Interpretazione macroscopica e microscopica della legge di Ohm

 


Interpretazione macroscopica e microscopica  della legge di Ohm

    
Introduzione

     Questo lavoro presenta un approfondimento sul significato della legge di Ohm che porta a costruire il modello di base della conduzione elettrica, basato sul fatto che il moto delle cariche nei solidi avviene in modo simile al moto viscoso di un gas di particelle, che seguono le leggi della meccanica classica.
A questo semplice modello di base si suggerisce poi di aggiungere un’ipotesi statistica sulla distribuzione delle velocità: ciò conduce essenzialmente al modello di Drude, che storicamente ebbe grande rilievo perché fu il primo modello veramente microscopico della conduzione dell’elettricità, ancora totalmente classico ma microscopico.
Si discutono poi i limiti del modello di Drude partendo da attività sperimentali volte a determinare la relazione tra resistenza e temperatura ed a valutare la resistività di conduttori metallici come ferro, stagno,…:le evidenze sperimentali che dimostrano che il modello non è sostanzialmente corretto sono molteplici e il fatto che esso dia un valore della conducibilità del rame ragionevole a temperatura ambiente è una fortunata coincidenza. Il calcolo infatti va completamente in crisi alle temperature più basse o più alte. Il modello di Drude prevede la dipendenza della resistenza dalla radice quadrata della temperatura, mentre si verifica che la relazione esistente è lineare. Altre difficoltà nascono dal fatto che il modello non riproduce i valori notevolmente diversi che si trovano confrontando la resistività di materiali diversi. Ad esempio, sperimentalmente la resistività del rame è un ordine di grandezza inferiore a quella del piombo alla stessa temperatura, quella del ferro è circa sei volte quella del rame. Nel modello di Drude, è difficile giustificare una simile differenza, perché la velocità degli elettroni non dipende dal tipo di metallo ma solo dalla temperatura, il libero cammino medio è simile nei vari metalli, essendo dell’ordine della distanza interatomica, e così pure il numero di elettroni mobili. Ancora più difficile spiegare in questo modello perché la presenza di poche impurezze aumenta drasticamente la resistività ( per avere una resistività elettrica come quella citata, il rame deve essere puro ), dato che i tre parametri da cui la resistività dipende ( n,l e vm) sono praticamente indipendenti dalla purezza del materiale.
La discussione dei limiti di validità del modello di Drude è il punto di partenza per introdurre la descrizione quantistica del moto degli elettroni nei conduttori metallici. Per passare dalla descrizione quantistica e contemporaneamente apprezzare i limiti di validità della descrizione classica è conveniente una descrizione in termini di velocità-spazio. O meglio ancora di quantità di moto-spazio, perché esse sono le “variabili coniugate”della meccanica quantistica: questa è la cosiddetta “traiettoria nello spazio delle fasi”, ed è in pratica la principale propedeutica richiesta. Per l’introduzione dello spazio delle fasi si propone di partire da un’attività sperimentale volta alla costruzione di grafici v-s e p-s e alle valutazioni delle azioni in gioco per giungere ad una  trattazione teorica e all’analisi di vari tipi di moto nello spazio delle fasi puntando in particolare l’attenzione su moti la cui traiettoria nello spazio delle fasi risulta una curva chiusa la cui area viene utilizzata per introdurre una grandezza che gioca un ruolo chiave nella meccanica quantistica, l’azione, ciò il prodotto della quantità di moto per lo spazio.
Altro punto essenziale della proposta è l’introduzione del principio di indeterminazione di Heisenberg presentato analizzando il moto di un elettrone in un reticolo cristallino nello spazio delle fasi, valutando l’ordine di grandezza dell’azione in gioco evidenziando che vi si trova al di fuori dei limiti di applicabilità della meccanica classica dato che l’azione risulta minore della costante di Planck per giungere al nodo concettuale che l’ipotesi classica di poter descrivere con infinito dettaglio la traiettoria dell’elettrone presenta dei limiti di principio e non solo tecnici dato che il prodotto delle incertezze sulla posizione e sulla quantità i moto deve essere maggiore di h: questa”granularità” dello spazio della fasi costituisce essenzialmente la diversità tra descrizione classica  e quantistica del moto. Il principio di indeterminazione ci permette di utilizzare due risultati importanti; da un lato, ci fornisce un criterio per capire quali sono i limiti di applicabilità della descrizione classica di un moto, dall’altro ci fornisce un modo di descrivere quantisticamente l’elettrone attraverso il concetto di celle elementari dello spazio delle fasi.
Dopo aver introdotto il principio di esclusione di Pauli per capire la distribuzione di energia degli elettroni in meccanica quantistica, che è completamente diversa dalla distribuzione che si ha nel modello di Drude, in cui l’energia media dipende dalla temperatura del metallo, si traggono le conseguenze dei due principi introdotti sul trasporto prima di un elettrone libero e poi di un elettrone in un metallo. Infine, brevemente, si definisce il livello di Fermi, si discute il modo in cui il campo elettrico modifica la distribuzione di energia e si interpreta la corrente elettrica come un eccesso di elettroni con componente della quantità di moto nella direzione del campo con verso positivo rispetto a quelli con verso negativo. Si dice che cosa succede in un solido con un reticolo cristallino perfetto e che gli “ urti” nella descrizione sono da interpretarsi come dei cambiamenti di stato cioè di cella elementare.
La formula classica p=mevm/nq2l può essere ancora utilizzata purché alla velocità quadratica media si sostituisca la velocità di Fermi e si reinterpreti in senso quantistico il cammino libero medio introducendo il concetto di sezione d’urto e distinguendo in  due casi: per quanto riguarda la presenza di impurezze la sezione d’urto e quindi la resistività risultano indipendenti dalla temperatura mentre per quanto riguarda gli urti con atomi in vibrazione termica la sezione d’urto e quindi la resistività risultano in proporzionalità diretta con la temperatura.

 

Legge di Ohm
Modello macroscopico

  • relazione chiave: V = RI
  • grandezze introdotte: V, I, E, R, ρ, σ
  

 

 

 

 


 


1. Il significato della legge di Ohm

 

     Conviene iniziare facendo fare agli studenti alcune riflessioni sulla legge di Ohm, che è, come ben noto, la legge principale che governa il trasporto dell’elettricità nei conduttori:

     La legge definisce sostanzialmente la grandezza resistenza elettrica R, il cui interesse consiste nel fatto che essa, per molti solidi e in particolare per i buoni conduttori, è costante al variare della tensione V e della corrente I (anche se ci sono variazioni dovute al cambiamento di temperatura causato dalla variazione di V o di I come vedremo). Ciò rende la relazione fra tensione e corrente un buon esempio di relazione lineare. In materiali, come i metalli, la linearità della relazione è ben rispettata su molti ordini di grandezza di variazione di V o di I, se si ha cura di mantenere costante la temperatura (vedi ad esempio la seconda scheda di riferimento 7). E’ importante sottolineare questo punto, perché esso indica che non ci troviamo di fronte ad una legge puramente empirica (come ad esempio la legge di Hooke, in cui la linearità fra forza e allungamento è semplicemente una approssimazione lineare di una legge ben più complicata) e quindi può essere interessante indagare il fenomeno per capirne il significato. Discuteremo il significato della legge di Ohm, prima a livello macroscopico, cioè trattando la corrente elettrica come un fluido che trasporta la carica elettrica attraverso il conduttore, e poi a livello microscopico,  cioè facendo delle ipotesi sulla natura microscopica del fluido elettrico. Il modello microscopico trattato in questo capitolo è completamente basato sulla legge della meccanica classica.

 

Il livello macroscopico

 

     Può essere utile, iniziare con un breve richiamo storico che aiuti ad inquadrare il significato che ebbe la legge di Ohm nel contesto storico. Infatti l’enunciazione stessa della legge da parte di G.S. Ohm nel 1826 rappresentò al tempo una vera e propria rivoluzione nel modo di descrivere fenomeni elettrici nei conduttori, e proprio per questo motivo stentò ad essere accettata dalla comunità scientifica dell’epoca: essa segnò sostanzialmente il passaggio dal modo di pensare elettrostatico al modo di pensare elettrodinamico.
In elettrostatica si ragiona principalmente in termini di quantità di carica che si può isolare o depositare su un corpo o spostare da un corpo all’altro, di campo di forze che le cariche creano nello spazio che le circonda e della relazione che tale campo ha con la quantità di carica. È importante anche la disposizione delle cariche nei corpi: in un corpo carico, le cariche tendono a disporsi sulla superficie, in un modo inoltre che dipende dalla forma del corpo.
Nel caso dinamico i corpi che si studiano sono complessivamente neutri, cioè le cariche positive equilibrano le cariche negative, mentre diventa importante il moto delle cariche all’interno del solido, che è un fenomeno che interessa tutto il volume: infatti il flusso di carica, cioè la corrente elettrica, è distribuito nell’intero volume e avviene in modo da non creare accumuli in nessun punto e in nessun momento.
Questa semplice ipotesi è alla base del modello macroscopico del trasporto dell’elettricità, nel quale la corrente elettrica viene descritta come un fluido in moto che si conserva attraverso il circuito. Le principali verifiche sperimentali del modello sono che la stessa quantità di corrente passa in qualsiasi sezione perpendicolare alla direzione della corrente e ciò avviene in maniera indipendente dalla forma e dal tipo di conduttore. Ponendosi su diverse sezioni traverse del circuito (S1, S2, S3, ecc.) le quantità di carica (Q1, Q2, Q3, ecc.) che attraversano nell’intervallo di tempo Δt le rispettive sezioni sono uguali (fig. 1) e quindi anche le correnti, I1 = Q1 /Δt, I2 = Q2 /Δt, ecc., debbono essere uguali: in ogni tratto il solido deve restare mediamente neutro, le cariche non possono accumularsi né disperdersi. E tutto ciò vale anche se si cambia il tipo di conduttore da un tratto all’altro.

Figura1. In un certo intervallo di tempo, la quantità di carica che attraversa una qualunque sezione S del circuito è la stessa.

     Conviene a questo punto definire la resistività elettrica, perché, come già Ohm aveva trovato, esiste una semplice relazione fra la resistenza e le caratteristiche geometriche del conduttore, e cioè la sezione traversa S e la lunghezza l nella direzione in cui fluisce la corrente:

 

(2)

La grandezza ρ è caratteristica del materiale che costituisce il conduttore e contiene appunto l’informazione che a noi interessa sulla struttura microscopia della materia. Ricordando la relazione tra la differenza di potenziale V  e il campo elettrico E:

 

(3)

e tenendo conto della (1) e della (2) si ha:

 

(4)

per discutere il modello microscopico, conviene definire anche la conducibilità elettrica σ come l’inverso della resistività e quindi scrivere la (4) come:

 

(5)

     Vedremo che in alcuni casi è meglio ragionare in termini di ρ, e quindi usare l’equazione (4) mentre in altri è meglio ragionare in termini di σ, e quindi usare l’equazione (5). Questo è il motivo per cui abbiamo derivato le relazioni per entrambe le grandezze, tuttavia non è detto che, nella discussione con gli studenti, debbano essere presentate entrambe. Abbiamo invece evitato di introdurre il concetto di densità di corrente j(j=I/S), che pure permetterebbe una semplificazione delle formule, perché abbiamo notato, in alcune classi, una certa difficoltà a manipolare una molteplicità di nuove grandezze.
In vista alla discussione che faremo successivamente della dipendenza della temperatura dalla resistività, conviene anche collegare alla legge di Ohm la legge di Joule, che qui richiamiamo per comodità. La legge esprime la potenza W immessa nel circuito dal generatore che mantiene la differenza di potenziale V ai capi del conduttore in cui passa la corrente I

 

(6)

Infatti nell’intervallo di tempo Δt la carica Q che transita nel circuito vale:

 

(7)

     Tale carica attraversa la differenza di potenziale V e quindi ha a disposizione una quantità di energia pari al lavoro L=QV=VI Δt fatto dal campo elettrico. Tale energia viene ceduta al conduttore, causando un aumento della sua temperatura: proprio l’interpretazione di tale aumento di temperatura sarà una delle motivazioni per introdurre il modello microscopico.

Misure in laboratorio

     Esiste tutta una serie di misure sulla conduzione dell’elettricità, alcune delle quali già si fanno abitualmente, che si possono utilizzare per consolidare questo primo semplice modello. Ad esempio:

  • Si può misurare la corrente in diversi punti di un circuito eterogeneo, fatto di pezzi di conduttori diversi, e verificare che è la stessa nei vari tratti;
  • Dopo aver fatto questa verifica, si cambia uno qualunque dei pezzi di conduttore e si verifica che la corrente cambia dappertutto nel circuito;
  • Si misura la conservazione della corrente a una biforcazione;
  • Si eseguono le classiche misure di dipendenza della resistenza elettrica dalla sezione e dalla lunghezza del conduttore;
  • Si verifica la validità della legge di Ohm facendo variare I e V sull’intervallo più largo possibile (occorre badare che la temperatura non cambi molto a causa dell’effetto Joule, quindi conviene partire dai valori più bassi possibili di V o di I, ai limiti della sensibilità degli strumenti a disposizione: con un po’ di attenzione si riesce a coprire anche 5 ordini di grandezza di variazioni di V);
  • Se si possiede la relativa apparecchiatura, è estremamente utile eseguire la misura diretta della potenza dissipata per effetto Joule.

 

     In tutte le misure conviene misurare separatamente il valore della corrente e della differenza di potenziale ai capi del conduttore, badando a definire in modo preciso qual è l’estensione del conduttore in esame e l’importanza relativa della resistenza interna dello strumento.

 

    • Il livello microscopico

     La prima cosa da capire, utilizzando la legge di Ohm, è che nei solidi esistono dei portatori di carica mobili, ma che essi non sono completamente liberi come invece sono ad esempio gli elettroni che si muovono in un tubo catodico sotto l’azione di un campo elettrico. L’argomento è ben noto e si trova in molti testi, tuttavia lo riportiamo per aver sotto mano tutte le relazioni che ci serviranno nel seguito.
Esaminiamo dapprima come dovrebbe essere la relazione tra differenza di potenziale e corrente per un gas di elettroni che viaggia indisturbato in una zona in cui è presente un campo elettrico: è importante per capire poi l’effetto del “disturbo” creato dagli ioni del reticolo. Supponiamo che gli elettroni si muovano in un tubo cilindrico di sezione S sotto l’azione di un campo elettrico E dovuto alla differenza di potenziale V applicata ai capi del cilindro (vedi fig. 2).

 

Figura2. Gli elettroni viaggiano indisturbati in un cilindro di sezione S ai cui capi è applicata una differenza di potenziale:la direzione del campo elettrico E è parallela all’asse del cilindro. Nella figura è indicata la velocità v e la sua componente vx lungo l’asse x preso nella direzione di E.

 

Se ci mettiamo in una sezione S1 del tubo e vogliamo misurare la corrente I dobbiamo misurare la carica totale Q che attraversa la sezione in un intervallo di tempo Dt. Scriviamo la carica Q come prodotto del numero totale N di elettroni che attraversano la sezione nel tempo Dt per la carica q dell’elettrone:
(8)

il numero N e l’intervallo di tempo Dt sono legati fra di loro. Per trovare la relazione, introduciamo una grandezza che ha un ruolo importante nella conduzione dell’elettricità nei solidi, cioè la velocità di deriva vd, che è il valore medio della componente vx della velocità presa lungo la direzione del campo elettrico.
Il passaggio al calcolo del valore medio è un tipico modo di procedere della meccanica statistica a cui si ricorre necessariamente per trattare sistemi di molte particelle come sono appunto gli elettroni di conduzione in un metallo.
I singoli elettroni possono avere valori di vx anche molto diversi tra loro, sia positivi che negativi, perché il loro moto è dovuto all’agitazione termica e quindi è del tutto casuale: poiché tuttavia non ha senso né interesse calcolare ciò che succede al singolo elettrone con il suo particolare valore di vx, si fa il calcolo per un valore pari alla media statistica vd dei valori di vx.
Con questa ipotesi, è facile convincersi, guardando la figura 2, che nel tempo Dt  riescono ad attraversare la sezione S1 tutti quegli elettroni che all’istante t = 0 si trovavano a una distanza l minore di vd × Dt  da S1 cioè avevano già attraversato la sezione S0, posta a monte di S1 a una distanza l, quindi:
(9)
          

sostituendo nell’equazione (8) si ottiene:
(10)

     A questo punto conviene definire una grandezza importante che è la densità numerica, n, degli elettroni mobili, data dal rapporto tra il numero N e il volume contenuto tra le due sezioni S0 ed S1 :
(11)

Sostituendo nella (10), si ottiene l’espressione:
(12)

questa è la relazione fondamentale che lega la grandezza macroscopica I alle grandezze microscopiche n, q e vd : q è una costante, mentre n e vd possono variare, quindi le analizzeremo per capirne l’entità e il legame con la struttura microscopica del solido. Per semplicità supporremo che il conduttore sia omogeneo e che abbia sempre la stessa sezione.
Non è difficile verificare che la densità numerica degli elettroni mobili nel metallo è data dalla seguente relazione:

 

dove d è la densità del metallo, PM il peso molecolare della sostanza. Per il rame risulta

 

1.2.1 La velocità di deriva degli elettroni

 

     Se l’elettrone fosse indisturbato nel suo moto, in presenza di un campo elettrico e per effetto dell’accelerazione dovuta ad un campo elettrico, la componente vx della sua velocità crescerebbe mano a mano che procede nella zona in cui è presente il campo. Infatti sull’elettrone agisce una forza FE = qE e l’accelerazione vale:
(14)

quindi vx aumenta secondo la legge:
(15)

dove vx0 è il valori di vx all’ingresso della zona dove c’è il campo. Poiché vx cresce al crescere di t, ne segue che anche il suo valore medio vd dovrebbe crescere, il che non è conciliabile con il fatto che la velocità di deriva vd è costante, come si vede ricavando vd dall’equazione (12).
Dobbiamo quindi abbandonare l’ipotesi che il moto dell’elettrone sia completamente libero ed ipotizzare invece che esso sia ostacolato da una forza, tipo attrito viscoso, uguale e contraria alla forza FE esercitata dal campo elettrico in modo tale che complessivamente la risultante delle forze applicate sia nulla e la velocità si mantenga costante, una volta raggiunto il valore di regime.
Nel prossimo paragrafo discuteremo un modello che introduce delle ipotesi sulle origine della viscosità, quindi ci limitiamo a ricavare alcune relazioni che facilitano tale discussione. Nel moto viscoso, il valore di regime della velocità è proporzionale alla forza applicata: in questi moti infatti è la velocità e non l’accelerazione ad essere proporzionale alla forza applicata e il coefficiente di proporzionalità è l’inverso del coefficiente di attrito viscoso. Conviene quindi anche nel nostro caso rendere esplicita questa relazione: dato che la forza applicata è proporzionale al campo elettrico, si definisce una grandezza μ, detta mobilità, che rappresenta la costante di proporzionalità fra vd ed E:

 

(16)

  Conviene ora ricavare la relazione tra conducibilità σ e la mobilità μ: la otteniamo sostituendo l’espressione di vd nella (12):
(17)

Confrontando questa equazione con la (5), otteniamo che:
(18)

      Questa equazione ci permette perciò, noti n e σ, di calcolare μ, da cui si possono poi ricavare le altre grandezze che compaiono nelle equazioni precedenti. Ad esempio, noti μ e il campo E dalla (16) si ricava la velocità di deriva vd, che è per così dire la “velocità di crociera” a cui viaggiano gli elettroni nel solido. Se un conduttore ha un’altra mobilità significa che, a parità di campo elettrico applicato, la velocità di deriva che gli elettroni possono raggiungere è più elevata. Per valutare la mobilità occorre sviluppare ulteriormente il modello: vedremo come viene fatto il calcolo prima nel modello classico di Drude e poi nel modello quantistico di Sommerfeld.

Raccogliamo per comodità le equazioni più interessanti qui di seguito:


conducibilità          
resistività                            

velocità di deriva    

 mobilità               

Esempio:
La conducibilità del rame è circa . Utilizzando il valore n che abbiamo calcolato nell’esempio precedente, calcoliamo la mobilità dall’equazione (18), ricordando la relazione dimensionale

 e sapendo che la carica q vale 1,6.10-19C:

Da questo valore calcoliamo la velocità di deriva raggiunta applicando una differenza di potenziale di 4V ai capi di un filo conduttore lungo 2m:

 

 

 

1.3 Il modello di Drude

1.3.1 Ipotesi e quantità rilevanti
Come visto nel paragrafo precedente, il modello microscopico ci porta a concludere che il moto dell’elettrone nel metallo è di tipo viscoso. Per spiegare l’origine della viscosità Drude sviluppò nel 1900, cioè quando le evidenze sperimentali sulla natura microscopica dell’elettricità avevano appena cominciato a prendere consistenza, un modello statistico che si ispirava alla teoria cinetica dei gas, che tanto successo aveva avuto per spiegare le leggi dei gas. Nel modello vengono introdotte quattro ipotesi:

 

 

 

 

 

 

Figura 3. Il moto dell’elettrone procede per urti successivi contro gli ioni del solido(rappresentati nella figura dai pallini)

  • gli elettroni mobili si muovono liberamente all’interno del metallo di un moto disordinato dovuto all’agitazione termica: la velocità è diretta lungo direzioni casuali e il suo modulo ha un valore medio che dipende dalla temperatura secondo le  leggi della meccanica statistica (ovviamente classica), come nella teoria cinetica dei gas;
  • in presenza di un campo elettrico E, al moto disordinato si sovrappone un moto di deriva ordinato nella direzione di E (in senso opposto, data la carica elettrica negativa dell’elettrone);
  • nel suo moto l’elettrone urta continuamente contro gli ioni che formano il solido (fig.3), cedendo in media energia in modo da mantenere sempre costante il valore medio della sua energia cinetica e quindi della sua velocità;
  • dopo l’urto, l’elettrone riparte con velocità diretta casualmente in tutte le direzioni e quindi la componente della sua velocità lungo qualunque direzione rimane in media nulla.

 

     Le ipotesi del modello possono apparire contraddittorie fra di loro, perché da un lato si suppone che l’elettrone mobile sia libero di muoversi come la molecola di un gas (ipotesi 1), il che implica che non senta molto l’attrazione elettrostatica da parte degli ioni del solido, dall’altro si suppone invece che l’elettrone interagisca molto con gli ioni stessi (ipotesi 3), come è necessario se si vuole spiegare la viscosità del moto. Questa è effettivamente una delle difficoltà del modello, su cui ritorneremo più avanti quando ne discuteremo i limiti di validità.
Vediamo come si calcola la mobilità μ in base a questa ipotesi: l’equazione chiave è la (16), che definisce μ come costante di proporzionalità fra velocità e campo elettrico. Poiché ad ogni urto l’elettrone riparte con velocità diretta casualmente in tutte le direzioni (ipotesi 4), la componente della sua velocità lungo la direzione del campo elettrico dopo l’urto è diretta con eguale probabilità lungo la direzione della corrente o in direzione opposta e quindi non dà nessun contributo netto alla corrente. Ciò che importa è invece il contributo addizionale di velocità che l’elettrone acquista lungo la direzione del campo elettrico e in verso opposto a causa della forza dovuta al campo elettrico: il valor medio di tale contributo è appunto la velocità di deriva vd.
Il contributo addizionale di velocità va valutato solo sul breve intervallo di tempo che intercorre prima dell’urto successivo, il quale può essere molto diverso da un urto all’altro, perché l’elettrone può trovarsi a precorrere un  cammino più o meno lungo prima di urtare nuovamente oppure avere diversa velocità. Tuttavia a noi interessa solo il valor medio di tali intervalli (viene chiamato il tempo di rilassamento o “tempo medio di volo libero”) perché è legato alla velocità di deriva vd dalla semplice relazione:

 

vd = τ a

(18)

dove a è l’accelerazione dovuta al campo elettrico. Sostituendo il valore di a dato in (14) si ottiene:

 

vd = E

(19)

da cui, confrontando con l’equazione (15), si trova:

 

μ =

(20)

e quindi, per la (18):

 

σ = nq2

(21)

     Queste due ultime relazioni importanti perché mostrano che la mobilità μ e la conducibilità σ sono direttamente proporzionali a τ. Un grande tempo di rilassamento τ significa anche una grande mobilità e quindi un alto valore della conducibilità e ciò è molto ragionevole nel modello di Drude, perché significa che l’elettrone ha molto tempo per essere accelerato prima dell’urto successivo.
Nell’esempio che svilupperemo a fine paragrafo calcoleremo il valore di τ dal valore della mobilità di un buon conduttore come il rame vedremo che è brevissimo, dell’ordine del femtosecondo (10-15 s).
Il calcolo della mobilità è quindi ricondotto a quello del tempo di rilassamento. Nel suo modello di Drude lo calcola supponendo che l’elettrone abbia una velocità media vm che dipende dalla temperatura (ipotesi 1) e che percorra in media fra due urti un tratto λ dell’ordine della distanza fra due atomi del solido (ipotesi 3): il tempo di rilassamento è quindi dato dalla semplice relazione:

 

τ =

(22)

     Il calcolo di t è quindi a sua volta ricondotto al calcolo di l ( che viene chiamato il cammino libero medio) e di vm :  lo faremo in modo dettagliato, anche se è abbastanza complesso, perché è molto istruttivo. Per il valore di l, Drude usò semplicemente la distanza media fra gli ioni che è dell’ordine di qualche unità in 10-10 m.
Per stimare vm Drude fece ricorso alla teoria cinetica dei gas. In tale teoria l’energia cinetica è  proporzionale alla temperatura assoluta T, secondo la reazione:

 

             

                   (23)

 

Dove KB la costante di Boltzmann, che è pari a 1,4*10-23 JK-1 (oppure 8.6*10-5 eV/K usando unità più adatte alle misure microscopiche ). Ricavando vm da questa relazione si ottiene:

 

(24)

 

Sostituendo la (24) nella (22) si ottiene:

 

(25)

 

L’equazione è molto istruttiva perché mostra che, al crescere della temperatura T, il tempo diminuisce e diminuiscono di conseguenza la mobilità  e la conducibilità mentre, viceversa, aumenta la resistività: in questo modo Drude riesce a giustificare perché resistenza  elettrica aumenta nei metalli al crescere della temperatura. Sviluppando i calcoli per intero, cioè calcolando vm e l, si trova a temperatura ambiente un valore della resistività in buon accordo con il valore sperimentale, come faremo vedere nell’esempio di fine paragrafo.
Volendo restare sul livello di discussione qualitativo, si può comunque giungere a giustificare la dipendenza della resistenza dalla temperatura già sulla base della (23), sapendo che al crescere della temperatura cresce in media l’energia: ci si aspetta infatti che se gli elettroni vanno più veloci, t diminuisca e si traggono quindi le stesse deduzioni di poco sopra circa il comportamento della mobilità e della resistività.
Qui di seguito raccogliamo per comodità tutte le equazioni che servono per fare il calcolo delle diversa variabili:
velocità media                                   

cammino libero medio           

intervallo di tempo fra urti successivi           

mobilità                     

conducibilità              

            resistività                   

 

1.3.2 Luci ed ombre del modello di Drude.

     Il modello di Drude ha il grosso merito, come si è visto, di rendere conto degli aspetti principali della resistività elettrica a partire da ipotesi relativamente semplici. Ciò spiega il grande successo che il modello ebbe quando fu formulato, e anche oggi, nonostante si sappia che il modello non è sostanzialmente corretto, si utilizzano nella descrizione della conduzione elettrica nei solidi molti concetti ed espressioni che derivano dal modello di Drude. Tuttavia vi sono dei forti limiti alla validità del modello. Esistono infatti numerosi dati sperimentali che non sono in accordo con il modello e il fatto che esso dia un valore alla conducibilità ragionevole a temperatura ambiente è una fortunata coincidenza. Il calcolo infatti va completamente in crisi alle temperature più basse o più alte infatti, se si esamina l’andamento della resistenza elettrica di buoni conduttori come il rame su un grosso intervallo di temperature si vede chiaramente che la dipendenza lineare non è funzione della radice quadrata della temperatura, come ci si aspetterebbe in base alle equazioni derivate sopra.
Altre difficoltà nascono dal fatto che il modello non riproduce i valori notevolmente diversi che si trovano confrontando le resistività di metalli diversi. Ad esempio, sperimentalmente la resistività del rame è un ordine di grandezza inferiore rispetto a quella del piombo alla stessa temperatura, quella del ferro è circa 6 volte quella del rame. Nel modello di Drude è difficile giustificare una possibile differenza, perché la velocità degli elettroni non dipende dal tipo di metallo ma solo dalla temperatura, il libero cammino medio è molto simile nei vari metalli, essendo dell’ordine della distanza interatomica, e così pure il numero di elettroni mobili.
Ancora più difficile è spiegare in questo modello perché la presenza di poche inpurezze aumenta drasticamente la resistività (per avere una resistività elettrica come quella citata il rame deve essere puro), dato che i 3 parametri da cui la resistività dipende (n,l,vm) sono praticamente indipendenti dalla purezza del materiale.
La presenza di impurezze può anche cambiare drasticamente la dipendenza dalla temperatura della resistività soprattutto se si tratta di impurezze magnetiche, ad esempio aggiungendo al rame 35% di Ni si ottiene una lega detta “costantana” che viene utilizzata perché ha una resistività praticamente dipendente dalla temperatura.
Infine un’importante misura sperimentale che è in contrasto con il modello di Drude è il calore specifico, che citeremo solo brevemente perché esula dal campo della conduzione elettrica. In breve, l’argomento è il seguente: se effettivamente in un solido conduttore ci fossero tutti quegli elettroni liberi che suppone Drude, esse dovrebbe assorbire l’energia termica degli urti con gli ioni quindi dovrebbero dare un contributo importante al calore specifico, che appunto misura la capacità del solido di assorbire energia termica. Viceversa le misure di calore specifiche nei metalli mostrano che tale contributo è praticamente inesistente e quindi indicano che la descrizione che da Drude dell’interazione degli elettroni con gli ioni non è corretta.
Si potrebbe pensare che tutte queste difficoltà si possono sanare raffinando il modello, aggiungendo qualche parametro in più, ma in realtà il problema è di fondo, cioè legato alla descrizione stessa del moto dell’elettrone nel solido e della sua interazione con gli ioni fatta nel modello di Drude non è adeguata. Queste difficoltà vengono superate nella trattazione quantistica. Dal punto di vista didattico, anche se non si vuole affrontare la trattazione quantistica, può essere comunque utile discutere anche questi casi problematici per mostrare come un buon modello debba interpretare diverse misure in modo consistente e non basti trovare accordi su alcune misure.

 

Esempio
Facciamo, a titolo di esempio, il calcolo approssimato per il rame a temperatura ambiente (300 K) delle grandezze calcolabili con il modello. Il rame ha, come calcolato prima, n » 1029/m3. Usando le equazioni derivate sopra, calcoliamo, in unità SI:

Nella penultima equazione si è tenuto conto delle seguenti relazioni dimensionali, che seguono dalla reazione J = Kg m2 s-2 = C V:

Kg = J m-2 s2 = C Vm-2 s2

     Confrontata con il valore sperimentale, la conducibilità calcolata risulta essere inferiore di circa un fattore 10 che tuttavia non è da considerarsi un grosso fattore vista la rozzezza dell’approssimazione utilizzata nel calcolo di l.

 

 

 

 

 

3. Il modello quantistico nei metalli

 

3.1  I limiti di applicabilità della meccanica classica   

     La grandezza che ci aiuta a capire se è lecito usare una descrizione classica del moto è l’azione. E’ quindi necessario calcolare l’azione tipica del moto dell’elettrone nel metallo secondo la descrizione che ne dà Drude cioè calcolare la traiettoria nello spazio delle fasi: ricordiamo infatti che l’azione è l’area racchiusa dalla traiettoria nello spazio delle fasi, cioè nel diagramma delle componenti lungo una certa direzione dello spazio percorso e della quantità di moto.
Come esempio facciamo esplicitamente il calcolo per un moto simile a quello mostrato in figura3: supponiamo che la distanza tra gli ioni sia pari a (trascuriamo l’effetto di una eventuale differenza di potenziale applicata, avendo visto che l’accelerazione dovuta al campo elettrico produce una velocità di deriva che è sempre molto minore della velocità media termica). Riportiamo nuovamente per chiarezza in figura 4 la traiettoria dell’elettrone nelle coordinate (x,y).


Figura 4. La traiettoria nel piano (x,y)per il moto dell’elettrone rappresentato in figura 3.

Nella figura 5 della pagina seguente sono invece rappresentate le traiettorie nello spazio per le componenti x e y del moto, cioè i grafici (x, px ) e (y, py): le linee tratteggiate raffigurano in modo pittorico ciò che avviene al momento dell’urto, quando la direzione del vettore quantità di moto cambia bruscamente. L’area ombreggiata corrisponde a un’azione pari a circa la metà della costante di Planck h ed è indicata proprio per mettere in evidenza il fatto che l’ordine di grandezza dell’azione che caratterizzano il moto è confrontabile con la costante di Planck: ci troviamo quindi al di fuori dei limiti di applicabilità della meccanica classica, che è valida solo se l’azione maggiore del quanto di Planck per molti ordini di grandezza.

 

2.2 L’effetto del principio di indeterminazione

     Le considerazioni fatte sopra servono solo a indicare che non è lecito utilizzare, come si è fatto nel modello di Drude, la meccanica classica per descrivere il moto dell’elettrone nel metallo, però esse non danno indicazioni sul come descriverlo quantisticamente.


Figura 5. (a) traiettoria nello spazio delle fasi della componente x del moto dell’elettrone, le frecce tratteggiate rappresentano pittoricamente gli urti (x resta costante, px cambia bruscamente), le frecce a tratto continuo rappresentano i vari tratti di volo libero (px resta costante, x cambia bruscamente), l’area ombreggiata corrisponde a un’azione pari a circa la metà della costante di Plank; (b) analoga traiettoria della componente y.

Conviene inizialmente introdurre alcune ipotesi semplificatrici:

  • discutere una sola componente;
  • ignorare la presenza degli ioni, cioè pensare all’elettrone come “libero”;
  • richiedere che l’elettrone sia in qualche modo confinato a muoversi in una certa zona dello spazio, cioè all’interno di una “scatola” di ben definite dimensioni, poiché secondo la meccanica quantistica, l’azione è granulare con una granularità data dalla costante di Planck.

 

     Nella figura 6 abbiamo scelto arbitrariamente una “scatola” corrispondente a circa 100 distanze interatomiche (in cui possa cioè stare una catena di 100 atomi) e segnato i bordi che corrispondono a 1,2,3 e 4 quanti di Plank nello spazio delle fasi.          L’intervallo in x non è stato ulteriormente suddiviso, a indicare che non ci interessa conoscere in dettaglio in quale zona particolare all’interno della scatola si trova l’elettrone, viceversa si vede dalla figura che, se l’elettrone ha un moto caratterizzato da un quanto di azione, avrà un valore di px dell’ordine di 10-26kg m/s, se ha 2 quanti px sarà in valore assoluto maggiore e ancora maggiore se ha 3 o 4 quanti di azione: quindi i vari possibili moti dell’elettrone all’interno della scatola sono differenziabili fra di loro, sulla base dei diversi valori della quantità di moto.


Fig. 6. Aree nello spazio delle fasi che corrispondono a un quanto di Planck (zona centrale ombreggiata), due quanti (bordo segnato dalla linea tratteggiata), tre quanti ( bordo segnato dalla linea puntinata) e quattro quanti( bordo segnato dalla linea a tratto e punto).

 

     La differenza fra la descrizione classica di quella quantistica consiste perciò essenzialmente nel grado di “finezza” con cui si possono distinguere fra di loro due moto: classicamente si potrebbe pensare di distinguere fra di loro anche due elettroni che si muovano nella stessa scatola con valori di px che differiscano per molto meno di 10-26kg m/s, quantisticamente invece ciò non è possibile. Questo porta a definire una specie di cella elementare dello spazio delle fasi, avente un’area pari a h: due moti che hanno x e px all’interno della stesa cella elementare sono indistinguibili. In tre dimensioni, la cella elementare va definita lungo tutti e tre gli assi (x,y,z).

 

2.3 L’effetto del principio di esclusione di Pauli

 

L’enunciazione del principio di esclusione può essere fatta nei seguenti termini:

ci possono essere al massimo due elettroni aventi le coordinate spaziali e le componenti della quantità di moto che cadono nella stessa cella elementare dello spazio delle fasi contemporaneamente per tutte e tre le componenti x, y e z; i due elettroni hanno un diverso valore di una proprietà intrinseca detta “spin”.

     Gli effetti del principio di esclusione sono rilevanti per tutti i sistemi a molti elettroni, come sono ad esempio gli atomi (che è il contesto in cui abitualmente viene presentato il principio di esclusione del corso di chimica per spiegare la tabella periodica…) e quindi anche per l’insieme di elettroni liberi di muoversi in una scatola, come nell’esempio di cui abbiamo parlato prima. Vediamo quale è l’effetto su questi elettroni. Immaginiamo che nella “scatola” unidimensionale dell’esempio precedente ci siano effettivamente 100 elettroni (che potrebbero essere ad esempio gli elettroni di valenza dei 100 atomi che formano l’ipotetico solido unidimensionale). Nella prima cella elementare corrispondente a 1 quanto di azione potremo accomodare due elettroni, altri due nella cella successiva corrispondente a 2 quanti di azione, altri due in quella ancora successiva corrispondente a 3 quanti di azione e così via fino a quando abbiamo sistemato tutti e 100 gli elettroni: è evidente che l’ultima coppia di elettroni dovrà avere un valore di px molto più elevato e quindi anche un valore molto più elevato di energia cinetica E, che è legata a px dalla relazione:

l’effetto del principio di esclusione è quindi di “impilare” in energia gli elettroni, come appare dalla figura 7, in cui nel grafico (px, E) i pallini mostrano le celle occupate dagli elettroni.

 

Figura 7. Energia in funzione della componente x della quantità di moto per il sistema di 100 elettroni liberi descritto nel testo, i pallini mostrano pittoricamente dove cadono le celle occupate dagli elettroni(per chiarezza è mostrato solo un elettrone ogni sei), la linea tratteggiata la posizione del livello di Fermi.

Si può quindi far intuire agli studenti, almeno a livello qualitativo, la differenza fra la distribuzione quantistica di energia e quella che si ha in un modello classico come quello di Drude: nel caso classico l’energia media dipende dalla temperatura, in quello quantistico dipende dalla densità numerica  degli elettroni nella scatola. È un buon esercizio far ripetere agli studenti il calcolo raddoppiando le dimensioni della scatola ma contemporaneamente raddoppiando il numero di elettroni: si vede così che il risultato è indipendente dalle dimensioni della scatola , infatti l’ultima coppia di elettroni va a sistemarsi esattamente alla stessa energia che per la scatola più piccola.
L’ultimo livello energetico occupato viene chiamato il livello di Fermi (Ef) ed è istruttivo far calcolare agli studenti l’ordine di grandezza Ef (vedi l’esempio di fine paragrafo, d’altra parte dal grafico stesso di figura 7 si vede che Ef è dell’ordine dell’ eV) per verificare appunto che il principio di esclusione porta le energie degli elettroni ha valori completamente fuori dall’intervallo di energie termiche (che, come calcolato in un esempio precedente, sono circa cento volte minori).

 

2.4 Il moto elettronico nei metalli

     Per passare dalla descrizione dell’elettrone libero di muoversi nella scatola a quella dell’elettrone in moto dentro un cristallo, bisogna tener conto della presenza degli ioni. Il modo rigoroso di farlo è complesso, tuttavia, a livello qualitativo, alcuni aspetti concettualmente rilevanti della descrizione quantistica possono essere derivati dai due principi introdotti prima.
Si suppone inizialmente di avere un cristallo assolutamente “perfetto”, cioè con gli ioni eguali equispaziati fra di loro. Nella nostra descrizione quantistica, un cristallo unidimensionale perfetto fatto da 100 ioni non differisce sostanzialmente dalla scatola unidimensionale di lunghezza pari a 100 distanze interatomiche immaginata nell’ esempio precedente: infatti, essendo gli ioni tutti eguali, non c’è nulla che ci permetta di preferire uno ione piuttosto che un altro, quindi le celle elementari nello spazio delle fasi saranno ancora simili a quelle di figura 6 e di conseguenza, per il principio di esclusione, gli elettroni si impilano in energia e hanno un livello di Fermi in modo simile a quello raffigurato in figura 7. Ma allora la presenza degli ioni, che sono carichi positivamente, non ha nessun effetto? Ha un effetto sulla relazione fra energia e quantità di moto, perché, in presenza dell’ energia potenziale, dovuta all’attrazione esercitata dagli ioni del reticolo cristallino, l’energia non è più puramente cinetica: tuttavia per i metalli l’energia potenziale è piccola perché l’attrazione esercitata dagli ioni sugli elettroni di conduzione è piccola e quindi anche la distorsione della relazione fra quantità di moto ed energia è piccola.
In un cristallo perfetto, il moto degli elettroni non è quindi disturbato dalla presenza degli ioni: è come se il cristallo fosse completamente trasparente! Come si vede questa è una differenza non banale tra la descrizione classica del moto e quella quantistica: classicamente non sarebbe immaginabile che un elettrone possa non sentire l’effetto delle forze elettrostatiche dovute agli ioni del cristallo. Da notare che ciò segue essenzialmente dalla granularità dell’ azione e dal principio di indeterminazione: il principio di esclusione di Pauli non entra a questo livello, è importante solo se si vuole sviluppare il modello per spiegare il valore non nullo della resistività, che è indice di una interazione fra l’elettrone e il reticolo cristallino.
Facciamo ora l’ultimo passaggio: con queste premesse, è chiaro che l’interazione fra l’elettrone e gli ioni avviene solo se il cristallo non è perfetto. I motivi di imperfezione sono duplici: possono essere dovuti all’ agitazione termica degli ioni, oppure possono derivare dalla presenza di qualche atomo spurio, ciò qualche impurezza. Il secondo effetto è indipendente dalla temperatura e dipende invece dalla purezza del materiale, il che spiega perché il materiale deve essere molto puro per avere bassa resistività anche a temperature bassissime.
Per calcolare l’effetto delle interazioni si calcola la probabilità di interazione nell’unità di tempo, che è l’inverso del tempo di rilassamento t che già Drude aveva definito: il calcolo va fatto utilizzando le equazioni quantistiche del moto, ma il significato di t è sostanzialmente lo stesso che nel caso classico. Diverso invece, rispetto al caso classico, è l’effetto dell’interazione, per capire il quale occorre riprendere Il grafico di figura 7, tenendo conto della presenza di un campo elettrico, cioè di una differenza di potenziale ai capi del conduttore. Supponiamo che il campo elettrico sia diretto lungo l’asse x nella direzione negativa, come in figura 2: l’azione sugli elettroni è quindi di aumentare in media il valore della componente px della quantità di moto. Tutto il grafico di figura 7 si sposta quindi leggermente verso le px positive, come mostrato in figura 8, in cui l’effetto è molto ingrandito per chiarezza grafica: rispetto alla situazione in assenza di campo elettrico, c’è un eccesso di elettroni che hanno quantità di moto positive e quindi il valore medio della componente x della velocità è positivo.
Questo valore medio positivo coincide con la velocità di deriva vd che abbiamo definito nel capitolo 2 e che è legata alla corrente dell’equazione (12)

 

Fig 8. Energia in funzione della componente x della quantità di moto in presenza di un campo elettrico per lo stesso sistema di figura 6: la freccia indica una possibile transizione in seguito ad un’interazione.

 

     L’effetto di un interazione è di cambiare la cella elementare nello spazio delle fasi in cui si trova l’elettrone, il che significa cambiare il valore di px. Qui entra in gioco il principio di esclusione. L’elettrone deve infatti avere disponibile una cella non occupata da altri elettroni e corrispondente ad un’energia prossima a quella che aveva prima dell’urto ed è evidente dalla figura che solo gli elettroni che si trovano ad avere un valore prossimo al px massimo e positivo hanno disponibili celle vuote di energia simile che corrisponde però di preferenza a valori di px negativi, dove ci sono molti posti vuoti intorno all’energia di Fermi. L’interazione fa perciò fare all’elettrone una transizione simile a quella indicata nella figura dalla freccia: classicamente diremmo che l’elettrone “rimbalza” all’indietro.
Il risultato netto è che per effetto delle interazioni l’eccesso di elettroni aventi px positivo si mantiene costante, perché essi vengono continuamente rimbalzati dietro per poi essere accelerati e riportati in avanti dall’azione del campo elettrico: quindi anche il valore medio di vd resta costante e con esso la corrente, come vuole la legge di Ohm. Il modello quantistico spiega quindi la legge di Ohm e giustifica anche la dipendenza della resistenza elettrica dalla purezza del materiale e dalla temperatura come emerge dalle misure sperimentali.

 

3. La conduzione nei semiconduttori

3.1 Premessa

     A differenza dei metalli, non esiste per i semiconduttori un modello classico che possa rendere conto delle peculiari caratteristiche della conduzione elettrica e la descrizione quantistica rigorosa richiede concetti che vanno ben al di là di ciò che si può ragionevolmente fare in una scuola secondaria. D’altra parte l’interesse di poter interpretare, almeno a livello qualitativo, tali peculiari caratteristiche è forse più grande ancora che per i metalli, date le numerosissime applicazioni dei semiconduttori in particolare ai dispositivi elettronici e optoelettronici. Nella proposta che segue mostreremo alcuni aspetti che si possono introdurre sfruttando i concetti discussi a proposito della conduzione nei metalli e che sono sufficienti per illustrare, almeno a livello qualitativo, le caratteristiche della conduzione elettrica di questi materiali: ci limitiamo essenzialmente al concetto di banda d’energia proibita, che è propedeutico a tutta la descrizione di tali caratteristiche e quindi alla comprensione del funzionamento dei dispositivi. Il percorso che proponiamo si sviluppa in tre passi:

  • Si parte dall’evidenza sperimentale che mostra che materiali semiconduttori hanno una diversa dipendenza dalla temperatura della resistenza elettrica rispetto ai materiali;
  • Si introduce l’idea di una soglia di energia per la conduzione elettrica;
  • Si aggancia ad essa il concetto di banda  di energia.

 

     A questi si può aggiungere un passo finale, che tuttavia non discuteremo, in cui si discute un modello statico basato sulla distribuzione di Boltzmann per spiegare la legge di dipendenza esponenziale della resistenza elettrica dall’inverso della temperatura che si osserva nei dati sperimentali.

 

3.2 L’evidenza sperimentale

     Sarebbe utilissimo iniziare con misure sperimentali dirette di resistenza elettrica eseguite su materiali semiconduttori di dimensioni geometriche note da cui poter ricavare il valore della resistività elettrica, in modo simile a quello che si segue per i metalli.
Queste misure tuttavia non sono così facili come per i metalli perché non è così facile reperire campioni di semiconduttori. In mancanza di misure dirette, conviene fare almeno un’analisi dei valori di resistività tipici dei semiconduttori usando i dati che si trovano in letteratura e confrontarli con quelli dei metalli: dal confronto si vede che i semiconduttori sono caratterizzati dall’avere resistività molto maggiori di quelle dei metalli.
L’evidenza sperimentale diretta che utilizziamo proviene invece da misure di dipendenza dalla temperatura della conducibilità elettrica dei semiconduttori. I campioni usati sono termistori NTC, oppure componenti commerciali a semiconduttore come transistor unigiunzione. Nel primo caso la resistenza diminuisce monotonicamente al crescere della temperatura, nel secondo caso si osserva, a basse temperature, un andamento simile a quello osservato nei metalli, mentre ad alte temperature la dipendenza è invertita.
Questa analisi qualitativa è sufficiente per trarre una prima conclusione: i semiconduttori sono materiali in cui l’aumento della temperatura favorisce la conduzione dell’elettricità anziché deprimerla come avviene nei metalli. La legge quantitativa, linearizzata con i logaritmi è del tipo:
(26)
  
dove A è una costante che dipende dal materiale.
Questa legge può essere utilizzata a diversi livelli di approfondimento. Un primo livello si può basare su una semplice analisi dimensionale: risulta infatti evidente che il parametro A ha le dimensioni di una temperatura. Inoltre, il valore di A non è molto diverso per i diversi materiali semiconduttori (ad esempio è 4500 K per il germanio, 7000 K per il silicio) e ciò è già di per se significativo perchè sottolinea la vicinanza di comportamento fra i diversi semiconduttori.
Si può passare ad un secondo livello di approfondimento tenendo conto del significato della costante kb di Boltzmann, che permette di passare da unità di temperatura assoluta a unità di energia e quindi di trasformare la “temperatura caratteristica”A in una “energia caratteristica” Ea del semiconduttore. Infatti, sapendo che kb è pari a 1.4*10-23JK-1, si ottengono valori di Ea che sono dell’ordine di 10-19J ovvero 0.5eV: questo è un ordine di grandezza per l’energia caratteristica dei semiconduttori che è utile avere in mente perché rende meno vaga la discussione che segue sulla  banda di energia proibita.
Il terzo livello di approfondimento è decisamente più impegnativo: consiste nell’analisi in termini di distribuzione di Boltzmann.

 

3.3 soglia di energia

Si tratta ora di sviluppare il modello (microscopico e quantistico) della conduzione dell’elettricità nei solidi per spiegare perché nei semiconduttori l’aumento di temperatura favorisce la conducibilità elettrica anziché deprimerla come avviene nei metalli.
Conviene fare una riflessione preliminare sull’ordine di grandezza della differenza di conducibilità elettrica tra metalli e semiconduttori, che come ricordato sopra è molto grande, richiamando la relazione principale che lega la conducibilità elettrica ai parametri caratteristici del materiale e che noi abbiamo derivato nella discussione del modello del modello di Drude (vedi eq. 22). La riportiamo per comodità:

I due parametri importanti sono il tempo di rilassamento τ e la densità elettronica n. Per il primo fattore non ci aspettiamo delle differenze enormi fra metalli e semiconduttori, sia come ordini di grandezza sia come dipendenza dalla temperatura. In particolare, come si è visto nel capitolo precedente, l’aumento della temperatura gioca negativamente su τ perché fa aumentare l’energia di agitazione termica degli ioni e ciò rompe la perfetta regolarità del reticolo dando origine a urti: non c’è nessun motivo di pensare che l’aumento di temperatura debba giocare diversamente nei semiconduttori.
Quindi le differenze sia nell’ordine di grandezza della conducibilità sia nel diverso comportamento al variare della temperatura vanno ricercate nelle diversità dell’altro fattore , cioè n: in particolare l’aumento della conducibilità al crescere della temperatura osservato nei dati sperimentali discussi prima va attribuito a un aumento di n. Poiché aumento di temperatura significa in generale aumento di energia, ne concludiamo che nei semiconduttori aumentare l’energia degli elettroni significa mettere più elettroni nelle condizioni in cui possono condurre l’elettricità.

 Questo ragionamento qualitativo conduce al concetto di soglia di energia per la conduzione elettrica: solo gli elettroni che hanno un valore di energia che supera una certa soglia si comportano in modo simile agli elettroni di un metallo. Il concetto di soglia è legato strettamente a quello di banda di energia: se infatti esiste una soglia per la conduzione dell’elettricità significa che esistono delle “bande energetiche” ben distinte, come quelle indicate schematicamente in figura 9: la banda di energia più elevata corrisponde alle condizioni in cui gli elettroni conducono (banda di conduzione) e viene raggiunta dalla banda di energia inferiore (banda di valenza) superando un intervallo di energie in cui non ci sono stati permessi agli elettroni (banda di energie proibite).


 

 

 

Figura 9. Bande di energia in un solido: nella banda superiore (banda di conduzione) l’energia è maggiore di Ec e gli elettroni sono mobili come nei metalli, in quella inferiore (banda di valenza) l’energia è minore di Ev e gli elettroni non sono mobili.

 

 

     Dalla figura si vede chiaramente che la soglia di energia da superare è la differenza fra la cima (Ev) della banda di valenza e il fondo (Ec) della banda di conduzione, perché questa è l’energia minima che gli elettroni debbono acquistare per passare da una banda all’altra.
Tale energia deve essere dell’ordine di grandezza dell’energia EA caratteristica del semiconduttore, che avevamo trovato dall’analisi dei dati sperimentali: poiché il valore di EA che si ottiene dai dati sperimentali è dell’ordine di grandezza dell’eV, ciò indica che la distanza fra le due bande deve essere di quest’ordine e useremo appunto questa indicazione per il modello che discuteremo qui di seguito per giustificare la formazione di questa banda proibita.

 

3.4 Bande di energia

     Ci sono essenzialmente due approcci per introdurre le bande di energia nei solidi, che si trovano descritti nei testi di fisica dello stato solido. Nel primo approccio si parte dai livelli di energia discreti degli atomi, cioè dal fatto che negli atomi solo alcuni valori di energia sono permessi, mentre tutti gli altri sono proibiti. Si mostra poi come i livelli permessi si allarghino in bande quando si legano insieme più atomi per formare il solido: si formano quindi bande di energie permesse intervallate da bande di energie proibite. Se gli studenti conoscono già, perché discusso in altri contesti, i livelli di energia discreti atomici, questo approccio può essere più economico in termini di tempo e di propedeuticità: la formazione delle bande a partire dai livelli energetici può essere giustificata ad esempio con modelli che fa ricorso all’analogia con gli oscillatori accoppiati.

 

     Nel secondo approccio si parte invece dal modello quantistico di descrizione del moto di un elettrone libero e si discutono gli effetti che su di esso ha la presenza di un reticolo di ioni posti a distanze regolari nello spazio a causa dell’attrazione colombiana che essi esercitano. Questo approccio può essere più conveniente se gli studenti hanno discusso, anche solo a livello qualitativo, come abbiamo fatto nel capitolo precedente, un modello quantistico di conduzione elettrica nei metalli. Discuteremo quindi una possibile presentazione di questo modello mettendo in evidenza i passaggi difficili.
Il punto di partenza è la figura 8 che mostra pittoricamente come tutto il fenomeno della conduzione elettrica nei metalli si gioca, nel modello quantistico, intorno al livello di Fermi. Infatti, secondo il modello, la corrente elettrica si forma perché l’intera distribuzione delle celle occupate si sposta, in presenza del campo elettrico, verso valori più alti di px, il che sbilancia la distribuzione e produce un valor medio della componente della quantità di moto diversa da zero e quindi una velocità di deriva non nulla. Ma ciò può avvenire solo perché ci sono delle celle libere proprio intorno ai valori massimi di px che possono perciò venire via via occupate dagli elettroni senza violare il principio di esclusione di Pauli.
Nei semiconduttori è proprio questa situazione ad essere diversa. Sono sensibilmente diversi, rispetto ai metalli, due aspetti:

  • La relazione fra energia e quantità di moto, ovvero le curve delle figure 7 e 8 lungo le quali si dispongono le celle occupabili dagli elettroni,
  • Il livello di occupazione effettiva delle celle da parte degli elettroni.

     Vediamo il primo aspetto. I semiconduttori sono formati da atomi che hanno generalmente 4 elettroni di valenza: confrontati con i metalli, l’energia di attrazione colombiana fra ioni ed elettroni è molto maggiore e non può più essere trascurata come avevamo fatto nel caso dei metalli. Di conseguenza nei semiconduttori l’energia potenziale dà un importante contributo all’energia totale (che è l’energia che viene riportata nei grafici delle figure 7 e 8), mentre per i metalli tenevamo in considerazione solo il contributo dell’energia cinetica: questo è in sostanza il primo motivo per il quale non possiamo aspettarci che la relazione fra energia e quantità di moto sia la stessa in un metallo o in un semiconduttore. Fin qui il ragionamento è però simile a quello che si farebbe in meccanica classica.
Vediamo ora in che cosa si discosta il ragionamento quantistico. Limitiamoci per semplicità alla catena unidimensionale di moltissimi ioni perfettamente identici di cui abbiamo già discusso prima.

Fig. 10. Andamento semplificato dell’energia potenziale Epot degli elettroni di valenza in una catena unidimensionale di ioni, i cerchietti rappresentano le posizioni degli ioni, a è la distanza interatomica.

     In figura 10 rappresentiamo in modo pittorico, semplicemente ai fini di rendere la discussione più intuitiva, un ipotetico andamento dell’energia potenziale in funzione della posizione x lungo la catena unidimensionale di ioni: la sua caratteristica è che esso si ripete in modo identico quando ci si sposta di una distanza pari a una distanza interatomica a o un suo multiplo intero (per semplicità abbiamo immaginato in una zona più ristretta intorno alla posizione dello ione l’attrazione è più forte e quindi l’energia potenziale più negativa, mentre nei tratti fra gli ioni essa è meno forte).
Vediamo ora qual è l’andamento della quantità di moto px in questo sistema. Immaginiamo ora un elettrone che si muova lungo la catena secondo le leggi della meccanica classica: la sua velocità è maggiore nei tratti in prossimità degli ioni e minore nei tratti fra uno ione e l’altro, visto l’andamento dell’energia potenziale, quindi anche px non è più costante, a differenza di quel che avveniva per l’elettrone di conduzione in un metallo (in assenza di campo elettrico e ignorando possibili urti, vedasi a riguardo la discussione fatta nel paragrafo 3.3). Secondo la meccanica quantistica è ancora possibile definire dei valori di px costanti, come conseguenza dell’andamento periodico nello spazio dell’energia potenziale. La giustificazione rigorosa di questa affermazione è complessa, ma possiamo darne una intuitiva, basandoci sul fatto che la periodicità dell’energia potenziale implica che non c’è nessun modo di accorgersi, dal valore dell’energia potenziale, se l’elettrone si trova in prossimità ad esempio del 50° ione o del 54° o del 22° ione o di un qualunque altro ione: avevamo già fatto una considerazione simile tracciando le celle dello spazio delle fasi di figura 6, basandoci sul fatto che in quel caso tutte le posizione all’interno della catena di ioni erano equivalenti per effetto del principio di indeterminazione. Ora possiamo estenderla al nostro caso, aggiungendo soltanto che l’equivalenza vale purché le posizioni differiscano per multipli interi della distanza interatomica a : vale quindi, anche per i semiconduttori, una rappresentazione delle celle elementari del tutto simile a quelle di figura 6 per i metalli, con tutte le conseguenze che ne avevamo tratto.
L’aspetto nuovo (che esiste anche per i metalli ma di cui non ci siamo occupati prima perché nei metalli si resta distanti dai valori di px per i quali l’effetto è importante) è che la relazione fra px e l’energia totale non è più la semplice relazione parabolica raffigurata in figura 7 ma diventa più complessa. Un tipico esempio, molto semplificato, è mostrato in figura 11, in cui i valori di px e dell’energia sono indicati puramente per dare un’idea degli ordini di grandezza (gli andamenti reali sono notevolmente più complessi e possono essere molto diversi nei diversi materiali oppure addirittura nello stesso materiale lungo direzioni diverse).

 

 

Fig. 11. Come si modifica la relazione tra l’energia e la quantità di moto dell’elettrone, mostrata in figura 7, se si tiene conto dell’energia potenziale dovuta all’attrazione degli ioni: la linea orizzontale tratteggiata indica il massimo della banda inferiore, quella a tratto continuo indica il minimo della banda superiore.

 

A noi interessa commentare soltanto alcune caratteristiche che sono molto generali e che ci fanno capire i comportamenti discussi sopra. Le curve infatti mostrano chiaramente come si formino le bande di energia. Prendiamo ad esempio la curva inferiore: i valori di px intorno allo zero corrispondono alle energie più basse, poi man mano che px cresce in valore assoluto anche l’energia aumenta con una legge che inizialmente fa pensare proprio alla legge parabolica che si aveva nel caso di figura 7. L’aumento però diventa via via meno rapido, rispetto all’andamento della legge parabolica di figura 7, finché si raggiunge un massimo dell’energia in corrispondenza di valori px pari a +h/2a e –h/2a. Ne segue che l’energia varia solo all’interno della banda ristretta che va da 0 a questo valore massimo (indicato nella figura dalla linea orizzontale inferiore). La curva superiore rappresenta una nuova banda di energie permesse, che parte da un valore minimo di energia indicato nella figura dalla linea orizzontale superiore, segue un andamento analogo a quello della banda inferiore fino a raggiungere a sua volta un massimo. Fra la banda superiore e quella inferiore c’è un intervallo di energie che non si possono ottenere per nessun valore di px e nella quale possiamo riconoscere la banda di energie proibite in figura 9.

 

3.5 Bande di energie e principio di Pauli.

     Il formarsi delle bande di energia di per sé non basta a spiegare il diverso comportamento fra metalli e semiconduttori: le bande infatti si formano in tutti i solidi cristallini, siano essi semiconduttori o metalli o isolanti, com’è abbastanza ovvio solo in base agli argomenti qualitativi che abbiamo discusso sopra. La differenza principale fra i diversi tipi di materiali consiste nel modo in cui le bande vengono occupate. Tranne poche eccezioni, nei metalli gli elettroni di conduzione arrivano ad occupare solo una parte della banda e quindi la loro energia resta molto distante dal bordo superiore, per cui non si avvicina alla zona di valori”proibiti”: questo è il motivo per cui nei metalli non è stato discusso il fatto che esiste un limite superiore all’energia, perché normalmente gli elettroni di conduzione non li possono raggiungere attraverso l’accelerazione dovuta ad un campo elettrico. La caratteristica dei semiconduttori è invece di avere completamente occupata la banda energetica degli elettroni di valenza fino al bordo superiore.

Figura 12. Riempimento delle bande di energia in un semiconduttore alla temperatura dello zero assoluto (i pallini rappresentano gli elettroni): la banda di valenza è completamente occupata, quella di conduzione è completamente vuota, nessun elettrone può spostarsi perché non può acquistare energia sufficiente per attraversare la banda di energie proibite.

     Esaminiamo prima il caso in cui effettivamente la banda è completamente occupata (il che succede soltanto in modo rigoroso alla temperatura dello zero assoluto): la situazione è illustrata in figura 12. Se si applica un campo elettrico, nessun elettrone può spostarsi dalla sua cella, perché tutte le celle vicine sono già occupate: ne segue che tutta la distribuzione dei valori di px resta invariata quindi il valor medio di px resta nullo e anche la corrente nulla, ovvero il materiale è un perfetto isolante.


Figura 13. La stessa distribuzione che in figura 12 ma a temperature maggiori di 0 K in  presenza di un campo elettrico: alcuni elettroni sono passati dalla banda di valenza a quella di conduzione, hanno lasciato delle “lacune” nella banda di valenza e tutta la distribuzione di celle occupate si sposta verso i valori positivi di px in entrambe le bande.

     A temperatura più alta invece alcuni elettroni riescono ad acquistare abbastanza energia negli urti contro il reticolo per passare alla banda di energia superiore, in cui ci sono moltissime celle libere. L’effetto sulla conducibilità è duplice, come si vede nella figura 13: da un lato gli elettroni che sono passati nella banda di conduzione possono condurre proprio come gli elettroni dei metalli perché hanno molte celle libere a valori dell’energia e di px più alti verso cui possono spostarsi, dall’altro anche gli elettroni della banda di valenza possono spostarsi verso valori dell’energia e di px più alti grazie alle celle lasciate libere (le celle lasciate libere vengono chiamate lacune, proprio perché sono dei “posti vuoti” che possono ospitare gli elettroni). In media la distribuzione dei valori di px risulta quindi spostata verso destra, sia nella banda di valenza sia in quella di conduzione, e il suo valor medio è positivo: ne segue che la velocità media degli elettroni è diversa da zero lungo la direzione x e quindi c’è una corrente in questa direzione, proprio come succede nei metalli.

Ci sono tuttavia grosse differenze rispetto alla conduzione dei metalli, in particolare:

  • Gli elettroni nella banda di conduzione e le lacune in quella di valenza sono molto meno numerosi che nei metalli, il che spiega perché la conducibilità elettrica nei semiconduttori è molto minore di quella dei metalli;
  • Dato che c’è bisogno di energia per portare elettroni nella banda di conduzione e lasciare delle lacune in quella di valenza, l’aumento di temperatura favorisce fortemente la conducibilità elettrica e ciò spiega perché la resistenza elettrica dei semiconduttori diminuisce con l’aumentare della temperatura, come osservato negli esperimenti descritti nelle schede 6 e 7 di riferimento [7];
  • La corrente elettrica nei semiconduttori è dovuta ai due contributi, ovvero al moto degli elettroni nella banda di conduzione e al moto dovuto alla presenza delle lacune nella banda di valenza: i due moto non sono separati spazialmente, perché entrambi avvengono nello stesso solido, ma hanno caratteristiche diverse perché diversa l’energia degli elettroni nelle due banda ed è diversa la relazione fra l’energia e la quantità di moto (come del resto si vede anche dalla figura 13); nei semiconduttori si parla quindi di una “corrente di elettroni” e di una “corrente di lacune”.
  •  

http://www.fisicaweb.org/doc/idifo/MECCANICA%20STATISTICA/Legge%20di%20Ohm.doc

 


 

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