Filosofia morale appunti

 

 

 

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Filosofia morale appunti

APPUNTI DI FILOSOFIA MORALE

ETHOS – abitudine
ÈTHOS – luogo di vita abituale, consuetudine, costume, uso, carattere
MORES – i costumi, il carattere ( morale )
ETICA
Vocabolario della Lingua Italiana Treccani:
«Ogni dottrina o riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo,
soprattutto in quanto intenda indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a
conseguirlo, quali siano i doveri morali verso se stesso e verso gli altri, e quali i criteri
per giudicare sulla moralità delle azioni umane».
METAETICA – designa il discorso su i discorsi etici, analizza le procedure del linguaggio e dei concetti espressi dal discorso etico.

L’etica
Definizione: è una parte della filosofia che studia la condotta umana, i moventi
che la determinano e le valutazioni morali (bene o male, giusto o sbagliato).
Socrate: è lo scopritore della ricerca interiore (conosci te stesso). La sua teoria
etica è detta intellettualismo etico in quanto lui riteneva il bene attraente, quindi chi
lo conosce non può non praticarlo, invece coloro che commettono il male lo fanno
solo per ignoranza.
Platone: si giunge alla felicità solo attraverso la conoscenza, la cui forma più
elevata è la matematica. Solo il filosofo è veramente felice perché riesce a
contemplare le forme e va oltre il mondo sensibile dell’esperienza quotidiana.
Aristotele: la morale non è una scienza, non è soggetta a leggi assolute e
rigorose, non svaluta l’esperienza (come Platone), anzi applica il metodo induttivo
(dal noto e dal particolare ricava la legge generale) anche all’etica. L’etica è
inscindibile dalla politica.
Egli distingue due tipi di virtù: quelle etiche (sono pratiche, la più alta è la giustizia)
e quelle dianoetiche (prevedono l’uso della ragione, la più alta è la sapienza). La
virtù per Aristotele risiede nel giusto mezzo.

Lo stato di natura tra etica e politica
Hobbes: prima della creazione dello stato civile e delle leggi, gli uomini vivevano
in uno stato di natura, nel quale prevale il diritto all’autoconservazione dei singoli: è
lo stato del bellum omnium contra omnes. In questo stato di insicurezza e pericolo
subentra la ragione. Gli uomini, emanando un contratto sociale, alienano i propri
diritti nella figura di un sovrano in nome della propria sicurezza. Il sovrano ha
poteri assoluti, può tutto sui sudditi tranne togliere loro il diritto alla sicurezza.
Non stipula nessun contratto, diversamente dai suoi sudditi, quindi non ha nessun
dovere nei loro confronti.
Locke: lo stato di natura per Locke non è uno stato di guera e violenza, anzi gli
uomini manifestano una tendenza alla socialità innata, all’interno di esso già
esiste il diritto di proprietà, prima di se stessi, poi dei propri beni che sono
l’estensione del corpo umano attraverso il lavoro. L’uscita dallo stato di natura
nasce dall’esigenza materiale di poter scambiare ciò che ognuno individualmente
produce. Il sovrano firma un contratto con i sudditi, quindi ha diritti e doveri,
deve garantire i diritti già esistenti, primo tra tutti il dirtto di proprietà. Se il sovrano
non rispetta i propri doveri ed infrange il contratto il popolo è legittimato a
ribellarsi.

L’etica, utilità e formalità
L’etica utilitaristica: l’utilitarismo trova la sua formaulazione compiuta nel pensiero
di J. Bentham e più avanti di J. Stuart Mill.
L’utilità è la misura della felicità di un essere sensibile.
Il bene è ciò che aumenta la felicità.
• In una dimensione sociale la finalità della giustizia diviene la massimizzazione del
benessere del maggior numero di persone.
L’etica kantiana: è un’etica formale (cioè svincolata dai contenuti), la sua moralità
si fonda sull’imperativo categorico:
• agisci in modo che la massima della tua azione divenga legge universale;
• agisci in modo di trattare l’umanità sempre come fine e mai soltanto come mezzo.
È un’etica pura, cioè il suo unico movente è il dovere.
Se un uomo deve, allora è libero. Chi agisce sencondo la legge è sempre virtuoso,
ma non sempre felice, dunque è necessario ammettere l’esistenza di un Dio giusto
che garantisce e concilia la felicità con la virtù nel sommo bene.
La virtù in questa vita non permette di raggiungere la perfezione morale, dunque è
necessario ammettere l’immortalità dell’anima perché solo così si avrà la possibilità
di raggiungere la santità.

Nelle culture arcaiche, la morale di una determinata comunità sociale
è sempre fondata su una teologia basata sul mito e sulla presunta
rivelazione.
La risposta dell’etica greca consistette nell’identificare il sommo
bene con la felicità, anche se la definizione di felicità era varia nei
contenuti.

Per i Sofisti, la virtù può essere insegnata e si esplica in regole che permettono di
vivere in società; essa non è legata al diritto di nascita ma coincide con comportamenti
funzionali ai bisogni sociali; c’è una coincidenza tra virtù e osservanza della
legge. Per Socrate, la virtù è unica e s’identifica con la conoscenza, l’azione malvagia
è il frutto dell’ignoranza; questa posizione non lascia spazio alla volontà
dell’azione etica; la conoscenza si esemplifica in una cura costante della propria
anima che deve dominare il corpo, in ciò consiste il fine della vita. Per i Cinici, la
virtù è vivere secondo i bisogni primari di natura; essa è un esercizio che deve portare
a non avere bisogno di nulla e al soddisfacimento dei bisogni elementari. Per
Epicuro, la natura è il fondamento della morale, ma la natura non è un ordine necessario;
l’agire è legato alle passioni e all’arbitrio e non ai comandi degli dèi o
all’ordine cosmico; il movente della condotta morale è la virtù che è privazione di
dolore fisico e morale. Per gli Scettici, poiché la realtà non ha un significato assoluto,
la felicità è data soltanto dall’apatia e dalla imperturbabilità della condotta; la ragione
non va guidata dogmaticamente: i principi non comandano, ma orientano,
suggeriscono ciò che è utile e opportuno. Per Platone, le virtù e la giustizia sono
funzioni delle parti dell’anima; il bene è «vita mista di piacere e pensiero»; l’etica è
la scienza che ha per oggetto il bene, l’idea suprema, raggiungibile con un processo
d’elevazione al mondo intelligibile; guardando alle idee si possono individuare
dei criteri per distinguere il giusto dall’ingiusto. Per Platone, la fondazione della polis
presuppone un’operazione etica: un’intesa linguistica. E’ questo il motivo per cui
occorre escludere dalla polis i retori, che muovono la gente tramite gli affetti; i sacerdoti,
che parlano ex-autoritate; i poeti, che mentono troppo e lasciano oscillare i
significati; sono ammessi invece i filosofi che parlano dopo avere definito cose e
regole. Per Aristotele, la legittimazione della morale dipende dalla natura dell’uomo,
dalle forze dell’anima; la felicità è il fine della condotta e si conforma alla natura razionale
dell’uomo, la sapienza. Per gli Stoici, le regole di condotta vanno dedotte
dalla struttura razionale della natura e dalla natura propria dell’uomo; occorre vivere
secondo ragione; la loro è una morale che vale per tutta l’umanità e prescinde dagli
usi e costumi di una singola polis; questo ideale cosmopolita si traduce nella conformità al dovere; la perfezione della ragione si esplica nella virtù, nell’attenersi aldovere. Per lo stoico imperatore Marco Aurelio, l’uomo è diretto nel suo agire dal divino presente in lui, cioè l’intelletto; egli deve sentirsi partecipe delle sorti dell’intera umanità. Per Plotino: la virtù è purificazione e liberazione dall’esteriorità e progressiva conversione nell’Uno.

L’ethos dello Stato deriva dall’autolegislazione dei suoi membri,
che può derivare da tre diverse attitudini fondamentali:
1. I cittadini cedono ogni diritto al sovrano: le norme etiche risultano
dal diritto positivo, cioè dalle leggi.
2. I cittadini conservano alcuni diritti inalienabili: alcune delle norme
etiche precedono il diritto positivo.
3. Lo Stato non diviene altro che l’espressione della sovranità inalienabile
dei cittadini: il diritto positivo discende dalla volontà etica
generale.

 

 «il mondo moderno vanta almeno
due significative origini precedenti l’età dei Lumi: la prima è quella
della scoperta e conquista dell’America a partire dal 1492; la seconda è quella dell’asservimento della natura ad opera dell’uomo mediante
la scienza e la tecnica» MOLTMANN

 L’Umanesimo del XV secolo promuove la presa di coscienza della
storia come di una missione tipicamente umana che si esprime
attraverso le lettere.
 Il Rinascimento del XVI secolo conosce un rinnovamento dello
spirito dell’uomo anche per merito della scoperta delle opere degli
antichi.16
 La Riforma del XVI secolo ridefinisce il principio dell’autorità,
«benché i riformatori, per lo più anticopernicani e poco democratici,
restassero ancora per molti aspetti legati a concezioni e modi
di comportarsi medievali».
 La rivoluzione scientifica dei secoli XVI e XVII muta la visione del
mondo: la scienza diviene l’unico sapere oggettivo e l’avvento
della tecnica trasforma il modo di vita.
 L’Illuminismo del XVIII secolo può considerarsi la realizzazione
intellettuale della modernità; la ragione illuminata assurge a criterio
assoluto di verità, bellezza, bontà e ordine.
 Con le rivoluzioni in America (1776) ed in Francia (1789)
l’individuo diviene un reale soggetto politico.

 l’umanesimo aveva sancito il riconoscimento
della centralità della persona umana nell’universo; su tale
scia la modernità ha decretato la definizione dell’uomo quale soggetto razionale in un mondo di oggetti da comprendere per mezzo della
ragione. BURCKHARDT

«Non sorprende che la difesa della ragione liberata abbia solo
dato nuova forma alle idee della divina provvidenza, piuttosto che
spazzarla via. Un tipo di certezza (legge divina) è stata sostituita da
un’altra (la certezza dei nostri sensi e dell’osservazione empirica),
mentre la divina provvidenza è stata sostituita dal progresso provvidenziale.
»  Giddens:

Eagleton:
«Visto generalmente come positivistico, tecnocentrico e razionalistico,
il modernismo universale è stato identificato con la fede
nel progresso lineare, nelle verità assolute, nella pianificazione razionale
di ordini sociali ideali e nella standardizzazione della conoscenza
e della produzione.» Eagleton:

 «A connotare questa età sono stati, dunque, il
progresso, la crescita e l’espansione, le utopie e le rivoluzioni nel
segno della speranza.» Moltmann

1. J. B. Heller sostiene che la generazione dei postmoderni è la terza
fra quelle che si sono succedute nel dopoguerra, quella esistenzialista
e quella dell’alienazione che si è esaurita nella sua
disillusione nel 1968.
2. Jean F. Lyotard fa iniziare la postmodernità negli anni ’50, che in
Europa segnano la fine della ricostruzione. In seguito, però, lo
stesso autore fa coincidere la nascita del postmoderno con
l’evento di Auschwitz.
3. Gianni Vattimo indica il momento simbolico del passaggio epocale
con la distruzione nichilistica che compie Nietzsche in Umano,
troppo umano

Benjamin, in un celebre frammento, ha
descritto il cammino della Storia come una corsa verso il futuro che
lascia dietro di sé cumuli di rovine, seppellendo le vittime cadute durante
l’avanzata del progresso. «C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo
che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi
spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo
aspetto. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula
senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben
trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso,
che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle.
Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre
il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è
questa tempesta.»  MOLTMANN

Significativa è stata l’opera di Simone Weil:«L’illimitatezza, la
forza, la distruzione della tradizione, lo sradicamento, temi decisivi
per l’analisi del nichilismo insieme alla metamorfosi moderna della
potenza, costituiscono infatti il nucleo della sua riflessione.»
Per tale autrice, ebrea convertita al cattolicesimo, alla debolezza
dell’uomo si affianca quella di Dio, un Dio colto come asintoto e
luogo immaginario ed impensabile.
La Weil contrappone questa debolezza divina alla forza mondana
delle grandi Chiese.
In lei è presente il concetto di malheur: la lontananza dal luogo
della misura, dell’equilibrio e della riconciliazione, l’infelicità moderna
per cui l’essere si allontana sempre senza possibilità di ritorno, ma
sempre memore della patria lasciata: «in questo rotolare via, Simone
Weil vede la condizione tipica della modernità».

«Sembra dunque che il fallimento di Dio per il credente sia andato
di pari passo con il fallimento, per il non credente, della ragione,
e l’uno e l’altro concorrano a non lasciarci più molte illusioni
sull’approssimarsi dell'età del nichilismo... Non abbiamo mai avuto
difficoltà ad ammettere che la ragione non è, ma diviene. Ora apprendiamo
che non è, ma diviene, anche Dio, proiettato nella Storia...
Non si sta affacciando all’orizzonte di una società in angustie
una sorta di teologia debole, che si viene stranamente affiancando
al cosiddetto “debolismo” filosofico?» BOBBIO

Per Lyotard83 la modernità ha prodotto delle grandi narrazioni84
(cioè concezioni globali ed ideologiche della storia con forte senso
della trama e dell’organizzazione gerarchica) per orientare in modo
unitario il corso della storia dell’occidente e per legittimare istituzioni,
pratiche sociali e modi di pensare.

 Kuhn
La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), denunciava come insostenibili:
1. l’idea di un metodo unico (quello ipotetico-deduttivo) per l’analisi
delle teorie;
2. l’idea che la scienza fosse avalutativa, cioè non influenzata dai
valori.
Inoltre, analizzando la storia delle scoperte scientifiche, affermava
che:
1. ogni teoria è relativa ad un certo paradigma e vale solo all’interno
di quel paradigma;
2. i paradigmi e le teorie conseguenti non sono neutrali, ma coinvolte
in motivi psicologico-sociali. Di conseguenza, il passaggio da
un paradigma ad un altro non avviene razionalmente, ma per salti
fideistici
Ne consegue che le diverse teorie scientifiche non sono confrontabili
tra loro, in quanto mancano dei criteri oggettivi.
Le teorie, sempre più, sono giudicate come interpretazioni:101 infatti,
se le procedure cognitive della scienza non obbediscono ad alcun
criterio riconoscibile come oggettivo, allora anche nell’ambito
scientifico non ci sono più fatti, ma solo interpretazioni, si ha dunque
un’ermeneuticizzazione della teoria della scienza, cioè una sua soggettivizzazione.

 Il privilegio dell'esperienzale: non si tratta di credere ma di sperimentare.
Il tentativo di autotrasformarsi grazie a tecniche psicocorporali o
psicoesoteriche.
 Un carattere progressista della concezione monista del mondo
con il rifiuto del postulato dualista della separazione fra l'umano e
il divino (concezione olistica del sacro; coscienza planetaria).
 Ottimismo, anche se si tratta di un ottimismo moderato.
 Primato dell'amore: un comportamento è eticamente giusto
quando è ispirato dall'amore.
 Esperienza di realtà non ordinarie (con un ritorno dell'interesse
per esperienze occulte, psichiche, esoteriche); ricerca di una felicità
privata, qui e ora».

«...l’incarnazione, e cioè l’abbassamento di Dio a livello dell’uomo...
andrà interpretata come segno che il Dio non violento e non assoluto
dell’epoca post-metafisica ha come suo tratto distintivo quella
stessa vocazione all’indebolimento di cui parla la filosofia di ispirazione
heideggeriana;118 –ancora parla di– una concezione della
secolarizzazione caratteristica della storia dell’Occidente moderno
come fatto interno al cristianesimo, legato positivamente al senso
del messaggio di Gesù; e una concezione della storia della modernità
come indebolimento e dissoluzione dell’essere.» VATTIMO

LA VERITA

Una riflessione sul concetto di verità che sta oggi emergendo deve
tenere conto dei seguenti elementi:
 Le varie teologie sono la manifestazione di processi di inculturazione
in corso.
 I credenti, soprattutto oggi, vivono in mezzo ad una pluralità di
concezioni razionali del mondo non facilmente sintetizzabili e con
una forte coscienza di finitezza.
 Nel relativismo contemporaneo, di cui occorre comunque tenere
conto, la verità di una tradizione è interpretata come puramente
immanente e legata al tempo.139
 L’idea di verità come orizzonte, che concepisce l’eternità come
unico luogo della verità, significa che nessun approccio e nessun
cammino può presumere di identificarsi con la verità come orizzonte.
Questa contesta l’incompatibilità necessaria tra tradizioni
diverse; non svuota l’idea di una fede definitiva, ma la concepisce
in senso escatologico (al termine di un verso dove…) e la connette
con altre verità parziali senza pretese egemoniche.
 La verità è infinita e non è mai posseduta da ciò che è finito.
Quando Cristo afferma di essere la verità, in realtà si definisce
come rivelazione della verità e non cerca di limitarla entro gli ambiti
dell’esperienza del suo insegnamento. Scrive Ricca: «Ecco
perché è così difficile raggiungere la verità: non solo perché bisogna
andare al fondo delle cose, ma perché bisogna andare al
fondo di noi stessi. E questo non è solo difficile, è doloroso.»141
 Occorre riconoscere che c’è sempre una distanza tra la Verità e
la nostra particolare verità: «Nel momento in cui la coscienza di
questa distanza non è più mantenuta, divento arrogante: sappiamo
bene quanti delitti sono stati commessi in nome della verità e
per affermare la verità.»142 La verità in senso assoluto è più grande
di ogni percezione della verità.
 La verità si fa strada da sé, non s’impone. I comportamenti
s’impongono, non così la fede che è un’esperienza di libertà.
 Per Tommaso, «le immagini, mediante le quali la fede percepisce
qualcosa, non costituiscono l’oggetto della fede, ma ciò mediante
cui la fede tende al suo oggetto».
 Nei confronti delle altre religioni, i cristiani non sempre hanno tenuto
conto del fatto che la rivelazione è un atto d’amore di Dio e
hanno mancato di rispetto per la ricerca dello spirito umano.
 Ha scritto Kierkegaard che «chi vuole annunziare veramente
qualche verità deve guardarsi dalla bramosia… di guadagnare il
consenso degli uomini, come se fosse il consenso degli uomini a
stabilire ciò che è vero e ciò che è falso».
 Occorre anche evitare la confusione tra verità e significato: «il bisogno
della ragione non è ispirato dalla ricerca della verità, ma
dalla ricerca di significato. E verità e significato non sono la stessa
cosa».
 Il concetto di verità come asintoto od orizzonte escatologico può
aiutare il percorso ecumenico: tale verità è generosa, comunitaria,
accogliente, senza l’angoscia del sincretismo (che resta un
pericolo), critica con se stessa.
 L’integralismo implica un ripiegamento su se stessi, un rifiuto della
storia e dei diritti umani fondamentali.
 Occorre tenere viva la tensione tra verità e libertà. Da un lato, la
libertà mette in discussione la verità della rivelazione cristiana;
dall’altro, la verità rivelata mette in discussione critica la libertà
storica degli uomini.
 Occorre ricordare anche che l’etica è la verità tradotta in prassi, e
quindi le attitudini morali dipendono dal modo di intendere la verità.
 Sul piano delle convinzioni o verità dottrinali, l’approccio con
l’altro dipende molto dall’esistenza o meno di una gerarchia di verità
che definisce principi irrinunciabili ed attitudini o convinzioni
negoziabili.

 Bauman:
«La società attuale forma i suoi membri al fine primario che essi
svolgano il ruolo di consumatori. Ai propri membri la nostra società
impone una norma: saper e voler consumare… In una società dei
consumi che funzioni correttamente, i consumatori si danno da fare
per essere sedotti.»
«...lo spirito movens dell’attività del consumatore non è più la
gamma misurabile di bisogni articolati, bensì il desiderio, un’entità
molto più volatile ed effimera, evasiva e capricciosa, ed avulsa dai
bisogni, una forza autoprodotta e autoalimentata che non abbisogna
di altra giustificazione o causa.»

Riassumendo, la postmodernità si caratterizza per quattro grandi
tematiche
1. Un modo diverso di intendere la razionalità; da qui la cosiddetta
crisi della ragione.
2. La crisi del soggetto; venendo meno la coscienza dell’unità
dell’io, tutti i diversi atti che erano considerati espressione del
soggetto acquistano un’autonomia che li rende indipendenti gli
uni dagli altri disgregando il soggetto stesso.
3. Una ridefinizione della storia e della storicità; c’è una crisi
dell’idea di progresso, un galleggiare nel tempo e, talvolta, un ritorno
al tempo ciclico. Scrive Vattimo: «Credo che la filosofia non
debba né possa insegnare dove si è diretti, ma a vivere nella
condizione di chi non è diretto da nessuna parte.»166 Nella postmodernità, all’uomo non resta che portare la sua frammentarietà
temporale, che è la sua storia, al di là di ogni progetto o illusione
di progresso.
4. L’esistenza di una molteplicità di punti di vista ha dato origine ad
un diffuso pluralismo etico per il quale la differenza dei punti di vista
è un fatto molto apprezzabile e la tolleranza è un valore essenziale

Rossi ha confrontato moderno e postmoderno in un'interessante sintesi; il moderno,
nell’interpretazione postmoderna, appare «1) come l’età di una ragione forte...
dominata dall’idea di uno sviluppo storico del pensiero come incessante e progressiva
illuminazione; 2) come l’età dell’ordine nomologico della ragione...; 3)
come l’età... del pensiero inteso come accesso al fondamento; 4) come l’età
dell’autolegittimazione del sapere scientifico e della piena e totale coincidenza fra
verità ed emancipazione; 5) come l’età del tempo lineare...; 6) come l’età dominata
dalla persuasione della positività dello sviluppo e della crescita tecnologica», per
contro, il postmoderno si presenta: «1) come l’età di un indebolimento delle pretese
della ragione...; 2) come l’età della plurivocità o della polimorfia o dell’emergere di
una pluralità di modelli e paradigmi di razionalità non omogenei... vincolati solo alla
specificità del loro rispettivo campo d’applicazione; 3) come l’età di un pensiero
senza fondamenti o della decostruzione o di una critica della ragione strumentale
che revoca il senso della storia e ne riconosce il carattere enigmatico; 4) come l’età
in cui la scienza riconosce il carattere discontinuo e paradossale della sua propria
crescita; 5) come l’età della dissoluzione della categoria del nuovo e dell’esperienza
della fine della storia; 6) infine come l’età in cui scienza e tecnica appaiono rischiose.

Simone Weil (1909-1943) nasce da genitori ebrei non praticanti. A 16 anni vive
una forte crisi depressiva, il cui frutto più significativo è la scoperta di una personale
vocazione alla verità che non l’abbandonerà più. Insegna filosofia in vari licei, con
l'interruzione di due anni in cui lavora in fabbrica. Nel ’37, vive un’esperienza mistica
di incontro col Cristo particolarmente intensa che indirizzerà il suo pensiero in
termini decisamente spirituali. Da allora preferirà alla cultura platonico-ellenica lo
studio dei principali testi sacri esistenti, dal Libro dei Morti Egiziano al Corano, dalla
Bibbia alla Bhagavad-Gita. Nel ’40, abbandona Parigi a causa dell’invasione e si
rifugia negli USA, da qui passa in Inghilterra dove lavora per l’organizzazione Fran
ce libre e muore nel 1943. La Weil subisce dapprima il fascino del marxismo di cui
tuttavia rifiuta l’autoritarismo. Si occupa di politica fin dagli anni del liceo, ma non si
iscrive mai ad alcun partito. La sua militanza politica iniziale, più anarchica che
marxista, trova le sue ragioni in un’ispirazione etica che la guiderà sempre a fianco
degli oppressi. Aderisce inizialmente allo spiritualismo francese d’inizio secolo,
permeato di una forte carica anti-sistematica. Successivamente la Weil svilupperà il
suo pensiero che sarà sempre più caratterizzato dalle esperienze interiori. Gli anni
della fabbrica danno l’avvio ad una profonda e sofferta riflessione sul senso della
propria esistenza, mentre vive l’esperienza operaia come occasione d’esperienza
interiore. L’idea della morte attraverserà tutta la sua vita costituendone il vettore di
ricerca della verità. Scrive in una lettera: «Ho sempre pensato che l’istante della
morte sia la norma, lo scopo della vita. Pensavo che, per coloro che vivono come si
conviene, sia l’istante in cui per una frazione infinitesimale di tempo penetra
nell’anima la verità pura, nuda, certa, eterna. Posso dire di non aver desiderato per
me altro bene.» Abbandona gradualmente l’interesse politico e spinge la sua riflessione
in direzione del senso dell’esistere, colto nei suoi risvolti religiosi e mistici,
senza rinunciare al tentativo di tradurre il tutto in pensiero, compito che non delegò
mai ad alcuna istituzione. E’ un personaggio estremamente significativo per la radicalità
con cui ha vissuto la sua visione del mondo attraverso le sue trasformazioni.
Come filosofa certamente non fu capita: ci fu sempre un maggior interesse per il
suo vissuto. Una caratteristica della sua esistenza fu proprio quel particolare contatto
col malheur, la sofferenza come realtà universale, nonché l’accettazione di esserne
posseduti senza che ciò porti alla rassegnazione: «Non si tratta di cercare un
rimedio contro la sofferenza, ma di farne un uso soprannaturale». Il centro del pensiero
di Weil è imperniato sul concetto di decreazione, quale conseguenza diretta
della creazione stessa: in merito la Weil rivela una tendenza gnostica: «La creazione
è abbandono. Creando ciò che è altro da Lui, Dio l’ha necessariamente abbandonato.
La creazione è abdicazione.» E ancora: «Dio si è svuotato della sua divinità
e ci ha riempito di una falsa divinità. Svuotiamoci di essa. Questo atto è il fine
dell’atto che ci ha creati. In questo stesso momento Dio con la sua volontà creatrice
mi mantiene nell’esistenza perchè io vi rinunci. Dio attende con pazienza che io voglia
infine acconsentire ad amarlo.» Decreazione, quindi, come atto di spoliazione
totale e come unica via per portare a realtà quella scintilla divina presente in noi.
Attraverso la Weil si stabilisce un rapporto tra la facoltà naturale dell’intelligenza e
quella soprannaturale dell’amore: la prima infatti può cogliere «l’esistenza
nell’anima di una facoltà superiore a se stessa, che conduce il pensiero al di sopra
di essa». E’ in virtù di tale scoperta e non di alcuna costrizione esterna, che
l’intelligenza umana trova in se stessa «un motivo sufficiente che la costringa a subordinarsi
all’amore soprannaturale».

 

FONTI
INTERNET
Berni - Biodiritto
Enrico Diciotti – Relativismo etico, antidogmatismo e tolleranza
Paolo Casalegno – La questione del relativismo fra filosofia e dibattito pubblico
Vittorio Fantoni – Modernità, postmodernità e morale
Umberto Galimberti – L’etica nell’era della tecnica
Leonardo Marchettoni – Verità, pluralismo e realismo
Roberto Mordacci – Relativismo, moralità e questioni morali

 

Fonte: http://www.liceofermibo.net/genitori_admin/genitori/docs/APPUNTI_DI_FILOSOFIA_MORALE.doc

Sito web da visitare: http://www.liceofermibo.net

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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