Oligopolio

 

 

 

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Oligopolio

 

Riassunto MANKIW – CAPITOLO 16

 

L’OLIGOPOLIO

 

Abbiamo visto come l’impresa in concorrenza perfetta subisce il prezzo: esso è uguale al costo marginale di produzione e, nel lungo periodo, l’entrata e l’uscita nel e dal mercato di nuove imprese fa tendere il profitto economico allo zero, in modo che il prezzo eguagli il costo medio totale.

Un’impresa in concorrenza perfetta considera il prezzo del proprio prodotto come dato e sceglie di produrne la quantità che ne garantisce l’uguaglianza con il costo marginale, il prezzo applicato dal monopolista, invece, è maggiore del costo marginale generando così un profitto positivo per se stessa e una perdita secca per la società nel suo complesso.

Ma in realtà è molti difficile trovare questi due esempi “perfetti” di mercato, così, il più delle volte, l’impresa tipo agisce in condizioni di concorrenza imperfetta.

Abbiamo due tipi di concorrenza imperfetta:

  • l’oligopolio – è un mercato nel quale pochi venditori offrono prodotti molto simili, se non identici, tra loro. Un esempio è quello del petrolio greggio nel quale pochi paesi del Medio Oriente controllano la maggior parte delle riserve petrolifere mondiali.
  • La concorrenza monopolistica – individua un mercato nel quale ci sono molte imprese che vendono prodotti simili ma non identici. In questo tipo di mercato ogni impressa ha il monopolio del proprio prodotto ma molte altre imprese fabbricano prodotti simili in qualche misura sostituibili ad esso, per cui competono di  fatto per la stessa clientela.

 

Possiamo dunque riassumere affermando che gli economisti classificano i mercati in quattro tipologie:

    -  a seconda del numero delle imprese in essi presenti:

    •  monopolio – è presente una impresa (acqua potabile, energia elettrica);
    • oligopolio – è presente un numero limitato di imprese (petrolio greggio);
  • a seconda che il prodotto che vendono sia differenziato o identico:
    • concorrenza monopolistica - prodotti differenziati (romanzi, film);
    • concorrenza imperfetta – prodotti identici (latte, frumento).

Ovviamente, la realtà non è  mai definita con la stessa precisione della teoria e quindi potrebbero esserci delle difficoltà nello stabilire con accuratezza in presenza di quale tipo di mercato ci troviamo.

 

16.1 – MERCATI CON UN NUMERO LIMITATO DI IMPRESE

In un mercato in regime di oligopolio è presente solo un numero limitato di imprese e, in conseguenza, una delle caratteristiche determinanti è la contraddizione tra cooperazione interesse proprio. Il gruppo degli oligopolisti si avvantaggerebbe dal cooperare e comportarsi come un monopolista, producendo una bassa quantità di bene per venderla a un prezzo superiore al costo marginale. Eppure, poiché ogni oligopolista agisce esclusivamente in vista del proprio profitto, è soggetto a forti incentivi che lo spingono ad agire in totale autonomia facendogli perdere il potere monopolistico.

Il duopolio è l’esempio più semplice di mercato oligopolistico. In un mercato in concorrenza perfetta, le decisioni di produzione di ciascuna impresa tendono a far eguagliare prezzo e costo marginale; il prezzo del prodotto rifletterebbe i costo di produzione e verrebbe prodotta e venduta la quantità efficiente. In un mercato monopolistico, l’impresa offrirebbe il proprio prodotto ad un prezzo superiore al costo marginale e il risultato del mercato è inefficiente dato che la quantità di merce prodotta e venduta è inferiore a quella socialmente efficiente.

In un duopolio, c’è la tendenza da parte delle imprese ad accordarsi sulla quantità di merce da produrre e sul prezzo da applicare. In particolare, parliamo di:

  • collusione – per indicare un accordo tra imprese che operano sul medesimo mercato volto a determinare le quantità prodotte o il prezzo da applicare;
  • cartello – per indicare un gruppo di imprese che agisce in maniera coordinata.

Gli oligopolisti tendono a formare cartelli per godere di profitti monopolistici ma non sempre ci riescono perché le normative antitrust proibiscono accordi espliciti tra gli oligopolisti ed anche perché frequente è il disaccordo per la spartizione delle quote di mercato. Infatti, se i duopolisti perseguono individualmente il proprio interesse nel decidere la quantità da produrre, finiscono per produrre complessivamente una quantità superiore a quella che massimizza il profitto per il monopolista, la vendono ad un prezzo inferiore a quello di monopolio e realizzano un profitto più basso di quello del monopolista. Allora essi tenderanno a raggiungere, attraverso l’interazione reciproca,  una sorta di situazione di equilibrio – detto equilibrio di Nash – in modo da scegliere la propria strategia ottimale, date le strategie scelte dagli altri soggetti. Di conseguenza, il prezzo di oligopolio è inferiore a quello di monopolio ma superiore a quello di concorrenza perfetta (che eguaglia il costo marginale).

E’ evidente come, con l’aumentare della numerosità dei partecipanti all’oligopolio, il mercato oligopolistico tende ad assomigliare sempre più a un mercato perfettamente concorrenziale: il prezzo si avvicina progressivamente al costo marginale e la quantità prodotta al livello socialmente efficiente. Ciò è dovuto al fatto che nel momento in cui ogni impresa deve decidere se aumentare o meno la produzione (al fine di trarre maggior profitto) deve valutare due effetti:

  • l’effetto di quantità – dal momento che  poiché il prezzo  è superiore al costo marginale, vendere una unità di prodotto in più fa aumentare il profitto;
  • l’effetto del prezzo – dal momento che aumentare la produzione fa aumentare la quantità totale venduta e quindi diminuire il prezzo del prodotto, facendo diminuire il profitto anche su tutte le altre unità di prodotto vendute.

Se l’effetto della quantità è superiore all’effetto del prezzo, l’impresa deciderà di aumentare la produzione; se l’effetto del prezzo è superiore all’effetto quantità, non aumenterà la produzione. Di conseguenza, aumentando il numero delle imprese sul mercato, aumenta la quantità di prodotto offerta e, di conseguenza, diminuisce il prezzo tanto da arrivare al punto in cui, nel caso di un oligopolio molto ampio, l’effetto del prezzo scomparirebbe completamente lasciando solo l’effetto della quantità: in questo caso ogni impresa aumenterà la produzione finchè il prezzo sarà superiore al costo marginale.

Vediamo così che un oligopolio non collusivo di grandi dimensione è essenzialmente un gruppo di imprese che operano in concorrenza perfetta. L’impresa in concorrenza perfetta, nel decidere se aumentare la produzione, prende in considerazione solo l’effetto della quantità perché, dal momento che subisce il prezzo, l’effetto di prezzo è assente.

 

16.2 – LA TEORIA EDI GIOCHI E L’ECONOMIA DELLA COOPERAZIONE

 

La “teoria dei giochi” è   lo studio del comportamento degli individui in situazioni strategiche cioè in quelle situazioni nelle quali ognuno, nel decidere quali azioni intraprendere, deve prendere in considerazione le reazioni degli altri individui alla sua decisione.

Poiché in un mercato oligopolistico il numero delle imprese è piccolo, ogni impresa deve tenere un comportamento strategico: ogni impresa sa che il profitto dipende non solo dalla quantità che produce ma anche dalla quantità prodotta dalle altre imprese. Dunque, nel prendere le proprie decisioni di produzione deve tenere in considerazione le implicazioni del proprio corso di azione sulle decisioni degli altri oligopolisti.

Il “gioco del dilemma del prigioniero” è un gioco molto importante in quanto mette in luce le difficoltà di giungere ad una concertazione anche quando questa sia vantaggiosa per tutte le parti e, quindi, ha implicazioni che si applicano, più in generale, a tutte quelle situazioni nelle quali un gruppo cerchi di mantenere la cooperazione tra i propri membri. In questo gioco, due criminali sono sospettati di aver commesso un delitto e la condanna che ciascuno riceverà dipende sia dalla sua decisione se confessare o meno, sia dalla decisione presa dall’altro. Infatti, è prevista una pena diversa a seconda del comportamento dei criminali:

  • Comportamento di Bonnie:
    • Confessa e Clide confessa: 8 anni ciascuno;
    • Confessa e Clide non confessa: scagionata e condanna a 20 anni per Clide;
    • Non confessano entrambi: 1 anno ciascuno;
  • Comportamento di Clide:
    • Confessa e Bonnie confessa: 8 anni ciascuno;
    • Confessa e Bonnie non confessa: scagionato e condanna a 20 anni per Bonnie;
    • Non confessano entrambi: 1 anno ciascuno

E’ denominata strategia dominante una strategia ottimale per un giocatore indipendentemente dalle strategie scelte dagli altri giocatori. In questo caso, per ciascuno dei due criminali, confessare la propria colpevolezza è la strategia dominante ma se entrambi non avessero confessato – cioè avessero cooperato – si sarebbero trovati in condizioni migliori (solo 1 anno di reclusione): il proprio interesse li ha rovinati entrambi.

Come possiamo applicare questo gioco al mercato oligopolistico?

Sappiamo che tra  due membri di un oligopolio il profitto realizzato da ciascun membro dipende non solo dalle sue decisioni ma anche dalle decisioni dell’altro. Secondo lo schema del gioco del dilemma del prigioniero, ogni oligopolista ha un incentivo a trasgredire gli accordi e così il proprio interesse rende difficile per l’oligopolio raggiungere e mantenere un accordo che massimizzerebbe il profitto di tutti i partecipanti.

Esempi di questo “dilemma” li possiamo trovare nel mercato del petrolio, nella corsa agli armamenti, nel settore pubblicitario, nello sfruttamento delle risorse collettive.

Il dilemma del prigioniero se, da una parte, dimostra quanto la cooperazione sia difficile da mantenere anche nel caso in cui possa favorire tutte le parti in causa, dimostra anche quanto la mancata cooperazione sia vantaggiosa  da un punto di vista strettamente sociale.

Spesso, però, molte imprese riescono ad aggirare le insidie proprie di questo dilemma e a mantenere gli accordi in quanto esse non “giocano” solo una volta ma ripetutamente e, anche, prevedere delle penali in caso di violazione dei patti (come, ad esempio, aumentare la produzione per portarla allo stesso livello dell’impresa che ha violato il tetto massimo previsto dall’accordo). La semplice minaccia della ritorsione potrebbe essere di per sé sufficiente a mantenere la cooperazione in quanto gioca sulla realizzazione delle aspettative future di profitto.

 

16.3 – POLITICA ECONOMICA ED OLIGOPOLIO

Abbiamo visto come la collusione tra oligopolisti è indesiderabile dal punto di vista sociale dato che induce a determinare un livello di produzione troppo basso e un prezzo troppo alto rispetto a quelli socialmente ottimali. Per fare in modo che l’allocazione delle risorse sia più prossima all’ottimo sociale, bisogna fare in modo che le imprese in condizioni di oligopolio siano indotte a competere le une con le altre e non a colludere. Il legislatore ha a disposizioni diversi mezzi che si concretizzano, essenzialmente, nella restrizione degli scambi e nelle leggi antitrust: vengono cioè censurati i contratti tra imprese che svolgono la stessa attività volti a ridurre la quantità prodotta e sostenere artificiosamente i prezzi considerandoli contrari al bene comune. Comportamenti delle imprese oggetto delle attenzioni della legislazione antitrust sono, ad esempio:

  • il prezzo di vendita imposto al dettaglio – che apparentemente riduce la concorrenze ma, in realtà, è assolutamente legittimo in quanto, ad esempio, può essere uno strumento usato dalle imprese produttrici per assicurarsi che i propri rivenditori offrano al pubblico un servizio inappuntabile e un’assistenza professionale limitando in questo modo i problema dei free-rider.
  • I prezzi predatori – cioè prezzi di molto inferiori a quelli di mercato  praticati al fine di escludere dal mercato la concorrenza.
  • Le vendite a pacchetto – cioè offrire congiuntamente e a un unico prezzo, invece che singolarmente, due o più prodotti.

Lo spettro di azione delle norme antitrust è oggetto di controversie: sebbene gli accordi per fissare il prezzo tra imprese concorrenti siano unanimemente considerati lesivi del benessere economico e debbano essere considerati illegali, alcune prassi diffuse in diversi mercati possono ridurre la concorrenza solo apparentemente, risultando perfettamente legittime a una analisi più accurata. Ne consegue che il legislatore deve essere estremamente cauto nell’utilizzare il potere della normativa antitrust per porre limiti al comportamento delle imprese.

 

Fonte: http://www.sociologia.uniroma1.it/users/studenti/Riassunti/Mankiw_Riassunti/16_MANKIW.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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