Tradizioni giuridiche nel mondo riassunto libro H.Patrick Glenn

 

 

 

Tradizioni giuridiche nel mondo riassunto libro H.Patrick Glenn

 

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Tradizioni giuridiche nel mondo riassunto libro H.Patrick Glenn

Riassunto libro H.Patrick Glenn
Tradizioni Giuridiche nel Mondo                                                                  

La sostenibilità della differenza

Cap. III – La tradizione giuridica Ctonia, riciclare il mondo.
La migliore descrizione del diritto di cui vogliamo parlare parte dall’esame di quei popoli che vivono vite ecologiche in quanto ctoni, il che significa che essi vivono in armonia con la terra. Considerare ctonia dunque una tradizione giuridica significa tentare di descriverla mediante criteri intrinsechi , piuttosto che con criteri imposti. 
1. Emerge una tradizione
Non vi è un punto di inizio nella tradizione giuridica ctonia, essa è semplicemente emersa man mano che cresceva l’esperienza. E l’oralità e la memoria hanno fatto il loro lavoro. Poiché tutti i popoli della terra discendono da popoli che in origine erano ctoni, tutte le altre tradizioni sono emerse differenziandosi da quella ctonia. Essa è la più antica delle tradizioni e la sua catena di traditio è lunga quanto la storia dell’umanità. Questa tradizione contiene una varietà di informazioni, talmente multiformi che non è possibile parlare di una singola tradizione.
2. Fonti e Strutture
Il tratto più evidente della tradizione giuridica ctonia è costituito dall’oralità. L’insegnamento del passato è preservato mediante i mezzi informali della parola umana e della memoria. La tradizione giuridica ctonia rigetta la formalità nell’enunciazione del diritto, anche se le ragioni possono non essere immediatamente chiare. Vi sono state resistenze esplicite nel mettere per iscritto il diritto ctonio : quel che ne esiste in forma scritta è stato redatto da amministratori coloniali europei, da antropologi e comparatisti.  Il diritto è come versato in un deposito in cui tutti fanno parte e al quale tutti possono accedere. Lo si è descritto come un repertorio piuttosto che come un sistema, nondimeno la sostanza delle informazioni si mostra così essenziale da far si che la tradizione ctonia rimanga viva a dispetto di ogni evitabile evoluzione. Non si presta ad istituzioni complesse, offrendo poche posizioni di prestigio e autorità, essa affronta minor rischi di corruzione pecuniaria e istituzionale. Ciononostante, in un mondo così vasto come quello dei popoli ctoni esistevano ed esistono ancora differenze importanti nello sviluppo delle istituzioni.   Il tratto più comune sembra sia costituito dal consiglio degli anziani , cioè da individui che, avendo da tempo assimilato la tradizione, ne parlano con maggiore autorità. Questo sistema è stato additato come una forma di “gerontocrazia” , ma è preferibile considerarlo come un legame con le generazioni passate. Il consiglio degli anziani può essere integrato e talora persino sostituito dai capi; ma governare mediante dei capi è anche una forma di governo consultivo. I capi non hanno armi e possono continuare a svolgere le loro funzioni solo fin quando generano consenso, e gli anziani possono impedirglielo. Quando i capi divenivano re , come nel mondo azteco, gli anziani agivano come curia regis.  La risoluzione delle controversie era di solito informale e quando occasionalmente esistevano soluzioni “alternative” , esse avvenivano tramite corti e decisioni formali. Nella parte settentrionale del Nord America bagnata dal Pacifico, pare che non vi fossero semplici apparati giudiziari, mentre gli Aztechi ancora una volta si distinsero per un sistema di giudici permanenti e di appelli formali. In Africa coesistevano tipi informali di arbitraggio e tribunali costituiti in modo più formale. Anche la procedura è informale e la riconciliazione degli interessi richiede una lenta ed accurata determinazione delle circostanze del caso. L’obbiettivo primario è la riconciliazione piuttosto che il giudizio.      In genere il sistema di risoluzione delle controversie è aperto e immediatamente accessibile, non esistono barriere di fatto rappresentate da costi, né vi sono criteri d’ammissione o selezione preliminare, come quelle praticate sia dal diritto romano che dal common law per gran parte della loro storia. Il diritto è applicato direttamente dall’arbitro e , preferibilmente , dalle parti stesse.
3. Stili di vita
Il diritto ctonio delle obbligazioni (contratto e responsabilità) era quello forse meno sviluppato, così come in tale settore erano carenti sia il diritto continentale che il common law inglese. La terra, il raccolto e le relazioni personali sono ciò che costituisce l’oggetto del diritto ctonio. Anche il diritto di famiglia è caratterizzato dall’informalità. Matrimonio , divorzio e adozione non ricadono sotto alcun controllo istituzionale. Nella pratica degli Inuit l’adozione avviene mediante una semplice dichiarazione dei futuri genitori. Matrimonio e divorzio sono generalmente consensuali.                                                                Vivere in stretto contatto con la terra e in armonia con essa significa limitare la tecnologia, che potrebbe essere rovinosa per l’armonia naturale. Perciò, non c’è alcun incentivo allo sviluppo di macchinari complessi, né c’è alcun modo di accumulare ricchezza adoperandoli. Vi sono dunque, poche ragioni per conservare proprietà personali o mobiliari. Per la stessa ragione non c’è motivo di accumulare proprietà terriera o di tracciarne una mappa. La terra va goduta attraverso i suoi frutti naturali. Le nozioni ctonie di proprietà quindi riflettono quelle della vita ctonia; in genere la persona umana non è elevata a posizioni di dominio sul mondo naturale. La proprietà personale o immobiliare di una persona è costituita da ciò che essa adopera nella vita quotidiana. Nessun diritto delle successioni è di vitale importanza per prevenire dispute riguardanti la ripartizione mobiliare al momento del decesso. L’uso ctonio della terra consisteva nel godimento comune o collettivo. I capi potevano assegnare la terra per usi personali, ma senza smembrare il possesso collettivo.  Se il diritto privato delle obbligazioni era in larga misura non necessario, diverso era e rimane il caso del diritto penale. Nondimeno, in una società comunitaria carente di istituzioni formali, c’è poco spazio per la responsabilità individuale e per il controllo istituzionale. Il crimine, quindi, diventa responsabilità della società civile, vale a dire dei gruppi, dei clan o delle famiglie che la compongono. L’offesa ad un membro del gruppo è responsabilità del gruppo. Non essendovi corti formali, la riparazione del torto ha luogo con il negoziato fra gruppi, mediante il pagamento o una punizione equivalente.  In assenza di accordo negoziato, non resta che la faida mortale, potente incentivo all’accordo. Implicando di solito violenza fisica, il crimine costituisce una grave offesa sociale e richiede l’attenzione dell’intera comunità, ma l’obbiettivo non consiste nella punizione ma bensì nel risarcire la comunità.
4. Il dominio del diritto e funzione della Religione
Il diritto ctonio è intrecciato con tutte le credenze dei popoli ctoni e indigeni. Non vi è separazione tra diritto e morale, né tra diritto e tutto il resto. Il diritto ha un suo posto , assegnatogli dalla tradizione.  La religione è considerata una presenza costante ed è da questo che deriva l’assenza di strutture formali. La foresta è la chiesa, la caccia ed il raccolto doni di Dio o degli Dei. Il mondo naturale è sacro, e l’ordine giuridico ctonio è un tutt’uno con esso. Il diritto ctonio dunque è definito “ambientalista” ; le leggi della natura non sono né descrittive né positive; sono normative ed obbedire alle leggi è un dovere morale.
5. Identità ctonia
Oggi non esistono più al mondo tradizioni ctonie pure. Data l’espansione della tradizione occidentale ed islamica, tutti i popoli ctoni hanno visto espandersi la propria base di informazioni a causa dell’incorporazione di idee occidentali o islamiche. Perciò in assenza di tradizioni ctonie pure, non esistono più popoli puramente ctoni. Questo scambio di informazioni è agevolato dal carattere aperto della tradizione. Carente di fonti esclusive, la tradizione ctonia è incapace di autodefinirsi in modo tale da impedire l’ingresso ad eventuali agenti esterni.
6. Lo Stato come terreno intermedio
L’indicatore principale dell’identità ctonia è oggi costituito dallo Stato. Attualmente nel mondo non esistono più popolazioni ctonie che vivono al di fuori di uno Stato. All’interno dello Stato la relazione fra tradizione ctonia e tradizione occidentale dello Stato è complessa e mutevole. E’ ovvio che la natura di massa dell’insediamento europeo ha indebolito il diritto ctonio, soprattutto quando l’insediamento è stato affiancato dalla nozione – prevalentemente America Settentrionale e Nord del Messico – di “riserva” per le popolazioni indigene. In alcuni casi le terre delle riserve sono state persino assegnate a singoli individui, distruggendo così il titolo comunitario, mentre si è consentito che non indigeni acquistassero quelle non assegnate. Questo non significò la totale distruzione del diritto ctonio;  ma comportò che da quel momento in poi esso poteva esistere solo all’interno di un quadro legislativo di civil law , andando così incontro ad un inevitabile declino. Ciononostante le istituzioni europee hanno appoggiato la tradizione ctonia e soprattutto negli Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Norvegia le popolazioni indigene ctonie hanno potuto avvalersi di corti indipendenti come fori per affermare la propria tradizione. Analogamente si è avuta un’ampia tendenza al riconoscimento costituzionale del loro status e del loro diritto.

 

 

Cap. IV – La tradizione giuridica Talmudica. L’autore Perfetto.
Il popolo ebraico ha mantenuto la sua identità per migliaia di anni pur in assenza di un’organizzazione statale e in questo processo il diritto talmudico ha svolto un ruolo di prim’ordine. Il diritto talmudico rappresenta una delle tradizioni giuridiche viventi più antiche del mondo dopo il diritto ctonio. Questo significa che la tradizione talmudica è stata una delle prime a distaccarsi in modo definitivo e duraturo dal diritto ctonio.
1. Una tradizione radicata nella Rivelazione
Il diritto talmudico è radicato nella parola di Dio rivelata a Mosè, come la si trova nei primi cinque libri della Bibbia ebraica che costituiscono il Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio) . E’ qui innanzitutto che incontriamo il linguaggio delle fonti del diritto talmudico. Il periodo più importante della storia ebraica è quello che va da Mosè fino all’epoca del dominio babilonese, nel VI sec. a. C. (quando venne distrutto il I Tempio). Durante questo lungo periodo , si studiava la Torah scritta, se ne discuteva e se ne ricordavano gli insegnamenti. Così accanto alla tradizione scritta se ne sviluppò una orale. Anche la tradizione orale era considerata divina, e la Torah scritta serviva addirittura come espediente mnemonico per ricordare la più piena spiegazione di quella che veniva chiamata Torah orale. Così abbiamo complessivamente tre Torah , che rappresentato tutte e tre il volere divino : una Torah onnicomprensiva, una Torah scritta ed una Torah orale. Il popolo ebraico perse quel che oggi chiameremmo “sovranità politica”. I Babilonesi vennero sostituiti da altri dominatori, prima dai Greci e poi dai Romani. Le risorse per la traditio orale del magistero si stavano indebolendo, e così venne presa una decisione d’importanza capitale : la tradizione orale doveva essere messa per iscritto. Si avvia così l’accumulazione in massa dei testi della tradizione talmudica.
2. La parola scritta
Accanto alla Torah scritta, c’è una Torah orale che è diventata scritta. Nella tradizione essa è indicata più frequentemente come Mishnah il cui significato vuol dire “studiare”. Studiare appunto la Torah scritta, cioè il Pentateuco. La Mishnah cominciò ad essere progettata in seguito alla caduta del II Tempio. In quanto esposizione scritta della legge essa influenzò più esposizioni scritte. La sua interpretazione e discussione si prolungò per circa 300 anni, durante l’ascesa del Cristianesimo. Durante questo lungo periodo le opinioni dei sapienti, i loro commenti orali, divenivano sempre più incidenti nell’applicazione quotidiana del diritto e non era possibile opporvisi, la tradizione doveva conservarne le tracce. Come per la Mishnah vi era l’esigenza di registrarle e lo si fece, portando all’esistenza due raccolte, entrambe con il nome di Talmud.                                      Il primo Talmud fu quello di Gerusalemme, presentato sotto forma di commentario alla Mishnah, in questo commentario vi sono le opinioni più autorevoli .                                         Il secondo Talmud fu quello babilonese, redatto due secoli più tardi, generalmente considerato l’opera più raffinata. In entrambe le sue versioni , il Talmud è dunque il testo fondamentale della tradizione giuridica talmudica, la suprema autorità del diritto e del pensiero ebraico.  Il testo non ha la pretesa di essere esclusivo. Oltre a questo la legislazione fu uno degli ulteriori mezzi per accumulare tradizione. Si ebbero dunque successivi commentari chiamati codici , i più noti sono quelli di Maimonide e di Joseph Caro. L’applicazione del diritto inoltre generò raccolte scritte soprattutto in termini di responsa , cioè pareri scritti, consigli, forniti dai dotti del diritto, formulati in risposta ai quesiti di ogni tipo. A scrivere ancora oggi i responsa sono i rabbini , un ufficio istituito intorno all’epoca della caduta del II Tempio (70 d.C) . L’epoca dell’istituzione dei rabbini fu anche quella della fioritura della tradizione scolastica. La tradizione giuridica talmudica dunque è una tradizione determinata dalla sue fonti, che sono insieme divine e scritte. E’ stata efficacemente descritta come una piramide rovesciata : alla sua base sta la Torah scritta , che si estende verso l’alto nella Mishnah, poi il Talmud, poi ancora i codici e i responsa ed oltre, fino ai contributi odierni.
3. L’applicazione del diritto divino
Il diritto talmudico ha conosciuto da tempo tribunali formali, ma nella loro composizione si riflette il carattere religioso. La corte ordinaria era costituita da tre membri, tutti rabbini, giudici designati che godevano dell’immunità nell’esercizio delle loro funzioni. In alternativa le parti potevano accordarsi per rivolgersi ad una commissione composta da tre laici, i quali però non erano immuni. Come nel diritto islamico e nel common law , non esisteva l’appello e l’assenza di corti d’appello perdura ancora oggi. Esistevano però altre corti ; il piccolo Sinedrio per i reati capitali e il grande Sinedrio stesso che sedeva come corte di prima istanza per le questioni generali. Il Sinedrio era presieduto da due saggi : uno era il suo presidente, l’altro il capo della corte giudiziaria, il bet din (casa del diritto). Il Sinedrio cessò di esercitare la sua funzione giudiziaria nei primi anni dell’era volgare. Viceversa l’istituto della corte giudiziaria continua a funzionare ovunque vi sia una popolazione ebraica. Composto da tre rabbini i quali esercitano una forte autorità morale e il cui obbiettivo è ricostruire l’armonia fra le parti. La procedura è rapida. Le parti stabiliscono di conformarsi alla sentenza del tribunale che può essere resa esecutiva dalla corte Statale. Mancando di autorità statale formale oggi i giudici del “bet din” sono talora indicati come decisors , un vecchio termine inglese che indica coloro i quali hanno autorità nel decidere pur non avendo una veste ufficiale. L’assenza di una corte d’appello è giustificata dal fatto che, se una delle parti conviene che il giudizio sia erroneo, vi sarà la possibilità di correggerlo.                                                                                                                    Come nella tradizione ctonia quindi, troviamo una struttura processuale e giudiziaria aperta. Il diritto talmudico lo si può pensare come un diritto che definisce precisi obblighi tra le parti. La sua peculiarità però non sta nel suo contenuto quanto nei suoi metodi.            – Il diritto di famiglia ha natura largamente consensuale e la religione non esercita nessun controllo formale o istituzionale sui rapporti familiari. Il matrimonio si costituisce tramite parole di consenso, in presenza del rabbino. Le parti conducono un contratto di matrimonio che definisce le loro relazioni patrimoniali. L’amministrazione dei beni della moglie è responsabilità del marito. I figli nati fuori il vincolo coniugale sono considerati illegittimi. La poligamia è autorizzata dai testi, ma è stata oggetto di un bando rabbinico, forse influenzato dal cristianesimo, e oggi è largamente in disuso. Il divorzio è concesso dal marito, di norma dinanzi ad un “bet din”.                                                                                               – La proprietà ha finito con il divenire privata, lo sviluppo urbano ha travolto la dottrina religiosa ctonia ed ebraica, anche se obblighi religiosi ne limitano certi tipi d’uso.                      – Il diritto delle obbligazioni e della responsabilità civile è profondamente segnato dal suo carattere privatistico. Poiché il denaro può essere donato e sostituito con altro denaro, le parti sono libere di scegliere che sia la legge del paese a regolamentare le loro obbligazioni.      – I contratti hanno caratteristiche distinte e non sono tutti fondati sul consenso. Esistono contratti di vendita, di associazione, di lavoro mentre la forma e persino la traditio costituiscono elementi essenziali per la loro esistenza.                                                                        – Le sanzioni possono essere pecuniari o corporali. Il furto è in larga misura sottoposto alle sanzioni civili dell’indennizzo e della multa.
4. L’individuo nel Talmud
Nella tradizione talmudica gli individui sono molto più visibili che in quella ctonia. Ciononostante nel talmud non vi è un vocabolario dei diritti soggettivi, né il concetto di diritto occidentale. Presente invece è il termine mitzvah , cioè il raggiungimento dell’eta dell’obbligo. Nell’adempiere ai propri obblighi ciascun individuo manifesta il proprio amore per Dio, attraverso anche lo studio della Torah . La tradizione talmudica colloca la persona in una posizione privilegiata nell’universo, cosi che possiamo dedurre che nel talmud esiste il valore della persona e la giustificazione ultima dei suoi diritti.                        
5. Identità Ebraica
L’identità del popolo ebraico è stata da sempre minata dall’agire altrui. Nel corso dei secoli, coloro che si opponevano alla dottrina talmudica ne bandivano l’insegnamento o bruciavano i testi. Gli ebrei inoltre finirono con il vivere in “comunità coatte” , costituite in risposta alla pressione organizzata da Stati e altre comunità. Tutto ciò non annullò, bensì rafforzò il senso di identità. Se i libri venivano bruciati, quantomeno la tradizione orale poteva essere conservata. Oggi l’identità ebraica sembra aver sconfitto la minaccia di un’aggressione esterna, anche se lo stato di Israele potrebbe non essere mai al sicuro.

 

 

 

 

 

 

Cap V – La tradizione giuridica di civil law. La centralità della persona.
Dalla storia del diritto dell’Europa continentale, il civil law sappiamo innanzitutto che si divide in due periodi : quello del diritto romano e quello del diritto continentale moderno, che inizia con la “riscoperta” del diritto romano nell’XI secolo d.C.
1. La costruzione della tradizione
A Roma cominciò ad avvenire qualcosa che fu identificato come diritto. Ma non venne scritto un codice civile; le cose furono fatte molto lentamente. Fra ceti aristocratici e quelli popolari esistevano non pochi contrasti interni che si protraevano dall’epoca della fondazione dell’urbe , nel VIII sec. a.C. Così alla fine si cerco di placare il popolo mettendo per iscritto, su tavole, alcuni principi molto elementari su come risolvere le controversie. Queste Dodici Tavole sono spesso considerate l’inizio del diritto romano e l’inizio del civil law.
2. Fonti e istituzioni
La tradizione del diritto romano non scaturì da qualcosa che potremmo chiamare legislazione, ancor meno da una codificazione. Il diritto della gente comune doveva scaturire da istituzioni alle quali essa potesse in qualche modo prender parte diretta, legittimando il diritto mediante un processo partecipativo. Ma i romani non crearono un corpo di giudici professionisti, più semplicemente lasciarono che fosse qualcuno dei patrizi, il iudex , a decidere i singoli casi e che lo facesse come una sorta di “benevolo dilettante”. Durante il tardo impero, questo sistema portò a molte accuse di corruzione , e fu solo allora che comparve l’appello. Poiché i giudici erano patrizi non tutti potevano accedervi. L’accesso al giudizio era controllato da un ufficiale, il pretore, che ogni anno, quando assumeva l’incarico, fissava in un editto il tipo di controversie che si potevano sottoporre alla cognizione del giudice. Per gran parte della storia del diritto romano, quando qualcuno si lamentava legittimamente con il pretore, era questi che formulava il caso che il giudice avrebbe dovuto decidere. Questa procedura era nota come “processo formulare”. Fu soltanto nel Tardo Impero, che le corti furono aperte e divennero parte di una burocrazia romana crescente e sempre più corrotta; così, quella che all’inizio era una procedura straordinaria di ricorso diretto al iudex, diventò regola. Ma ci vollero migliaia di anni perché divenisse possibile trovarsi direttamente dinanzi ad un giudice senza un filtro ufficiale. Dunque non c ‘era legislazione e i giudici erano dilettanti di alto rango. Anche quando la questione da decidere fosse stata predisposta per loro (dal pretore), i che modo ci si doveva aspettare che decidessero? Fu così che , rimettendo l’interpretazione del diritto nelle mani del Collegio dei Pontefici, cioè dei sacerdoti, venne istituito un monopolio interpretativo. Dalla crescente esperienza dei pontefici e dei loro successori, i giureconsulti, scaturì l’idea generale del diritto come sapienza, in forma scritta e secondo rigorose regole di ragionamento. All’epoca dell’ Impero, si scriveva su rotoli di papiro; poi i rotoli divennero fogli che, infine furono cuciti in forma di volume . I codex.
3. Diritto Sostanziale Secolare
Il diritto romano, dunque, trova le sue origini nei pareri resi dai giureconsulti su singoli casi, o controversie. Il diritto che ne emerge si mostra molto vicino alla vita quotidiana, come quello talmudico. C’era un diritto delle persone e della famiglia che rispecchiava la vita familiare romana, con il paterfamilias, la moglie, i figli e gli schiavi.                                         – Benché fosse oggetto di varie forme di celebrazione, il matrimonio era costituito dall’intenzione attuale di vivere come marito e moglie ed era rigorosamente monogamico. Il concubinato esisteva, ma la prole non era legittima, perché seguiva la linea materna e non entrava a far parte della famiglia paterna, ma la legittimazione era possibile a seguito di un successivo matrimonio.                                                                                                                   Era ammessa anche l’adozione ed esistevano vari tipi di tutela.                                                            – Come per il Talmud era possibile possedere le cose. Esistevano cose patrimoniali e cose extra-patrimoniali; cose comuni e cose sacre; cose principali e cose accessorie; cose corporali e cose incorporali.                                                                                                                   – La proprietà era essenzialmente privata, ma esisteva qualcosa di simile al trust, mediante il quale qualcuno doveva occuparsi della proprietà altrui.                                                                    – Ancora una volta, i contratti erano contratti (al plurale), mentre non esisteva un concetto generale di contratto fondato sul consenso. C’erano dunque i contratti reali (trasferimento della cosa) , i contratti verbali ( che richiedono termini solenni), i contratti letterali (in forma scritta) ed in certi casi i contratti consensuali (vendita, locazione, associazione).           – La condotta delittuosa veniva sanzionata, ma non esisteva nessun principio generale di responsabilità per colpa. C’era responsabilità quando ne ricorressero le condizioni, secondo la descrizione oggettiva di come era stato causato il danno (bruciando o demolendo la proprietà ecc..) La responsabilità , dunque, piò essere considerata solo responsabilità oggettiva.
4. Diritto romano e diritto in Europa
I romani portarono con sé il loro diritto dappertutto in Europa, a nord fino a quella che oggi consideriamo Germania, ad ovest fino alle isole britanniche. Ma il diritto romano era il diritto del conquistatore e non sempre fu amato.                                                                          Il diritto romano piombò fragorosamente sui tumultuosi eventi che ebbero luogo in Europa tra l’XI e il XIII secolo. In un breve arco di tempo , venne formalizzato un abbozzo di distinzione fra Stato e Chiesa, sorsero le Università, si costituirono le professioni legali, si riportò quindi a nuova vita il diritto romano e si riscoprì la filosofia greca. Quindi la prima rinascita europea segnò un ulteriore sfida al primato del diritto ctonio ; si verificò qualcosa di molto interessante : si ebbe una rara combinazione di tradizioni giuridiche diverse. In entrambe le tradizioni si aveva dunque, una nozione di quel che potremmo considerare diritto sostanziale; scritto o non scritto che fosse, era un diritto che guardava agli obblighi sostanziali, forse persino ai diritti.   Nell’Europa dell’ XI secolo era giunto il momento di impegnarsi in un alto dibattito sul quale tipo di diritto dovesse aversi, tutti erano d’accordo sul fatto che il dibattito avrebbe dovuto riguardare il tipo di diritto sostanziale più opportuno , dato che le procedure, le corti e le istituzioni dovevano essere aperte. Quindi l’assenza di barriere istituzionali e la spinta incalzante di un mondo arabo altamente civilizzato fornirono all’Europa la motivazione di assemblare tutte le proprie forze giuridiche. Così le nuove e celebri Università, con diritto e teologia come discipline primarie, si assunsero il compito di adattare il diritto romano alle nuove tendenze, così che alla fine il diritto romano servì da base per costruire grande parte del diritto continentale europeo. Questo processo richiese secoli, attraverso questi coloro che scrivevano le glosse al diritto romano sembravano molto più talmudici che giuristi di civil law; erano più interessati a porre domande (quaestiones) che a dare risposte. Si stava venendo a creare un nuovo diritto sostanziale, dotato di un linguaggio tale da essere applicato ovunque in Europa. Esso divenne noto come diritto comune, lentamente cominciò ad acquistare prestigio e a divenire persuasivo nella maggior parte dell’Europa ed in questo processo la chiesa cristiana svolse un ruolo di primo piano, un ruolo unificante. Il diritto romano ebbe maggior influenza nei paesi germanici, che si consideravano discendenti del primo impero romano e del Sacro Romano Impero (quello di Carlo Magno); Il diritto inoltre andò incontro ad una certa resistenza da parte dei sovrani di Francia. L’opposizione avveniva spesso a nome del vecchio diritto ctonio, che si diceva, ispirato a Dio.
5. La costruzione del diritto nazionale
Nel XVII secolo , le ordinanze reali di Luigi XIV furono il primo segnale continentale  di un diritto nazionale pilotato dal centro. La codificazione francese del diritto privato, sotto Napoleone nel 1804, fu la prima codificazione nazionale, sistematica e razionale del diritto. Quando il codice entrò in vigore, lo si ritenne capace di unificare lo stato di Francia. Il codice civile tedesco del 1900, sviluppò ancor di più la sistematica giuridica. Dopo di che, tutti in Europa avrebbero avuto i propri codici.
6. La razionalità dei codici e l’espansione del diritto
Ecco dunque, tutti gli elementi concreti, di quella che chiamata tradizione di civil law : codici di diritto, vasta magistrature residenti, procedura civile controllata dal giudice (chiamiamola investigativa), prestigio storico dei processori del diritto.                                       Gran parte della storia del civil law è legata a quella della tradizione giuridica ctonia. Il ruolo del civil law si è ampliato innanzitutto a Roma; dall’epoca delle procedure rigidissime e formalistiche dell’età arcaica , nella quale in sostanza era applicato tutto il diritto ctonio, il civil law è lentamente e costantemente cresciuto sia come diritto sostanziale, sia sotto il profilo procedurale. Dal punto di vista sostanziale, esso fu capace di far fronte ad un’ampia serie di problemi sociali, ed infine dopo quasi un millennio, le corti furono semplicemente aperte a tutti. Parte del successo del civil law fu quello di cooptare il diritto ctonio. Le cosiddette consuetudini regionali furono messe per iscritto. Quando i testi scritti furono chiamati ordinanze o codici, il potere creativo del legislatore divenne palese ed il diritto poté estendersi fin dove arrivava questo potere. In assenza di barriere istituzionali di fatto, la legge può arrivare dove vuole e così i testi si moltiplicano. Non esistono solo codici civili, esistono codici penali, commerciali, delle amministrazioni e ciascun di essi ha regolamenti ben precisi. Quindi il diritto si specializza.
7. La centralità della persona e la crescita dei diritti
Il diritto preesistente era un diritto relazionale, un diritto fatto di obblighi. Le persone erano ancorate all’interno delle relazioni esistenti, spesso gerarchiche, ed era lì che secondo il diritto dovevano restare. Così, non solo bisognava cambiare il diritto, ma occorreva trovare ovvie ragioni per farlo. Queste ragioni furono rinvenute non solo, in negativo, nell’accusa di corruzione, ma anche in positivo, nella natura umana e nel riconoscimento divino che ne dava la tradizione giudaico-cristiana. Dal momento che gli esseri umani sono creati ad immagini di Dio e possiedono la forza della ragione, essi possono agire nel mondo come delegati o luogotenenti di Dio; possono esercitare sulle cose il dominio che Dio esercita sul mondo ed hanno il potere di assicurarsi ciò è loro dovuto. Lo ius del diritto romano viene allora formulato come titolarità unilaterale, il diritto diventa la sanzione terrena garante del rispetto di quella titolarità. In altri termini il diritto diventa soggettivo e di conseguenza genera diritti.                                                                          – Nel diritto di proprietà questo significa che il possesso individuale del diritto romano doveva diventare una forma esclusiva di proprietà.                                                                               – Il contratto diventa risultato dell’incontro di volontà autonome.                                                      – Le obbligazioni di fatto illecito divengono obbligazioni di fatto colposo (come in Francia) o per lesione dei diritto (come in Germania).                                                                                       – Anche il diritto penale verrà riformato, passando dalla definizione di crimine a responsabilità soggettiva.                                                                                                                        Ovviamente i diritti non sono assoluti; la legge ne controlla le condizioni ed i modi di esercizio. Li si può considerare come standard generali, i cui contenuti vanno sempre definiti. Non di meno essi costituiscono un potente strumento per generare le condizioni basilari della dignità umana, nel contesto europeo hanno fatto molto. Si attiva un principio di eguaglianza sociale, dato che i diritti esistono e che tutti ne sono titolari. Costruiscono la base della centralità della persona.
7. Identità Europee
Con lo sviluppo del diritto romano, le relazioni fra tradizioni divennero più complesse. In realtà il diritto romano era composto da due tipi di diritto : il diritto civile applicabile ai romani stessi e lo ius gentium o diritto dei popoli in genere, applicato per le genti che non fossero romane. Quel che fecero i romani fu dunque semplificare le loro relazioni giuridiche con altre genti. Nel far questo i romani riuscirono ad adeguare il loro ius civile alle circostanze esterne nelle quali si imbattevano. In ciò ritroviamo qualcosa di simile a quello che in seguito sarebbe stato chiamato “diritto comparato”. Il diritto che in tal modo si sviluppò cominciò ad esercitare una certa influenza sullo stesso ius civile, ancora una volta in maniera del tutto formale. Il diritto romano quindi, non conobbe alcun vero problema di conflitto di leggi e non sviluppò nessun diritto per affrontarlo. Più semplicemente, i giuristi romani si avvalsero in modo piuttosto rudimentale del diritto disponibile, ammettendo due diritti ciascuno aperto nei confronti dell’altro. Tornando alle due identità giuridiche dopo la caduta dell’Impero, ovvero quella locale e quella europea, sappiamo che si ebbe una continua alternanza di diritto locale e diritto romano europeizzato. L’esito di questo processo, cioè l’adesione al diritto razionale moderno da parte della gente, è consistito nella creazione di nuove identità europee, quelle dello     Stato-nazione , i cui popoli potevano essere identificati mediante la cittadinanza. Assistiamo qui al risultato complessivo del pensiero sistematico applicato al diritto : i sistemi richiedono confini, ed ecco i confini dello Stato; richiedono coerenza, ed essa è fornita dall’esclusività delle fonti ; entrano in conflitto e nasce la scienza del diritto internazionale privato europeo, un diritto formale di tutti i diritti formali.

 

Cap VI – La tradizione giuridica islamica. Il diritto dell’ultima rivelazione.
1. Una tradizione radicata nell’ultima rivelazione
All’epoca di Maometto la nozione di diritto scritto era ben radicata, a causa della notorietà sia del diritto romano, studiato nella scuola giuridica di Beirut, sia del diritto Talmudico. Dio rivelò a Maometto il suo insegnamento parola per parola, per un periodo di circa 23 anni, dal tempo del soggiorno alla Mecca fino all’ultimo trionfale ritiro a Medina. E così come veniva rivelato, veniva scritto da altri su pezzi di cuoio, frammenti di terracotta e persino ossa. La rivelazione dunque, fu parola scritta fin dall’inizio. Il libro sacro, il Corano, è letteralmente “lettura”. Il Corano contiene un po’ di diritto, ma non è facile trovarlo, nondimeno, esso costituisce per il diritto successivo un’ispirazione ed una fonte.
2. La Shari’a. Le fonti
Anche il diritto islamico ha le sue fonti, e la cosa probabilmente migliore è pensarla in forma rovesciata, come quella del Talmud. L’insieme del diritto islamico è noto come shari’a , che significa la via o il percorso da seguire. La nozione del modo e della strada da seguire era valida anche per il diritto ctonio , cosicché troviamo il tentativo di spiegare, mediante nome  o concetto, l’importanza per la vita quotidiana della persone; da questa designazione si apprende qualcosa in merito alla sua capacità di presa normativa. La maggior parte della shari’a si rinviene nel corpus del fiqh , al quale negli scritti occidentali ci si riferisce talvolta con il termine di “scienza” del diritto islamico o giurisprudenza, benché il suo significato letterale sia quello di “comprensione”. Tutto ciò che deriva interamente dal Corano può essere considerato come un commento o una spiegazione del Corano stesso, da questo punto di vista il diritto islamico è paragonabile al diritto talmudico, dal momento che entrambi hanno conosciuto rivelazioni formali scritte e uno sviluppo meno formale, orale, della rivelazione del Profeta.                                                        Così nel diritto talmudico abbiamo il Pentateuco, cioè la rivelazione scritta di Mosè, e la tradizione orale, cioè la Mishnah. Analogamente nell’islam abbiamo il Corano ed inoltre le spiegazioni e la condotta del Profeta nel vivere e chiarire il Corano stesso; queste ultime costituiscono la Sunna letteralmente il sentiero imboccato e percorso dallo stesso Profeta, il cui contenuto si trova negli hadith , o tradizioni. Un Hadith contiene necessariamente due parti : l’enunciato normativo in sé, e inoltre il dettaglio o la catena della traditio che esso stesso ha seguito.  Con il tempo si accumulò una grande esperienza nel valutare i migliaia di hadith riportati e la scelta fra essi divenne un aspetto essenziale del fiqh (comprensione). Proprio come nel diritto talmudico si giunse al Talmud, nel diritto islamico la fonte ancor più esplicita e di origine umana è rappresentata dall’ ijma (consenso dottrinale). L’ijma è il terzo livello della piramide, è costituito da una comune convinzione religiosa, il consenso. Esso si può conseguire soltanto attraverso il dibattito e la discussione. Discussioni che portano spesso a divisioni di pensiero. Nell’esperienza islamica le differenti correnti di pensiero si sono canalizzate nella comparsa delle scuole giuridiche dove il consenso si manifesta in forme plurali.                                                                       Dopo il Corano , la Sunna e l’ijma, annoveriamo una quarta fonte, il qiyas , o ragionamento analogico, che ispira le forme giuridiche e ne facilita il funzionamento. Ma il punto importante della tradizione islamica nell’individuare la ragione attraverso il procedimento analogico, ma nell’escludere tipo di ragionamento più assertivi. L’aver ammesso il qiyas come fonte ha realizzato una sorta di compromesso fra l’aderenza stretta ad un hadith e l’ammissione di forme di ragionamento più libero. In tal modo nella definizione di fonti islamiche incominciamo a scorgere non solo la struttura concreta delle fonti stesse ma l’inevitabile esclusione di altre fonti, di potenziali mezzi di cambiamento. Una volta stabilizzatosi, il consenso è sanzionato religiosamente e riduce la prospettiva ad un mutamento ; le fonti islamiche autorizzate forniscono tuttavia una gran quantità di diritto scritto che richiede forme istituzionali di attuazione.
3. La giustizia del qadì e la dottrina del muftì
Il qadì è il giudice, la figura internazionalmente più nota del diritto islamico. La sua funzione consiste nel risolvere le liti alla luce del diritto islamico, e il procedimento è caratterizzato da un altro grado di integrità e imparzialità. La risoluzione della controversia da parte del qadì ha luogo in quello che, in Occidente è stato descritto come un “procedimento per trovare il diritto” , cosicchè la nozione di mera applicazione di norme preesistenti è del tutto assente dall’intera concezione del procedimento giudiziario. Quest’ultimo è concepito come un percorso dinamico, un processo nel quale tutti i casi sono diversi e particolari, e per ciascuno di essi occorre scovare con cura il diritto esattamente appropriato. Il diritto di ciascun caso è diverso dal diritto di ogni altro caso e tutti, sia le parti che il qadì, hanno l’obbligo, inteso come servizio a Dio, di far combaciare le circostanze del caso obiettivamente determinate con i principi della shari’a. Poiché hanno questo dovere, le parti non sono libere di ostacolare in alcun modo il processo e sono giustamente considerate come partner del qadì nel procedimento di ricerca del diritto. Il processo non è accusatorio, nel senso del common law, ma non è neanche inquisitorio nel senso formale della procedura di civil law. C’è persino relativamente poco diritto processuale perciò si è detto che “la decisone legale ha valorizzato il compromesso ed i fatti concreti del caso particolare, piuttosto che l’adesione ad un principio generale o l’applicazione di norme generali astratte”.                                                                                      Poiché le parti sono sottoposte all’obbligo di far sì che si giunga ad una comprensione del caso compatibile con la conoscenza di Dio, è particolarmente valorizzata la testimonianza orale ; in linea di massima, le prove scritte sono escluse,  ma possono essere ammesse in casi eccezionali o a sostegno della testimonianza orale. Una volta raggiunta, la decisione del qadì è semplicemente resa, senza motivazioni scritte e spesso senza ragioni esplicite di sorta. Da questo momento in poi ci si aspetta che le parti, partner nel processo, comprendano cosa è avvenuto e perché.                                                                                                      Il diritto islamico non conosceva le corti d’appello ; per il soccombente il rimedio consisteva nel ritornare dal qadì che aveva deciso. Tuttavia , nel caso in cui non si ottenga soddisfazione in forza del giudizio iniziale, è possibile ottenere l’esecuzione, anche se un giudizio contrario al diritto islamico non può mutare lo status delle parti agli occhi di Dio. In quanto arbitro , il qadì non contribuisce allo sviluppo del diritto né si colloca fra i suoi sapienti. Perciò c’è ampio spazio per gli esperti di diritto al di fuori delle corti.                            In ciò il muftì , o giureconsulto, gioca un ruolo simile a quello del giurista romano. Libero da responsabilità formali e tuttavia dotato di conoscenze utili , il muftì costituisce la risorsa più efficace per fornire una gran massa di diritto a fronte di casi particolarissimi. L’opinione del muftì, la fatwa, è spesso conservata negli archivi dei tribunali come strumento per le decisioni in corso. Nella vita del diritto islamico si riscontra una notevole carenza di sostegno istituzionale. Da questo punto di vista il diritto islamico rimane pià vicino al suo immediato precessore, il diritto ctonio arabo. E’ vero che il qadì ricopre una posizione istituzionale formale, ma a parte questo il diritto islamico si regge solo sulla sua comunità. Non c’è un legislatore islamico, nulla di equivalente al Gran Sinedrio, né una chiesa istituzionalizzata e gerarchica. Gli esperti del diritto islamico non ricevono alcun tipo di autorizzazione, né alcuna laurea. Più semplicemente divento esperti e sono riconosciuti come tali. Perciò l’autorità legale è conferita, in un senso molto concreto, alla comunità privata o religiosa, non ad un qualsivoglia governante politico. L’islam intende offrire un rapporto personale con Dio e le possibilità di corruzione istituzionale sono relativamente poche. E’ una delle ragioni della sua attrattiva.
4. Shari’a sostanziale
- Il diritto di famiglia e il diritto delle successioni recano la profonda impronta del diritto ctonio arabo che Maometto trovò e nei cui confronti reagì. In genere, si tratta di diritto privato consensuale, dato che non c’è stata una chiesa organizzata o uno Stato che ne determinasse le condizioni o lo amministrasse. Benchè vi si possano aggiungere delle cerimonie, il matrimonio si costituisce per mutuo consenso. In certe zone del mondo islamico le parti possono essere molto giovani, al di sotto dei 13 anni. Vi sono ovvie motivazioni economiche per questo, ma in passato esse erano più evidenti, perché il diritto ctonio arabo prevedeva la vendita della sposa. Maometto lo cambiò, stabilendo che solo la sposa potesse ricevere il pagamento dal marito o dalla sua famiglia. Come nel diritto talmudico delle origini, il matrimonio è potenzialmente poligamico, essendo permesse fino a quattro mogli. Storicamente il divorzio avveniva in forza di una dichiarazione del marito. Anche in questo caso, Maometto ha migliorato le cose introducendo una pausa o un periodo d’attesa, prima che il divorzio divenga pienamente efficace, al fine di promuovere la riconciliazione. La natura consensuale del matrimonio inoltre, può costituire un rimedio, perché permette un accordo sulla possibilità di divorzio per mutuo consenso. Inesistente è l’adozione. Differente l’obbligo di prendersi cura dei bambini e di sostentarli, che è un argomento molto forte nel diritto islamico, profondamente sensibile nei confronti delle persone bisognose.                                                                                                                                     – Riconoscendo sia la proprietà privata, che la proprietà detenuta dallo stato o dalla comunità, il diritto di proprietà islamico si avvicina molto a quello occidentale. Tuttavia l’uso della terra e della proprietà in genere è inserito in un contesto sociale più ampio di quanto non avvenga nel diritto occidentale. Vi sono analogie con il diritto occidentale più antico nel fatto che la proprietà assoluta è considerata in ultima analisi appartenente a Dio, cosicchè la proprietà individuale è sottoposta ad un obbligo più vasto, alla luce del quale “tutti i settori della società hanno diritto di partecipare a tutta la ricchezza” e più in particolare “coloro che hanno bisogno, hanno diritto alla proprietà di coloro che stanno meglio”. Questi doveri generali stanno a fondamento della zakat, l’obbligo islamico di provvedere agli indigenti, ritenuto non una tassa ma un atto di culto , perché la prosperità è vista come benevolenza di Allah. Combinato con l’ammonizione coranica contro lo spreco e la prodigalità il diritto islamico può essere considerato un diritto amico dell’ambiente (il colore islamico è il verde).                                                                                                                                 – Il diritto delle obbligazioni ed il diritto commerciale sono anch’essi segnati da questa vasta etica coranica, e in proposito i mezzi per realizzarla sono più precisi ed efficaci. Del diritto dei contratti si è detto che è “consensuale, ma non promissorio”. L’idea di fondo è quella di “equivalenza delle prestazioni” o di mutualità, e questa nozioni di obbligazioni condivise ed equivalenti sta alla base, in materia commerciale, del divieto generale del riba (interesse). Qualsiasi rendimento prestabilito sugli investimenti senza condividerne il rischio, è ritenuta una forma di arricchimento ingiusto odi appropriazione di proprietà altrui. Per queste ragioni, la personalità giuridica come mezzo per limitare la responsabilità individuale non è mai stata accettata dalla tradizione.                                              – Il mercato del mondo islamico non è dunque, fino in fondo, libero mercato. Deve vivere all’interno della più vasta legge coranica che in genere proibisce la speculazione e l’ingiusta distribuzione del rischio.  Trasferito nel mondo bancario, significa che le banche non possono semplicemente limitarsi a caricare interessi sul prestito, ma devono acquistare beni o partecipare alle iniziative sostenute finanziariamente, condividendo così il rischio di perdita come la possibilità di profitto. Esistono strumenti commerciali altamente sviluppati per farlo e qui il diritto di compravendita assume un’importanza cruciale. In assenza di prestiti gravati da interesse, per finanziare le vendite c’è il murabaha, con il quale la banca prima acquista la proprietà e poi vende all’eventuale acquirente ad un prezzo più alto.                                                                                                                                                          La finanza islamica non sembrerebbe quindi né socialismo (che elimina il mercato) né capitalismo (che lo rende libero) : è un altro modo di pensare.                                                            – Il diritto penale islamico è rinomato più per le sanzioni che per il contenuto, e questo è particolarmente vero per qualunque tipo di reato enunciato nel Corano o nella Sunna. Citiamo un versetto del Corano “Quanto al ladro, sia uomo che donna, tagliategli le mani”. Se si vuole rubare qualcosa in un paese islamico bisogna pensarci bene. Tuttavia non c’è modo di sapere con certezza se si perderà una sola mano o entrambe, qualora ci si trovi colpevoli di furto.
5. Shari’a e rivelazione
Il diritto islamico dunque, è una tradizione giuridica altamente sviluppata e complessa. La rivelazione non fornisce esplicitamente tutte le risposte, né arresta la discussione ed il dibattito. Inoltre il dibattito non verte soltanto su punti particolari del diritto sostanziale, né soltanto sui tipi di ragionamento permessi ; investe, piuttosto, l’intero rapporto fra la rivelazione ed il corpus giuridico che ne è scaturito nel corso del tempo.                                              La shari’a condivide con il diritto talmudico una straordinaria capacità di penetrazione nella vita quotidiana dei suoi aderenti. Il fiqh è stato quindi descritto come una scienza composita di diritto e moralità, e ciò deve essere inteso come fusione di entrambi. Il fiqh si estende non solo al diritto civile e penale, ma anche all’etichetta, al cibo, all’igiene e alla preghiera. La shari’a può essere considerata un mezzo per rendere efficace la volontà di Dio.
6. L’individuo nella Shari’a
I limiti posti alla ragione umana nello sviluppo del diritto e le limitazioni alle attività di mercato indicano lo spazio riservato all’individuo nella tradizione giuridica islamica nel suo complesso. Gli esseri umani sono rappresentati come “successori, o deputati” di Dio in terra. L’intera struttura del diritto islamico sarebbe rivolta ad assicurare la giustizia per la persona umana ed il rispetto reciproco. Se in Europa i diritti sono diventati strumenti necessari per liberare le persone da gerarchie arbitrarie, l’islam rigetta la gerarchia, persino nella religione; perciò i diritti sono allo stesso tempo non necessari e potenzialmente distruttivi degli obblighi reciproci. Il Corano conferma l’importanza dell’essere umano e della vita dopo la morte, quanto una nozione di tempo che scorre verso la salvezza finale.
7. Scuole e scismi
Nell’islam le differenze si sono istituzionalizzate nelle scuole giuridiche esistite fin dal I secolo. Le più antiche sono quelle della città di Medina e di Kufa note anche dal nome dei maggiori maestri che vi insegnarono, come le scuole di Maliki e di Hanafi. La scuola di Medina – Maliki, in quanto scuola della città stessa del profeta, è considerata un po’ più conservatrice di quella di Kufa-Hanafi, nota per la sua enfasi sulla libertà di contratto. L’insegnamento del grande giurista al-Shafi’i diede origine alla terza scuola, che finì con l’essere considerata una via di mezzo tra le due precedenti. Si trattava di scuole giuridiche nel senso dottrinale del termine ; le loro dottrine si tramandavano in specifici istituti di diritto, le madrase, che costituivano e costituiscono ancora, la fonda primaria del diritto della tradizione. Ci si riferisce ad esse come “unità costituzionali” in assenza di una costituzione. I loro insegnanti trovano un progetto comune e una comune responsabilità nel corpus riconosciuto del diritto che professano. Le scuole differiscono sia in termini di diritto sostanziale, sia per le fonti del diritto. I presupposti del divorzio variano da scuola a scuola. Le differenze derivano dai diversi hadith adottati nei primi secoli dell’era islamica e dal tipo di ijma specifico che esse hanno sviluppato.  La riformulazione legislativa del diritto islamico non è tenuta a seguire un sistema specifico di legge personale, ma può adottare la dottrina di una singola scuola per un dato territorio, oppure scegliere con cura fra le regole della scuola per ottenere la sintesi preferita.
8. La diaspora Islamica
Oggi le popolazioni islamiche sono disseminate ovunque nel mondo, sia a causa dell’originaria espansione della civiltà islamica, sia per gli attuali schemi migratori e le conversioni. Gli scambi fra diritto islamico e altri diritti avvengono spesso sotto l’ombrello costituzionale di uno Stato ospitante. Negli stati nei quali la Shari’a non è il diritto del territorio si evidenziano due chiari modelli.                                                                                            – Nel primo modello, si garantisce al diritto islamico lo status formale di diritto della gente islamica. In India, che prima della colonizzazione inglese è tata per secoli sotto il dominio islamico, il diritto islamico rimane diritto personale applicabile alla minoranza musulmana per il diritto di famiglia e le successioni. Altrove, in Africa per esempio, il diritto personale islamico può prevalere in una data regione, come nella Nigeria Settentrionale. In questi casi il diritto islamico si fonde spesso con il “diritto nativo” mentre sia la tradizione ctonia che quella islamica si distanziano dalle fonti occidentali del diritto. La medesima coesistenza di tradizioni multiple è evidente nel Sud Est Asiatico, dove il diritto islamico coesiste con le tradizioni locali ctonie.                                                                                                   – Il secondo modello è quello della maggior parte degli Stati occidentali, caratterizzati dall’esclusività delle fonti statali di diritto, che perciò negano l’esistenza dei diritti personali, siano essi quello ctonio, islamico o altro. Il diritto non statale però può essere riconosciuto. Tutti gli Stati occidentali considerano il proprio diritto privato un diritto in linea di massima dispositivo, così che resta ampio spazio per l’adozione, mediante mezzi contrattuali, del diritto islamico. E persino in paesi come la Francia, dove il principio di secolarismo e laicità è sancito dal più alto grado costituzionale e dove il ruolo della legislazione è esclusivo, la protezione costituzionale della libertà religiosa può spingersi fino a tutelare in qualche misura le pratiche islamiche. In molti stati occidentali inoltre, i tribunali religiosi possono funzionare come tribunali privati per i loro aderenti.                           Riconosciuto o meno dallo Stato quindi il diritto islamico può giocare un ruolo importante nella vita degli islamici che vivono in Occidente.

 

 

 

 

 

 

Cap VII – La tradizione di common law. L’etica del giudizio
La miglior spiegazione per l’esistenza della tradizione del common law è l’accidente storico, il caso costituito dalla conquista militare dell’ Inghilterra da parte dei Normanno. Come effetto di tale accidente storico sorse in Europa il primo Stato identificabile come tale, con confini ben definiti e un governo centrale. Così i Normanni sarebbero giunti alla conclusione che si potesse fare qualcosa per sviluppare un ordine giuridico che rispondesse tanto alle loro esigenze, quanto a quelle locali. Tuttavia, circondati come erano da ostilità e lingue straniere, sussistevano limiti evidenti a quel che potevano realizzare. Così ancora una volta non sembra possibile parlare della creazione di una tradizione, ma solo di una nascita, di un evento piccolo ma importante che avrebbe reso possibile un successivo sviluppo, lo sviluppo di una tradizione che oggi chiamiamo common law. Visto dalla più ampia prospettiva dell’Europa continentale , si trattò dello sviluppo di un diritto particolare, particolare dal punto di vista delle circostanze europee dalle quali scaturì.
1. Nascita e sviluppo
I normanni misero insieme gli ingredienti basilari del common law in un secolo e mezzo circa a partire dalla conquista del 1066.  Il risultato fu un’attenta selezione delle nuove idee adattate alla necessità di una vita giuridica, politica e sociale dei Franchi e degli Angli d’Inghilterra. Ma occorreva invece un corpo di giudici fedeli, capaci di portare in ogni angolo del regno una nuova “pace del re”, più efficace e moderna. Quel che occorreva era un qualche tipo di ufficiale giudiziario permanente che potesse lavorare efficacemente e sotto controllo. L’unica scelta praticabile per ricoprire in ufficio del genere ricadeva sugli uomini di chiesa, che almeno sapevano leggere e scrivere e che avevano già una certa pratica di diritto canonico. Dato che sapevano leggere e scrivere, si potevano dar loro precise istruzioni scritte per i casi specifici , così da poter esercitare sul loro operato un controllo preventivo. Ma di tali funzionari non potevano essercene molti, diversamente il loro costo sarebbe stato troppo altro. E sarebbe stato saggio cooptare in questo lavoro la popolazione, cosicché i giudici avrebbero potuto limitarsi a ricevere le domande giuste sollevate in un certo numero di casi e poi spostarsi in un’altra cittadina. Né , in linea di principio, poteva esservi nulla di obbligatorio nella procedura da seguire presso la corte del re, in quanto corte distinta dalla altre corti, ben radicate nel territorio e che spesso usavano ancora in vecchi mezzi di prova. In tal modo, le corti regie, avvalendosi di conoscenze locali, avrebbero potuto tranquillamente insinuarsi nello scenario, senza essere troppo costose e restando assoggettate a certe forme di audizione reale, giusto per sapere come stessero andando le cose. Si può guardare in due modi allo sviluppo di una simile magistratura e di un procedimento giudiziario di questo tipo. Il modo usuale consiste nel guardare a quel che realmente avvenne, e la sua versione migliore sostiene che si verificò un processo di “giuridificazione” degli ordini regi relativi alle rimostranze indirizzate alla corona. All’inizio ci si rivolgeva al re e al suo consiglio, i quali poi cominciarono a riferire le cose al cancelliere che, a sua volta, iniziò ad assicurarsi che le cose fossero adeguatamente curate da un qualche giudice. Così le circostanze locali ed una intelligente risposta locale si rivelano essenziali per la nascita della tradizione di common law. C’era all’epoca una rinascita in tutta Europa, ovunque le forme scritte di diritto iniziavano a prevalere su quelle ctonie ; ovunque si stavano sviluppando le professioni legali ; ovunque si abbandonavano tipi di prova “non razionali” ; ovunque si diffondeva la nuova idea che intelligenza umana e diritto fossero compatibili, idea più che palese nell’insegnamento del diritto romano. Il common law, dunque, sembra emergere tanto come qualcosa di comune e di specifico dell’Inghilterra, quanto come qualcosa di comune e specifico per l’Europa. Se la modernizzazione era un fenomeno europeo, il common law fu il primo a realizzarla , a suo modo, ma come parte di un processo più ampio.                                                                                    In quanto professionisti, i giudici inglesi erano diversi dai giudici dilettanti romani. Tuttavia, il loro modo di giudicare era sorprendentemente simile a quello romano. In entrambi i casi, la decisione concreta, la ricerca del diritto, era opera di dilettanti : il iudex a Roma, la giuria in Inghilterra. In entrami i casi, essi agivano in base ad istruzioni che provenivano a Roma dal pretore, in Inghilterra, dal giudice; ed in entrambi i casi, l’istanza doveva passare attraverso un filtro : a Roma doveva essere conforme all’editto del pretore; in Inghilterra doveva ricadere all’interno delle categorie delle istruzioni reali scritte , i writ, alle quali bisognava ricorrere per avviare il procedimento presso le corti regie. Per sviluppare le conoscenze necessarie alle nuovi professioni legali attive presso le corti regie, i giuristi inglesi diedero vita agli “Inn of Court” , i quali si sono fatti carico per secoli dell’insegnamento del common law, mentre le materie giuridiche insegnate a Oxford e a Cambridge si limitavano al diritto romano e al diritto canonico. I primi inn erano annessi alle chiese.
2. Lawyer’s law. Perorare il verdetto : il pleading
Pian piano il common law si fece strada nella moltitudine di diritti e delle istituzioni dell’Inghilterra medievale. Lo fece sviluppando le conoscenze sugli ordini regi dati dal cancelliere per la risoluzione delle singole controversie. Ogni writ dava origine ad una specifica procedura da seguire, adatta al tipo di controversia. I writ erano tutto quel che c’era , al di fuori di essi non esisteva common law, né c’era modo di decidere un caso o di comparire davanti ad un giudice ; essi, inoltre, consentirono al giudice di conquistare e mantenere una posizione eminente nella gerarchia delle istituzioni del common law. Il writ assumeva la forma di istruzioni date dalla Corona ad un ufficiale regio, istruzioni che indicavano quel che lo sceriffo doveva fare per condurre le indagini relative alla controversia. Il writ poteva ordinare allo sceriffo di richiedere all’imputato di presentarsi a illustrare la causa ; oppure poteva ordinargli di confiscarne la proprietà, a meno che l’imputato ne giustificasse il possesso ; o ancora, di scegliere i membri della giuria e così via. Il common law finì quindi per essere costituito da una serie di “vie processuali” , di “rimedi” per arrivare davanti a una giuria e decidere il caso. La giuria deteneva il monopolio di quel che oggi chiamiamo potere di decisione nel merito. Il sistema dei writ ha profondamente influenzato l’attuale procedura del common law e il ruolo dei giudici, così come il diritto sostanziale. Nel linguaggio dell’epoca il common law era perciò un “diritto procedurale” ; se esisteva un diritto sostanziale, esso era cercato nella procedura. La procedura era unica al mondo, e oggi costituisce forse il tratto più specifico del common law. Nel mondo del common law, il tutto si è miscelato per produrre qualcosa di radicalmente diverso. La funzione del giudice non era quella di decidere il caso ; questo compito veniva lasciato alla giuria. Ciononostante, c’erano certe cose che dovevano essere decise dal giudice : in primo luogo se il caso che si stava profilando ricadesse nel writ prescelto ; diversamente la corte sarebbe stata priva di giurisdizione. Quindi la scelta del writ non era solo vincolante, ma conteneva tutta l’autorità regia che era stata concessa.     In origine la giuria sapeva tutto del caso, cosicché il compito degli avvocati consisteva nel discutere se il verdetto che volevano ottenere dalla giuria ricadesse nel writ (pleading to issue). Nell’eventualità che si rendessero necessari dei testimoni, gli avvocati continuavano a perorare il verdetto, ma in questo caso dovevano produrre all’interno del writ anche i fatti di cui avevano bisogno. Accertare il fatto “oggettivo” non era responsabilità del giudice, né lo era negli avvocati. Poiché i membri della giuria avevano il loro lavoro quotidiano da svolgere ed erano illetterati, le argomentazioni e le prove dovevano essere rese oralmente, in quello che ha finito con il divenire noto come trial . Il trial è un evento spettacolare, un evento nel quale il giudice gioca un ruolo dominante e tuttavia distaccato, come si addice ad una fonte del diritto. Liberato dalla pesante responsabilità di accertare il fatto, informato sul diritto e sul fatto dai legali delle parti , il giudice poteva concentrarsi sui profili generali del writ, cioè sui profili generali del diritto. Esistevano solo giudici di prima istanza, non c’erano corti d’appello ; erano i giudici a decidere quel che doveva concedersi ed era meglio non insinuare il dubbio che potessero sbagliarsi. Quanto alla giuria, ovviamente non poteva sbagliare.
3. Il diritto nascosto
Se tutto era fatto nel modo richiesto dal vostro writ e se la giuria vi credeva, avreste vinto la causa. Si può dire, quindi, che la procedura inglobava il diritto sostanziale, il diritto di merito ; e ciò per la semplice ragione che nessuno se non la giuria sapeva quale fosse il diritto sostanziale. Erano le giurie che “trovavano” il diritto, giocando un ruolo essenziale di mediazione fra il diritto locale non scritto e le corti centrali del re. D’altra parte, i writ erano fondamentali, perché erano i writ che stabilivano quando si potesse ricorrere alla giuria, divenendo così il miglior indice disponibile di un “comune” diritto sostanziale “nascosto”.                                                                                                                                                         I writ incidevano quando la parte lesa poteva ottenere una tutela legale ; e intimavano obblighi. Pian piano , i writ principali cominciarono a coprire l’intero campo di attività umane che i giuristi di altre tradizioni riconoscono come “campi di diritto sostanziale”.          Non esistevano writ per il diritto di famiglia, che ricadevca sotto il controllo del diritto della chiesa. C’erano writ per controllare le altre corti, precursori del diritto amministrativo moderno. Ed esistevano writ specifici per l’adempimento delle obbligazioni e dei patti che costituivano più o meno tutto il possibile potenziale per il diritto commerciale del tempo. E c’era la madre di tutti i writ, il trespass, in origine solo per le aggressioni con violenza fisica, che richiedeva, affinché vi si potesse fare ricorso, l’uso diretto della forza.                                                                                                                                     I writ dunque, rispecchiavano una società prevalentemente agraria, non mercantile, persino ctonia. La società assumeva strutture feudali, ma ciò non significava altro che strutturare stili di vita ctoni, senza grande stimolo per il cambiamento giuridico.                      I writ erano creazioni locali, e lo studio che vi veniva dedicato era complesso e originale, un’altra forma di razionalità interstiziale.

 

4. Relazioni comunitarie
Oltre che con il ricorso alla giuria e con l’accomodamento con le altre istituzioni, il carattere comunitario del common law si manifestava in altri modi, spingendosi fino alle modalità espressive e al suo stesso funzionamento. Poiché era circoscritto e distinto dalla morale, i suoi limiti sono stati in larga parte limiti sociali, sebbene formalmente essi fossero espressi dalle lacune dei writ. Il common law aveva l’esigenza di esprimersi nei termini della società circostante; fare diversamente avrebbe comportato il rischio del non riconoscimento, della non accettazione ; per essere riconosciuto come parte della società, esso doveva rispecchiarla.                                                                                                                      – Così esisteva un “law of torts” perché in Inghilterra non c’erano principi generali sulla responsabilità , ma solo specifici illeciti, come nel diritto talmudico, nel diritto romano e nel diritto islamico. Il writ of trespass copriva il danno causato direttamente , che è diverso dal danno causato intenzionalmente, dato che esiste un’immediata percezione comune di ciò che è “diretto”, benché non intenzionale. Altri torts , riguardavano gli incendi, il danno causato dal bestiame o la fuoriuscita dal fondo di sostanze pericolose. Pertanto estendere il law of torts oltre il campo del danno non patrimoniale o puramente economico è stato molto difficile.                                                                                                                   – Nel common law la terra non costituiva oggetto di un diritto di proprietà ; essa era semplicemente detenuta e goduta. Non vi è mai stato un concetto giuridico assoluto di signoria dell’uomo sul suolo, nessuna nozione di dominium o di proprietà. L’uso del suolo è definito in termini relazionali, perché tutti il suolo è “detenuto” a partire da una concezione iniziale della Corona, che permette il godimento indefinito e la successione. Nel mondo del common law ancora oggi, se si acquista una casa, non se ne diventa proprietari, bensì semplicemente detentori di un fee simple , la forma più elevata di libera detenzione del suolo ammessa dal sistema. Essa definiva il rapporto con i terzi nella detenzione del suolo.                                                                                                                                                              I giudici di common law mantenevano dunque il common law in un solco facilmente riconoscibile. Se non riuscivano a trovare il modo per farlo non decidevano.
5. Giusta ragione
Le giurie non hanno lasciato alcuna traccia del loro modo di pensare; nondimeno nel percorso che ha portato a definire i confini dei writ, si rinvengono porve scritte della razionalità giuridica impiegata dal common law. La giusta ragione venne radicata in una tradizione di tipo contestuale, una ragione interna che si muove all’interno dei principi e delle categorie esistenti, senza imporre conclusioni più ampie di quelle già esplicitamente autorizzate. Si trattava di una razionalità che scaturiva dalle sue stesse modalità espressive, necessariamente radicate nei fenomeni sociali, e dall’assenza di una qualunque autorità superiore che legittimasse forme deduttive o costruttive di più ampia portata. C’erano soltanto il giudici, essi stessi “cercatori” e “scopritori” dl diritto ; ma le loro decisioni non potevano essere vincolanti, non potevano servire come punto di partenza, perché i giudici erano pochissimi ed erano tutti colleghi. Il common law quindi è cresciuto, accumulando precedenti, anche se per la maggiore parte della sua sotira non ci sarebbe stato nessun concetto di autorità vincolante formalmente annessa a ciascuna decisione. I singoli casi facevano parte di un corpo di esperienze comuni che dovevano sì essere impiegate nelle argomentazioni successive,  ma che non costituivano affatto un diritto inalterabile. C’era sì una nozione di res judicata, ma non molto più di questo. Né la razionalità del giudice si scontrava con il diritto locale ctonio ; anzi, essa serviva persino a perpetuarlo sotto forma di verdetti della giuria e vi si affiancava nella formulazione comunitaria dei writ. In tal modo il common law riuscì a farsi passare per diritto del regno, per un diritto persino precedente alla conquista e , grazie a questo processo di abnegazione intellettuale, riuscì a rinforzarsi.                                                                                                                                                               
6. Mutamento nei fondamentali : La procedura
Qualcuno voleva codificare il common law, esagerando i possibili oggetti della riforma. Non essendoci, come in Francia, un diritto sostanziale che si potesse codificare, non restava altro che la procedura. La procedura era il cuore del common law e se c’erano problemi, non potevano che trovarsi lì. Perciò l’idea di cambiare il diritto, di mutarlo in un certo senso dalle fondamenta, non poteva significare altro che mutare la procedura, cambiare i writ e le forme di azione. Lo si fece gradualmente, nel corso di mezzo secolo, e lo si fece nel linguaggio asciutto e apparentemente neutrale della procedura.  Le riforme fecero essenzialmente tre cose :                                                                                                               - la prima nel 1832, fu quella di eliminare la richiesta di una formale concessione, da parte dell’ufficio del Cancelliere, di un writ per iniziare l’azione. Poiché da quel momento in poi l’ufficio di cancelleria avrebbe concesso i writ quasi come una faccenda di ordinaria amministrazione, questo significava che l’azione veniva concettualmente svincolata dal diritto esistente. In questo modo per la prima volta le corti di common law divennero corti aperte, come per secoli erano state quelle continentali, nelle quali era divenuto pratica corrente parlare di diritto di azione.                                                                                                                – Una volta divenuta stabile la prassi dell’emissione privata dei writ , il secondo passo alla metà del XIX secolo, fu quello di mettere in ordine il tutto. Nella vecchia forma di perorazione, nel vecchio pleading , occorreva sempre enunciare il writ ed il tipo di azione e questa necessità formale di dichiarare il tipo di azione prescelta non era stata abolita dalla nuova procedura di accesso alle corti. Così si aveva un tipo di perorazione aperta, un pleading del fatto materiale, cosicché si poteva enunciare il proprio caso e attendersi che fosse applicato il diritto. Dato che adesso , nella ricerca del diritto, tutte le questioni di fatto potevano essere oggetto di pleading, non era più possibile aspettarsi davvero che la giuria si occupasse di tutto ; la giuria quindi divenne opzionale. Nei casi civili, essa divenne altamente eccezionale.                                                                                                                     Così, dalla metà del XIX secolo i giudici di common law dovevano decidere le questioni ; dovevano deciderle nel merito e dovevano farlo applicando il diritto sostanziale. Il nuovo diritto sostanziale reca per intero l’impronta dei vecchi writ e ne impiega ampiamente il linguaggio. I giudici dovevano ancora servirsene, perché solo i writ si spingevano così lontano. E dal momento che adesso i giudici avrebbero deciso le singole questioni, nel raccordare il fatto al diritto sostanziale diveniva concreta la possibilità di un errore giudiziario, di un errore nel merito. Così, come nel continente, fu necessaria la corte d’appello, istituita nel 1875. E di nuovo come nel continente, si ebbero fino a due gradi d’appello, perché poteva essere concesso di andare oltre alla Corte d’Appello, fino alla Camera dei Lord. Non solo i rapporti fra diritto e procedura erano diventati in sostanza quelli del mondo del civil law, ma adesso la struttura delle corti a competenza generale assumeva la stessa struttura a tre gradi dei tribunali continentali.                                                        D’altra parte, queste graduali riforme fondamentali,  non hanno mutato il ruolo del giudice o dell’avvocato nel processo. La procedura rimaneva accusatoria e l’avvocato godeva di un ampio margine di manovra nella conduzione della controversia. Se adesso il giudice era tenuto a pronunciarsi sull’intero caso, restava vero che egli non assumeva la responsabilità diretta per la presentazione delle prove, né per la complessiva conduzione della lite.
7. Common Law e stati nazionali
Il common law si è esteso in buona parte del mondo grazie all’impero britannico e questo processo di dominio militare, economico e giuridico ha avuto un effetto di ritorno. Il risultato è stato che la riflessione sul common law è rimasta come impigliata in un alto numero di società diverse e sparse per il mondo. Quel che è avvenuto è stato il matrimonio fra l’idea di common law e quella di molteplici stati nazionali. Mentre si può parlare di islam al plurale, perché le deviazioni rispetto ad una tradizione così esigente sono importanti, viceversa si può parlare di una singola tradizione di common law, perché le deviazioni non contano tanto. Ciononostante, l’idea di una singola tradizione di common law è stata messa a dura prova dall’affermarsi del nazionalismo e delle identità nazionali. L’Inghilterra, come diceva qualcuno, è diventata “un’isola nel mare del diritto romano, perché il common law è divenuto parte essenziale della sua costituzione politica, un elemento della sua coscienza nazionale ed il fondamento del suo ordine sociale”. Il common law è costituito dall’identità inglese.                                                                                               – Gli Stati Uniti d’AmericaDiversamente dal diritto ctonio, talmudico e islamico, il diritto occidentale può essere tenuto sotto controllo e gli si può imprimere una direzione nazionale. Ma tenere sotto controllo i giudici è molto più difficile che tenere sotto controllo la legislazione . Nazionalizzare il common law significa fare qualcosa che riguarda i giudici di common law, fare qualcosa alla tradizione stessa. E’ quanto è avvenuto in modo palese e del tutto intenzionale negli Stati Uniti D’America. In genere si ritiene che il diritto degli USA faccia parte della famiglia del common law. Per molti aspetti il diritto degli USA rappresenta un deliberato rifiuto dei principi del common law, avendo esso dato preferenza a concezioni più incisive derivate dal civil law. Tali concezioni non vennero in un qualche modo reinventate negli stati uniti, ma furono direttamente attinte alle fonti del civil law, in un massiccio processo di scambio, in conformità alle informazioni giuridiche del XIX secolo. Ciascuno stato aveva i suoi giudici e il suo diritto comune, data la struttura federale ne seguiva che anche il governo federale avrebbe dovuto avere i suoi giudici e persino il suo common law. I giudici vennero considerati sia parte del governo, sia parte necessaria dell’autorità legislativa.  E’ come se il common law fosse stato “riconcettualizzato” come prodotto locale ed ufficiale, come mezzo di adattamento tra diritto ed emergente sovranità popolare. Pertanto i giudici dello Stato non potevano essere dipendenti alla maniera inglese, emerse infatti, un modello generale di elezione giudiziaria. Negli stati uniti anche la legislazione ha assunto proporzioni da civil law e vi riceve spesso un trattamento analogo. In molti stati esistono codici di procedura civile e di diritto penale ; lo stato più grande, la California, ha un codice civile. La legislazione, inoltre, è soggetta ad un’ampia e libera interpretazione nello stile dottrinale del civil law, e questo tipo di interpretazione intenzionale adesso si è riversata sul diritto inglese. Il genio specifico del diritto statunitense è stato la combinazione costruttiva di elementi sia di civil , che di common law. Nel diritto costituzionale degli USA  i diritti individuali e il potere giurisdizionale sono diventati i principali tratti distintivi del governo americano. Da poteri individuali, essi si sono generalizzati divenendo semplici interessi, pretese politiche tutelate dal diritto, suscettibili di essere protette dall’ampia portata della decisione costituzionale. Rispetto ai Normanni, i giuristi Americani avevano campo aperto : un campo che è stato concettualmente creato marginalizzando il diritto ctonio americano. Non c’era la necessità di auto-limitarsi per salvaguardare le sensibilità locali, nessun bisogno di rispecchiare modelli di vita locali, di legittimare una nuova comprensione. Bisognava invece creare modelli di vita locale e lo strumento per farlo fu il diritto. In ciò quindi il diritto risponde alla funzione di dare identità alla gente, allo stesso modo in cui storicamente lo ha fatto con gli ebrei e gli islamici, anche se si trattava di un’identità nuova e presuntivamente secolare. Il diritto non poteva essere il common law di un tempo. 
8. La pratica della comparazione, Il Trust
Per la maggior parte della sua storia, il common law è stato immerso in un processo che lo ha portato a divenire un “diritto comune” . La sua storia in primo luogo è una storia di rapporto con altri diritti. Fu così con il diritto ctonio, il suo primo interlocutore e in seguito il diritto canonico, almeno da quando vennero istituite e rese operanti le corti ecclesiastiche. Ciò avvenne perché i giudici di common law provenivano da un retroterra ecclesiastico ed esercitavano poteri di controllo sulle corti feudali, ma anche perché condividevano le stesse prospettive sulla procedura e si rifiutavano di dare priorità ad astratte regole fisse o all’uniformità dei risultati. La migliore esemplificazione di questo fenomeno di insediamento di concezioni giuridiche generali in specifici contesti storici e istituzionali è costituita dallo sviluppo del trust. Si considera il trust come la “concretizzazione nel contesto inglese di certe concezioni giuridiche piuttosto indefinite : le corti di common law definirono il concetto di proprietà, le corti ecclesiastiche, seguite più tardi dalla Corte del Cancelliere, rinvigorirono principi ctoni e cristiani secondo i quali la proprietà è un concetto basato sulla condivisione, per cui il proprietario legale può essere obbligato nei confronti di un onesto proprietario. Il trust venne confezionato mediante un mix di idee giuridiche; fu il risultato della pratica della comparazione.

 

 

 

 

Capitolo VIII – La tradizione giuridica indù. Il diritto al posto del re, ma quale diritto?
Il diritto vedico è vissuto in associazione con numerose tradizioni ctonie particolari, senza mai cercare di eliminarle, cosicché l’importanza delle tradizioni locali costituisce un tema persistente del pensiero indù. La gente restava sottoposta al vecchio diritto fin quando non giungeva a percepire il nuovo diritto  vedico come un diritto più “suo” , di quanto non fosse quello precedente. In un processo di questo tipo, nessuno dei due diritti rimaneva immutato e le persone venivano considerate indù nella misura in cui aderivano al diritto vedico modificato ; se non vi aderivano , continuavano a far parte di comunità distinte.
1. La tradizione di una rivelazione remota
Nella tradizione giuridica indù ritroviamo una fonte rivelatrice (i Veda) ; una prima serie di spiegazioni (la Smriti e soprattutto il Dharmasastra); e infine, i commentari dettagliati e i digesti, che hanno giocato l’ultima parte. Nondimeno, in questo caso abbiamo a che fare con la più antica delle tradizioni giuridiche non ctonie, una tradizione che potrebbe risalire a 4000 o più anni fa. Inoltre, mentre si può dire che la struttura di altri diritti ha una forma piramidale, regolare o capovolta, nessuno parla di piramide di riferimento nel diritto indù. Il diritto indù è più simile ad un dirigibile o ad una mongolfiera ; lo si può tirare giù, ma la sua vera vocazione è quella di galleggiare.
2. Veda, sastra e commentari
Pare che i Veda siano stati composti intorno al 1500. Come altre rivelazioni, i Veda non contengono granché di riconoscibile come diritto : vi sono invece parecchi canti, preghiere, inni e detti considerati essenziali per il modo di vita indù. Quel che ne fa una rivelazione diversa dalla altre , sta nel fatto che i Veda si soffermano molto poco sul loro autore o sui suoi messaggeri. Alcuni brani parlano semplicemente di rivelazione, altri di Dei, altri ancora di Dio. E’ il chiaro esempio di una rivelazione, riconosciuta come tale dopo un lungo periodo. Il contenuto fluttua, galleggia sopra una molteplicità di altri tipi di credenze più particolari. Più in generale i Veda non hanno alcun rapporto né con il tempo, né con lo spazio. Sono considerati senza inizio. Insegnare i Veda era compito dei brahmani ; essi assolvevano la loro funzione in primo luogo avvalendosi della memoria e registravano sui testi le differenti elaborazioni volte a soddisfare le esigenze locali. Gli espedienti mnemonici erano i sutra ; qualcosa di molto simile a catene di idee, nozioni , regole. I sutra furono scritti dall’800 ad 200 a. C. ; non furono altro che la prima manifestazione dello sviluppo della tradizione scritta. La tradizione in sé era generalmente chiamata Smriti (quel che viene ricordato) , e fu ulteriormente perfezionata con la redazione dei sastra, testi che riguardavano molti aspetti della vita, e più in particolare dai dharmasastra , i testi giuridici più importanti.  Nel loro complesso i dharmasastra si occupavano di molte più cose che del diritto in senso stretto. Si estendevano alla pratica religiosa e alla penitenza, o espiazione, ma in seguito si ebbe la tendenza a concentrarsi su ciò che oggi , i Occidente, chiamiamo diritto. Esistono tre grandi dharmasastra , anche se il più importante è stato quello di Manu (il saggio); il suo testo è considerato una pietra miliare nella storia dell’induismo, un deposito immenso di concetti giuridici, di regole e di istituti. Dopo Manu, intorno al 300 d. C. giunse Yajnavalkya ; egli stesso annovera venti saggi successivi a Manu e il suo testo testimonia la conoscenza dell’astronomia greca. L’ultimo dei grandi sastra è quello di Narada, probabilmente del V secolo d.C. , il cui testo ha natura meno religiosa ed è ritenuto più interessato al diritto civile; esso ci mostra un Narada che non esita a discostarsi dai saggi che lo hanno preceduto.                                                              I sastra sono testi giuridici particolari. Derivati dagli insegnamenti dei brahamani che fin dall’inizio erano stati registrati (dai sutra) e ricordati, i sastra possiedono un’autorità equivalente a quella della Mishnah o della Sunna. Pur essendo di origine umana, essi derivano dalla fonte originaria, e poiché la tradizione è un processo continuo, hanno autorità suprema e si collocano “al di là di ogni possibile discussione”.                                         Se l’epoca dei sastra costituisce l’età aurea del diritto indù, quella dei commentari e dei digesti rappresenta il periodo dell’indagine critica, dell’espansione e del consolidamento. Commentari e digesti si susseguirono per circa un millennio. Entrambi accettano i sastra. Nelle sue fonti classiche, il diritto indù non è un diritto ufficiale, non comporta grandi istituzioni , né istituzioni potenzialmente corrotte. Questo sembra essere un aspetto comune a tutte le tradizioni giuridiche esplicitamente religiose , a prescindere da quanto estesa ne sia l’applicazione. Se il loro obiettivo è quello di far giungere il messaggio a destinazione, esse devono farlo mediante la parola.  
3. Giustizia Poetica
I Veda fanno riferimento ad alcuni tipi di organizzazione comunitaria ; esisteva il Parishad, un’assemblea di consiglieri su questioni di “filosofia”; il Samiti, un corpo deliberativo generale in materia di politica e forme minori di legislazione; ed il Sabha, una specie di consiglio di villaggio che fungeva da principale organo di soluzione delle controversie. Esso agiva per mezzo di un presidente, il pradvivaka, che poteva cedere il suo posto al re, anche se di solito il re accettava l’opinione dei membri del Sabha.                   Il Sabha divenne il vertice delle corti popolari più specializzate. Esisteva la Kula , o corte della famiglia, la Sreni, o corte commerciale, e la Puga o corte del villaggio o della comunità. E per la prima volta nel pensiero giuridico religioso se ebbero gli appelli, persino in una struttura complessa. Dalla corte che deteneva la posizione più bassa nella gerarchia, la Kula, ci si poteva appellare, in successione, alla Sreni, alla Puga ed infine alla corte del re. A ciascun livello era possibile l’appello alla corte superiore e sembra che ciascun livello avesse un’illimitata giurisdizione d’appello. Non esistevano né repertori scritti né avvocati professionisti.                                                                                                                                                  Oggi la Sreni, la Puga e la Kula non esistono più, ma in India sono considerate come modelli, predecessori di certe corti locali o popolari.
4. Diritto Poetico
Il diritto dei sastra non ha per nulla risentito delle sue modalità espressive. Già a partire da Manu venivano elencati i 18 titoli che sarebbero sempre stati ripetuti dal diritto indù : recupero del credito, deposito, vendita senza proprietà, contratto associativo, restituzione del dono, mancato pagamento del salario, mancata esecuzione di accordo, rescissione di vendita e acquisto, dispute fra padrone e servo, dispute di confine, aggressione, diffamazione, furto, estorsione e violenza, adulterio, doveri coniugali, divisione e successione, gioco d’azzardo e scommesse.                                                                                                     – Nel diritto indù il matrimonio era un’istituzione profondamente religiosa, per quanto varie fossero le norme di celebrazione. Esistevano otto modi per sposarsi. In alcune di queste modalità è presente l’idea di dono della sposa da parte del padre , e persino della sua vendita, cosicché vi erano racchiusi chiari vantaggi finanziari. La minore età non era causa di invalidità. La poligamia era permessa.                                                                                            Una volta costituitasi la famiglia, l’assenza di disposizioni testamentarie e la nozione di proprietà familiare comune ne proteggevano il patrimonio : la proprietà era attribuita alla famiglia stessa ed occorrevano formali misure di divisione nel caso di morte del padre. Le donne non partecipavano alla successione.                                                                                       Si dice che oggi gran parte del corpo principale del diritto indù sia obsoleto ed è difficile persino trovarlo. Esso era scritto in sanscrito, mentre le traduzioni realizzate dagli inglesi erano altamente selettive e a volte di nessun valore. Dei suoi 18 titoli, 16 sono oggi considerati obsoleti e sostituiti dal diritto anglo-indiano. Nei rimanenti 2 titoli, relativi alla divisione e all’eredità, nonché ai rapporti fra marito e moglie, vi sono stati profondi cambiamenti, soprattutto in materia matrimoniale. La poligamia non è più permessa e adesso si richiede anche il consenso della moglie ; il divorzio, originariamente precluso, è ora ammesso ed è ammessa la nullità per mancanza di età.                                                          In breve, il dramma del diritto indù sta nel sapere se si tratti di un diritto ancora vivo.
5. Il dharma e il re
Non è possibile definire il dharma, esso indica ciò che sostiene e sorregge la vita. Il dharma è tutto il collante sociale e regge sia gli individui che la comunità, sia la vita materiale che quella spirituale. E’ una “idea grandiosa”, straordinariamente originale e stabile. Il dharma, ovviamente , si è trasfuso nel diritto indù così come negli altri obblighi della tradizione indù, e lo è in un modo tale che quel che possiamo ricavarne come diritto non è che una parte del dharma, che talora è tradotto anche con il termine “religione”. Il dharma scorre in ogni cosa, cosicché sussiste una ragione prettamente indù per la quale è impossibile separare diritto da morale. Quale relazione c’è fra il dharma e il re? Il principio è che il dharma del re consiste nel far sì che ognuno rispetti il proprio dharma. Detto in termini tradizionali, la legge è re, persino re dei re, e i sastra chiariscono che nei tribunali del re è il diritto dei sastra che il re deve applicare. Perciò i re potevano legiferare, ma in forme inevitabilmente minori, dal momento che il diritto era già là, nei sastra, e la legislazione in violazione del diritto sarebbe stata violazione del dharma del re.
6. L’adempimento del dharma : La Casta
Per ciascuno di noi il dharma è più che un concetto generale di buon comportamento ; è qualcosa che ci assegna un posto nella vita e persino obblighi specifici nel viverla. E’ da qui che derivano le caste, che rappresentano non un modello arbitrario di classi sociali, né un’arbitraria autorità feudale, bensì una conseguenza perfettamente logica di tutto quel che il pensiero religioso indù ha sviluppato. E’ questa la ragione per la quale le caste continuano a prevalere ancora oggi. Esse costituiscono un elemento coerente di una tradizione molto più ampia; estrapolarvele per riformarle ed eliminarle è un’impresa molto difficile. Le caste esistono perché sono imposte dal karma accumulato nelle vite precedenti, sono una sorta di raggruppamento necessario, una specie di classificazione delle conseguenze dei differenti tipi di vita precedenti, un effetto della prosecuzione della vita dell’anima. Per quel che si sa, esse sono esistite fin da quando si conobbero i Veda. Esistono dunque 4 caste alle quali sono annessi dharma specifici : i brahmani (che insegnano), gli kshatrya (i guerrieri e i benefattori), i vaishya (che commerciano) e i sudra (i servi). I membri delle prime tre classi sono noti come “nati due volte”, perché, giunti alla maturità, essi accedono al mondo della responsabilità sacra. Esiste un gran numero di sottoclassi e di doveri connessi a differenti stadi di vita per ciascun membro di ciascuna classe.
7. Tollerare il cambiamento
Nel diritto indù non c’è traccia di quei limiti procedurali e di quei controlli istituzionali che sono stati così importanti nel lento sviluppo del diritto romano e del common law. Da questo punto di vista, il diritto indù è paragonabile al diritto talmudico e al diritto islamico, perché anch’esso è transitato direttamente dal diritto ctonio al diritto sostanziale rivelato, corti e giudici intenzionati a renderlo effettivo in ogni sua parte. Tuttavia, come nel diritto talmudico e in quello islamico, sussistono restrizioni esterne al cambiamento, dato che le sue fonti primarie si pongono al di la di ogni possibile discussione. Il diritto talmudico ammetteva la possibilità del cambiamento nel mondo, ma la attenuava con l’obbligo; il diritto islamico si era spinto più avanti : aveva esplicitamente incoraggiato la conoscenza, per poi decidere che le si dovesse chiudere la porta. In entrambi si ammetteva un concetto implicito di mutamento che, nel diritto talmudico, prendeva corpo nella forma dialogica, nelle scuole e nei movimenti, mentre , in quello islamico, nella diversità istituzionalizzata e nelle sue sottigliezze. Anche il diritto indù riconosce la possibilità di cambiare sia il diritto che il mondo, ma il suo atteggiamento nei confronti del cambiamento è forse più vicino a quello del diritto ctonio che a quello di qualsiasi altra tradizione. Non lo incoraggia affatto : si limita a tollerarlo come qualcosa che si verifica, ma che non deve turbare l’armonia fondamentale del mondo ; se l’armonia fosse turbata, ne deriverebbe un cattivo karma e bisognerebbe farvi fronte. Per essere una tradizione scritta, la tradizione indù è dunque incredibilmente aperta. La tolleranza non ne sta ai margini; ne è il centro. E la tolleranza finisce con l’avere la sua specifica disciplina.
8. Sadachara e scuole
In un certo senso l’induismo ha fatto necessità di virtù. Come i Normanni, anche gli ariani-vedici, giunti nelle ricche terre del meridione, si trovarono di fronte ad un’abbondanza di stili di vita locali. Di conseguenza, le spiegazioni dei Veda dovevano illustrare le ragioni per le quali tali stili di vita dovessero essere accettati, e il modo migliore per farlo era quello di spiegarli in termini di pratiche locali. In ogni caso, il diritto che i Veda stessi non contenevano, doveva pure essere ricavato da qualche parte, e non c’era ragione di sconvolgere quelle pratiche. Da Manu in poi, il sadachara, cioè quel che i sapienti hanno trasmesso da tempo immemorabile, figura anche come fonte del diritto indù, come una fonte del dharma. Nei testi attuali lo si indica si solito come consuetudine o uso. Quel che differenzia l’induismo da altre tradizioni più o meno religiose è che in genere esso ammette che la tradizione informale prevalga persino rispetto ai testi sacri. Il diritto doveva restare all’interno di quel che richiede il dharma, ma così come vi possono essere altri dei, analogamente possono esservi molti modi per farlo. Una tradizione successiva non è altro che una rivelazione non rivelata in precedenza. Analogamente, nella misura in cui i commentari posteriori riflettono forme successive della tradizione, si ritiene che essiprevalgano persino sui sastra ogni qual volta si individui una contraddizione. Un turbinio di fedi che deve inevitabilmente portare a differenziare il diritto, e il diritto indù è stato palesemente diversificato fin dall’inizio. I brahmani insegnavano versioni dei Veda in diverse regioni e lo facevano prevalentemente in forma orale, cosicché le tradizioni locali se ne avvantaggiavano. Quanto al diritto, i sastra erano più precisi, ma poiché la poesia non può essere troppo vincolante, restava spazio per la diversità ; nessuno ne era particolarmentepreoccupato e nessuno se ne curava. Gruppi diversi in regioni diverse avevano sastra diversi, mentre i grandi sastra vi galleggiavano sopra. In tale fenomeno, alcuni studiosi vi scorgono le scuole. Le due grandi scuole sono quelle di Mitakshara, la cui applicazione è estesa alla maggior parte dell’India, e quella di Daybhaga, derivata dai testi sull’eredità e la divisione, che prevale fra la gente del Bengala.                                                          – La scuola di Mitakshara si divise in due sotto-scuole, ognuna con i suoi testi, e quando la gente si spostava, portava con sé la sua scuola giuridica.                                                                 Ancora, come nell’islam, la gente può cambiare diritto spostandosi in un altro luogo e adottandone il diritto.                                                                                                                               Data questa grande diversità, l’interpretazione ha avuto sempre ampio spazio ed ha costantemente minimizzato il conflitto di fatto. Per le regole considerate esclusivamente rituali, il metodo per affrontare il conflitto era semplice : era quello della scelta. Per le regole accompagnate da sanzione, i conflitti erano minimizzati dalla conclusione che una soltanto fosse la regola imperativa, oppure che una sola delle regole riguardasse il fatto in questione.
9. Cambiamento attraverso il diritto
La dottrina indù non si oppone all’acquisizione della conoscenza, né al suo uso. L’assenza dei diritti e la trasmissione del karma fanno sì che l’induismo si schieri apertamente dal lato dell’ambiente e del mondo degli animali. Come nella tradizione ctonia, talmudica e islamica, non c’è distinzione fra ordine naturale e ordine giuridico. Questa idea è profondamente radicata nel concetto indù di conoscenza, che è rivolto non tanto verso il “come” delle cose, bensì verso il loro “perché” ; perché si è quel che si è, perché gli altri esseri e le altre cose sono come sono. E’ una scienza assai più interessata ai rapporti che vi sono nel mondo, piuttosto che al dettaglio delle cose, più che alla ricerca pura. E’ una scienza molto collegata all’importanza della scoperta del sé, della scoperta di quel che si cela dietro l’io fisico, il che implica importanti conseguenze per la nozione di tolleranza.
10. Il diritto indù in India
Il diritto indù è un diritto scritto e molto esteso, e in quanto diritto esteso esso mira ad essere applicato dalle corti. Essendo diritto scritto, la sostituzione con un altro diritto scritto riduce di molto la prospettiva di prolungarne la vitalità quale stile di vita. Le prospettive odierne del diritto indù non sono chiare. Si è osservato che il diritto dell’India è “palesemente estraneo” ai suoi abitanti, e che l’arrivo degli inglesi è stato “fatale” per la tradizione. Fin dalla metà del XIX secolo la Corona britannica assunse il governo dell’India. La politica coloniale britannica manteneva in vigore il diritto esistente , il diritto indù quindi ebbe il vantaggio di diventare diritto ufficialmente riconosciuto, quantomeno per la popolazione indù, uno status di cui non aveva goduto per secoli. Status ufficiale, significava fonti ufficiali, cosicché furono eseguite traduzioni formali dei testi più classici, soprattutto di quelli delle scuole di Mitakshara e Dayabhaga. Pertanto l’impatto del diritto inglese sul diritto indù non fu né immediato, né brusco e non pregiudicò la legittimità e la disponibilità delle fonti classiche indù. Il cambiamento fu, invece, più sottile e sarebbe divenuto evidente con il tempo; consistette in una graduale “espropriazione” del diritto, cioè nella lenta ascesa delle istituzioni statali, legislative e giudiziarie quali fonti del diritto,  e finirono con l’essere accettate come tali. Tutto ciò fu enormemente facilitato dall’istruzione giuridica secolare; l’ordine degli avvocati indiano è oggi annoverato, in termini assoluti, fra i più grandi al mondo.                                                                                                     Denominato “diritto anglo-indiano”, il diritto indù ha finito con l’essere “non il diritto sanscrito, ma il diritto qual è dichiarato dalle corti”. E’ diventato difficile determinare le consuetudini; le differenze fra scuole si sono trasformate in differenze di diritto formale; il ruolo dei tribunali tradizionali ha incominciato a declinare.                                                                        Il legislatore indiano non ha richiamato il diritto antico, ma lo ha rifondato in quel che viene chiamato “Codice Indù”. Adesso il diritto dei sastra è legislazione, mirante a stabilire un unico standard legislativo comune per tutta la popolazione. Alla legislazione si è oggi aggiunta la Costituzione, che stabilisce i diritti costituzionali del popolo indiano, sia esso indù, islamico o altro ancora. In India è oggi disponibile l’intero complesso del civil e del common law : diritto sostanziale, diritti, case law, legislazione e codici. La differenza principale sta nella popolazione alla quale si applica il diritto. Non si tratta di una popolazione occidentale , bensì di una popolazione che resta profondamente rurale. Già a distanza di mezzo secolo dalla redazione del “Codice Indù”, si è fatto notare che persistono ancora nozioni più antiche di legalità : l’autonomia delle caste, forme accettate di devianza, di evasione o di ignoranza della legge.

 

 

 

Cap IX – La tradizione giuridica confuciana. Rinnovamento (con Marx?)
Si è osservato che in Cina creare un diritto formale è molto più semplice che applicarlo, dato che la tradizione giuridica informale continua a prevalere sul diritto formale moderno, e si è anche sostenuto con buoni argomenti che questo sia l’unico modo per tenere insieme popolazioni assai vaste. Nondimeno, in Asia orientale la tradizione confuciana è stata aggressivamente fronteggiata dal comunismo cinese e vietnamita; come per il diritto indù e per il common law, assistiamo ancora una volta al fenomeno per cui una delle più antiche tradizioni giuridiche al mondo è soggetta ad una poderosa sfida.
1. Una tradizione di persuasione
In Asia orientale , la principale fonte tradizionale della normatività è il confucianesimo, che generalmente non è considerato una religione, mentre le religioni asiatiche, come buddismo, taoismo e shintonismo hanno interessi assai diversi dal diritto. Ma allo stesso tempo , la tradizione giuridica confuciana si discosta dalla tradizione occidentale. Non resta altro che pura tradizione, niente positivismo e niente verità rivelata, si tratta di una tradizione che mira soprattutto a persuadere, non ad obbligare.
2. Li e fa
Il maestro K’ong insengnò nel VI e V secolo a. C. , in un periodo di forte tensione sociale. Era l’epoca della dissoluzione del vecchio ordine feudale, un’età vagamente paragonabile alla fine del Medioevo Europeo, anche se precedente di uno o due millenni. Si diceva che fosse giunto il momento di prendere in mano la situazione e di creare leggi formali che avrebbero istituito un ordine uniforme ed egalitario in una nuova struttura centralizzata. Con il senno del poi, possiamo dire che questi discorsi fornirono parecchi elementi per spronare il maestro K’ong e i suoi numerosi discepoli a sviluppare una filosofia sociale e morale rivolta più a influenzare e a persuadere che a comandare e punire. Fu come se in Europa un grande filosofo laico avesse riportato in vita tutto quel che di armonioso e di buono c’era nel Medioevo e lo avesse fatto in un modo tale da mettere permanentemente sotto scacco l’Illuminismo, i diritti e lo sviluppo del diritto positivo.                                                                          In Cina, Confucio riuscì a farlo, e lo fece sia mediante un’acuta continuazione della tradizione feudale esistente, sia riformulandola e ristrutturandola brillantemente. Egli è il filosofo del Li, che significa negare che la normatività del diritto formale e delle sanzioni formali sia una normatività durevole ed efficace. Benchè abbia giocato un ruolo secondario rispetto alla dottrina confuciana del li, in Cina esiste anche una lunga tradizione di diritto formale e di sanzioni formali, il Fa. Il termine fa, che in origine significava modello, fu inteso come uno standard imposto, strettamente associato alla condotta criminale , cioè ad una condotta incompatibile con l’ordine costituito.                                                                                       Già dalla fine del VI secolo cominciarono ad apparire i primi testi formali sulle punizioni. Ciononostante, le strutture politiche continuarono a deteriorarsi e tutti si accusavano a vicenda, finché l’impero Cinese si consolidò sotto i Ch’in, nel 221 a. C.                                          Quello dei Ch’in sarebbe stato l’impero del fa. Il diritto venne considerato non un mezzo per regolare attività private ed economiche, bensì uno strumento della politica e dell’ordine pubblico. Esso stesso è noto come governo “mediante” la legge. Il fa si occupa della condotta criminale e della regolarità amministrativa; si rivolge soprattutto agli ufficiali amministrativi, piuttosto che alla gente comune, ed è stato strettamente associato al militarismo (“arricchisci lo Stato, rafforza l’esercito”). L’impero Ch’in fu di breve durata e andò incontro al collasso dopo 14 anni. Sin da allora, il fa ha sofferto di questo fardello e non ha mai riacquistato la credibilità che avrebbe potuto avere. Con il successivo regime della dinastia Han, il confucianesimo divenne la dottrina ufficiale, ma il problema stava nel vedere in che modo lo si potesse impiegare in un nuovo ordine politico che stava rapidamente perdendo il suo carattere feudale. Quando il confucianesimo divenne la dottrina ufficiale dell’impero, intorno alla fine del III secolo a. C. , i libri delle punizioni esistevano già da circa 4 secoli. I confuciani potevano o sostenere l’abolizione, oppure potevano convivere con essi e servirsene, cercando di adattarli alla loro dottrina. Ovviamente scelsero quest’ultima soluzione, più sicura e politicamente brillante. In tal modo, la tradizione di codici penali-amministrativi si è protratta fino all’ultima delle dinastie, quella dei Ch’ing, che si concluse nel 1911. I codici divennero documenti sofisticati, spesso trattati quasi come testi sacri e giunsero a diventare oggetto di ammirazione nell’Europa del XVIII e XIX secolo, dove le loro versioni migliori furono tradotte in francese, russo ed inglese.                                                                                                          Tuttavia, la causa del fa, era stata compromessa dal fallimento della dinastia Ch’in e non riuscì mai ad espandersi al di là dei suoi primi passi penali ed amministrativi. Gran parte del campo del diritto privato gli restò precluso, diventando il campo privilegiato del li confuciano. I confuciani si impegnarono parecchio sui codici, dando così luogo al fenomeno noto come confucianizzazione, grazie al quale i principi relazionali della società confuciana vennero integrati negli enunciati legalistici del diritto positivo.
3. Istituzioni Imperiali
Il punto debole dei confuciani stava nei controlli da esercitare sul governante dispotico; i confuciani erano inclini a parlare di disapprovazione, oppure si rifiutavano di visitare e consigliare il despota. In assenza di una chiara nozione di separazione dei poteri, gli ordini dei despoti dovevano essere applicati dai magistrati che esercitavano entrambe le funzioni che oggi chiamiamo amministrativa e giudiziaria. Ovviamente i magistrati non erano ufficiali indipendenti; si attenevano strettamente al testo dei codici e le questioni di interpretazione dovevano essere riferite al governo. Per assicurare la correttezza della decisione, esisteva un sistema di appelli accuratamente definito, e i magistrati che cadessero in errore potevano essere sottoposti a sanzioni amministrative e persino penali. Quanto alle professioni legali, non c’era nemmeno da pensarci, anche se con il tempo fu inevitabile che facessero la loro comparsa consiglieri informali per coloro che avessero avuto la sventura di cadere nella trappola della macchina giudiziaria. In assenza di professioni legali, i magistrati facevano di tutto : investigazione, processo, interrogatorio, giudizio.
4. Il li in Asia Orientale
Date le sue dimensioni, la Cina ha influenzato tutto l’Estremo Oriente; tuttavia, la dottrina confuciana del li è stata recepita in modi diversi. L’influenza maggiore si è forse avuta in Corea e Giappone, anche se i due paesi hanno conosciuto differenti fenomeni di adattamento alle fonti formali del diritto. Il confucianesimo è oggi ufficialmente insegnato a Singapore, e recentemente si è detto che esso è “onnipotente” in materia di relazioni familiari nel Vietnam. La sua influenza è più ridotta nelle terre islamiche di Indonesia e Malesia. Negli altri paesi più a Sud, è la religione buddista che ha largamente prevalso sul confucianesimo.
5. Il dominio del Li
Se ci si accosta per la prima volta alla tradizione giuridica confuciana, si può rimanere stupiti del fatto che essa possa consistere soltanto di principi di diritto penale e amministrativo. Il concetto occidentale di diritto civile o privato, è stato largamente assente nella tradizione confuciana, la quale è stata protesa ad operare verticalmente piuttosto che orizzontalmente. Il li si deve pensare come una tradizione normativa dotta, persino scritta, e tuttavia informale, la cui capacità persuasiva era talmente grande da riuscire effettivamente a controllare tutte quelle aree della vita che non erano lasciate alla parola formale della sanzione edittale del fa. Si tratta però di una forma plurale di ordine giuridico nella quale coesistono differenti tipi di normatività che possono persino entrare in frizione l’uno con l’altro, e tuttavia ognuno di essi è considerato necessario dagli altri e tutti sono alacremente impegnati a mettere da parte quel che li separa. Il dominio del li è più vasto del dominio del diritto, almeno rispetto al modo in cui il diritto è inteso in Occidente. Nel suo insieme il li è stato variamente definito come “diritto morale”, “costume diritto non codificato, interiorizzato dagli individui”. Il confucianesimo quindi, si trova a metà strada fra la norma religiosa ed il diritto positivo.
6. Limitare il fa
Guardando da Occidente, la cosa più evidente è l’opposizione fra il li confuciano e il fa legista, un’opposizione messa in particolare risalto dall’importazione di differenti tipi di diritto occidentale, quello capitalista e quello comunista.                                                                      Il li è profondamente relazionale; la realizzazione della vita personale vi è vista come adempimento della propria funzione, sia essa quella familiare, professionale o politica. Poiché il lì non è comando sovrano, lo si può interpretare con flessibilità, in modo consensuale, così da preservare l’armonia sociale mediante un mutuo consolidamento delle norme. In tal modo il li diventa un progetto per creare la società , un’impresa alla quale tutti devono concorrere, cosicché anche il rituale formale diventa espressione ed affermazione di obiettivi basilari e dell’importanza di ciascuno dei partecipanti a tale impresa, a qualunque livello della società. In breve, il li è uno strumento per le aspirazioni. Una società confuciana è una società che fa ciò che  dice di dover fare, senza lasciare alcuna cesura fra diritto e il comportamento effettivo, senza alcuna frattura fra eguaglianza formale e massiccia disuguaglianza sociale. Per contro, le leggi formali non inducono a comportamenti più elevati; conducono soltanto alla manipolazione dei testi, alle liti e all’iper-regolamentazione. Le leggi, dicono i confuciani, non si reggono da sole; in assenza di un adeguato sostegno umano, esse semplicemente svaniscono.                                                    Dal punto di vista confuciano, la religione tende a svilupparsi lungo l’una o l’altra di due direzione egualmente indesiderabili : o come diritto scritto complesso (tradizione talmudica , islamica e indù) , oppure come esclusivo interesse per l’anima immortale (cristianesimo, buddismo, taoismo).
7. Confucianizzazione
Il confucianesimo si manifesta nel modo più evidente nel li e nel primato che esso accorda alle relazioni umane ; ma si è avuto anche un fenomeno di confucianizzazione del diritto formale esistente, il fa. In entrambi questi tipi di normatività è assente la nozione di regole astratte e di persona individuale astratta. Secondo l’insegnamento confuciano, li e diritto devono in ogni caso parlare agli individui all’interno delle relazioni nelle quali essi si collocano e devono farlo con i dettagli sufficienti a rendere riconoscibili le informazioni necessarie alla loro condotta. Il linguaggio del li, quindi, è un linguaggio preciso e concreto, e in questo c’è un’evidente analogia sia con il diritto talmudico che con il diritto islamico, i quali mirano a regolare un’analoga gamma di comportamenti mediante testi scritti. Il li, perciò, è espresso secondo concetti che la gente conosce e riconosce e i testi penali scritti sono caratterizzati da un alto grado di casistica. Non c’è un singolo crimine di omicidio, bensì venti, differenziati secondo lo status del criminale e della vittima, oltre che dal modo in cui il crimine è stato commesso. Il li inoltre, prevede molte eccezioni, in modo che l’apparente asprezza della definizione di crimine e di sanzione può essere temperata dalla considerazione di tutti e di ciascuno dei fattori attenuanti. In conseguenza, il processo giudiziario formale sfuma nel processo informale di risoluzione delle dispute, dal momento che in entrambi si dà maggior rilievo alla particolarità degli eventi specifici e delle specifiche relazioni. I modelli sono preferiti alle regole, gli insegnamenti alle sanzioni, i simboli ai concetti.
8. Li, armonia sociale e diritti
Importante è nella tradizione asiatica l’armonia sociale e le sue relazioni. Questa importanza conduce ad un concetto di normatività informale , ad una svalutazione della punizione e della sanzione, ed implica la stessa modalità per esprimere sia la deontologia, che il vincolo giuridico.                                                                                                                                        I confuciani sostengono che l’armonia sociale debba scaturire dalla società stessa senza esserle imposta, perché non c’è modo di creare un’armonia sociale che non esista già in una certa misura. Il lavoro dei confuciani, e dei giuristi eventualmente necessari, consiste nell’agevolare e riconoscere gli strumenti di armonia sociale prevalenti al momento. Tali strumenti includono il riconoscimento e la tutela delle aspirazioni umane individuali. Viene proclamato il primato delle comunità e delle relazioni al cui interno gli individui possano agevolmente riconoscersi, l’individuo è quindi assorbito in quanto parte integrante di un mondo inseparabile.  Fondata su affetti umani naturali, l’intera società è ritenuta dotata di una dinamica sua propria, che richiede pochi interventi esterni e una limitata minaccia della forza per renderla coesa.                                                                                      Il fa confuciano si spinse molto oltre per rafforzare comunità intermedie, fino al punto da pre-giudicare certi tipi di controllo sociale più diretto; ad esempio, si incorreva in punizione per aver denunciato il crimine di un proprio familiare, e persino se l’accusa fosse risultata vera. L’ineguaglianza è ritenuta un aspetto inevitabile della società, ma si tratta di un aspetto in parte giustificabile e in parte correggibile. E’ giustificabile quando sia semplice sopportazione, al fine di consentire alle persone e alle cose di essere se stesse, una specie di diversità coordinata. Invece, non può essere giustificata quando le virtù del risparmio e della competizione siano spinte all’estremo, cosicché l’accumulazione di ricchezza genera iniquità sociale e cattiva volontà.                                                                                          Il li è uno strumento che prende atto dell’importanza di ciascuno e lascia un’impronta sulla tradizione, allo stesso modo in cui nella tradizione talmudica ciascuno è creatore.
9. Il diritto Occidentale in Asia Orientale, la questione del Giappone
Come altrove, anche in Asia orientale il colonialismo occidentale ha lasciato in eredità il diritto occidentale. Hanno influito pure certe contingenze giuridiche, come la seconda guerra mondiale, soprattutto per la crescita d’influenza del diritto statunitense, principalmente in Giappone. Durante la colonizzazione , nel sud Est asiatico vennero formalmente recepiti il diritto olandese, francese e inglese, che esercitano ancora oggi la loro influenza con vari gradi di intensità. In altri casi il processo di “occidentalizzazione” del diritto orientale è stato avviato dall’interno, al fine di ridurre ed eliminare la presenza occidentale , oppure per dare stabilità giuridica agli investimenti privati che continuavano ad affluire dall’Occidente. Così oggi, in Giappone esiste un codice civile , ma in proporzione ci sono pochissimi giuristi, pochissimi giudici e pochissimi processi, e la remora è chiaramente informale. Dopo la seconda guerra mondiale, l’influenza del diritto statunitense è dunque avvenuta in un terreno normativo affollato. Nell’imitazione dei modelli giuridici occidentali, la Cina ha seguito l’esempio del Giappone, entro certi limiti, per liberarsi della presenza occidentale garantita dai trattati. La svolta verso il diritto occidentale venne avviata negli ultimi anni dell’Impero Ch’ing, che fin dal 1900 istituì persino un ministero per le riforme giuridiche. Naturalmente vi furono opposizioni , anch’esse travolte nel 1911 dalla caduta dell’Impero e dall’installazione del regime nazionalista del Guomintang, che avvalendosi del modello tedesco e giapponese, procedette alla codificazione di vaste aree del diritto (i 6 Codici). I 6 codici rimasero sostanzialmente un diritto di carta : all’intrinseca opposizione della società cinese nei confronti della normatività formale, si aggiunse quella del comunismo cinese, che ottenne vittoria politica nel 1949. Il common law è forse il più visibile fra i diritto occidentali a Singapore, Hong Kong, in Malesia e nei Brunei, benché nella vita quotidiana siano soprattutto le istituzioni di common law ad essere in primo piano, piuttosto che la presenza pervasiva dei suoi principi.
10. Il diritto socialista in Asia Orientale
Nella sua variante sovietica o europea, la tradizione del diritto socialista è giunta ad uno stadio di catalessi e adesso sopravvive solo in forma parziale nelle attuali giurisdizioni rette da governi comunisti o influenzate dal comunismo, come Corea del Nord e Vietnam.              I domini storici del diritto privato semplicemente si riducono a proporzioni relativamente insignificanti, da sostituire o rimpiazzare con varianti di diritto pubblico. I contratti statali prendono il posto dei contratti privati. Il diritto pubblico è in larga misura basato sul diritto formale, che è ancor più visibile che ne diritto occidentale non socialista. E’ diritto formale, ma con la differenza che la sua applicazione è interamente nella mani dei guardiani della legalità socialista, il partito comunista, il quale esercita la sua influenza attraverso un’intera rete di organizzazioni che mettono in ombra quelle dello Stato e dei tribunali. Le decisioni giudiziarie dei supposti giudici indipendenti sono soggette al controllo e alla revisione del diritto.                                                                                                                    Il diritto socialista dell’Asia orientale potrebbe considerarsi come una sorta di comunismo più mite e gentile, anche se al bisogno, sa essere altrettanto selvaggio come quello sovietico. Il comunismo orientale è diverso perché è diversa l’Asia e perché c’è meno spazio per il diritto formale, sia esso di tendenza socialista o capitalista. A partire dal 1949 i comunisti cinesi seguirono modelli sovietici, finché non compresero quanto differenti fossero le situazioni, cosicché non era possibile far funzionare le istituzioni sovietiche per la società cinese. La rottura con il comunismo sovietico avvenne nel 1957 e coincise con la feroce campagna contro i “conservatori” e i signori della terra; si fecero grossi sforzi per realizzare una società egalitaria e comunista con i mezzi informali e mediante l’istruzione. In questo processo il confucianesimo non fu affatto visto come un alleato, perché  storicamente esso era associato alle relazioni gerarchiche. Il fallimento di questo sforzo coincise con la fine della carriera politica dei suoi maggiori sostenitori, e della fine degli anni 70 è riemersa la dottrina tradizionale cinese. Benché non sia stato esplicitamente riabilitato, il confucianesimo è tuttavia diventato un alleato nello sforzo teso a generare lealtà e a preservare le strutture; si è già osservato che quello cinese non è più un governo comunista, ma un governo confuciano. Con il revival del confucianesimo si è assistito ad una rinascita della sua vecchia nemesi e del suo alleato forzato, il fa, che l’influenza occidentale aveva esteso a molti aspetti del diritto privato, quantomeno nel campo dei rapporti giuridici con l’occidente. Vi sono alcuni segnali di cambiamento sia a livello legislativo che nei tassi di litigiosità urbana, ma in tutto il paese la mediazione rimane allo stesso livello di prima : i tribunali esistono ma sono tutt’altro che benvenuti;  benché le cose stiano cambiando gli avvocati sono rimasti lavoratori di basso rango; il case reporting è deliberatamente mal fatto , peggio che nei paesi di civil law mentre è facile immaginare la procedura penale tradizionale, sottoposta all’influenza di un fa militarmente condizionato, oltre che alla nozione comunista di legalità. La confessione e la rieducazione sono importanti; in casi di crimini gravi sono stati emessi giudizi senza citare l’accusato, senza annunciare il procedimento e senza notificare l’atto di accusa. I principali mutamenti legislativi introdotti nel 1997 sono rimasti largamente privi di effetti. Il diritto penale è stato esteso, oltre che al tradimento, agli atti contro-rivoluzionari e alla violazione dell’ordine economico socialista. Il confucianesimo mira a fornire giustizia senza leggi; il fa comunista solleva interrogativi sulle leggi senza giustizia.
11. Diritti nella tradizione confuciana
Un’esplicita idea di diritti non è presente né nel pensiero giuridico confuciano, né nelle versioni asiatiche del comunismo. Lo sviluppo della nozione diritti e di una visione soggettiva delle relazioni giuridiche costituisce proprio quel che viene rigettato insistendo continuamente sugli obblighi radicati nelle relazioni umane. Il comunismo è scaturito proprio dall’opposizione ai diritti e alla società borghese, della quale si diceva che i diritti fossero l’immagine. La critica comunista ai diritti è stata rivolta soltanto alla definizione individualistica e soggettiva dei diritti. Se, invece, si considerano i diritti come diritti collettivi, allora i diritti allo sviluppo, all’autodeterminazione , alla pace e all’eguaglianza razziale vanno strenuamente difesi. Si possono accertare persino i diritti definiti su base individuale, come nei principi Generali di Diritto Civile, se li si assume come derivati della società, anziché come preesistenti. La Cina ha firmato altrettante convenzioni sui diritti umani quanto gli Stati Uniti d’America e difende vigorosamente le proprie tradizioni sull’argomento.

 

 

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