in moduli o in formulari, tale clausola non deve essere necessariamente approvata mediante apposita sottoscrizione del contraente e, quando è recepita in un accordo scritto, è valida ed efficace solo quando le parti l’hanno conosciuta o avrebbero potuto conoscerla con l’ordinaria  diligenza.
Nell’arbitrato internazionale, l’efficacia delle clausole arbitrali è sottratta alla regola prevista per l’efficacia delle clausole vessatorie.

 

3. Le norme applicabili alla decisione di merito. La differenza fra arbitrato internazionale e arbitrato interno è che se per l’arbitrato interno le parti possono decidere che gli arbitri si pronuncino secondo equità o secondo diritto, per l’arbitrato internazionale, le parti hanno la facoltà di decidere che gli arbitri si pronuncino o secondo le norme dalle parti predisposte o secondo equità o secondo le norme più attinenti al rapporto a cui è riferita la controversia.

 

4. La posizione degli arbitri “internazionali”. Gli arbitri dell’arbitrato internazionale hanno una posizione privilegiata rispetto a quella degli arbitri dell’arbitrato interno in quanto, salvo diversa volontà delle parti, possono decidere secondo equità, secondo diritto o secondo le norme dettate dalle stesse parti, possono deliberare attraverso conferenza personale videotelefonica nel caso di luoghi distanti e possono essere ricusati.
5. Il regime di impugnazione del lodo. Per quanto riguarda l’impugnazione del lodo internazionale, la legge prevede l’esclusione dell’impugnazione per nullità del lodo in caso di inosservanza delle regole di diritto da parte degli arbitri, vietando alla Corte d’Appello di pronunciarsi anche sulla lite oppure di rimetterla al giudice istruttore nel caso di sentenza di nullità del lodo ed esclude l’impugnazione del lodo per revocazione ed opposizione del terzo.

 

6. L’arbitrato estero: il riconoscimento e l’esecuzione in Italia dei lodi stranieri. L’arbitrato estero è così chiamato, perché è svolto in una sede al di fuori del territorio italiano e per questo motivo si pongono problemi circa l’efficacia e l’esecuzione di lodi stranieri in Italia.
Tale problema è stato superato con la riforma del ’94 del CAPO VII dei lodi stranieri, in quanto prima i lodi stranieri erano considerati come delle sentenze straniere.
L’art. 839 c.p.c. disciplina il procedimento di riconoscimento ed esecuzione del lodo straniero.
La parte interessata ad ottenere l’efficacia del lodo straniero in Italia deve presentare ricorso al Presidente della Corte d’Appello della circoscrizione in cui risiede l’altra parte oppure, nel caso l’altra parte non risieda in Italia, presso la Corte d’Appello di Roma; il lodo va depositato insieme al ricorso e all’eventuale traduzione.
Il Presidente della Corte d’Appello ne valuta la regolarità formale e con decreto dichiara l’efficacia; tuttavia, il Presidente può negare tale efficacia con un decreto, nel momento in cui il lodo decide su una materia ritenuta incompromettibile dall’ordinamento italiano, oppure quando il lodo è contrario all’ordine pubblico.
Una parte può fare opposizione al decreto che nega o accerta l’esecuzione del lodo straniero in Italia, presso la Corte d’Appello del Presidente che ha emanato il decreto: tale decreto può essere impugnato entro 30 gg. dalla comunicazione nel caso di decreto positivo ed entro 30 gg. dalla notificazione nel caso di decreto negativo.
L’opposizione disciplinata dall’art. 840 c.p.c. è accolta se è dimostrata:

  • l’incapacità dei contraenti o l’imputabilità dell’accordo compromissorio secondo la legge prevista dalle parti, o in mancanza dello Stato in cui il lodo è stato pronunciato;
  • la violazione del principio del contraddittorio e del diritto alla difesa;
  • l’ultrapetizione della pronuncia degli arbitri, la costituzione del collegio arbitrale o lo svolgimento del procedimento secondo le norme dettate dalle parti, o in mancanza del luogo dell’arbitrato;
  • il difetto di vincolatività del lodo, l’annullamento o la sospensione della sua efficacia.

 

 

 

Fonte: http://s3.kkloud.com.s3.amazonaws.com/gett/59Ao8z11/diritto%20dell%27arbitrato%20interno%20ed%20internazionale.docx?response-content-disposition=attachment%3B&AWSAccessKeyId=AKIAI7XHZJPL62V2UOVA&Signature=LFAuibUVmxFnYgb1tOdn9h28v9k%3D&Expires=1430053045

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