Heidegger Martin vita e opere

 

 

 

Heidegger Martin vita e opere

 

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Heidegger Martin vita e opere

 

Martin Heidegger
1. Vita e opere

    L'esponente principale della Filosofia dell'esistenza è Martin Heidegger. Nato a Messkirch nel 1889, studiò teologia e filosofia Nel 1927 esce il lavoro fondamentale di Heidegger Essere e tempo.  Nel 1933 Heidegger, che aveva aderito al nazismo, divenne rettore dell'Università divenne rettore dell'Università di Friburgo e pronunciò il discorso L'autoaffermazione dell'università tedesca. Dalla carica di rettore si dimise poco dopo. Heidegger è morto nel 1976.

2. Dalla Fenomenologia all'Esistenzialismo

    Lo scopo dichiarato di Essere e tempo è quello di una ontologia capace di determinare in maniera adeguata il senso dell'essere. Ma, per raggiungere tale scopo, occorre analizzare chi è colui che si pone la domanda sul senso dell'essere. E se Essere e tempo sirisolve in un'analitica esistenziale, suquell'ente (l'uomo) che si interroga sul senso dell'essere, gli scritti che vanno dal '30 in poi abbandonano l'impostazione originaria: non si tratta più di analizzare quell'ente che cerca vie d'accesso all'essere, ma si punta sull'essere stesso e sulla sua autorivelazione.

3. L'Esserci e l'analitica esistenziale

   Il problema del senso dell'essere pone subito questo interrogativo: «Presso quale  ente deve venir carpito il senso dell'essere?».     Ebbene, prosegue Heidegger, «se il problema dell'essere deve venir esplicitamente posto in tutta la sua trasparenza, allora [ ... ] si rende necessaria la messa in chiaro delle maniere di penetrazione nell'essere, di comprensione e di possesso concettuale del suo senso, nonché la delucidazione della possibilità di una retta scelta dell'ente esemplare e l'indicazione dell'autentica via d'accesso a questo ente. Penetrazione, comprensione, delucidazione, scelta, accesso, sono momenti costitutivi del cercare e nello stesso tempo modi di essere di un determinato ente, e precisamente di quell'enteche, nol che cerchiamo, già siamo ».     Per tutto ciò, «elaborazione del problema dell'essere, viene dunque a significare: rendersi trasparente di un ente, porre il cercante nel suo essere». E in ciò consiste l'analitica esistenziale.     L'uomo è, dunque, l'ente che si pone la domanda sul senso dell'essere. Per questo, una corretta impostazione del problema del senso dell'essere richiede una esplicitazione preliminare di quell'ente che si pone la domanda sul senso dell'essere: e «questo ente che noi stessi già sempre siamo, e che ha, fra le altre possibilità di essere, quella di cercare, noi lo indichiamo col termine Esserci (Dasein)».     L'uomo, considerato nel suo modo di essere, è appunto Da-sein, esser-ci; e il «ci» (da) sta ad indicare il fatto che l'uomo è sempre in una situazione, gettato in essa, e in rapporto attivo nei suoi confronti.     L'Esserci,  cioè l'uomo, non è soltanto quell'ente che pone la domanda sul senso dell'essere, ma è anche quell'ente che non si lascia ridurre alla nozione di essere, accettata dalla filosofia occidentale che identifica l'essere con l'oggettività, ossia, come dice Heidegger, con la semplice presenza. Le cose sono certamente diverse una dall'altra, ma tutte sono oggetti (ob -jecta) posti davanti a me: e in questo loro essere presente  la filosofia occidentale ha visto l'essere.     Ma l'uomo non può ridursi ad un oggetto puro e semplice nel mondo; I'Esserci non è mai una semplice-presenza, giacché esso è proprio quell'ente per cui le cose sono presenti.     Il modo di essere dell'Esserci è l'esistenza: «la "natura", l' "essenza" dell'Esserci consiste nella sua esistenza». E l'essenza dell'esistenza è data dalla possibilità, che non è una vuota possibilità logica né una semplice contingenza empirica. L'essere dell'uomo è sempre una possibilità da attuare, e di conseguenza l'uomo può scegliersi, può cioè conquistarsi o perdersi.

4. L'essere-nel-mondo

    L'uomo è quell'ente che si interroga sul senso dell'essere. L'uomo non può ridursi ad un puro oggetto, cioè ad un semplice esser-presente. Il modo di essere dell'uomo è l'esistenza. L'esistenza è poter-essere. Ma poter-essere vuol dire progettare. Per questo l'esistenza è essenzialmente trascendenza, identificata da Heidegger con l'oltrepassamento. L'uomo è progetto e le cose del «mondo» sono originariamente utensili  in funzione del progettare umano.     Tutto questo ci introduce alla trattazione di quel carattere fondamentale del I'uomo che Heidegger chiama l'essere-nel-mondo.     L'uomo è-nel-mondo. Il mondo è un complesso di strumenti «per» l'uomo,un insieme di utensili, vale a dire di cose da adoperare, alla mano, e non di cose da contemplare come presenti. L'esistenza è poter-essere, progetto, trascendenza verso il mondo: essere-nel-mondo significa, dunque, originariamente fare del mondo il progetto delle azioni e dei possibili atteggia menti dell'uomo.  La trascendenza istituisce il progetto o l'abbozzo di un mondo: essa è un atto di libertà, anzi, per Heidegger, è la libertà stessa. Tuttavia, se è vero che qualsiasi progetto si radica in un atto di libertà, è pur vero che ogni progetto limita immediatamente l'uomo che si ritrova dipendente da bisogni e limitato dall'insieme di quegli utensili che è il mondo. Essere-nel-mondo, quindi, vuol dire per l'uomo prendersi cura  delle cose che occorrono ai suoi progetti, avere a che fare con una realtà-utensile, mezzo per la sua vita e per le sue azioni.L'essere delle cose equivale al loro essere utilizzate dall'uomo.   L'uomo non è pertanto uno spettatore del gran teatro del mondo: l'uomo è nel mondo, coinvolto in esso, nelle sue vicende. E trasformando il mondo, egli forma e trasforma se stesso.  Le cose sono sempre strumenti: se conviene, potranno essere viste come strumenti che soddisfano un piacere estetico; ma, se lo si ritiene utile, potranno venir viste «obiettivamente», cioè scientificamente, sullo sfondo di un progetto totale. L'uomo capisce una cosa quando sa che cosa farsene, come capisce se stesso quando sa che cosa può fare di sé, quando cioè sa che cosa può essere.

5. L'essere-con-gli altri

    Se l'essere-nel-mondo (in der- Welt-sein)  è un esistenziale, anche l'essere-con gli altri (Mit-sein)  è un esistenziale. Non c'è «un soggetto senza mondo», e parimenti non c'è «un io isolato senza gli altri. Essendo l'esistenza costitutivamente apertura, fin dall'origine gli altri io, in quanto tali, sono partecipi dello stesso mondo nel quale io vivo.     D'altro canto, come l'essere-nel-mondo dell'uomo si esprime nel prendersi cura delle cose, così il suo essere-con-gli altri si esprime nell'aver cura degli altri . E l'aver cura degli altri può prendere due direzioni: nella prima si cerca di sottrarre gli altri dalle loro cure, nella seconda li si aiuta ad acquistare la libertà di assumersi le loro cure. Nel primo caso si ha un semplice «essere insieme» e siamo davanti ad una forma inautentica di coesistenza; nel secondo caso, invece, si ha un autentico  «coesistere».

  6. L'essere-per-la morte, esistenza inautentica ed esistenza autentica

    L'esserci c'è e ha da essere; l'uomo cioè si trova sempre in una situazione, e fronteggia questa situazione con il suo progettare. Ma in quanto rivolge la sua « cura» al piano «ontico» o «esistentivo», cioè al piano degli enti nella loro fattualità, l'uomo rimane nell'esistenza inautentica. In questa, l'uomo adopera le cose, le utilizza, e stabilisce rapporti sociali con altri uomini. Ma tutti questi progetti, in una sorta di moto vorticoso, rigettano l'uomo al livello dei fatti. L'utilizzazione delle cose si ritrasforma in fine a se stessa. Il linguaggio allora si trasforma nella chiacchiera dell'esistenza anonima che sottostà all'assioma «la cosa sta così perché così si  dice». Una siffatta esistenza anonima cerca di riempire il vuoto che la caratterizza rincorrendo di continuo il nuovo: essa annega nella curiosità. E, infine, oltre la chiacchiera e la curiosità, la terza caratteristica dell'esistenza inautentica è l'equivoco: l'individualità delle situazioni, in una esistenza divorata dalla chiacchiera e dalla curiosità, svanisce nella nebbia dell'equivoco. L'esistenza inautentica è un'esistenza anonima: è l'esistenza del «si dice»     e del «si  fa».  L'analisi esistenziale rivela che l'esistenza anonima è un costitutivo poter essere  dell'uomo; e alla base di tale poter essere c'è, dice Heidegger, la deiezione, vale a dire la caduta dell'uomo sul piano delle cose del mondo. Senonché, esiste la voce della coscienza che richiama all'esistenza autentica, allorché ci si pone non più sul piano «ontico» o «esistentivo», bensì su quello «ontologico» o « esistenziale» e si cerca il senso dell'essere degli enti, il senso cioè del loro esistere.     La voce della coscienza riporta l'uomo travolto dalla cura davanti a se stesso, richiamandolo alla questione di ciò che egli è nel più profondo e che non può occultare. L'esistenza, come già sappiamo, è poter-essere.
I progetti e le scelte dell'uomo sono, in fondo, tutti equivalenti:  posso dedicare la mia vita al lavoro, allo studio, alla ricchezza o a qualunque altra cosa, ma posso essere uomo sia scegliendo una possibilità sia scegliendo l'altra. E per tale ragione che, considerando come ultima e decisiva una di queste scelte o possibilità, l'uomo si decide per e si disperde in una esi stenza inautentica. Tuttavia, tra le varie possibilità ce n'è una diversa dalle altre a cui l 'uomo non può sfuggire: si tratta della morte.  Difatti, posso decidere di spendere la vita per uno scopo o per un altro, posso scegliere una professione o un'altra, ma non posso non morire. Allorché la morte diventa realtà, l'esistenza non c'è più. Ciò fa capire che, finché c'è l'esistenza, la morte è una possibilità permanente ed es sa è la possibilità che tutte le altre possibilità divengano impossibili.      La voce della coscienza ci richiama, dunque, al senso della morte, e svela la nullità di ogni progetto: dalla prospettiva della morte tutte le situazioni singole appaiono come possibilità che possono diventare impossibili. In questo modo la morte proibisce il fissarci su di una situazione, mostra la nullità di ogni progetto, fonda la storicità dell'esistenza.  L'esistenza autentica, pertanto, è un essere-per-la-morte. E soltanto comprendendo la possibilità della morte come impossibilità dell'esistenza, soltanto assumendo questa possibilità con una decisione anticipatrice, l'uomo ritrova il suo essere autentico.

7. Il coraggio dinanzi all'angoscia

    Il «vivere per la morte» costituisce, pertanto, il senso autentico dell'esistenza. Il «vivere-per-la-morte» ci stacca dall'essere sommersi nei fatti e nelle circostanze.     L'anticipazione della morte (che non significa affatto il realizzarla con il suicidio) dà senso all'essere degli enti, attraverso l'esperienza del loro nulla possibile. Tale esperienza, tuttavia, non si ha ad opera di un atto intellettivo, quanto piuttosto attraverso quello specifico sentimento che è l'angoscia. «L'essere-per la-morte è essenzialmente angoscia». L'angoscia pone l'uomo davanti al nulla, al nulla di senso, cioè al nonsenso dei progetti umani e della stessa esistenza.     Esistere autenticamente implica avere il coraggio di guardare in faccia alla possibilità del proprio non essere, di sentire l'angoscia dell'essere-per-la-morte. L'esistenza autentica, dunque, significa l'accettazione della propria finitezza. E questa l'accettazione cui richiama la voce della coscienza: I'accettazione della propria finitezza e negatività.  L'esistenza inautentica e anonima, invece, ha paura dell'angoscia di fronte alla morte, talché, per sfuggire all'angoscia, l'esistenza anonima si affaccenda con le cose e sprofonda nel regno del si (man): «I'esistenza anonima e banale non ha il coraggio dell'angoscia dinanzi alla morte». E questo si vede già nel fatto che l'esistenza anonima banalizza l'angoscia nella paura.

8.Il tempo

    Dato che l'esistenza è possibilità e progettazione, tra le determinazioni del tempo (passato, presente, futuro) quella fondamentale—scrive Heidegger in Essere e fempo—è il futuro: «Ilprogettarsi-in-avanti- sull'"in-vista-di-se-stesso", progettarsi che si fonda sull'avvenire, è un carattere essenziale della esistenzialità. Il suo senso primario è l'avvenire»Tuttavia, la cura, che anticipa delle possibilità, sorge dal passato e lo implica. E tra passato e futuro c'è quell'affaccendarsi con le cose che è il presente. Queste tre determinazioni del tempo trovano il loro significato nel loro esser « fuori di sé»: il futuro è un protendere, il presente è un essere presso le cose, il passato è un ritornare ad una situazione di fatto per accettarla. E questa la ragione per cui Heidegger chiama i tre momenti del tempo estasi, da intendersi in senso etimologico di «stare fuori».     In ogni caso, le tre determinazioni del tempo mutano, ciascuna, in base al fatto che si tratti di tempo autentico  o di tempo inautentico, dove il tempo autentico è quello dell'esistenza autentica e quello inautentico è tipicizzato dalla preoccupazione per il successo, è l'attenzione alla riuscita; mentre nell'esistenza autentica, che assume la morte come possibilità qualificante dell'esistenza, il futuro è un vivere per la morte che non permette all'uomo di venir travolto nelle possibilità mondane. E se il passato autentico è non l'accettare passivamente la tradizione, ma un affidarci alle possibilità che la tradizione ci offre e rivivere le possibilità del l'uomo che è già stato, il presente autentico è l'istante, in cui l'uomo ripudia il presente inautentico (dove l'uomo è assorbito senza requie nelle cose da fare) e decide il suo destino.     Da questa analisi del tempo derivano, tra altre, alcune conseguenze di rilievo nel pensiero di Heidegger.     1) I significati del tempo usati nel pensiero comune e nella scienza (la databilità e la misura scientifica del tempo) sono tempo inautentico, giacché rimandano all'esistenza gettata tra le cose del mondo.  2) L'esistenza autentica è l'esistenza angosciata che vede l'insignificanza di tutti i progetti e i fini dell'uomo. L'uomo che vive autenticamente seguita a vivere la vita, per così dire, banale del suo tempo e del suo popolo, ma la vive con tutto quel distacco proprio di chi ha avuto, attraverso l'esperienza anticipatrice della morte, la rivelazione del nulla degli umani progetti e della esistenza umana.

9. La metafisica occidentale come «oblio dell'essere»

    Il compito dichiarato di Essere e tempo è quello della determinazione del senso dell'essere. Senonché, questa interrogazione—che si è snodata nell'analitica esistenziale, cioè nell'analisi delle strutture dell'esistenza—ha dato come risultato che il senso dell'essere non si può ottenere attraverso l'interrogazione di un ente. L'analisi dell'esistenza fa vedere che l'esistenza autentica è il nulla di ogni progetto e il nulla della stessa esistenza. L'analisi dell'Esserci, cioè di quel l'ente privilegiato che si pone la domanda del senso dell'essere, non rivela il senso dell'essere, bensì il nulla dell'esistenza.    Queste considerazioni vengono esplicitate da Heidegger nella sua Introduzione alla metafisica (1956) che si presenta come una critica radicale alla metafisica classica. La metafisica classica, da Aristotele a Hegel e allo stesso Nietzsche, ha fatto ciò che l'analitica esistenziale ha mostrato essere impossibile: ha cercato il senso dell'essere indagando gli enti. La metafisica ha identificato l'essere con l'oggettività, cioè con la semplice-presenza degli enti. In questo modo essa non è metafisica ma una «fisica», assorbita dalle cose, che ha obliato l'essere, e che anzi conduce all'oblio di questo oblio. Platone, dice Heidegger, è stato il primo responsabile della degradazione della metafisica a fisica. I primi filosofi (Anassimandro, Parmenide, Eraclito) avevano concepito la verità come un dis-velarsi dell'essere, come testimonierebbe il senso etimologico di alétheia, dove lantháno (velare) è preceduto dall'a privativo. Senonché, Platone ha respinto la verità come «non-nascondimento» dell'essere ed ha capovolto il rapporto tra essere e verità, fondando l'essere sulla verità, nel senso che la verità starebbe nel pensiero che giudica e stabilisce rapporti tra i propri «contenuti» o «idee», e non nell'essere che si svela al pensiero. In tal modo l'essere dovrebbe finitizzarsi e relativizzarsi alla mente umana, anzi al suo linguaggio.

10. Il linguaggio della poesia come linguaggio dell'essere
    E ben vero che siamo noi a «parlare il linguaggio», ma quel patrimonio di parole, di regole logiche, grammaticali e sintattiche che è il linguaggio pone limiti invalicabili a quel che possiamo dire. Il linguaggio dell'uomo può parlare degli enti, non dell'essere. Per questo la rivelazione dell'essere non può essere l'opera di un ente, seppur privilegiato come l'Esserci, ma può aversi soltanto attraverso l'iniziativa dell'essere stesso. Qui sta la «svolta» del pensiero di Heidegger. L'uomo non può svelare il senso dell'essere. Egli ha da essere il pastore dell'essere e non il padrone dell'ente: e la sua dignità «consiste nell'esser chiamato dall'essere stesso a far da guardia alla sua verità». Per questo occorrerà risollevare la filosofia dalla sua deformazione «umanistica» al «mistero» dell'essere, al suo originario disvelarsi. Ma dov'è che avviene questo svelarsi dell'essere? L'essere, dice Heidegger, si svela nel linguaggio, ma non nel linguaggio scientifico proprio degli enti, o nel linguaggio inautentico della chiacchiera, bensì nel linguaggio autentco della poesia. Nella forma aurorale della poesia, la parola ha un carattere «sacrale»: la poesia, lingua originaria, dà nome alle cose e fonda l'essere.     Questa fondazione dell'essere, però, non è opera dell'uomo, bensì un dono dell'essere. Nel linguaggio del poeta non è l'uomo che parla, ma il linguaggio stesso e in questo l'essere. Di conseguenza, il giusto atteggiamento dell'uomo nei confronti dell'essere è quello del silenzio per l'ascolto dell'essere; l'abbandono (Gelassenheit) all'essere è il solo atteggiamento corretto. L'uomo, pertanto, deve rendersi libero per la verità, concepita come svelamento dell'essere. E con ciò, libertà e verità si identificano. E, come la verità, anche la libertà è un dono dell'essere all'uomo, una iniziativa dell'essere.

11. La tecnica e il mondo occidentale

    Sono, dunque, i «pensatori essenziali» (quali Anassimandro, Parmenide, Eraclito, Holderlin) ad essere testimoni o ascoltatori della voce dell'essere, e non la metafisica occidentale. Il padrone dell'ente  non è il pastore dell'essere.   Ma l'uomo occidentale, proprio in forza di quella «fisica» che ha preteso di essere «metafisica», si è trasformato in padrone dell'ente.  La realtà, per Heidegger, è che la tecnica è l'esito scontato di quello sviluppo per cui l'uomo, obliando l'Essere, si è lasciato travolgere dalle cose, rendendo la realtà puro oggetto da dominare e da sfruttare.     E questo atteggiamento, che non si fermerà nemmeno quando arriva—come oggi accade—a minacciare le basi della vita stessa, è un atteggiamento ormai onnivoro; si tratta di una fede, della fede nella tecnica come dominio su tutto.

Tratti essenziali e sviluppi dell'Esistenzialismo

1. Lineamenti generali
1.1. L'esistenza è «poter-essere», cioè «incertezza, rischio e decisione»
    L'Esistenzialismo o Filosofia dell'esistenza  si afferma in Europa appena dopo la prima guerra mondiale, si impone nel periodo tra le due guerre e si sviluppa ancora e si espande sino a diventare una moda soprattutto nei due decenni successivi alla seconda guerra mondiale. Esprime e porta a consapevolezza la situazione storica di una Europa dilaniata fisicamente e moralmente da due guerre; di una umanità europea che, tra le due guerre, sperimenta in mol te delle sue popolazioni la perdita della libertà con regimi totalitari che, benché di segno opposto, I'attraversano dagli Urali all'Atlantico, dal Baltico alla Sicilia. L'epoca dell'Esistenzialismo è un'epoca di crisi: della crisi di quell'ottimismo romantico che per tutto l'Ottocento e il primo decennio del Novecento «garantiva», in nome della Ragione, dell'Assoluto, dell'Idea o dell'Umanità, il senso della storia, «fondava» valori stabili e «assicurava» un Progresso sicuro e inarrestabile.     L'Idealismo, il Positivismo e il Marxismo sono tutte filosofie ottimistiche che presumono di aver colto il principio della realtà e l'assoluto senso progressivo della storia. L'Esistenzialismo, invece, considera l'uomo come un essere finito, «gettato nel mondo», continuamente lacerato in situazioni problematiche o assurde.  La non identificazione della realtà con la razionalità  si accompagna come elemento caratterizzante ad altri tre punti nodali del pensiero esistenzialista che sono: 1) la centralità dell'esistenza come modo di essere di quell'ente finito che è l'uomo; 2) la trascendenza dell'essere (il mondo e/o Dio) cui l'esistenza si rapporta; 3) la possibilità come modo di essere costitutivo dell'esistenza e quindi come categoria insostituibile nell'analisi dell'esistenza stessa.     L'uomo sarà quello che egli ha deciso di essere. Il suo modo di essere, l'esistenza, è un poter-essere, un uscir fuori—così ha scritto Pietro Chiodi—verso la decisione e l'autoplasmazione, un ex-sistere. L'esistenza è, dunque, un poter-essere e, pertanto, è «incertezza, problematicità, rischio, deci sione, slancio in avanti». Ma: slancio verso che cosa? E proprio qui—dice ancora Chiodi—che cominciano a dividersi le correnti dell'Esistenzialismo, a seconda delle risposte che sono: Dio, il mondo, se stesso, la libertà, il nulla.

1.2. Presupposti remoti e prossimi dell'Esistenzialismo

    Precisati, pur se rapidamente, i preliminari tratti concettuali, occorre fissa re ancora alcun~punti:-~     1) L'Esistenzialismo—dalla prospettiva della storia delle idee—si presenta come una delle manifestazioni della grande crisi dell'Hegelismo, manifestazioni che si sono espresse nel pessimismo di Schopenhauer, nell'umanesimo di Feuerbach e nella filosofia di Nietzsche e che, per altro verso, trovano il loro corrispettivo nell'opera letteraria, così intrisa di tanto profonda problematicità umana, di Dostojevskij e di Kafka. 2) Alla radice dell'Esistenzialismo si trova il pensiero di Kierkegaard.  3) Se Kierkegaard è la radice remota dell'Esistenzialismo, la Fenomenologia ne è la radice prossima. L'Esistenzialismo si articola, infatti, in un continuo esercizio di analisi dell'esistenza, e delle relazioni dell'esistenza umana con il mondo delle cose e quello degli uomini.   4) L'analisi dell'esistenza non è stata oggetto soltanto di opere filosofiche, come è il caso dell'analitica esistenziale condotta col metodo fenomenologico da Heidegger in Essere e tempo, ma anche di una vasta opera letteraria (teatro, romanzi) che soprattutto con Sartre, Camus e Simone de Beauvoir ha sottolineato i tratti meno nobili, più tristi e dolorosi delle umane vicende.

I pensatori più rappresentativi dell'Esistenzialismo

I rappresentanti più prestigiosi dell'Esistenzialismo sono Martin Heidegger e Karl Jaspers in Germania; Jean-Paul Sartre, Gabriel Marcel, Maurice Merleau-Ponty e Albert Camus in Francia; Nicola Abbagnano in Italia.

 

Fonte: http://www.adripetra.com/DidatticaDispense/TerzoTr/Filosofia/Heidegger.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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Martin Heidegger:

vita:
Martin Heidegger (1889-1976) studia filosofia “classica” presso l'Università di Friburgo, ma l’impronta decisiva per la sua formazione gli viene data dal suo maestro, E. Husserl, dal quale attinge il metodo fenomenoligico e con il quale imposterà la sua opera maggiore “Essere e tempo” (dedicata allo stesso Husserl), che lo classificherà come filosofo dell’esistenza.
Intorno al 1930 l’indagine di Heidegger subisce una svolta decisiva: non riguarderà più l’analisi esistenziale, tesa alla ricerca dell’essere; bensì si trasforma in una ricerca che riconosce all’essere stesso l’iniziativa dello svelamento dell’essere.
La seconda fase del suo pensiero è caratterizzata dalla volontà di sfondare le categorie della metafisica occidentale e trovare una nuova dimensione del pensiero.
Afferma Heidegger “Filosofia e poesia devono incontrarsi”.
Questa seconda fase si esprime con opere come “Che cos’è la metafisica?” e “Lettera sull’umanesimo”.
Nel 1933 (anno dell’ascesa al potere di Hitler) Heidegger diventa rettore dell’università di Friburgo, ciò implica una più o meno implicita adesione al regime, che dopo la fine della guerra lo porterà ad allontanarsi dal mondo accademico.

Il Pensiero Filosofico:
Il pensiero filosofico di Heidegger si suddivide in due fasi segnate da una netta svolta (il kehre), che mantiene però una continuità di fondo legata all’essere.
In “Essere e Tempo” il problema dell’essere viene affrontato a partire dall’esistenza umana.
Tra gli enti, le realtà che sono, l’uomo (il dasein o l’esserci) è l’unico ente in relazione con l’essere e aperto all’essere: quindi la ricerca filosofica del senso dell’essere deve passare necessariamente attraverso un’interrogazione dell’esistenza umana.

Dasein è un termine composto: da = lì
sein = essere

L’uomo è sempre collocato in una situazione che non ha scelto, ma è comunque un ente aperto all’essere: l’uomo può scegliere che cosa diventare, “non come il fiore che rimarrà sempre fiore”. 

“Essere e Tempo” rimane però un’opera incompleta perché cercare il senso dell’essere attraverso l’esserci si rivela impraticabile. Questo percorso rappresenta ciò che Heidegger definisce analitica esistenziale, ossia un’analisi dell’esistenza umana e un’ontologia esistenziale: attraverso l’esistenza umana si ricerca il senso dell’essere.
L’analitica esistenziale viene condotta attraverso un metodo fenomenoligico: si parte dall’esperienza concreta vissuta dal singolo, per cogliere delle strutture essenziali e costitutive dell’umanità in quanto tale. Il punto di arrivo di Heidegger non è l’uomo singolo, ma è l’uomo in quanto tale.

La differenza ontologica:
Vi è una differenza sostanziale tra enti che manifestano l’essere, ma non sono l’essere, e l’essere stesso. L’essere è quello sfondo intelligibile che si nasconde dietro gli enti.
L’essere non è qualcosa altrimenti verrebbe ridotto ad ente; l’essere è rappresentato al niente, ovvero non-ente, nessun ente.
Aver dimenticato la differenza ontologica è la caratteristica della metafisica e della filosofia occidentale. Heidegger si propone di superare la metafisica occidentale, accusandola di aver dimenticato l’essere a favore degli enti, essendo essi qualcosa di ben definito che l’uomo può gestire completamente. L’essere è invece oscuro e non dominabile.
Per esempio, Dio è stato ridotto dalla cultura occidentale al primo anello della catena degli enti, infatti cercando di ridurlo alle nostre categorie (orthotes) è stato trasformato nel primo ente (ontoteologia).

Aletheia: verità come disvelamento (non è mai una chiara manifestazione, ma è un gioco di luce e
ombra). L’essere non si svela completamente, ma in parte rimane oscuro, e questa
caratteristica deve essere mantenuta per evitare che l’essere si riduca ad ente.
Orthotes: verità come corrispondenza ad uno schema razionale.

La filosofia occidentale ha sempre cercato di “catturare” l’essere (begriffen à begriff), proprio perché essendo esso indominabile e sfuggevole, ha cercato di ridurlo a schemi razionali (à dionisiaco di Nietzsche).
Nella logica di aletheia l’uomo non cattura l’essere, ma lo lascia sussistere.

Le categorie dell’esistenza:
Heidegger, nella sua analisi delle strutture dell’esistenza, individua due categorie costitutive fondamentali: gli esistenziali (strutture fondamentali dell’esistenza stessa)
 


  • l’essere nel mondo
  • l’essere con altri                cura

L’essere nel mondo:
Il dasein è gettato nel mondo, che è una totalità di enti utilizzabili.
La critica a Husserl consiste nel fatto che, secondo Heidegger, il dasein non è pura soggettività distaccata, “il puro occhio del mondo”, ma esiste un rapporto di coinvolgimento più profondo con gli altri enti. L’uomo è gettato nell’esperienza e comprende il significato degli enti in base al loro utilizzo pratico.  Il coglie il senso degli enti nella misura in cui li utilizza e li inserisce nel suo progetto.
n.b. Il dasein manifesta il senso delle cose, essendo aperto all’essere, ma non è ciò che dà senso ad esse.

L’essere con gli altri:
Il mondo è la totalità dei significati, in quanto gli enti prendono significato nella misura in cui utilizzati. Il mondo della totalità di significati è un mondo condiviso originariamente con altri. Ogni dasein è in relazione con altri dasein, che hanno diverse aperture all’essere e diversi progetti nel mondo. Il problema consiste nel far convivere pacificamente le diverse aperture dei dasein rispetto all’essere.

La cura:
L’insieme degli esistenziali costituisce la cura, che è insieme un rapporto teoretico e pratico.
Il dasein si prende cura degli enti e ha cura degli altri dasein.
La cura è insieme comprensione degli enti alla luce dell’essere (dimensione teoretica) e progetto (dimensione pratica).
La cura in sostanza è il metodo che il dasein utilizza per entrare in relazione con gli enti o con gli altri dasein, e ciò avviene progettando la propria esistenza. L’uomo può progettare la sua esistenza perché è aperto all’essere e ad infinite possibilità, ma progettare significa comprendere il senso d’essere degli enti. La cura è la cifra sintetica dell’esistenza, ciò che consente al dasein di rapportarsi con ciò che lo circonda.

La cura nasce sempre a partire da una determinata situazione emotiva o tonalità affettiva, perché l’uomo è sempre emotivamente ad affettivamente influenzato. La sua capacità di entrare in relazione con gli enti non è neutrale e l’imparzialità è un’illusione.
L’uomo è gettato nel mondo in una situazione sempre emotiva, che limita la sua prospettiva, ma che gli dà colore. Questo aspetto fa parte dell’ambito esistenzialista che considera l’uomo come un essere concreto carico di affetti.

 

La cura può essere vissuta in modo autentico o in autentico.
L’esistenza è sottoposta ad una duplice scelta:

autenticità: il dasein si realizza autenticamente come dasein
 
inautenticità: è una forma degradata di autenticità

 

La seconda scelta è meno originaria rispetto la prima. Heidegger non vuole esprimere nessun giudizio morale (la prima è una buona scelta mentre la seconda no), ma vuole sottolineare come la prima possa realizzare il dasein, mentre la seconda no.

L’esistenza inautentica:
Heidegger descrive l’esistenza inautentica come un’esperienza anonima (quella di tutti e di nessuno), impersonale, conformistica, appiattita sulla dimensione del “si”, ovvero quella dove il “si dice” o “il si fa” domina incontrastato. In essa, tutto è livellato, convenzionale, mediocre, normale.
Nell’esistenza inautentica il dasein non è un individuo unico ed irripetibile, è tutti e nessuno, perché è ciò che sono tutti.
Il dasein decade a livello delle cose; questo degrado è definito deiezione: il dasein si riduce ad uno dei tanti enti presenti, in quanto si spegne la sua apertura all’essere.
Il linguaggio, che per sua natura è la manifestazione dell’essere, diventa, a questo livello, chiacchiera, un puro vociare, dominato dalla curiosità, non per l’essere delle cose ma per la loro apparenza visibile, e dall’equivoco, perché tutto è dato per scontato.

L’esistenza autentica:
L’esistenza autentica coincide con l’essere per la morte, con la decisione anticipatrice della morte.
Quando Heidegger parla di “morte” non intende l’evento conclusivo dell’esistenza, ma intende il morire come mortalità, per sottolineare che l’esistenza umana è finita, che l’essere è esposto alla possibilità del morire.
Heidegger, infatti, definisce la morte come possibilità autentica e autentica possibilità.
Innanzitutto la morte è autentica possibilità perché il dasein vive la propria morte sempre e solo come possibilità, mai come realtà. Infatti, nel momento in cui la morte diventa un fatto reale il dasein non esiste più, si annulla e non la può vivere. Di conseguenza, la morte incide come una possibilità a cui l’esistenza è sospesa.
La morte è però anche la possibilità più autentica del dasein.
Mentre tutte le altre possibilità che si dispiegano al dasein sono possibilità di essere in un modo piuttosto che in un altro, la morte è unica. La morte è l’unica possibilità che sicuramente si realizzerà, è una possibilità intrascendibile, assolutamente certa.
Non riguarda un certo modo di essere, ma riguarda il “ci” dell’esserci, cioè il fatto che il dasein esista oppure no. La possibilità della morte getta una luce negativa su tutte le altre possibilità, le nullifica in quanto sono tutte legate a quest’ultima.

Anticipare la morte non vuol dire suicidarsi ma vivere autenticamente tutte le possibilità dell’esistenza solo come possibilità, nella consapevolezza che tutte queste sono agganciate alla possibilità autentica più estrema che è la morte, la morte.

 
L’angoscia:
Per l’essere che vive per la morte il sentimento emotivo caratteristico è l’angoscia.
L’angoscia è un sentimento metafisico, molto diverso dalla paura, non ha infatti come oggetto qualcosa di determinato ma è generato da quell’abisso oscuro che lascia, nel dasein, la condizione di finitezza e fragilità dell’esistenza.
Nell’esistenza inautentica la morte viene come appiattita del suo valore e vista come un fatto fra tanti altri, che non tocca direttamente la mia esistenza ma è la morte degli altri (“si muore”).
Il dasein ha paura della morte perciò cerca di non parlarne. La paura è la “versione inautentica” dell’angoscia.

Tempo e temporalità:
Esercitare in modo autentico la cura significa anticipare la propria morte, avere coscienza della propria finitezza.
  Coincide con l’essere per la morte
Cura
ll                             

Temporalità
progetto
ll
comprensione degli
enti alla luce
dell’essere

Attraverso il concetto di cura si esplicita il concetto di temporalità, che è il senso ontologico della cura. Infatti, la cura autentica è temporalità e la temporalità è il senso d’essere della cura.
Vivere autenticamente la propria cura significa cogliere e vivere la propria esistenza come un tutto, cioè in ogni sua dimensione senza appiattirla al solo presente.
La vita si dispiega in tutte le direzioni, vivendo solo il presente il dasein si riduce a un ente del mondo (deiezione).

Il termine temporalità implica differenti sfumature di possibilità.
Heidegger, sull’esempio di Bergson che distinse il tempo della scienza dal tempo della coscienza,  introduce una distinzione tra tempo e temporalità.

Il tempo è misurabile, ordinabile, ontico (riguarda gli enti), è il tempo dell’orologio.
È concepito come una serie di “ora”:
passato  a non più ora
presente a ora
futuro     a    non ancora ora
Le tre dimensioni sono come tre punti distinti, sono tre dimensioni estrinseche.
Il presente prevale, come ora. Gli enti sono chiusi in se stessi.

La temporalità coincide con la temporalità del dasein. È temporalità esistenziale.
Nella dimensione della temporalità:
futro       a advenire
presente  a essere presente
passato   a    essere stato
La temporalità si orienta a partire dal futuro, perché è la temporalità del dasein, che è un ente progettante e quindi teso verso il futuro (advenire).

 

Nella temporalità il passato non è ciò che non è più, ma si ritrova nel presente così come il futuro.
Pertanto le tre dimensioni della temporalità si coappartengono, non sono l’una senza le altre, e sono legate grazie alla progettualità, ovvero grazie all’apertura all’essere.
Heidegger definisce tali dimensioni come estasi temporali perché “estasi” letteralmente significa “ciò che sta al di fuori”. Infatti, le dimensioni che costituiscono la temporalità estatica hanno senso solo in quanto sono fuori da sé, e sono in relazione alle altre.

Il senso dell’essere:
Temporalità = esistenza autentica = essere per la morte

Il senso dell’esistenza autentica, che coincide con l’essere per la morte, è lo scorrere della temporalità: il tempo, il continuo scorrere, che alla luce dell’essere per la morte va a declinare e a perdersi nel nulla.
Quindi, in ultima analisi, il senso dell’essere si rovescia nel nulla (ottica nichilista).

La svolta: “il secondo Heidegger”:
“Essere e Tempo” è stato interrotto per il “venir meno del linguaggio”.
Heidegger si rende conto che questa ricerca dell’essere a partire dal dasein è impraticabile, poiché questi non fa che nullificare il senso dell’esistenza.
Ma soprattutto percepisce che qualsiasi ricerca e approfondimento sul rapporto essere-tempo (quindi sul senso dell’essere) sarebbe stata gravata da un limite fortissimo.
Infatti, avrebbe dovuto usare le categorie, i termini e il linguaggio della metafisica occidentale, che lui avversa, in quanto ha dimenticato la differenza ontologica e ha ridotto l’essere a un ente manipolabile.
Cerca così una nuova strada di pensiero, che recuperi il senso originario della verità, che sveli la verità come aletheia, e che mantenga il fondo di oscurità in cui l’essere deve essere preservato.

 

Elabora così un pensiero non concettuale, che non si modella su schemi fissi e rigidi: il pensiero rammemorante o poetante.
Con questo, Heidegger si propone di riscoprire la ricchezza di senso dell’essere.
Il linguaggio poetico diventa la “casa” dell’essere, l’ambito originario in cui l’essere si manifesta.
Nella poesia è l’essere che parla.

Il pensiero rammemorante:
Rammemorante a “memoria” = ricordo di ciò che è assente

Il pensiero rammemorante fa memoria dell’essere e non tenta di ridurlo ad un ente presente, ma lo lascia sussistere nella sua assenza, oscurità e differenza rispetto gli enti.
Attraverso un pensiero concettuale l’uomo pretende di diventare il padrone dell’essere (che diventa ente dominabile). Attraverso il pensiero rammemorante, invece, il dasein è il pastore dell’essere, il suo custode in quanto lascia che questo si manifesti senza alcuna pretesa di dominio.
Dunque Heidegger cambia radicalmente il suo pensiero: non è più l’uomo che manifesta il senso dell’essere, ma è l’essere stesso che si rivela all’uomo.

Il pensiero poetante:
Heidegger individua nella poesia, e nel suo linguaggio di immagini e suggestioni, la forma più originaria della manifestazione dell’essere.
I versi della poesia hanno una capacità infinitamente superiore di cogliere l’essere rispetto alla tecnica:
il linguaggio poetico non è la parola dell’uomo sull’essere ma è quella dell’essere sull’uomo stesso.

L’uomo deve abbandonarsi all’essere lasciare che questo si manifesti liberamente senza pretendere di racchiuderlo in schemi totalizzanti.
L’essere viene concepito come un dono: l’essere non “è” ma si “da”.
Propriamente, però non è l’essere a donarsi.
L’essere si dona negli enti: si manifesta in essi e allo stesso tempo si sottrae in quanto non si esaurisce in nessun ente.
La logica dell’abbandono è pertanto profondamente diversa dalla logica della metafisica occidentale.

uomo e essere:
L’essere non è il fondamento delle cose, poiché il fondamento è sempre un ente, e l’essere non lo è.
Heidegger riscopre il rapporto tra uomo e natura come insieme di significati che non si aprono direttamente dall’uomo.
L’uomo accede agli enti, li scopre e li comprende solo in quanto si trova già da sempre inserito in un’originaria apertura di significati, il “mondo”, che non risale direttamente dall’uomo, ma dipende dall’essere stesso, che si rivela manifestandosi attraverso gli enti.
Il mondo è inteso da Heidegger quasi come il grembo materno, ricco di sfondi oscuri, scopribili ma non dominabili;  mentre la metafisica l’ha ridotta a materiale neutro, plasmabile, dove ha introdotto i propri significati.

La fine della metafisica:
Heidegger cerca di mettere in evidenza i limiti della tecnica in quanto dominio degli enti.
Tutti gli squilibri, i problemi che la tecnica ha portato sono la conseguenza della crisi della ragione occidentale, come razionalità calcolante che ha costruito un mondo misurabile, che non si addice alla manifestazione dell’essere.
Per Heidegger era inevitabile che il pensiero occidentale andasse verso il declino, portando avanti contraddizioni e incoerenze, che nonostante tutto hanno aperto la via al rinnovamento.

Articolo di giornale:
L’impianto e la tecnica:
La metafisica Occidentale, che fa tutt’uno con la tecnica, ha ridotto l’essere a un impianto, ossia ad un oggetto funzionante, una struttura attraverso la quale è possibile dominare la natura stessa.
Ma nonostante lo abbia ridotto a ciò, si vede un “lampeggiare improvviso dell’essere” (uomo).

Vi sono tre opinioni sulla tecnica:

  • visione totalmente positiva
  • visione neutrale: il valore della tecnica dipende dalla capacità umana di governarla e orientarla in una direzione piuttosto che in un’altra; dipende dagli scopi.
  • visione totalmente negativa

Heidegger non condivide nessuna delle tre posizioni.
Critica le due posizione estremiste in un senso e nell’altro, ma anche quella neutrale poiché vede la tecnica come uno strumento e non coglie la sua essenza che sta nel fatto di manifestare l’essere (anche se in modo imperfetto).
La logica dell’impianto è una sistematica riduzione delle cose a risorse.
Chiarire il significato degli enti in funzione della propria funzione occulta l’essere.
L’uomo deve dare il proprio contributo aprendo nuove strade per la manifestazione dell’essere.
Anche nell’orizzonte della tecnica, che riduce l’essere ad impianto può lampeggiare improvvisamente e inaspettatamente il senso dell’essere, può diventare evidente ciò che salva (Hölderlin).
n.b.: più volte nei sui scritti Heidegger fa riferimento all’essere come ciò che salva, facendo quindi un indiretto riferimento alla rivelazione cristiana (interpretazione religiosa del pensiero di Heidegger).

L’arte:
L’alternativa alla riduzione dell’essere a impianto, ossia l’alternativa alla tecnica può è essere rappresentata dall’arte (come la poesia) che è in grado di manifestare gli enti nel loro senso d’essere, secondo un’apertura ontologica e non ontica.
L’esempio può essere portato dal commento al quadro di Van Gogh, che rappresenta le scarpe di una contadina (“L’Origine dell’opera d’arte”).
Commentando il quadro, Heidegger fa capire come l’arte possa esprimere e manifestare il senso dell’essere: l’arte è la forma più autentica di pensiero rammemorante.
L’opera d’arte rivela ciò che sono realmente le scarpe: il mezzo attraverso cui si rivela un infinita apertura di significati che rimandano al significato oscuro dell’essere.

 

Fonte: http://digilander.libero.it/alemar85/Autori%20filo/Martin%20Heidegger.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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Heidegger Martin vita e opere e pensioro filosofico

Il pensiero filosofico di Martin Heidegger in “Essere e tempo”

 

1.

La meditazione filosofica di Martin Heidegger, tedesco del Baden, nella Foresta Nera, attraversa l’epoca delle Guerre mondiali e quindi la duplice tragedia della Germania, essendo nato nel 1889 e morto nel 1976.

Dopo essere divenuto libero docente presso l'università di Friburgo, divenne assistente di Husserl, il fondatore della corrente filosofica che prende il nome di fenomenologia. Prese allora il via un periodo di grande intesa tra i due filosofi. A Friburgo, Heidegger tenne seminari e corsi sulla filosofia classica e medievale. Lascia Friburgo per andare ad occupare la cattedra di filosofia dell'università di Marburgo. Qui tiene lezioni su Kant, Aristotele, Platone e Cartesio

 “Essere e Tempo” fu pubblicato nel 1927.

Nel 1928 fu nominato successore di Husserl alla cattedra di Friburgo.

Nel 1933 Heidegger fu Rettore dell’università di Friburgo e dapprima sostenne il nuovo corso politico della Germania. L’anno dopo, dimessosi dall’incarico di rettore per incompatibilità con il nuovo regime, fu sospettato dalle autorità Naziste e tenuto sotto sorveglianza e censura.

Nel 1945 invece fu il Governo Militare Americano di occupazione a impedirgli di continuare ad insegnare nell’Università e persino di pubblicare.

Egli continuò tuttavia a insegnare “privatamente” all’Università negli anni successivi, pubblicando i suoi corsi e influenzando profondamente tutta la cultura europea e mondiale.

Morì nel 1967 nella cittadina natale, Messkirch nella Foresta Nera.

2.

La filosofia di Heidegger raccoglie indubbiamente alcune domande essenziali legate al clima culturale dell’Europa intorno alla Prima guerra mondiale.

Da un lato si poneva l’esigenza di affrontare il problema della scienza e della tecnica, che incidevano ormai in tutti i sensi nei costumi e nella vita delle popolazioni, e che (1927) avevano mostrato anche la loro terribile potenza distruttiva nel conflitto mondiale.

Si trattava pure, perciò, di impegnarsi nella ricerca di significati più originari, che rivelassero all’uomo la sua dimensione autentica rispetto alla civiltà meccanica.

C’era inoltre il problema di comprendere l’uomo alla luce della sua storicità e temporalità, come categorie più vere della vita, rispetto all’astrattezza di una concezione che non tenga conto dell’esperienza concreta. A questo riguardo era affiorata nella cultura europea intorno alla Guerra mondiale una Kierkegaard Renaissance, cioè una ripresa dell’interesse per il filosofo danese che aveva concepito l’esperienza umana come un’esperienza nella categoria temporale della possibilità.

 

3.

Heidegger ripropone la domanda fondamentale della filosofia, cioè la domanda sull’essere. La domanda sull’essere si configura così: che senso ha “essere”? Questo significa tentare la comprensione della realtà nel modo più originario e radicale, a partire cioè non da determinate regioni dell’essere già disegnate (come fanno le scienze specifiche, es. la biologia il cui oggetto è il mondo organico), ma dal fondamento stesso d’ogni realtà.

4.

Egli nota come per l'intera ontologia tradizionale del passato l'essere è qualcosa che si dà per scontato che esista, al di là dell'apparenza del mondo, per cui l'essere è una presenza che mai si mostra ma che si intende fondare come qualcosa di necessario in modo da impedire una caduta nel niente degli enti, i quali, secondo una distinzione platonica, sono corruttibili nel mondo fisico mentre sono incorruttibili (una loro parte essenziale) in un mondo metafisico al di là dell'apparenza.

Tutti parliamo comunemente di “esseri”, di “enti”. Sappiamo che in questo modo possiamo riferirci a qualsiasi realtà. Ma cosa vuol dire, alla fine, questo “essere” evocato dalla parola “ente” e che serve a designare qualsiasi cosa? Cos’è precisamente l’essere dell’ente?

5.

Fra tutti gli enti del mondo, è l’uomo l’ente che pone la domanda sull’essere. Heidegger dice che l’uomo pone la domanda ontologica. L’uomo possiede già infatti una comprensione implicita dell’essere dell’ente, e proprio per questo pone la domanda. Ognuno di noi ha già, fin da sempre, una comprensione “media e vaga” dell’ente nel suo essere.

Dunque per porre la domanda sull’essere dell’ente, conviene interrogare, fra gli innumerevoli enti che ci sono, proprio quell’ente che pone la domanda.

6.

Va dunque precisato che:

l’essere è sempre l’essere di un ente. Cercare l’essere vuol dire indagare comunque un ente.

l’ente che pone la domanda sull’essere è l’uomo, poiché l’uomo è già fin dall’inizio aperto all’essere.

Si tratta allora di interrogare l’ente interrogante (cioè l’uomo).

6.

Ma cosa vuol dire interrogare l’ente che interroga (cioè l’uomo)?         

Le varie scienze (antropologia, psicologia, biologia ecc.) considerano l’uomo come un ente tra gli altri. Esse perciò considerano l’uomo (dice Heidegger) in senso ontico, non ontologico. Invece la filosofia considera l’uomo come l’ente ontologico, cioè quello che pone la domanda sull’essere.

7.

Da questo punto di vista, l’uomo non è un che cosa, ma un chi. Cioè: una esistenza.

8.

Cosa vuol dire una “esistenza”? Esistenza deriva da ex-sistere, sporger fuori. L’uomo è nel mondo eppure non è nel mondo come la parte di un tutto, come l’acqua dentro un bicchiere per esempio. L’uomo è nel mondo come apertura ad esso.

Cioè come perenne possibilità.

Esistere significa infatti per Heidegger "ex-sistere", ovvero non essere più "un permanere", ma costantemente andare oltre questo permanere, verso la possibilità aperta, verso la novità degli accadimenti che permettono all'esistenza di mutare nel corso del tempo (esistere è divenire). Esistere, per l'uomo, significa quindi tendere sempre verso una nuova sistemazione della realtà.

L'esistenza è una possibilità di rapporti che l'uomo può determinare, è trascendersi, progettarsi.

Si noti invece come l'essere immutabile della metafisica classica sia invece un in-sistere, ovvero un permanere entro la propria condizione, senza possibilità di mutamento.

9.

Infatti, fra tutti gli enti, l’ente-uomo ha una cosa particolare. Mentre noi pensiamo alle “cose” che incontriamo come a delle presenze oggettive, l’uomo non è mai una semplice presenza. Anzi. L’indagine attenta mostra che l’uomo è temporalità. Perché questo?

6.

L’uomo è nel mondo nella dimensione del progettare. Questo termine non vuol dire che l’uomo necessariamente calcola, programma, prevede. Vuol dire che l’uomo è sempre in azione sul mondo, o meglio che incontra il mondo nella situazione in cui egli si trova, e che è sempre una situazione interessata, influente e condizionante. Non esiste mai per l’uomo un mondo “neutrale” oppure una propria neutralità al mondo. L’uomo è Dasein, esser-ci.

7.

Esserci. L'analitica dell'esserci non è studiare il soggetto invece dell'oggetto, poiché l'esserci è costitutivamente apertura al mondo e comprensione di esso. L'esserci è essere-nel-mondo, rapporto con esso, e l'esserci è la totalità del rapporto, non solo un polo di essa.

8.

Il termine tedesco Da-sein indica proprio il fatto che l’uomo e-siste solo e sempre nel senso di “essere aperto” o anche di “essere l’apertura”. Apertura a che cosa? Alla totalità del possibile (Welt, cioè “mondo” nel senso di totalità del possibile).

8.

Tuttavia il Da-sein è apertura entro una (determinata) situazione.

“Situazione” vuol dire che l’uomo è situato, cioè immesso in un certo contesto particolare in cui si trova ad agire. Ma questo agire è progetto, perché in realtà l’uomo, in ogni situazione, incontra sempre un “mondo”, cioè una possibilità a cui è aperto.

9.

L’uomo è progetto, nel significato di pro-gettare, sporgersi fuori da.

Concepito come progetto nel senso di interesse condizionante gli oggetti che incontra, l’uomo non ha a che fare con “cose” che innanzitutto sono così come sono, nella loro indipendenza e oggettività, ma con mezzi o strumenti del proprio essere proiettato, del proprio sporgersi in avanti e oltre.

10.

Il Mondo a cui il Da-sein si apre non è la somma o l’insieme delle cose semplicemente presenti in esso, o di eventi isolati nello spazio e nel tempo, secondo l’immagine “naturale” delle scienze. La considerazione oggettiva delle cose, cioè l’essere inteso come semplice presenza, proprio delle scienze, consiste in una messa tra parentesi delle caratteristiche del progetto, cioè dell’interesse, dell’emotività ecc.

11.

Dunque l’uomo è situato e insieme aperto nel progetto: questa condizione viene definita da Heidegger con il termine cura. L’uomo ha sempre a che fare con le cose e la “cura” è la situazione di comprensione e di affettività che caratterizza il suo aver a che fare con le cose.

12.

Ma in realtà ciò con cui ha che fare il Da-sein è sempre designato come significatività, perché ha sempre a che fare con cose “a sua disposizione”, con cose cioè che “servono” a qualcosa, come la matita per disegnare o il martello per battere.

Questa condizione dell’uomo, che Heidegger definisce nel progetto situato e nella cura, mette in luce il fatto che

la sua essenza (ciò che l’uomo è) è l’esistenza.

Infatti l’essenza di un ente è data dalla sua definizione. Ma non si può dare, dell’uomo, altra definizione che quella di essere sempre in una situazione, nella dimensione del progetto.

13.

Di qui la ripresa della categoria della possibilità, come modo di essere essenziale dell’uomo. L’uomo è poter-essere. Ma è poter-essere, in rapporto non a qualche compiutezza già assegnatagli (che si tratta per lui di raggiungere o non raggiungere). E’ radicalmente poter-essere, nel senso che il suo essere consiste proprio nel poter-essere.

14.

Poiché l’uomo è ex-sistenza, i modi in cui è aperto al mondo saranno dunque modi esistenziali.

15.

Essi si distinguono in situazione emotiva, comprensione e discorso, che articola i primi due.

16.

L’uomo ha una certa tonalità emotivo-affettiva e comprende. Ebbene, il suo comprendere corrisponde al poter-essere, che è l’apertura in cui l’uomo sempre si trova. L’uomo è originariamente aperto e tale apertura è apertura all’essere. E la tonalità affettiva significa la stessa cosa, l’essere aperto e quindi il trovarsi sempre situato in una particolare condizione emotiva. Per Heidegger anche gli stati emotivi sono il modo di rivelarsi dell’essere. “Situato” e “aperto” coincidono perché esprimono il poter-essere, che non è una libertà originaria indeterminata, ma il trovarsi sempre in una situazione nella forma del progetto.

17.

Heidegger dice anche che l’uomo è gettato nel mondo. Esso è rivelato dalla situazione emotiva e indica insieme la comprensione e il progetto.

Il progetto, quindi, non è paragonabile all’escogitazione di un piano mentale, ma piuttosto alla possibilità non dispiegata davanti ma implicita in una condizione già da sempre data. L’uomo comprende non nel senso di intuire ciò che gli sta davanti come oggetto, ma a partire da una pre-comprensione implicita e originaria che orienta tutto il nostro sapere. Perciò l’uomo parte da una apertura che è la situazione in cui è gettato.

18.

La cura è l’essere del Da-sein umano, che insieme alla significatività del mondo ne svela anche la radicale finitezza esistenziale, cioè il suo essere ogni volta assegnato al mondo e dipendente da esso.In quanto gettato nel mondo, l’uomo è condizionato dalla situazione in cui viene a trovarsi. Perciò è comunque in quella condizione di inautenticità che Heidegger chiama deiezione.

19.

La deiezione (dal lat. deicere, gettar giù) è la condizione per l’uomo è sempre già nel mondo: in altre parole la sua libertà (poter-essere) è comunque situata, non indefinita come se l’uomo fosse libero a partire da una condizione assoluta. L’inautenticità di tale condizione corrisponde al fatto che si è immersi nei condizionamenti culturali del proprio ambiente, nelle opinioni comuni ecc. L’uomo è sempre un individuo nato in un certo luogo, tempo, stato sociale ecc. Perciò il suo poter-essere è compromesso dalla condizione di estraneità a se stesso.

18.

Il senso della cura è quello della temporalità. Non si tratta qui del tempo inteso volgarmente come una successione di istanti o una datazione di eventi, ma dell’unità estatica del passato, presente e futuro che si apre nel progetto. Estatica vuol dire “che si apre”, che trascende.

19.

Il problema dell’essere, visto attraverso il Da-sein cioè l’ente che pone la domanda sull’essere (domanda ontologica), conduce all’orizzonte del tempo.

Il pensiero greco ha compreso l’ente (in generale) come esser-presente, cioè come presenza, a partire dunque dal tempo presente. Tale comprensione si è cristallizzata e irrigidita nel tempo presente, oscurando la cooriginarietà di passato, presente e futuro e il legame tra essere e tempo. Questo sta all’origine della deiezione del Da-sein, che vive in un tempo in autentico, cioè caratterizzato dal si impersonale e dal mondo spersonalizzato della pubblica opinione, della civiltà di massa e dei mass-media.

20.

Nell’inautenticità della deiezione l’uomo comprende se stesso come io-cosificato tra le cose-oggetto, cioè come enti-presenti. L’io-cosificato è un io senza mondo, isolato come soggetto o coscienza caratterizzato dalla chiacchiera quotidiana.

21.

La civiltà della tecnica che domina il mondo contemporaneo è un'estremizzazione del pensiero metafisico classico, in cui vi è un soggetto (l'uomo) che intende dominare, con la sua volontà di potenza sulle cose, degli oggetti che sono altro da sé. L'essere degli enti si identifica allora con il ruolo e la funzione che vengono loro assegnati all'interno del sistema della tecnica.

22.

La tecnica moderna si configura invece come dominio dell'uomo sulle cose, l'uomo crede che l'essere delle cose sia soggetto al suo dominio, in realtà l'uomo non è il padrone dell'essere, l'uomo è tutt'al più il "pastore" dell'essere, ovvero il custode di quella dimensione che rende possibile agli enti di manifestarsi, custoditi nell'esistenza stessa dell'uomo, la quale si manifesta proprio entro l'orizzonte aperto dall'essere. L'essere sopravvive al tentativo di dominio della tecnica perché non è un ente concreto, l'essere è solamente la condizione in cui gli enti si manifestano, e la tecnica può solo occuparsi degli enti concreti (quindi non dell'essere).

23.

Ma in cosa consiste allora l’autenticità della sua condizione? Nella decisione anticipatrice della morte. Perché? La morte non è un fatto estraneo all’esistere, anzi! Essa è la possibilità, fra tutte le altre, più autentica, perché non consiste in una determinazione qualsiasi. La morte è quella possibilità che, accadendo, si annulla davvero e definitivamente come possibilità, e insieme annulla ogni altra possibilità. La morte è la possibilità dell’impossibilità di ogni possibilità, la possibilità dell’impossibilità dell’esistenza. Mentre ogni altra possibilità tende a determinarsi e riaprire la possibilità stessa, la morte no, nega tutte le possibilità: perciò la morte rende ogni progetto della vita, cioè ogni sforzo che facciamo di determinarci e definirci, puramente precario e provvisorio. Perciò la morte illumina il carattere di radicale possibilità dell’esistenza umana, prima e oltre qualsiasi nostra determinazione. La decisione anticipatrice della morte non è certo il suicidio, ma il progettarsi dell’esistenza in questa illuminazione.

22.

La morte è ciò che è proprio in maniera autentica di ciascuno. La decisione anticipatrice della morte apre tutte le altre possibilità in modo autentico, le rende veramente proprie di chi le sceglie e perciò libere.

23.

Per Heidegger (e qui vi si possono leggere forti analogie con Kierkegaard) l'angoscia è la paura che nasce dalla consapevolezza che con la morte tutto si annulla. L'angoscia che deriva quindi dalla consapevolezza della nostra finitezza, oltre ad essere uno stato emotivo indissolubilmente legato all'esistenza autentica è anche un sentimento positivo, necessario a dare significato autentico alla nostra vita (chi vive nell'esistenza inautentica tende invece a dimenticare la morte e ad allontanare l'angoscia).

24.

Heidegger afferma che la nostra vita può svolgersi entro un orizzonte autentico solamente se le nostre scelte sono rapportate alla nostra finitezza. Egli pone la "vita-per-la-morte" come concetto positivo: solo la consapevolezza della nostra finitezza è in grado di produrre quel significato e quell'attenzione per le cose del mondo che non potremmo avere se, perduti nell'eternità, avessimo la consapevolezza di potere goderne in eterno.

 

 

 

Fonte: http://www.istituto-santanna.it/Pages/LiceoScientifico/HEIDEGGER.doc

Sito web: http://www.istituto-santanna.it/

Autore del testo: Deo gratias

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