Gestione della produzione industriale

 

 

 

Gestione della produzione industriale

 

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Appunti del corso di
Gestione della produzione industriale

Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale – Facoltà di Ingegneria
Università degli Studi di Palermo

Autore: Prof. Umberto La Commare

 

Notizie  generali
Il corso è inserito al terzo anno del programma formativo per il conseguimento della Laurea in Ingegneria Gestionale e il superamento della prova finale prevede l’assegnazione di 9 CFU. Il corso è articolato su due moduli di 6 settimane e prevede 60 ore di lezioni e 30 di esercitazioni. L’esame finale prevede una prova scritta ed una orale.

 

Obiettivi formativi
Il corso si propone di fornire un approccio metodologico e gli strumenti decisionali per la soluzione di problemi tipici della gestione delle attività produttive con particolare riferimento alle attività di pianificazione, controllo e distribuzione. Nel definire le attività gestionali vengono presi in considerazione obbiettivi di carattere economico e quelli relativi alla capacità produttiva ed alla sincronizzazione delle fasi della produzione per soddisfare le richieste del mercato.
Tali problemi si affrontano alla luce delle più recenti innovazioni nelle tecnologie di produzione in cui si richiede, nel momento gestionale una visione integrata tra prodotto, processo e sistema di produzione.
Il corso è strutturato in quattro moduli: il primo, di carattere introduttivo, si propone di mettere in luce la centralità del ruolo della funzione produzione ai fini della competitività dell' impresa industriale; il secondo è dedicato allo studio dei sistemi di produzione; il terzo affronta il tema della gestione dei materiali; il quarto è dedicato all' area della programmazione e controllo della produzione.

Programma del Corso

1) Gestione della produzione e funzione produzione
Relazioni produzione-mercato-tecnologia. Le tipologie di sistemi di produzione: la produzione di grande serie e la produzione di media e piccola serie e i relativi modelli di riferimento.
La valutazione della efficienza produttiva: indice di flusso delle parti e coefficiente di utilizzazione delle risorse.
L’innovazione nelle tecnologie di produzione e i collegati recuperi di efficienza produttiva. Le relazioni tra innovazioni nelle tecnologie di produzione e competitività dell’ impresa sui fattori costo-tempo-qualità.

2) Sistemi di Produzione
Casi di studio di sistemi produzione.
Gli indici di prestazione produttiva.
La modellistica per la progettazione e gestione dei sistemi di produzione: tecnica di allocazione statica dei carichi di lavoro e modelli a reti di code.
Alcune tipologie di sistemi di produzione:
-           sistemi a macchina singola;
-           sistemi cellulari e group technology;
-           FMS;
-           linee a trasferta (affidabilità e problemi di disaccoppiamento delle stazioni).
Introduzione alle tecniche di simulazione ad eventi discreti.

3) Gestione dei Materiali
Le informazioni per la gestione della produzione: Andamento della domanda, MPS, Distinta base, Ciclo di lavorazione.
La funzione logistica, il concetto di scorta, i ruoli delle funzioni aziendali nella gestione dei materiali. La domanda e il tempo di approvvigionamento. I costi della gestione dei materiali. La gestione a scorta. Il problema del lotto economico di acquisto. Il calcolo della giacenza media. L’indice di rotazione. L’indice di durata. Il livello di servizio.
La gestione a punto fisso e a ciclo fisso di riordino. La scorta di sicurezza.
La gestione a fabbisogno. Il confronto tra gestione a scorta e gestione a fabbisogno. I criteri per la scelta tra gestione a scorta e a fabbisogno. L’analisi ABC nella gestione dei materiali.
La pianificazione dei fabbisogni di materiali (MRP). Il calcolo dei fabbisogni lordi e la nettizzazione dei fabbisogni. Le proposte di lancio nuovi ordini.

4) Programmazione e controllo della produzione 
La programmazione aggregata della produzione.
Il problema del lotto economico di produzione.
La pianificazione delle risorse di produzione (MRP II). Le caratteristiche disponibilità e tempo medio di attesa delle unità di produzione. La valutazione della capacità produttiva e lo studio sulla fattibilità del piano di produzione. Il calcolo del lead timedi produzione. Il posizionamento dei carichi di lavoro.
Il sistema di produzione Just in Time. La negazione del concetto di lotto economico. JIT e TQM. Il sistema Kanban. Il livellamento della produzione.
La programmazione operativa della produzione. Il diagramma di Gantt. Le fasi di loading, sequencing e scheduling. Il concetto di lotto di produzione e di trasferimento. Le funzioni obiettivo nei problemi di programmazione operativa: Makespan, Flow Time, Lateness e Tardiness. Le tipologie di sistemi di produzione e gli strumenti risolutivi. Caso della macchina singola. Caso di produzione monostadio con più unità di servizio. Il sistema Flow-Shop e il teorema di Johnson. Il caso Job-Shop e le regole locali di carico. 

 

“Il profitto è strettamente connesso all’innovazione nella combinazione dei fattori, nelle tecnologie e nei prodotti. In una economia sana, il profitto aziendale su un dato prodotto è destinato a scomparire; la sopravvivenza dell’impresa è strettamente legata alla sua capacità di saper rigenerare, attraverso forme innovative, quel profitto che il mercato, attraverso la concorrenza, tende a far scomparire.“ (Guido Carli)

 

Introduzione
Di che cosa stiamo parlando?
Gestione
Il vocabolario della lingua italiana dell’Istituto della enciclopedia italiana riporta la seguente definizione:
In senso figurato: guida, conduzione, controllo.
Il dizionario della lingua italiana Devoto-Oli riporta la seguente definizione:
Esercizio di una funzione di controllo e guida.
La enciclopedia on-line Wikipedia, in corrispondenza alla ricerca della parola Management (con l’accento sulla prima a, e non sulla seconda, come spesso erroneamente viene pronunciato il termine in Italia), definisce tra i ruoli del manager le attività di coordinamento, decisione, pianificazione, garanzia di raggiungimento di risultati e il miglioramento delle performances quantitative per la propria organizzazione.
Questa definizione, più completa, è quella a cui faremo riferimento nel corso.
Produzione
Il dizionario della lingua italiana Devoto-Oli riporta:
Attività diretta all’ottenimento di prodotti o servizi
Il vocabolario della lingua italiana dell’Istituto della enciclopedia italiana riporta la seguente definizione:
L’insieme delle operazioni, semplici o complesse, attraverso le quali si produce un bene trasformando (nella materia, nella forma, nel tempo e nello spazio) altri beni.
Questa definizione, più completa, è quella a cui faremo riferimento nel corso.
Industriale
Il vocabolario della lingua italiana dell’Istituto della enciclopedia italiana riporta la seguente definizione:
Dell’industria, cioè di ogni attività produttiva del settore secondario dell’economia (diversa quindi dall’attività agricola ed estrattiva, settore primario, e delle attività commerciali e di servizi o settore terziario).
Intuitivamente si associa al termine produzione industriale il fatto che un bene è ottenuto usando macchine (azionate da fonti di energia non animale o umana – precisazione che oggi sembra superflua) attraverso forme di lavoro organizzato con esplicito riferimento ai concetti di divisione e di coordinamento delle attività.
Il sociologo Luciano Gallino definisce l’industria come “il settore dell’economia che produce beni materiali con l’impiego di macchine che estraggono, lavorano o trasformano materie prime o semilavorati, e che sono concentrate in unità produttive, dette fabbriche, stabilimenti, officine, industrie;…dove lavoratori e tecnici le governano e ne integrano l’opera col proprio lavoro fisico e intellettuale… nel quadro di norme e procedure che ne organizzano l’attività al fine di massimizzare il prodotto del lavoro collettivo.” (v. Aris Accornero, Il Mondo della produzione, il Mulino, 1994, p. 14).

Combinando i significati delle tre parole che definiscono il titolo del corso possiamo farci un’idea più precisa di quelli che saranno gli obiettivi del corso.

Q.1
Sulla base di quanto sopra indicato date una definizione degli obiettivi di un corso di gestione della produzione industriale (v. obiettivi formativi del corso).

Molte delle parole che incontreremo nel corso hanno un corrispondente termine in lingua inglese di frequente uso, per esempio il titolo del corso che viene tradotto Operations Management.

Si deve allo straordinario sviluppo industriale registratosi negli anni seguenti la seconda guerra mondiale se il nostro Paese oggi occupa una posizione di rilievo nell’economia mondiale. Alcune grandi imprese Fiat, Pirelli, Falck, Piaggio, Alfa Romeo, Lancia, Montecatini, Eni, Olivetti hanno segnato la crescita economica del Paese. Lo storico Valerio Castronovo in un’intervista riportata dal Corriere della Sera il 17 gennaio 2008 afferma:”..Negli ultimi anni si è purtroppo generato l’equivoco che il Paese non avesse più bisogno delle fabbriche. Cosa completamente sbagliata soprattutto per noi che abbiamo una vocazione artigiana e industriale…Ma la nostra tradizione manifatturiera è ancora quella che ci permette di mantenere un ruolo come Paese, nel firmamento economico internazionale, che ci viene appunto dal sapere ideare e sapere fare, da quella combinazione singolare di lavoro e creatività.”

Riquadro 0 – Come era l’Italia prima della trasformazione industriale? Sulle trasformazioni della società italiana a seguito della crescita economica innescata dai processi di industrializzazione che hanno seguito la seconda guerra mondiale è utile la lettura del seguente brano tratto da Paolo Rossi, Speranze, il Mulino, 2008, pp. 104 – 105.
“Nei modi della vita materiale delle campagne italiane, ci sono stati più cambiamenti in questi ultimi cinquant’anni che negli ultimi mille. Tutti coloro che ricordano gli anni dell’anteguerra e della guerra sono vissuti in un mondo che ai giovani di oggi è per intero sconosciuto. Per parlare di quel mondo non importa andare nelle zone d’Italia più depresse. Quando mi sono iscritto all’università, la stragrande maggioranza dei mezzadri dell’Italia centrale non aveva il gabinetto in casa, andava a prendersi l’acqua (per la famiglia e per le bestie) in un pozzo distante anche un centinaio di metri da casa, mangiava carne solo nei giorni di festa. I bambini, che abitavano case riscaldate solo con un caminetto non andavano a scuola accompagnati e riaccompagnati da un pulmino, ma a piedi e in molte zone di collina (anche nell’Italia centrale) quei piedi (provvisti di zoccoli nell’inverno) erano scalzi. Il mondo dei contadini era limitato a pochi chilometri attorno alla casa. La stragrande maggioranza non aveva mai fatto un viaggio o visto il mare. Alcuni bambini più fortunati andavano nelle colonie marine o montane, le donne stavano in casa e non si sedevano al tavolo da pranzo con i maschi e non si mescolavano a loro neppure in chiesa. Per gli adulti gli unici viaggi possibili erano quelli che avevano a che fare con l’emigrazione in Francia, con il servizio militare, con la guerra, con la prigionia. Molti di coloro che erano in età di leva allo scoppio della guerra stettero lontani da casa per tre, quattro, cinque anni. Da quei viaggi molti non tornarono più. Anche in quel mondo, come si fa ancora oggi, accadeva di chiedere ad una donna se aveva figli. Se positiva, la risposta era quasi sempre composta da due parole: un numero seguito dalla parola vivi. Forse era un modo per non cancellare il ricordo dei molti bambini che allora morivano.
All’inizio del Novecento, in Italia, morivano nel primo anno di vita 168 bambini ogni 1000. Alla metà degli anni Trenta ne morivano 100. Nel 1975 il calo è spettacoloso: 20,5. Nel 2000 si passa a 4,3 ogni 1000.

In Italia il peso del settore industriale sul PIL del paese è ancora significativo. Magda Bianco, L’industria italiana, il Mulino, 2003, riporta all’inizio del 2000 un dato del 20,8% come incidenza del settore industriale sul valore aggiunto totale dell’economia italiana, circa 6 milioni di occupati nell’industria (p. 34 – 35) e un valore aggiunto di circa 250 miliardi di euro su un PIL complessivo di circa 1200 miliardi di euro. Sulle trasformazioni della struttura industriale del Paese è molto interessante la lettura del testo di Luciano Gallino, La scomparsa dell’Italia industriale, Einaudi, 2003. Il testo descrive criticamente la politica industriale del Paese degli ultimi decenni e fornisce interessanti spunti per il suo futuro. Si veda anche l’allegata tabella tratta dalla relazione della Banca d’Italia sull’anno 2005.

 

Valore aggiunto al costo dei fattori in Italia - Anno 2005 
Valori correnti                        Quota del valore aggiunto
in milioni di euro                                  %
Industria                                   328.654                                          26,7
Industria in senso stretto            254.162                                          20,7
Costruzioni                                   74.492                                            6,0

Servizi                                                  870.635                                          70,8

Agricoltura                                 30.995                                             2,5

Totale                                     1.230.284                                          100,0

Riquadro 1Alcuni dati statistici - tratto e riadattato da L. Cassia, G.M. Cogliatti, P. Invernizzi, Performance e crescita delle imprese nei settori maturi: un’indagine sul comparto manifatturiero italiano, XVIII Riunione Scientifica AiIG, Milano, 2007.
Tra il 1995 ed il 2005 il prodotto interno lordo generato dall’industria italiana è cresciuto in media solo dello 0,2% annuo e nello stesso periodo l’intera economia italiana è cresciuta ad un ritmo pari all’1,2% l’anno. All’interno dell’industria, il comparto manifatturiero ha perso in media ogni anno lo 0,3% del valore aggiunto prodotto, mentre l’occupazione ha subito una contrazione annuale pari allo 0,4% (ISTAT 2005, Rapporto annuale. La situazione del paese nel 2005). Questi dati evidenziano che è il settore dei servizi che contribuisce alla crescita del PIL del Paese, situazione questa tipica delle economie avanzate. Nell’ambito del settore manifatturiero la situazione non è però omogenea tra i diversi settori e, nell’ambito dello stesso settore, ancora più marcate sono le differenze tra le imprese.
La seguente tabella riporta la distribuzione del valore aggiunto e dell’occupazione nei principali comparti dell’economia italiana (dati ISTAT 2005)

     Comparto                             Valore Aggiunto            Occupazione
Servizi                                         72%                                67%
Industria manifatturiera              18%                                20%
Industria –altre attività                 8%                                  8%
Agricoltura                                   2%                                  5%

Il comparto manifatturiero rappresenta una componente significativa dell’economia italiana. Quasi il 20% del PIL italiano proviene, infatti, dalle attività manifatturiere, in cui è impiegato un quinto della forza lavoro complessiva. Il comparto manifatturiero è inoltre responsabile, più o meno direttamente, di molte attività appartenenti all’area dei servizi. Si pensi ad esempio al settore dei trasporti, e più in generale della logistica, strettamente connessa e dipendente dalle attività produttive; anche molti servizi di natura finanziaria e assicurativa sono rivolti alle imprese manifatturiere; inoltre il comparto del commercio all’ingrosso e al dettaglio è il canale attraverso il quale i prodotti realizzati dalle imprese manifatturiere giungono agli utilizzatori finali. Solo tenendo conto della ricchezza generata da tutte le attività connesse in varia misura al settore manifatturiero si potrebbe quantificare la reale importanza ricoperta dal comparto manifatturiero, sicuramente molto maggiore rispetto al 20% del PIL generato in modo diretto.

Per recuperare alcuni dati statistici sull’economia di tutti i paesi del mondo è utile consultare il sito www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook che riporta i dati raccolti dalla Central Intelligence Agency degli Stati Uniti d’America.

Dietro molti dei nostri gesti quotidiani c’è l’uso di un prodotto industriale e solitamente non pensiamo alle operations che hanno portato alla sua fabbricazione o che ce lo hanno reso disponibile e che ce ne rendono possibile il suo uso. Nel racconto di David Lodge, Nice Work, è descritto molto efficacemente cosa c’è dietro un semplice atto come quello di preparare una tazza di tè: “La signora, accendendo il suo bollitore elettrico per fare un’ altra tazza di tè, non si dava alcun pensiero al complesso sistema di operazioni che rendeva possibile quella semplice azione: la costruzione e la manutenzione della centrale elettrica che produceva l’elettricità, l’estrazione del carbone o il pompaggio del petrolio per rifornire la centrale, la posa di miglia di cavi per la distribuzione dell’energia elettrica fino a casa sua, l’estrazione di acciaio o alluminio e la loro lavorazione per fornire la materia prima per costruire la teiera, il taglio, la formatura, la saldatura per costruire il guscio, il manico ed il beccuccio della teiera, l’assemblaggio di queste parti insieme ad altri componenti come viti, dadi, rondelle, rivetti, cavi, molle, guarnizioni di gomma e plastica. E poi il confezionamento del bollitore, il marketing del bollitore nelle rivendite all’ingrosso e al dettaglio, il trasporto del bollitore ai magazzini e negozi, il calcolo del prezzo di vendita e la distribuzione del valore aggiunto tra tutta la miriade di persone e organizzazioni occupate nella sua produzione (sono queste trasformazioni nella materia, nella forma, nel tempo e nello spazio in accordo a quanto sopra riportato a proposito del termine produzione). La signora non si dava pensiero di tutto ciò.”

Molte di queste operazioni hanno luogo in siti produttivi e logistici, distanti anche migliaia di chilometri tra di loro, coinvolgendo persone e organizzazioni diverse che costituiscono una rete globale di attività di produzione e distribuzione interconnesse sia da un punto di vista informativo (transazioni economiche, scambi di specifiche di progetto, di istruzioni d’uso, ecc.) che fisico (trasporti, stoccaggio, ecc.).

Chi è il responsabile?
Per rispondere a questa domanda raccontiamo un’altra storia tratta dal libro di Paul Seabright, In compagnia degli estranei, una storia naturale della vita economica, Codice edizioni, 2005, pp. 17-19.
Capitolo 1 – Chi è il responsabile?
“Il Bisogno di camicie nel mondo.
Questa mattina sono uscito e ho comprato una camicia. Non è un’azione affatto insolita: nel mondo, 20 milioni di persone hanno forse fatto la stessa cosa. Ciò che è straordinario e che io, come la maggior parte di questi 20 milioni, non ho informato nessuno in anticipo rispetto a cosa intendevo fare. Ma la camicia che ho comprato, sebbene sia un articolo semplice secondo gli standard della moderna tecnologia, rappresenta un trionfo della cooperazione internazionale. Il cotone è stato coltivato in India, da semi prodotti negli Stati Uniti; la fibra artificiale della trama arriva dal Portogallo e i coloranti da almeno altri sei paesi; la fodera del colletto proviene dal Brasile e i macchinari per la tessitura, il taglio e il cucito dalla Germania; la camicia in sé è stata fabbricata in Malesia. Il progetto di produrre una camicia e consegnarmela a Tolosa è stato pianificato da lungo tempo; da ben prima della mattina di due inverni fa in cui un contadino indiano condusse una coppia di buoi ad arare la sua terra, nella rossa pianura fuori Coimbatore. Molti anni fa erano stati coinvolti nella preparazione ingegneri di Colonia e chimici di Birmingham. Ma la cosa più interessante di tutte, dati gli ostacoli che ha dovuto superare per essere completamente fabbricata e il gran numero di persone coinvolte, è che si tratta di una camicia molto bella ed elegante (per il poco che vale il mio giudizio in questa materia). Sono estremamente soddisfatto del risultato del progetto, insomma. E tuttavia sono abbastanza sicuro che nessuno sapeva che oggi stavo per comprare una camicia di questo genere; a malapena lo sapevo io, il giorno prima. Ciascuna delle singole persone che hanno lavorato per consegnarmi la camicia, lo hanno fatto senza saperlo e senza che gli importasse nulla di me…….
In realtà non c’è nessun responsabile. L’intera e vasta impresa di fornire camicie in migliaia e migliaia di stili a milioni e milioni di persone avviene senza nessuna coordinazione globale. Il contadino indiano che ha piantato il cotone si preoccupa solo del prezzo che può ottenere dal commerciante, del costo di tutti i materiali e dello sforzo da fare per realizzare un raccolto adeguato. I manager della compagnia di macchinari tedeschi si preoccupano degli ordini di esportazione…..Ad onor del vero, bisogna però ammettere che ci sono alcune parti dell’operazione dove c’è una sostanziale ed esplicita coordinazione: una grande compagnia come la Coats Viyella ha molte migliaia di impiegati….Ma anche la più grande di queste compagnie giustifica solo una piccolissima frazione dell’intera attività coinvolta nella fornitura di camicie. Complessivamente, non c’è nessun responsabile.”
Ma il sistema in genere funziona.

Q.2
Analogamente a quanto sopra riportato pensate all’uso di un oggetto comune ed immaginate la relativa filiera produttiva e logistica.

1. Un’attività complessa di fondamentale importanza per la competitività delle imprese industriali
In un’economia globalizzata e attraversata da nuove e intense forze di cambiamento (generazione di nuova conoscenza, fenomeno internet, rapida crescita di economie emergenti, nuova divisione internazionale del lavoro, cambiamenti negli scenari della politica internazionale - tra i quali il crollo del Muro di Berlino e l’allargamento a 25 della UE - l’apertura della Cina all’economia di mercato da un’economia pianificata, il crescente ruolo dell’India nella fornitura di servizi basati su Information e Communication Technologies, l’ internazionalizzazione dell’ economia, la variabilità dei tassi di cambio (il cambio euro-dollaro è oscillato da un minimo di 0,8252 US$ per 1 € - valore al 26/10/2000 - a 1,4874 US$ per 1 € valore del 27/11/2007 – è possibile visualizzare l’andamento del cambio euro/dollaro su sito della banca centrale europea www.ecb.int/stats/exchange ) possiamo fare nostra la celebre frase di Charles Darwin: “It is not the strongest of the species that survives, nor the most intelligent, but the one most responsive (sensibile, pronta nella reazione) to change.”
In questi anni molte imprese stanno affrontando le sfide del rinnovamento, combattendo per reinventarsi, per reinventare le loro strategie in un’epoca nuova. Alcune ci riescono, ma molte, proprio in questo compito, falliscono (Gary Hamel, Sostenere il successo con l’innovazione, in The value of Food).
Nelle Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, lette in occasione dell’Assemblea del 31 maggio 2006 a p. 6 si legge:
“Lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione, la rapida crescita di grandi economie emergenti sono i tratti distintivi dell’attuale scenario internazionale.
La rivoluzione digitale di fine secolo apre una gara di efficienza fra sistemi produttivi; adeguarsi è decisivo.
La quota delle economie emergenti sulle esportazioni mondiali di manufatti è salita al 30 per cento, con un peso crescente dei prodotti a media-alta intensità di capitale e tecnologia. Nei paesi avanzati i consumatori ne hanno tratto grande e immediato beneficio. I produttori vincono l’aspra sfida di concorrenti dai bassi costi del lavoro se colgono le opportunità offerte dall’internazionalizzazione della produzione e dai nuovi mercati di sbocco.
Nel quadro di un’economia e di un commercio mondiali che continuano a crescere a tassi elevati, è all’ottimismo dell’iniziativa che bisogna ispirarsi, non al malinconico rimpianto di un protezionismo che fu.”

Riquadro 2La crescita delle economie emergenti, tratto da Thomas Friedman, Il Mondo è piatto, Mondatori, 2006, p. 218– “Secondo una studio pubblicato nel novembre 2004 dall’economista di Harvard Richard B. Freeman, nel 1985 il mondo economico globale, era formato da Nordamerica, Europa occidentale, Giappone, la cosiddetta Triade, più alcune parti dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia orientale. La popolazione complessiva di questo mondo economico globale, che prendeva parte al commercio e agli scambi internazionali, era, secondo i calcoli di Freeman, di circa due miliardi e mezzo di persone.
Nel 2000, in seguito al crollo del comunismo nell’impero sovietico, all’abbandono dell’autarchia in India, all’apertura al capitalismo di mercato in Cina e alla crescita planetaria della popolazione, il mondo economico globale ha raggiunto i sei miliardi di persone.”
L’effetto aggiuntivo di tre miliardi e mezzo di persone sulla divisione internazionale del lavoro e sugli scambi commerciali ha avuto, ha e avrà enormi ripercussioni nelle economie di tutti i Paesi.

L’applicazione dell’ingegno alle attività produttive ha consentito all’umanità il raggiungimento degli attuali livelli di benessere nelle società avanzate. La abbondante disponibilità di prodotti industriali è strettamente connessa alla capacità di utilizzare in modo sempre più efficiente i fattori della produzione attraverso:

  • sempre più raffinate tecniche di sviluppo prodotto;
  • lo studio delle tecnologie di processo;
  • la individuazione dei principi fondamentali che regolano l’uso dei sistemi produttivi e logistici;
  • la organizzazione delle informazioni e il loro uso sempre più efficiente nella definizione degli indicatori di performance per supportare i processi decisionali sull’uso migliore delle risorse di produzione;
  • l’applicazione di sempre più raffinati modelli organizzativi e gestionali nelle imprese industriali.

Questi processi, in cui si riscontrano continui miglioramenti nei livelli di produttività e una costante attività innovativa, hanno consentito di rendere tempestivamente disponibili prodotti sempre migliori a costi reali sempre più bassi (iniziamo a concentrarci su tre variabili fondamentali nella gestione della produzione industriale: tempo, qualità, costo). Ad esempio il primo personal computer introdotto sul mercato nel 1981 costava 1565 dollari (3600 dollari attuali), Corriere della Sera del 30 luglio 2006, e aveva prestazioni (capacità di memoria, velocità di elaborazione, applicativi, connettività) enormemente inferiori a quelli che oggi possiamo ritrovare in un PC da 500 dollari.
Da Adam Smith che nella Ricchezza delle Nazioni descrive come innalzare, attraverso  meccanismi di divisione del lavoro (v. riquadro 3), la produttività in una fabbrica di spilli, passando per Henry Ford, inventore della catena di montaggio (v. riquadro 4), a Frederick Winslow Taylor padre dei principi dello Scientific Management (1910), fino ai World Class Manufacturer americani di ieri, giapponesi di oggi, cinesi di domani, la capacità di gestire la produzione ha determinato successi e fallimenti di migliaia di imprese, ha trasformato le economie di interi paesi, ha avuto forti impatti sulla qualità della vita delle persone.
Detroit durante la crisi degli anni ottanta, determinata dall’attacco giapponese al mercato automobilistico nordamericano, ha vissuto un periodo di profonda decadenza. Il fenomeno industriale del Nord Est italiano degli anni novanta ha trasformato una delle zone più povere del nostro Paese in una delle più ricche (v. raffronto rapporto Banca d’Italia Sicilia/Veneto che riporta un PIL pro capite in Sicilia di € 12400 e un PIL pro capite in Veneto di € 20700 - dati Istat). La vita frenetica e i nuovi milioni di consumatori cinesi delle grandi città industriali della Cina, Shanghai, Shenzhen, Guangzhou, la fascia costiera della Cina da cui partono milioni di container per tutto il mondo (v. Federico Rampini, Il Secolo Cinese, Mondadori, 2005o anche Federico Rampini, L’Impero di Cindia, Mondadori, 2006) sono il risultato della trasformazioni in atto nell’economia industriale di quel paese. Questi sono solo alcuni esempi dell’impatto del settore industriale sulla società e sulla vita di tutti noi.

Riquadro 3Il concetto di divisione e ricomposizione del lavoro (tratto e adattato da Adam Smith, Wealth of Nations, 1776, www.adamsmith.org.uk/smith/won-b1-c1.htm)
La divisione del lavoro ha un profondo impatto sulla produttività.
Per esempio prendiamo in considerazione un banale processo di manifattura nel quale si sono osservati gli effetti della divisione del lavoro sulla produttività, la fabbricazione degli spilli. Un lavoratore non formato sulla tecnologia, con tutto il suo impegno, forse potrebbe fabbricare uno spillo al giorno. Ma il modo nel quale ora viene eseguita questa attività, oggi suddivisa in fasi distinte, dimostra che è possibile innalzare enormemente i livelli di produttività.
Un uomo trafila il cavo, un altro lo raddrizza, un terzo lo taglia, un quarto gli crea la punta, un quinto prepara l’altra estremità per ricevere la testa; per fabbricare la testa sono necessarie due o tre distinte operazioni; fissarla è un’altra specifica attività così come rendere bianco lo spillo. Un’altra attività ancora e fissare gli spilli sulla carta; in questo modo il business di fabbricare gli spilli è diviso in circa diciotto distinte operazioni, che in alcune fabbriche, sono tutte effettuate da mani distinte, mentre in altre lo stesso uomo svolge due o tre operazioni. Io ho visto una piccola fabbrica di questo tipo dove erano impiegate soltanto dieci persone e dove alcune di loro conseguentemente effettuavamo due o tre operazioni distinte. Quando si esercitarono a regime producevano 12 libbre di spilli al giorno. Una libbra corrisponde a circa quattromila spilli di medie dimensioni. Quelle dieci persone potevano pertanto fabbricare circa quarantottomila spilli al giorno e pertanto possiamo dire che una persona produceva quattromilaottocento spilli al giorno. Ma se i dieci avessero lavorato separatamente e indipendentemente e senza una specifica formazione probabilmente non avrebbero potuto fabbricare ciascuno venti spilli al giorno e forse neanche uno. Questi gli effetti sulla produttività di una appropriata divisione e combinazione delle differenti operazioni in cui è stato scomposto il processo.
Continua ancora Adam Smith enunciando tre principi fondamentali alla base della industrializzazione della produzione.
L’incremento nella quantità di lavoro che lo stesso numero di persone è in grado di svolgere, in conseguenza della divisione del lavoro, è la risultante di tre differenti circostanze:
1) il miglioramento delle abilità in ogni singolo lavoratore (quando questo è dedicato ad una specifica operazione);
2) il risparmio di tempo che è solitamente perduto nel passaggio da un tipo di lavoro ad un altro (per la necessità di cambiare attrezzi e posto di lavoro e per la perdita di concentrazione del lavoratore);
3) l’invenzione di un gran numero di macchine (e dispositivi o attrezzature) che facilitano e abbreviano il lavoro e mettono in condizione un uomo di fare il lavoro di molti.

Enrico Zaninotto dell’Università di Trento in “Spilli, orologi e macchine da calcolo” ripercorre in maniera efficace la storia del pensiero economico che ha accompagnato lo sviluppo industriale. Ecco alcuni passi.
Gli economisti del XVIII e XIX secolo si concentrano sul concetto di divisione del lavoro e consideravano la meccanizzazione - (poi chiamata automazione) - come un aspetto o una conseguenza della divisione del lavoro. Smith si occupa anche della divisione del lavoro e dell’ampiezza del mercato sostenendo che la divisione del lavoro può essere sempre più spinta quanto più ampio è il mercato. Charles Babbage sottolinea il fatto che la divisione del lavoro limita gli sprechi e, con riferimento all’abilità umana, suggerisce di utilizzare la professionalità adeguata, e quindi il livello di qualificazione (cui dovrebbe corrispondere una scala salariale) ad una specifica mansione. La divisione del lavoro impone la costruzione di connessioni fra reparti o fra stabilimenti (logistica interna e esterna) per ricombinare le attività elementari nel prodotto finito.

Sulla importanza della segmentazione delle attività produttive e sulla divisione del lavoro (alla Babbage) in un’economia globalizzata ci ritorneremo più avanti quando verrà introdotto il concetto di rete di produzione transnazionale.

Riquadro 4La nascita della catena di montaggio (tratto da Taiichi Ohno, Lo Spirito Toyota, Einaudi, 1993, p. 132)
Henry Ford (1863-1947) è l’uomo al quale va senza dubbio il merito di aver posto le basi per la moderna produzione automobilistica. La visione di Ford della produzione industriale di massa è costituita essenzialmente da nastri trasportatori sui quali le materie prime giungono ai posti di lavoro per essere lavorate; le diverse componenti del prodotto vengono automaticamente inviate verso la stazione successiva e verso le linee di montaggio finali.
Charles Sorenson, responsabile della produzione delle officine Ford, descrive in questo modo gli inizi e lo sviluppo del sistema Ford nel 1910:
“Come si può immaginare, era più semplice assemblare le automobili piuttosto che lavorare i materiali da montare. Io e Charles Lewis, il più giovane e combattivo dei nostri addetti all’assemblaggio, afferrammo subito il problema. Gradualmente ci allenammo esclusivamente a quelli che ritenevamo materiali facilmente trasportabili. I grandi pezzi fondamentali come i motori o gli alberi di trasmissione necessitavano di un grande spazio; per procurarglielo lasciavamo i materiali più piccoli, compatti, leggeri e di facile trasporto in un magazzino costruito all’angolo nord-ovest della fabbrica. Successivamente ci accordammo con il reparto stoccaggio affinché, a intervalli regolari, fornisse la quantità di materiali che avevamo già contrassegnato e preparato. La gestione dei magazzini fu semplificata da questo metodo che permise una migliore organizzazione dell’officina. Ma il sistema non mi soddisfaceva completamente. Fu allora che mi venne l’idea che l’assemblaggio sarebbe stato più semplice, più facile e più veloce, se avessimo fatto scorrere le scocche, munite degli assi, attraverso i magazzini dei componenti (MOVE THE METAL).
Così chiesi a Lewis di disporre i pezzi da montare sul pavimento dello stabilimento, lungo la linea sulla quale avremmo fatto muovere le scocche. Trascorremmo tutte le domeniche di luglio a progettare la cosa, e poi, una domenica mattina, io, Lewis e un paio di aiutanti montammo la prima macchina mai costruita – ne sono certo – su una linea in movimento.
Lo facemmo semplicemente mettendo la carrozzeria su un piano di scorrimento e tirandola con l’aiuto di una corda lungo l’area di assemblaggio. Poi proseguimmo con la carrozzeria per vedere cosa si poteva fare, fin dove potevamo arrivare. Mentre provavamo questa linea in movimento, lavoravamo su alcune fasi di sub-assemblaggio come il completamento di un radiatore con tutti i flessibili necessari, in modo che avremmo potuto sistemarlo velocemente sulla carrozzeria.”

Semplicemente invertendo i flussi di materiale, passando dal movimento dei componenti verso la scocca al movimento della scocca attraverso i materiali disposti nell’officina nella sequenza di assemblaggio, si ottennero straordinari incrementi di produttività che fecero affermare la catena di montaggio come la chiave di volta dei processi di produzione di massa.

Un’altra storia è esemplare per capire il tipo di attitudine necessaria a ottimizzare i processi industriali (riquadro 5).


Riquadro 5Il racconto dei fabbricanti di orologi adattato da Arthur Koestler, The Ghost in the Machine, 1982, Random House, New York, N.Y., p. 45-46.
C’erano in Svizzera due fabbricanti di orologi dal nome Bios e Mekhos che costruivano orologi molto belli e costosi. Sebbene i loro orologi avessero la stessa domanda, Bios prosperava mentre Mekhos lavorava alla meno peggio; alla fine dovette chiudere la sua attività e lavorare come meccanico da Bios. Le persone della città si chiedevano come ciò fosse stato possibile finchè la vera ragione di ciò emerse e consisteva nella differente sequenza di assemblaggio delle parti adottata dai due costruttori.
Gli orologi erano costituiti ciascuno da un migliaio di parti. Mekhos assemblava i suoi orologi pezzo dopo pezzo. Pertanto ogni volta che qualcuno lo disturbava doveva posare l’orologio parzialmente assemblato, questo cadeva in pezzi ed era costretto a ripartire dall’inizio.
Bios invece aveva messo a punto un metodo di assemblaggio che prevedeva la realizzazione di sottoassiemi di circa 10 componenti, ognuno dei quali veniva considerato una unità indipendente. Dieci di questi sottoassiemi potevano quindi essere assemblati in un sottoassieme di ordine superiore; e dieci di questi sottoassiemi costituivano l’intero orologio. Questo metodo di assemblaggio rivelò due grandi vantaggi.
Primo, ogni volta che si verificava un’interruzione, Bios anche se perdeva parte del lavoro, questa era relativa all’assemblaggio di una piccola quantità di pezzi. Secondo, il prodotto di Bios era molto più resistente ai danneggiamenti e di più semplice manutenzione.

La storia raccontata da Koestler era stata introdotta dal Nobel per l’ economia Herbert A. Simon a proposito dei suoi studi sui sistemi complessi: “I sistemi complessi evolveranno dai sistemi semplici molto più rapidamente se esistono forme intermedie stabili rispetto alla situazione in cui queste non siano presenti”.

 

2. La produzione industriale tra mercato e tecnologia
La produzione industriale evolve parallelamente ai contesti economici, tecnologici, sociali e culturali in cui è inserita. Due aspetti rivestono particolare importanza ai fini degli scopi del corso. Da un lato le trasformazioni che avvengono nei mercati internazionali e nei loro attori, dall’altro le tecnologie disponibili per abilitare i processi produttivi (enabling technologies). Su questi aspetti ci soffermeremo per capire quali sollecitazioni le forze del mercato scaricano sull’ambiente produttivo e quali risorse le tecnologie possono mettere a disposizione per rendere sempre più efficienti i processi produttivi. In questo quadro che andremo a descrivere nelle prossime pagine, si evidenzia una rinnovata centralità dell’area produzione nelle strategie di crescita dell’impresa industriale. Infatti le innovazioni nelle tecnologie di produzione in senso lato, negli aspetti hardware, software e nei modelli organizzativi, hanno avviato una profonda trasformazione delle attività industriali facendo recuperare alla funzione produzione un ruolo strategico. Ciò è anche conseguenza del fatto che la maggior parte dei processi di innovazione, che sostengono la competitività delle imprese industriali, è concentrata nell’area produzione responsabile del ciclo di vita del prodotto industriale dalla progettazione alla distribuzione. L’impresa, oggi, attraverso una gestione mirata della variabile tecnologica può conseguire significativi miglioramenti nei fattori di successo del prodotto rafforzando la propria posizione competitiva sui mercati internazionali.

2.1 L’impatto del mercato sulla produzione
In tutti i settori dell’economia ed in particolare nel settore industriale si assiste da tempo ad un costante incremento nel livello di competitività tra le imprese. Diverse sono le ragioni che hanno indotto fenomeni di concorrenza crescente e che hanno trasformato la natura dei mercati.

2.1.1 La globalizzazione
Iniziamo con una citazione tratta dal libro di Giulio Tremonti, Rischi fatali, Mondadori, 2005: “Si infrangono i vetri della serra che per mezzo secolo ha protetto il giardino Europa. Non è l’Europa  che è entrata nella globalizzazione, è la globalizzazione che è entrata in Europa. Cogliendola impreparata.”
Sicuramente uno degli aspetti che maggiormente caratterizza gli scenari economici attuali è la accelerazione dei fenomeni legati alla globalizzazione. Nel riquadro 2 abbiamo dato qualche breve cenno sulle ragioni dell’ampliamento dei mercati internazionali.
Per essere più precisi sul termine globalizzazione e, in particolare sul concetto di globalizzazione economica, è opportuno rifarsi ad una definizione che ne dà uno dei maggiori studiosi del fenomeno Jagdish Bhagwati, Elogio della globalizzazione, Laterza, 2005. “In sintesi, la globalizzazione economica consiste nella integrazione di economie nazionali nell’economia internazionale attraverso scambi commerciali, gli investimenti diretti esteri (da parte delle corporations e delle multinazionali), i flussi di capitale a breve termine, i flussi internazionali di lavoratori e di persone in genere e i flussi di tecnologia.” Come afferma Pistorio: “Il capitale internazionale si muove ormai senza più barriere oltre i confini delle nazioni alla ricerca soltanto della migliore combinazione tra rischio e remunerazione.”
La globalizzazione non è un fenomeno dei nostri giorni, e infatti ha radici lontane, il saggio di J. Osterhammel e N. P. Peterson, Storia della globalizzazione, il Mulino, 2005 ne ripercorre i processi fondamentali dando al fenomeno la sua corretta profondità storica. I suoi effetti si manifestarono, per esempio, nell’area del Mediterraneo dopo Colombo. Quando si aprirono le rotte verso le Americhe, Spagna e Portogallo grandemente ne beneficiarono nelle loro economie, mentre i paesi che si affacciavano sul Mediterraneo persero quote significative nei traffici commerciali.
L’ importanza e l’attualità del tema della integrazione economica globale è stata ricordata dal presidente della Federal Reserve Ben S. Bernanke nel suo intervento Global Economic Integration: What’s New and What’s Not? a Jackson Hole il 25 agosto 2006 reperibile su www.federalreserve.gov/boarddocs/speeches/2006/20060825/default.htm A parte l’interessante prospettiva storica, Bernanke lega l’accresciuta integrazione economica mondiale alla riduzione delle distanze “economiche”, che hanno reso il mondo più piccolo, determinata dalle nuove tecnologie che riducono i costi dei trasporti e delle comunicazioni: “per esempio, enormi miglioramenti nel supply-chain management, resi possibili dalle innovazioni nelle ICT, hanno ridotto i costi del coordinamento della produzione tra fornitori distribuiti globalmente”.
Quello che emerge, oggi, rispetto al passato è una forte accelerazione del fenomeno globalizzazione che dispiega i suoi effetti con forti e immediati impatti sulla vita delle imprese che sono costrette a reagire in modo responsive (v. citazione di Darwin) a questa grande forza di cambiamento.
Karl Marx e Friedrick Engels nel Manifesto del Partito Comunista ne avevano previsto gli effetti sulle economie nazionali già nel 1848, in piena rivoluzione industriale: “Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre… Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopoliti (oggi diciamo globali) la produzione e il consumo di tutti i paesi…. Le antichissime industrie nazionali sono state e vengono, di giorno in giorno, annichilite. Esse vengono soppiantate da nuove industrie, la cui introduzione è questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili – industrie che non lavorano più materie prime indigene, bensì materie prime provenienti dalle regioni più remote, e i cui prodotti non si consumano soltanto nel paese, ma in tutte le parti del mondo…. In luogo dell’antico isolamento locale e nazionale, per cui ogni paese bastava a se stesso, subentra un traffico universale, una universale dipendenza delle nazioni una dall’altra.” (v. Friedman p. 239-240).

Per introdurre gli effetti della globalizzazione sulla vita delle imprese possiamo pensare al mercato mondiale inizialmente suddiviso in zone geografiche non permeabili agli scambi commerciali a causa della presenza di barriere di varia natura che impediscono ad un produttore della zona A di raggiungere un consumatore nella zona C (siamo in un sistema locale di produzione e consumo). In questa condizione la relazione produttore-consumatore è relegata nello stesso spazio geografico. Quali sono le barriere alla integrazione dei mercati?

  • Barriere di tipo logistico: i costi e i tempi dei trasporti possono rendere non conveniente spostare prodotti tra aree geografiche distanti (oggi i trasporti marittimi containerizzati e le linee aeree low cost hanno contribuito all’abbattimento di queste barriere in modo significativo);
  • Barriere relative alle comunicazioni: i costi e i tempi delle comunicazioni a distanza sono in progressiva discesa inoltre la crescente diffusione della conoscenza della lingua inglese agevola le comunicazioni internazionali;
  • Barriere di tipo doganale: spesso gli stati, per proteggere i propri sistemi economici, hanno fatto ricorso alla istituzione dei dazi o al contingentamento delle importazioni per scoraggiare la domanda di beni importati da alcuni paesi. Oggi istituzioni come il World Trade Organization si battono per un commercio libero o comunque regolamentato (su questi temi è interessante esaminare gli effetti negativi del protezionismo sui consumatori di paesi che le adottano, (v. Samuelson e Nordhaus, Economia, XV Ed., McGraw-Hill, 1996, p. 682 – 693);
  • Barriere di tipo culturale: oggi le comunicazioni satellitari e i mass-media hanno contribuito ai processi di omogeneizzazione culturale in tutte le parti del mondo;
  • Barriere di tipo normativo: per molti prodotti della meccanica, elettrici od elettronici,  tessili, alimentari, la diversità tra normative tra gli stati può costituire un limite allo scambio internazionale di merci. Le società di standardizzazione operanti a livello internazionale oggi lavorano per la costruzione di standard comuni.
  • Barriere legate alle dimensioni delle imprese: un’ impresa di piccola dimensione non ha la capacità di penetrare mercati lontani. L’affacciarsi sui mercati internazionali delle multinazionali americane dalla fine della seconda guerra mondiale (Coca Cola, Exxon, AT&T, Procter&Gamble, General Electric, Ford, General Motors, Boeing e successivamente IBM, HP, Intel, e poi ancora Microsoft e oggi, Dell, Cisco, Amazon, Yahoo, eBay, Google) tutte aziende che, traendo vantaggio dall’operare in un grande mercato di consumo omogeneo come quello dell’ America del Nord, hanno avuto la possibilità di raggiungere dimensioni tali da poter pensare di aggredire mercati lontani dopo aver saturato i mercati locali ed aver sviluppato capacità operative di eccellenza in grado di mettere in difficoltà produttori lontani che, protetti da barriere che progressivamente si sgretolavano, diventavano sempre più aggredibili.

Oggi infatti le barriere di cui sopra si oppongono sempre meno alla libera circolazione delle merci (ma anche dei servizi) e le rendite di posizione geografica che i produttori detenevano nei confronti dei consumatori vicini vengono meno. Possiamo oggi dire che in quasi tutti i settori industriali (ma spesso anche dei servizi – si pensi alle concentrazioni bancarie) non esiste produttore al riparo della concorrenza, potenziale o attuale, di un produttore distante migliaia o decine di migliaia di chilometri. Siamo quindi in presenza di un sistema mondiale di produzione e consumo. Oggi è sempre più è vera l’affermazione che per le imprese, il mercato è il mondo. Questo costringe le imprese, anche quelle che operano in mercati periferici, ad allineare le loro performances a quelle dei competitors internazionali se vogliono continuare a mantenere una quota di mercato che ne consenta la sopravvivenza e lo sviluppo.
La storia sul declino industriale dell’Italia raccontata da Luciano Gallino presenta numerose storie legate alla incapacità di molti produttori nazionali di tenere il passo nella innovazione a 360° imposto dalla concorrenza internazionale. Il Ministro per lo sviluppo economico Bersani in un recente intervento ha evidenziato un doppio problema del modello di sviluppo italiano: il nodo della crescita dimensionale, che riguarda ogni tipo di azienda, e il bisogno di ridare centralità alla grande impresa. “Noi dobbiamo uscire con fermezza dall’idea che le grandi produzioni si andranno a fare in Cina o chissà dove. Non è vero.” Ed ha continuato citando settori come la chimica, la siderurgia, l’auto, l’energia come strategici su cui impegnarsi per mantenere queste produzioni in Italia (Corriere della Sera del 2 agosto 2006). Anche in altri paesi il dibattito sul futuro del manifatturiero è molto attivo. Per il Regno Unito è molto interessante l’intervento di Patricia Hewitt – The Future for Manufacturing Industry reperibile sul sito www.dti.gov.uk./ministers/archived/hewitt230102.html

Una misura del fenomeno globalizzazione è l’intensificarsi del peso degli scambi internzionali che crescono più velocemente del PIL mondiale. Negli ultimi 50 anni il PIL mondiale è cresciuto a un tasso annuale composto del 5,1% mentre il commercio internazionale è cresciuto del 7,7% con un’accelerazione maggiormente evidente negli ultimi dieci anni (fonte WTO).

In questa situazione le imprese sono costrette a pensare in modo globale valutando opportunità come: nuovi mercati di sbocco – il mercato è il mondo; possibilità di trasferire le produzioni per trarre vantaggio dai bassi costi della manodopera; acquisire componentistica a costi sempre più bassi a seguito della specializzazione produttiva di alcuni paesi. E al contempo le imprese devono acquisire consapevolezza delle minacce che un ambiente ipercompetitivo determina per la loro vita.

Un altro aspetto legato alla globalizzazione è quello relativo ai fenomeni di delocalizzazione produttiva. Questo fenomeno è sostenuto da un lato da forti squilibri a livello planetario dei costi della manodopera, dall’altro dalla progressiva riduzione dei costi della logistica e ancora dalla efficacia crescente dei sistemi di Information e Communication Technologies (ICT) che hanno contribuito alla realizzazione di infrastrutture operative sempre più efficacemente interconnesse. Queste condizioni stanno contribuendo alla realizzazione di sistemi decentralizzati di produzione ispirati (questa volta su scala planetaria) a quei principi di divisione del lavoro e di segmentazione delle fasi della produzione evidenziati prima da Smith e poi da Babbage quasi duecento anni fa. Le aziende multinazionali prima e quelle medio grandi dopo (in particolari quelle più sensibili ai temi della internazionalizzazione della economia e alla efficienza nel reperimento dei fattori della produzione) hanno ritenuto conveniente passare da modelli di produzione centralizzati a livello geografico, dove tutte le fasi della produzione (Ricerca e Sviluppo, Progettazione, Ingegnerizzazione, Lavorazione, Distribuzione) venivano concentrate in uno o più siti produttivi tra loro vicini, a modelli decentralizzati dove queste fasi vengono allocate a livello planetario dove è più conveniente in funzione della qualità e del costo dei fattori della produzione disponibili. In questo scenario da un modello di creazione del valore sostanzialmente verticale (basato su comando e controllo) passiamo a un modello sempre più orizzontale (basato su connessione e collaborazione). E’ molto interessante a questo proposito la lettura del modello della rete di produzione della Dell descritto da Friedman nel suo Il Mondo è piatto, p. 522 – 527, in cui racconta la storia della nascita del suo portatile Dell dall’ordine alla consegna.

2.1.2 La diffusione del Know-How
Si è assistito in questi anni ad una crescita del livello di istruzione media, ad una crescente facilità di accesso alle conoscenze tecnologiche, ad una evoluzione delle relazioni tra scienza e industria (perseguite con determinazione in alcuni paesi, uno per tutti la Finlandia che ha generato il fenomeno Nokia). Inoltre la capacità di imitare tecnologie di produzione in paesi di nuova industrializzazione ha fatto sì che il numero di soggetti in grado di progettare, ingegnerizzare, fabbricare e distribuire prodotti industriali sia in potenziale aumento a livello mondiale. La facilità di accesso alla conoscenza determina quindi una crescita dei soggetti potenziali in grado di operare in specifici segmenti manifatturieri.
Sulle barriere tecnologiche è interessante l’analisi di Pasquale Pistorio: “Sin dalla prima rivoluzione industriale, proprio il possesso esclusivo di processi tecnologicamente avanzati aveva dato all’occidente, forte di conoscenze e di disponibilità finanziarie, la capacità di costruire una spirale di accumulazione di conoscenze e ricchezze…Una larghissima fascia della popolazione mondiale si è dunque vista tagliare fuori dal flusso principale dello sviluppo industriale e si è potuta affacciare timidamente sui mercati internazionali solo grazie a costi del lavoro estremamente ridotti ai quali corrispondevano condizioni di vita fortissimamente disagiate…. Ma, se ancora esistono vastissime aree di sottosviluppo, alcuni paesi, soprattutto nell’Asia dell’Est, hanno saputo innescare un processo di sviluppo fondato sulla tecnologia che li hanno fatti uscire, in modo talvolta prepotente, dalla loro condizione di povertà ed emarginazione… Gli stati nazionali hanno svolto un ruolo primario, per esempio favorendo o dando vita direttamente a importanti programmi di ricerca ….Allo stesso tempo, la necessità di porre un limite ai costi crescenti di nuovi impianti, portava ad una standardizzazione delle attrezzature produttive e, attraverso queste, alla disponibilità diffusa di una base tecnologica comune. E ancora, il rientro in patria di personale altamente qualificato dopo esperienze di studio o di lavoro in paesi come gli Stati Uniti, diffondeva conoscenze che in altri tempi sarebbero state confinate all’interno dell’area ad alto sviluppo del pianeta.” 

2.1.3 La maturazione del consumatore – dalla centralità del prodotto alla centralità del cliente
La sovraofferta di capacità produttiva, il fatto che nel mondo avanzato i bisogni primari di prodotti industriali sono soddisfatti (in molte famiglie ci sono più televisori, più automobili, più frigoriferi, ecc.) hanno contribuito negli anni ad esaltare le pretese e la individualità dei consumatori che da soggetti passivi e destinatari del prodotto imposto dal produttore diventano elementi al centro delle strategie operative delle imprese tra loro concorrenti che fanno di tutto per contenderselo. Le imprese che prima avevano al centro della loro attenzione il prodotto oggi hanno posto il cliente al centro delle loro strategie.
Il consumatore oggi può scegliere prodotti più aderenti alla sua scala di valori o alle proprie esigenze e si trova sempre più frequentemente ad effettuare confronti tra prodotti proposti da imprese in competizione tra loro. Questa abitudine al confronto contribuisce ad affinare le capacità critiche e di selezione del consumatore, che nella scelta finale è in grado di controllare contemporaneamente un numero crescente di attributi del prodotto e di far uso di un maggior numero di informazioni che lo portano ad effettuare una scelta consapevole e coerente con le proprie aspettative. Inoltre la diffusione di internet rafforza la capacità di giudizio del consumatore, riduce i tempi necessari per ottenere informazioni sulle caratteristiche del prodotto/servizio rilevanti per le sue scelte e amplia le possibilità di confronto tra varie alternative disponibili sul mercato. In sostanza il consumatore indirizza la scelta verso il prodotto di quella impresa che meglio centra le sue preferenze individuali o coglie lo spirito dei valori cui esso si ispira (economicità, qualità, scelte di identificazione in una categoria di persone, eticità, ecc.). In queste condizioni fidelizzare una consumatore, cioè legarlo a un’impresa, a una marca o a un brand come si dice in termini di marketing, è sempre più difficile. Il consumatore diventa nomade.

2.1.4 Dal prodotto al metaprodotto
Una volta che il bisogno è stato soddisfatto, la sostituzione o l’acquisto di un nuovo bene deve essere motivato da ragioni più sofisticate di quelle che hanno determinato il primo acquisto (prestazioni migliori, design più attraente, maggior contenuto emozionale).
Oggi infatti le imprese competitive sono costrette a riposizionare sempre più frequentemente l’equilibrio value for money che determina la scelta finale, l’atto di acquisto, del consumatore. Questo processo di offerta del prodotto e di presentazione di valore al consumatore, oltre che sulla base tecnologica del prodotto, si basa anche sull’arricchimento dello stesso con aspetti immateriali che tendono ad incrementare, nella percezione del consumatore, il contenuto di valore del prodotto. Si aggiungono quindi servizi, conoscenze aggiuntive (si pensi alla valorizzazione dei prodotti enogastromici di un territorio) che pongono alle imprese nuove sfide nella gestione della conoscenza tesa a favorire lo scambio tra produttore e consumatore.
Per esempio, sempre più produttori scelgono di curare, oltre che la produzione di un particolare oggetto, anche la distribuzione (si pensi ai negozi monomarca delle griffe del lusso – Tod’s, Prada, Vuitton - ma anche Benetton, e, in tempi più recenti, il fenomeno Zara), l’assistenza ed infine il processo di sostituzione alla fine della vita utile. Oggi prodotti e relativi servizi di supporto si fondono sempre di più in innovativi modelli di business (v. caso delle flotte aziendali nel settore automobilistico). Questo significa che l’atto d’acquisto non è il solo momento di incontro tra produttore e consumatore. La gestione della conoscenza per le relazioni tra produttore e consumatore si estende a tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto e ha un profondo impatto sulla produzione industriale.
Emerge quindi sempre più chiaramente accanto al concetto di prodotto, l’idea di metaprodotto con un suo carico di informazioni, e quindi di conoscenze che richiedono anche capacità di controllo degli aspetti emotivi che orientano le scelte del consumatore. Il contenuto di valore del prodotto, in passato riferito prevalentemente alla sua componente fisica, si arricchisce di valori basati sulla conoscenza e sulle emozioni. In modo appropriato l’economista Enzo Rullani ha coniato la frase: usare la conoscenza per vendere significati.
In questo scenario le nicchie di mercato tendono a diventare sempre più specializzate e sempre più aderenti alle aspettative ed al sistema dei valori degli individui i quali, a loro volta, diventano portatori di esigenze sempre più personalizzate.
Joaichim Milberg, CEO di BMW, ha detto: “Customers expect products that are fascinating (qualità), innovative (tecnologia) and different (analisi di mercato).” Spesso si usano i termini attractive o appealing.

2.1.5 L’economia della conoscenza
Per quanto sopra, la componente immateriale dell’economia e i processi di gestione della conoscenza (la raccolta delle informazioni, anzi prima dei dati da tradurre in informazioni e poi in conoscenza, l’assimilazione della conoscenza, la disseminazione e quindi l’uso creativo della conoscenza) assumono sempre maggiore importanza oggi e la gestione di questi processi sarà sempre più centrale nelle politiche di gestione delle imprese del futuro. Assistiamo continuamente ad una trasformazione dell’economia che attribuisce sempre meno peso ai beni pesanti e sempre più peso ai beni pensanti.
Il contenuto di valore in conoscenza del prodotto industriale aumenta sempre di più in raffronto al contenuto materiale (maggiore importanza al fattore ricerca per sostenere i processi di innovazione, maggiore peso del fattore design, maggiore contenuto informativo nel marketing per conoscere meglio il consumatore).
Le determinanti del successo delle imprese e delle economie nazionali dipendono quindi sempre più dalla capacità di produrre e utilizzare la conoscenza Dominique Foray, L’economia della conoscenza, il Mulino, 2006, p. 9.

2.2 Le caratteristiche della competizione industriale
Quanto sopra espone le imprese a livelli di concorrenza sempre più spinta e soprattutto a una tipologia di concorrenza che si gioca su competenze e professionalità nuove e di livello più alto. Diversi aspetti sono stati messi finora in luce:
- la natura globale della competizione;
- l’incremento del livello della competizione che fa cadere le rendite di posizione e, riducendo i margini delle imprese,  causa l’espulsione dal mercato di quelle imprese meno efficienti e innovative;
- le trasformazioni nei modelli di comportamento del consumatore;
- le trasformazioni dell’economia in economia della conoscenza;
- l’emergere della struttura policentrica delle produzioni industriali che assumono sempre più strutture di reti globali di fornitura.

In queste condizioni solo i produttori portatori di best practices riescono a mantenere le posizioni sui mercati. Tre fattori di successo possono essere identificati per il prodotto industriale: costo, tempo e qualità. La sfida tra le imprese oggi si gioca su continui miglioramenti su questi parametri assunti dal consumatore come strumenti per orientare le proprie scelte. Tommaso Padoa-Schioppa nel suo articolo La Distruzione Creativa, Corriere della Sera del 13 dicembre 2005 dice: “L’impresa più capace di indovinare il prodotto che piacerà (qualità), di contenerne il costo, di organizzarne la vendita (tempo, ma non solo) porta via clienti all’impresa meno capace.”

Il fattore costo
Se dal punto di vista del consumatore è opportuno riferirsi al prezzo che misura il valore dello scambio produttore-consumatore (per semplicità di esposizione eliminiamo l’effetto di intermediazione del sistema distributivo che nello scambio è determinante), ai fini del corso, è più opportuno riferirsi al costo complessivo sostenuto dal produttore per fabbricare un determinato bene.
In passato, in una situazione caratterizzata da bassi livelli di concorrenza siamo stati abituati a calcolare il costo industriale del prodotto considerando i fattori impiegati nella produzione materie prime, manodopera (a diversi livelli di qualificazione), capitale (impianti) e, dopo aver identificato il costo industriale, applicando, in relazione ad un profitto obiettivo, un margine (mark-up), definire il prezzo di vendita.
Questa pratica è oggi messa in crisi in diversi settori industriali dal fatto che il prezzo che il consumatore è disposto a pagare per un determinato oggetto non è quello proposto dal produttore ma è determinato dal mercato. Quelle imprese che attraverso il controllo dei costi riescono a produrre a un costo industriale più basso del prezzo di mercato fanno utili, più o meno significativi, mentre quelle che producono a costi superiori al prezzo di mercato generano perdite e se questa situazione si prolunga nel tempo soccombono o sono destinate ad essere assorbite da altri produttori (target cost = prezzo di mercato – profitto obiettivo).
Il costo industriale è una misura dell’efficienza nell’uso e nel reperimento dei fattori della produzione e, pertanto, in un’economia globalizzata, della capacità di cogliere le opportunità di reperire i fattori della produzione su base planetaria a costi sempre più bassi ricombinando i processi produttivi in filiere produttive e distributive efficienti.
La delocalizzazione produttiva di questi anni ha avvantaggiato i consumatori che hanno potuto acquistare prodotti industriali a prezzi sempre più bassi (v. campagna promozionale IKEA). I settori del tessile-abbigliamento, del calzaturiero – tipici settori labour intensive, sono stati trasformati profondamente dal trasferimento delle attvità di produzione nei paesi a più basso costo del lavoro.
Per l’acquisto di molti prodotti industriali il prezzo di vendita è decisivo e quindi quanto più bassi sono i costi di produzione tanto più profittevole è l’impresa. Perseguire una inarrestabile politica di riduzione dei costi è fondamentale per rimanere competitivi.

Riquadro 5a - L’utilitaria del popolo tratto da la Repubblica, 10 gennaio 2008. Tata presenta oggi a New Delhi l’auto da 2500 dollari (1700 euro). Con questo titolo si dà notizia del lancio dell’attesissima macchina costruita dall’indiana TATAMOTORS. La Nano è una macchina ultra low cost progettata per costare il meno possibile e con prestazioni limitate (velocità max 70 km/h) per limitare i costi. Si tratta di una monovolume da cinque porte, 3.1 metri di lunghezza con motore bicilindrico da 624 cc e 30 CV ispirata ad un “design gandhiano” (espressione del New York Times) per indicare la ricerca sistematica delle soluzioni tecniche più essenziali, austere e frugali.
L’autovettura avrà la carrozzeria di plastica, un telaio tubolare ed un motore di derivazione motociclistica, tarato per non superare i 70 km/h. “Perché progettare qualcosa che vada più forte se poi i clienti in città non superano questa velocità?” Tutto è stato progettato all’insegna del risparmio: limitare la velocità a 70 km/h significa fare enormi economie su gomme, freni, sospensioni e rigidità dell’insieme. E’ stata adottata una nuova filosofia costruttiva: “quello che non c’è non si rompe” teorizzò Henry Ford inventando il modello T, la prima auto affidabile del mondo, “Quello che non c’è non pesa” raccontò Colin Chapman ideatore delle Lotus F1 che grazie alla leggerezza riuscirono a sconfiggere le Ferrari. E “Quello che non c’è non costa” sembrano voler dire gli indiani a tutti gli altri costruttori che sfornano auto ricchissime di accessori. Per saperne di più e per configurare la propria Nano www.tatapeoplescar.com .
Su altri segmenti di mercato TATAMOTORS sta trattando con Ford l’acquisizione di Jaguar e Land Rover.

L’India tra le potenze industriali

Su questo punto è interessante il commento di Bill Emmott, editor in chief dell’Economist fino al 2006, pubblicato sul Corriere della Sera del 15 gennaio 2008 con il titolo: Con la Nano l’India fa un balzo. “Si sono versati fiumi di inchiostro sul fatto che il 10 gennaio Tata Motors ha presentato in India la sua auto supereconomica…..Ma quel che non è stato notato è il vero aspetto significativo rappresentato da quest’auto, ovvero l’entrata dell’India tra le superpotenze industriali, in competizione con la Cina e, naturalmente con l’Occidente.
Fin dall’inizio di questo secolo, l’analisi della crescita economica della Cina e dell’India era basata su un semplice paradigma: che la crescita della Cina si basasse sull’industria manifatturiera, quella dell’India sui servizi. La Tata Nano mostra, invece, che quest’idea è ormai obsoleta. Riguarda il passato. L’India ha salari inferiori a quelli della Cina, quindi costi del lavoro meno elevati. E’ anche stata assai più lenta nella costruzione di strade e nella modernizzazione di porti e aeroporti, perciò per l’industria il costo dei trasporti era molto più alto che in Cina. Ed è per questo che lo sviluppo industriale in India ha subito un ritardo, mentre in Cina avanzava a ritmo vertiginoso. In India più di metà del PIL proviene dai servizi e solo un terzo dall’industria; in Cina le proporzioni sono invertite.
Ma questa situazione sta cambiando. Si stanno finalmente costruendo nuove strade. I porti sono stati modernizzati. Gli aeroporti sono stati privatizzati e ricostruiti. I consumi (e quindi la domanda interna di prodotti industriali) si stanno espandendo rapidamente. Di conseguenza, negli ultimi due anni l’industria manifatturiera indiana è cresciuta più dei servizi.
Nel prossimo decennio l’industria automobilistica sarà al centro della crescita industriale indiana. Società di tutto il mondo vi stanno investendo: la scorsa settimana la Ford ha annunciato un investimento di 500 milioni di dollari nella fabbricazione di autovetture in India. Questo si verifica anche in Cina, dove il mercato dell’auto è cresciuto prima e più velocemente che in India. Ma mentre in Cina le aziende sono ancora molto al di sotto degli standard mondiali, in India stanno emergendo costruttori di automobili di prim’ordine. Tata Motors è alla testa di questo settore. I risultati raggiunti con la sua utilitaria sotto il profilo del design e delle caratteristiche produttive non sono trascurabili.  La Tata Nano costa la metà della sua più diretta rivale sul mercato indiano, realizzata in joint venture dall’indiana Maruti con la giapponese Suzuki. Come per Ford T e la Fiat 500, il progetto ha senso solo in vista di una produzione in grandi numeri, per il mercato di massa, il che vuol dire che Tata dovrà esportare per raggiungere la scala produttiva prevista. Allo stesso tempo, Tata sta trattando per acquisire Land Rover e Jaguar, celebri case britanniche, attualmente di proprietà della Ford.
Così, da un giorno all’altro, il mondo avrà un nuovo produttore di automobili che competerà in tutti i segmenti di mercato, da quello delle utilitarie a quello delle vetture di lusso. Questo sarà per l’India uno stimolo a investire anche in altre attività collegate alle auto, come la componentistica, il design, la siderurgia e la costruzione di strade.
Il 2008 sembrerà in buona parte l’anno della Cina, grazie alle Olimpiadi di Pechino ad agosto. Ma la Tata Nano fa pensare che sarà un anno importante anche per l’India: l’anno in cui il mondo si renderà conto che è diventata una superpotenza industriale.”

Il fattore tempo
Parlavamo prima di consumatore sempre più esigente. Uno degli aspetti che determina l’atto di acquisto di molti beni è la capacità del produttore di rendere disponibile il bene nel momento in cui il consumatore decide di acquistarlo o di essere estremamente puntuale nella consegna se questa è stata concordata dopo un certo intervallo di tempo. Per alcune tipologie di prodotto, se non troviamo sullo scaffale del supermercato il prodotto che cerchiamo o rinunciamo all’acquisto (danneggiando il produttore e il distributore) o cerchiamo un prodotto sostitutivo. La gestione del fattore tempo in una struttura produttiva policentrica e reticolare, come quella che sempre più oggi va delineandosi, assume un’importanza fondamentale. Tutti i segmenti della catena produttiva e distributiva devono essere sincronizzati. Particolare attenzione deve essere posta nel timing delle fasi approvvigionamento-produzione-distribuzione che sono responsabili della puntualità della consegna del prodotto.
Un altro aspetto legato al fattore tempo è il Time to Market, cioè il tempo intercorrente tra l’ideazione di un nuovo prodotto, o il miglioramento di uno già esistente, e la sua immissione sul mercato. In un mercato ipercompetitivo arrivare primi assicura temporanei vantaggi competitivi che possono tradursi in profitti, così come reagire prontamente ad una innovazione di un concorrente può essere utile per non perdere quote di mercato.

Il fattore qualità
Qualità è sinonimo di livello di soddisfazione del cliente durante il ciclo di vita del prodotto industriale ovvero di capacità dell’impresa di rispondere alle aspettative del cliente. La qualità fa quindi riferimento a diverse caratteristiche del prodotto industriale:

  • caratteristiche relative all’estetica (design, forme, colori, ecc.)
  • caratteristiche relative alla funzionalità (prestazioni, rispondenza agli scopi per cui il bene è stato acquistato, facilità d’uso, ecc.);
  • caratteristiche relative alla sicurezza d’uso;
  • caratteristiche relative al rispetto dell’ambiente durante l’intero ciclo di vita;
  • caratteristiche relative alla economicità del suo uso;
  • caratteristiche di affidabilità, cioè di mantenere inalterate nel tempo le sue funzionalità.

Un consumatore evoluto pretende il massimo in relazione al prezzo pagato e non esita a manifestare disappunto se le sue attese non trovano riscontro nelle caratteristiche qualitative del prodotto.
La qualità attesa del prodotto è strettamente legata al valore che il consumatore attribuisce al prodotto che confrontato con il prezzo di acquisto determina o meno l’avverarsi della transazione. Nel corso di Gestione industriale della qualità avete studiato i sistemi per la gestione della qualità, i processi per il miglioramento degli standard qualitativi e gli indicatori di qualità più utilizzati.
In conclusione il consumatore è oggi molto più attento al rapporto qualità/prezzo e il livello di competizione tra le imprese spinge a collocare sul mercato prodotti di qualità sempre più alta, a prezzi sempre più bassi e puntualmente con le richieste dei consumatori (better, cheaper and on time delivered products).

Q.3
Alla luce di quanto sopra commentate la seguente domanda: La qualità della produzione italiana sarà in grado di compensare la pressione competitiva sui prezzi?

L’immagine del prodotto
Non sono solo questi i fattori che determinano l’affermarsi di un prodotto sul mercato. Un altro fattore fondamentale è legato alla capacità dell’impresa di costruire una immagine intorno al prodotto o alla marca (al brand) che lo presenta al consumatore per sollecitarne l’acquisto. Mentre i fattori costo, tempo e qualità sono in qualche modo sotto la diretta influenza delle attività degli ingegneri, la costruzione e la distribuzione dell’immagine associata ad un prodotto fanno riferimento a discipline diverse e ancora distanti dall’area dell’ingegneria: semiotica, psicologia, sociologia, scienze della comunicazione. Per questo pur avendo sottolineato la sua importanza come fattore di affermazione del prodotto, anche quando abbiamo brevemente introdotto il concetto di metaprodotto, non ce ne occuperemo nel corso. Qui si vuole solo sottolineare il fatto che la realizzazione di uno spot televisivo o di un poster  pubblicitario è frutto di studi accurati che tendono a fissare l’attenzione del consumatore facendo leva su specifiche caratteristiche della sua personalità ed a determinare un desiderio di possesso di quel determinato bene.

Riquadro 6 – Le public relations - Lelio Demichelis, scrive sulla Stampa del 6 marzo 2004, in una recensione del libro di André Gorz, L’immateriale, Bollati Boringhieri: “ Ci sono uomini che cambiano il mondo ma restano sconosciuti. Come Edward Barnays. Negli anni venti del ‘900, Barnays si era stabilito negli USA, iniziando ad applicare all’industria e al mercato i principi della nascente psicoanalisi, creando una nuova disciplina, i rapporti con il pubblico, le public relations. In libri e articoli aveva dimostrato che se i bisogni delle persone sono necessariamente limitati, così non lo sono i loro desideri. Per far muovere la macchina economica era sui desideri e sulla loro creazione che bisognava dunque agire, facendo appello - con la pubblicità - non più al senso pratico delle persone ma alla loro irrazionalità desiderante. La pubblicità doveva quindi costruire soprattutto un messaggio capace di trasformare i prodotti in simboli, in immagini di immedesimazione tra consumatore e oggetto desiderato. Nasceva la cultura del consumo, tecnica potentissima per la produzione di consumatori-tipo, di persone capaci di trovare nel consumo il loro io più intimo. “Voi avete trasformato le persone in instancabili macchine della felicità”, disse a  Barnays il presidente americano Hoover, nel 1928.”
Per contro
Un pubblicitario, fuoriuscito, sbattendo la porta, da una importante agenzia, ha scritto un interessante libro in cui vengono descritti alcuni di questi meccanismi. Frédéric Beigbeder, 26.900, Feltrinelli, 2001. Leggiamo un passo:” Sono un pubblicitario: ebbene si, inquino l’universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. Io vi drogo di novità. E il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma”.

La marca o il brand del prodotto
Un modo di fare percepire al consumatore un prodotto in modo unico, e quindi tentare di ricostruire una sorta di monopolio, non è un concetto nuovo. Già nel 1908 Young scriveva: “Un buon prodotto, mettendo insieme eccellenza e promozione può avere un valore molto alto. L’acquirente di ostriche, per esempio, può percepire che quando acquista ostriche di una marca particolare cui è associato un marchio, sta acquistando ostriche più qualcosa di altro; in altre parole, non semplicemente un’ostrica come viene venduta da altri ma una eccellenza particolare che in nessun altro posto può essere ottenuta. E’ proprio questo più qualcosa di altro che crea una sorta di monopolio. Il marchio è un controllo non sull’ostrica ma sul nome che è di proprietà del venditore e che nessun altro può utilizzare.” Tratto da David Warsh, Knowledge and the Wealth of Nations: A Story of Economic Discovery, Norton, 2006, p.110.
Ritroviamo queste strategia di marca in tanti prodotti di consumo (Nutella, Kinder, Mulino Bianco, Coca Cola, …..).

Q.4
Per diverse categorie di prodotto, elettronica, meccanica, moda, ecc. identificate dieci brand di grande visibilità.

Gli occhiali: portalenti o accessorio
InSuzanne Berger, Mondializzazione: Come fanno per competere?, Garzanti, 2006, p. 205 si legge: “La differenza tra le montature italiane che si vendono a parecchie centinaia di dollari e le montature cinesi dipende anche dall’impiego di materiali più costosi, come il titanio. Ma la differenza principale, quella che spiega in gran parte lo scarto di prezzo, sta nel fatto che la montatura da 18 dollari è un semplice portalenti, come l’ha definita uno dei dirigenti italiani che abbiamo intervistato, mentre quella da 300 dollari è un accessorio. Le aziende italiane hanno saputo trasformare gli occhiali, nati come protesi per i difetti visivi, in prodotti alla moda che sono autentici oggetto del desiderio.”

L’investimento nella marca, nel brand, come tutti gli investimenti aziendali deve produrre concreti ritorni economici. E questo investimento richiede che i diversi fattori di cui abbiamo parlato siano tra loro coerenti. Se promettiamo raffinatezza, i materiali, il design, la qualità realizzativa, il servizio al cliente devono essere coerenti. In presenza di questa coerenza la marca segna il prodotto aumentandone il valore economico percepito da parte del consumatore. L’aumento di valore conferito dal brand può, talvolta, essere tanto alto che il costo di produzione diretto dell’oggetto è solo una piccola frazione del prezzo di mercato (v. il caso di alcune delle maggiori griffe italiane - costo industriale di una borsa 30 € venduta 400 €). L’aumento di valore che aggiunge la marca è ovviamente legato alla efficacia del processo di trasmissione del messaggio tra l’ideatore dell’identità del prodotto ed il consumatore (scelta dei mezzi di trasmissione in funzione del target TV – quali programmi e quali fasce orarie?, Giornali – quali testate? Comunicazione esterna Si o No?, ecc.).

Tecnologia, Design, Modelli di Business, Identità sono fattori competitivi che trovano corrispondenze nei quattro fattori che sono stati elencati precedentemente.
Tecnologia e Design sono fortemente correlate con il concetto di qualità, i modelli di business con il fattore tempo e costo/prezzo, identità del prodotto è legata all’immagine che ne dà il produttore. (Interessante filmato di National Geographic – Megafabbriche – il caso Jaguar).

Le strategie competitive
Una opportuna combinazione dei fattori costo, tempo, qualità e immagine operata da un’impresa determina ed orienta la domanda del consumatore e le scelte adottate sui singoli fattori determinano le quantità di prodotto richieste dal mercato. I volumi sono ovviamente correlati con le scelte effettuate dalla concorrenza.
Ma, in un contesto sempre più competitivo, le imprese oltre a porre l’attenzione sui fattori sopra indicati sono state costrette ad adottare strategie competitive specifiche che hanno determinato un impatto significativo sulle modalità di gestione della produzione industriale. Il ricorso a queste strategie è da un lato legato alla necessità di costruire un rapporto privilegiato con il consumatore e dall’altro alla necessità di contrastare la progressiva erosione dei margini di profitto causata dalla concorrenza.

Tre linee di tendenza vengono di seguito elencate. La differenziazione di prodotto, la diversificazione e la innovazione di prodotto. Questi concetti vengono studiati in altri corsi ma vengono qui richiamati solo in funzione degli effetti che essi determinano sulla struttura produttiva.

La differenziazione di prodotto
Ci si riferisce con questo termine alle attività poste in essere dalle imprese industriali per rendere disponibili ai consumatori prodotti che si distinguano, per specifici mix di attributi, da quelli della concorrenza.  La sopra richiamata natura sempre più individuale del consumatore spinge le imprese ad accurate analisi delle caratteristiche dei prodotti concorrenti per identificare quelle aree di prodotto meno presidiate e quindi a più bassa concorrenza che consentono all’impresa di soddisfare al meglio la individualità del consumatore non pienamente soddisfatto dalle produzioni esistenti. A seguito di queste analisi l’impresa indirizza la produzione su specifiche nicchie di mercato puntando ad esaltare gli elementi che differenziano il suo prodotto da quello dei concorrenti. La definizione di nicchia di mercato richiede la identificazione di un mix di attributi che contribuisce alla definizione di uno specifico target di mercato. Per esempio, nel settore della nautica da diporto, un mix di produzione a basso costo, design moderno e prestazioni veliche, può coprire una fascia di mercato dove operano pochi concorrenti.

La diversificazione di prodotto
Questa strategia viene perseguita dall’impresa industriale, sempre ragionando sulla individualità del consumatore, ma questa volta invece che raffrontandosi con la concorrenza per trovare gli elementi di differenziazione dalla sua produzione cercando piuttosto di ampliare le caratteristiche del proprio portafoglio prodotti per fare sì che il consumatore sia pienamente soddisfatto dalla variante scelta. Esempio tipico è l’aumento del numero delle versioni disponibili (colori, allestimenti, motorizzazioni) di un dato modello di autovettura. La strategia di diversificazione di prodotto ha un forte impatto sulle operations poiché riduce le regolarità nella produzione e aumenta il numero di prodotti e sottocomponenti da gestire. In sostanza la necessità di soddisfare la individualità del consumatore mette in crisi i principi di standardizzazione su cui si è basato il successo della industrializzazione di massa. Emerge sempre più chiaramente il concetto di mass customization (personalizzazione di massa) contrapposto a quello superato di produzione di massa (l’abito su misura e quello a taglie standard).

L’innovazione di prodotto
In un mercato globale, e pertanto ad alta competizione, solo i prodotti migliori riescono a stare sul mercato. La concorrenza tra i prodotti spinge anche verso una riduzione dei margini di profitto delle imprese. Inoltre la saturazione di prodotto che caratterizza i mercati più avanzati richiede ragioni sempre più forti per la sostituzione di un prodotto, che il consumatore già possiede e che possibilmente assolve adeguatamente alle funzioni che deve svolgere, con uno nuovo (in molti settori auto, computer, elettrodomestici la motivazione all’acquisto di un prodotto è la sostituzione di un prodotto che già si possiede con uno più confacente ai propri desideri e non la soddisfazione del bisogno primario).

Q.5

Elencate le ragioni per cui prendete in considerazione l’idea di sostituire il vostro telefonino perfettamente funzionante?

Per stare sul mercato le imprese sono pertanto costrette ad azioni di costante miglioramento della qualità dei propri prodotti per soddisfare sempre meglio le attese e il desiderio di novità dei consumatori. Questo processo di costante miglioramento prende il nome di innovazione di prodotto e può riguardare caratteristiche diverse dello stesso (prestazioni, funzionalità, design, ecc.). La dinamica dell’innovazione è oggi sempre più accelerata dal livello di competizione che caratterizza un determinato mercato.
Il risultato dell’accelerazione dei processi di innovazione è una progressiva riduzione della durata del ciclo di vita del prodotto. Mentre prima le imprese costruivano prodotti destinati a rimanere sul mercato per molti anni oggi sono costrette a periodiche revisioni dei prodotti (che possono avere caratteristiche incrementali, nuovo disegno della camera di combustione in un motore a scoppio, dal microprocessore 386 al 486, o radicali, dalla fotografia a pellicola a quella digitale, dal televisore a tubo catodico a quello al plasma, dal motore ad elica al jet, dalla macchina da scrivere al word processing) con intervalli di tempo che diventano sempre più brevi. Anche questa strategia come quella di diversificazione ha un impatto significativo sulle operations in quanto impatta sulle tecnologie di processo e sulla periodica revisione della distinta base, degli impianti e dei piani di approvvigionamento e di produzione.
I processi di innovazione di prodotto (ci sono altri quattro tipi di innovazione) si riscontrano in tutti i settori industriali, inclusi quelli considerati maturi, e hanno come denominatore comune l’impiego di nuove conoscenze scientifiche e l’implementazione innovativa di nuove tecnologie spesso in ottica di rete.
“L’innovazione permette di spostarsi continuamente su fasce più elevate di prodotto, che consentono di mantenere, attraverso margini più remunerativi, la competitività dell’azienda. Si tratta, è ovvio di una corsa continua per contrastare, attraverso l’arricchimento del valore di processi e produzioni, da un lato l’enorme differenziale nei costi del lavoro e dall’altro, il vivacissimo progresso tecnologico dei paesi in via di rapido sviluppo “ (v. Pasquale Pistorio)

Queste sfide ci fanno rendere conto del fatto che oggi stare sul mercato è molto più difficile di prima e che il livello di conoscenza e professionalità che le imprese richiedono è di livello sempre più alto.


Riquadro 7How did the industrial world change?Prof. Joaichim Milberg past CEO BMW.
E’ interessante a questo punto riportare la visione di Milberg sul cambiamento nel mondo industriale. Il commento si articola in sette punti:
1) La produzione deve seguire sempre di più il mercato, la globalizzazione è pienamente entrata in tutte le attività industriali.
Approvvigionamenti, produzione e vendite sono diventate operations di natura globale e sempre più frequentemente anche le attività di ricerca e sviluppo stanno iniziando a seguire questo trend. Nella produzione ciò implica una pressione crescente sui costi e sulla razionalizzazione delle attività poiché la competizione globale permette a territori con forti differenze nelle condizioni generali di competere l’uno con l’altro. Allo stesso tempo ciò anche implica una crescente domanda di flessibilità per potersi confrontare sia con un grande numero di versioni di prodotto specifiche per le nazioni per cui sono costruite sia per i diversi luoghi di produzione. Questo implica una forte domanda di mobilità per gli ingegneri di produzione.

2) Il futuro della produzione è strettamente connesso con il futuro del lavoro.
Lo scopo della produzione è quello di fabbricare prodotti migliori, più rapidamente e a costi più bassi. Le attività di ricerca servono a questi scopi. Per rimanere competitivi sono necessari continui incrementi di produttività. Ciò implica una riduzione di addetti a meno che l’incremento di produttività non sia compensato da incrementi di volumi. In passato abbiamo assistito a migrazioni di lavoro tra le frontiere dei luoghi di produzione. Allo stesso tempo molti paesi industrializzati stanno cercando di risolvere i loro problemi di occupazione.

3) La protezione dell’ambiente ha un impatto crescente sulla produzione.
La protezione dell’ambiente e la conservazione delle risorse naturali, attraverso prodotti e processi idonei, da un lato sono obiettivi vitali per la vita dell’uomo e dall’altro pongono difficili sfide sotto il profilo tecnico ed economico (su questo punto v. Pistorio). La diversità di atteggiamento delle nazioni nei confronti dei problemi ambientali e i relativi quadri legislativi che regolano le attività di produzione industriale continuano a manifestarsi, almeno in molti paesi industrializzati, e ciò quindi diventerà un fattore di costo e competizione nel confronto internazionale tra le nazioni.

4) Il progetto del prodotto e la pianificazione della produzione stanno diventando sempre più interconnessi e pertanto è sempre più difficile separare una fase dall’altra.
L’applicazione dei concetti dell’ingegneria concorrente (simultaneous engineering) e cioè l’integrazione dei processi di progettazione del prodotto con quelli di pianificazione della produzione ha ormai preso il posto dell’approccio convenzionale che prevedeva una sequenza di fasi distinte (progettazione – ingegnerizzazione – fabbricazione). Pertanto oggi il know-how per la produzione è centrale per la progettazione e configurazione di un prodotto che sia di successo e competitivo. La combinazione ottimale di nuovi materiali e nuovi processi di fabbricazione con un appropriato progetto del prodotto sta diventando un fattore di competizione sempre più importante.

5) I clienti, la produzione e i fornitori stanno diventando sempre più interconnessi in reti.
Nel passato il cliente, la produzione e i fornitori erano per lo più separati uno dall’altro. Per esempio, il cliente difficilmente riusciva a esercitare qualche influenza sulle particolari caratteristiche di un’autovettura. Oggi, invece, il cliente è in grado di configurare gli options e di richiedere speciali dispositivi su una vettura in funzione di suoi desideri individuali e ciò fino a poco prima che avvenga la consegna del prodotto. Ciò ha evidentemente impatto nelle relazioni con i fornitori. Un altro punto è relativo ad internet che, insieme alla possibilità di effettuare ordini on-line, assicurerà in futuro (cosa già oggi possibile in molti casi) una produzione “trasparente” mettendo in condizione il cliente di seguire costantemente lo stato del suo ordine.

6) La produzione è il risultato degli uomini, delle strutture organizzative e della tecnologia.
Il progresso nella produzione richiede approcci innovativi nella gestione del fattore umano, organizzativo e tecnologico. Tutti e tre i fattori sono egualmente importanti. Pertanto un’impresa focalizzata esclusivamente sui miglioramenti nella tecnologia si troverà rapidamente in una strada senza uscita. Stabilimenti e locations produttive rimarranno competitive soltanto se useranno contemporaneamente nuovi concetti per la gestione dei tempi di lavoro, se le strutture organizzative sapranno spingere sulla motivazione delle persone e se gli impianti di produzione saranno moderni. Invece di cercare solo il meglio della tecnologia è necessario cercare il meglio in termini generali. La visione meccanicistica, centrata sulla tecnologia della produzione deve crescere in una immagine tridimensionale riguardante, l’uomo, la organizzazione e la tecnologia.

7) La produzione è più di un processo meccanico.
L’incremento di efficienza e l’introduzione di nuove tecnologie fanno emergere nuove questioni. A parte la produzione nel senso diretto della parola, bisogna sempre più prendere in considerazione il coordinamento e il controllo di locations produttive sparse in tutte il mondo, l’interconnessione logistica degli stabilimenti e le strategie per il posizionamento globale dei siti produttivi. Allo stesso tempo l’uso dei computers e l’automazione flessibile ha rivoluzionato la produzione determinando un crescente livello di automazione sempre più sofisticata. 

Sui temi della globalizzazione, dell’innovazione e delle sfide per il futuro della produzione industriale si consiglia inoltre la lettura del volume realizzato nel giugno 2002 in occasione del conferimento della laurea ad honorem in Ingegneria gestionale a Pasquale Pistorio, all’epoca Presidente e CEO della STMicroelectronics.

2.3 – Le risorse della tecnologia per la produzione
Quanto finora esposto presenta la scenario in cui si trovano ad operare le imprese industriali. Le forze del cambiamento hanno contribuito a modificare drasticamente le attività di produzione. Quando parliamo di produzione ci riferiamo ad un insieme di attività concatenate che riguardano:
1) Progettazione del prodotto (product design)
Sulla base delle analisi di mercato di prodotti concorrenti (diverso è l’approccio nel caso di prodotti nuovi) vengono definite le specifiche del progetto di un prodotto industriale. Esse riguardano, forme, dimensioni, tolleranze, materiali, componentistica, funzionalità, prestazioni. Insomma tutto ciò che, a partire da un’idea generica di prodotto, viene richiesto in termini di contenuto informativo per procedere alla fase successiva di ingegnerizzazione.
2) Ingegnerizzazione del prodotto (process planning)
I dati progettuali costituiscono l’input per le attività di ingegnerizzazione del prodotto cioè per la definizione dei processi di lavorazione che consentono di trasformare materie prime e semilavorati in un prodotto industriale. Le scelte riguardano gli impianti di produzione, le modalità di esecuzione dei processi tecnologici, la progettazione e o la selezione di attrezzature ausiliarie, la definizione delle sequenze di assemblaggio dei componenti che possono essere acquistati o fabbricati in casa. In sostanza la definizione delle operazioni tecnologiche (manufacturing+assembly) da svolgere sugli impianti di produzione per pervenire alla realizzazione del prodotto industriale controllando variabili come volumi, costi, qualità, tempo.
La durata delle fasi 1 e 2 più i tempi necessari per la messa a regime dell’impianto di produzione prende il nome di Time to Market e misura il tempo intercorrente dall’idea iniziale alla immissione (o lancio) del prodotto sul mercato. In un mercato sempre più competitivo e innovativo la compressione del Time to Market è una delle sfide più importanti che le imprese si trovano a dover fronteggiare.
3) Approvvigionamento e lavorazione (procurement e manufacturing+assembly)
La prima fase è responsabile del reperimento delle materie prime destinate alle lavorazioni interne ma anche del reperimento della componentistica (prodotti intermedi che verranno assemblati nel prodotto finito) nelle quantità e nei tempi necessari per completare in tempo i processi di lavorazione. La seconda invece, utilizzando le informazioni definite nella fase di ingegnerizzazione, impiega gli impianti di produzione per la realizzazione del prodotto.
4) Gestione della qualità (quality management)
Questa fase è destinata a verificare che il prodotto realizzato sia conforme alle specifiche definite nella fase di progettazione. Prevede la messa punto delle idonee procedure di collaudo sia sui materiali in ingresso sia durante le fasi di lavorazione sia sul prodotto finito. In effetti con il termine gestione della qualità si intende un insieme di attività trasversali a tutte le funzioni aziendali finalizzate alla soddisfazione del cliente finale.
5) Distribuzione del prodotto (product delivery)
Questa fase è responsabile delle operazioni di stoccaggio, spedizione e distribuzione del prodotto al cliente. Il cliente può essere un altro produttore o il cliente finale. Se il prodotto è pronto per il consumo finale – in questo caso il cliente finale può essere il consumatore direttamente o un altro sistema di distribuzione che provvederà, con varie modalità, alla consegna del prodotto finito al consumatore finale – esempi: acqua minerale, pasta, motori elettrici, sistemi frenanti, macchina utensile, nave, aeroplano, fotocamere.

Queste le fasi della funzione produzione. Il coordinamento di tutte queste attività richiede specifiche procedure gestionali e la gestione della produzione industriale è una di queste. In questo corso introduttivo alla gestione della produzione industriale ci concentreremo sugli aspetti maggiormente legati alla fase 3 – approvvigionamento e lavorazione curando gli aspetti legati alla gestione dei materiali e delle risorse della produzione in relazione agli obiettivi di mercato che l’impresa si prefigge di raggiungere.

Con lo scopo di evidenziare il ruolo delle tecnologie di produzione ai fini della competitività dell’impresa industriale, ci concentreremo adesso sulle attività di lavorazione, mettendo in luce come le innovazioni nelle tecnologie di produzione che si sono affermate negli ultimi cinquanta anni danno risposta alle sollecitazioni che i nuovi scenari di mercato precedentemente descritti riversano sul mondo della produzione industriale.

Il settore che prenderemo in considerazione riguarda le lavorazioni meccaniche per asportazione di truciolo che, prima di ogni altro (anche per la rilevanza economica che riveste nelle attività industriali), è stato interessato dai processi di innovazione che descriveremo. Tuttavia il percorso tracciato può essere ritrovato in altri settori industriali (dal tessile, al calzaturiero, al mobile, ecc.).
Le attività di produzione a cui faremo riferimento fanno parte dei processi di produzione discreta (in contrapposizione ai processi di produzione continua).
Le attività di produzione discreta, in cui cioè gli oggetti fabbricati possono essere individualmente identificati, sono classificabili in produzioni di grande serie, media serie e piccola serie. Queste produzioni possono essere posizionate su un diagramma cartesiano varietà/volumi.
Le produzioni di grande serie sono caratterizzate da bassa varietà e alti volumi.
Produzioni tipiche sono le produzioni automobilistiche, in particolare quelle nelle fasce di costo bassa o media, le produzioni dell’elettronica di consumo, degli elettrodomestici ma anche quelle di prodotto a basso valore come gli accendini o i prodotti tessili di massa.
Le produzioni di media serie sono caratterizzate da media varietà e medi volumi.
Un settore tipico è quello delle produzioni di beni strumentali o di componentistica.
Le produzioni di piccola serie sono caratterizzate da alta varietà e bassi volumi.
Settore tipico è quello dei prodotti fabbricati su commessa (navi, grù o prodotti di alta moda).
E’ evidente che la dimensione della serie non è legata alle dimensioni aziendali (una impresa costruttrice di navi è una grande impresa che produce in piccola serie).
Nelle tre tipologie di sistemi di produzione sopra indicate vengono impiegati due modelli di riferimento della produzione radicalmente distinti nei principi fondamentali.

2.3.1 I modelli di riferimento della produzione discreta
Il primo di cui parleremo viene impiegato nelle produzioni di grande serie. Il secondo nelle produzioni di media e piccola serie.
Il modello di riferimento della produzione di grande serie
In questo caso la fabbricazione riguarda prodotti che vengono realizzati in grandi volumi in un ristretto numero di varianti e che solitamente stanno sul mercato su orizzonti temporali lunghi. Valore dei volumi e ampiezza dell’orizzonte temporale consentono e giustificano, sotto il profilo dell’economia dell’investimento, di dedicare uno specifico impianto alla fabbricazione di un dato prodotto.
Il modello di riferimento mette in relazione le fasi o le operazioni tecnologiche, definite nella ingegnerizzazione del prodotto, con le risorse identificate per la loro esecuzione. Nel caso della destinazione di un impianto alla realizzazione di un unico prodotto l’assegnazione delle fasi alle risorse è statica, permanente, invariabile nel tempo.
Ciò rende possibile, e se ne tiene conto in sede di progettazione dell’impianto, di raggruppare specifiche operazioni tecnologiche in fasi da svolgere in specifiche risorse di produzione, sequenziare temporalmente, cioè stabilire un ordine di sequenza delle fasi, e disporre conseguentemente lungo un percorso unidirezionale le risorse di produzione.
Il risultato è un impianto di produzione a flusso in cui ogni risorsa svolge in modo permanente le stesse operazioni tecnologiche. Il corrispondente layout prende il nome di layout per prodotto (o layout in linea) e possiamo affermare che l’impianto è progettato in funzione dell’unico prodotto che deve fabbricare e il suo ciclo di vita coincide con quello del prodotto.

Il modello di riferimento delle produzioni di media e piccola serie
Situazione diametralmente opposta troviamo nelle produzioni di media o piccola serie.
In questo caso la fabbricazione riguarda prodotti che vengono realizzati in medi o bassi volumi in un numero di varianti più o meno ampio e che solitamente stanno sul mercato su orizzonti temporali di medio/breve periodo. Entità dei volumi e ampiezza dell’orizzonte temporale non consentono, nel senso che non giustificano sotto il profilo dell’economia dell’investimento, di dedicare uno specifico impianto alla fabbricazione di un solo prodotto. E pertanto, per saturare la capacità produttiva di un impianto destinato a produzioni di media e piccola serie, si rende necessario fabbricare sullo stesso impianto più prodotti  fino a saturarne la capacità produttiva o comunque raggiungere una economica utilizzazione delle risorse.
Come già detto, il modello di riferimento mette in relazione le fasi o le operazioni tecnologiche, definite nella ingegnerizzazione del prodotto, con le risorse identificate per la loro esecuzione. Nel caso della destinazione di un impianto alla realizzazione simultanea di più prodotti l’assegnazione delle fasi alle risorse è inevitabilmente dinamica, intermittente, variabile nel tempo.
Il raggruppamento di specifiche operazioni tecnologiche in fasi da svolgere in apposite risorse di produzione e la conseguente definizione della sequenza di visita delle risorse impone questa volta un percorso specifico (cioè una sequenza di visita delle risorse) che è dipendente dal ciclo tecnologico del singolo prodotto. Conseguentemente i flussi di materiale perdono la caratteristica di unidirezionalità che abbiamo rilevato nel caso della produzione di grande serie.
Il risultato è un impianto di produzione in cui ogni risorsa svolge in modo intermittente operazioni tecnologiche di diversa natura operando su prodotti diversi. Il corrispondente layout prende il nome di layout per processo (o layout per reparto) e possiamo affermare che l’impianto ha un ciclo di vita separato da quello dei prodotti che in esso si fabbricano (alcuni prodotti possono essere sostituiti, ci possono essere variazioni nei mix dei volumi di produzione, ecc.).
E’ importante adesso sottolineare il fatto che il cambio di destinazione di uso della generica risorsa WSi per passare, per esempio, dalla produzione del prodotto A a quello C sottrae capacità produttiva alla risorsa. Infatti il cambio di missione produttiva può richiedere la sostituzione di utensili, attrezzature, operazioni di registrazione e messa a punto del processo il cui tempo prende il nome di tempo di attrezzaggio. Durante le operazioni di attrezzaggio la risorsa non è in grado di produrre e pertanto si riduce la sua capacità produttiva. Inoltre poiché le operazioni di attrezzaggio generano costi che si scaricano sui prodotti fabbricati, per limitare l’incidenza di questi costi e per ridurre la perdita di capacità produttiva complessiva la produzione avviene per lotti la cui dimensione è dipendente come vedremo dai costi di attrezzaggio. Tanto maggiori saranno i costi di attrezzaggio tanto maggiore sarà la dimensione del lotto. La crescita della dimensione dei lotti determina un aumento delle scorte di lavorazione e come vedremo del tempo di attraversamento dei prodotti. Questi problemi sono invece assenti nel caso delle produzioni di grande serie.

2.3.2 Alcuni indici di misura dell’efficienza produttiva
In un sistema di produzione, ai fini della valutazione della efficienza produttiva, possiamo osservare due fenomeni:
1) il flusso delle parti che attraversano il sistema
seguendo il fluire delle parti in lavorazione attraverso i vari componenti del sistema possiamo effettuare delle valutazioni quantitative sulle modalità di attraversamento delle parti;
2) le modalità con cui le risorse, o i vari componenti del sistema produttivo, vengono utilizzati dalle parti durante la esecuzione del ciclo di lavorazione.
L’osservazione di questi fenomeni e la esecuzione di alcune misure sui tempi in gioco nei due fenomeni consentono la definizione di alcuni indici.

Il tempo di attraversamento e l’indice di flusso
Con riferimento al flusso delle parti, la prima osservazione è la misura del tempo intercorrente tra l’istante di ingresso della parte grezza nel sistema, I, e l’uscita della stessa in corrispondenza del completamento del ciclo di lavorazione, C. Questo intervallo di tempo definisce il tempo di attraversamento della parte, TA = C – I.
Il tempo di attraversamento è costituito da diverse componenti di tempo:
1) il tempo di attesa W che è dato dalla somma di tutti i tempi di attesa che la parte è costretta a subire prima di essere accettata dalle risorse che deve visitare in accordo con il ciclo di lavorazione;
2) il tempo di trasporto TT che è dato dalla somma di tutte le operazioni di trasferimento della parte tra le risorse del sistema che la parte deve visitare in accordo con il ciclo di lavorazione;
3) il tempo di occupazione delle risorse o tempo tecnologico T che è dato dalla somma di tutti i tempi delle fasi del ciclo di lavoro e cioè dei tempi di impegno di tutte le risorse che la parte deve visitare in accordo con il ciclo di lavorazione. Con riferimento ad una sola fase di lavorazione, che per semplicità di esposizione possiamo supporre composta da una sola operazione tecnologica, e che cioè prevede l’impiego di un solo utensile, a sua volta il tempo di occupazione della risorsa, che abbiamo definito tempo tecnologico T, può essere scomposto in due componenti di tempo. Il tempo in cui l’utensile mantenendosi a contatto con il pezzo asporta materiale e cioè modifica le proprietà del grezzo, in questo caso la geometria. Definiamo questo valore tempo macchina, Tm.
I tempi accessori, e nell’ordine, l’eventuale tempo di attrezzaggio, il tempo di montaggio del grezzo sulla macchina (operazioni di posizionamento e bloccaggio), il tempo di accostamento dell’utensile al pezzo, il tempo di allontanamento dell’utensile dal pezzo, il tempo di smontaggio del pezzo dalla macchina. Definiamo tempi ausiliari, Taux, la somma di tali tempi.
Pertanto sarà T = Tm + Taux. Nel caso più generale in cui il ciclo di lavorazione è composto da più fasi e ogni fase prevede lo svolgimento di più operazioni tecnologiche Tm e Taux saranno dati dalla somma di tutte le componenti di tempo delle singole operazioni tecnologiche.
Pertanto possiamo anche definire il tempo di attraversamento TA = W + TT + T.
Dove, ricordiamo, è T = Tm + Taux.
Sempre nel caso delle lavorazioni per asportazione di truciolo si noti che, ai fini della generazione di valore aggiunto, che consente di recuperare il costo d’uso dell’impianto, l’unica componente del tempo di attraversamento durante la quale si crea valore, nel caso in specie, modificando attraverso processi di asportazione di materiale la geometria del grezzo, è il tempo Tm. Durante tutti gli altri tempi, pur essendo essi relativi ad attività funzionali al processo, sosteniamo solo costi (di immobilizzazione di materiale e di occupazione di spazi, durante le fasi di attesa; di energia, di manodopera, di ammortamento di attrezzature e di occupazione di spazi durante le fasi di trasporto e analogamente durante le fasi delle operazioni ausiliarie) senza aggiungere valore al pezzo. Solo quando l’utensile asporta materiale e, progressivamente, modifichiamo la geometria del grezzo aggiungiamo valore alla parte in lavorazione. Il valore aggiunto deve essere in grado di assorbire tutti i costi di produzione e di far conseguire un margine di profitto.
Queste ultime considerazioni suggeriscono di definire un indice di prestazione produttiva, con riferimento al fenomeno del flusso delle parti, mettendo a confronto il tempo tecnologico o il tempo macchina relativi a una parte con il suo tempo di attraversamento. Possiamo definire pertanto per ciascuna parte l’indice di flusso IF = T / TA o IF = Tm / TA. Si possono usare entrambe le definizioni ma la prima è di più semplice misura poiché T è più semplice da osservare rispetto a Tm. Evidentemente quanto più prossimo ad 1 è il valore di IF tanto maggiore è la quota del tempo di attraversamento destinata alla esecuzione di operazioni che aggiungono valore.
Teoricamente sarebbe auspicabile che tutto il tempo di attraversamento fosse costituito dalla componente di tempo macchina (parliamo sempre di lavorazioni per asportazione di truciolo ma è facile costruire analogie con altri processi tecnologici). Se così fosse, in un diagramma che riporta in ascissa il tempo che una parte trascorre nel sistema e in ordinata il valore cumulato del valore aggiunto, assisteremmo ad una crescita rapida del valore aggiunto. Viceversa se i valori di IF sono prossimi a 0, la crescita del valore aggiunto è molto lenta e la incidenza dei costi delle operazioni non a valore aggiunto diventa una parte rilevante del costo industriale. Possiamo pertanto affermare che valori alti di IF si riferiscono a produzioni che possiamo definire ad alta efficienza produttiva mentre valori bassi sono sintomo di bassa efficienza produttiva.

Il coefficiente di utilizzazione delle risorse
Con riferimento invece al fenomeno relativo alla utilizzazione delle risorse prendiamo in considerazione le seguenti misure.
Data una risorsa generica WSi, consideriamo il tempo di osservazione, Toss, della stessa. Per esempio se vogliamo osservare il funzionamento della risorsa durante un anno risulta Toss = 365 x 24 = 8760 ore.
Ai fini della valutazione della utilizzazione della risorsa prendiamo in considerazione la somma di tutti i tempi tecnologici SumT relative alle fasi eseguite su tutte le parti che sono state lavorate sulla specifica risorsa durante Toss. In effetti, se vogliamo stressare il concetto di utilizzazione della macchina, possiamo prendere in considerazione la quota della sommatoria dei tempi tecnologici relativa alle sole attività di asportazione di materiale  SumTm.
Una specifica misura di coefficiente di utilizzazione delle risorse può essere definito dal rapporto UT = SumTm / Toss. Questa misura rappresenta la quota del tempo di osservazione della risorsa destinata alla esecuzione delle operazioni di effettiva asportazione di materiale (che è la vera ragione per cui la risorsa è stata acquistata dall’impresa che ne fa uso). E’ evidente che UT può variare tra 0 e 1 e che, per piccoli valori di UT, ci troviamo in presenza di processi produttivi a bassa efficienza poiché in questo caso solo una piccola frazione di Toss è utilizzata dalla macchina utensile per asportare metallo.
Si noti che questa definizione non coincide con quella comunemente accettata di coefficiente di utilizzazione di una risorsa e di cui parleremo in seguito.

Le misure di prestazione nelle produzioni di media e piccola serie
Nella produzione manifatturiera le produzioni organizzate secondo il modello di riferimento della media e piccola serie costituiscono una quota significativa del totale del manifatturiero. Nathan Cook, docente del MIT, in uno studio che tra poco citeremo, nel 1975 valutava che negli Stati Uniti fra il 50 e il 75 per cento della spesa complessiva del paese per la fabbricazione di pezzi era relativa a produzioni di questo tipo e che vi era impiegata il 40 per cento di tutta la forza lavoro.
Inoltre, per quanto descritto nei paragrafi precedenti a proposito degli attuali scenari di mercato, la continua diversificazione della produzione spinge verso un ampliamento della varietà e la rapidità dei processi di innovazione dei prodotti, riducendo il ciclo di vita degli stessi, possono far venir meno in molte attività manifatturiere le ragioni che giustificano l’adozione del modello di riferimento della grande serie.
Studi effettuati negli USA, in Germania, in Russia intorno al 1970, sempre riferiti alle tecnologie ad asportazione di truciolo, hanno tutti confermato che le produzioni organizzate secondo il modello di riferimento della piccola e media serie sono estremamente inefficienti e ciò è confermato dai valori riscontrati negli indici di prestazione sopra definiti.
Con riferimento all’indice di flusso medio di una parte, fatto 100 il valore del tempo di attraversamento, si è riscontrata una quota pari a 95 per la somma dei tempi di attesa e di quelli di trasporto e una quota pari a 5 per la somma dei tempi tecnologici. Pertanto solo il 5% del tempo di attraversamento è trascorso mediamente da una parte sulle postazioni di lavoro delle risorse visitate durante la esecuzione del ciclo di lavorazione (IF = T / TA = 0,05).
Se invece facciamo riferimento solo ai tempi macchina la situazione è evidentemente ancora più critica e infatti mediamente solo il 30% del tempo tecnologico è destinato ad asportazione di metallo mentre il rimanente 70% è costituito dai tempi ausiliari prima definiti (IF = Tm / TA = 0,015).
Risultati altrettanto sconfortanti sono stati riscontrati per il coefficiente di utilizzazione delle risorse. Delle 8760 ore che una macchina utensile trascorre in un anno in un reparto di produzione, solo 500 ore (circa il 6%) sono destinate ad effettive operazioni di asportazione di metallo, le rimanenti ore non utilizzate sono conseguenza al fatto che la macchina è impiegata su un solo turno giornaliero di 8 ore, non lavora il sabato e la domenica, non lavora durante le chiusure dello stabilimento, e anche durante l’orario di lavoro una quota significativa è destinata allo svolgimento delle operazioni ausiliarie ed a quelle di attrezzaggio per i cambi di produzione (UT = 0,06). E’ evidente che in queste condizioni il costo d’uso della macchina è molto più alto di quanto potrebbe essere se più grande fosse il numero delle effettive ore di asportazione (e ciò è sicuramente vero almeno per quanto riguarda la quota del costo di ammortamento).

I costi nelle produzioni di media e piccola serie sono molto più alti che nelle produzioni di grande serie e ciò è strettamente legato ai valori degli indici di prestazione sopra riscontrati. Sempre facendo riferimento allo studio di Cook, la produzione del monoblocco di un tipico motore a 8 cilindri a V per automobile ha un costo di lavorazione dell’ordine di 25 dollari in un impianto di produzione dedicato (organizzato secondo il modello di riferimento delle produzioni di grande serie – in questo caso si parla di milioni di pezzi). Tale costo potrebbe facilmente aumentare a 2500 dollari se lo stesso pezzo dovesse essere fabbricato in poche unità con l’ausilio di macchine generiche e manodopera specializzata utilizzando il modello di riferimento delle produzioni di media e piccola serie.
Da un lato quindi queste produzioni sono a bassa efficienza produttiva, e ciò si traduce in alti costi di produzione, dall’altro il mercato impone a sempre più produttori un modello di produzione caratterizzato da varietà e dinamicità crescenti per meglio soddisfare la individualità e il desiderio di novità del consumatore.

La evoluzione delle tecnologie di produzione che andiamo adesso a descrivere consente di tendere a produzioni diversificate a costi comparabili con quelle standardizzate sostenendo così le strategie competitive di diversificazione e innovazione.
Per vedere come ciò sia stato possibile seguiamo il percorso evolutivo che ha caratterizzato le tecnologie di produzione negli ultimi trenta anni.

2.3.3 La evoluzione nelle tecnologie di produzione
In un articolo fortemente anticipatore dei processi di innovazione nelle tecnologie di produzione Nathan H. Cook, Fabbricazione di pezzi con il calcolatore, Le Scienze, N. 82, 1975, pp. 7 – 15 descrive con grande chiarezza la traiettoria evolutiva delle tecnologie di produzione che successivamente a questo studio si è attuata fino ai nostri giorni.
Il percorso che descriveremo trae origine dall’affermazione di due tecnologie abilitanti e cioè l’informatica e la microelettronica, che applicate in modo pervasivo a tutte le fasi della produzione, sono state protagoniste di un percorso evolutivo che si è dispiegato secondo tre direttrici fondamentali:
1) l’automazione delle operazioni;
2) la possibilità di svolgerle in modo flessibile;
3) la successiva attività di integrazione delle operazioni conseguente alla progressiva digitalizzazione del controllo delle attività.
Il percorso che descriveremo fa riferimento all’area lavorazione, sempre nel caso delle lavorazioni per asportazione di truciolo. Quanto verrà descritto evidenzierà un progressivo recupero di efficienza produttiva nelle produzioni organizzate secondo il modello di riferimento della piccola e media serie.
Per dare evidenza a questo processo di recupero di efficienza, evidenziamo nella seguente tabella le principali attività che devono essere eseguite per il completamento di un ciclo di lavoro:
1) trasportare il pezzo da lavorare fino alla macchina;
2) montare il pezzo sulla macchina effettuando le operazioni di posizionamento e bloccaggio;
3) scegliere l’utensile appropriato e inserirlo nella macchina;
4) stabilire e regolare la velocità di taglio, l’avanzamento e la profondità di passata;
5) controllare il movimento relativo tra pezzo e utensile in modo da eseguire la asportazione di metallo;
6) cambiare in sequenza gli utensili fino a completare tutte le operazioni tecnologiche previste dalla fase;
7) smontare il pezzo dalla macchina e avviarlo alla macchina dove si svolgerà la successiva prevista dal ciclo di lavorazione fino al suo completamento.
Tutte queste operazioni, in una tradizionale macchina utensile, vengono svolte dall’operatore. L’efficienza produttiva complessiva che si misura attraverso gli indici sopra descritti, e che genera il valore del costo di produzione, è il risultato della combinazione della efficienza con cui le singole attività sopra descritte vengono eseguite.
Di queste operazioni quella sicuramente più lunga e complessa è la 5. E’ proprio da questa ha inizio il percorso evolutivo che descriveremo.

La macchina a controllo numerico (Numerical Control)
Intorno al 1955, presso il MIT, viene sviluppato un primo prototipo di macchina a controllo numerico su commissione dell’aeronautica militare statunitense che richiedeva lavorazioni di parti di forma complessa. La macchina progettata prevedeva il controllo di cinque assi. La disponibilità dei primi calcolatori di quell’epoca suggerì di abbinare a una macchina utensile modificata con un controllo elettromeccanico degli assi di lavoro, una unità di controllo in grado di elaborare delle informazioni relative alla descrizione del moto dell’utensile in segnali elettrici da inviare ai sistemi elettromeccanici di attuazione responsabili della traiettoria del moto dell’utensile (attività 5) e del controllo dei parametri tecnologici (attività 4).
Il successo riscontrato dalla macchina a controllo numerico, nata per risolvere un problema tecnologico relativo alla lavorazione di superfici di forma complessa, fece però subito emergere un risvolto evidente sulle possibilità di recupero della efficienza produttiva in produzioni organizzate secondo il modello di riferimento della piccola e media serie. In queste produzioni infatti uno dei problemi maggiormente sentiti è quello relativo alla necessità di prevedere frequenti cambi di destinazione d’uso delle macchine con conseguenti inefficienze produttive che si ripercuotono sia sui valori dell’indice di flusso (principalmente perché la necessità di assorbire i tempi e i costi di attrezzaggio impone una produzione a lotti che determina un aumento dei tempi di attesa e quindi del tempo di attraversamento) sia sui valori del coefficiente di utilizzazione per la sottrazione di capacità produttiva determinata dalle operazioni di attrezzaggio. L’impiego della macchina utensile a controllo numerico invece consente di ridurre drasticamente i tempi di attrezzaggio in quanto, volendo semplificare, l’attrezzaggio consiste nella lettura del codice di informazioni associato allo specifico pezzo da fabbricare. La macchina utensile a controllo numerico pertanto rende automatica la esecuzione di un’operazione tecnologica (attività 5 e 4) e, altrettanto importante, rende automatica la fase di attrezzaggio. Questi vantaggi consentono un significativo recupero di efficienza produttiva determinando un incremento di capacità produttiva e consentendo di produrre in modo economico lotti di dimensione minore. Il risultato evidente è un aumento dei valori di UT e IF. La macchina utensile a controllo numerico per la prima volta consente di associare al termine automazione quello di flessibilità (automazione flessibile contrapposta ad automazione rigida che è stata invece la protagonista delle produzioni di massa o di grande serie).

Il sistema automatico di cambio utensile (Automated Tool Changing)
I vantaggi descritti dall’uso della macchina utensile a controllo numerico inizialmente erano limitati alla esecuzione di una sola delle operazioni tecnologiche previste da una fase del ciclo di lavoro. Volendo estendere la autonomia di funzionamento della macchina a controllo numerico dal livello di operazione al livello di fase fu necessario lavorare sulla automazione delle attività 3 e 6. Ciò si rese possibile attraverso la messa a punto di dispositivi in grado di selezionare automaticamente l’utensile richiesto da una specifica operazione tecnologica tra quelli presenti in un magazzino utensili (di svariate configurazioni) posto in prossimità o sulla macchina utensile e di montarlo in posizione di lavoro dopo la rimozione dell’utensile precedentemente impiegato. Il dispositivo è asservito alla unità di controllo della macchina e pertanto riceve le informazioni codificate sul supporto letto dalla unità di controllo. Questi dispositivi iniziano a diffondersi intorno al 1970. Il vantaggio di un sistema automatico di cambio utensile da un lato estende la autonomia di funzionamento della macchina a livello dell’intera fase del ciclo di lavorazione dall’altro incrementa il livello di flessibilità della macchina stessa, potendo questa disporre di un’ ampia gamma di utensili, ed infine rende automatica e più veloce l’operazione di cambio utensile con conseguente risparmio sui tempi ausiliari. Anche qui, a seguito di questa innovazione, assistiamo a recuperi di efficienza produttiva misurata attraverso UT e IF. Si noti come intorno alla macchina utensile si affiancano dispositivi che ne trasformano la natura tanto che viene introdotto il termine di centro di lavoro (machining center).

I dispositivi di cambio pallet
Nelle lavorazioni per asportazione di truciolo particolare attenzione deve essere dedicata alle operazioni di montaggio del pezzo sulla postazione di lavoro. Questa assolve a due funzioni. La prima si preoccupa di posizionare correttamente il pezzo rispetto alle superfici di riferimento della macchina utensile. La seconda ha il compito di bloccare il pezzo reagendo alle forze di taglio che si manifestano durante la fase di asportazione di materiale. Il montaggio del pezzo sulla macchina è una operazione che rende indisponibile la macchina utensile per altre attività, rientra tra i tempi ausiliari e può avere in alcuni casi durata notevole a causa della precisione richiesta. Un posizionamento non corretto può pregiudicare infatti la lavorazione determinando valori delle tolleranze dimensionali e geometriche eccedenti i range consentiti. E’ quindi anche questa una attività che genera inefficienza produttiva poiché sottrae capacità produttiva disponibile. Si può recuperare capacità produttiva realizzando tale operazione parzialmente off-line, in tempo mascherato, non impegnando cioè la postazione di lavoro della macchina. La soluzione tecnologica adottata prevede la dotazione del centro di lavoro di un nuovo dispositivo detto di cambio pallet. Si tratta di una giostra girevole o di una slitta tramite la quale un pallet, su cui fuori linea è stato montato il pezzo, viene trasferito velocemente sulla postazione di lavoro della macchina utensile. Anche in questo caso assistiamo a miglioramenti nei valori di UT e IF. Completata la lavorazione, la fase di smontaggio del pezzo coincide con il trasferimento del pallet all’esterno della postazione di lavoro. Questi dispositivi migliorano l’efficienza delle attività 2 e 7.

I sistemi di trasporto (Material Handling Systems)
Un passo ulteriore, reso possibile dalla disponibilità di un sistema di interfaccia tra la macchina utensile e l’ambiente esterno, è stata la realizzazione di un sistema automatico per il trasporto delle parti (e poi anche degli utensili) tra le varie risorse necessarie al completamento del ciclo di lavorazione. Diverse architetture di sistemi di trasporto sono state concepite in funzione della tipologia produttiva (Automated Guided Vehicles, Convogliatori, Robots, Navette). Questi dispositivi migliorano l’efficienza dell’attività 1.

I sistemi flessibili di produzione (Flexible Manufacturing Systems)
La interconnessione delle risorse, o meglio delle stazioni di carico e scarico delle risorse, attraverso sistemi di trasporto asserviti a un computer programmabile in funzione delle strategie di trasferimento delle parti ha portato alla definizione di un sistema di produzione (anche nelle produzioni di media e piccola serie) in contrapposizione alla tradizionale visione del layout per reparto dove macchine utensili isolate davano luogo alle prestazioni produttive misurate intorno agli anni 1970 di cui abbiamo prima riferito. Questo tipo di sistemi di produzione prende il nome di FMS o Flexible Manufacturing System e le prime realizzazioni datano intorno agli anni 1980 con evoluzioni ancora in atto. Tre sono i componenti fondamentali per poter parlare di FMS:
1) la presenza di più centri di lavoro a controllo numerico;
2) la disponibilità di un sistema automatico di trasporto;
3) un sistema di elaborazione di varie architettura in grado di gestire i dati per la esecuzione delle operazioni (editing, archiviazione, elaborazione, trasferimento, ecc.).
In un FMS l’intero ciclo di lavorazione può essere completato in modo automatico e la facilità di adattamento del sistema ai processi tecnologici consente la esecuzione di produzione a varietà relativamente alta con livelli di efficienza e costi confrontabili con quelli riscontrabili in sistemi di produzione organizzati secondo il modello di riferimento della grande serie. Se invece di riferirci ad operazioni per asportazione di truciolo ci riferiamo ad operazioni di assemblaggio, una evoluzione per certi versi analoga ha portato alla realizzazione dei FAS, Flexible Assembly Systems.
Il sistema flessibile di produzione presentato da Cook nel suo articolo è entrato in funzione nel 1972 nello stabilimento della Ingersoll-Rand Company (produzione di compressori) a Roanoke in Virginia e costituisce forse il primo importante esempio di FMS realizzato negli USA. Il sistema era costituito da sei centri di lavoro, un sistema di trasferimento delle parti e il controllo era assicurato da un calcolatore IBM 360/30. Il sistema era controllato da tre operatori e un supervisore. Per ottenere la stessa produzione, in un’officina tradizionale, sarebbero state necessarie trenta macchine utensili e trenta operai. Il sistema, con i 500 utensili in dotazione, era in grado di  fabbricare 500 parti differenti.

 

Costo Unitario

Varietà

Produzioni di Grande Serie

Basso

Bassa (produzione rigida)

Produzioni di Media e Piccola Serie

Alto
(con tecnologie tradizionali)

Alta (produzione flessibile)

La sfida della innovazione nelle tecnologie di produzione è coniugare bassi costi di produzione con un’elevata flessibilità.

Considerazioni generali sulla evoluzione delle attività di lavorazione
Cosa riconosciamo nella traiettoria evolutiva appena descritta?
1) un uso pervasivo di sistemi di elaborazione delle informazioni in tutti i dispositivi che compongono il sistema di produzione;
2) una spinta tendenza alla automazione di tutte le attività funzionali al processo tecnologico. La più rilevante caratteristica dell’automazione, essendo controllata da computer, è la sua flessibilità, insita nel concetto stesso di elaborazione dell’informazione. La flessibilità consente di gestire efficientemente produzioni a più alta variabilità;
3) una sempre più stretta integrazione tra le operazioni previste dal ciclo di lavorazione resa possibile dalla digitalizzazione delle attività;
4) una crescente formalizzazione della informazione, si pensi alla formulazione matematica delle traiettorie del movimento dell’utensile che inizia a far intravedere una paperless factory (meno disegni e più archivi di dati);
5) un costante recupero di efficienza produttiva misurata attraverso UT e IF con il procedere dell’evoluzione nella tecnologia manifatturiera.

Il percorso ha avuto come pietra miliare la macchina utensile a controllo numerico e si è sviluppato sino ai nostri giorni con applicazioni che spaziano dalla produzione meccanica a quelle del tessile, del calzaturiero, del mobile, ecc.. La diffusione del modello della produzione flessibile oltre che essere una risposta obbligata ad un mercato fortemente instabile (domanda diversificata e di prodotti sempre nuovi) è stata anche possibile grazie alla progressiva riduzione dei costi dell’ hardware e del software che si è verificata negli ultimi venti anni (sempre maggiori capacità di elaborazione dei dati a costi sempre più bassi) ed anche grazie alla crescita di nuove figure professionali che hanno sostenuto la implementazione di tali sistemi.
Quelle imprese che hanno saputo e potuto trarre vantaggio dalle nuove tecnologie manifatturiere hanno avuto la possibilità di rimanere sul mercato operando in modo competitivo. Quelle che non hanno seguito il passo delle nuove tecnologia di produzione, per le più diverse ragioni, nella maggior parte dei casi non sono più presenti sul mercato. In questo senso le tecnologie di produzione consentono alle imprese industriali di raccogliere le sfide dei mercati di questi anni.

Le principali innovazioni nelle altre attività della produzione
L’impiego della microelettronica e dell’informatica ha profondamente trasformato tutte le altre attività che concorrono alla definizione dell’intero processo di produzione.

Le attività di progettazione
Una delle aree fondamentali nella progettazione di strutture in senso lato è quella relativa alla analisi delle sollecitazioni per verificare se la combinazione prescelta dal progettista di materiali, forme e dimensioni è idonea a sopportare le sollecitazioni prevedibili  nelle condizioni di esercizio di un dato componente. Per i componenti di forma semplice, la Scienza delle Costruzioni che avete studiato, vi ha mostrato gli strumenti risolutivi disponibili. E’ stato possibile studiare teoricamente il comportamento di componenti di forma complessa solo quando la messa a punto delle tecniche di calcolo agli elementi finiti, insieme alla disponibilità di idonea potenza di calcolo, ha reso possibile lo sviluppo e la diffusione nei reparti di progettazione delle tecniche di calcolo strutturale agli elementi finiti (Finite Element Method). Inizialmente l’inserimento dei dati fondamentali del problema di analisi strutturale, coordinate dei nodi, topologia degli elementi, sistema dei vincoli, stato delle sollecitazioni, caratteristiche sulla resistenza del materiale avveniva in file che prevedevano l’inserimento di questi dati in forma tabellare. L’elaborazione dei dati forniva, sempre in forma tabellare, lo stato tensionale e delle deformazioni nei vari elementi in cui era stato discretizzato il componente in studio. E’ evidente il vantaggio, sia in termini di costi che di tempo, di disporre di strumenti di simulazione numerica rispetto alla realizzazione di prove di resistenza su prototipi. Queste metodologie incontrarono crescente diffusione a partire dal 1970.
Intorno al 1980, in corrispondenza alla disponibilità di macchine con una maggiore potenza di calcolo, si diffondono le workstation grafiche e i primi applicativi per il disegno assistito da calcolatore con la possibilità di rappresentazioni prima in 2D e poi in 3D (anche qui un altro passo verso la paperless factory, la workstation sostituisce il tecnigrafo e i file i disegni su carta).
L’integrazione di questi applicativi con i software di analisi strutturale ha consentito l’input dei dati richiesti dai software FEM in forma grafica e di ottenere come output una rappresentazione con diverse gradazione di colore per una immediata visualizzazione degli stati tensionali e di deformazione.
La disponibilità di mezzi di calcolo sempre più potenti a costi sempre più bassi ha reso accessibili tali strumenti di CAD/CAE (Computer Aided Design/Computer Aided Engineering), inizialmente disponibili solo nei reparti di progettazione delle grandi imprese, a un numero sempre  maggiore di imprese, anche di piccole dimensioni. Grandi passi avanti sono stati fatti nei sistemi di interfaccia uomo-macchina tanto che oggi, solo per citare un aspetto, esistono software in grado di fornire immagini di qualità vicina a quella della visione umana del prodotto reale.
Sia le tecniche FEM che le tecniche di computer graphics hanno richiesto la formalizzazione in termini matematici di molti aspetti fondamentali della progettazione di prodotto. Gli strumenti CAD/CAE non si sono diffusi solo nel settore meccanico ma le loro applicazioni spaziano dalla computational fluid dynamics (aero e idrodinamica per l’industria aeronautica e navale) alla progettazione dei circuiti integrati per l’industria della microelettronica.
Un’altra area fondamentale dell’area progettazione è la definizione della distinta base del prodotto. Questo documento verrà analizzato in seguito.
La progettazione assistita da calcolatore ha contribuito in modo significativo alla contrazione dei tempi di sviluppo del prodotto con effetti positivi sulla compressione del Time to Market e questo, come già precedentemente è stato richiamato, assume oggi fondamentale importanza nella competizione per presentare sul mercato prodotti innovativi.

Le attività di ingegnerizzazione
Queste fasi seguono le attività di progettazione e anche in questo ambito le tecnologie informatiche hanno contribuito in maniera significativa a rendere più efficienti e veloci questi processi. In primo luogo la possibilità di lavorare su una geometria del prodotto formalizzata in termini matematici ha ridotto i passaggi di disegni tra i reparti di progettazione e quelli di ingegnerizzazione evitando frequenti errori di interpretazione. Inoltre le attività di sviluppo dei cicli di lavorazione, per quanto riguarda la scelta dei parametri di taglio, hanno beneficiato della disponibilità di grandi data base sui parametri tecnologici per l’adozione dei valori più opportuni in funzione della tipologia del processo. Lo stesso può dirsi per la definizione delle operazioni tecnologiche, del loro raggruppamento in sottofasi e fasi e per il loro sequenziamento.
A partire dal 1980 si sono sviluppate tecniche per la stesura assistita da calcolatore dei cicli di lavorazione (Computer Aided Process Planning – CAPP). Uno degli aspetti fondamentali nelle lavorazioni per asportazione di truciolo è la definizione del percorso dell’utensile che deve poi essere codificato per dare l’input alle macchine a controllo numerico. Questa attività veniva inizialmente realizzata a partire dal disegno dell’oggetto da lavorare. Oggi invece, la disponibilità del modello matematico dell’oggetto realizzato nella fase di disegno, ne consente un diretto utilizzo nella definizione del percorso utensile. Gli applicativi utilizzati in queste attività sono i software per la lavorazione assistita da calcolatore (Computer Aided Manufacturing) che a monte dialogano con la fase di ingegnerizzazione e a valle trasferiscono i dati o alle unità di controllo delle macchine a controllo numerico o dei sistemi di produzione.

Alcune riflessioni intermedie
1) Sotto il profilo della integrazione delle attività, la filiera progettazione-ingegnerizzazione, analogamente alla filiera lavorazione, precedentemente descritta con maggior dettaglio, trae vantaggio dalle applicazioni del calcolatore in tutte le sue fasi e realizza un processo di attività interconnesse in modo più efficiente (integrazione orizzontale). Migliora la qualità complessiva del processo, possono essere vagliate più velocemente diverse soluzioni alternative, si comprimono i tempi di sviluppo prodotto.
2) Gli strumenti del CAM mettono in relazione due filiere, quella della progettazione-ingegnerizzazione e quella della lavorazione, che prima dell’avvento del calcolatore operavamo in modo separato, con un trasferimento delle informazioni affidato a supporti cartacei (disegni, fogli di lavoro). Questo tipo di integrazione di tipo verticale consente di affidare ad una filiera digitale tutte le attività di sviluppo prodotto, disegno, analisi del progetto, definizione del processo di lavorazione, esecuzione del processo e ottenimento del prodotto finito. La messa a punto di queste filiere digitali fa conseguire alle imprese significativi vantaggi sui fattori costo, tempo e qualità e al contempo consente di gestire in modo efficiente produzioni customizzate e frequenti variazioni nella produzione per sostenere le più frequenti attività di innovazione di prodotto.
3) Infine è importante sottolineare che, tra le fasi della produzione, le attività di progettazione e di ingegnerizzazione di prodotto sono quelle a più alta intensità di conoscenza e a più alto valore aggiunto. Richiedono professionalità ad alto livello di qualificazione e nei processi di innovazione sono considerate attività core (fondamentali). In una visione globale delle operations, in cui le varie fasi della produzione vengono allocate in funzione della convenienza nel reperimento dei fattori della produzione, queste due attività vengono solitamente mantenute nei paesi di origine delle imprese, mentre la digitalizzazione delle informazioni consente una grande facilità di trasferimento dei dati dalle facilities di progettazione e ingegnerizzazione a quelle di lavorazione delocalizzate in paesi a basso costo del lavoro. E’ questo quello che è avvenuto, per esempio, nei distretti industriali del Nord-Est che hanno mantenuto in Italia le attività a più alto valore aggiunto e di contenuto innovativo della produzione e, invece, hanno trasferito in Europa dell’Est, ma anche in Asia, le attività di lavorazione a più alta intensità di manodopera e bassa intensità di conoscenza per cogliere le opportunità derivanti dall’impiego di manodopera a basso costo.

Le attività di gestione dei materiali e delle risorse di produzione
Anche questa filiera di attività è stata profondamente trasformata dai processi di digitalizzazione della produzione. Questa filiera è responsabile di interfacciare il sistema produttivo con l’ambiente esterno e di coordinare le attività di produzione all’interno dell’impresa.
Per quanto riguarda l’ambiente esterno, ci si riferisce, a monte, alla gestione della rete dei fornitori delle materie prime, dei semilavorati e della componentistica, sostanzialmente la gestione degli approvvigionamenti. Mentre, a valle, alla gestione dei rapporti con il cliente finalizzata a soddisfare puntualmente la domanda.
Per quanto riguarda l’ambiente interno, ci si riferisce principalmente alla gestione delle risorse di produzione destinate alla trasformazione dei materiali in prodotti finiti.
Su questi modelli operativi ci soffermeremo estesamente nel corso.
Solo per completezza di esposizione si citano le prime applicazioni del calcolatore nella gestione dei materiali con i primi sistemi di pianificazione dei fabbisogni di materiali (Material Requirement Planning – MRP) che hanno visto la loro diffusione negli USA intorno al 1970 e nella gestione delle risorse di produzione (materiali e sistemi di produzione) con lo sviluppo intorno al 1980 dei sistemi di pianificazione delle risorse di produzione (Manufacturing Resource Planning – MRP II). Anche in questa evoluzione leggiamo un percorso progressivo di integrazione di attività analogo a quello riscontrato nella filiera lavorazione e nella filiera progettazione-ingegnerizzazione.
E’ possibile riscontrare una integrazione di tipo verticale tra questa area e quelle delle filiere lavorazione e progettazione-ingegnerizzazione. Il risultato di questa integrazione è la realizzazione di sistemi che prendono il nome di Computer Integrated Manufacturing (CIM) che realizzano una efficiente integrazione dei dati utilizzati in tutte le aree della produzione.

Altre considerazioni intermedie
La capacità competitiva dell’impresa manifatturiera dipende sempre di più dai processi di innovazione nelle tecnologie di produzione.
Ruolo fondamentale per questa rinnovata centralità della funzione produzione hanno assunto gli interventi finalizzati alla automazione, alla informatizzazione e alla successiva integrazione di tutte le fasi della produzione.
In seguito a tali interventi si è innalzata significativamente la produttività dei fattori della produzione, lavoro e capitale, consentendo alle imprese di confrontarsi con la pressione competitiva dei mercati e di nuovi competitors che hanno fatto leva sui bassi costi del lavoro per accedere a nuovi mercati.
In aggiunta, le prestazioni produttive dell’impresa, conseguenti a tali interventi hanno consentito di raggiungere più alti livelli qualitativi, di comprimere i tempi di sviluppo di prodotti nuovi, di migliorare gli indici di efficienza produttiva e quindi di comprimere i costi. Altrettanto importanti sono stati i benefici conseguiti in termini di flessibilità operativa per potersi confrontare più efficacemente con situazioni di mercato caratterizzate da notevoli variabilità.
Pur essendoci concentrati sulle produzioni meccaniche, il modello evolutivo descritto trova riscontri in diversi ambiti industriali e il rapidissimo tasso di innovazione che caratterizza le Information e Communication Technologies – ICT alimenterà ancora per molti anni questi processi.
Il percorso descritto enfatizza il fattore tecnologico nel processo evolutivo delle attività di produzione ma non si pensi che ciò abbia determinato una perdita di importanza del fattore umano. Anzi, nell’attuale scenario competitivo, al fattore umano sono affidate nuove e più alte responsabilità per il successo dell’impresa.
Molto bene ha descritto questa situazione Norbert Bensel, direttore delle risorse umane di Daimler-Chrysler: “I collaboratori dell’impresa fanno parte del suo capitale…La loro motivazione, il loro savoir-faire, la loro capacità di innovazione e il loro scrupolo per i desideri della clientela costituiscono la materia prima dei servizi innovatori….Il loro comportamento, la loro competenza sociale ed emotiva hanno un peso crescente nella valutazione del loro lavoro… Questo non sarà più valutato in numero di ore di presenza, ma sulla base degli obiettivi raggiunti e della qualità dei risultati. Sono degli imprenditori.” (v. Gorz, p.11).

Verso i sistemi di Enterprise Resource Planning
Il percorso di digitalizzazione delle attività di produzione che abbiamo descritto ha progressivamente investito varie attività della produzione. Inizialmente si trattava di applicazioni di nuovi hardware e software finalizzati alla soluzione di specifici segmenti dell’attività di produzione. Questo processo di progressiva digitalizzazione inizialmente avveniva in modo casuale, privilegiando ora un’attività ora un’altra in funzione delle spinte all’introduzione di una innovazione presenti nell’impresa. Il risultato erano automazioni o in genere innovazioni di segmenti di attività che difficilmente comunicavano tra loro, per diverse ragioni (incapacità di definire un processo logicamente interconnesso di attività, mancanza di protocolli standard di comunicazione, ecc.). Si perdeva così una delle maggiori potenzialità dell’informatizzazione delle attività (input singolo dell’informazione, definizione di processi concatenati, velocità nella esecuzione delle attività, possibilità di monitoraggio on line delle attività, ecc.). Tuttavia la pervasività di queste applicazioni e la loro diffusione sostenuta da successi (e in molti casi però da insuccessi) ha spinto verso la ricerca di convergenze sempre più efficaci tra questi applicativi. Ci si rendeva conto del fatto che man mano che sempre più applicativi potevano essere interconnessi tanto più efficaci erano le ricadute in termini di produttività.
I  moderni sistemi di produzione sono oggi controllati da piattaforme ICT sempre più affidabili ed efficienti.
Quanto brevemente descritto per la funzione produzione può essere ritrovato nelle applicazioni dell’informatica in tutte le altre funzioni aziendali. Amministrazione, Personale, Marketing, ciascuna nelle varie aree di attività, ha visto proliferare applicativi (contabilità, tesoreria, anagrafe clienti, fatturazioni, anagrafe fornitori, pagamenti, buste paghe, gestioni clienti, ecc.) inizialmente non collegati e che poi insieme agli applicativi della produzione hanno trovato e continuano a trovare (c’è ancora moltissimo da fare) convergenza in sistemi informativi aziendali sempre più completi. Tali applicativi prendono il nome di sistemi ERP – Enterprise Resource Planning. Uno dei sistemi ERP più diffusi è sviluppato dalla tedesca SAP. Parole chiave nel successo di tali sistemi sono: unicità dell’informazione, propagazione in tempo reale dell’informazione attraverso processi integrati secondo la logica dei processi aziendali concatenati attraverso workflow analysis.

Le fabbriche virtuali e le catene di fornitura (Virtual Enterprises and Supply Chains)
Il processo di convergenza delle informazioni all’interno dell’impresa è stato reso possibile dalle innovazioni sopra descritte. Tuttavia la progressiva globalizzazione della produzione fa emergere un modello reticolare di connessione delle imprese lungo catene di fornitura ricombinabili in funzione della missione produttiva che si vuole perseguire in un dato orizzonte temporale. In accordo a questo modello, il ciclo di sviluppo del prodotto viene segmentato in attività distribuite su scala planetaria in funzione delle specifiche core compentence dei vari territori (per esempio, le attività di Ricerca e Sviluppo sono localizzate nei paesi più avanzati mentre le attività labour intensive nei paesi in via di sviluppo dove il costo del lavoro è più basso). Sono sempre di più le imprese che sostituiscono componentistica sviluppata in casa con prodotti fabbricati da produttori specializzati in giro per il mondo. Ci sono addirittura imprese che non producono direttamente ma gestiscono supply chain globali (v. l’esempio Dell descritto da Friedman e www.lifunggroup.com). La tecnologia abilitante delle nuove production network è internet che in real time può assicurare trasparenza, in profondità tra i diversi anelli della catena, tra le informazioni di tutti gli attori della filiera. Le applicazioni di e-commerce (relazioni tra imprese) e di e-business (relazioni tra imprese e consumatori) stanno avendo una rapida crescita parallelamente alla crescita degli utilizzatori di internet imprese e consumatori.
Le attività di produzione, da attività confinate in singoli reparti di produzione di un’impresa, diventano segmenti di flussi informativi che attraversano il pianeta cui in alcuni casi partecipa in modo diretto il cliente. Questa visione della produzione contribuisce ad abbattere in modo significativo i costi di interfaccia tra i singoli attori della supply chain. Le imprese pertanto oggi, oltre che confrontarsi con l’innovazione delle operations interne, devono potenziare le applicazioni delle nuove tecnologie alle operations imprese-impresa e impresa-consumatore. La competizione dal livello di impresa si sposta al livello di supply chain e pertanto le politiche di alleanze tra le imprese (anche temporanee) sono fondamentali per la competitività dell’impresa. E’ un mondo questo dove non conta solo la eccellenza manifatturiera ma altrettanto importante è la eccellenza nella gestione delle operations tramite le ICT.


Riquadro 8 – Intervista con il Dr. Fung tratto da David Barnes, Operations Management: An international perspective, Thomson Learning, 2007, p. 14 su come la Li & Fung imposta una catena di fornitura globalizzata per produrre camicie per conto di clienti che intendono dare in outsourcing il processo produttivo. “Per prima cosa cerchiamo la migliore fonte di approvvigionamento del filato. Se per esempio individuiamo la Korea come fonte primaria per questo tipo di filato, identifichiamo una fabbrica che lo produce. Quindi, dove fare la tessitura e la tintura? Ciò dipende dalle richieste del cliente, dalle esigenze temporali e dai fabbisogni di capacità e tecnologici. Supponiamo che Taiwan sia il posto migliore. Allora spediamo il filato per esempio in due fabbriche di Taiwan. A questo punto dobbiamo identificare il posto migliore dove confezionare la camicia. Per capacità e abilità nel lavoro vogliamo eseguire questa fase in Thailandia. Per risparmiare del tempo possiamo utilizzare tre fabbriche in Thailandia. Alla fine il prodotto finale che arriva sullo scaffale del negozio sembrerà come se fosse stato fabbricato in una sola fabbrica quando invece è stato realizzato in sei fabbriche di tre paesi diversi. Le tecnologie informatiche e la logistica moderna rendono ciò possibile. Abbiamo sezionato l’intero processo di produzione in differenti fasi. In ogni fase abbiamo selezionato il posto migliore dove realizzare la fase. Il prodotto finale è il risultato di un processo di produzione globalizzato.” Il successo della Li & Fung si basa sull’abilità di porre in essere supply chains specializzate e sulla capacità di gestirle e sincronizzarle in modo efficace ed efficiente.

2.4 Conclusioni
Questo percorso descrive in modo schematico quello che 50 anni di innovazioni hanno determinato nella gestione delle operations dell’ impresa industriale. Dalla singola operazione tecnologica alla gestione della supply-chain.
Il mercato ha posto nuove sfide alla produzione che per rinnovarsi, oltre che basarsi su risorse umane di qualificazione sempre più alta (è per questo che le occupazioni nell’industria sono mediamente meglio retribuite di quelle nei servizi), ha fatto ricorso alle ICT. In questo processo di diffusione possiamo identificare alcuni aspetti essenziali:
1) la diffusione in tutte le fasi dei processi produttivi di sistemi di elaborazione delle informazioni a costi sempre più bassi e di prestazioni sempre crescenti;
2) la disponibilità di nuclei di attività informatizzate in diverse aree dell’impresa ha aperto la strada ad interconnessioni tra processi aziendali, prima separati, che hanno aumentato progressivamente i livelli della produttività del lavoro e del capitale;
3) la capacità di gestione della informazione ha contribuito a far crescere “l’intelligenza” dei sistemi di produzione, ponendo le basi per l’affermazione del concetto di impresa flessibile. In molti ambiti si va imponendo il modello della mass customization e cioè la realizzazione di prodotti personalizzati a costi simili a quelli standardizzati;
4) le possibilità offerte da internet, il cui numero di utenti cresce in modo esponenziale, hanno determinato nuove condizioni per le relazioni imprese-imprese e imprese-consumatori che in un prossimo futuro saranno determinanti per il controllo dei mercati;
5) la convergenza tra telefonia mobile, internet, sistemi di posizionamento satellitare, sistemi multimediali, sistemi informativi aziendali, sistemi informativi territoriali apre uno sterminato ventaglio di nuove applicazioni di cui già vediamo le prime realizzazioni.

Il mercato della produzione e del consumo è diventato globale e sempre più lo sarà nel futuro. I paesi emergenti pongono nuove sfide ma altrettante opportunità.
Il consumatore trarrà sempre maggiori benefici da una competizione sempre più accesa che accelera i processi di innovazione tecnologica e che sempre più tendono contrarre il tempo tra le nuove scoperte scientifiche e le applicazioni della scienza nello sviluppo di nuovi prodotti, processi o servizi.
L’innovazione da pratice-based diventa sempre più science-based e questo deve indurre tutti i paesi che vogliono guardare con fiducia al proprio futuro ad investire nella ricerca scientifica e nella formazione di giovani con solide basi scientifiche.
Ma l’innovazione a 360° riguarda contemporaneamente tecnologia, design, modelli di business, identità del prodotto quindi una pluralità di competenze che richiede sempre di più un dialogo fecondo tra i saperi ed un approccio veramente multidisciplinare alla cultura d’impresa. 

 

Fonte:http://www.economia.unict.it/altro/PARTE%20I%20rev_2009_Prof.LaCommare.doc

 

Appunti del corso di
Gestione della produzione industriale
Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale – Facoltà di Ingegneria
Università degli Studi di Palermo

Autore: Prof. Umberto La Commare

 

 

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