Diritto commerciale le società

 

 

 

Diritto commerciale le società

 

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Diritto commerciale le società

le società

Le società in generale

Secondo l'art. 2247 "con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi  per l'esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili". Tale definizione della società come contratto, tuttavia, non è più idonea a ricomprendere l’intero fenomeno societario, giacché non tiene conto delle fattispecie delle società costituite ad opera di un singolo soggetto .
Da una prima analisi del testo dell’art. 2247 si può individuare un nucleo essenziale di elementi, e cioè i soggetti e i conferimenti per la costituzione del fondo sociale, l’oggetto sociale e la causa, e alcuni elementi peculiari a volte tra loro combinati, che servono ad identificare e a connotare i vari tipi di società che rappresentano:

  • specificazioni–variabili degli elementi costanti (diverso regime del fondo comune che nelle società per azioni assume il nome di capitale sociale con una sua peculiare disciplina);
  • o novità indotte dal tipo prescelto (la disciplina del bilancio nelle società per azioni).

I soggetti

Come abbiamo già avuto modo di accennare, deve precisarsi che la pluralità di soggetti non costituisce più la condicio sine qua non per la costituzione della società, dal momento che è possibile la costituzione per atto unilaterale sia pure per la sola società a responsabilità limitata. Deve notarsi che quando la società si costituisce per atto scritto, occorre sempre che i contraenti siano individuati col nome e cognome, il luogo e la data di nascita, il domicilio e la cittadinanza. In linea generale possono sottoscrivere il contratto di società sia le persone fisiche, sia le persone giuridiche, sia gli enti non riconosciuti. Particolari norme sono stabilite per le società personali commerciali in relazione alla continuazione della società da parte degli incapaci. Mentre nessuna limitazione di rilievo sussiste con riguardo alla partecipazione dei soggetti appena menzionati alle società di capitali e alle società mutualistiche, dottrina e giurisprudenza sono schierate su due fronti opposti nel rispondere al quesito se possano divenire soci di società di persone le società di capitali, mentre la partecipazione di società personali non suscita contrasti .

I conferimenti

La norma di cui all’art. 2247, oltre a presupporre i soggetti ha la funzione di illustrare le peculiarità del contratto sociale. E la più importante va individuata nel conferimento di beni e servizi, dal momento che non esiste società senza conferimenti, né può darsi socio senza obbligo di conferimento. Con la stipulazione del contratto di società ciascun contraente si obbliga a contribuire alla formazione di un fondo sociale mediante una prestazione di dare o di fare, nel che appunto consiste il conferimento. Esso costituisce, dal punto di vista più tecnico, l’unico obbligo gravante su chi intenda divenire socio di una società, di qualunque tipo essa sia. Importante è il discorso sulle specie dei conferimenti, in relazione alle quali tre sembrano essere le distinzioni più importanti:

  • con riguardo all’oggetto della prestazione, in conferimenti aventi ad oggetto una prestazione di dare e conferimenti aventi ad oggetto una prestazione di fare, possibili soltanto nelle società personali;
  • con riguardo alla fonte, potremo distinguere i tipi di conferimenti espressamente previsti dalla legge (denaro, beni in natura, di crediti, e di prestazioni d’opera), e quelli consistenti in entità che dottrina e giurisprudenza ritengono passibili di essere conferite in società (partecipazioni ad altre società, in aziende, nel consenso all’ammissione del proprio nome nella ragione e nella denominazione sociale, nell’emissione di cambiali all’ordine della società);
  • la terza distinzione è quella tra conferimenti di capitale e conferimenti di non capitale. I primi hanno ad oggetto entità iscrivibili in bilancio, sono costituiti da beni idonei a garantire i creditori sociali, e quindi suscettibili di esecuzione forzata. I conferimenti non di capitale, o di patrimonio che dir si voglia, non hanno, invece, alcuna delle caratteristiche indicate, pur essendo idonei al raggiungimento dello scopo sociale.

I conferimenti, oltre che strumento tecnico per l’acquisto della qualità di socio, servono anche alla formazione del fondo sociale. E se diversa, a seconda dei tipi di società, può essere la situazione giuridica di questo, la sua esistenza è in ogni caso il presupposto necessario della disciplina legislativa dei vari tipi; e unica è, comunque, la funzione che il fondo assolve: che è quella di permettere la formazione di un patrimonio della società indispensabile per lo svolgimento dell’attività comune. Appare ora opportuno compiere una esegesi dell’art. 2248 e spiegare le differenze tra comunione e società, che si concretano soprattutto nella diversità della condizione giuridica del fondo sociale e del patrimonio sociale costituito con i conferimenti dei soci. L’art. 2248 stabilisce che “la comunione costituita o mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose è regolata dalle norme del titolo Settimo del libro terzo”. È da ribadire che c’è comunione, e quindi comproprietà di beni, quando i soggetti costituiscono il rapporto e lo mantengono solo per godere dei beni stessi e dei frutti che essi producono e i comunisti possono ciascuno in modo autonomo dall’altro, esercitare tutte le facoltà spettanti al proprietario; mentre si ha società quando i beni sociali vengono impiegati, essendo loro impresso, per effetto della volontà dei soci, uno specifico vincolo di destinazione che ne consente l’utilizzazione solo per l’esercizio in comune tra i soci medesimi dell’attività d’impresa, essendone esclusa ogni diversa destinazione. Il che trova solida base nella disciplina legislativa in tema di società dalla quale derivano importanti conseguenze:

  • nel divieto del socio di servirsi, senza il consenso degli altri soci, delle cose appartenenti al patrimonio sociale;
  • nelle norme contenute negli art. 2272, 2448 e 2539, che, fissando tassativamente le cause di scioglimento e sottraendo in tal modo l’iniziativa al singolo socio, rendono evidente la contrapposizione con il regime della comunione, dove ciascun proprietario può, in qualsiasi momento, chiedere lo scioglimento della comunione medesima e impediscono che i beni sociali possano essere ripartiti tra i soci se non quando si siano verificati questi eventi che la legge stessa predetermina;
  • nelle norme contenute negli art. 2289 e 2437, che, disciplinano le modalità di liquidazione della quota del socio il cui rapporto con la società che si scioglie;
  • nella destinazione esclusiva del patrimonio sociale alla soddisfazione dei creditori sociali.

Nella comunione di godimento tutto questo manca. In ogni caso, quella del patrimonio sociale è un’autonomia funzionale rispetto alla realizzazione degli interessi che sono in definitiva quelli dei soci: si è, infatti, pur sempre in presenza di una forma di utilizzazione, da parte di più persone, della propria ricchezza. La lettura complessiva degli art. 2247 e 2248 esclude l’ammissibilità di una società di solo godimento. E non possono considerarsi, di conseguenza, contratti di società quei contratti che, dietro la declinazione di un oggetto formalmente concretante l’esercizio di un’attività economica e quindi rispettoso del dettato normativo dell’art. 2247, danno luogo alla nascita di soggetti, società di comodo, che in realtà non esercitano alcuna attività economica.
Si è innanzi accennato al fatto che i conferimenti confluiscono nel fondo sociale, che in alcune società assume la denominazione di capitale sociale, definibile come il valore in danaro dei conferimenti dei soci, quale risulta dalle valutazioni compiute nel contratto sociale. Ciò significa che i conferimenti diversi dal denaro devono essere valutati all’atto del conferimento e convertiti in una espressione numerica. Dal fondo sociale o dal capitale sociale, va tenuto distinto il patrimonio sociale, il quale rappresenta il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo alla società ovvero, se si preferisce una definizione più tecnica, il complesso dei beni effettivamente esistenti, calcolati al netto o al lordo, a seconda che siano state o no dedotte le passività. Si può accennare fin da ora al problema dell’autonomia patrimoniale delle società. Si parla di autonomia patrimoniale con riferimento ai soggetti diversi dalle persone fisiche, per indicare le condizioni dei rapporti giuridici facenti capo a tali soggetti. Si ha autonomia patrimoniale perfetta solo nelle persone giuridiche e con riferimento alle società solo quelle di capitali. Nelle società di persone, invece, si parla di autonomia patrimoniale imperfetta, ciò desumendosi dalle disposizioni dettate nelle varie sedi: si passa da un embrione di autonomia patrimoniale nella società semplice, dove i creditori particolari dei soci possono addirittura chiedere la liquidazione della quota sociale di pertinenza del socio debitore, a quella più accentuata della società in nome collettivo, dove cioè non può avvenire e dove i creditori sociali non possono aggredire il patrimonio dei singoli soci se non dopo avere infruttuosamente esperito le azioni giudiziarie contro il patrimonio della società.

L’esercizio comune dell’attività economica

L’esercizio comune dell’attività economica rappresenta lo scopo – mezzo attraverso il quale le parti si propongono di raggiungere la finalità ultima della realizzazione dell’utilità. L’attività economica si concretizza di volta in volta nella scelta di un particolare ramo merceologico di attività che costituisce l’oggetto sociale: elemento la cui espressa indicazione nel contratto sociale il legislatore impone per tutti i tipi di società e che, oltre a dover consistere necessariamente in un’attività economica, deve possedere i requisiti richiesti dall’art. 1346 per ogni tipo di contratto, e cioè la liceità, possibilità, determinatezza o determinabilità. Ed è con riferimento a questo requisito che va ribadita la mancata rispondenza alle prescrizioni normative di quei contratti di società che enunciano l’oggetto sociale in modo tale da non consentire una effettiva individuazione, oggetto generico, o contengono l’indicazione di più attività merceologicamente distinte e neanche complementari tra di loro, oggetto plurimo. La concreta individuazione dell’oggetto sociale è comunque importante da più punti di vista:

  • consistendo in una attività economica, consente di distinguere la società dalla comunione di godimento;
  • consistendo in un’attività economica professionalmente esercitata consente di affermare che quella della società, se effettivamente esercitata, è sempre una attività di impresa;
  • infine, permette, soprattutto a terzi, di individuare i limiti ai poteri degli amministratori.

Appare poi importante sottolineare che in alcuni casi la legge esige in modo espresso e tassativo l’esclusività dell’oggetto sociale: nel senso che predetermina normativamente l’oggetto stesso e vieta che la società possa svolgere altre attività (si pensi alle società di intermediazione mobiliare, attività di intermediazione finanziaria). Ed è forse il caso di includere in questa categoria anche quelle società per le quali, pur non essendo prescritta espressamente l’esclusività dell’oggetto sociale, questa si desume dalla circostanza che la normazione speciale che le disciplina individua con puntualità e precisione l’oggetto stesso (società esercenti l’attività bancaria o assicurativa, le società fiduciarie).

Il conseguimento dello scopo istituzionale

Il quarto elemento rilevante per l’analisi dell’art. 2247 è quello causale. Il conseguimento di un utile per distribuirlo ai soci, scopo lucrativo, ovvero la pratica della gestione di servizio e l’offerta ai soci di beni od occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle che i soci incontrerebbero sul mercato, scopo mutualistico, ovvero la istituzione di un’organizzazione comune per lo svolgimento o per la disciplina di fasi delle imprese dei soci, scopo consortile, possono caratterizzare, ovviamente in via alternativa, il contratto di società del quale costituiscono la causa e quindi elemento marcante ed essenziale.
Il contratto di società è inoltre: oneroso, consensuale, sinallagmatico, plurilaterale e con comunione di scopo in cui l’avvenimento che soddisfa l’interesse di tutti i contraenti è unico e le prestazioni dei contraenti possono essere del più diverso valore e di contenuto più vario possibile.

Società di persone e società di capitali

La prima importante distinzione all’interno della generale categoria delle società, riguarda le società di persone – cui vanno ricondotte le società semplici, le società in accomandita semplice e le società in nome collettivo – e le società di capitali comprendenti le società per azioni, le società in accomandita per azioni e le società a responsabilità limitata. È bene cominciare col sottolineare che le società di persone sono organizzate in funzione dell’uomo–socio, il quale viene preso in considerazione per le sue qualità personali o professionali, o ancora per la sua situazione patrimoniale; le società di capitali sono invece organizzate in funzione dei capitali conferiti dal socio, nel senso che in esse il socio non viene in considerazione solo in quanto persona, ma anche in ragione della quota di capitale sottoscritta, anche se la realtà del mondo societario insegna quanto sia importante oggi, anche in questi tipi di società, conoscere non solo l’entità del conferimento, ma anche chi conferisce. Sulla base di questa differenza possono indicarsi quali principali caratteri distintivi:

  • il diverso regime di responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali (responsabilità illimitata e limitata);
  • la diversa misura del potere del socio di incidere con la propria opera sulla gestione della società ;
  • mentre nelle società di capitali esiste una organizzazione interna, nella società di persone non esiste una vera e propria organizzazione interna, perché i poteri di gestione e deliberazione risiedono entrambi nei soci – amministratori;
  • il diverso regime di circolazione delle partecipazioni sociali .

Le società di persone

Società semplice

Secondo la comune opinione è semplice, nel sistema del codice, la società che non presenta elementi di identificazione ulteriori rispetto a quelli contenuti nella norma che definisce la società come contratto, e cioè l’art. 2247. La caratteristica fondamentale della società semplice è data dal fatto che essa può avere per oggetto esclusivamente l’esercizio di attività economiche lucrative non commerciali. La sfera di applicazione delle società semplici si estende pertanto alle:

  • attività agricole: l’ambito di applicazione di tale tipo di società per l’esercizio di attività agricola risulta marcatamente ridotto, ove si tenga conto, da un lato, che, già prima della loro scomparsa, le due forme più importanti di contratti a struttura associativa per l’esercizio dell’attività agricola erano, per espressa previsione di legge, sottratti alla disciplina della società semplice e sottoposti o agli usi o ad una apposita regolamentazione; e dall’altro che, non potendo la società come tale avere ad oggetto il mero godimento di beni, ne risultano escluse le fattispecie in pratica più ricorrenti, come quella dei condomini di un fondo rustico che concedono in affitto i beni di cui sono proprietari. L’ipotesi che più di frequente si verifica nella pratica è quella dei coeredi i quali continuano l’esercizio dell’impresa agricola del loro dante causa ;
  • società di revisione: sono regolate, in maniera abbastanza sommaria, dalla legge n. 1966 del 1939, la quale non detta una disciplina differenziata a seconda che la società eserciti una vera e propria attività di revisione ovvero un’attività fiduciaria. Solo nel 1975 il legislatore è tornato sull’argomento demandando alle società di revisione il compito di sottoporre a controllo contabile e alla certificazione del bilancio le società con azioni quotate in borsa, nonché le società aventi particolari oggetti sociali. Ai sensi dell’art. 8 del decreto 136 del 1975, nell’Albo speciale delle società di revisione “possono essere iscritte le società autorizzate ai sensi della legge 1966 del 1939 che rispondano a seguenti requisiti: ( … ) per le società semplici devono osservarsi le modalità di pubblicità previste nell’art. 2296 del codice civile”;
  • attività professionali in forma associata: oggi sono ammissibili grazie alla recentissima legge Bersani che ha abolito la legge 1815 del 1939;

Per quanto riguarda le attività che venivano considerate civili, è stato rilevato che il genere delle imprese agrarie non si identifica integralmente con quello delle imprese non commerciali: vi sono delle imprese che non sono agrarie, né commerciali che una parte della dottrina ha voluto classificare civili e che possono formare oggetto di società semplice (attività di vigilanza notturna). Deve aggiungersi che uno dei punti più controversi è quello che concerne le società di mero godimento che nel linguaggio comune vengono definite società per l’acquisto e l’amminis-trazione di immobili. Non mancano ulteriori ipotesi discusse come possibili attività delle società semplici, sia pure non omogenee rispetto alle precedenti: così il sostenere che oggetto della società semplice può essere una piccola impresa sempre che non sia costituita secondo uno dei tipi consentiti per l’esercizio in comune di una impresa commerciale ovvero includere tra le possibili attività oggetto della società semplice quella artigianale significa confondere i piani, dimenticando che piccola impresa non è l’equivalente di attività non commerciale e che anche  il piccolo imprenditore può svolgere un’attività commerciale. Ne deriva che una simile attività – attività commerciale – non può essere esercitata dalla società semplice, che è il tipo sociale proprio delle attività non commerciali.

Costituzione della società semplice

La costituzione della società semplice è caratterizzata dalla massima semplicità formale e sostanziale, essendosi il legislatore limitato a stabilire nell’art. 2251 che “il contratto non è soggetto a forme speciali, salve quelle richieste dalla natura dei beni conferiti”. La forma scritta è indispensabile solo quando vengano conferiti dai soci in proprietà o in godimento ultranovennale beni immobili o altri diritti reali immobiliari, discutendosi, peraltro, se a rivestire la forma scritta debba essere l’intero contratto di società (il quale, mancando questa sarebbe totalmente invalido), ovvero solo il negozio di conferimento, di maniera che la sanzione per l’inosservanza della prescrizione formale colpirebbe il solo vincolo del conferente . La semplicità sostanziale e l’assenza di prescrizioni analitiche in ordine al contenuto dell’atto costitutivo inducono ad affermare la sufficienza dei requisiti generalmente stabiliti per ogni tipo di contratto (soggetti, oggetto e causa) con le seguenti specificazioni:

  • i soggetti devono essere almeno due ed i problemi a questo proposito sono essenzialmente:
    • se sia applicabile anche alla società semplice la norma dell’art. 2294 che disciplina la partecipazione degli incapaci alle società in nome collettivo ;
    • se possano divenire socie di società semplici, e in genere di società personali, altre società di capitali e di persone;
  • l’oggetto deve presentare i requisiti richiesti dall’art. 1346 (possibilità, liceità, determinatezza e determinabilità);
  • la causa non presenta nessun problema particolare.

Completa l’elenco degli elementi essenziali il fondo sociale, che è lo strumento di attivazione dell’oggetto sociale. Proprio in sede di disciplina della società semplice si trova la norma dell’art. 2253, il cui secondo comma stabilisce che “se i conferimenti non sono determinati, si presume che i soci siano obbligati a conferire, in parti eguali tra di loro, quanto è necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale”.

La pubblicità

All’art. 8 della legge n. 580 del 1993 si stabilisce che “sono iscritti in sezioni speciali del registro delle imprese le società semplici” ed aggiunge, al quinto comma, che “l’isc-rizione nelle sezioni speciali ha funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, oltre agli effetti previsti dalle leggi speciali”; e tale disposizione è confermata nell’art. 7 del d.p.r. del 1995 n. 581. Orbene, se è vero che nelle società personali la pubblicità non incide sulla validità del contratto né sull’esistenza del soggetto e se è vero che per la società semplice, atteso il tenore delle disposizioni ora richiamate, la mancata iscrizione nel registro delle imprese non determina quella situazione di irregolarità che invece provoca sia nelle società in nome collettivo che nelle società in accomandita semplice, è anche vero che neanche si può continuare a ritenere che le nuove disposizioni abbiano lasciato invariata la situazione precedente: anche se la pubblicità notizia, pur costituendo un obbligo, ha una funzione puramente informativa a differenza della pubblicità dichiarativa (rende opponibile a terzi determinate situazioni), questo non significa che la pubblicità che si attua mediante l’iscrizione nell’albo speciale del registro delle imprese non possa costituire un mezzo di trasmissione di notizie, soprattutto quando è la legge a disporre che queste debbano essere portate a conoscenza dei terzi. Ed infatti uno dei problemi maggiori della società semplice è stato sempre quello di trovare gli opportuni e più efficaci canali per consentire la veicolazione di tali informazioni. E non c’è dubbio che tra i “mezzi idonei” richiamati dagli articoli 2266 e 2267, può essere utilmente inclusa anche l’iscrizione nel registro delle imprese di tutte quelle notizie che devono essere portate a conoscenza dei terzi: tanto più che, ex art. 19 del d.p.r. del 1995 n. 581, “gli amministratori della società semplice devono richiedere l’iscrizione della modificazione del contratto sociale entro trenta giorni dalle modificazioni”.

L’organizzazione interna e la gestione

La disciplina positiva contiene a tal riguardo due sole norme: gli articoli 2257 e 2258, che regolano i sistemi di amministrazione adottabili nelle società personali. Non esistono organi sociali in senso proprio, ai quali, come accade nelle società di capitali, sia istituzionalmente attribuita dalla legge una sfera di competenze, ma esistono solo i soci ai quali la legge stessa attribuisce naturalmente il potere di decidere amministrando . I modi di amministrare le società personali, previsti dall’ordinamento sono due: l’amministrazione disgiuntiva e l’amministrazione congiuntiva.

Amministrazione disgiuntiva

È regolata dall’art. 2257, il quale consta di tre commi e dispone che “salvo diversa pattuizione, l’amministrazione della società spetta a ciascun socio disgiuntamente dall’altro. – Se l’amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto ad opporsi all’operazione che una altro voglia compiere, prima che sia compiuta. – La maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili, decide sull’opposizione”. Il concreto esercizio del potere di direzione spetta a ciascun socio, il quale è legittimato ad intraprendere da solo in nome della società tutte le operazioni che ritenga utili all’interesse della società senza necessità di informare preventivamente gli altri soci e di portarle a termine, a meno che il compimento dell’operazione non sia paralizzato dall’esercizio del diritto di opposizione. Il terzo comma demanda alla maggioranza dei soci, computata per quote di interessi, il potere di decidere sull’opposizione avanzata dal socio, sempre che permanga l’attualità del conflitto, nel senso che una eventuale rinuncia all’opposizione impedisce alla maggioranza di pronunciarsi e consente la ripresa dell’operazione interrotta.

Amministrazione congiuntiva

È regolata dall’art. 2258, il quale consta anch’esso di tre commi e dispone che “se l’amministrazione spetta congiuntamente a più soci, è necessario il consenso di tutti i soci amministratori per il compimento delle operazioni sociali. – Se è convenuto che per l’amministrazione o per determinati atti sia necessario il consenso della maggioranza, questa si determina a norma di quest’ultimo comma dell’art. precedente. – Nei casi preveduti da questo articolo, i singoli amministratori non possono compiere da soli alcun atto, salvo che vi sia urgenza di evitare un danno alla società”. L’introduzione di tale sistema deve essere espressamente convenuta all’atto della stipulazione del contratto con il consenso di tutti i soci. Anche nell’amministrazione congiuntiva è possibile prevedere che le decisioni vengano adottate non secondo la regola dell’unanimità, ma secondo la regola pattizia della maggioranza, la quale viene anche in questo caso calcolata per quote di interessi.

Gli schemi adottabili per l’amministrazione

Qualunque dei due modi di amministrare si scelga, due sono gli schemi che all’interno di ciascuno di essi possono darsi:

  • Quello in cui tutti i soci, disgiuntamente o congiuntamente, siano amministratori. Per avere questo tipo di amministrazione o non dovrà stabilirsi alcunché nel contratto sociale – nel caso dell’amministrazione disgiuntiva affidata a tutti i soci – o si dovrà compiere nel contratto un’opzione secca a favore del sistema di amministrazione congiuntiva;
  • Quello in cui, invece, l’amministrazione sia affidata solo ad alcuni soci, avendovi gli altri espressamente rinunciato. In questo caso, occorrerà indicare nel caso di amministrazione disgiuntiva, solo i nomi dei soci incaricati dell’amministrazione e, in ipotesi di amministrazione congiuntiva, sia il sistema di amministrazione scelto e sia i soci amministratori.

In alternativa a questi schemi, una parte della dottrina ritiene possibile, data l’assenza di norme che espressamente lo vietino, l’affidamento dell’amminis-trazione a non soci (amministratori estranei). In realtà, la soluzione positiva o negativa del problema è chiaramente influenzata dall’opinione che si ha in tema di fonte del rapporto di amministrazione: per chi ritiene che la qualità di amministratore non sia un connotato naturale della qualità di socio di società personale e che la fonte del rapporto di amministrazione sia diversa da quella del rapporto di società, essendo l’amministratore un mandatario, appare conseguente sposare la soluzione dell’ammissibilità di amministratori estranei; così come è naturale abbracciare la soluzione negativa per chi ritiene che il socio possa sì rinunciare al suo diritto di amministrare, ma solo a favore di altri soci. Qualunque soluzione si accetti devono essere mantenuti fermi alcuni punti: l’affidamento dell’amministrazione ad estranei non fa venire meno la responsabilità illimitata dei soci; una volta ammessi gli amministratori estranei, questi sono investiti del potere di compiere, entro i limiti stabiliti dall’art. 2266, ogni operazione per la società e i soci non potrebbero interferire né opporsi alle loro operazioni, se non nella forma estrema della revoca.

Fonte del rapporto di amministrazione

Il rapporto di amministrazione non viene disciplinato allo stesso modo per tutti i tipi di società, anche se, in primo luogo, identica è per l’investito la funzione amministrativa e, in secondo luogo, chiara è la distinzione dell’amministrazione dalla rappresentanza, attenendo l’amministrazione alla direzione degli affari sociali nell’ambito della competenza risultante dalla legge o dal contratto e la rappresentanza alla legittimazione sostanziale e processuale ad impegnare il nome della società nei confronti dei terzi. Le fonti del rapporto di amministrazione possono essere la legge e, quando a questa si deroghi, il contratto sociale ovvero ancora un atto separato. In questi ultimi due casi è necessario il consenso unanime di tutti i soci. In assenza di norma esplicita che contempli il caso, viene risolto negativamente il problema dell’ammissibilità o meno della nomina di un amministratore giudiziario che prenda il posto dell’amministratore revocato dalla stessa autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 2259 ovvero nelle ipotesi di discordia tra i soci. La legge stabilisce all’art. 2260 che “i diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato”.

I diritti

Fatto salvo il diritto di amministrare sancito all’art. 2257, l’unica questione resta quella del diritto al compenso: ad una sostanziale concordia di opinioni esistenti nella giurisprudenza, la quale ritiene che, in mancanza di regole contrattuali sulla ripartizione degli utili, al socio amministratore spetta un compenso, in forza della presunzione di onerosità del mandato contenuta nell’art. 1709, fa riscontro una variegazione di orientamenti della dottrina divisa tra:

  • chi nega il diritto dell’amministratore al compenso in mancanza di espressa pattuizione in tal senso;
  • chi fa dipendere la soluzione della questione da quella data al problema della natura del rapporto di amministrazione ;
Gli obblighi

L’articolo 2260 comma due stabilisce che “gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per l’adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale”. Altri obblighi sono:

  • fornire il rendiconto ai soci non amministratori in forza dell’art. 2261;
  • fornire ai soci non amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali e di consentire la consultazione dei documenti relativi all’amminis-trazione, sempre ai soci non amministratori;
  • ottemperare agli obblighi di iscrizione della società nell’Albo speciale del registro delle imprese;
  • tenere le scritture contabili imposte dalle dichiarazione di legge.
I poteri

L’art. 2266 comma primo, dispone che “la società acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi”. L’art. 2266 sta a significare che nei rapporti esterni, pur non avendo la personalità giuridica, la società semplice, e in generale tutte le società di persone, si presentano come un gruppo unitario, portatore di una propria volontà e titolare di un proprio patrimonio, capace come tale di acquistare diritti, di assumere obblighi e di stare in giudizio. Da questa norma si ricavano i punti di riferimento sulla base dei quali i terzi possono determinare il loro orientamento e la loro condotta verso la società:

  • la distinzione tra rappresentanza sostanziale e processuale;
  • la possibilità di indicare quali tra i soggetti amministratori abbiano la rappresentanza;
  • l’individuazione dell’oggetto sociale come limite ai poteri degli amministratori;
  • la possibilità di determinare il contenuto dei poteri rappresentativi come risulta dall’espressione di esordio (“in mancanza di diversa disposizione del contratto”) dell’art. 2266, comma secondo.

In relazione a questo ultimo punto, appare opportuno distinguere le ipotesi possibili:

  • con riguardo ai soggetti investiti del potere rappresentativo (se il contratto nulla dispone in ordine alla rappresentanza, questa spetta a ciascun socio amministratore; se il contratto contiene disposizioni esplicite in ordine alla rappresentanza, l’unico problema aperto riguarda la possibilità di attribuire la rappresentanza ad estranei);
  • con riguardo ai contenuti della rappresentanza (in mancanza di diversa pattuizione il rappresentante può compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale; se il contratto detta delle limitazioni queste non sono opponibili se non sono state portate a conoscenza di terzi con mezzi idonei).

Per vincolare quindi la società, l’amministratore – rappresentante deve spendere necessariamente il nome della società e deve aver compiuto un atto, lecito o illecito che sia, che rientri nell’oggetto sociale. In linea di massima i principi esposti per la rappresentanza negoziale, valgono anche per la rappresentanza processuale; e prima di tutto il principio per cui se nel contratto sociale esistono specifiche disposizioni in ordine alla rappresentanza negoziale, queste, e non la disposizione dell’art. 2266, si estendono alla rappresentanza processuale.

La responsabilità degli amministratori e controllo degli altri soci

L’art. 2260 dispone che “gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per l’adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale. Tuttavia, la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa”. I principi che da questa norma si ricavano sono tre:

  • la responsabilità degli amministratori si atteggia nei confronti della società e non dei singoli soci;
  • la solidarietà fra gli amministratori opera oltre che in regime di amministrazione congiuntiva, come sarebbe naturale, anche in regime di amministrazione disgiuntiva;
  • ciascun amministratore può esimersi da responsabilità dimostrando di essere immune da colpa.

La responsabilità si estende anche agli amministratori di fatto: a quegli amministratori che hanno in realtà svolto le relative funzioni. Problemi sorgono, in conseguenza del silenzio dell’art. 2260, sul modo in cui far valere la responsabilità. Si può dire che:

  • la legittimazione ad esperire l’azione spetta alla società o al curatore fallimentare e non ai singoli soci;
  • l’azione tende ad ottenere la reintegrazione del patrimonio sociale depauperato dal comportamento illegittimo degli amministratori attraverso la condanna di questi ultimi al risarcimento del danno.

L’art. 2261 attribuisce ai soci che non partecipano all’amministrazione ed in coerenza con la circostanza che anche i soci non amministratori continuano a rispondere delle obbligazioni sociali, una serie di poteri di controllo sull’amminis-trazione della società, e precisamente:

  • il diritto di ottenere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali;
  • il diritto di consultare i documenti relativi all’amministrazione;
  • il diritto a ricevere il rendiconto quando gli affari per cui fu costituita la società sono stati compiuti ovvero, se la durata della società è ultrannale, al termine di ogni anno.
Estinzione del rapporto di amministrazione

Se si eccettua l’ipotesi della revoca (2259), l’estinzione del rapporto di amministrazione non è regolata in modo organico, analogamente a quanto avviene per la nomina. I casi di cessazione del rapporto di amministrazione sono:

  • L’esclusione del socio amministratore dalla società. Questa è una soluzione obbligata e coerente solo per chi ritiene la qualità di socio presupposto naturale e indispensabile per l’esercizio delle funzioni amministrative; per chi considera il rapporto sociale distinto da quello amministrativo, l’esclusione del socio amministratore, se motivata da ragioni che riguardano il solo rapporto sociale, potrebbe consentire al socio escluso il mantenimento della carica di amministratore: sempre, ovviamente, che si ammettano gli amministratori estranei.
  • La revoca. È l’unica ipotesi di cessazione espressamente regolata dalla legge, e precisamente dall’art. 2259, il quale stabilisce che “la revoca dell’amministratore nominato con il contratto sociale non ha effetto se non ricorre una giusta causa. – L’amministratore nominato con atto separato è revocabile secondo le norme sul mandato. – La revoca per giusta causa può in ogni caso essere chiesta giudizialmente da ciascun socio .

La qualità di socio

Della qualità di socio, intorno alla cui natura sempre vivace è stato il dibattito soprattutto dottrinale, si assumerà l’accezione più lata possibile, e cioè come la posizione di membro della società, produttiva di una serie di interessi, variamente tutelati dall’ordinamento giuridico nei confronti della società stessa. L’acquisto della qualità di socio può avvenire:

  • per effetto dell’adesione originaria al contratto di società;
  • per effetto dell’acquisto inter vivos di una quota di partecipazione ;
  • per effetto della successione mortis causa, sempre che esista una clausola di continuazione della società con gli eredi del socio defunto ovvero l’ac-coglimento da parte degli eredi medesimi della proposta di subentrare in società in luogo del de cuius loro rivolta dai soci superstiti.

La soluzione dei problemi relativi all’ammissibilità della costituzione di usufrutto e pegno sulle quote sociali è strettamente legata alla soluzione del problema del trasferimento: evolutosi il pensiero di autori e giudici verso l’ammissibilità del trasferimento, analogo atteggiamento si è avuto in ordine ai diritti reali minori; ovviamente, anche in tal caso, l’ammissibilità della loro costituzione è subordinata al consenso di tutti gli altri soci. Resta in ogni caso aperto il problema relativo alla spettanza dei diritti afferenti alla quota. E se è scontata la permanenza in capo al socio della qualità di socio nonché la possibilità dell’usufruttuario e del creditore pignoratizio di opporre il loro diritto oltre che nei confronti del proprietario della quota anche nei confronti della società, è possibile dividere le altre situazioni soggettive in tre categorie:

  • quelle il cui esercizio spetta sicuramente al socio, nelle quali va incluso il diritto di recesso;
  • quelle il cui esercizio spetta sicuramente all’usufruttuario o al creditore pignoratizio, nelle quali vanno inclusi il diritto agli utili, il diritto di voto, il diritto di amministrare;

Infatti, il D.Lgs. n. 88/93 ha espressamente previsto la costituzione di società a responsabilità limitata con unico socio.

È meglio analizzare più approfonditamente le ipotesi prospettabili:
Al quesito se possano divenire soci di società di persone, segnatamente di società in nome collettivo e in accomandita semplice, altre società di capitali, risponde positivamente la dottrina prevalente e una parte minoritaria della giurisprudenza di merito, mentre la soluzione negativa è difesa dalla giurisprudenza della Cassazione e dalla maggioranza dei tribunali e delle corti di appello. A chi fa leva essenzialmente sul fatto che la stipulazione del contratto di società personale avviene sulla base del c.d. intuitus personae che sarebbe configurabile solo tra persone fisiche, essendo fondato sulla conoscenza personale e sulla fiducia nell’onestà e nella capacità dei soci tra di loro, si è obiettato, da un lato, che l’intuitus personae non è mai stato considerato un elemento indefettibile delle società personali, riguardando in ogni caso l’interesse delle parti, e, dall’altro, che, anche ammessa l’essenzialità di tale elemento, non si vede perché esso non possa sussistere anche tra persone fisiche e persone giuridiche; a chi fa leva sul diverso regime della responsabilità fra società di capitali e società di persone con la conseguente incompatibilità con la posizione di socio a responsabilità illimitata della società di capitali, si è obiettato, da un lato, che anche le società personificate per effetto della partecipazione rispondono senza limiti e in solido con tutto il patrimonio al pari delle persone fisiche e, dall’altro, che si è trascurato di considerare che anche per la società semplice con effetto interno ed esterno e per le società in nome collettivo con effetto solo interno, la legge consente ai soci di limitare la propria responsabilità.
Meno rilevante del problema precedente è quello della partecipazione di una società in nome collettivo ad un’altra società in nome collettivo o in accomandita semplice. Al quesito si dà una quasi unanime risposta positiva, argomentando dall’intuitus personae che in questo caso non mancherebbe e dividendo l’ipotesi principale in due sotto–ipotesi: quella della costituzione di una società personale cui partecipino accanto a soci e persone fisiche una o più società personali, in ordine alla quale è possibile parlare di società partecipante e di società madre ed è quindi possibile porsi gli interrogativi relativi alla sostanziale mancanza dell’intuitus personae per la mutevolezza del corpo sociale della società partecipante; e quella della costituzione di una società personale tra le società personali, in ordine alla quale i problemi appena esposti non sono neanche prospettabili, perché i soci passano in secondo piano ed assumono un rilievo peculiare solo nel caso in cui, per effetto del fallimento doppiamente riflesso delle società e delle società socie di questa, essi stessi falliscono in estensione dell’art. 147 della legge fallimentare.
Nessun problema si è mai posto per la partecipazione di società di persone ad una società di capitali, che è stata sempre considerata ammissibile.
Al quesito se sia ammissibile la partecipazione di società cooperative a società di capitali e a società di persone ha risposto la legge n. 72 del 1983 (legge Visentini bis) la quale dispone che le società cooperative e i loro consorzi possono costituire ed essere soci di società per azioni e a responsabilità limitata.
Al problema della partecipazione di società di capitali a società cooperative si è risposto che se alcune norme dettate in tema di cooperative prevedono la possibilità che soci siano anche le persone giuridiche, è anche vero che consentire la partecipazione di società di capitali a società cooperative significa esporre queste ultime a pericoli di tralignamenti dallo scopo mutualistico.
Prevalentemente dottrinaria è l’ipotesi della partecipazione della comunione legale dei beni ad una società in nome collettivo. La soluzione positiva, per quanto prevalente, è comunque condizionata alla preventiva sottrazione delle quote dal patrimonio coniugale attraverso una modifica pattizia secondo la facoltà concessa dall’art. dal comma primo dell’art. 210 c.c.: l’adozione di un tipo di società come quella collettiva comporta infatti l’applicazione di una normazione in materia di amministrazione e di responsabilità verso terzi, incompatibile con quella inderogabile prevista dal comma terzo dell’art. 210 c.c. per i beni facenti parte del patrimonio coniugale.

Infatti, mentre nelle società di persone il socio è naturale amministratore della società e ciò avviene perché egli rischia nell’impresa anche il patrimonio personale, nelle società di capitali il potere di amministrazione è svincolato dalla qualità di socio ed è esercitabile dal socio solo indirettamente, nel senso che egli potrà contribuire, attraverso l’esercizio del diritto di voto, alla scelta degli amministratori.

Mentre nelle società di capitali le regole che presiedono sia alla circolazione inter vivos dei beni sia al trasferimento mortis causa non subiscono deroga alcuna, nel senso che i titoli documentali della partecipazione sono liberamente trasferibili e si trasmettono agli eredi secondo le regole del diritto successorio, nella società di persone, costituendo il trasferimento della quota una modificazione dell’atto costitutivo, la regola generale dei contratti riprende vigore e viene addirittura inserita una deroga al diritto successorio: ed infatti, il trasferimento della partecipazione per atto tra vivi può avvenire solo con il consenso di tutti i soci, mentre per il trasferimento a causa di morte, la regola è che, salvo patto contrario, la partecipazione non si trasmette agli eredi, che hanno solo il diritto alla liquidazione della quota ( leggere art. 2284 ).

Più sinteticamente, le limitazioni all’esercizio di una attività agricola riguardano:

  • l’impossibilità di avere ad oggetto il mero godimento di beni;
  • le comunioni tacite familiari sono regolate dagli usi e non da contratto di società;
  • i contratti a struttura associativa per l’esercizio delle imprese agricole (mezzadria, colonia) sono regolati da norme particolari.

Sempre che la partecipazione di quest’ultimo alla società non debba considerarsi essenziale, comunicandosi in questo caso l’invalidità all’intero contratto.

Il dibattito si è svolto tra chi, ravvisando la ratio dell’art. 2294 nella esigenza di sottrarre l’incapace ai rischi della responsabilità illimitata ritiene la norma applicabile anche all’incapace che voglia diventare socio di una società semplice e chi, al contrario, esclude l’applicabilità di esse all’imprenditore collettivo non commerciale che è la società semplice e quindi a chi voglia in questa entrare come socio.

Questa conclusione viene contestata da una parte minoritaria della dottrina: e cioè sia da chi postula una vera e propria scissione tra potere deliberativo e potere amministrativo e quindi l’esistenza di una vera e propria assemblea di soci, sia da quegli autori, i quali, non sentendosela di arrivare a questa conclusione, postulano la possibilità di una collegialità pattizia, nel senso che il contratto potrebbe prevedere l’esistenza di un’assemblea e di un consiglio di amministrazione con conseguente adozione del metodo maggioritario e dell’osservanza delle regole relative alla convocazione dell’assemblea e all’ordine del giorno. Senza volere approfondire il discorso, basterà osservare che, da un lato, non si rinvengono norme che suffraghino l’esistenza di un’organizzazione interna articolata sulla falsariga di quella della società per azione e che, per quanto più in particolare riguarda la collegialità pattizia, la tesi relativa è postulabile solo con riguardo alle società costituite per atto scritto. In realtà, il legislatore ha fatto dei soci i naturali amministratori della società anche per bilanciare la loro responsabilità illimitata nei confronti dei terzi e ha dettato un’embrionale disciplina del funzionamento del sistema delineato.

nel senso che, ove si ritenga che l’amministratore presti la sua opera in forza dello stesso rapporto sociale, la negazione del suo diritto al compenso appare la più naturale, mentre soluzione opposta dovrebbe adottarsi nel caso in cui rapporto di società e rapporto di amministrazione siano considerati distinti, trovando il secondo fonte in un mandato presunto oneroso.

L’interpretazione plausibile della norma, la quale può essere suddivisa idealmente in due parti – revoca ad opera della collettività dei soci (primi due commi) e revoca da parte dell’autorità giudiziaria – consente queste deduzioni:

  • per quanto attiene alla revoca da parte della collettività dei soci, essa è possibile solo nei confronti degli amministratori che siano stati nominati con il contratto sociale o con atto separato, e non pure nei confronti di quegli amministratori che ripetono il loro potere unicamente dalla legge; mentre deve registrarsi il permanente divario di opinioni sul perché del diverso trattamento tra amministratore nominato con il contratto sociale, revocabile solo se ricorra giusta causa, e amministratore nominato con atto separato, revocabile secondo le norme sul mandato, deve aggiungersi che per il secondo il rinvio ricorrente è all’art. 1726, onde la necessità del consenso unanime dei soci, così come questo è indispensabile per la nomina;
  • più impegnativi i problemi sollevati dalla revoca giudiziaria: si ripropone anche in questo caso il problema relativo all’ambito di applicazione di questo istituto all’amministratore che non ripeta la propria nomina dal contratto sociale o da un atto separato ed eserciti la sua funzione in forza dell’art. 2257 e, in secondo luogo, si dibatte sul concetto di giusta causa. Questa consiste in ogni evento, anche non imputabile all’amministratore, che renda impossibile il naturale svolgimento del rapporto di gestione. Da un punto di vista procedimentale, occorre sottolineare che la revoca giudiziale per giusta causa può essere domandata da ciascun socio solo ove l’azione sia stata deliberata dai soci; che i richiedenti devono fornire la prova della sussistenza della giusta causa e che il giudizio instaura tra i soggetti richiedenti e il destinatario della domanda di revoca, senza instaurazione di un litisconsorzio necessario.

Anche se il principio ispiratore della materia è quello della non libera trasferibilità della quota, la pratica insegna che la quota viene considerata cedibile, ma l’efficacia della cessione è subordinata al consenso di tutti gli altri soci, e tale consenso può essere non solo tacito, ma prestato anche dopo che sia intervenuto tra le parti il contratto di cessione. Così come sono ammissibili clausole contrattuali in deroga con le quali si sancisca il principio della libera trasferibilità o la sufficienza del consenso della maggioranza.

  • quelli che possono essere esercitati e dal socio e dall’usufruttuario, in cui si fanno rientrare i diritti di controllo spettanti ai soci non amministratori e il diritto alla quota di liquidazione.

Per quanto concerne gli obblighi, ed in particolare quelli del conferimento, si adottano soluzioni differenti per il pegno e l’usufrutto: nel primo caso, esso grava sul socio e nel secondo sull’usufruttuario. A quali misure cautelari la quota sia assoggettabile è problema che trae origine dalla norma contenuta nell’art. 2270 a tenore del quale “il creditore particolare del socio, finché dura la società può compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest’ultimo nella liquidazione”. Vi rientrano: il sequestro conservativo, l’espropriazione e il pignoramento nelle forme del pignoramento presso terzi.
Gli obblighi del socio vanno distinti in due categorie:

  • quelli sanciti con sicurezza da una norma e che pertanto non possono essere posti in discussione (come l’obbligo del conferimento);
  • quelli creati dalla dottrina e per ciò opinabili.

All’obbligo del passaggio dei beni nel patrimonio della società, è connessa l’impossibilità per il socio stesso “di servirsi delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società”, come stabilisce l’art. 2256. Per quanto concerne gli obblighi non sanciti da norme di legge, un posto di riguardo merita l’obbligo di collaborazione, da ricollegarsi ai profili soggettivi dell’esercizio in comune di una attività economica.
Accanto al diritto di amministrare il socio è titolare di altre situazioni giuridiche attive che possono essere distinte in due grandi categorie:

  • quelle amministrative o sociali o di amministrazione in senso lato, che possono essere così individuate:
    • il diritto di esprimere il proprio parere e il diritto di opporsi,
    • il diritto di chiedere giudizialmente la revoca del socio o dei soci amministratori quando ricorra una giusta causa,
    • il diritto di recesso,
    • il diritto di opporsi alla propria esclusione,
    • i diritti di controllo;
  • quelle di carattere patrimoniale o economico che spettano indistintamente a tutti i soci, amministratori o no, e sono:
    • il diritto agli utili,
    • il diritto alla liquidazione della quota,
    • il diritto alla quota di liquidazione (all’estinzione della società).

Gli utili

Appartenendo la società semplice al novero delle società lucrative, centrale importanza assumono le regole relative al conseguimento e soprattutto alla destinazione degli utili. Premesso che per utile deve intendersi quello derivante dall’attività economica esercitata dalla società e che solo i guadagni effettivamente così realizzati possono essere destinati alla ripartizione periodica ai soci, occorre dire che alla materia in discorso sono dedicate quattro norme: gli art. 2262 – 2265. Tra le quattro, preminente rilievo assume l’art. 2262, perché stabilisce il diritto del socio di società personale alla divisione periodica degli utili. Se il socio ha diritto alla ripartizione periodica integrale degli utili prodotti in esercizio è giocoforza postulare la necessità che ogni “deviazione” da questo schema richieda il consenso singolo del titolare del diritto e quindi di ogni socio. Si potrà dire che, a tal proposito, non sono in alcun modo ammissibili perché nulli, sia patti che stabiliscono devoluzioni dell’utile contrastanti con la causa del contratto sociale sia patti, diretti o indiretti, con i quali uno o più soci vengono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite (c.d. divieto del patto leonino, art. 2265). Né potranno ritenersi ammissibili rinunce preliminari del socio a percepire utili, quand’anche per destinarli ad altri scopi previamente individuati: il socio potrà solo rinunciare ad esigere il dividendo spettantegli dopo che sia stato approvato il rendiconto. Gli art. 2263 e 2264 riguardano più da vicino i criteri per determinare la partecipazione dei soci ad utili e perdite e da esse si ricavano le regole e i principi seguenti:

  • come regola generale il principio per cui la disciplina legale ha carattere suppletivo, in quanto l’applicazione di tale norma è condizionata all’assenza di pattuizioni contrattuali in tema di ripartizione degli utili e delle perdite;
  • come principio legale inderogabile, il divieto del patto leonino sancito all’art. 2265;
  • come principio suppletivo, quello per cui solo quando manchino pattuizioni contrattuali, intervengono le presunzioni poste dall’art. 2263, e cioè:
    • se il valore dei conferimenti è determinato nel contratto, vige il principio della proporzionalità, nel senso che le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono proporzionali ai conferimenti;
    • se manca ogni determinazione contrattuale del valore dei conferimenti, scatta il principio di eguaglianza;
    • presunzione di eguaglianza tra partecipazione ai guadagni e partecipazione alle perdite, ove il contratto determini solo la parte di ciascuno nei guadagni;
  • come regola in deroga al principio espresso sotto il precedente punto, che la determinazione della parte di ciascun socio nei guadagni e nelle perdite può essere rimessa ad un terzo, la cui decisione può essere impugnata ai sensi dell’art. 1349, salvo che dal socio il quale abbia volontariamente eseguito la decisione stessa (art. 2264).

Regola a parte è quella contenuta nell’art. 2263 comma due, che, in mancanza di determinazione contrattuale delle parti, affida alla decisione del giudice secondo equità la determinazione della parte di utili spettante al socio che ha conferito la propria opera. E ciò costituisce occasione propizia per trattare della discussa figura del socio d’opera. La norma non risolve affatto il problema che la figura del socio d’opera ha suscitato, sempre in bilico tra la posizione di lavoratore subordinato che trova nella prestazione della sua opera la fonte del su sostentamento e la posizione di prestatore autonomo di lavoro in quanto cointeressato alle sorti dell’impresa. È questa incertezza che si riflette nelle posizioni della dottrina che si è occupata dei criteri che il giudice deve seguire, dividendosi tra chi ritiene che occorre estendere al socio d’opera i principi propri del lavoro subordinato prestato nella società rappresenti l’unica fonte di sostentamento, e chi pensa che il giudice non possa ispirarsi, neppure in via indicativa, alle retribuzioni stabilite dai contratti collettivi ma debba ricorrere ai compensi correnti per i lavoratori autonomi. E forse sembra più giusto l’orientamento di chi tenta una mediazione tra le due posizioni, indicando parametri di valutazione endogeni. In ogni caso, qualunque delle soluzioni si accolga, appare opportuno avvertire che in tanto il giudice potrà applicare la norma in esame, solo in quanto il  valore del conferimento del socio d’opera non sia determinato e lo siano invece quelli dei soci capitalisti.

I rapporti della società con i terzi

La problematica relativa ai rapporti della società con i terzi può essere analizzata sotto i due punti di vista della rappresentanza e della responsabilità per le obbligazioni sociali.

Problematica relativa alla rappresentanza

L’ipotesi in esame riguarda i soggetti che hanno il potere di spendere il nome della società e quindi di impegnarla nei confronti di terzi. Si tratta solo di ricordare la norma dell’art. 2266, la quale dispone che “la società acquista diritti e assume le obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi. – In mancanza di diversa disposizione del contratto, la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore e si estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale. – Le modificazioni e l’estinzione dei poteri di rappresentanza sono regolate dall’art. 1396”. Efficacemente si è scritto che questa disposizione pone le condizioni in presenza delle quali un diritto acquistato da un socio o un’obbligazione da questo assunta può essere qualificato come diritto o come obbligazione sociale, e quindi come diritto destinato a far parte del patrimonio sociale. La condizione posta è che il diritto sia stato acquistato e l’obbligazione sia stata assunta da un socio che abbia la rappresentanza della società. Le situazioni che sulla base della norma possono in concreto verificarsi con stretto riguardo alla persona dell’investito sono le seguenti:

  • se il contratto sociale nulla dispone in ordine alla rappresentanza, questa spetterà a ciascun socio amministratore;
  • quando il contratto contiene disposizioni esplicite in ordine alla rappresentanza, si tratterà di valutarne l’ammissibilità soprattutto con riguardo alla persona dell’investito.

Le situazioni che, sempre in relazione all’art. 2266, possono verificarsi in concreto con riguardo al contenuto e all’estinzione dei poteri di rappresentanza:

  • se il contratto nulla dice, la rappresentanza si estende al compimento di tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale;
  • se, invece, il contratto detta disposizioni limitatrici del contenuto si tratterà di stabilirne l’ammissibilità.

Circa l’opponibilità delle modificazioni o dell’estinzione dei poteri rappresentativi, il problema si pone solo nel caso in cui il contratto detti norme in ordine al potere rappresentativo: le limitazioni originarie, saranno sempre opponibili ai terzi, anche se questi non le conoscessero, ed incomberà perciò sui terzi medesimi l’onere di accertare il potere e il contenuto dei poteri di colui che agisce in nome della società; per le modificazioni o l’estinzione vige un diverso principio: incomberà sulla società l’onere di portare a conoscenza dei terzi questi eventi con i mezzi idonei o di provare che i terzi le conoscessero, pena l’inopponibilità degli eventi stessi.

Problematica relativa alle obbligazioni sociali

Questa ipotesi coinvolge indirettamente anche il discorso sui rapporti con i creditori sociali e i creditori particolari del socio. L’art. 2267 costituisce la norma centrale, disponendo che “i creditori della società possono far valere i loro diritti sul patrimonio sociale. Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e illimitatamente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci”. I creditori sociali possono far valere le loro pretese innanzi tutto sul patrimonio sociale, che è destinato principalmente se non esclusivamente alla soddisfazione delle loro pretese, con esclusione di ogni pretesa dei creditori particolari dei soci, i quali, oltre a poter far valere i loro diritti sugli utili spettanti al socio e a poter compiere atti conservativi sulla quota che al socio medesimo spetterà nella liquidazione, possono chiedere la liquidazione della quota dei loro debitori, solo a condizione che gli altri beni di costoro siano insufficienti a soddisfare le obbligazioni. Gli stessi creditori sociali possono rivolgersi per la soddisfazione dei loro crediti anche nei confronti dei soci, i quali rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali (art. 2267). Per la verità, la legge opera una distinzione tra soci che hanno agito in nome e per conto della società, soci agenti, e gli altri soci, disponendo per i primi la inderogabilità della responsabilità illimitata e solidale e per i secondi la derogabilità di tale disposizione. La responsabilità del socio per le obbligazioni sociali è sussidiaria. Il creditore sociale ben può aggredire il patrimonio del socio senza aver preventivamente esperito alcuna azione contro il patrimonio sociale, ma il socio può paralizzare tale azione, dimostrando che esistono beni sociali sui quali il creditore può agevolmente soddisfarsi. Due cose sono indiscutibili:

  • il patrimonio sociale costituisce la garanzia esclusiva per i creditori sociali e non subisce, se non limitatissimamente, il concorso dei creditori particolari dei soci;
  • in nessun caso può restare esclusa la responsabilità personale di tutti i soci.

L’art. 2270 detta, a tutela dei creditori particolari, tre regole, concedendogli le seguenti possibilità:

  • far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore: questa regola è coerente con il principio secondo cui, data l’autonomia patrimoniale della società, il socio non ha diritto alcuno sui beni della società, ma solo sugli utili realizzati e sulla quota di liquidazione all’atto della cessazione del rapporto e dello scioglimento della società. Far valere i suoi diritti sugli utili significa compiere atti conservativi ed esecutivi, ma non equivale a dire che il creditore possa in qualche modo influire sulla distribuzione e più precisamente sulla quantificazione degli utili da distribuire;
  • compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest’ultimo nella liquidazione;
  • ottenere la liquidazione della quota del suo debitore “se gli altri beni di questi sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti”.

A salvaguardia del patrimonio sociale, stanno, perciò, nella società semplice, due importanti regole:

  • il creditore particolare, nel richiedere la liquidazione della quota, ha l’onere di provare che gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti ed essendo tale disposizione eccezionale, fin quando vi è capienza nel patrimonio personale del socio, la liquidazione della quota non può essere chiesta;
  • il creditore personale non potrà agire direttamente sui beni della società, ma potrà ottenere una somma di denaro corrispondente al valore della quota.

Modificazioni soggettive del contratto di società

Per tali si intendono le modificazioni del contratto che riguardano le persone dei soci. La manifestazione più significativa di tali modificazioni è, accanto al trasferimento della quota sociale, lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio. È opportuno ricordare che il socio può rimanere tale fino all’estinzione della società, ma può cessare di essere tale anche prima di tale momento, oltre che per la morte, anche per cause dipendenti dalla sua volontà (recesso) o dipendenti dalla volontà della società (esclusione) ovvero ancora indipendenti e dall’una e dall’altra (esclusione di diritto).

Morte

La disciplina di questo evento contiene una deroga al regime ordinario delle successioni mortis causa: gli eredi, infatti, non subentrano di diritto nel rapporto sociale, atteso che l’art. 2284 pone, come regola ordinaria, l’intrasmissibilità mortis causa della posizione di socio, disponendo che in caso di morte di uno dei soci, salvo contraria disposizione del contratto sociale, gli eredi hanno solo diritto a ricevere la liquidazione della quota del loro dante causa. Dalla morte del socio possono derivare le seguenti conseguenze:

  • se nulla prevede il contratto sociale le strade alternativamente percorribili sono tre:
    • la liquidazione della quota agli eredi del defunto;
    • scioglimento della società con deliberazione adottata da tutti i soci;
    • invito degli eredi ad entrare nella società, subentrando nella stessa posizione del socio defunto;
  • in relazione alla possibilità che il contratto preveda patti in deroga alla disciplina legale, si sono ipotizzati vari tipi di clausole limitative del potere di scelta. Le clausole che hanno interessato maggiormente la dottrina e la giurisprudenza sono quelle che prevedono la continuazione della società con gli eredi del socio defunto, che sogliono raggrupparsi in tre categorie distinte: le clausole di continuazione facoltativa, che obbligano i soci a continuare la società con gli eredi, i quali hanno, a loro volta, il diritto ma non l’obbligo di aderire al contratto sociale; le clausole di continuazione obbligatoria, con le quali si prevede l’obbligo degli eredi di entrare in società; le clausole di continuazione automatica, in forza delle quali il chiamato all’eredità consegue, per il solo fatto dell’accettazione dell’eredità, la qualità di socio.
Recesso

Il recesso è una dichiarazione unilaterale di volontà, con la quale il socio dichiara di voler sciogliere il rapporto contrattuale che lo lega alla società. Regolato dall’art. 2285, tre sono i casi in cui esso può essere esercitato:

  • quando la società è stata contratta a tempo indeterminato ovvero è stata commisurata alla vita di uno dei soci;
  • quando sussiste una giusta causa;
  • nei casi previsti dal contratto sociale.

Nei primi casi si parla di recesso legale, mentre nell’ultimo caso si parla di recesso convenzionale. Può considerarsi una ipotesi di recesso legale anche il recesso per giusta causa, in ordine al quale il punto di riferimento privilegiato deve considerarsi la giurisprudenza, che ha individuato due criteri generali per poter ritenere giustificato il recesso, e cioè quando esso costituisca la reazione ad un illegittimo comportamento degli altri soci ovvero quando si ricolleghi all’altrui violazione di obblighi contrattuali e di doveri di fedeltà. Occorre infine ricordare che il recesso non è né limitabile né rinunciabile e deve essere esercitato personalmente dal socio o dal suo legale rappresentante.
La dichiarazione di recesso non è assoggettata a particolari forme. Essa può essere espressa ovvero tacita e, nel primo caso, può essere scritta o orale. In ordine all’efficacia, l’art. 2285 stabilisce che “nei casi previsti nel primo comma, il recesso deve essere comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi”. Per poter opporre la dichiarazione di recesso agli altri soci, occorre provare che il mezzo scelto per “comunicare” abbia raggiunto lo scopo di far conoscere a costoro la dichiarazione di recesso e per poterlo opporre a terzi, occorre portarlo a loro conoscenza con mezzi idonei.

Esclusione

L’esclusione è vista come una sorta di risoluzione parziale del contratto di società che produce i suoi effetti immediatamente nei confronti delle persone dei soci. In linea di principio, i casi di esclusione trovano la loro fonte nella legge, laddove la possibilità di prevedere, nel contratto, ipotesi aggiuntive rispetto a quelle legali è circondata da riserve e da limiti. L’esclusione può essere facoltativa o di diritto. L’esclusione detta facoltativa, che avviene per deliberazione della maggioranza dei soci o nella società di due soci in seguito a pronuncia del tribunale, si chiama così proprio perché l’adottare il provvedimento è una facoltà e non un obbligo. Essa è regolata all’art. 2286 il quale prevede vari casi:

  • il primo motivo è costituito dalle gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano al socio dalla legge o dal contratto sociale;
  • il secondo motivo riguarda la persona del socio, nel senso che questo può essere escluso ove sia colpito da provvedimento di interdizione, legale o giudiziale, e di inabilitazione;

Una terza categoria di cause (art. 2286 commi due e tre) comprende cause che si riconnettono alla impossibilità sopravvenuta della prestazione e precisamente:

  • la sopravvenuta inidoneità del socio a svolgere l’opera conferita;
  • il perimento della cosa conferita in godimento dovuto a cause non imputabili agli amministratori;
  • il perimento della cosa conferita in proprietà se questo è avvenuto prima che la proprietà sia acquistata dalla società.

Un quesito particolare si pone per il socio amministratore: se cioè escluderlo dalla società rilevi o no il tipo di violazione commessa e se la violazione debba riguardare il socio in quanto tale o l’amministratore in quanto tale. L’orientamento prevalente è nel senso che il tipo di violazione non rilevi.
Il procedimento di esclusione riguarda la sola esclusione facoltativa e si snoda attraverso le seguenti fasi:

  • Deliberazione della maggioranza dei soci. Occorre non computare nel numero di questi il socio da escludere. È sufficiente il consenso della maggioranza anche senza una deliberazione in senso tecnico.
  • Comunicazione al socio escluso.

L’esclusione ha effetto decorsi trenta giorni dalla comunicazione e da tale momento il socio perde tale qualità e decorrono altresì i sei mesi per la liquidazione della quota da parte della società. A norma dell’art. 2287 entro trenta giorni dalla data della comunicazione “il socio escluso può fare opposizione al tribunale, il quale può sospendere  l’esecuzione”. La legittimazione attiva spetta al socio escluso e quella passiva è radicata in capo alla società. La legge prevede che il provvedimento possa essere sospeso con conseguente inefficacia di esso fino al momento della pronuncia della sentenza esecutiva che rigetta l’opposizione. Dalla comunicazione del provvedimento di esclusione decorre il termine per proporre opposizione dinanzi al tribunale, che può sospendere l’esecuzione; così come da tale momento decorre il termine di sei mesi per la liquidazione della quota da parte della società.
L’esclusione di diritto si caratterizza rispetto all’esclusione facoltativa perché consegue quasi automaticamente al verificarsi del fatto che la legge indica come generatore, indipendentemente da ogni valutazione discrezionale degli altri soci. A norma dell’art. 2288 è escluso di diritto il socio che si sia dichiarato fallito e il socio nei cui confronti il creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota.

La liquidazione della quota al socio cessato

Dall’art. 2289 che regola la materia vanno separatamente esaminati i due primi commi che riguardano le questioni più importanti. Al primo comma si legge: “nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di denaro, che rappresenti il valore della quota”. Dall’avverbio “soltanto”, si desume che il socio uscente non può pretendere la restituzione dei beni che egli abbia eventualmente conferito in natura. Al secondo comma si legge: “la liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento”, nel senso che il socio sopporta le conseguenze delle operazioni in corso al momento dello scioglimento del vincolo. Il quarto comma stabilisce che la quota deve essere liquidata entro sei mesi dal giorno in cui si è verificato lo scioglimento del rapporto, con la conseguenza che la mancata liquidazione entro tale termine comporta l’applicazione del principio della rivalutazione del debito della società nei confronti del socio cessato. L’articolo in esame non precisa se l’obbligo della liquidazione della quota gravi sulla società o sui soci, e se è vero che il problema resta dibattuto è anche vero che la maturazione e la sempre migliore delineazione del concetto di soggettività e la stessa esigenza di chiarezza e coerenza fra premesse concettuali e decisioni concrete fanno chiaramente pendere la bilancia a favore della tesi che considera la società obbligata a liquidare.

La responsabilità del socio cessato

L’art. 2290 stabilisce che “nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento. – Lo scioglimento deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei; in mancanza, non è opponibile ai terzi che lo hanno senza colpa ignorato”.

La durata della società e la proroga tacita

La fissazione di un termine di durata della società non è, nella società semplice, indispensabile. Nell’ipotesi in cui il contratto sociale contenga tale elemento, nulla esclude che prima della scadenza i soci possano fissare un altro termine di durata, prorogando espressamente la società. la disciplina prevede anche una proroga tacita, la quale si ha “quando, decorso il tempo per cui fu contratta, i soci continuano a compiere le operazioni sociali” ( art. 2273 ).

Società in nome collettivo

La disciplina della società in nome collettivo è contenuta negli articoli da 2291 a 2312. La società in nome collettivo può essere definita come la società in cui tutti i soci rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali, senza che il patto contrario abbia effetto nei confronti dei terzi. Caratteristiche peculiari di tale tipo di società sono la possibilità di essere utilizzata per l’esercizio di ogni specie di attività e la responsabilità illimitata e solidale dei soci. L’art. 2291 induce a un triplice ordine di considerazioni:

  • la norma assolve, innanzi tutto, ad una funzione di identificazione del tipo, anche se la responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali è elemento necessario ma non sufficiente. Ne consegue che una specifica ed espressa dichiarazione di voler adottare il tipo della società in nome collettivo occorrerà soltanto se l’oggetto sociale consista nell’esercizio di un’attività non commerciale, data la possibile confusione con il tipo della società semplice;
  • l’ambito di applicazione di tale norma va al di là dell’attualità del vincolo sociale, nel senso che in forza dell’art. 2269 “chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all’acquisto della qualità di socio” , e in forza dell’art. 2290, i soci uscenti o i loro eredi rispondono verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento;
  • il secondo comma sancendo l’inefficacia assoluta nei confronti dei terzi dei patti limitativi della responsabilità sanziona una prima, non trascurabile differenza di disciplina rispetto al regolamento dell’omologa materia nella società semplice.

Le principali differenze della società in nome collettivo con la società semplice sono:

  • la presenza, nella disciplina delle società in nome collettivo, di una norma che indica il contenuto dell’atto costitutivo, e cioè l’art. 2295;
  • l’inesistenza di limiti relativi all’oggetto sociale, che può, nella società in nome collettivo, consistere nell’esercizio di qualunque tipo di attività lecita (commerciale, agricola, professionale);
  • l’inefficacia esterna dei patti limitativi della responsabilità dei singoli soci;
  • un più accentuato livello di autonomia patrimoniale, e quindi una regolamentazione parzialmente diversa dei rapporti della società con i terzi;
  • l’esistenza di un regime di pubblicità abbastanza articolato;
  • l’esistenza di una serie di norme in tema di capitale sociale, che mancano nella società semplice.

L’atto costitutivo

A differenza di quanto avviene per la società semplice, la legge disciplina in modo compiuto l’atto costitutivo e le indicazioni che devono esservi contenute. La libertà della forma resta la regola anche per la costituzione della società in nome collettivo e l’atto scritto è richiesto solo a fini dell’iscrizione nel registro delle imprese e, perciò, solo ai fini della regolarità della società, tant’è che come esiste la società semplice di fatto così esiste anche la società in nome collettivo di fatto. In caso di costituzione della società per atto scritto, non è indispensabile la contestuale presenza di tutti i requisiti indicati nei numeri da 1 a 9 dell’art. 2295, dovendosi distinguere dal contenuto del contratto sociale essenziale per l’esistenza della società quel contenuto che serve solo ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese.

I soggetti partecipanti

Il numero uno dell’art. 2295 prescrive che l’atto costitutivo deve indicare “il cognome e il nome, il luogo di nascita, il domicilio e la cittadinanza dei soci”. L’essenzialità dell’elemento è in re ipsa, dal momento che non esisterebbe un contratto che non contenesse l’indicazione delle parti contraenti. I problemi che la norma suscita riguardano la partecipazione degli incapaci e la partecipazione di soggetti diversi dalle persone fisiche. Con riferimento al primo di essi, la disciplina contiene una norma, l’art. 2294, a tenore della quale “la partecipazione di un incapace alle società in nome collettivo è subordinata in ogni caso all’osservanza delle disposizioni degli art. 320, 371, 397, 424 e 425”. Queste norme dispongono che il minore, l’interdetto e l’inabilitato, per continuare l’esercizio di una impresa  commerciale devono ricevere l’autorizzazione del tribunale e che il minore emancipato può esercitare un’impresa commerciale senza l’assistenza del curatore se è autorizzato dal tribunale previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore.
Per ciò che riguarda l’amministrazione basta tenere presente la trattazione effettuata per le società di persone e quindi, ai sensi dell’art. 2295, nell’atto costitutivo devono essere indicati i soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza della società. Deve aggiungersi che per gli amministratori di società in nome collettivo è prescritto l’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili prescritti dall’art. 2214.

La ragione sociale

Il n. 2 dell’art. 2295 indica quale elemento da includere nell’atto costitutivo la ragione sociale, autonomamente disciplinata nell’art. 2292, proprio per rimarcare che anche la società in nome collettivo deve esercitare la sua attività adottando un nome. Definibile come la ditta sotto il quale agiscono le società in nome collettivo e le società in accomandita semplice, la ragione sociale assolve, in primo luogo, ad una funzione di identificazione del soggetto. L’art. 2292 fissa due regole: il primo comma, quando prescrive che accanto al nome dei soci venga indicato il rapporto sociale, sembra confermare il principio di verità, già vigente per la formazione della ditta dell’imprenditore individuale; il secondo comma, disponendo che “la società può conservare nella ragione sociale il nome del socio receduto o defunto, se il socio receduto o gli eredi del socio defunto vi consentono” (ragione sociale derivata). Occorre ancora precisare tre punti: l’inosservanza della prescrizione contenuta nell’art. 2292 determina l’irregolarità della ragione sociale, che può dar luogo anche al rifiuto di iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese; la ragione sociale è liberamente trasferibile; alla ragione sociale si applica il principio di novità, grazie al rinvio diretto all’art. 2564 disposto dall’art. 2567.

La sede della società e l’oggetto sociale

Per sede della società si intende sul piano formale, quella risultante dall’atto costitutivo e dallo statuto e nella quale – almeno di norma – si trovano stabilmente gli organi che hanno la rappresentanza dell’ente e la capacità di obbligarlo. L’indicazione della sede è importante al fine di:

  • stabilire il giudice territorialmente competente per le controversie giudiziarie che interessano la società;
  • l’individuazione del registro delle imprese in cui la società deve essere iscritta;
  • l’applicazione della disciplina fallimentare.

Può darsi il caso che la sede legale non coincida con la sede reale, che è quella dove c’è il centro effettivo di direzione e di svolgimento dell’attività sociale, dove risiedono gli amministratori e coloro che hanno il potere di rappresentare la società, dove è convocata l’assemblea sociale. Quando non vi è corrispondenza tra la sede legale e sede effettiva, giurisprudenza e dottrina, quasi unanimemente, propendono per la prevalenza della seconda sulla prima, con la precisazione che nel caso di società collettiva regolare, non potendosi vanificare del tutto gli effetti della pubblicità, la società non potrà opporre ai terzi la mancata coincidenza della sede dichiarata con quella effettiva. Alla sede secondaria è dedicata una norma (2299), la quale si limita a stabilire prescrizioni formali relative all’obbligo di iscrizione di tale sede presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo in cui essa è istituita. Per aversi sede secondaria occorrono:

  • un rapporto di dipendenza economica ed organizzativa con la sede principale;
  • uno stabile apprestamento di mezzi destinati allo svolgimento dell’attività sociale ed un rappresentante stabile della società;
  • un autonomo ambito di affari, sulla base del quale viene determinata la legittimazione sostanziale e processuale di colui che è ad essa preposto.

Per quanto riguarda questo punto basterà rivedere quanto scritto a proposito della società semplice.

Conferimenti, capitale sociale e distribuzione degli utili

Il n. 6 dell’art. 2295 prescrive che l’atto costitutivo indichi i “conferimenti dei soci, il valore ad essi attribuito e il modo di valutazione”. Per la società in nome collettivo appare più opportuno parlare di capitale sociale dal momento che la legge esplicitamente vi allude in due norme, gli art. 2303 e 2306, pur non menzionandolo espressamente tra gli elementi da includere nell’atto costitutivo. Ripetuto che il capitale sociale rappresenta il valore in denaro dei conferimenti dei soci, quale risulta dalle valutazioni compiute nel contratto sociale, si dovrà aggiungere che questo è il concetto di capitale nominale fissato da una cifra contrattuale. Questione aperta è se nel capitale sociale possano essere compresi anche i conferimenti d’opera, che, come si è scritto, da una parte della dottrina vengono considerati conferimenti non di capitale in quanto suscettibili di valutazione in denaro. Il patrimonio sociale rappresenta, invece, il complesso dei rapporti giuridici facenti capo all’impren-ditore. Le funzioni attribuite al capitale sociale sono quattro:

  • strumento di attivazione dell’oggetto sociale;
  • strumento di rivelazione della situazione patrimoniale della società;
  • strumento di misura della partecipazione del socio;
  • strumento di garanzia per i creditori sociali.

Anche per la società in nome collettivo è importante porre in evidenza la necessità di un confronto costante tra capitale sociale e patrimonio sociale per capire se la situazione patrimoniale della società si evolva in senso positivo o in senso negativo. Anche nella società in nome collettivo si deve sottolineare l’esigenza che la determinazione convenzionale non si risolva in danno dei soci dei terzi. Ed alla soddisfazione di tale esigenza che complessivamente può considerarsi nella formula della integrità del capitale sociale come moderatore legale e contabile della vita della società, sono preordinati gli art. 2303 e 2306, rispettivamente dedicati alla perdita e alla riduzione del capitale. La prima di queste norme, dopo aver sancito al primo comma che possono essere distribuiti solo gli utili realmente conseguiti, dispone al secondo comma che “se si verifica una perdita di capitale sociale non si può fare luogo a ripartizione degli utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente”. A norma dell’art. 2306, la delibera di riduzione del capitale sociale può essere attuata:

  • quando nessun creditore sociale abbia fatto opposizione;
  • quando le opposizioni eventualmente proposte siano state successivamente ritirate;
  • quando il tribunale, su richiesta della società, abbia autorizzato l’esecuzione della delibera, previa prestazione di garanzia idonea;
  • quando i creditori sociali siano stati soddisfatti, dal momento che solo ad essi è inopponibile l’esecuzione della delibera.

La prescrizione contenuta nell’art. 2295, n. 7 impone che nell’atto costitutivo siano indicate le prestazioni dei soci d’opera. Socio d’opera è colui che si sia impegnato a conferire la propria attività e il risultato di questa. Scontata la negazione dell’assimilazione della prestazione del socio d’opera a quella del lavoratore subordinato. L’indicazione dei soci d’opera è importante: in primo luogo, non essendo ontologicamente possibile valutare in termini monetari, a differenza di quanto avviene per la maggior parte delle altre specie di conferimento, l’apporto di chi conferisce il proprio lavoro, il legislatore si è preoccupato di richiedere innanzi tutto che venga consacrato contrattualmente l’obbligo del conferimento della propria opera e, in secondo luogo, che sia precisato nel contratto in che cosa l’apporto medesimo si concreti.
Per la ciò che concerne la distribuzione degli utili occorre analizzare l’art. 2295, secondo cui nell’atto costitutivo devono essere indicate le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli utili e nelle perdite. Se è vero che, con riguardo agli utili, v’è assoluta identità di dettato fra le norme disciplinanti questa materia, non altrettanto può dirsi con riguardo alle perdite: in altri termini, identica la norma sugli utili, manca nella disciplina delle società di capitali ogni disposizione relativa alle perdite di contenuto analogo a quello della norma in commento.

La durata della società

Il n. 9 dell’art. 2295 impone che nell’atto costitutivo sia indicata la durata della società, in tal modo avvicinando la disciplina della società in nome collettivo a quella delle società di capitali e delle società cooperative. L’apparentamento con la società di capitali è neutralizzato dalla presenza di una norma come l’art. 2307, che, consentendo una proroga tacita, rende ammissibile una società in nome collettivo di durata indeterminata e quindi, da un punto di vista sostanziale, avvicina la società in nome collettivo alla società semplice. Occorre un accenno alla proroga della durata della società. la proroga può essere:

  • espressa, qualora i soci, di comune accordo, decidano di fissare, prima della scadenza del termine originario, un nuovo termine di durata;
  • tacita, allorché secondo il disposto dell’art. 2273, “decorso il tempo per cui fui contratta, i soci continuano a compiere le operazioni sociali”.

Il regime della pubblicità

La disciplina della pubblicità della società in nome collettivo è contenuta principalmente in due norme:

  • l’art. 2296, che fa obbligo agli amministratori (e al notaio se la stipulazione è avvenuta per atto pubblico) di depositare l’atto costitutivo, nel termine di trenta giorni, per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale;
  • l’art. 2300, che impone agli amministratori di richiedere, sempre entro trenta giorni, l’iscrizione delle modificazioni dell’atto costitutivo e degli altri affari relativi alla società, dei quali è obbligatoria l’iscrizione.

Tre sono i punti da sottolineare:

  • la società in nome collettivo è soggetta all’onere dell’iscrizione nel registro delle imprese, indipendentemente dal fatto che l’attività sia o no esercitata ad impresa e dal fatto che l’attività stessa sia o no di natura commerciale;
  • l’iscrizione della società in nome collettivo nel registro delle imprese: l’inosservanza di essa determina, da un lato, una situazione di irregolarità e, dall’altro, una parziale modificazione della disciplina dettata per le società collettive regolari;
  • presupposto indefettibile per l’iscrizione è il deposito presso l’Ufficio del registro della scrittura privata autenticata ovvero della copia autenticata dell’atto pubblico.

La società in nome collettivo irregolare

È irregolare quella società in nome collettivo per la quale non siano state osservate le prescrizioni relative agli adempimenti pubblicitari contenute nell’art. 2296: in una parola, quella società in nome collettivo che non sia stata iscritta nel registro delle imprese. Dal momento che la volontà di agire come soci può derivare da accordi verbali o da manifestazioni tacite, si avrà in quest’ultimo caso la società irregolare di fatto. Dalla norma di cui all’art. 2297 possono ricavarsi tre principi:

  • la disciplina dei rapporti interni tra i soci è la medesima dettata per la società collettiva regolare, della quale si applicheranno tutte le norme ad eccezione di quelle che presuppongano o implichino adempimenti pubblicitari;
  • soluzione opposta il legislatore ha adottato per i rapporti tra società e terzi creditori e contraenti, cui si attaglia la omologa disciplina della società semplice, la quale prescinde da un sistema di pubblicità legale o meglio è sottoposta ad un diverso regime di pubblicità;
  • la regola in base alla quale ai rapporti società in nome collettivo irregolare – terzi, si applicano le norme regolanti l’omologa materia nell’ambito della società semplice subisce due importanti eccezioni:
    • resta ferma ai sensi del primo comma dell’art. 2297 la responsabilità illimitata e solidale dei soci nei confronti dei terzi per le obbligazioni sociali;
    • si presume che la rappresentanza sociale spetti a tutti i soci che agiscono per la società, e non si applicherà quindi l’art. 2266 comma due.

L’irregolarità può anche essere sopravvenuta, nel senso che una società originariamente regolare divenga poi irregolare per aver continuato l’attività dopo la cancellazione dal registro delle imprese. Di converso, una società irregolare può sanare la sua posizione attraverso la regolarizzazione, la quale si attua con l’iscrizione della società nel registro delle imprese a norma dell’art. 2296 e ha effetto ex nunc provocando la sostituzione della disciplina della società irregolare con quella collettiva regolare.

Rapporti della società e dei soci con i terzi

Il tema dei rapporti della società con i terzi coinvolge essenzialmente due sottotemi:

  • quello della rappresentanza della società e quello della responsabilità per le obbligazioni sociali;
  • in misura meno intensa i rapporti tra soci e loro creditori personali.
Rappresentanza della società

La norma dell’art. 2298 pur avendo una sua centralità, non ha una sua compiuta autonomia, nel senso che, al fine di delineare integralmente il sistema della rappresentanza nella società in nome collettivo, occorre necessariamente richiamare i primi due commi dell’art. 2266, e cioè:

  • nei rapporti esterni, pur non avendo la personalità giuridica, le società di persone e quella in nome collettivo in particolare si presentano come un gruppo unitario, portatore di una propria volontà e titolare di un proprio patrimonio, capace come tale di assumere obbligazioni, acquistare diritti e di stare in giudizio;
  • il limite ai poteri degli amministratori è costituito dall’oggetto sociale, come si ricava dall’espressione di esordio dell’art. 2298;
  • è possibile determinare il contenuto dei poteri di rappresentanza (art. 2298);
  • per essere opponibili ai terzi le limitazioni devono essere iscritte nel registro delle imprese o, in mancanza, occorre provare che i terzi ne hanno avuto conoscenza;
  • gli amministratori–rappresentanti devono, entro quindici giorni dalla nomina, depositare presso l’ufficio del registro delle imprese le loro firme autografe.
La responsabilità per le obbligazioni sociali

L’art. 2304 difende il patrimonio personale dei soci, stabilendo che “i creditori sociali, anche se la società è in liquidazione, non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo l’escussione del patrimonio sociale”. La norma non si applica alle società in nome collettivo irregolari e a quelle di fatto, mentre ne è discussa l’applicabilità nel caso di fallimento della società.

I creditori particolari del socio

La materia è regolata dall’art. 2305, il quale costituisce una prosecuzione dell’art. 2270, regolante la posizione del socio di società semplice nei confronti del proprio creditore particolare. Mentre il creditore particolare del socio di società semplice potrà chiedere sempre la liquidazione della quota del socio suo debitore (qualora gli altri beni di quest’ultimo siano insufficienti a soddisfare i suoi crediti), tale potere è negato al creditore particolare del socio di collettiva, tranne che nelle ipotesi di accoglimento dell’opposizione giudiziale alla proroga espressa da lui stesso esperita e di proroga tacita. La norma di cui all’art. 2305 è infine complementare anche all’art. 2304, nel senso che, unitamente a quest’ultimo, integra il fondamento normativo dell’autonomia patrimoniale della società in nome collettivo.

Società in accomandita semplice

La società in accomandita semplice è caratterizzata dalla esistenza di due categorie di soci:

  • i soci accomandatari, i quali sono responsabili illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali ed hanno correlativamente il potere di amministrare la società;
  • e i soci accomandanti, i quali sono responsabili nei limiti della quota conferita e sono correlativamente esclusi dall’amministrazione della società, pur avendo poteri di controllo sulla gestione.

La disciplina consta di due gruppi di norme:

  • norme dettate in sede materiale, le quali sono contenute negli art. 2313 – 2324;
  • norme regolanti la società in nome collettivo, espressamente richiamate dall’art. 2315, a condizione che siano compatibili con la disciplina materiale.

Occorre ricordare:

  • che anche per la costituzione della società in accomandita semplice non è imposta alcuna forma determinata, essendo la forma scritta funzionale unicamente all’iscrizione nel registro delle imprese;
  • che l’atto costitutivo deve contenere gli elementi indicati nell’art. 2295 con due aggiunte: la ripartizione dei soci nelle due categorie di accomandanti e accomandatari e la distinta indicazione dei conferimenti degli uni e degli altri.

La società in accomandita semplice va distinta dall’associazione in partecipazione:  mentre nella società in accomandita semplice il conferimento del socio accomandante confluisce in un fondo sociale comune ed autonomo rispetto ai patrimoni personali, nell’associazione in partecipazione l’apporto dell’associato passa in proprietà dell’associante che, per ciò, diventa debitore del primo. Tale figura si distingue inoltre dalla società in accomandita per azioni, nella quale le partecipazioni sono rappresentate necessariamente da azioni.

La disciplina

L’art. 2318 testualmente dispone che “i soci accomandatari hanno i diritti e gli obblighi dei soci della società in nome collettivo”. L’art. 2314 è norma imposta dall’esistenza delle due categorie di soci. Esso dispone, da un lato, che la ragione sociale deve contenere, accanto all’indicazione del rapporto sociale, il nome di almeno uno dei soci accomandatari e legittima, dall’altro, la ragione sociale derivata.

La nomina e la revoca degli amministratori

La materia è regolata essenzialmente da tre norme contenute negli art. 2318 – 2320: il secondo comma dell’art. 2318 stabilisce che “l’amministrazione della società può essere conferita soltanto ai soci accomandatari” e, di converso, l’art. 2320 che esordisce stabilendo che “i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per i singoli affari”. Ne conseguono queste regole:

  • se nulla dispone l’atto costitutivo, il potere di amministrazione spetta disgiuntamente a ciascun socio accomandatario secondo le regole fissate nel primo comma dell’art. 2257;
  • se l’amministratore viene nominato con atto separato, la decisione, oltre a dover ricevere il consenso di tutti i soci accomandatari, deve avere l’approvazione della maggioranza dei soci accomandanti (analogamente deve avvenire per la revoca dell’amministratore così nominato);
  • i soci accomandanti non possono essere amministratori.

I divieti a carico degli accomandanti

Esistono due tipi di divieti che la legge pone in capo agli accomandanti:

  • il primo è contenuto nell’art. 2314 comma due, il quale commina all’accomandante che abbia consentito di far comparire il proprio nome nella ragione sociale la perdita della responsabilità limitata nei confronti dei terzi;
  • agli accomandanti è, altresì, fatto divieto di amministrare.

Ed in questo caso all’accomandante che contravviene e compie anche un sol atto di amministrazione non è solo comminata la perdita della responsabilità limitata: a sottolineare la maggiore gravità della violazione, è prevista anche la possibilità dell’esclusione della società a norma dell’art. 2286.
I problemi che il divieto di immistione fa sorgere sono essenzialmente due:

  • il primo concerne l’opponibilità degli atti compiuti dall’accomandante ingeritosi nell’amministrazione. In ordine a questo problema va detto che la società e per essa i soci accomandatari non saranno vincolati, salvo ratifica o accettazione, dagli atti posti in essere dall’accomandante ingeritosi e non risponderanno quindi delle obbligazioni sorte in conseguenza di tali atti. La legge prevede una limitata facoltà di deroga, ove l’accomandante abbia ricevuto procura speciale relativa al compimento di singoli affari.
  • il secondo problema riguarda l’atteggiarsi della responsabilità: in questo caso si discute se l’accomandante ingeritosi divenga responsabile solo nei confronti dei terzi ovvero se debba sopportare anche nei rapporti interni una quota delle perdite subite dalla società.

I poteri dell’accomandante

Per ciò che concerne i poteri l’art. 2320 consente agli accomandanti di “prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori”. Nel caso che vengano a mancare tutti gli accomandatari, l’art. 2323 concede agli accomandanti il potere di nominare per il semestre di grazia un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione. Gli accomandanti hanno altresì il diritto di “avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite e di controllarne l’esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società”. Con riguardo ai poteri aventi la loro fonte nell’atto costitutivo, oltre ad un possibile allargamento generale di essi, vanno segnalati quello di dare autorizzazione e pareri per determinate operazioni e quello di compiere atti di ispezione e sorveglianza (art. 2320).

Trasferimento della quota

La quota dell’accomandante è trasferibile sia inter vivos che mortis causa: nel primo caso, è fatta salva la diversa disposizione dell’atto costitutivo ed in ogni caso l’efficacia della cessione verso la società è subordinata all’approvazione da parte della maggioranza dei soci della cessione stessa, mentre nel secondo caso la deroga al regime normale dell’art. 2284 è prevista nel primo comma della norma appena citata, statuente che “la quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile per causa di morte”.

Problematiche residue relative all’accomandante

Sono problemi riguardanti l’applicazione all’accomandante di alcune norme dettate per il socio di società in nome collettivo, ed in particolare:

  • dell’art. 2288 che prevede l’esclusione di diritto del socio fallito;
  • dell’art. 2294, che subordina la partecipazione di incapaci legali, inabilitati e emancipati alle disposizioni dettate in materia per l’imprenditore individuale. La tesi della non applicabilità della norma viene giustificata con la circostanza che, essendo la responsabilità dell’accomandante limitata al conferimento, non ricorre l’esigenza di proteggere l’accomandante dalle rovinose conseguenze cui la responsabilità illimitata può portare.
  • l’art. 2301 non si ritiene applicabile all’accomandante. Tale articolo vieta al socio di collettiva di esercitare un’attività concorrente con quella della società e di partecipare come socio illimitatamente responsabile a quella di altra società.

La società in accomandita semplice non registrata

Occorre ricordare che l’iscrizione della società in accomandita semplice ha efficacia dichiarativa e la sua mancata iscrizione determina la irregolarità di essa. La disciplina dell’accomandita semplice irregolare è contenuta nell’art. 2217, il quale fissa due regole:

  • rinvia per i rapporti tra società e terzi alle disposizioni contenute nell’art. 2297, che è la norma che disciplina la collettiva irregolare;
  • esclude dalla responsabilità illimitata nei confronti dei terzi i soci accomandanti, “salvo che abbiano partecipato alle operazioni sociali”.

Dalla combinazione delle due regole deriva che appare identica alla responsabilità illimitata dei soci di collettiva irregolare la sola responsabilità dei soci accomandatari, proprio perché resta ferma, ad onta della mancata registrazione, la limitazione di responsabilità dei soci accomandanti per le obbligazioni sociali. Alle società in accomandita semplice irregolare si applica la residua disciplina della società in accomandita semplice regolare ad eccezione delle norme che presuppongano adempimenti pubblicitari.

Le società di capitali

La società per azioni

La società per azioni rappresenta il principale tipo di società di capitali e, allo stesso tempo, la forma più importante di società predisposta per le imprese di grandi dimensioni, che richiedono l’apporto di ingenti capitali e importano l’assunzione di notevoli rischi. Carattere fondamentale della società per azioni è il vincolo tra società e socio che risulta impersonale e anonimo. Sotto il profilo giuridico la S.p.A. può essere definita come la persona giuridica che esercita attività economica con il patrimonio conferito dai soci e con gli utili eventualmente accumulati e nella quale le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni.

Caratteri della S.p.A.

Ai sensi dell’art. 2325, “nella società per azioni, per le obbligazioni sociali, risponde soltanto la società con il suo patrimonio. – Le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni”. In considerazione, anche, dell’art. 2327, le prerogative della S.p.A. risultano essere:

  • la limitazione della responsabilità dei soci al conferimento, pertanto i creditori sociali dovranno rivolgersi alla società, senza poter esperire azioni individuali nei confronti dei singoli soci ;
  • il fatto che le quote di partecipazione siano rappresentate da azioni, ovvero frazioni di uguale misura in cui è diviso il capitale sociale;
  • il fatto che il capitale sociale non possa essere inferiore a L. 200.000.000.
Le fonti normative della S.p.A.

La società per azioni è regolata dal codice civile e da numerosi provvedimenti normativi emanati negli anni successivi. Questi ultimi si sono resi necessari per sopperire alle notevoli limitazioni del nostro codice dovute al suo carattere unitario e indifferenziato che mal si concilia alle realtà spesso diversissime delle S.p.A.
Le nuove norme, in particolare per le società quotate, non solo hanno rafforzato i diritti del piccolo azionista all’interno dell’ordinamento societario, ma hanno anche integrato tale tutela con misure che riguardano più specificamente il campo del diritto dei mercati mobiliari.
Occorre ricordare:

  • il D.P.R. 1127/69 che ha modificato le disposizioni originarie in materia di invalidità dell’atto costitutivo, di poteri degli amministratori e di pubblicità degli atti sociali;
  • la L. 216/74 e i tre DDPR 136,137,138/75 con i quali:
    • si è affidato alla Consob il compito di controllare l’operato delle società quotate;
    • sono state create le azioni di risparmio;
    • si è cercato di dare più evidenza ai collegamenti che possono determinarsi fra società (partecipazioni incrociate, società collegate ecc.);
  • la L. 904/77 (c.d. Legge Pandolfi) che ha apportato alcune modifiche riguardanti il capitale sociale e la disciplina del collegio sindacale;
  • la L. 281/85 che ha eliminato le c.d. clausole di mero gradimento;
  • il D.P.R. 30/86 che ha introdotto una normativa di tutela del capitale sociale;
  • il D.Lgs. 22/91 sulle fusioni e le scissioni;
  • il D.Lgs. 127/91 sul bilancio d’esercizio e i gruppi di società;
  • il D.Lgs. 88/92 sul collegio sindacale e la società di revisione contabile;
  • la L. 149/92 sulle OPV, OPS e OPA;
La costituzione della S.p.A.

La società per azioni si costituisce per atto pubblico che può essere stipulato simultaneamente, cioè immediatamente, ovvero in più fasi con il procedimento di pubblica sottoscrizione (art. 2333). Esso deve indicare:

  • il cognome ed il nome dei soci, il luogo e la data di nascita, il domicilio, la cittadinanza dei soci e degli eventuali promotori, nonché il numero delle azioni sottoscritte da ognuno di essi. Il riferimento ai promotori riguarda la società costituita per pubblica sottoscrizione.
  • la denominazione, la sede della società e le eventuali sedi secondarie. La società ha un nome che deve essere dichiarato con l’integrazione del tipo; indispensabile è l’individuazione della sede, la principale, cioè, la legale e le eventuali sedi secondarie.
  • l’oggetto sociale. Si distingue tra oggetto sociale principale (ad es. la costruzione di automobili) e quello secondario nel quale sono indicate le operazioni strumentali al primo.
  • l’ammontare del capitale sottoscritto e versato. La sottoscrizione segna il momento nel quale il socio si obbliga a conferire. Il capitale sociale si distingue in capitale sottoscritto e versato; il capitale minimo è attualmente 200 milioni di lire.
  • il valore nominale e il numero delle azioni e se queste sono nominative o al portatore. Il primo è espresso dal risultato della divisione tra l’ammontare del capitale e il numero delle azioni.
  • il valore dei crediti e dei beni conferiti in natura.
  • le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti. Laprevisione può riguardare, tra l’altro, sia la misura dell’utile che si intende dividere, nel rispetto della destinazione a riserva sia la destinazione da imprimergli per finalità, comunque, compatibili con l’interesse della società, ma non a beneficio dei soci.
  • la partecipazione agli utili eventualmente accordata ai promotori o ai soci fondatori.
  • il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando tra questi quali hanno la rappresentanza. Necessaria l’individuazione dei soggetti cui è affidata la gestione, innanzitutto, in considerazione del fatto che nell’atto costitutivo devono essere indicati i primi amministratori (art. 2383); per la rilevanza, poi, del potere di rappresentanza legale che identifica chi agisce per la società.
  • il numero dei componenti il collegio sindacale. Anche con riguardo ai sindaci, i primi devono essere nominati nell’atto costitutivo ( art. 2400 ); il numero è ricompreso tra un minimo di tre ed un massimo di cinque, da prescegliere anche tra i soci.
  • la durata della società.
  • l’importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a carico della società. indicazione che parrebbe finalizzata a consentire ai soci costituenti tendenziale consapevolezza sui costi che saranno sopportati per quella ragione.

Un discorso a parte merita la c.d. società con unico azionista. Qualora, per qualsiasi motivo, tutte le azioni si concentrino nelle mani di una sola persona, l’art. 2362 – al fine di evitare che con la costituzione di una S.p.A. una persona singola possa limitare la propria responsabilità patrimoniale in danno dei creditori – ha sancito la responsabilità illimitata dell’unico azionista per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni risultino essere appartenute a lui soltanto (anche se fittiziamente intestate ad altri).

Atto costitutivo e statuto

Il collegamento tra l’atto costitutivo e lo statuto ripropone la rilevanza delle regole sul funzionamento della società, e dunque quelle della sua organizzazione; la relativa disciplina dovrebbe trovare previsione nello statuto che dello statuto è parte integrante. Lo statuto non è, tuttavia, indispensabile come l’atto costitutivo; i principi sul funzionamento della società sono già fissati, con prevalente imperatività della normativa di legge. In concreto viene redatto per personalizzare, nei limiti del possibile, il funzionamento dell’organizzazione al servizio di specifiche esigenze (operatività dell’organo amministrativo, modifica dei quorum deliberativi delle assemblee, limiti alla circolazione delle azioni). Anche lo statuto ha natura contrattuale e viene redatto nella forma dell’atto pubblico. L’esaurimento della fase contrattuale già suscita l’interesse dell’ordinamento: il procedimento di costituzione è stato avviato e si dovrebbe concludere con la nascita della società. Devono ricorrere puntuali condizioni, in mancanza delle quali il procedimento di costituzione si arresta. L’art. 2329 esige che:

  • sia sottoscritto per intero il capitale sociale;
  • siano versati presso un istituto di credito almeno i tre decimi dei conferimenti in denaro ;
  • sussistano le autorizzazioni governative e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali per la costituzione della società.

Nel periodo tra la stipulazione dell’atto costitutivo e l’iscrizione, la società non è nata e per le obbligazioni che sono state assunte nel suo nome, rispondono illimitatamente e solidalmente, verso i terzi, coloro che hanno agito. A costituzione avvenuta la società si fa carico delle spese sopportate e delle obbligazioni assunte, se necessarie per avviare e completare il relativo procedimento. La stessa società, tuttavia, potrebbe decidere di far proprie anche quelle non necessarie, al pari delle obbligazioni contratte per altre ragioni. Il procedimento di costituzione si sviluppa poi, con il deposito dell’atto costitutivo presso il registro delle imprese, entro trenta giorni dalla stipulazione, per iniziativa del notaio ovvero di coloro che sono designati quali amministratori. Opportuno è sottolineare che, qualora notaio ed amministratori (proprio in questo ordine) non provvedano, ciascun socio può effettuare il deposito a spese della società o far condannare gli amministratori ad eseguirlo. Una volta eseguito il deposito dell’atto costitutivo, il tribunale è posto nella condizione di omologarlo. Deve, dunque, accertare se l’accordo dei soci è conforme con le regole dell’ordinamento e se si siano avverate le condizioni fissate dall’art. 2329. L’autorità giudiziaria non entra nel merito dell’atto per stabilire se l’iniziativa è adeguata o meno; effettua un controllo di legalità teso ad accertare la coerenza delle pattuizioni con il modello normativo prestabilito dalla legge e più puntualmente se la struttura organizzativa del nuovo soggetto sia idonea ad operare legalmente. Non si tratta, pertanto, di un controllo che investe la validità dell’atto, dal momento che questo, ancorché essenziale, non è la sola componente del procedimento. L’omologa può, essere negata per ragioni di validità se si riscontra ad esempio, che una clausola è nulla ovvero annullabile. Il procedimento di omologazione si svolge in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero. Se il tribunale la concede il relativo provvedimento è adottato nella forma del decreto come nell’eventualità di rifiuto; è reclamabile davanti alla Corte di Appello nei trenta giorni successivi alla comunicazione. Esaurita questa fase, si procede all’iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese che determina l’acquisto della personalità giuridica. L’articolato sviluppo del procedimento di costituzione consiglia di non condividere l’opinione secondo cui, anteriormente all’iscrizione, l’atto costitutivo determinerebbe la nascita della società per azioni irregolare.

La costituzione della società per pubblica sottoscrizione

La costituzione per pubblica sottoscrizione è disciplinata dall’art. 2333 ed ha come fasi essenziali:

  • la predisposizione, da parte dei promotori, di un programma che indichi l’oggetto e il capitale sociale e le principali disposizioni dell’atto costitutivo;
  • le progressive sottoscrizioni delle azioni da parte degli interessati che devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata. Raccolte le sottoscrizioni, i promotori assegnano, ai sottoscrittori, un termine non superiore ad un mese per effettuare il versamento decorso inutilmente il quale possono scegliere se agire nei confronti dei sottoscrittori morosi ovvero sciogliersi dall’obbligazione. In quest’ultima eventualità si può procedere alla costituzione della società soltanto dopo che siano state collocate le azioni per le quali non è stato effettuato il versamento;
  • i promotori convocano l’assemblea dei sottoscrittori che, accertata l’esistenza delle condizioni richieste per la costituzione della società, delibera, tra l’altro, sul contenuto dell’atto costitutivo e sulla nomina degli amministratori e del collegio sindacale. L’assemblea è validamente costituita con la presenza della metà dei sottoscrittori ognuno dei quali ha diritto ad un voto a prescindere dal numero delle azioni sottoscritte. Le deliberazioni, di cui si è fatto cenno, sono adottate a maggioranza, quelle relative alla modificazione del programma richiedono tuttavia il consenso unanime;
  • esaurita l’assemblea, con l’assunzione delle necessarie decisioni, chi vi ha preso parte, anche in rappresentanza degli assenti, stipula l’atto costitutivo.

La complessità di questo procedimento spiega le ragioni dell’insuccesso. I promotori, che sottoscrivono il programma, sono solidalmente responsabili verso i terzi per le obbligazioni assunte per costituire la società; se vi si perviene gli stessi promotori sono rilevati dalla società: beneficiano del rimborso spese sostenute, semprechè necessarie per la costituzione ovvero se approvate dall’assemblea dei sottoscrittori. La responsabilità cui sono esposti i promotori è bilanciata dall’oppor-tunità che gli è concessa di riservarsi, indipendentemente dalla loro qualità di soci nella costituenda società, una partecipazione non superiore complessivamente ad un decimo degli utili netti risultanti dal bilancio e per un periodo massimo di cinque anni. Identico beneficio è accordato ai soci fondatori.

I contratti parasociali

I contratti parasociali sono quegli accordi, che in genere si accompagnano alla stipulazione dell’atto costitutivo, i quali hanno lo scopo di regolare il comportamento dei soci in seno alla società. Tali contratti hanno efficacia obbligatoria solo tra le parti stipulanti, con esclusione dei successivi acquirenti delle azioni. Non possono essere opposti ai terzi, né alla società (che non sia parte); non invalidano gli atti compiuti in violazione di essi e, nei confronti del trasgressore, gli altri soci partecipanti all’accordo violato possono esperire soltanto l’azione di risarcimento dei danni qualora sia dimostrabile un pregiudizio derivato dal suo comportamento.

I sindacati di voto

I sindacati di voto rappresentano dei gruppi di azionisti che si formano nell’ambito delle S.p.A. con particolari funzioni di dominio o di difesa. Tali sindacati possono assumere due configurazioni:

  • quella dell’accordo intercorso tra più azionisti, i quali si obbligano a votare nello stesso modo in assemblea;
  • quella dell’accordo tra più azionisti, i quali rilasciano mandato con rappresentanza ad una determinata persona, che voterà nelle assemblee:
    • o secondo il suo parere;
    • o secondo le direttive impartitegli dal sindacato.
I sindacati di blocco

I sindacati di blocco sono costituiti da quegli azionisti i quali, al fine di evitare che le azioni di uno o più tra essi possano passare di mano ad altre persone, si impegnano reciprocamente a limitare l’alienazione delle azioni stesse, in modo da garantire una certa composizione del corpo sociale.

I sindacati di emissione o di collocamento

Si tratta di sindacati mediante i quali due o più soggetti si obbligano reciprocamente (o anche nei confronti della società) a sottoscrivere azioni ed a collocarle poi sul mercato, alle condizioni ed al momento opportuni, con l’impegno di trattenere per sé i titoli non collocati. I sindacati di emissione costituiscono una variante della costituzione per pubblica sottoscrizione: infatti la società è costituita simultaneamente, ma parte del capitale sociale è sottoscritto da banche, le quali si impegnano verso gli altri sottoscrittori a collocare le azioni presso i propri clienti.

I patti parasociali nelle società quotate

Nelle società con azioni quotate in borsa e nelle società che le controllano, sono gli artt. 122-124 del T.U. n. 58/98 a disciplinare i patti parasociali ricoprendo in tale categorie i patti, in qualunque forma stipulati:

  • che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto;
  • che istituiscono obblighi di preventiva consultazione per l’esercizio del diritto di voto;
  • che pongono limiti al trasferimento delle azioni o di strumenti finanziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione delle stesse;
  • che prevedono l’acquisto concertato delle azioni o degli strumenti finanziari anzidetti;
  • che hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di una influenza dominante su tali società;

Patti siffatti devono essere:

  • comunicati alla Consob entro 5 giorni dalla stipulazione;
  • pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana entro 10 giorni;
  • depositati presso il registro delle imprese del luogo ove la società ha sede entro 15 giorni dalla stipulazione.

Nel caso di inosservanza di tali obblighi i patti sono nulli.
Inoltre non può essere esercitato il diritto di voto inerente alle azioni che costituiscono l’oggetto dell’accordo pena l’impugnabilità della deliberazione in tal modo adottata.

I collegamenti fra società

La realtà socio-economica attuale è caratterizzata da numerose forme di collegamento tra società di capitali, le quali – attraverso processi di espansione e di coesione – mirano a rafforzare la loro capacità competitiva sul mercato. In relazione a tali collegamenti, il legislatore interviene al fine di:

  • evitare il c.d. “annacquamento patrimoniale” delle società coinvolte;
  • garantire il regolare funzionamento delle rispettive assemblee, impedendo uno svuotamento di contenuto dei titoli azionari.
I rapporti di partecipazione

I rapporti di partecipazione tra società incontrano alcuni limiti generali finalizzati al perseguimento degli obiettivi di cui al paragrafo precedente. Anzitutto l’art. 2360 vieta alla S.p.A. di costituire un’altra società ovvero di aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azioni, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona . Questo divieto, comunque, ha una portata limitata, poiché è applicabile solo nelle ipotesi di operazioni di sottoscrizione funzionalmente collegate con la relazione di reciprocità ed inoltre non si estende all’acquisto di azioni nel mercato successivamente alla sottoscrizione delle stesse.
Altri limiti generali riguardano le partecipazioni azionarie:

  • ai sensi dell’art. 2361, l’assunzione di partecipazioni in altre imprese da parte della S.p.A. non è consentita se, per la misura e per l’oggetto della partecipazione, ne risulta sostanzialmente modificato l’oggetto sociale determinato dall’atto costitutivo ;
  • ai sensi dell’art. 5 della L. 96/42, la S.p.A. non può possedere azioni di altre società per un valore superiore a quello del proprio capitale.

Infine, una disciplina particolare è dettata dall’art. 120 del T.U. n. 58/98 relativamente alle partecipazioni a società con azioni quotate in borsa. La norma in esame stabilisce che tutti coloro che partecipano in una società con azioni quotate in misura superiore al 2% del capitale di questa, ed ogni società quotata che partecipi ad altra non quotata o a una s.r.l. in misura superiore al 10% del capitale di questa, sono tenuti a darne comuinicazione scritta alla società partecipata e alla Consob. In caso di mancata comunicazione, viene sospeso il diritto di voto inerente alle azioni o quote per le quali questa sia stata omessa .
Nelle ipotesi anzidette, nel caso di partecipazioni reciproche eccedenti da entrambi i lati i limiti percentuali dianzi specificati, se non trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 2359 bis, non è previsto soltanto l’obbligo della comunicazione, ma deve cessare la reciprocità dell’eccedenza: pertanto, la società che esegue la comunicazione dopo aver ricevuto quella dell’altra società non può esercitare il diritto di voto inerente alle azioni o quote eccedenti e deve alienarle entro 12 mesi dalla data in cui ha superato il limite . In caso di mancata alienazione, la sospensione dal diritto di voto e l’obbligo di alienazione si applicano ad entrambe, salvo diverso accordo che deve essere immediatamente comunicato alla Consob.

Società controllate

Il controllo costituisce una particolare situazione per effetto della quale una società è potenzialmente in grado di improntare con la propria volontà l’attività economica di un’altra società. La dottrina distingue due tipi di controllo:

  • interno o azionario, attuato tramite la partecipazione sociale e può essere di diritto o di fatto;
  • esterno o contrattuale, derivante da particolari vincoli contrattuali le cui prestazioni siano essenziali per lo svolgimento dell’attività.

A norma dell’art. 2359, una società esercita il controllo su un’altra quando:

  • possiede un numero di azioni o quote tali da assicurare la maggioranza dei voti richiesti per le assemblee ordinarie tenute dalla società controllata (controllo azionario di diritto);
  • per l’entità della partecipazione posseduta, dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nelle assemblee ordinarie tenute dalla società controllata (controllo azionario di fatto);
  • in virtù di particolari vincoli contrattuali, può esercitare un’influenza dominante nella vita sociale della società controllata (controllo contrattuale).

Infine, occorre tener presente che una società può essere controllata indirettamente quando è sotto il controllo di altra società controllata direttamente (società a catena). Quindi, ai fini della individuazione di una situazione di controllo, deve tenersi conto anche dei voti spettanti a società direttamente controllate o a società fiduciarie o ad interposta persona e non devono altresì trascurarsi le conseguenze connesse ad eventuali partecipazioni a sindacati di voto.
La normativa che regola la materia – come si è già detto – si prefigge gli scopi di:

  • garantire l’integrità del capitale e della riserva legale dall’annacquamento che si determinerebbe se fosse consentito alla società controllata di investire il proprio capitale e le proprie riserve nel capitale della controllante (la fattispecie realizza indirettamente un acquisto di proprie azioni, vietato, come operazione diretta, dall’art. 2357);
  • impedire che la società controllata eserciti il voto nelle assemblee della controllante secondo le direttive di quest’ultima (operazione che indirettamente realizza lo stesso risultato che l’art. 2357 ha inteso evitare).

Per il conseguimento di tali finalità, l’art. 2359 bis prescrive quanto segue:

  • la società controllata non può acquistare azioni o quote della società controllante se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato;
  • possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate;
  • il valore delle azioni o quote acquistate non può mai eccedere la decima parte del capitale della società controllante;
  • l’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea, a norma dell’art. 2357;
  • è inoltre imposto l’obbligo di costituire una riserva indisponibile pari all’importo delle azioni acquistate iscritto all’attivo del bilancio; tale riserva dovrà essere mantenuta finché le azioni non saranno trasferite.

Le azioni o quote acquistate in violazione dell’art. 2359 bis devono essere alienate entro un anno dall’acquisto, secondo le modalità determinate dall’assemblea, e, in mancanza, la società controllante deve procedere senza indugio al loro annullamento ed alla corrispondente diminuzione del capitale.
Le disposizioni anzidette non si applicano (ex. art 2359 quater), quando le azioni della controllante sono acquistate:

  • a titolo gratuito;
  • in conseguenza di fusione o successione universale;
  • in occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della società;

Va però ugualmente rispettato il limite della decima parte del capitale della controllante: in violazione, le azioni dovranno essere alienate entro 3 anni pena il loro annullamento da parte della controllante stessa.

Società collegate

Sono società collegate quelle sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. A norma dell’art. 2359, 3° comma, tale influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti, ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa. Nelle ipotesi di collegamento il legislatore tutela il diritto all’informazione degli azionisti e dei terzi attraverso un’articolata previsione di prescrizioni da osservare nella formazione del bilancio di esercizio.

I gruppi di società e la Holding

La scienza economica comunemente configura il gruppo come un’aggregazione di unità produttive, giuridicamente autonome, ma collegate sul piano organizzativo al fine di una migliore attuazione degli obiettivi perseguiti dal complesso. Il fenomeno è quindi caratterizzato:

  • da una direzione economica unitaria, improntata dalla società capogruppo (detta holding);
  • dall’autonomia formale delle imprese partecipanti.

La holding può essere:

  • pura, qualora mediante il possesso di più pacchetti azionari e l’esercizio dei poteri inerenti, assolva una funzione meramente strumentale, limitandosi ad esplicare l’attività di direzione e di controllo del gruppo;
  • operativa, qualora esplichi l’attività direttiva anche mediante l’esercizio di funzioni economiche e finanziarie nei confronti delle società di cui possiede i pacchetti azionari di maggioranza.

Infine, occorre ricordare che:

  • la holding deve esercitare in via diretta ed in nome proprio l’attività di direzione e di coordinamento;
  • ciascuna società assume la responsabilità patrimoniale connessa alle obbligazioni direttamente assunte, nonché alle attività negoziali direttamente ed in nome proprio esplicate;
  • potrebbero individuarsi eventuali responsabilità della holding per le obbligazioni assunte dalle società operative qualora essa assuma, in modo effettivo ed apparente, la veste di socio unico delle società controllate;
Le società con partecipazione pubblica

Nel nostro ordinamento anche lo Stato, direttamente o attraverso enti pubblici, interviene a partecipare al capitale di alcune società per azioni. Alle società partecipate, in considerazione dei fini pubblici cui tendono, è riservata una particolare disciplina legislativa:

  • in caso di liquidazione sono sottoposte ad uno speciale Ufficio costituito presso il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica;
  • sono obbligate a comunicare i proprio programmi di investimento al Ministro;
  • non possono finanziare partiti o gruppi parlamentari;
  • devono sottoporre a revisione i propri bilanci di esercizio;
  • lo Stato e gli enti pubblici possono nominare uno o più amministratori o sindaci.
La nullità della società

La disciplina dei vizi che possono inficiare il procedimento di costituzione della società per azioni è influenzata dal fatto che di esso sono elementi essenziali un contratto ed un assetto organizzativo. Prima dell’iscrizione assume rilevanza l’atto costitutivo al quale si applicano le regole generali sull’invalidità, cioè quelle relative ai contratti associativi. Successivamente all’iscrizione, nata la persona giuridica, la società è operativa sul mercato. Se, pertanto, anche dopo l’iscrizione, trovassero applicazione i principi generali sull’invalidità, segnatamente quelli relativi alla nullità, si potrebbero determinare rilevanti controindicazioni. La dichiarazione di nullità travolgerebbe gli atti posti in essere dalla società, con possibilità di sanatoria pressoché ingestibili (la conversione) e consistenti pregiudizi per i terzi e per i soci. Nel tentativo di ovviare a questi pericoli è stata adottata la prima direttiva CEE sulla disciplina delle società, introdotta nel nostro ordinamento con il d.p.r. n. 1127 del 1969. La nullità è stata disciplinata in funzione delle esigenze dell’apparato organizzativo della persona giuridica. Non più, dunque, nullità dell’atto costitutivo, bensì nullità della società (art. 2332). Questa disposizione, testualmente prevede che, avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della società può essere pronunciata soltanto nei seguenti casi:

  • mancanza dell’atto costitutivo (art. 2332): riguarda il difetto del consenso dei contraenti;
  • mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico: riguarda la situazione nella quale il consenso è stato prestato;
  • inosservanza delle prescrizioni di cui all’art. 2330 relative al controllo preventivo: interessano l’omologa che potrebbe non essere stata rilasciata;
  • illiceità o contrarietà all’ordine pubblico dell’oggetto sociale: sono relative all’illiceità dell’attività;
  • mancanza nell’atto costitutivo o nello statuto di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o i conferimenti, o l’ammontare del capitale sottoscritto o l’oggetto sociale;
  • inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 2329 n. 2;
  • incapacità di tutti i soci fondatori, la quale è stata circoscritta a carenze della capacità di agire che inciderebbero sull’efficienza dell’organizzazione;
  • mancanza della pluralità dei fondatori, segnala un vizio nell’atto costitutivo per non essere stato stipulato da almeno due persone.

La dichiarazione di nullità non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l’iscrizione nel registro delle imprese. I soci non sono liberati dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali. Occorre individuare i punti fermi dell’art. 2332 e le finalità perseguite:

  • innanzitutto, la rigorosa tassatività degli otto casi di nullità, insuscettibili di estensione;
  • la nullità fa salva l’efficacia degli atti posti in essere dalla società successivamente all’iscrizione;
  • la sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori della società;
  • la nullità non può essere dichiarata quando la causa che l’ha determinata è stata eliminata per effetto di una modificazione dell’atto costitutivo iscritta nel registro delle imprese.

L’elemento personale

La qualità di socio

Socio di una S.p.A. si diventa per effetto dell’acquisto della proprietà di titoli azionari della società stessa. Nel titolo azionario sono documentati la qualità di socio e la quota di partecipazione; tuttavia, qualora la società abbia deliberato di non distribuire i titoli azionari, la qualità di socio è provata dall’iscrizione nel libro dei soci.

Diritti dei soci

I diritti dei soci si dividono in due grandi categorie:

  • diritti di amministrazione :
    • diritto di intervento alle assemblee;
    • diritto di voto (con le eventuali limitazioni che vedremo in seguito);
  • diritti patrimoniali:
    • diritto al dividendo;
    • diritto alla ripartizione del residuo attivo;
    • diritto di opzione, per l’eventuale sottoscrizione di nuove azioni;
I conferimenti

Il conferimento deve farsi in denaro, se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente (art. 2342). Non possono, invece, formare oggetto di conferimento le prestazioni d’opera o di servizi; sfuggirebbero ad ogni puntuale valutazione, risultando, comunque, incerte nella durata. Se il conferimento riguarda beni in natura ovvero crediti è necessario valutarli attraverso un articolato procedimento (art. 2343). Il conferimento è l’obbligo che il socio assume di apportare beni in società, il versamento ne costituisce l’esecuzione. Quale corrispettivo l’azionista riceve, in proporzione, le azioni, le quote cioè, nelle quali è diviso il capitale. Il capitale sociale nominale è la componente del patrimonio netto insuscettibile di distribuzione tra i soci. Con l’esercizio dell’attività, infatti, il patrimonio si modifica, incrementandosi o riducendosi, ma tra gli azionisti se ne può ripartire soltanto la parte che eccede l’ammontare del capitale sociale nominale. Il bilancio che rende conto dei risultati dell’esercizio è in utile se si registra un’eccedenza delle attività rispetto alle passività maggiorate del capitale sociale nominale; l’eccedenza può, allora, essere divisa tra i soci. Per converso il bilancio segnala una perdita se le passività, al pari maggiorate del capitale sociale nominale, sopravanzano le attività. Effettuando l’integrale versamento, le azione sono liberate e devono essere emesse nominative per somma non inferiore al loro valore nominale. È consentita l’emissione del soprapprezzo, per un valore, dunque, superiore al nominale. Anteriormente alla stessa emissione possono essere rilasciati certificati provvisori ( art. 2344 ); gli amministratori possono far vendere le azioni a rischio e per conto del socio moroso avvalendosi di un agente di cambio o di un istituto di credito. Se la vendita non può avere luogo, il socio è dichiarato decaduto e quanto ha eventualmente versato è trattenuto dalla società. le azioni non vendute, se non sono rimesse in circolazione nell’esercizio del quale è stata dichiarata la decadenza, devono essere estinte con la riduzione corrispondente del capitale. Il socio che vende le azioni anteriormente al completamento dei versamenti rimane obbligato, in solido, con l’acquirente, per tre anni (la sua obbligazione assume il carattere della sussidiarietà rispetto all’obbligazione dell’acquirente).

I conferimenti in natura

Se il socio non conferisce denaro, ma beni in natura o crediti, se ne rende necessaria la stima, in conformità del procedimento disciplinato dall’art. 2343. Vi provvede un esperto nominato dal presidente nominato dal tribunale competente, quello nella cui circoscrizione ha sede la società; non quello nella cui circoscrizione si trova il bene conferito o nella quale il credito deve essere incassato. Ciò che rileva, in realtà, è l’effettiva consistenza di questi conferimenti. L’esperto giura la propria relazione nella quale descrive i beni o i crediti, i criteri per la loro valutazione e l’attestazione che il valore attribuito non è inferiore a quello nominale aumentato dell’eventuale soprapprezzo. Gli amministratori e i sindaci devono controllare, poi, la relazione nei sei mesi dal conferimento. Fino a quando questa verifica non è esaurita, le azioni corrispondenti ai conferimenti in natura non possono essere alienate e devono restare depositate presso la società. Se il controllo degli amministratori e dei sindaci conferma la stima del perito, i titoli azionari possono circolare. Se, viceversa, sussistono fondati motivi, amministratori e sindaci devono procedere alla revisione della relazione, stimando nuovamente i beni in natura e i crediti. Se all’esito di quest’ulteriore accertamento il loro valore risulta inferiore di oltre un quinto a quello per il quale era stato effettuato il conferimento, è necessaria la proporzionale riduzione del capitale con l’annullamento delle azioni scoperte; il socio che ha conferito può versare la differenza tra il valore iniziale del conferimento e quello accertato dagli amministratori e dai sindaci; non avvalendosi di tale facoltà deve recedere; con la conseguenza che la misura della sua partecipazione viene determinata esclusivamente in funzione della parte coperta dal versamento.

L’acquisto da promotori, fondatori, amministratori

La protezione dell’integrità del capitale è stata ulteriormente soddisfatta assicurando la trasparenza ad alcune operazioni poste in essere dai promotori, dai fondatori e dagli amministratori nei due anni dall’iscrizione della società nel registro delle imprese: se infatti vendono, proprio alla società, beni o crediti, l’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria. È prescritto un procedimento di stima identico, per la parte che riguarda la relazione giurata dell’esperto, a quello ora illustrato; lo integra il deposito di questo documento, presso la sede della società nei quindici giorni che precedono l’assemblea; non è, invece, prevista la verifica della relazione da parte degli amministratori e sindaci. Il verbale della seduta deve essere depositato presso il registro delle imprese. Sono sottratti a questa procedura gli acquisti se effettuati a condizioni normali nell’ambito delle operazioni correnti della società ovvero in borsa e, infine, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria o amministrativa. L’assunzione dell’obbligo di conferimento cui segue il versamento, con completa liberazione delle azioni, realizza, anche nella società per azioni, la fase nella quale si apprestano i mezzi per l’esercizio dell’attività; la prima indicata nel contratto di società. Non è escluso che accanto all’obbligo principale, quello di conferimento, sia previsto l’impegno dei soci di rendere prestazioni accessorie, non in denaro e delle quali è necessaria la determinazione del contenuto, della durata, delle modalità, del compenso; delle sanzioni, infine, nel caso di inadempimento (art. 2345).

Le prestazioni accessorie

Le prestazioni accessorie non riguardano, necessariamente, tutti i soci. In considerazione delle caratteristiche della società per azioni parrebbe preferibile che le prestazioni accessorie non vanifichino la funzione del capitale assumendo rilevanza preminente. Diversamente si rischierebbe l’alterazione della fisionomia della società, indotta dalla prevalenza della personalizzazione della prestazione che nella società per azioni è e rimane “anonima”. Proprio in considerazione di tale peculiarietà (la personalizzazione), le azioni alle quali è connesso l’obbligo della prestazione accessoria devono essere nominative e non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori (art. 2345). Gli amministratori sono tenuti a valutare se autorizzare o meno il trasferimento. In mancanza di previsione dell’atto costitutivo, gli obblighi oggetto delle prestazioni accessorie non possono essere modificati senza il consenso di tutti i soci (art. 2345). La prestazione accessoria, invece, non è disciplinata dal contratto di società, è di regola da un altro accordo che si collega con quello di società, pur mantenendo la propria autonomia. Chi somministra o chi esegue l’appalto opera, cioè, quale somministrante ovvero quale appaltatore, non nella qualità di socio. La società beneficia dell’adempimento pagando il corrispettivo tipico della prestazione accessoria, cioè il prezzo. I limiti alla circolazione delle azioni cui si connettono le prestazioni accessorie provano che esse assumono importanza per la società pur traendo origine da un rapporto contrattuale soltanto parallelo all’atto costitutivo.

Cessazione della qualità di socio

La cessazione della qualità di socio può avvenire:

  • per volontà della società, in caso di trasferimento coattivo delle azioni del socio moroso con dichiarazione di decadenza dello stesso;
  • per volontà del socio, che può esercitare:
    • il diritto di recesso, in determinate circostanze;
    • il trasferimento delle azioni;
  • per volontà di terzi, in caso di espropriazione mobiliare delle azioni, su istanza dei creditori particolari del socio forniti di titolo esecutivo.

I titoli azionari

Le quote di partecipazione alla società sono rappresentate da azioni: documenti sottoscritti da uno degli amministratori, che costituiscono frazioni del capitale sociale. Le azioni non possono essere emesse per una somma inferiore al loro valore nominale, al fine di evitare che il capitale sociale sia soltanto apparente, e devono indicare:

  • la denominazione, la sede e la durata della società;
  • la data dell’atto costitutivo e della sua iscrizione;
  • il loro valore nominale e l’ammontare del capitale sociale;
  • i diritti e gli obblighi particolari ad esse inerenti;
  • la sottoscrizione di uno degli amministratori.

L’azione attesta la qualità di socio e pertanto ha:

  • una funzione di legittimazione, in quanto chi la possiede può esercitare i diritti di socio;
  • una funzione di trasferimento, in quanto chi trasmette il documento trasferisce la qualità di socio .

Quanto al valore dell’azione, possiamo distinguere:

  • un valore nominale, corrispondente alla parte di capitale sociale che essa rappresenta;
  • un valore effettivo (o valore di borsa, per le azioni quotate), che consiste invece nel valore di mercato dell’azione.
Categorie di azioni

Considerando che le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono uguali diritti, la posizione dei soci dovrebbe variare soltanto in funzione della maggiore o minore ampiezza del numero che ne è stato sottoscritto (art. 2348). Sennonché questa disposizione, al secondo comma, permette di creare categorie di azioni fornite di diritti diversi. Se i soci intendono giovarsi di tale opportunità sono tenuti ad inserire la relativa previsione nell’atto costitutivo ovvero a modificarlo successivamente. L’art. 2350 stabilisce che ogni azione attribuisce il diritto ad una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni. La regola è, dunque, nel senso che le azioni attribuiscono uguali diritti; l’eccezione è che è possibile diversificarli. La conseguenza di tale ultima ipotesi è che se i soci se ne avvalgono la società risulta articolata in diverse categorie di azionisti e la diversificazione può, addirittura, interessare il diritto di voto. L’art. 2351 prescrive che esso è attribuito ad ogni azione. L’atto costitutivo può, tuttavia, stabilire che le azioni privilegiate nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale allo scioglimento della società abbiano diritto di voto soltanto nelle assemblee straordinarie. La posizione degli azionisti privilegiati, affermata dall’art. 2351, è segnata proprio da questi tratti: a fronte del rafforzamento dell’interesse patrimoniale subiscono la parziale limitazione del diritto di voto, il cui esercizio è circoscritto alle assemblee straordinarie con esclusione di quelle ordinarie. Gli azionisti di risparmio non dispongono, in nessun caso del voto, né nell’assemblea ordinaria né in quella straordinaria; a fronte di questo sacrificio è stato, significativamente ed innanzitutto, protetto il diritto all’utile e quello alla quota di liquidazione. Gli utili netti, infatti, risultanti dal bilancio regolarmente approvato, dedotta la quota di riserva legale, devono essere distribuiti alle azioni di risparmio fino alla concorrenza del 5 per cento del loro valore nominale; non solo, poiché questi azionisti concorrono, con gli altri, nella ripartizione dell’utile residuo; in definitiva gli è assicurato un dividendo complessivo maggiorato, rispetto a quello delle azioni ordinarie in misura pari al 2 per cento del valore nominale dell’azione. Da condividere l’opinione secondo cui l’attribuzione dell’utile, fino alla concorrenza del 5 per cento del valore non esige una deliberazione di ripartizione dello stesso utile; è, cioè, sufficiente che esso risulti dal bilancio; automaticamente l’azionista di risparmio ha diritto al relativo dividendo. Necessaria, viceversa, la deliberazione per assegnare la parte dell’ulteriore utile, quella che permette di sopravanzare gli azionisti ordinari. La tutela di questi soci non si esaurisce qui: se, in effetti, non avessero ottenuto in un esercizio, il dividendo nella prescritta misura complessiva, hanno diritto a conseguirlo nei due esercizi successivi. Le azioni di risparmio non possono essere emesse per un ammontare che ecceda la metà dell’intero capitale sociale; se la società ha emesso sia le une sia le altre, tale soglia deve essere, comunque, rispettata. Questi i benefici fissati dalla normativa di legge che possono essere ampliati dall’atto costitutivo ovvero da una successiva modifica. I tratti che qualificano le azioni di risparmio accreditano il convincimento che ai soci che ne sono titolari non competa il diritto di impugnativa delle deliberazioni assembleari, attribuito al loro rappresentante comune, cui è affidata la tutela della categoria, unitamente alla speciale assemblea della quale questi azionisti fanno parte; a tali azioni sono attribuiti gli altri diritti.
Alle categorie dei soci di risparmio e privilegiati si può affiancare quella formata dai dipendenti della società. L’art. 2349 prevede l’emissione di azioni a loro favore per favorirne l’interessamento alle sorti della società. E’ possibile convertire a capitale gli utili straordinari che la società intende destinare ai dipendenti, con l’emissione di azioni che gli vengano assegnate. Un’altra categoria è quella dei titolari delle azioni di godimento (art. 2353) riservate ai soci i cui titolari azionari siano stati sorteggiati per ridurre il capitale sociale esuberante (art. 2445). In effetti, gli azionisti le cui azioni siano state estratte e che, pertanto, escono dalla società, compete la quota di liquidazione calcolata sul valore nominale e non su quello reale; potrebbero, dunque, subire un pregiudizio se il valore reale risultasse superiore. Vi si può allora ovviare con l’assegnazione di azioni di godimento che permettono di partecipare alla distribuzione degli utili futuri, ancorché con posterogazione rispetto ad altre categorie di soci.
Ricapitolando, possiamo quindi distinguere:

  • azioni ordinarie, con normali diritti di partecipazione;
  • azioni privilegiate, con priorità nella distribuzione degli utili o nella restituzione del capitale;
  • azioni di godimento, assegnabili in sostituzione delle azioni ordinarie quando – in occasione di riduzione del capitale sociale – ne sia stato rimborsato il valore nominale, sul presupposto che il valore dell’azione ordinaria sia superiore, al momento del rimborso, al valore nominale, a causa delle riserve esistenti;
  • azioni assegnate ai prestatori di lavoro;
  • azioni con prestazioni accessorie, che impongono al socio, oltre all’obbligo del conferimento, prestazioni non consistenti in denaro;
  • azioni di risparmio, istituite per tutelari i piccoli risparmiatori;
Categorie di azioni e rischio di impresa

La possibile articolazione delle società per azioni in categorie di soci, diversificate dall’eterogeneità dei diritti, rende conto del fatto che la collocazione degli azionisti nell’organizzazione è influenzata dalla diversa incidenza del rischio di impresa. Questo è il fondamento dell’eccezione alla regola generale secondo cui l’azione conferisce diritti uguali (art. 2348). Ogni categoria deve giovarsi di una protezione adeguata e coerente con le proprie, particolari caratteristiche. Questo è il fondamento dell’art. 2376 che prevede per ognuna di esse un’assemblea speciale di cui è, appunto, speciale la competenza in contrapposizione a quella generale dell’assemblea, ordinaria e straordinaria della società. Se queste ultime adottano decisioni suscettibili di pregiudicare i diritti della speciale categoria, gli azionisti che ne sono componenti devono approvare la decisione; in mancanza del loro consenso, espresso nell’assemblea speciale, la deliberazione che li danneggia non è efficace. Il pregiudizio deve colpire un diritto della categoria sia direttamente sia indirettamente. Questa seconda eventualità è stata ricondotta all’esigenza di tutela del c.d. diritto di rango teso a garantire l’equilibrio nel rapporto con le altre categorie di soci; sufficientemente agevole la sua individuazione concettuale, meno quella dei margini della concreta azionabilità.

La circolazione delle azioni

La circolazione delle azioni si attua secondo le norme prescritte per i titoli di credito. Il trasferimento si effettua con al consegna del titolo e, per avere piena efficacia, richiede la duplice formalità dell’annotazione del nome dell’acquirente sul titolo e sul libro dei soci .
La legge pone alcuni limiti alla circolazione delle azioni e precisamente:

  • no sono alienabili le azioni prima dell’iscrizione della società nel registro delle imprese;
  • non sono alienabili le azioni, corrispondenti ai conferimenti in natura, prima della revisione della stima;
  • non sono alienabili, senza il consenso degli amministratori, le azioni connesse a prestazioni accessorie;
  • non sono alienabili, senza il consenso degli amministratori, le azioni delle società fiduciarie e di revisione.

Inoltre, la legge prevede che altre limitazioni possano essere imposte dall’atto costitutivo e dai patti parasociali. In particolare, ai sensi dell’art. 2355, l’atto costitutivo può sottoporre a particolari condizioni l’alienazione delle azioni nominative. Le clausole limitative statutarie più frequentemente adottate sono:

  • le clausole di gradimento, ovvero :
    • clausole che subordinano l’alienazione delle azioni al possesso, da parte dell’acquirente, di determinati requisiti soggettivi o oggettivi;
    • clausole che subordinano genericamente l’alienazione delle azioni al benestare di un organo sociale;
    • clausole che subrodinano l’alienazione delle azioni ad un placet dell’assemblea, dei sindaci o degli amministratori (spesso insindacabile e inappellabile);
  • le clausole di prelazione, per le quali il socio che intenda liberarsi in tutto o in parte delle sua azioni, debba preferire, a parità di prezzo, uno o tutti i soci. Secondo la giurisprudenza prevalente, la violazione della clausola di prelazione determinerebbe la nullità del trasferimento.

Tali clausole, se non previste dall’atto costitutivo, possono essere introdotte solo all’unanimità, comportando la perdita di un diritto soggettivo del socio. Per sopprimerle è sufficiente, invece, un’ordinaria delibera a maggioranza dato che il risultato è il ripristino del regime legale di circolazione delle azioni.
Per quanto rigurda i patti parasociali, già di è detto dei sindacati di blocco, stipulati da due o più soci, che limitano o impediscono la circolazione delle azioni da essi possedute. Tali accordi sono legittimi, ma il divieto di alienazione non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti temporali e se non risponde au un apprezzabile interesse di una delle parti (art. 1379). La violazione dei patti, avendo questi efficacia meramente obbligatoria ed esterna alla società, non invalidano il trasferimento ma fanno sorgere soltanto l’obligo del risarcimento del danno.

Sindacati di collocamento e offerte pubbliche

Dei sindacati di collocamento ne abbiamo già parlato a proposito dei patti parasociali. Sarà quindi sufficiente ricordare che in virtù degli stessi, due o più soggetti si obbligano reciprocamente a sottoscrivere azioni da collocare successivamente sul mercato, alle condizioni ed al momento opportuni, assumendo l’impegno di trattenere per sé i titoli non collocati.
Le offerte pubbliche, invece, si correlano ad operazioni di trasferimento di titoli attraverso le quali possono anche realizzarsi cambi di maggioranze o di controlli societari.

Offerte pubbliche di vendita e di sottoscrizione

L’abrogata disciplina, contenuta nel capo I della L. 149/92, riguardava le offerte al pubblico aventi per oggetto azioni, obbligazioni convertibili o altri titoli o diritti che comunque consentono di acquistare diritti di voto: già emessi (offerta di vendita), ovvero di nuova emissione (offerta di sottoscrizione). Attualmente il fenomeno viene ricondotto dal T.U. n. 58/98 nell’ambito dell’appello al pubblico risparmio e la relativa disciplina deve essere fissata dalla Consob nel rispetto dei principi generali fissati dall’art. 94 in tema di sollecitazione all’investimento .

Offerte pubbliche di acquisto e di scambio

L’offerta pubblica di acquisto o di scambio si sostanzia in ogni offerta, invito ad offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma effettuati, finalizzati all’acquisto o allo scambio di prodotti finanziari, rivolti ad un numero di soggetti e per un ammontare complessivo superiori a determinate soglie fissate dalla Consob con proprio regolamento. Chi intende lanciare l’OPA ha l’obbligo di presentare preventivamente alla Consob un documento, destinato alla pubblicazione, contenente le informazioni necessarie per consentire ai destinatari di pervenire ad un fondato giudizio sull’offerta. L’offerta pubblica di acquisto o di scambio:

  • è irrevocabile (tuttavia può essere condizionata al raggiungimento di un quantitativo minimo);
  • deve essere rivolta, a parità di condizioni, a tutti gli azionisti di una stessa categoria o a tutti i titolari di azioni convertibili della medesima società;
  • deve avere una durata, concordata con la Consob, non inferiore a 15 e non superiore a 35 giorni.

L’OPA, solitamente volontaria, risulta invece obbligatoria in due casi:

  • offerta successiva: chiunque, a seguito di acquisti a titolo oneroso, venga a detenere una partecipazione superiore alla soglia del 30% del capitale di una società quotata in Italia deve promuovere un’offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni ordinarie di quella società. L’offerta deve essere promossa, entro 30 giorni, ad un prezzo non inferiore alla media aritmetica fra il prezzo medio ponderato di mercato degli ultimi 12 mesi e quello più elevato pattuito nello stesso periodo dall’offerente per acquisti di azioni ordinarie;
  • offerta residuale: chiunque, a seguito di acquisti a titolo oneroso o per qualsiasi causa, detenga più del 90% del capitale votante in una società quotata deve promuovere un’offerta pubblica di acquisto sulla totalità dei titoli ancora in circolazione ed il prezzo deve essere determinato dalla Consob.

In caso di violazione delle norme sull’OPA obbligatoria, l’art. 110 prevede la sospensione del diritto di voto per l’intera partecipazione detenuta, nonché l’obbligo di alienazione, entro 12 mesi, della partecipazione detenuta in eccedenza.

Pegno, usufrutto e sequestro di azioni

Le azioni possono essere oggetto di diritti reali limitati, nonché di sequestro e di esecuzione forzata, indipendentemente dalla circostanza che siano stati emessi, o meno, i relativi certificati. Nei casi di pegno e di usufrutto:

  • spettano all’usufruttuario ed al creditore pignoratizio il diritto di voto e tutti i diritti funzionali, dipendenti o connessi al diritto di voto;
  • spettano al creditore pignoratizio ed all’usufruttuario gli utili;
  • spettano al socio il diritto di recesso e di opzione.

Quanto al sequestro ed al pignoramento:

  • secondo parte della dottrina, l’esercizio dei diritti sociali compete al soggetto cui è affidata la custodia dei titoli;
  • altri autori distinguono fra sequestro giudiziario e sequestro conservativo ed affermano che nel primo caso il diritto di voto spetta al sequestratario, nel secondo al socio.

L’elemento patrimoniale nella S.p.A.

Capitale e patrimonio sociale

Il capitale sociale è il valore in denaro dei conferimenti degli azionisti, quale risulta dalla valutazione fatta nell’atto costitutivo. Esso, per legge, non può essere inferiore a 200 milioni di lire e può essere variato solo mediante apposite delibere.
Il patrimonio sociale è il complesso di attività e passività della società in un dato momento e varia – quindi – secondo le vicende della società.
Capitale e patrimonio sociale coincidono soltanto all’atto della costituzione della società, quando, cioè, non è ancora stata intrapresa alcuna attività. In seguito, può accadere che il valore effettivo del patrimonio netto:

  • sia superiore alla cifra capitale, in conseguenza di incrementi patrimoniali (utili) non distribuiti ai soci, oppure in conseguenza dell’aumento di valore dei cespiti già esistenti;
  • si riduca al di sotto della cifra capitale, in conseguenza di perdite. In tal caso, se la riduzione supera un terzo del capitale, il rapporto tra patrimonio netto e capitale sociale deve essere ripristinato attraverso la riduzione del capitale medesimo in proporzione delle perdite accertate.

Il capitale sociale è tutelato nella sua integrità dalla legge attraverso:

  • la determinazione di criteri peculiari per la redazione e la valutazione delle poste di bilancio;
  • la specificazione delle norme sugli ammortamenti e sugli accantonamenti;
  • la previsione dell’obbligo di formazione della riserva legale;
  • varie norme dettate per impedire che il capitale sottoscritto subisca compromissioni attraverso operazioni di c.d. annacquamento .
I fondi di riserva

Tale versamento non costituisce un requisito dell’atto costitutivo in quanto il contratto di società non è reale ma consensuale. Inoltre l’obbligo di versamento non può precedere la sottoscrizione delle quote di capitale da parte degli stipulanti l’atto costitutivo, perché deriva proprio da quella sottoscrizione.

Senza tale divieto, infatti, la stessa somma, nella misura della reciprocità, formerebbe il capitale sociale di più società ed al capitale così formato non corrisponderebbe un patrimonio effettivo.

Ciò al fine di impedire modifiche di fatto dell’oggetto sociale, con elusione delle competenze assembleari in materia di modificazioni dell’atto costitutivo.

Le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto sono comunque computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea.

La soglia del 2% può essere elevata al 5% solo se il superamento del primo limite da parte di entrambe le società è avvenuto a seguito di un accordo autorizzato preventivamente dall’assemblea ordinaria delle due società. Inoltre, la disciplina delle partecipazioni incrociate non si applica nel caso in cui il superamento dei limiti del 2% e del 10% sia avvenuto per effetto di un’OPA diretta ad acquistare il 60% delle azioni ordinarie. Tale previsione serve ad evitare che si possano creare ostacoli al trasferimento del controllo a seguito di un’acquisizione derivante da un’OPA.

L’azione è liberamente trasferibile con le forme dei titoli di credito ma non è un titolo di credito poiché non attribuisce al possessore un diritto letterale, autonomo e astratto.

Tali formalità, tuttavia, non devono essere necessariamente contestuali e possono compiersi separatamente.

L’art. 22 della L. 281/85 ha testualmente stabilito che “sono inefficaci le clausole degli atti costitutivi di società per azioni, le quali subordinano gli effetti del trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali”.

Per una trattazione dell’argomento si rimanda alla sezione sui mercati mobiliari.

Trattasi delle norme contenute negli artt.:

  • 2443 bis: disposizioni limitative degli acquisti, da parte della società di beni o di crediti dei promotori, fondatori, soci e amministratori;
  • 2346 e 2420 bis: divieto di emissione di azioni o obbligazioni convertibili in azioni al di sotto del valore nominale;
  • da 2357 a 2357 quater: divieto per la società di acquistare e sottoscrivere proprie azioni, se l’acquisto non è fatto con utili regolarmente accertati e se le azioni non sono integralmente liberate;
  • 2358: divieto di anticipazioni sulle proprie azioni e di prestiti per l’acquisto delle stesse;
  • 2359 bis: divieto di investimento, da parte di una società controllata, del proprio capitale in azioni delle società controllante o di altra società da questa controllate;
  • 2360: divieto di sottoscrizione reciproca di azioni;
  • 2433: divieto di pagare utili non realmente conseguiti;
  • 2446: obbligo di riduzione del capitale nel caso in cui il patrimonio risulti diminuito di oltre 1/3 in conseguenza di perdite.

 

Fonte: http://smoderc.fil.bg.ac.rs/Master%20radovi/Diritto%20commerciale.doc

Sito web da visitare: http://smoderc.fil.bg.ac.rs

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