Filosofia
Filosofia appunti e riassunti
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Filosofia appunti e riassunti
ETICA
  Il termine ETICA in uno degli usi più frequenti si  riferisce ad un codice o un gruppo di principi secondo i quali la gente vive.  Tuttavia quando parliamo di ETICA i filosofi non intendono il termine in questo  modo. Essi lo intendono anche come uno STUDIO TEORICO. Gli oggetti che vengono  studiati dall’etica sono le teorie. Queste teorie, qualche volta definite le  TEORIE ETICHE, riguardano domande come: come dovrebbero comportarsi gli uomini?  In cosa consiste la vita buona per l’uomo?
  LA DIFFERENZA TRA LA NOSTRA ETICA  IMPLICITA E QUELLA FILOSOFICA È LA RIFLESSIONE CHE VA DAL PARTICOLARE  ALL’UNIVERSALE. 
  La  classificazione delle teorie etiche
  La classificazione è di tipo storico e si  distingue tra 
| Teorie etiche classiche | Teorie etiche moderne | 
| Teorie che precedono l’età    contemporanea. | Sono teorie contemporanee. Sono dette anche teorie descrittive perché si limitano a descrivere le etiche precedenti. | 
PLATONE
  È il primo autore di cui abbiamo l’opera per  intero (i suoi scritti sono in genere conversazioni, definite “dialoghi” tra  Socrate e altri filosofi greci del V secolo).
  LA SUA ETICA È DEL TIPO INTELLETTUALISMO OVVERO IDENTIFICA IL BENE MORALE CON  CONOSCENZA E IL MALE CON L’IGNORANZA. 
  Quindi coloro che sanno cos’è il bene (e quindi  sanno in che cosa consiste la vita buona) non agiranno mai in modo malvagio;  chi fa il male non lo fa volontariamente ma perché ignora cosa sia il bene. 
  Il problema è ora quello di definire che sia il  bene e come si faccia a raggiungerlo. Secondo Platone esiste una vita buona e  una soltanto. Questo è dovuto al fatto che il bene è unico, oggettivo e  assoluto cioè esiste a prescindere dalle inclinazioni, desideri, dalle  opinioni degli esseri umani. Il bene esiste indipendentemente dall’umanità e,  per istruire adeguatamente gli uomini, deve essere scoperto.
  Platone sottolinea che il bene è uno come è una la  soluzione di un problema. Il bene assomiglia alla verità matematica. Il bene è  quindi conoscenza e la virtù è conoscenza del bene. Per arrivare a conoscere il  bene gli uomini devono seguire un cammino lento e lungo che presuppone un  distacco dalle cose materiali. Inoltre questo cammino oltre ad essere lungo e  difficile non è alla portata di tutti: è solo per coloro che nascono con certe  virtù. Questo cammino prevede l’apprendimento di alcune discipline che vanno  dalla filosofia alla matematica. Per conoscere il bene si deve quindi  percorrere questo cammino che è precluso alla maggior parte delle persone.
  La sua ETICA è quindi un’ETICA ARISTOCRATICA anche  se Platone parla di una particolare aristocrazia che è esclusivamente del  merito. Platone infatti nel dialogo “la repubblica” immagina una classe  dirigente che governa. Coloro che governano sono coloro che, avendo sviluppato  le loro capacità intellettuali, avrebbero acquisito conoscenza e, avendo  acquisito conoscenza, avrebbero capito la natura della vista buona. Ciò avrebbe  garantito loro una condotta morale: di conseguenza sarebbero stati dei buoni  governanti. Secondo Platone gli individui gli individui che invece non  possiedono le capacità intellettive di acquisire conoscenza e che quindi non  saranno in grado di capire cosa sia il bene, imiteranno coloro che conoscono il  bene e di conseguenza agiranno anche loro virtuosamente, accettando la loro  guida.
  IL PLATONISMO  HA AVUTO UN ENORME IMPATTO SULLA FILOSOFIA RELIGIOSA: MOLTI TEOLOGI HANNO  INFATTI AFFERMATO CHE LEGGI MORALI COME “NON UCCIDERE” E “NON RUBARE” SIANO  ASSOLUTE E OGGETTIVE IN SENSO PLATONICO. 
  La differenza è però che Platone ritiene che i  criteri morali fossero superiori anche a Dio stesso ovvero il bene è  antecedente a Dio. Per la religione Dio crea il bene.
ARISTOTELE  (EUDONISMO = ETICA ARISTOTELICA)
  (Passaggio tra la civiltà greca classica e  l’ellenismo)
  Platone viene descritto come colui che guarda  verso l’alto (filosofia trascendente); Aristotele invece viene descritto come  colui che guarda verso il basso (filosofia immanente). Pensatori come Eraclito,  Platone, derivarono in parte le loro idee etiche dalle posizioni metafisiche  che sostenevano.
  Aristotele invece adotta un approccio scientifico  ed empirico ai problemi di etica; cioè invece di cercare di scoprire cos’è il  bene con la sola riflessione, egli ha esaminato il comportamento e i discorsi  delle varie persone.
  PER ARISTOTELE  L’ETICA È UNA DISCIPLINA PRATICA. 
  Le scienze si dividono  in:
| Teoretiche | Pratiche | Politiche | 
| Sono discipline come la metafisica, la fisica e la matematica, in cui ciò che è non può essere altrimenti. Sono discipline che hanno a che fare con l’entità assoluta. | Sono discipline come l’etica e la politica che hanno a che fare con la pratica. Ciò che è e può essere altrimenti. Ciò non significa che non siano scienze ma il modo in cui si argomenta e le certezze che abbiamo sono differenti. | 
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L’etica di Aristotele parte da un’analisi di modo  concreto con cui gli uomini agiscono. Gli uomini agiscono in vista di un fine  che si identifica con la felicità. La vita buona per gli uomini significa  quindi una “vita di felicità”. Aristotele identifica quindi la virtù con la  felicità. La trattazione più articolata di queste idee si ritrova nell’ETICA  NICOMACHEA. In questo libro Aristotele definisce la Felicità come  un’attività dell’anima che si accorda con la virtù perfetta. Aristotele  vuole sottolineare il fatto che la felicità non è qualcosa di statico, ma è  un’attività. La felicità non è la meta che ci attende se ci comportiamo in un  certo modo, essa è qualcosa che si accompagna a certe attività. 
  Per Aristotele tutto ciò che accade avviene per  una causa ed è per un fine. Il fine dell’agire degli uomini è la felicità. La  differenza tra Platone e Aristotele è che mentre per Platone esiste un bene  unico, per Aristotele esistono beni differenti e quindi differenti virtù. La  caratteristica comune delle virtù è quella di rappresentare il giusto mezzo tra  due estremi: ad esempio il coraggio è il giusto mezzo tra la temerarietà e  avidità. Il fatto che ogni singola virtù è il giusto mezzo tra due eccessi,  questo non significa media matematica. La filosofia di Aristotele non vuole  essere simile alla matematica ma all’esperienza. Ad esempio la dieta intesa  come corretta alimentazione.
  A seconda di una serie di fattori per ognuno di  noi la giusta quantità di cibo varia ed è nel giusto mezzo tra il mangiar  troppo e il mangiare poco. È impossibile definire come valida per tutti sempre. Il modo corretto di comportarsi nella  sfera morale è quindi quello di adattarsi al giusto mezzo. 
  La moderazione per Aristotele finisce per essere  la virtù fondamentale. Per essere felici bisogna agire con moderazione  sforzandosi di raggiungere il mezzo tra due estremi. Il mezzo varierà poi da  persona a persona.
  Differenze tra Aristotele e Platone
- Per Aristotele la conoscenza di quale sia il bene non implica la realizzazione del bene. Si può anche sapere qual’è il bene e non essere in grado di metterlo in atto.
- Per Aristotele inoltre non basta presentare dei modelli di esistenza corretta e porli come modelli da imitare. Occorre un processo di istruzione.
- Aristotele non nega che per raggiungere la felicità si possa usare una certa dose di beni materiali, il piacere. Per Platone invece occorreva un distacco dai beni materiali, dal piacere perché sono pallide imitazioni delle idee. Platone svaluta ogni cosa che è legata al terreno. Noi siamo anima (non c’è nessuna connessione tra piacere e vita buona).
- Anche l’etica di Aristotele è aristocratica: per essere felici occorre avere un certo numero di amici, di piacere, di piaceri
CRITICHE AD ARISTOTELE
  Ci sono situazioni in cui non è sempre possibile  seguire la via di mezzo.
  La filosofia di Aristotele sembra una filosofia  della moderazione: la felicità è il risultato di un compromesso.
FILOSOFIE  ELLENISTE
  Ne fanno parte lo  stoicismo, l’epicureismo, il cinismo.
  Sono dottrine filosofiche che nascono dalla  dissoluzione della polis classica. In queste dottrine è preponderante il  discorso etico. Queste dottrine nascono in una crisi profonda della civiltà. La  civiltà greca perde la libertà: vi è la fine della polis classica (Atene).  Questo comporta un cambiamento di valori: non ha più senso interrogarsi sulla  natura del mondo se questa non ha una ricaduta pratica concreta. Qualcuno le ha  definite ETICHE DI CONSOLAZIONE cioè etiche per aiutare il singolo.
  EPICUREISMO
  È stato fondato da Epicureo (metà da IV a III  secolo). La sua teoria etica si può definire EDONISMO ovvero la dottrina  secondo la quale L’UNICO BENE È IL PIACERE. IDENTIFICA LA VIRTÙ CON IL PIACERE.  L’edonismo come dottrina filosofica aveva due  forme: un edonismo psicologico e un edonismo etico. L’edonismo psicologico  è la dottrina secondo la quale le persone nel corso della loro vita ricercano  il piacere e solo il piacere. Tutte le attività sono quindi dirette a procurare  piacere ed evitare dolore. Epicuro oltre ad essere un edonista psicologico è  anche un edonista etico. Egli ritiene che le persone non solo cerchino di fatto  il piacere, ma che dovrebbero farlo, perché il piacere è il solo bene. Epicuro  era un epicureo diverso dal significato dell’aggettivo che gli diamo noi. Epicuro  sottolinea che il piacere è cessazione del dolore; è aporia (cessazione del  dolore fisico) e atarassia (cessazione del dolore morale). Più che una ricerca  di piacere si tratta di una liberazione dal dolore. Bisogna quindi vivere in  modo moderato ma piacevole; se una persona ricerca il piacere con troppa  insistenza ne avrà dolore. Per Epicuro è così necessario evitare i piaceri che  sono accompagnati dal dolore, essi sono PIACERI DINAMICI. L’amore sessuale ad  esempio è un piacere dinamico perché si accompagna a fatica, rimorso,  depressione. Altri di questi piaceri sono il bere, l’ingordigia, la fama, sono  i cosiddetti piaceri della carne. Contrappone a questi piaceri i PIACERI  STABILI che anziché turbare la nostra anima la inducono a uno stato di calma.  Un esempio è l’amicizia. La proposta etica di Epicuro comporta quindi una fuga  dalla realtà politica del tempo, una fuga dal privato che non è individuale.
  Quando gli  individui affrontano una grande catastrofe, possono aggrapparsi al piacere  perché in un mondo al collasso esso fornisce tranquillità e sicurezza.  L’edonismo è una filosofia che giustifica la loro condotta. L’edonismo può  essere considerato come la filosofia che sorge dalla disperazione.
IL  CINISMO
  Il fondatore è un discepolo di Socrate. Il cinismo  si può considerare come una norma di condotta per chi vive una vita  intollerabile, dovuta al collasso del mondo circostante o a ragioni di  disperazione personale. Questo collasso cominciò in parte con il declino della  città stato greca. (Le frequenti guerre tra Sparta e Atene o tra Sparta e  Corinto con le incredibili perdite di vite umane e le distruzioni che  implicarono) che fu poi accelerata dai disordini che accompagnarono la caduta  dell’impero di Alessandro. Quando crollarono istituzioni di tale importanza, le  persone erano naturalmente spinte a pensare a come guadagnarsi una salvezza  personale. A questa esigenza il cinismo diede una risposta originale: esso sostiene che tutti i frutti della civiltà non hanno  valore: il governo, la proprietà privata, il matrimonio, la religione, lo  schiavismo, il lusso e tutti i piaceri artificiali dei sensi. Se salvezza ci  sarà si troverà in un rifiuto della società e in un ritorno alla vita semplice:  una vita di ascetismo.
  L’unica via di fuga è allontanarsi dalla civiltà  in modo il più possibile naturale. L’uomo per sua natura è buono e felice; si  corrompe entrando nella civiltà. I primi cinici, come per esempio Diogene  condussero vite frugali e addirittura miserabili, sino appunto ad essere accomunati  per il loro modo di vivere, agli animali. Difatti il termine cinico proviene da  “ky mi koss” che significa simile al cane. Gli individui per vivere in un modo  adeguato dovevano rifiutare di partecipare nella società, dovevano abbandonare  le cose esteriori. Se una persona è alla ricerca della salvezza, la deve  trovare al suoi interno: in questo consiste la virtù. I cinici sostenevano il  rifiuto dei beni mondani. Bisognava fuggire nella naturalità (autarchia).  Queste proposte di vita cinica saranno poi alla base dell’ascetismo medioevale  che si tradusse poi nel monachesimo.
  La ricerca  della felicità è una ricerca interiore. 
  Figura del cinico : si dice per esempio che  Diogene sia vissuto in una grossa botte, rifiutando ogni raffinatezza nel  vestire, nel cibo, nella pulizia personale. Si racconta un famoso aneddoto di  lui e Alessandro Magno. Alessandro andò a visitarlo e gli chiese se poteva fare  qualcosa per alleviargli le condizioni miserabili in cui viveva. “Sì” gli  rispose Diogene “puoi toglierti dalla luce e lasciarmi vedere il sole”.
STOICISMO 
  È una teoria destinata a più successo: è giusto  definirla come la dottrina etica più influente prima del cristianesimo.  Conquistò la Grecia  dopo la morte di Alessandro Magno e dominò il pensiero romano sin quando non  venne sostituita dal cristianesimo. A differenza dell’edonismo e del cinismo  subì un certo numero di mutamenti nel corso della sua storia.
  Lo stoicismo fu fondato da ZENONE. Gli stoici come  i cinici dovettero affrontare la depressione causata dal crollo delle città  stato greche e dall’impero di Alessandro. La loro filosofia consiste in una  serie di precetti individuali volti a raggiungere una salvezza personale in un  mondo in disfacimento.  Ciò che  recupera dal cinismo è che la virtù (felicità individuale) nasce dal distacco  di tutto ciò che è fuori. BISOGNA  IMPARARE A ESSERE INDIFFERENTI DI FRONTE ALLE INFLUENZE ESTERNE. Non è  un rifiuto netto della società ma indifferenza. L’animo non deve essere turbato  da ciò che è fuori; non è necessario rinunciare ai beni materiali. La visione etica  degli stoici non può essere compresa prescindendo dalla loro metafisica. Essi  credevano alla PREDESTINAZIONE, ovvero che tutti gli avvenimenti del mondo sono  determinati dalla divinità (che per gli stoici è Dio) in base a un piano  prefissato. Nulla accade per caso. La divinità determina gli eventi terreni  rispetto ai quali gli uomini non possono opporsi. L’indifferenza è necessaria  perché ciò che accade fuori sfugge dal nostro controllo. Il libero arbitrio non  esiste. Il saggio è consapevole di questo e si adegua al disegno  provvidenziale. Si è quindi virtuosi se si riesce ad imparare ad accettare ciò  che succede e a capire che fa parte di un disegno divino che gli esseri umani  non possono imitare. L’uomo comune invece si sforza di cambiare le cose e si  illude di essere libero. Il saggio invece che comprende che gli eventi sono  stati ordinati è veramente libero.
  La virtù è quindi  nella consapevolezza, nell’accettazione serena.
Differenza  tra stoicismo e cinismo: I  cinici pensavano di non riuscire ad impedire il collasso del mondo in cui  vivano e quindi vi rinunciavano vivendo come cani. Gli stoici invece  sostenevano che questa rinuncia non era necessaria. L’uomo poteva vivere nel  piacere o nel successo materiale a condizione di non farsi intrappolare da queste  cose. Bisognava essere indifferenti.
  Effetto  principale dello stoicismo: fu  di attribuire la responsabilità del bene e del male direttamente all’individuo  invece che alla società. L’uomo è virtuoso se riesce a maturare un  atteggiamento di indifferenza nei confronti dei beni mondani; nulla di ciò che  succede può alterare il suo animo più profondo (giustifica moralmente il  suicidio: massima affermazione di libertà: posso sottrarmi al destino).
  Critiche  allo stoicismo
- Difficoltà logica relativa alle idee di predestinazione e di libertà. Gli stoici ritengono che tutto accade per caso e non vi è libero arbitrio. Sostengono però che si può modificare l’atteggiamento mentale in modo tale da divenire indifferente alle cose apprezzate in precedenza. Questa posizione implicava la libertà di ciascuno di agire sul proprio carattere e modificarlo. C’è dunque un’incoerenza: l’uomo è contemporaneamente libero e non libero.
- Difficoltà relativa alla dottrina dell’indifferenza. Ad esempio gli atti normalmente giudicati immorali diventano giusti se compiuti con indifferenza.
- Lo stoicismo perde il suo fascino quando le circostanze estreme in cui vive la gente miglioravano sensibilmente: una dottrina dell’indifferenza significherebbe privare la vita delle cose che la rendono piacevole: l’amore, l’amicizia, . Lo stoicismo nacque quando il mondo dei greci si trovava in una condizione di collasso e offrì insegnamenti utili a sopportare le difficoltà dell’epoca.
ETICA  CRISTIANA
  Non si può trovare una semplice filosofia omogenea  etichettabile come “etica cristiana”. Si possono invece identificar tre rami  principali del pensiero etico, definibili come “cristiani”.
- Il primo tipo di pensiero etico cristiano è detto etica cristiana pastorale. Il termine si riferisce alle idee morali di alcune sette cristiane primitive che si svilupparono a partire dal GIUDAISMO e dalle RELIGIONI MISTICHE PERSIANE. Esse mettono l’accento sul Decalogo (ovvero i dieci comandamenti), sulle pratiche rituali (per esempio il battesimo) e sull’insegnamento morale di Cristo. Questo tipo di pensiero ha ben pochi rapporti con una speculazione filosofica. Infatti i primi autori condussero una polemica nei confronti dei filosofi perché erano pagani; li vedevano come una co al credo religioso (la religione rifiuta ogni filosofia, ogni aspetto della cultura classica).
- Il secondo tipo di etica cristiana è molto più analitico dell’atteggiamento “pastorale” e compare solo dopo lo sviluppo della chiesa cattolica come istituzione politica e sociale, oltre che ecclesiastica. L’etica di questo periodo può essere definita etica ecclesiastica. In questa fase la religione si appropria della filosofia e la inserisce in un contesto religioso. Platone e Aristotele influenzeranno i padri della chiesa. Sant’Agostino infatti recupera la filosofia morale basata sul neoplatonismo e san Tommaso recupera Aristotele. L’influenza di Platone e Aristotele sulla religione ha comportato un cambiamento del concetto cristiano di “spiritualità” portandolo a un’interpretazione metafisica. Il concetto di anima cambiò dai tempi di Diogene che la riteneva identica per tutti gli esseri umani, a quelli di S.Tommaso d’Aquino che considerava ogni anima un ente singolo.
- Il terzo grande mutamento nell’etica cristiana fu prodotto dalla Riforma e dallo sviluppo del protestantesimo. È la fase in cui il cristianesimo si dissolve e non c’è più una fede cristiana unitaria. Nonostante tali notevoli differenze, tutte queste teorie morali condividono alcuni elementi che le distinguono da altri codici religiosi e fanno sì che si possa parlare di “etica cristiana” come di una dottrina singola e distinta.
- Tutte le teorie etiche definite CRISTIANE presumono l’esistenza di un essere divino, identificato in qualche modo con Cristo.
- Anche se le prime sette cristiane negavano l’identità tra Cristo e Dio, trovarono un accordo sul fatto che Dio aveva manifestato la sua volontà per mezzo di Cristo; da ciò consegue che l’ideale di vita predicato da Cristo è ritenuto espressione della volontà divina in tutte le teorie morali del cristianesimo.
- Si ritiene che vi è un bene assoluto e oggettivo valido in ogni tempo e in ogni luogo. In questo senso l’ETICA CRISTIANA ASSOMIGLIA ALL’ETICA PLATONICA. Questo bene però deriva direttamente da Dio il quale si è espresso con una serie di precetti nel Decalogo. La predicazione di Cristo, il Decalogo, il Nuovo Testamento formano un “codice morale”. Il comportamento di una persona viene giudicato corretto se si accorda con tale codice e immorale se viola alcune delle sue clausole. L’esistenza di precetti morali in cui si giudica il comportamento degli uomini non esclude che ci siano diversi modi per applicare i precetti (casistica: etica applicata).
L’ELEMENTO PIÙ  IMPORTANTE DELL’ETICA CRISTIANA È IL SUO AUTORITARISMO OVVERO LA CHIESA CONSIDERA  IL CODICE MORALE UNA GUIDA OGGETTIVA INFALLIBILE, CHE NON PUÒ ESSERE MESSA IN  DISCUSSIONE, PER IL COMPORTAMENTO CORRETTO. 
  Il codice morale esprime la volontà divina.
SPINOZA 
  Spinoza visse nella seconda metà del  diciassettesimo secolo. Nacque nel 1632 ad Amsterdam, dove la sua famiglia  ebraica si era stabilita dopo essere sfuggita all’inquisizione spagnola e  portoghese. Studiò in una scuola diretta dalla sinagoga spagnola e portoghese.  Si ribellò agli insegnamenti religiosi della comunità ebraica; venne così  scomunicato. Cacciato dagli ebrei visse poi con alcuni cristiani; passò poi il  resto della sua vita vivendo in tranquillità, senza ricchezze o lussi,  svolgendo la professione di molitore di lenti, vivendo di filosofia nel tempo  libero.
  La sua opera fondamentale è L’ETICA in cui usa  il metodo geometrico di Euclide per tentare di giungere a conclusioni etiche.
  Vuole dimostrare che l’etica può essere una  disciplina rigorosa e può giungere a certezze della stessa validità della  matematica. Aldilà del titolo, in buona parte del libro parla della metafisica;  nella conclusione traccia l’etica.
  In primo luogo Spinoza è un rigido determinista ovvero ritiene che “tutto ciò che accade,  accade secondo un ordine eterno o secondo determinate leggi naturali”.  Nessuno ha la libertà di agire per capriccio o per caso; tutte le azioni sono  determinate dall’esperienza passata, dalla costituzione fisica e naturale delle  persone e dalla condizione delle leggi di natura nel momento dato.
  Spinoza vede quindi un rigido determinismo non  solo nel mondo naturale ma anche nell’uomo. Egli infatti criticò Cartesio (I metà 600) di aver fatto dell’uomo un impero  nell’impero ovvero ha separato l’uomo dal mondo perché sostiene che l’animo  dell’uomo ha regole differenti dal mondo; secondo Cartesio nel mondo c’erano  leggi meccaniche e per il mondo umano c’era il libero arbitrio. Secondo Spinoza  invece anche per l’uomo valgono le stesse leggi meccanicistiche e  deterministiche che vi sono nel mondo. Ne consegue quindi la negazione del libero  arbitrio. L’uomo si illude di agire liberamente. Secondo Spinoza la vita  buona consiste in un atteggiamento in parte razionale e in parte emotivo nei confronti del mondo. La parte razionale consiste nel riconoscere come vera  l’idea che tutti gli eventi sono determinati: la parte emotiva  nell’accettazione di questo fatto. Una persona così è felice quando capisce che  ci sono dei limiti ai poteri umani; comprendendo che ogni cosa deve accadere  necessariamente, non dissiperà più le sue energie combattendo contro gli  eventi. Un altro punto fondamentale del pensiero di Spinoza è che è un  relativista.
  Egli sostiene che non esiste un bene e un male  assoluto ma lo è solo relativo a un soggetto. Questa posizione lo accomuna ad  alcuni filosofi come Hobbes. Hobbes ritiene che, non solo bene e male sono  relativi, ma che dipendono dalle sensazioni piacevoli e dolorose che le cose ci  trasmettono. Quindi noi chiamiamo bene tutto ciò che ci giova e male tutto ciò  che ci nuoce.
  QUESTA  CONCEZIONE DI BENE E MALE CONDUCE SPINOZA AD AFFERMARE CHE LE RICCHEZZE, I  SUCCESSI, I PIACERI NON SONO INTRINSECAMENTE VALIDI.  Egli sostiene l’indifferenza dei beni  esteriori all’agire morale perché spesso sono un ostacolo (posizione che recupera  dagli Stoici). Non vale la pena averli in se stessi ma solo in quanto mezzi per  rendere la vita umana più felice. 
  LA FILOSOFIA DI SPINOZA PUÒ QUINDI ESSERE INTERPRETATA COME L’OFFERTA DI UNA GUIDA CHE,  SE SEGUITA, METTERÀ LE PERSONE IN GRADO DI EVITARE LA PAURA, L’ANSIA E  L’INFELICITÀ.  Queste sorgono solo se diventiamo schiavi delle nostre emozioni: la persona che  non adotta la prospettiva più ampia si ritrova nella “schiavitù umana” ma ci si  può liberare con la comprensione che il corso della vita è predestinato e che  “nulla è bene o male in se stesso” ma diviene buono o cattivo in base  all’effetto che produce su di noi. Correggendo la nostra prospettiva, possiamo  sviluppare un atteggiamento verso il mondo che ci libererà da quella schiavitù  emotiva nei suoi confronti. Quando ciò avverrà vivremo una vita buona.  La proposta di Spinoza rimane una proposta aristocratica perché solo  pochi (il saggio) riescono a comprendere che tutto è determinato poiché solo  pochi riescono ad andare aldilà delle cose naturali e distaccarsi.
  Critiche  a Spinoza 
- Non ha risolto il conflitto esistente tra determinismo e libertà.
- Critica alla visione “sub specie alternantatis” nel contesto dell’eternità. Alle volte è utile perché spesso i soggetti si fanno assoggettare dalle loro emozioni per motivi banali. Ci sono però occasioni in cui bisogna provare forti emozioni per ciò che accade.
L’UTILITARISMO: JEREMY BENTHAM E JOHN  STUART MILL
  Gli autori che fanno parte di questa corrente filosofica  si collocano tra il 1700 e il 1800. Hutcheson ha difeso questa posizione; anche  la teoria morale di Hume è stata interpretata come una forma di utilitarismo  (anche Cesare Beccarla). Tuttavia i suoi esponenti più famosi sono Bentham e Mill  (fine ‘700, inizi ‘800). Gli utilitaristi concepivano la propria filosofia  come un tentativo di esporre un principio oggettivo con il quale determinare se  una data azione fosse giusta o sbagliata.
  Questo principio è il principio d’utilità che afferma che un’azione è moralmente giusta  in quanto tende a produrre la massima felicità per il massimo numero. Bentham e  Mill interpretarono questo principio come una forma di edonismo, identificando il piacere con la felicità. Quindi un’azione è giusta se produce la massima quantità di piacere per il  massimo numero; altrimenti è sbagliata. Questo piacere non è un piacere  individuale ma collettivo. 
  L’ESSENZA  DELL’UTILITARISMO IN QUANTO FILOSOFISTICA NEL METTERE L’ACCENTO SUGLI EFFETTI  CHE UN’AZIONE PRODUCE. SE UN’AZIONE PROVOCA PIÙ EFFETTI BENEFICI CHE EFFETTI  NOCIVI È GIUSTA, IN CASO CONTARIO NON LO È. 
  Essi consideravano questo principio di utilità  completamente oggettivo. Se per esempio accettassimo l’edonismo, stabilire che  una certa azione provoca più piacere che dolore per il più gran numero,  diverrebbe una semplice questione scientifica. Dovremmo calcolare la misura di  piacere e di dolore causata dall’azione e sapremmo così se è giusta o  sbagliata. Bentham sviluppò un metodo per eseguire questo calcolo che definì calcolo edonistico. Questo calcolo ha  sette elementi per misurare la quantità di piacere o dolore.
  L’utilitarismo  è spesso considerato una filosofia politica che implica il governo democratico  come istituzione politica. 
- I grandi utilitaristi erano di temperamento democratico. Essi combatterono per il voto alle donne, le libertà civili.
- Le loro idee basate sull’ugual importanza di ogni singolo nel calcolo della quantità di piacere e dolore implicata da un’azione, finirono per essere interpretate con l’idea democratica che ogni individuo ha eguali diritti di fronte alla legge.
- La giustezza di un’azione è valutata in base agli effetti che ha sulla maggioranza; ciò sembra presupporre il governo della maggioranza.
Critiche all’utilitarismo
- Difficoltà di determinare quanta felicità (FARE BENE) venga prodotta da un’azione.
- Nietzsche si oppone innanzitutto al cristianesimo e alle teorie liberal democratiche e socialiste; l’una perché ritiene che la felicità si raggiunga nell’altro mondo e l’altro perché ritiene che l’uomo deve emanciparsi. Per Nietzsche se l’uomo vuole essere felice deve liberarsi da queste teorie. Egli rifiuta quindi l’utilitarismo per il nesso tra la politica e la teoria etica. Egli rifiuta questa forma di egualitarismo perché non siamo tutti uguali e rifiuta la definizione di azione moralmente corretta perché ciò che conta non è la collettività ma l’individuo. Per Nietzsche ci sono persone intrinsecamente più importanti di altre e la loro felicità o infelicità conta di più della felicità della persona media. Egli introduce il concetto di superuomo che non è qualcuno che si pone al di sopra degli altri ma è qualcuno che è andato al di là dell’uomo, ha superato la vera realtà e si propone come modello per estender la librazione al maggior numero di persone.
- Se ci limitassimo a contare la quantità immediata di piacere o dolore, gli effetti a lungo termine parrebbero dare risultati differenti.
- Alcuni filosofi come KANT hanno rifiutato l’utilitarismo ritenendo che nel giudizio sul valore morale di un’azione sia necessario prendere in considerazione il movente per cui essa viene compiuta.
KANT
  Kant vive nel diciottesimo secolo (1724). Nel suo  scritto LA CRITICA DELLA RAGION PURA afferma che la metafisica non ha più  ragion di esservi perché si basa su tre idee fondamentali: Dio, l’anima e il  mondo. Queste idee sono frutto di elaborazioni mentali basate su un uso  scorretto di categorie, ovvero di un uso delle categorie che vanno al di là  dell’esperienza. Secondo Kant la ragione non ha strumenti per dire se esiste  Dio oppure no, se gli uomini sono morali o immorali e se nel mondo c’è libertà  o determinismo. Lo scritto LA CRITICA DELLA RAGION PURA lo dedica all’etica. In  questo scritto recupera le 3 idee fondamentali della metafisica. Secondo Kant  se mi pongo come soggetto che conosce devo dichiararmi un potente riguardo a  queste tre idee. Se mi pongo però dal punto di vista pratico devo postulare  l’esistenza di questi 3 concetti. Sono come i postulati della geometria ovvero  concetti che non possono dimostrare ma che devo assumere per poter portare  avanti un discorso. Se si vuole fare un discorso etico bisogna comportarsi  come se il mondo è libero, Dio esiste e l’anima è immorale. Questo è  fondamentale per definire il sommo bene che è la coincidenza di unità e  felicità. L’uomo virtuoso può e deve essere anche felice.
LA TEORIA  MORALE DI KANT È IMPOSTATA PRINCIPALMENTE SULLA RISPOSTA ALLA SEGUENTE DOMANDA:  IN COSA CONSISTE UN’AZIONE MORALE IN PARAGONE AD UN’AZIONE NON MORALE? Kant ritiene che a questa  domanda si potesse rispondere e distinguere tra azioni compiute per  inclinazione e azioni compiute per senso del dovere. Le azioni  compiute per inclinazioni sono quelle in cui si ha una tendenza naturale ad  agire secondo la passione. Le azioni per inclinazioni presuppongono che  l’individuo fa ciò che gli va di fare, gli fa piacere. Essa non è un agire in  modo morale. Agire in modo morale sono quelle azioni compiute per dovere; sono  quelle azioni in cui si fa qualcosa non perché si è inclini a fare, o che non  si ha voglia di fare: si fa perché si riconosce che bisogna farlo. Una persona  agisce in modo morale solo se sopprime i suoi sentimenti e le sue inclinazioni  e fa ciò che è obbligato a fare. La  moralità così come la vede Kant è strettamente legata agli obblighi e doveri  dei singoli. Kant sottolinea che è importante distinguer le AZIONI COMPIUTE CONFORMEMENTE AL DOVERE da quelle  compiute PER DOVERE.
  Le azioni conformi al dovere sono quelle azioni in cui  siamo spinti ad obbedire a certe leggi, convenzioni sociali. Questo non è agire  in modo morale.
Agire in modo morale è agire per dovere,  ovvero il soggetto ha interiorizzato il dovere e agisce perché pensa di essere  giusto, non per convenzione o timore di castighi.
L’ESSENZA DELLA  MORALITÁ VA CERCATA NEL MOTIVO PER CUI UN’AZIONE VIENE COMPIUTA: UNA PERSONA È  MORALE QUANDO AGISCE IN BASE AL SENSO DEL DOVERE ® ETICA DELL’INTENZIONE.
Il criterio morale è l’intenzione che muove  l’individuo non il risultato che si ottiene (opposto degli utilitaristi).  Un’azione morale è quindi compiuta in base al rispetto per il dovere. Un  soggetto morale è una persona che agisce per dovere. Una persona potrebbe però  non capire in una data situazione in cosa consiste il suo dovere. Dato che gli  esseri umani sono creature razionali, il soggetto dovrebbe comportarsi come  se la propria linea di condotta dovesse divenire una legge universale. Ogni  azione deve essere giudicata considerando come si configurerebbe un codice di  condotta universale a essa conforme. Per questo motivo la menzogna non può  essere definita mai morale. Essa non può essere estesa a legge universale. Se  si credesse alla menzogna verrebbe meno il vivere associato.
L’IMPERATIVO  CATEGORICO
Kant inventò questa locuzione che riguarda il  medesimo argomento da un differente punto di vista. Egli distingue l’imperativo categorico da l’imperativo ipotetico.
| Imperativo categorico | Imperativo ipotetico | 
| Ci dice di agire senza considerare gli effetti di un’azione. Ti comanda di fare quello o questo e basta. Esprime una regola che se applicata garantisce che la persona si sta comportando in modo morale. | È una direttiva che indica che se si vuole raggiungere questo o quell’obiettivo bisogna agire in tale o tal altro modo. Sono formulate così le leggi positive. Gli imperativi ipotetici hanno a che fare con l’azione prudenziale (il soggetto agisce in un certo modo perché teme delle conseguenze). | 
- L’imperativo categorico è dunque uno solo, è solo una la cosa giusta da fare e l’individuo può decidere. L’imperativo categorico dice che una persona deve agire come se la sua azione dovesse divenire una regola universale.
- Un’altra formulazione dell’imperativo categorico è fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te. È un comando da rispettare; dovremmo trattare gli altri come fini, non mezzi.
Critiche  a Kant 
  L’etica di Kant sembra voglia salvare il  platonismo e l’epicureismo. Platone mette l’accento sull’oggettività degli  standard morali. Questa tesi è accettata anche da Kant: L’IMPERATIVO CATEGORICO RAPPRESENTA UN’AZIONE COME  OGGETTIVAMENTE NECESSARIA. Per Kant però è necessario prendere in  considerazione le motivazioni umane. L’errore di Platone sta nel separare la  bontà e la malvagità dalle motivazioni umane; l’errore dell’edonismo sta  nell’identificare la motivazione umana con la ricerca del piacere. Kant tenta  di risolvere i 2 problemi: la moralità dipende in qualche modo dalla  motivazione umana e la moralità non è semplice questione di gusto,  inclinazione, preferenza ma è qualcosa di oggettivo.
L’ETICA  MODERNA
  Teorie etiche  classiche:  hanno cercato di dare delle risposte a domande come “in cosa consiste la vita  buona?” “Come dovrebbero comportarsi gli uomini?” Le varie risposte possono  essere considerate come consigli individuali per persone disorientate di fronte  ad alcuni aspetti della vita quotidiana.
  Teorie etiche moderne: hanno rinunciato a fornire  consigli a una qualsiasi condotta di vita. Si sono proposti di analizzare i filosofi  passati e di analizzare i termini del discorso etico, questo processo di  chiarimento è detto analisi filosofica ® ricerca delle condizioni necessarie e sufficienti  che determinano il significato di un termine, anche se questa non è l’unica  funzione. 
  Le teorie moderne prima di giudicare i precetti  delle teorie passate innanzitutto le vogliono comprendere comprendendo i  significati dei termini usati in queste teorie. Molti filosofi pensano che  questo processo di analisi dimostri che i metodi dei filosofi classici erano  sbagliati, che le loro domande non erano state chiaramente formulate e che di  conseguenza le risposte non hanno la validità che era stata loro attribuita.
  Il responsabile di tale rivoluzione è MOORE che dimostrò nel 1903 nell’Etica che le teorie  che erano tentativi di dedurre precetti morali da premesse ideologiche,  metafisiche e scientifiche e che argomenti del genere erano ingannevoli. Si  tratta di un argomento già usato da Hume ma Moore lo sviluppò ulteriormente per  dimostrare che nelle teorie classiche era implicito un tentativo di definire  termini morali come buono, cattivo in termini di asserzioni descrittive su Dio  o sulla natura umana. Per Moore il termine “buono” è indefinibile come tutti gli  altri termini morali. Tentare di analizzarlo significa cadere in quella che  egli chiama FALLACIA NATURALISTICA.
  Le teorie moderne vengono classificate in 3 modi  differenti.
- Soggettivistiche e oggettivistiche
Una teoria etica sarà  soggettivista o oggettivista in base al modo in cui analizza il linguaggio  etico perché esse si occupano  in primo luogo dell’analisi del linguaggio morale.
  Una teoria è soggettivistica se sostiene che i giudizi etici  come per esempio “rubare è sbagliato” non siano veri o falsi se riguardano  soltanto la psicologia della persona che li pronuncia. Non esiste quindi un  bene e un male in sé ma esso è relativo al soggetto. La teoria morale di  Spinoza e Hobbes è soggettiva.  
  Una teoria è oggettivistica se sostiene che i giudizi  morali sono o veri o falsi. Esiste un criterio assoluto di valutazione dei  comportamenti. Esiste un bene e un male assoluto col quale valutare qualsiasi  azione. Un esempio è Platone e l’utilitarismo.
- Naturalismo, non naturalismo ed emotivismo
Una teoria è naturalistica se sostiene sia che i giudizi  morali sono o veri o falsi sia che tali giudizi sono riconducibili ai concetti  di un evento naturale, di solito la psicologia.
  Questa teoria ritiene che è possibile trattare il  discorso morale alla stessa stregua con cui si analizzano i fenomeni naturali.  Es. Spinoza: l’uomo è un individuo naturale e va studiato come i fenomeni  naturali.
  Una teoria non è naturalistica se sostiene che i giudizi  morali sono o veri o falsi ma che non sono riconducibili ad alcuna scienza  naturale. Es. Platone e l’etica Cristiana. Secondo Platone il mondo  conteneva enti morali come il bene, la giustizia e enti naturali. I giudizi  morali se sono veri riguardano solo questi enti. L’etica si occupa degli enti  morali, non può essere ridotta a una delle scienze naturali. L’etica cristiana  considera i giudizi morali asserzioni della volontà divina; tali asserzioni  saranno vere o false ma non possono essere confermate o confutate dalla  sperimentazione scientifica.
  Una teoria è emotivistica se sostiene che i giudizi  morali non sono né veri né falsi ma si limitano a esprimere i sentimenti di  coloro che li pronunciano e a evocare dei sentimenti in coloro che li  ascoltano. 
- Teorie motivazionali, deontologiche e consequenziali
Una teoria è motivazionale se sostiene che la correttezza  o l’onestà di un’azione dipende dal movente su cui è basata. Un esempio è la  prova Kantiana. (analisi delle motivazioni dell’agire umano)
  Una teoria è consequenziale se sostiene che la correttezza  o meno di un’azione dipende interamente dagli effetti che produce. Un esempio è  l’utilitarismo. Si distinguono teorie consequenziali  edonistiche in cui la correttezza o l’erroneità di un’azione dipende  dalla natura piacevole o dolorosa, dalle conseguenze che produce. Le teorie consequenziali agatistiche invece affermano  che il bene non va identificato con il piacere, né il male con il dolore: si  tratta invece di qualcosa di unico e non può essere ridotto a null’altro. Moore  sosteneva una teoria di questo tipo: la correttezza di un’azione dipende dalla  quantità di bene che produce (consequenziale, ma anti edonistico).
  Una teoria è deontologica quando la correttezza o  l’erroneità di un’azione non dipende né dal motivo per cui è compiuta né dalle  sue conseguenze, ma solo dal tipo di azione (contraria alle consequenziali e  motivazionali).
ETICA  APPLICATA
  È un altro filone dell’etica moderna.
  Il compito dell’etica è quello di studiare le  situazioni concrete in cui si applicano i principi. Questa posizione è della  BIOETICA che nasce dopo la II guerra mondiale. Si occupa quindi dei dilemmi  morali concreti. La bioetica ha contribuito a salvare l’etica.
FILOSOFIA POLITICA
Fondamentalmente essa si occupa di descrivere le organizzazioni sociali, passate e presenti e in parte di valutare queste organizzazioni.
Per esempio, descrive i caratteri essenziali di varie forme di governo e nel contempo si pone delle domande come “qual’è la giustificazione ultima per l’esistenza di una qualsiasi forma di governo?” La risposta a questa domanda emerge in modo molto naturale nell’etica tanto che la filosofia politica è spesso accusata di essere solo etica applicata. La filosofia politica si lega quindi all’etica perché riguarda sempre la sfera dell’agire. Anche se la politica mostra connessioni con l’etica essa ha problematiche sue: si occupa per esempio dei limiti del potere del governo sui membri della società. La filosofia politica si distingue in
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RISPETTO  ALL’ETICA QUESTA DISTNZIONE È MENO CERTA. 
  Ci sono alcuni filosofi classici come ad esempio  Aristotele che propongono teorie descrittive. Infatti egli analizza le  costituzioni di diverse città-stato dicendo quale sia la migliore senza però  proporre soluzioni alternative. Alcuni filosofi moderni come Rawls invece,  anziché studiare la filosofia del passato presenta una soluzione differente.
FILOSOFIA  POLITICA CLASSICA
  Le diverse teorie si differenziano in base a come  rispondono alla domanda: CHI  DEVE GOVERNARE?
  Platone ritiene che pochi possono governare perché  alcuni sono migliori di altri. Pochi raggiungono la vera conoscenza che è  l’assoluto bene.
  Hobbes ritiene che un solo sovrano debba governare  senza che il suo potere sia controllato o limitato da nessuno.
  Locke, Mill, Marxs e Rawls ritengono che il popolo  possa e debba autogovernarsi.
PLATONE
  La Grecia, in cui vive Platone, era composta da un  certo numero di piccole città stato, autonome dal punto di vista politico.  Questi stati erano costantemente in guerra l’uno contro l’altro e molti  dovevano sopportare gravi lotte interne. La vita del cittadino medio era  precaria. Il primo segnale forte dalla crisi di Atene è stata la morte di  Socrate.
  Platone, insoddisfatto di questa situazione, tentò  di immaginare una società priva di difetti, in cui si potesse vivere  pacificamente e ognuno potesse sviluppare appieno le sue potenzialità. Nel  libro LA REPUBBLICA delinea uno stato alternativo, immaginando il genere  letterario dell’UTOPIA. Nessun tentativo di descrivere la società ideale venne  influenzato dalle teorie psicologiche e biologiche dell’epoca. Egli accettò  quindi l’idea di un’analogia tra l’individuo e la società in cui vivere. L’unica differenza reale era la dimensione: una società non è null’altro che un  individuo scritto più in grande.
  Secondo la psicologia dell’epoca ogni persona  era composta da due elementi differenti: il corpo e l’anima, ciò che rende  perfetta una persona è la perfezione sia fisica che psicologica, Platone usa il  termine di “perfezione” come sinonimo di “salute”.
  Secondo Platone essere sani fisicamente vuol dire  non essere malati ma determinare quando si è sani psicologicamente è più  complesso. Platone a questo punto precisò che nell’anima vi sono tre parti che  convivono: l’elemento  razionale che è la parte più nobile dell’anima, è la parte che  permette alla persona di ragionare, discutere e di scegliere; l’elemento volitivo che rende l’individuo coraggioso o codardo e dà la forza di volontà,  è quella parte che si esalta nelle situazioni di pericolo; l’elemento  appetitivo che è la parte più  inferiore dell’uomo dedito ai piaceri della carne, le passioni e i desideri  come quello del cibo, del sesso. Un individuo è sano psicologicamente (o  perfetto) se le tre parti della sua anima funzionano armoniosamente e ognuna di  esse svolge il suo ruolo senza dominare le altre o esserne dominate. La ragione  dovrebbe comandare gli appetiti, mentre l’elemento volitivo dovrebbe sostenere  con la sua forza i dettami della ragione, in modo da garantire che gli appetiti  siano tenuti sotto controllo. Gli appetiti non dovrebbero essere completamente  repressi: ma dovrebbero essere soddisfatti solo quando la ragione decide che è  giusto farlo. Secondo Platone negli individui uno di questi elementi in cui è  suddivisa l’anima prevale; gli individui in cui prevale la parte razionale sono  portati allo studio, essi saranno pochi e costituiranno i governanti dello  stato ideale che amministreranno; gli individui in cui prevale la parte  volitiva saranno portati a divenire grandi difendendo lo stato; nella maggior  parte degli individui in cui prevale l’elemento appetitivo, essi non potranno  ambire a passioni di comando.
  Lo stato ideale di Platone si compone quindi di  queste tre classi e come per l’individuo ideale lo stato ideale sarà quello in  cui queste 3 classi funzioneranno armonicamente, con i guerrieri che aiutano i  governanti a collaborare benevolmente, ma fermamente, il resto della  cittadinanza.
  Non vi saranno così conflitti interni perché  ciascuno fa ciò che è conforme al suo essere, ogni classe sarà così felice e  soddisfatta. Perché accada questo e cioè che ogni classe fa ciò che è meglio  preparata a fare occorre una selezione delle capacità umane. Tutti i bambini,  maschi e femmine, devono essere allevati in comune dallo Stato fino a 18 anni.  A quell’età devono essere sottoposti a tre tipi di prove, con lo scopo di  dividere i governanti potenziali da chi diventa guerriero o artigiano. Le prove  dovrebbero durare due anni, in parte sarebbero fisiche, in parte intellettuali,  in parte morali. Gli individui che supereranno tutte queste prove saranno  isolati e sottoposti a un ulteriore addestramento, soprattutto intellettuale.  Saranno istruiti nelle scienze astratte, studieranno aritmetica, geometria  piana e dei solidi, astronomia (a questi studi manca il riferimento della poesia,  che era invece fondamentale per l’età classica. Platone condanna la poesia  perché è un’arte imitativa. Il poeta non fa altro che raccontare, imitare la  realtà che vede. La realtà è una copia delle idee  la poesia sarebbe una copia della copia; essa  è fuorviante per i giovani).
  Lo studio della filosofia, o della “dialettica” è  il culmine della loro preparazione teorica ai compiti di governo, perché li  condurrà infine a una conoscenza compiuta del bene.
  Quando avranno maturato la loro conoscenza, le  loro azioni saranno buone; quindi le loro decisioni saranno prese  nell’interesse del popolo. Essi saranno di fatto RE  FILOSOFI. Solo coloro che si saranno dimostrati competenti in tutte le  prove, prenderanno parte attiva dell’amministrazione della società. 
  Ma per evitare ogni possibilità che essi diano la  precedenza al loro bene su quello pubblico, non sarà loro concesso di avere  famiglia o di possedere proprietà e ricchezza. Questo vale anche per i  soldati. Platone riteneva che gli interessi famiglia e il desiderio di  ricchezza fossero i due ostacoli maggiori a una guida politica obiettiva e  imparziale. Per l’interesse collettivo, non dovranno avere interessi  individuali " comunismo platonico.
  Ai governanti bisognava lasciare un potere  assoluto, nessun elemento delle classi inferiori poteva intervenire  nell’attività di governo perché non erano esperti nell’arte politica. Platone  giustificava la concessione del potere assoluto ai governanti sostenendo che GOVERNARE ERA UN’ABILITÀ PROPRIO  COME LO ERA LA MEDICINA. Governare in modo appropriato  richiedeva un addestramento adeguato.
  LA FILOSOFIA DI PLATONE SFOCIA IN MODO NATURALE IN UNA  CONCEZIONE ANTIDEMOCRATICA E AUTORITARIA,  nell’idea di un governo del popolo, non di un governo per il popolo.
  (nota: la cultura  greca del tempo impediva alle donne di governare, Platone invece no)
HOBBES 
  Hobbes nasce nel 1588 e assiste alle tormentate  vicende del 1600 in  Inghilterra, attraversata dalle rivoluzioni. Assistette alla ribellione contro  Carlo I e alla guerra civile che ne risultò. In questo periodo vi è il  contrasto tra la monarchia e gli avversari, fra la religione anglosassone e  protestanti, cattolici.
  È un panorama di disordine in cui vi è caos,  disordine, anarchia. Per Hobbes l’unico modo per garantire la pace interna sta  nel costringere le persone a obbedire alle leggi sociali e nel punire se non lo  fanno. Ma l’efficacia delle leggi dipende solo dall’agente che le impone.  Secondo Hobbes per avere una società pacifica è necessario che chi governa  eserciti un potere assoluto. Hobbes espone la sua teoria politica nel LEVIATANO.
  Prima di descrivere uno stato migliore rispetto  all’esistente, Hobbes che è un giusnaturalista, parte dallo stato di natura  ovvero fa un’ipotesi di come gli uomini vivevano prima che si creasse lo stato.  Questa sua ipotesi non vuole essere una ricostruzione storica oggettiva dei  fatti. Secondo Hobbes gli uomini allo stato di natura sono asociali (opposto  rispetto ad Aristotele che riteneva che gli uomini sono animali poetici portati  per natura a convivere, lo stato è qualcosa di naturale). L’uomo è per sua  natura egoista. Egli è motivato da desideri egoistici che richiedono come  condizione della sua felicità, di essere soddisfatti. Tutte le azioni delle  persone sono spiegate come tentativi di soddisfare i propri desideri. L’uomo è  abituato ad appropriarsi dei beni senza preoccuparsi che altri uomini hanno le  sue stesse inclinazioni. Questa situazione porterà alla guerra. Hobbes  sottolinea come allo stato di natura vi sia una guerra di tutti contro tutti e  che l’uomo è un lupo per gli altri uomini. LA VITA DELL’UOMO NELLO STATO DI NATURA È  SOLITARIA, MISERA, OSTILE, ANIMALESCA E BREVE. L’uomo oltre a questo  principio egoistico ha un altro principio,  quello della conservazione che lo porta a fuggire dal dolore, dalla morte.  Questo principio che fa sì che l’uomo voglia preservare il bene supremo e cioè  la vita, è più grande del primo. Per questa legge naturale gli uomini decidono  di associarsi stipulando un accordo, il PATTO SOCIALE  in cui obbediscono a un certo insieme di leggi. Nasce così lo stato. Le persone  decidono di rinunciare ai loro diritti e di obbedire alle leggi per non essere  danneggiate nei conflitti se non esistessero. Questa rinuncia deve avvenire in  favore di un sovrano che conserva tutti i diritti naturali e deve far  rispettare le leggi. Il sovrano può fare questo solo se ha 1 potere assoluto,  un potere su tutti. Hobbes fa la metafora del Leviatano paragonando il sovrano a un mostro biblico; vuole fare  intendere che il sovrano non ha nulla sopra di sé. Il sovrano deve essere uno  solo perché nel caso fosse un gruppo, potrebbero sorgere dei conflitti. Gli  individui rinunciavano a tutti i diritti tranne uno: il diritto alla vita. È  l’unico diritto che conservano. Hanno rinunciato agli altri diritti perché  portavano alla guerra. LO  STATO SERVE QUINDI A TUTELARE IL BENE SOMMO, LA    VITA.   I poteri del sovrano sono vastissimi; egli deve tenere ogni potere  compreso quello religioso. Non possono esserci pluralità di religioni ma  un’unica confessione di fede.
  IL SOVRANO È  ASSOLUTO OVVERO SCIOLTO DA OGNI VINCOLO. I CITTADINI SI SONO ACCORDATI E HANNO  STIPULATO UN PATO MA IL SOVRANO NON HA STIPULATO ALCUN PATTO CON I SUOI  SUDDITI. UNA VOLTA NOMINATO EGLI HA AUTORITÀ ASSOLUTA, A VITA. 
  Hobbes è quindi teorico dell’assolutismo.
LOCKE 
  John Locke vive tra il 1632 e il 1704 in Inghilterra. Egli a  differenza di Hobbes assiste alla nascita della monarchia costituzionale. Il  contesto in cui vive è di grande inquietudine sociale, uguale a quello di  Hobbes. A differenza di Hobbes questi eventi non resero pessimistica la visione  della natura umana; EGLI SI  OPPOSE DIAMETRICALMENTE A HOBBES. Popkin e Strole l’hanno definito  teorico della democrazia occidentale. In realtà viene definito padre del  liberalismo. Espone la sua filosofia politica nel SECONDO TRATTATO SUL GOVERNO  CIVILE.
  Anche Locke è un giusnaturalista e parte  formulando un’ipotesi sullo stato di natura in cui vivevano gli uomini. Fa  un’importante distinzione tra lo stato di natura e lo stato di guerra.
  Nello stato di natura gli uomini vivono nel  complesso pacificamente, in modo associato. Inizialmente i beni sono comuni ma  il lavoro di un uomo ne giustifica la proprietà. Per natura gli uomini non sono  completamente egoisti; a volte lavorano per il benessere altrui e cooperano tra  loro; a volte agiscono in modo egoistico. Possono disporre come vogliono delle  loro proprietà. L’UNICA LEGGE  CHE LI GOVERNA È LA LEGGE DI  NATURA. ESSA CONSISTE IN UN’UNICA CLAUSOLA: NESSUNO DEVE RECARE DANNO AGLI  ALTRI NELLA VITA, NELLA SALUTE, NELLA LIBERTÀ O NEI POSSESSI.
  Sebbene la vita nello stato di natura sia in  genere pacifica e sebbene vengono garantiti questi diritti naturali, ci può  essere qualcuno che può violare la legge di natura, possono tentare di uccidere  qualcuno o di rubargli la proprietà. Se non c’è un’autorità terza rispetto ai  due contendenti, la parte danneggiata punirà il trasgressore; si potrebbe così  avere come esito il rischio di una spirale violenta che porterebbe a uno stato  di guerra. Gli uomini per evitare questa possibilità rinunciano allo stato di  natura e creano la società tramite l’accordo, contano di dar vita a istituzioni  che rimedino ai difetti di un’esistenza senza organizzazione sociale. È da  notare che mentre Hobbes fa coincidere lo stato di natura con lo stato di  guerra, Locke li separa sottolineando che in certe situazioni lo stato di  natura può divenire uno stato di guerra.
  La società viene quindi creata con lo scopo di  eliminare gli inconvenienti dello stato di natura. Gli individui devono rinunciare  a un unico diritto: quello di farsi giustizia da sé. Il diritto della vita,  della libertà e della proprietà non solo vengono conservati ma vengono anche  garantiti. Per evitare la violazione dei diritti Locke prevede la divisione e  distribuzione del potere in esecutivo, legislativo e federativo. Il potere  legislativo avrà il potere di programmare le leggi e questo potere sarà  affidato ad un’assemblea, non a un re. Il potere esecutivo veniva affidato al  sovrano e aveva il compito di verificare che le leggi venissero applicate. Il  potere federativo consiste nel condurre i negoziati con le potenze straniere. NELLO STATO IDEALE L’ORGANO  LEGISLATIVO ANDAVA RICONOSCIUTO COME AUTORITÀ SUPREMA. (Locke non  rifiuta la monarchia ma l’assolutismo)
Connesso al pensiero di Locke vi è la TOLLERANZA RELIGIOSA. Il problema della religione è uno dei problemi più gravi da risolvere. All’epoca in cui Locke vive vi sono in Inghilterra diverse religioni e vi è da parte dello stato un’intolleranza nei confronti di coloro che non aderivano alla fede ufficiale. Uno stato giusto può e deve essere tollerante nei confronti delle diverse religioni per alcune ragioni:
- Il potere religioso e politico sono distinti perché hanno finalità differenti. Lo stato nasce per tutelare i 3 diritti degli uomini e non può occuparsi di altro. La religione ha altre finalità, ad es. venerare una divinità con la speranza di ottenere la salvezza eterna. La religione è paragonabile a un’associazione privata e può darsi le regole che vuole. Una religione ha il diritto di decidere di escludere alcuni membri. Gli riconosce il diritto di scomunica ma non gli effetti civili che ne conseguono.
- Il magistrato, colui che vigila sui comportamenti non può interferire sulle questioni di fede perché sono questioni private. Non si può imporre di non credere a qualcosa, si può solo obbligare a fare qualcosa. Il potere politico non può quindi interferire con quello religioso se non quando le chiese sono pericolose per l’ordine pubblico.
Locke sottolinea però che due categorie sono esenti dalla tolleranza: gli atei ed i papisti. Poiché lo stato si basa su un contratto, l’ateo è portato per sua natura a violare il patto poiché non crede a nulla; i papisti che invece sono cattolici sono intolleranti per natura. In Inghilterra si ritroverebbero sudditi di un sovrano superiore. Se dovessero decidere se obbedire a Papa o al sovrano sceglierebbero il papa. Il cammino della tolleranza è ancora all’origine in Locke. Noi intendiamo la tolleranza come un valore in sé e mai in base all’utilità. Per Locke: si può tollerare finché questo non porti ad un pericolo possibile.
MILL
  La sua opera principale è il SAGGIO SULLA LIBERTÁ.  A Mill appare centrale il problema della libertà dell’individuo. Mentre Locke  ha posto i punti principali di uno stato democratico come il governo delle  leggi, la dottrina dei diritti naturali e il governo della maggioranza; Mill  aggiunse che la minoranza doveva essere protetta dalla possibile tirannia della  maggioranza. Secondo Mill anche all’interno della democrazia il governo della  maggioranza va limitato allo scopo di salvaguardar la libertà individuale.
  Mill teme l’instaurarsi del conformismo e teme che  la tirannia della maggioranza sulla minoranza possa instaurarsi o attraverso  delle leggi o con la semplice pressione dell’opinione pubblica che può privare  l’individuo dai consueti benefici della società. Il problema  che ogni stato democratico deve affrontare è  che: alcuni tipi di condotta come ad es. un comportamento individuale non  possono essere tollerati; non è tuttavia necessario reprimere ogni comportamento  anticonformista. Mill a proposito espone un principio che indica quali sono i  poteri legittimi che la società può esercitare sull’individuo: 
  L’UMANITÁ È  GIUSTIFICATA A INTERFERIRE SULLA LIBERTÁ D’AZIONEDI CHIUNQUE SOLTANTO AL FINE  DI PROTEGGERSI: IL SOLO SCOPO PER CUI SI PUÓ LEGITTIMAMENTE ESERCITARE UN  POTERE SU QUALUNQUE MEMBRO DI UNA SOCIETÀ CIVILIZZATA, CONTRO LA SUA VOLONTÀ, È  PER EVITARE DANNO AGLI ALTRI. IL BENE DELL’INDIVIDUO, SIA FISICO CHE MORALE,  NON È GIUSTIFICAZIONE SUFFICIENTE. IL SOLO ASPETTO DELLA PROPRIA CONDOTTA DI  CUI CIASCUNO DEVE RENDERE CONTO ALLA SOCIETÁ È QUELLO RIGUARDANTE GLI ALTRI;  PER UN ASPETTO CHE RIGUARDA SOLTANTO LUI, LA SUA INDIPENDENZA È LUI IL SOVRANO. 
  Questo principio non è applicabile alle persone  che non hanno la capacità di pensare come le popolazioni arretrate e i bambini.  A parte queste eccezioni la maggior parte delle persone è capace di  autogovernarsi, sa cos’è il bene e il male (opposto a Platone). Mill  fornisce 3 ragioni per cui sarebbe sbagliato sopravvivere una qualsiasi  opinione.
- È possibile che le varie idee, opinioni debbano competere fra di loro in modo tale che l’atteggiamento migliore prevalga (Darwin). Il governo non deve reprimere il dissenso, non deve decidere lui quali siano le idee giuste. Potrebbe essere vera l’opinione sostenuta dalla minoranza. Negare inoltre agli altri il diritto di esprimere le proprie opinioni significa presumersi infallibili: ma nessuno è infallibile.
- Se supponiamo che l’opinione opposta alla nostra è sbagliata e la nostra è giusta, è sbagliato rifiutare di ascoltare le opinioni contrarie perché significa che noi lo stiamo sostenendo come un pregiudizio. Se invece le ascoltiamo riflettiamo sugli argomenti contrari, ed essendo quindi costretti ai modi per confrontarli, arriviamo in verità a comprendere meglio la nostra stessa opinione.
- Non bisogna sopprimere l’opinione opposta alla nostra prima di averla ascoltata perché anche se non è completamente vera, né completamente falsa, può contenere elementi di verità.
COME LOCKE, MILL CREDE CHE LA MAGGIORANZA DEBBA GOVERNARE PERCHÉ NEL COMPLESSO ESSA MINACCIA LA LIBERTÀ DELL’UMANITÀ MENO PESANTEMENTE DI QUANTO FAREBBE QUALSIASI GOVERNANTE SINGOLO O QUALSIASI GRUPPO. MA ANCHE ALL’INTERNO DELLA DEMOCRAZIA IL GOVERNO DELLA MAGGIORANZA VA LIMITATO, ALLO SCOPO DI SALVAGUARDARE LA LIBERTÀ PERSONALE.
MARX
  Marx nasce nel 1818. Si laureò in filosofia; egli  era troppo radicale per intraprendere la vita accademica, scelse quindi di  lavorare in una rivista di sinistra che si opponeva alla politica governativa.  Egli appare più come un politico che come un filosofo. Infatti nell’undicesima  tesi su Fluerbach ha rivolto una critica a tutti i filosofi fino a quel momento  perché si sono limitati solo a descrivere il mondo e non a cambiarlo. Per Marx  bisogna interpretare il mondo per cambiarlo. La sua opera principale è IL  CAPITALE che fu poi terminato dal suo amico Engels.
  Il punto di partenza del suo pensiero è la METAFISICA intesa come  concezione generale del mondo. 
  Egli fu influenzato da Hegel,  da ciò che egli definiva DIALETTICA. Hegel a sua volta aveva ricavato questo  termine da Platone. Platone, infatti, non scrive dei trattati, ma dei dialoghi in cui la verità emerge piano piano. In Hegel il termine dialettica ha più o  meno lo stesso significato che in Platone. Si tratta di un processo logico, che  procede da tesi ad antitesi, e quindi ad una sintesi che le combina insieme. Hegel  però considera la dialettica non solo uno strumento argomentativo, ma è anche  il modo in cui la realtà funziona. Per Hegel la realtà sia naturale sia  storica procedere dialetticamente; viene prodotta una tesi, si sviluppa  un’opposizione (la sua antitesi), ne risulta un conflitto, che si risolve in  una sintesi in cui sono incluse sia la tesi che l’antitesi ma ad un livello  superiore. Hegel pensava che la storia potesse essere meglio compresa  osservando l’evoluzione delle nazioni alla luce della dialettica. Si suppone ad  esempio che una certa nazione occupi la posizione di tesi. Quando essa si  sviluppa produce un’opposizione; e una nazione avversaria potrebbe essere vista  come la sua antitesi. Le due entrano in conflitto e dalla lotta emerge una  nuova civiltà che è di ordine superiore alle precedenti, anche se sintetizza  gli elementi più validi di entrambe. Questa nuova nazione diventa a sua volta  una tesi e così via. La storia è una storia di scontri, di lotte. Hegel era  convinto che questo processo conduce alla perfezione. È attraverso questo  processo che lo stato avanza verso la realizzazione di ciò che egli chiama  SPIRITO. Il fine ultimo è quindi L’IDEA ASSOLUTA. Il processo dialettico per Hegel è quindi un processo metafisico o spirituale. Per Hegel l’idea  era la realtà (ogni realtà è razionale) e il corso della storia era determinato  dalla dialettica e nulla lo può alterare. Gli uomini si illudono di alterare il  corso degli eventi ma essi sono solo pedine di un gioco che vengono mosse da un  giocatore più grande. Sono pedine di cui la ragione si serve.
  MARX ACCETTA  L’ANALISI DELL’EVOLUZIONE STORICA DI HEGEL COME PROCESSO PRODOTTO DA UN  MOVIMENTO DIALETTICO. NON CONDIVIDE LA SPIEGAZIONE METAFISICA DEL PROCESSO E  RITIENE SUPERFICIALE APPLICARE LA DIALETTICA ALLE NAZIONI. TENTÒ DI RENDERE LA  DIALETTICA MATERIALISTICA SPIEGANDO IL PROCESSO STORICO IN TERMINI ECONOMICI  ANZICHÉ METAFISICI E APPLICANDOLA ALLE CLASSI INVECE CHE ALLE NAZIONI; CERCÒ DI  SPIEGARE LA STORIA IN TERMINI DI SCONTRO FRA CLASSI E NON DI SCONTRO FRA  NAZIONI. La  ragione per cui le nazioni cambiano è che le classi al loro interno cominciano  ad opporsi le une alle altre. 
  Marx vede quindi la storia come una lotta tra  classi, tra coloro che detengono i mezzi di produzione ed i lavoratori.  Nell’età feudale ad esempio c’era stato lo scontro tra la borghesia ed i  feudatari; la borghesia ebbe il sopravvento e si instaurò così la società  capitalistica. Secondo Marx i progressi della società capitalistica porteranno  ad un costante aumento di produttività. La classe che detiene i mezzi di  produzione si arricchirà sempre di più. Nel frattempo le condizioni di vita  della classe operaia peggioreranno invece sempre di più. Le classi intermedie  verranno così spazzate via e il capitalismo presenterà un quadro con due classi  opposte l’una all’altra: una classe piccola ma molto ricca (la borghesia) e una  classe grande ma povera (il proletariato). Tra le due classi si svilupperanno  tensioni e questo porterà alla rivoluzione che darà luogo ad una SOCIETÀ SENZA  CLASSI in cui non si avrà più lo sfruttamento dei lavoratori. Questo è il socialismo così come Marx lo ha descritto. Egli deduce l’avvento di una società senza  classi. 
  CIÒ CHE HA  RAFFORZATO LA SUA PREVISIONE DI UN CROLLO INEVITABILE DEL CAPITALSIMO E  DELL’INSTAURARSI DI UNA ECONOMIA SOCIALISTA È STATA LA SUA TEORIA ECONOMICA. 
  Le idee base dell’economia marxiana sono la teoria  del valore-lavoro, la teoria del plus-valore, la concentrazione del capitale e  l’avvento del socialismo in quanto risultato di tale concentrazione.
  La teoria del VALORE-LAVORO  l’ha ereditata da economisti classici come Smith e Ricardo. Questa teoria si  impernia sulla determinazione di ciò che si intende per valore. Secondo Marx  bisogna distinguere il valore d’uso di una merce dal valore di  scambio.  Una merce potrebbe essere  utile ma non avere valore alcuno se tentassimo di scambiarla con altro.  L’economia si occupa dei beni che hanno valore di scambio. Il valore di scambio  è dato dalla quantità di lavoro socialmente necessario per produrla. L’operaio  comune, mancando di capitale, viene costretto a vendere la sua forza lavoro e  quindi in un certo senso se stesso come merce. Il lavoratore in genere produce  cose che hanno un valore economico maggiore del costo del salario che riceve. La  differenza fra la quantità del valore economico prodotta dal lavoratore e la  quantità che riceve per il suo lavoro è chiamata PLUSVALORE.  Il capitalista ne trae così profitto. Gli imprenditori sfruttano così gli  operai arricchendosi sempre di più, a danno dell’impoverimento degli operai.  Quindi sono i lavoratori a produrre ricchezza attraverso la quantità di lavoro  che forniscono; i capitalisti se ne prendono una fetta considerevole senza  ricompensare il lavoratore; è qui che ha origine il profitto. La teoria del  plusvalore ci permette di comprendere l’origine del conflitto fra le due  classi.
  Secondo Marx questa tendenza della società  capitalistica produrrà una situazione in cui l’operaio diverrà sempre più  povero e il capitalista sempre più ricco. Quando l’operaio comprenderà di  essere sfruttato sarà inevitabile che si sviluppi una tensione verso il  capitalista che sfocerà in un conflitto. Come conseguenza di questo conflitto:  l’operaio si approprierà dei mezzi di produzione inaugurando una nuova era:  l’età della società senza classi o socialismo. 
  OLTRE A QUESTI  DIFETTI IL CAPITALISMO NE HA UN ALTRO: ESSO GENERA RELAZIONI ETICAMENTE  IMMORALI TRA LE PERSONE. NEI RAPPORTI TRA GLI UOMINI SCOMPARE IL SENSO DI  UMANITÀ, LASCIANDO IL POSTO A UN INUMANO ISTINTO DI PROFITTO. 
  Idee etiche: il capitalismo ha prodotto due fattori:  l’auto-alienazione e il feticismo. Il socialismo porrà rimedio ad entrambi.  L’uomo si sente alienato da sé perché non è padrone dei mezzi di produzione e  del frutto del suo lavoro. Le persone vengono isolate le une dalle altre; viene  inoltre creato un mondo tecnico che l’individuo non riesce a controllare e  quindi si aliena da tutte quelle cose che giudica più importanti e che questa  tecnologia avrebbe dovuto procurargli. All’auto-alienazione si accompagna il  feticismo ovvero l’adorazione dei prodotti del lavoro. Il capitalismo ha reso  le persone più simili alle macchine. Il socialismo introdurrà una nuova  moralità basata sui valori umani, non sui valori della macchina.
TEORIE  POLITICHE CONTEMPORANEE 
  Le teorie politiche classiche hanno influenzato,  in modi diversi ma importanti la filosofia politica del novecento.
RAWLS 
  Visse nel novecento e il suo saggio più importante  è UNA TEORIA SULLA GIUSTIZIA.
  Come Locke, Mill e Marx egli ritiene che il popolo  debba autogovernarsi; si distacca però da questi pensatori su alcuni punti. 
  A differenza di Locke non ritiene che la  proprietà privata sia un diritto fondamentale al pari della vita o della  libertà.  Rawls ritiene che la proprietà  privata potrà essere resa come diritto se essa non nega principi più  importanti; ritiene che ci siano fini più importanti della conservazione della  proprietà, come ad esempio ridurre al minimo la povertà. 
  Per quanto riguarda Mill egli è d’accordo  sulle libertà di cui aveva parlato, ovvero le libertà che proteggono  l’individuo dal governo; ma a differenza di Mill non è un utilitarista. Rawls  ritiene che vi siano paradossi inaccettabili nell’utilitarismo: per esempio con  il principio utilitarista si potrebbe giustificare l’uccisione di un innocente  se questo si dimostra un modo efficace di scoraggiare i comportamenti  fuorilegge (il fine giustifica i mezzi). Rawls riprende quindi l’etica  dell’intenzione di Kant cioè l’idea che vi siano principi di morale  universali e necessari a cui l’uomo deve adeguarsi. Secondo Rawls si ha quindi  una società giusta quando tutti gli individui vengono trattati allo stesso modo  davanti alla legge; quando viene concesso un giusto processo e quando ognuno  gode allo stesso modo della protezione della società. La principale  preoccupazione di Rawls è quella di spiegare perché una società di questo  genere può essere giusta dal punto di vista economico. Qui l’atteggiamento di  Rawls è diverso da Marx, nel senso che la giustizia deve essere sia  sociale che economica. A differenza di Marx non è contrario ad una società  libera in cui siano presenti differenze in reddito; è contrario però ad una  società in cui le differenze di reddito costringano alcuni a scendere al di  sotto di un livello minimo delle condizioni materiali di sussistenza.
  L’ENFASI DI  RAWLS CADE SULLA MINIMIZZAZIONE DELLE DIFFERENZE DI REDDITO TRA I MEMBRI DI UNA  SOCIETÀ POLITICAMENTE LIBERA: EGLI SOSTIENE QUINDI, RIGUARDO ALLA DISTRIBUZIONE  DI RICCHEZZA, UNA FORMA DI EGUALITARISMO MODERATO E NON DI EGUALITARISMO  STRETTO. Per  riuscire a minimizzare le differenze economiche una società migliore deve  nascere da un nuovo contrasto. Lo scopo è quello di creare una società meno  ingiusta. Questo è possibile se ognuno contribuisce alla formazione della  società e ognuno deve essere in una situazione di VELO DI IGNORANZA rispetto  all’effettiva posizione che occuperà nella società. Ognuno contribuirà a fare  le legge e non sapendo se sarà ricco o povero sarà portato a fare leggi più  giuste, a chiedere più garanzie per i poveri che per i ricchi. Sarà così una  società più giusta; questo non significa però che gli individui sono tutti  uguali ma le disuguaglianza compensano chi è svantaggiato (maximum). Rawls  parte dal presupposto che qualunque società sarà diseguale; vuole creare una  società in cui ognuno può sviluppare le proprie capacità senza danneggiare gli  altri.
  La teoria di Rawls sebbene rientri nella  tradizione liberal democratica ci suggerisce di massimizzare i benefici per  tutti e minimizzare i malefici.
Critiche  a Rawls
  Critica da Nozick: egli è il padre della teoria  anarcocapitalista. Nel libro ANARCHIA, STATO E UTOPIA contesta il principio di  Rawls secondo cui una società giusta deve essere uguale dal punto di vista  economico cercando di compensare. Nozick sostiene una visione platonica della  società. Egli ritiene che gli individui nascono diversi per abilità, creatività  e capacità realizzativi e di conseguenza contribuiscono alla società in modo diseguale.  Una società giusta non dovrebbe essere indifferente a tali diversità. Una  società è giusta se permette agli individui di sviluppare le doti che la natura  gli ha dato in modo libero e armonico. Quindi coloro che danno contributi più  importanti e preziosi dovrebbero essere ricompensati in modo diverso, anche se  ciò non favorisce i più svantaggiati. (Rawls: sistema sanitario pubblico; Nozick:  sistema sanitario privato).
  Critica da Marcuse: le critiche oltre che da destra  gli vengono rivolte anche dalla sinistra, ad esempio da Marcuse, neomarxista.  Egli sostiene che permangono ancora disuguaglianze economiche nella teoria di  Rawls, per questo è impossibile parlare di società giusta. La teoria di Rawls  potrebbe portare in certi casi a concedere al governo poteri maggiori di quanti  gliene possa concedere una società libera. Avremmo una tendenza  all’accentramento, e in ultima analisi, al controllo statale.
METAFISICA
  Esistono due possibili etimologie del termine  metafisica che deriva dal greco e significa ciò che viene dopo la fisica (il termine meta significa dopo).
- Alcuni l’hanno interpretata semplicemente come CIÒ CHE SI TROVA DOPO LA FISICA. Alcuni hanno pensato che il termine sia entrato nel lessico filosofico quando alcuni trattati di Aristotele, oggi chiamati metafisica, furono trovati tra le sue carte, senza titolo. Dal momento che i manoscritti comparivano dopo l’opera intitolata FISICA, furono semplicemente battezzati come metafisica.
- Alcuni hanno invece interpretato questo termine come CIÒ CHE VA OLTRE LA FISICA, OLTRE CIÒ CHE È REALE. Si occupano di questioni che non riguardano il mondo esterno fisico ma di ciò che si suppone sta oltre o dopo il mondo fisico dell’esperienza sensibile.
METAFISICA  CLASSICA
  I filosofi presocratici ad  esempio erano alla ricerca di un principio (archée) che potesse spiegare la  realtà. Nacque una dicotomia tra i MONISTI e i PLURALISTI.
| MONISTI | PLURALISTI | 
| Ritenevano che vi fosse un unico principio attraverso cui spiegare la realtà. Sono monisti i filosofi come Talete, Anassimando e Anassimene. | Ritenevano che vi fossero più principi per spiegare la realtà. Ad esempio Empedocle riteneva che gli elementi su cui si fondava la spiegazione scientifica fossero: il fuoco, l’aria, l’acqua, la terra. Pitagora era anche lui un pluralista; riteneva che la realtà si potesse spiegare attraverso i rapporti numerali all’interno delle cose. | 
Questa dicotomia continuò anche negli anni  successivi. Ad esempio Spinoza era un monista e Leibniz un pluralista.
  UN ALTRO  PROBLEMA CHE SI POSE NEL CORSO DELLA STORIA DELLA FILOSOFIA È LA PERMANENZA E  IL MUTAMENTO OVVERO L’ESSERE E IL DIVENIRE.  Tra i primi filosofi greci Eraclito era il teorico del mutamento mentre  Parmenide fu uno dei suoi oppositori. (VI e V secolo a.c.). Questi pensatori  furono colpiti da 2 elementi base del mondo: il cambiamento mattinale e la  persistenza di alcune condizioni permanenti. Questi pensatori si chiesero  com’era possibile conciliare l’esistenza della realtà con il suo cambiamento?  Ovvero, com’è possibile che una cosa sia e nello stesso momento non sia. Per  questi autori era impossibile conciliare i tratti mutevoli e quelli permanenti:  essi erano incompatibili. Si notava che da un lato se tutto mutava non poteva  esserci nulla di permanete; dall’altro che se nell’universo esisteva qualcosa  di permanente, questo non potendo accertare non poteva far parte di un sistema  che implicava il mutamento.
ERACLITO
  È un teorico del mutamento. Ritiene che tutto  muta. Nel cosmo tutto è un costante flusso. Tutto nasce e muore. Solo il  principio universale che tutto cambia resta inalterato. LA VERA REALTÀ È IL DIVENIRE. NON SI PUÒ ENTRARE DUE  VOLTE NELLO STESSO FIUME PERCHÉ ESSO NON È MAI LO STESSO.
  PARMENIDE
  Sottolineò che la vera realtà è permanente,  immutabile. Essa non può avere altra qualità   che l’esistenza. L’unica verità che si può scoprire dall’essere  permanente è che essa esiste. Tutto il cambiamento è illusione. Il cambiamento  non poteva fare parte del mondo reale dell’essere permanente. Tutto ciò che ci  altera passa dalla non esistenza all’esistenza e di nuovo alla non esistenza.  Tutto ciò che è permanente non può trasformarsi in null’altro. Il mondo del  mutamento non è il mondo reale ovvero quello della permanenza. Parmenide  concluse con la frase L’ESSERE  È, IL NON ESSERE NON È; per lui l’immutabile fa parte del mondo dell’essere.
ZENONE
  Zenone di Ella, discepolo di Parmenide tentò di  dimostrare che non solo il mondo reale è permanente, ma che lo stesso concetto  di mutamento era impossibile. Egli sostenne che ogni nostro tentativo di  spiegare il cambiamento e il movimento avrebbe portato delle contraddizioni.  Gli argomenti di Zenone sono i celebri PARADOSSI sul movimento. Egli volle  dimostrare che in una normale situazione quotidiana in cui si suppone che  qualcosa si stia muovendo, si può dimostrare che in realtà tale movimento non  può avere luogo.
Il paradosso di Achille e la tartaruga
  Achille è dieci volte più veloce della tartaruga;  quest’ultima è partita con 10 metri di vantaggio; quando Achille ha contato i  dieci metri che lo separano dalla tartaruga, questa si è mossa di un metro;  Achille copre questa distanza la tartaruga si muove di un decimetro. Ogni volta  che Achille copre il divario iniziale, la tartaruga ha comunque coperto una  breve distanza e quindi Achille non la raggiungerà mai, anche se è molto più  veloce.
Il paradosso della freccia
Se un oggetto deve passare da un luogo all’altro,  deve prima coprire metà della distanza. Ma per coprire la metà della distanza  deve prima raggiungere la metà della metà e così all’infinito. L’oggetto dovrà  coprire un numero infinito di distanze. Di conseguenza un oggetto se vuole  spostarsi da un luogo all’altro, indipendentemente dalla brevità del percorso,  ci impiegherà l’eternità: esso non riuscirà a coprire la distanza in un tempo  giusto. 
Secondo Zenone i paradossi dimostrano che non è  possibile risolvere il movimento in termini logici. Questo fatto lo portò a  negare il movimento. Se il divenire è logicamente impossibile deve essere  logicamente possibile l’essere.
DEMOCRITO (materialismo)
  Tentò di risolvere il conflitto tra le teorie del  mutamento e quelle della permanenza, proponendo una nuova concessione delle  caratteristiche del mondo reale. L’elemento di base del mondo reale era una  indivisibile unità fisica, l’atomo. Ogni atomo aveva caratteristiche fisse e  immutabili come la forma, la dimensione, che restavano identiche  permanentemente e perpetuamente. Ma gli atomi oltre a possedere questa natura  immutabile, cambiano continuamente posizione, muovendosi costantemente  attraverso lo spazio vuoto. Nel corso del tempo essi si spostavano nello  spazio, scontrandosi tra di loro, venendo spinti in diverse direzioni e aggregandosi  in vari modi. Viene così garantito anche il divenire poiché vi è un cambiamento  continuo di aggregazione. I  TRATTI FONDAMENTALI DELL’UNIVERSO DI DEMOCRITO ERANO CONTEMPORANEAMENT IMMUTATI  E IMMUTABILI IN UN SENSO, E COSTANTEMENTE IN MOVIMENTO NELL’ALTRO. Da un  lato le proprietà eterne e immutabili degli atomi erano alla base dei tratti  permanenti dell’universo. Dall’altro il costante mutamento degli atomi spiegava  le alterazioni di un mondo mutevole.
  PLATONE
  Platone non parla in modo esplicito della sua  metafisica ovvero della teoria delle idee. Nei DIALOGHI non esiste una  trattazione completa della teoria delle idee. Nel TIMEO Platone precisa che vi  sono due piani idee reale: il mondo dell’esperienza ordinaria che è una  sequenza illusoria, transitoria e irrilevante di eventi che hanno luogo nel  mondo fisico ed essa non è la realtà; la vera realtà ovvero ciò che è reale,  stabile, permanente è il mondo delle idee o forme che si trova fisicamente  separato ed è nel mondo iperuranio. Il mondo iperuranio è il mondo della  perfezione e contiene le idee che contengono i significati o le definizioni  delle cose. Nel mondo iperuranio vivono anche gli Dei, la loro felicità è data  dal fatto che contemplano sempre queste idee.
  Platone sottolinea che vi è un rapporto di  partecipazione tra le idee e le cose che i soggetti percepiscono con i sensi e  si interroga in che tipo di partecipazione esista.
  Non riuscendo a dare una risposta razionale a tale  problema, ricorre al MITO DEL DEMIURGO. Il Demiurgo è un divino artefice che è  stato incaricato dagli Dei per creare il mondo. Il Demiurgo ha preso le idee e  le ha poste come modelli sui quali costruire la realtà. Va precisato che  Platone per creazione non intende una creazione dal nulla, ma un passaggio dal  caos al cosmos ovvero dal disordine all’ordine. Prima del mondo esiste una materia amorfa e indeterminata; vi è  quindi il caos, la confusione. Il Demiurgo ha creato il mondo a partire dalle  idee e da una materia amorfa. Egli ha calato le idee in una materia amorfa, sin  quando non si produce una specie di ordine nel mondo visibile. Il mondo  visibile però non riesce ad accogliere in modo permanente le idee; può solo  partecipare nei periodi immutati del tempo. Il mondo visibile è destinato a uno  stato di incostante stabilità, è imperfetto. IL MONDO DELLE IDEE È CAUSA DELL’ORDINE – quale che  sia - PRESENTE NEL MONDO  MATERIALE. In Platone si ritrova quindi un DUALISMO tra il mondo delle  idee e delle cose. Questa differenza si ritrova anche negli esseri umani.
  DICOTOMIA  ANIMA-CORPO 
  L’uomo partecipa al mondo fisico in quanto ha un  CORPO materiale che lo porta vicino alle cose materiali e un’ANIMA IMMATERIALE  capace di conoscere le forme. Per spiegare il tipo di rapporto tra l’anima e il  corpo ha introdotto il MITO DELL’AURIGA nel Fedro. Le anime prima di unirsi ai  corpi hanno un’esistenza nel modo iperuranio in cui contemplano le idee così  com’è concesso agli dei. Le anime degli uomini però non sono perfette. L’anima  dell’uomo è come un cocchio tirato da due cavalli e guidato da un auriga. I due  cavalli sono uno nero e uno bianco al contrario dell’anima degli dei che è come  un cocchio tirato da due cavalli bianchi. Questa precisazione vuole precisare come  le anime dei futuri uomini saranno imperfette. Il cavallo nero vuole immergersi  nella vita fisica e tira il cocchio verso il basso. Esso rappresenta la parte  dell’anima dedita ai piaceri della carne. Il cavallo bianco invece vuole  innalzarsi sino al regno celeste delle idee per contemplarle; esso tira il  cocchio verso l’alto. Il cocchio si ritrova così tra queste due forme contrarie  e si romperà. L’anima quindi scende nel mondo delle cose e si unirà a un corpo.  Platone dirà che IL CORPO È LA  TOMBA O LA PRIGIONE DELL’ANIMA. Il corpo è la prigione dell’anima perché  questa vi è caduta e deve scontare la sua punizione. È la tomba perché la  distoglie dalla sua vera natura: le idee.
IL  NEOPLATONISMO
  In quella estensione di idee di Platone nota come  neo platonismo, la teoria metafisica proposta da PLOTINO, viene  specificatamente sottolineato l’elemento sovrannaturale. Plotino identifica  l’iperuranio con la divinità. Per Platone le idee culminano nell’idea più  importante: l’idea del bene. A poco a poco questa idea diviene l’uno dei neoplatonici da cui tutto deriva.
ARISTOTELE
  Rifiuta la duplice natura dell’universo platonico,  diviso tra il mondo delle idee e l’illusorio mondo delle cose fisiche, in  favore di una CONCEZIONE NATURALISTICA in cui la realtà è da ricercare nel  mondo, in ciò che noi osserviamo fenomenicamente. (Esistono i principi ma non  esistono indipendentemente dalla realtà che osserviamo). Si trova di fronte al  rapporto tra essere e divenire. Mentre Platone aveva risolto il problema dicendo  che il mondo del divenire è l’apparenza sensibile dentro al quale c’è il mondo  dell’essere, per Aristotele invece la REALTÀ COSÌ COM’È PRESENTA ELEMENTI DI PERMANENZA  (SOSTANZA) E ELEMENTI DI MUTAMENTO (ACCIDENTI). Possiamo spiegare ogni  realtà naturale ricorrendo a 10 categorie, una di queste è la sostanza e le  altre nove sono gli accidenti, ovvero le qualità, le forme che può assumere la sostanza. Anche  nell’uomo c’è qualcosa di stabile, andiamo incontro però anche a mutamenti,  nonostante questo siamo comunque sempre noi stessi. Il nostro essere umano,  sottolinea Aristotele, è dato dalla sostanza che è composta da due elementi ELEMENTO MATERIALE E ELEMENTO  FORMALE. L’elemento materiale è il corpo e l’elemento formale è l’anima.  Il corpo rappresenta la permanenza rispetto alla quale la forma fornisce il  mutamento. Non è possibile distingue questi due elementi, essi si presentano  come qualcosa di unico, un nesso inscindibile come tutte le altre realtà. La  separazione del corpo e dell’anima si avrà solo dopo la morte, finché  l’individuo è in vita si parla di sostanza unica. TUTTI GLI OGGETTI DELLA NOSTRA ESPERIENZA CONSISTONO DI  MATERIA FORMATA OVVERO CHE ASSUME FORME DIFFERENTI CHE SI MUOVE O SI CAMBIA IN  VISTA DI UNO SCOPO CHE È TELEOLOGICO: IL MOVIMENTO O I CAMBIAMENTI AVVENGONO IN  VISTA DI UN FINE. Ogni oggetto è composto da forma e materia. La materia  di ogni oggetto ha la potenzialità di acquisire una forma adeguata all’oggetto  stesso che è detto fine o scopo di quest’ultimo. Il processo di movimento o  mutamento è la realizzazione della potenzialità dell’oggetto. Esiste una  tendenza naturale o teologica che spinge ogni singolo oggetto verso il suo fine  naturale o forma iniziale. Questo è un FINE RELATIVO cioè ATTUARE LA FORMA ADEGUATA ALLA  SUA SPECIE. Inoltre ogni oggetto ha anche un FINE ULTIMO ovvero RAGGIUNGERE UNA  CONDIZIONE DI QUIETE ASSOLUTA NELLA QUALE SARÀ IMPOSSIBILE OGNI ULTERIORE  CAMBIAMENTO. Ma ogni cosa, in quanto composta di materia, conserva sempre  qualche potenzialità, qualche capacità di mutare, muoversi o alterarsi. Ne  consegue che un oggetto sarebbe possibile giungere alla condizione finale solo  diventando FORMA PURA e liberandosi completamente della materia. Questo fine  ultimo è uguale per ogni realtà e prevede la fine del movimento stesso.
  METAFISICHE  POST-ARISTOTELICHE
LA  METAFISICA EPICUREA (materialismo)
  La dottrina epicurea, che si rifà all’atomismo del  filosofo greco Democrito e che è conosciuta soprattutto per il De Rerum Natura  del poeta romano Lucrezio che descrive un universo  che non contiene null’altro se non atomi di diversa forma che si muovono nello  spazio vuoto.
  L’aspetto permanente dell’universo è l’atomo  fisico, non reato e immutabile. Gli atomi non potevano essere divisi in unità  più piccole, con un numero illimitato di possibili forme e dimensioni. Tutti  gli oggetti del mondo non sono altro che combinazioni di atomi distribuiti in  uno spazio vuoto. Ciò valeva sia per gli esseri viventi sia per gli oggetti  inanimati. Sebbene gli atomi non mutano mai, mutano invece le loro  combinazioni.
  Il movimento è una caratteristica fondamentale  dell’atomo. Mentre però per Democrito gli atomi cadevano verso il basso e  quelli più veloci raggiungevano i più lenti e si verificava una collisione,  conoscendo la posizione iniziale degli atomi dell’universo e le direzioni in  cui si stanno muovendo è possibile predire l’intero corso futuro dei movimenti  di ciascuno di essi. LA VERSIONE DELLA METAFISICA ATOMISTICA DI DEMOCRITO È  COMPLETAMENTE DETERMINISTICA. Epicuro critica il determinismo e  introduce il CLINAMEN che  è una deviazione casuale degli atomi, che hanno nel scendere verso il basso,  nel loro moto vorticoso di caduta. È questa deviazione che fa sì che si  incontrino gli atomi. Cade quindi il determinismo, non si possono quindi  prevedere i movimenti degli atomi. Questo garantisce la libertà. Per   Democrito invece nulla accadeva per caso.
  La metafisica epicurea, in totale contrasto con la  teoria aristotelica del cosmo, descrive un mondo del tutto privo di scopo.  Non bisogna neanche pensare ad una divinità.
METAFISICA  STOICA (materialismo)
  Gli stoici hanno una visione materialistica del mondo.  Gli elementi fondamentali del cosmo sono LA MATERIA e LA RAGIONE. All’origine  del mondo c’era una materia continua e amorfa alla quale la ragione divina le  ha conferito le sue peculiari caratteristiche. La ragione è talvolta definita  anima dell’universo; il mondo è assimilabile a una gigantesca creatura le cui  parti funzionano in modo armonico perché costruite da un progetto. Gli stoici  concepiscono la ragione come un potere cosmico che organizza e governa l’intero  universo dall’interno.
  Nella metafisica stoica poiché tutto avviene per  un motivo e tale motivo non è che il volere della ragione cosmica, in natura  esiste un DETERMINISMO ASSOLUTO. Tutto deve essere cos’ì com’è perché viene  imposto, secondo il suo scopo razionale, da una ragione.  Di conseguenza in questo mondo totalmente  razionale ogni evento è razionale e necessario; è un mondo in cui non c’è  libertà. La libertà è la coscienza di necessità.
EPICUREI:  sono meccanicisti ma non deterministi.  Spiegano la realtà con cause fisiche F meccanicisti. Non sono deterministi perché non è  possibile prevedere nulla, c’è infatti il clinamen.
  STOICI:  sono deterministi ma non meccanicisti.  Sono deterministi perché tutto ciò che avviene è dato da un progetto ma non  sono meccanicisti perché la causa è attribuita a una mente e non a una causa  fisica.
METAFISICA MODERNA 
  Nell’età moderna (postrinascimentale) con l’inizio  della scienza moderna, i filosofi erano oramai consapevoli che gli antichi  sistemi di pensiero consolidati – in particolare l’aristotelismo medievale –  non fossero più adeguati per spiegare le nuove conoscenze umane, e si misero  alla ricerca di teorie metafisiche più adeguate alla nuova situazione.
  La filosofia di Cartesio fornì questo genere di  metafisica nonostante riprese alcune problematiche antiche, in particolare  quella di Platone sul rapporto corpo-anima. I sistemi metafisici che gli  succedettero presero come punto di riferimento le idee di Cartesio e cercavano  di migliorarle o di risolvere le difficoltà presenti nel sistema cartesiano.
CARTESIO
  SECONDO  CARTESIO VI SONO TRE COMPONENTI BASE DELL’UNIVERSO, O SOSTANZE: DIO, LA MENTE  (RES COGITANS), LA MATERIA (RES ESTENSA) 
  Dio è la sostanza creativa che ha formato le altre  due. La proprietà essenziale della res cogitans è il pensiero e la proprietà  principale della res estensa è l’estensione in lunghezza, larghezza e  profondità.
  Queste due sostanze sono distinte e hanno  caratteristiche autentiche. Gli individui hanno un corpo che è costituito dalla  sostanza estesa e un’anima che è costituita dalla sostanza pensante. Il MONDO  FISICO viene concepito come una grande macchina che opera secondo le leggi  costanti di Dio. Egli conserva e controlla costantemente un ordine fisico in  cui le varie parti estese muovono le parti per contatto, producendo la  madreregola descritta dalla scienza moderna. Tutto ciò che è esteso, gli  oggetti, gli animali, fanno parte di questa macchina. Gli animali sono  macchine, automi. Questo mondo fisico è un mondo meccanico in cui tutto ciò  che avviene, accade per leggi meccaniche e come ogni mondo materiale non c’è  spazio per la libertà.   Gli automi sembra che abbiano sensazioni ma sono in realtà  meri effetti meccanici. È UN MONDO DI MATERIALITÀ,  MECCANICISMO E DETERMINISMO. L’UNICO ASPETTO DEL MONDO CREATO CHE NON È PARTE DELLA MACCHINA MONDO È LA MENTE. Anche l’uomo ha un corpo  costruito da res estensa ma a differenza degli altri animali ha anche una parte  spirituale, una mente. Il comportamento dell’uomo non può essere spiegato come  il comportamento degli animali in termini meccanicistici. L’uomo, a  differenza degli animali e di tutte le altre realtà, è costituito da due  sostanze: una res estensa e una res cogitans. Questo presenta una difficoltà  poiché la natura delle due sostanze è eterogenea: mentre il mondo naturale è il  mondo della necessità; il mondo spirituale è quello della libertà. Queste  due sostanze a causa della loro natura rendono impossibile una qualsiasi forma  di comunicazione. Eppure sottolinea Cartesio che la nostra esperienza dimostra  l’opposto. Infatti alcuni eventi fisici influenzano la nostra mente e  viceversa. Cartesio giunge alla conclusione che dovesse esserci qualche tipo di  contatto tra il mondo fisico e il mondo mentale e che tale contatto avesse  luogo nel cervello. Arrivò alla conclusione che l’interazione tra mente e corpo  aveva luogo nella GHIANDOLA PINEALE, situata alla base del cervello.
  Gli furono rivolte obiezioni riguardo alla  soluzione del problema metafisico; ora sostanzialmente insoddisfacente poiché  non spiegava ancora come fosse possibile che la mente e il corpo, se veramente  erano di natura totalmente differente, interagissero l’uno sull’altro. Cartesio  risponde alle obiezioni concludendo che era un PROBLEMA INSOLUBILE e che LA  COMUNICAZIONE CI DEVE ESSERE MA NON SA DOVE. Lascia aperto il problema ai  filosofi successivi.
LE  TEORIE DI MALEBRANCHE, LEIBNIZ E SPINOZA
  Nel seicento alcuni dei più grandi metafisici del periodo (Malebranche, Leibniz e Spinoza)  proposero una serie di interessanti teorie per risolvere il problema della  relazione mente-corpo. Mentre Malebranche fa parte dell’OCCASIONALISMO, Leibniz  e Spinoza fanno parte del RAZIONALISMO.
L’OCCASIONALISMO:  MALEBRANCHE
  Nella sua teoria, nota come occasionalismo,  Malebranche fa la sua distinzione cartesiana tra mente e materia. L’una è  totalmente diversa dall’altra: la prima è composta solo da idee, la seconda  solo da oggetti estesi. Sono tanto diverse che la mente non può sapere nulla  del corpo. La mente può conoscere solo le idee. Quando pensiamo ai corpi, ciò  cui stiamo pensando è qualcosa che possiamo dire estensione intelleggibile piuttosto  che estensione fisica. Malebranche trovò l’unica prova dell’esistenza dei corpi  nelle frasi iniziali del GENESI dove si dichiara che Dio ha creato il mondo  fisico. Se non fosse per questo, non potremmo mai sapere con certezza che  esistono degli oggetti naturali.
  MALEBRANCHE  SOSTIENE CHE SE QUESTI DUE REGNI SONO DIVISI COSÌ PROFONDAMENTE, NON PUÒ  ESSERVI TRA LORO INTERAZIONE O CONNESSIONE ALCUNA. Ciò che veramente accade è che quando qualcosa  avviene in uno dei due regni, Dio interviene facendo sì che accada qualcosa di  corrispondente nell’altro. Gli eventi nell’uno non sono cause degli eventi  nell’altro, sono solo l’occasione per l’azione divina. Dio interviene a  sincronizzare i due fatti. Dio è la causa dei due fatti e della loro rapida  successione.
LEIBNIZ
  Fine 600 – Inizi 700. Leibniz ha una concezione  pluralista: la realtà di spiega con le MONADI. Ogni ente, mentale o fisico che  sia, è indipendente a costituire una monade. A differenza degli atomi le monadi  hanno una natura spirituale, si potrebbe dire che sono degli atomi spirituali  che spiegano la realtà fisica e spirituale. Secondo Leibniz gli uomini sono composti  da monadi e da una monade dominante (l’anima). Le monadi sono incorporee. Sorge  un problema: ovvero com’è possibile che la monade dominante controlla e diriga  le parti di un corpo? Risolve il problema ipotizzando che fra di esse vi sia  un’ARMONIA PRESTABILITA. Leibniz dice che possiamo immaginare il rapporto tra  le singole monadi riconducendole a due sole e assimilandole a due orologi.  L’interazione fra le monadi è analoga al funzionamento di due orologi che  segnano sempre la stessa ora. Tra le monadi c’è un sincronismo come tra 2  orologi.
  Potrebbe darsi che i 2 orologi segnano perfettamente  la stessa ora per tre ragioni differenti che corrispondono a tre posizioni che  storicamente si sono succedute nel tempo:
- potrebbe darsi che ciò avvenga perché tra i due orologi vi è un meccanismo di connessione. Un orologio influenza l’altro e gli dà il ritmo. Tale spiegazione corrisponde alla Teoria di Cartesio. Per Leibniz è una spiegazione assurda.
- Potrebbe darsi che vi sia un intervento esterno che continuamente provvede ad eliminare gli scarti tra i due orologi. Questa spiegazione corrisponde alla teoria di Malebranche. Egli ritiene che l’intervento divino possa spiegare tutto. Secondo Leibniz è una posizione controintuitiva perché svilisce la posizione di Dio.
- La terza posizione sostenuta da Leibniz ritiene che gli orologi sono stati costruiti all’inizio in modo perfetto e, nonostante non ci sia alcuna relazione tra loro, entrambi segnano il tempo in modo perfetto. Quindi ogni monade è stata creata da Dio in modo che si trovi in perfetta armonia con tutte le altre per l’intera eternità e che gli eventi nel percorso di una siano destinati a trovarsi in perfetto accordo con le altre.
LA TEORIA DI LEIBNIZ, COME QUELLA DI MALEBRANCHE, SUPERA I PROBLEMI DELLA METAFISICA CARTESIANA CON LA RINUNCIA A QUALSIASI PRETESA CHE VI SIA UNA RELAZIONE TRA LA MENTE E IL CORPO.
SPINOZA
  Spinoza propone di risolvere il problema del  dualismo cartesiano in modo opposto rispetto a Leibniz. Leibniz aveva  moltiplicato le sostanze in un ottica pluralista e sottolineando che il  rapporto tra le monadi è dato dall’intervento di Dio. Spinoza invece si  presenta come un RIGIDO MONISTA perché riduce le sostanze da due a una. La  mente e il corpo sono attribuiti a uno e un solo ente.
  Secondo Spinoza si può dimostrare questo un modo  geometrico, con la stessa esattezza a partire dalla definizione di sostanza. SOSTANZA SIGNIFICA CAUSA DI SE  STESSI. Deve esistere quindi una sostanza che non viene influenzata da  nulla. Essa viene a coincidere con Dio stesso. È un Dio però diverso dalla  tradizione, è un Dio che coincide con la totalità del reale. DEUS SILE NATURA  (Dio è la natura). Spinoza vede la presenza della vita in qualunque realtà del  mondo. Non c’è spazio per l’esistenza autonoma delle sostanze di Cartesio. Esse  sono solo due degli infiniti attributi dell’unica sostanza. La sostanza ha  infiniti attributi, caratteristiche. Il pensiero e l’estensione sono solo due  attributi dell’infinita sostanza che tutto comprende. L’essere umano può  cogliere solo questi due attributi perché vi partecipa. Se quindi il corpo e  l’anima degli esseri umani sono modi di essere dell’unica sostanza non si pone  più il problema di stabilire le relazioni. L’ordine nelle cose e nella mente  coincidono perché entrambe sono modi paralleli dello stesso attributo. 
  Uno dei modi per evitare trappole nella teoria  cartesiana consisteva nell’adottare una METAFISICA INTEGRALMENTE MATERIALISTA e  sostenere che gli eventi mentali e fisici potevano essere spiegati in termini  di concetti e leggi puramente fisici. Teorie di questo tipo sono GARSENDY (che  riprese alcune tematiche dell’ottimismo) e HOBBES.
HOBBES 
  Pretese di risolvere il dualismo eliminando la res  cogitans e riducendo tutta la realtà alla matematica. Ha rivolto un’obiezione a  Cartesio sulla frase “Penso dunque sono”. Hobbes dice che se penso dunque sono  significa che sono una cosa che pensa e quindi sono una res estensa. Secondo  Hobbes gli eventi mentali si possono spiegare come tutte le altre cose. Visto  che percepisco solo cose fisiche bisogna spiegare la realtà in termini  matematici, in termini di materia e movimento. Vi è la negazione del libero  arbitrio (anche per Spinoza). Se ogni evento si spiega con un termine di materia  e movimento. Vi è la negazione del libero arbitrio (anche per Spinoza). Se ogni  evento si spiega in termini materiali e l’uomo è regolato da leggi meccaniche,  gli uomini sono creature naturali.
  QUELLI CHE  CHIAMIAMO ELEMENTI MONALI SONO IN VERITÀ ALLA STESSA STREGUA DEGLI EVENTI  FISICI, SONO CONFIGURAZIONI DELLA MATERIA IN  MOVIMENTO.
Ricordarsi>Hobbes e Garsendy vissero nel 600 e furono contemporanei a Cartesio: gli rivolsero direttamente le critiche. Cartesio pubblicò anche le risposte alle obiezioni dei suoi avversari.
IL  MATERIALISMO (spiega  tutta la realtà in termini di materia e movimento)
  I materialisti hanno cercato di sviluppare un cartesianesimo  modificato, di eliminare la mente e possibilmente anche Dio dallo schema  metafisico di base, tentando di spiegare ogni cosa in termini di eventi  materiali. Cominciando con Thomas Hobbes nel seicento, ebbe sviluppi successivi  fino a oggi; questo genere di teoria non differisce in modo sostanziale  dalle teorie dei materialisti greci, eccetto che nei dettagli. Nel 1700 furono materialisti  alcuni esponenti dell’illuminismo francese. Il più noto è La Mettrie,  Julien Offroy de (Saint-Malo 1709-Berlino 1751). partenente alla guardia  francese in qualità di medico (1743), fu perseguitato per le sue convinzioni  materialiste e meccanicistiche e, a seguito dell'effetto provocato dalla  pubblicazione dell'opera Storia naturale dell'anima (1745), fu  costretto a fuggire a Berlino. Fu un assertore dell'uguaglianza di tutti gli  esseri viventi. Scrisse anche L'uomo macchina. La Mettrie porta alle estreme conseguenze il  discorso di Cartesio. Cartesio diceva che solo gli animali erano macchine; per  La Mettrie anche gli uomini. Secondo La Mettrie Cartesio  limitava la potenza divina: Dio ha creato macchine così perfette come gli  uomini.
  Nel 1800 vi è il materialismo storico di Marx e lacune correnti che si  rifanno al positivismo.
  Nel 1900 vi è uno sviluppo delle scienze che rappresenta la massima  espressione del materialismo. Fino alla nascita della matematica quantistica il  materialismo meccanicista ha dominato. Ciò che ha determinato una rottura è la FISICA DI HEISENBERG,  secondo il quale vi è una fondamentale indeterminatezza nella nostra conoscenza  delle particelle fisiche. Tentando di determinare sperimentalmente la posizione  e la velocità di una particella, si è scoperto che tutti i metodi sperimentali  o ci permettono di determinare con precisione la posizione ma non la velocità o  ci permettono di determinare con precisione la velocità ma non la precisione. È  impossibile determinare entrambe le quantità senza margini di incertezza. In  natura vi è un elemento di indeterminatezza. Questo sembra mettere in crisi  il paradigma del materialismo.
  IL  PARADIGMA MATERIALISTA HA DOMINATO ANCHE LA PSICOLOGIA. 
  I teorici dell’INTELLIGENZA ARTIFICIALE ritengono  che la mente umana è paragonabile a un computer, a una macchina. Si può ridurre  quindi il funzionamento della mente a quello di una macchina. I  comportamentismi o behavoiristi sostengono che gli eventi mentali sono in  verità solo configurazioni della materia in movimento. I cosiddetti pensieri  sono movimenti fisici che avvengono nel cervello e vengono prodotti da altri  eventi che accadono nel mondo materiale.
  PER ELIMINARE  IL DUALISMO CARTESIANO, HOBBES HA RIDOTTO TUTTA LA REALTÁ ALLA   MATERIALITÁ ELIMINANDO IL RES COGITANS. ALTRI FILOSOFI HANNO  INVECE SVILUPPATO UN SISTEMA METAFISICO PRIVO DELL’IDEA DI SOSTANZA MATERIALE. LA PIENA FIORITURA   DI QUESTO GENERE DI TEORIA È DA FAR RISALIRE ALLE IDEE DI  BERKELEY. 
IL  VESCOVO BERKELEY 
  (con Locke e Hume viene considerato filosofo  dell’EMPIRISMO – prima metà del 18° secolo)
  La posizione di Berkeley viene definita IMMATERIALISMO. Egli considera  materialista qualunque pensatore che ammette l’esistenza della materia. Per noi  invece è materialista chi ritiene che è sufficiente spiegare la realtà con la materia. Berkeley  si muove nell’ambito religioso; il suo discorso filosofico è in termini  apologetici. L’assunto di Berkeley è che UN ENTE QUALE IL MONDO FISICO O MATERIA NEL SENSO DI  OGGETTO CHE ESISTE IN MODO INDIPENDENTE, NON C’È. Al contrario ciò che  definiamo oggetti fisici sono in realtà gruppi di idee nella nostra mente. Noi  possiamo conoscere empiricamente le cose ovvero ciò che possiamo conoscere sono  soltanto le idee che abbiamo di essi.
  Berkeley dice che posso supporre, come fa Locke, che  le idee rimandano alle cose materiali ma non posso dire che le cose materiali  sono causa delle idee perché sono due cose eterogenee. Secondo Berkeley gli  uomini possono confrontarsi solo con la idee che ha nella propria mente. Un  oggetto esiste solo se c’è qualcuno che lo pensa. L’unica prova dell’esistenza  di qualcosa si trova nel pensiero di colui che pensa. Affermando però che gli  oggetti sono scientificamente nella nostra mente, si potrebbe arrivare a dire  che ognuno di noi produce arbitrariamente una realtà priva di riferimenti  oggettivi. Tale posizione è detta SOLIPSISMO. Berkeley intende negare questo.  Pur ritrovando le idee nella propria mente il soggetto è consapevole che queste  non derivano dagli oggetti e che non è artefice di queste idee per due motivi:
- molte volte gli individui provano delle idee che sfuggono al loro controllo e che desidererebbero non provare. Un esempio è la sensazione dolorosa.
- Inoltre ci sono nella mente degli uomini due tipi di idee e vi è una differenza tra le due. Ci sono idee create dall’uomo come quelle che ci sono nei sogni che sono contradditori e incoerenti e vi sono altre idee che provengono da Dio che sono coerenti e danno l’illusione di provenire dal mondo esterno. In realtà è Dio l’agente da cui deriva ciò che abbiamo nella mente.
Inoltre spesso c’è una concordanza tra le nostre idee e quelle di un’altra persona come ad esempio le leggi di natura. Le leggi di natura sono il linguaggio che utilizza Dio per parlare. IL MAGNIFICO MONDO DELLA NATURA CON LA SUA MERAVIGLIOSA ARMONIA, STUDIATO DALLA SCIENZA, NON È NULL’ALTRO CHE ESPRESSIONE DELLA MENTE DIVINA. IL MONDO NATURALE CI VIENE PRESENTATO COME UNA SPECIE DI LINGUAGGIO DEI SEGNI ATTO A INTERPRETARE LA MENTE DI DIO. In conclusione nella metafisica di Berkeley il cosmo è composto da spiriti, ovvero da menti, una infinita e le altre finite; tutte le menti sono attive. Inoltre abbiamo gli oggetti passivi cioè le idee che posseggono un grado di permanenza in quanto esistenti come percezione costante nella mente di Dio.
SOLIPSISMO
  Questa teoria definita immaterialismo parte da: le  sole cose di cui possiamo affermare l’esistenza sono quelle di cui abbiamo  esperienza. Questa teoria elimina tutte le menti tranne la mia e tutti gli  oggetti tranne le mie idee facendo dell’universo null’altro che la successione  di pensieri che ha luogo dentro di me.
ALCUNE  CRITICHE ALLA METAFISICA: HUME E KANT
  Tutte queste teorie metafisiche tentano di  costruire un sistema generale che spieghi le molteplici caratteristiche del  mondo, della nostra conoscenza, delle nostre credenze, speranze. Per più di  duemila anni i metafisici hanno discusso di quale teoria fosse più  soddisfacente e plausibile. Non sembra esserci un generale accordo su quale tra  essi sia vera, o per lo meno su quale sia più vero degli altri. Ogni scuola  metafisica sembra in grado di dimostrare che nelle idee di tutte le altre vi  siano serie difficoltà, ma non di giustificare in modo soddisfacente le  proprie. A causa di questa confusione ALCUNI FILOSOFI HANNO CONCLUSO CHE IL PROBLEMA FONDAMENTALE STA NEL FATTO  CHE VI È QUALCOSA DI SBAGLIATO NELLA METAFISICA STESSA. Bisogna quindi  chiedersi perché essa è destinata, per sua stessa natura a condurre a risultati  insoddisfacenti. Hume e Kant hanno identificato le difficoltà fondamentali  che rendono impossibile una soluzione convincente di qualsivoglia problema  metafisico.
HUME
  L’assunto di base di Hume è: GLI UNICI TERMINI O IDEE CHE HANNO  SIGNIFICATO SONO O LE IMPRESSIONI SENSIBILI O I CONCETTI MATEMATICI.  Infatti sono solo due i campi in cui l’uomo può giungere a certezze:
- Il campo delle matematiche perché prevede un ragionamento astratto sulla quantità, ovvero sui numeri. I concetti matematici hanno significato perché esprimono relazioni tra idee che possiamo intimamente giudicare vere e certe.
- Il campo sperimentale perché contiene questioni che possiamo sperimentare in modo empirico.
La metafisica ha la pretesa di descrivere ciò che  è al di là della realtà fisica; quindi non può avere a che fare con i numeri e  con l’esperienza. Ne consegue che bisogna abbandonare ogni pretesa di  metafisica. Le idee chiave dei metafisici sono senza senso (per esempio “la  sostanza” “la realtà” “lo spirito” “la materia” perché non siamo in grado di  definirle in relazione a qualcosa di noto.
  Quindi Hume mette in rilievo come, partendo da  Cartesio, la res cogitans e la res estensa non hanno alcuna esistenza. Non si  può avere la prova dell’esistenza reale e del pensiero. 
Critica alla sostanza estesa: Hume trova del tutto incomprensibile l’idea di sostanza estesa perché tutte le idee ci vengono dalle sensazioni o dalle riflessioni. Hume sottolinea che noi percepiamo solo associazioni tra sensazioni relative al colore, al peso, alle dimensioni degli oggetti. Se si ammette l’esistenza di una sostanza materiale come la sostanza estesa non se ne può dimostrare l’esistenza perché essa non è reale, non possiamo essere certi sulla sua esistenza. Ciò di cui possiamo essere certi sono le percezioni. Se l’origine della conoscenza è empirica, l’esigenza dei soggetti si limita a cogliere qualità con i sensi, non si può quindi sapere se al di là delle sensazioni ci siano realtà materiali.
Critica  alla res cogitans: Hume  sottolinea che Cartesio diceva: penso dunque sono F sono una cosa che pensa.  
  Secondo Hume affermare che sono una sostanza  pensante non è possibile, poiché non esiste un pensiero che contiene tutti i  pensieri. I soggetti percepiscono i singoli pensieri, le singole sensazioni.  Non esiste una sostanza pensante. Se ne può supporre la sua esistenza per  un’esigenza pratica di ordine e continuità ma essa non ha però esistenza reale.
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  Giunge così ad una visione scettica: nega qualsiasi discorso metafisico. Fa però una precisazione: distingue la ragione  dall’intelletto. Hume afferma che non si può dimostrare razionalmente  l’esistenza di una res cogitans e res estensa; questa però non significa che  gli individui possano avere delle credenze sul mondo materiale e spirituale  poiché le credenze sono indispensabili per vivere con i simili.
  IL SUO  SCETTICISMO È QUINDI MODERATO: NEGA LA CERTEZZA DELL’ESISTENZA DEL MONDO MA QUESTO  RIMANE NELLA SFERA INTELLETTUALE; IL FILOSOFO SCETTICO VIVE COME TUTTI GLI  ALTRI NEL MONDO ESSENDO PERÒ CONSAPEVOLE CHE LE CERTEZZE SONO CREDENZE. 
  Questa è la posizione attuale della scienza. Hume  ha compreso che la metafisica è una tendenza naturale degli individui, non è  però scienza.
  Esiste una tendenza naturale dell’uomo di andare  al di là del sensibile. Tutto ciò che ha a che fare con la metafisica è  credenza. La naturale tendenza a credere a delle cose è maggiore delle cose che  affermiamo razionalmente.
  La  condanna della metafisica da parte di Hume non ha messo la parola fine alla  metafisica.
KANT (1724-1804)
  Kant riconosce a Hume di aver detto che la  metafisica è di per sé condannata alla sconfitta perché va al di là delle  capacità conoscitive dell’uomo. Secondo Kant gli uomini possono conoscere solo  i FENOMENI che contrappone ai NOUMENI, le cose in sé. Gli uomini possono  conoscere solo la realtà così come essa gli appare. Quando un soggetto conosce  un oggetto esso viene fermato con la dimensione spazio-tempo che sono delle  dimensioni interiori del soggetto che servono per collocare l’oggetto;  l’oggetto viene poi interpretato dalle categorie, dagli schemi mentali del  soggetto fino a che l’oggetto viene percepito come fenomeno. Ci sono quindi dei  principi organizzatori al nostro interno che strutturano e interpretano le  osservazioni dei sensi. Il mondo della nostra esperienza, il cosiddetto MONDO  FENOMENICO, è il prodotto di qualcosa che si presenta a noi unitamente alle  condizioni a priori fornite dalla mente. La mente viene considerata come  qualcosa di simile a un’ampia forma vuota che determina i tipi di risposte che  possono essere date, ma non il loro contenuto specifico che solo l’esperienza  può determinare.
  Kant contrappone ai fenomeni i noumeni. Essi sono  oggetti reali ma non sono conoscibili. La scienza moderna di Galileo e Newton è  una scienza di fenomeni. È una scienza oggettiva in quanto scienza  intersoggettiva perché l’uomo organizza il mondo naturale secondo leggi proprie  del soggetto. (io sono il legislatore della natura). Secondo Kant le scienze  devono essere scienze dei fenomeni e devono quindi partire dai dati sensoriali. 
  La metafisica non è possibile perché ha a che fare coi dati  ultra sensibili che per Kant sono in conoscibili. È quindi esclusa a priori  qualsiasi conoscenza. Gli argomenti che tentano di stabilire quale sia la  natura del mondo noumenico, dal mondo reale delle cose in sé, culminano in  quelle che Kant definiva ANTINOMIE ovvero CONCLUSIONI CHE POSSONO ESSERE SIA  PROVATE SIA CONFUTATE.
  Tutte le 3 idee principali della metafisica  culminano in antinomie. Ad esempio i ragionamenti in cui si sostiene che nel  mondo c’è libertà possono essere attaccati mostrando che si può costruire un  ragionamento altrettanto valido per affermare il contrario. Ne consegue che non  abbiamo modo alcuno di due quale, tra due soluzioni incompatibili di questo  problema metafisico abbia maggiori probabilità di essere vero. Il metafisico  tenta di costruire un ragionamento che vada oltre l’esperienza e i suoi limiti  concettuali ma non approda a nulla. L’IMPRESA METAFISICA È DESTINATA AL FALLIMENTO.
  Hume e Kant: concludono sottolineando che la  ragione non è in grado di dare l’ultima parola su questioni metafisiche (1700). 
  Agli inizi del 1800 alcuni filosofi come FICHTE,  HEGEL, SHELLING eliminano il ricorso alla cosa in sé e riducono tutta la realtà  al pensiero: ecco perché il termine idealismo.
L’IDEALISMO  TEDESCO
  FICHTE:  idealismo soggettivo
  Prima di esporre la sua teoria,  Fiche si sofferma su due principali orientamenti metafisici: il MATERIALISMO –  l’idea che tutto debba essere spiegato in termini di cause materiali – e  l’IDEALISMO – l’idea che tutto debba essere spiegato in termini di cause  spirituali. Né l’una né l’altra delle due teorie poteva essere dimostrata o  confutata; entrambe potevano sviluppare argomenti contro quella avversaria. Il  filosofo che intendeva dedicarsi alla metafisica deve prima di tutto decidere  quale orientamento adottare, e su questa base poi procedere alla costruzione  della propria teoria. LA SCELTA TRA ESSERE MATERIALISTA O IDEALISTA È UNA  SCELTA DI VITA, BISOGNA SENTIRE UNA SORTA DI INVOCAZIONE.
  Fiche (che fu il primi a definire  idealistica la propria posizione) propone un idealismo soggettivo. Il principio  di ogni realtà consiste in un’attività puramente spirituale che chiama IO. A  questo io si contrappone tutto ciò che spirituale non è, tutto ciò che è  oggetto del pensiero e non soggetto: il NON IO. La contrapposizione tra io e  non io non riguarda il rapporto tra soggetto e oggetto ma riguarda la totalità  del reale. L’io è impersonale, non è unito, individuale. L’io è un agente  creativo da cui derivano i singoli oggetti. Ogni persona, e il mondo di cui è  consapevole, è un’espressione di qualcosa di più generale, dell’attività  creativa dell’io. Tutto il reale si può spiegare con una dialettica tra io  (pensiero, spirito) e il non io (ciò che si contrappone che è negatività). 
  LA PROSPETTIVA DI FICHTE È OPPOSTA RISPETTO A QUELLA DI KANT. KANT AVEVA POSTO AL  CENTRO IL RIFERIMENTO A UN OGGETTO. FICHTE INVECE PONE AL CENTRO UN SOGGETTO  COLLETTIVO, L’IO, LO SPIRITO, RISPETTO AL QUALE L’OGGETTIVITÁ, TUTTO CIÒ CHE HA  A CHE FARE CON IL MONDO È NEGATIVITÀ. 
SHELLING: idealismo oggettivo
HEGEL:  idealismo assoluto
  Uno dei principali assunti di Hegel è che tutto il  reale è lo sviluppo progressivo di un unico principio che chiama spirito o  idea. La progressiva attuazione di questo spirito che è andato avvalendosi nel  corso della storia, avviene in modo dialettico. Questo processo dell’assoluto  nello schema Hegeliano è di tipo “logico” ma prende poi la forma, nella nostra  esperienza, di un processo di tipo storico. Lo sviluppo logico è la famosa  dialettica Hegeliana : ogni tentativo di dire qualcosa dell’universo (una tesi)  viene contraddetta da un’altra formulazione (una antitesi), e il conflitto tra  le due si risolve in una proposizione che incorpora la verità parziale di  entrambe (la sintesi). Secondo Hegel l’assoluto tende costantemente a riparare  o risolvere questa dialettica di tesi e antitesi con sintesi sempre più alte,  sin quando si raggiungerà la completa autorealizzazione in una sintesi  complessiva, che includerà in un’unica immensa verità tutte le verità parziali.  La logica sarà finita così come la storia del mondo.
  Poiché ogni stadio dell’ascesa dialettica si  esprime esteriormente attraverso uno stadio dello sviluppo storico del mondo,  quando l’assoluto raggiungerà la perfezione così farà anche il cosmo, che si  presenterà come un ente integralmente inelleggibile che potrà essere compreso  nella sua interezza. Mentre la lotta dialettica prosegue e l’universo siluppa  altrettanto fa la nostra comprensione di esso. 
SI POTRÀ ELABORARE UN SISTEMA METAFISICO IN CUI LA STRUTTURA DELL’UNIVERSO COMPAIA NELLA SUA COMPLETEZZA LO SONO QUANDO L’ASSOLUTO AVRÀ RAGGIUNTO PIENA AUTOREALIZZAZIONE, A QUEL PUNTO PENSIERO E ESSERE COINCIDERANNO PIENAMENTE: LA COMPRENSIONE FINALE DELL’UNIVERSO E L’UNIVERSO STESSO SARANNO SOLTANTO UNA SOLO E UNICA COSA.
FILOSOFIA DELLA RELIGIONE
  Il ramo della filosofia della religione ha lo  scopo di esaminare questioni teoriche che sorgono quando si prendono in  considerazione idee religiose. In genere si tratta di problemi particolari  connessi con la teoria della conoscenza così come viene applicata nella sfera  religiosa o con i problemi metafisici superati nei tentativi di costruire una  spiegazione coerente e soddisfacente di alcuni concetti.
  PER ALCUNI  PENSATORI LA FILOSOFIA DELLA   RELIGIONE È STATA UN TENTATIVO DI TROVARE GIUSTIFICAZIONI O  SPIEGAZIONI RAZIONALI DELLA LORO FEDE, PER ALTRI UN TENTATIVO DI GIUSTIFICARE O  SPIEGARE LE BASI DELLA LORO MANCANZA DI FEDE, PER ALTRI ANCORA UN SEMPLICE  TENTATIVO DI ESAMINARE UN’ALTRA AREA DI DEGLI INTERESSI E DELL’ESPERIENZA  UMANA. 
  La filosofica della religione incontra però alcune  difficoltà per il contenuto particolare del discorso. Se si esaminano infatti i  caratteri della conoscenza religiosa e i danni di fatto a suo favore, ci si  scontra con alcuni problemi che mostrano come la conoscenza religiosa  differisca radicalmente da quella esistente in altre sfere dell’esperienza umana,  e specialmente nei vari settori della ricerca scientifica. Mentre ad esempio  una affermazione storica può essere verificata attraverso dei documenti,  attraverso dati sperimentali, esperienza pubblica; nelle questioni religiose  questi metodi non appaiono più applicabili poiché essa si fonda su VERITÀ  RIVELATE. La Bibbia viene considerata espressione della rivelazione della  parola di Dio, l’unica cosa possibile è leggerla. Non si potrà verificare se  essa è stata dettata dalla divinità e se essa contiene o no un qualche sapere  religioso. Nelle verità rivelate sembra quindi impossibile un discorso  razionale; è impossibile confutare un credo religioso perché non è oggetto di  verifica sperimentale.
  IL NOCCIOLO  DELLA RISPOSTA È CHE LA DIFFERENZA STA NEL  CARATTERE PECULIARE DEL SAPERE RELIGIOSO. I CRITERI CHE APPLICHIAMO PER  DETERMINARE IL SAPERE STORICO E SCIENTIFICO NON CI AIUTANO A STABILIRE SE UN  QUALCHE PARTICOLARE LIBRO O UNA QUALCHE PARTICOLARE PERSONA POSSIEDE O NO UN  SAPERE RELIGIOSO. CIÒ CHE APPARE PERTINENTE NEL CASO DELLA CONOSCENZA  RELIGIOSA, È UN ELEMENTO DI CREDENZA, FEDE O ESPERIENZA RELIGIOSA. 
RELIGIONE  NATURALE E RELIGIONE RIVELATA
  Vi sono due tipi di conoscenza religiosa: la  regione naturale e la religione rivelata. La tesi di chi tenta di dare una base  naturale alla conoscenza religiosa è che vi sono eventi, fatti o altre  ragioni speciali che assicurano un fondamento alla comunione religiosa; la fede  diviene quindi oggetto di argomentazione razionale, si può quindi parlare di  religione razionale. La tesi dei sostenitori della religione rivelata è  che le verità religiose fondamentali vengono conosciute solo per mezzo della  rivelazione, della fede o dell’esperienza personale; un credo religioso non può  essere confutato perché non è oggetto di verifica sperimentale. Per quanto  riguarda la religione naturale più importante è l’esistenza di Dio. La  filosofia della religione si è occupata dei tentativi operati per dimostrare  razionalmente l’esistenza di una divinità. Nel corso della storia ci sono stati  3 argomenti differenti riguardo all’esistenza di Dio. 
| Argomento dell’architetto | Argomenti a posteriore | 
| Argomento cosmologico o causale | “ “ | 
| Argomento ontologico | Argomento a priori | 
 
  L’ARGOMENTO DELL’ARCHITETTO 
  Afferma di poter dimostrare l’esistenza di Dio  analizzando le informazioni che abbiamo sull’universo e sviluppandole per  induzione. Sin dagli inizi della scienza moderna, sono state proposte diverse  versioni dell’argomento dell’architetto, che tentano di provare l’esistenza di  Dio basandosi sulle più recenti scoperte nelle scienze fisiche e biologiche.  Uno dei sostenitori è NEWTON. 
  HUME
  Per tutta la vita David Hume  si occupò dei pregi dei diversi argomenti con cui si sosteneva di poter  dimostrare l’esistenza di un essere divino. Hume fu uno dei maggiori critici  verso coloro che tentavano di dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio.  Forse a carico della grande diffusione dell’argomento dell’architetto  all’epoca, una delle imprese Humiane più rilevanti fu la sua critica a tale  argomento. Queste obiezioni le fece nei DIALOGHI SULLA RELIGIONE NATURALE che  non pubblicò mai in vita perché troppo pericoloso e irreligioso. Venne  pubblicato 3 anni dopo la sua morte. Vi sono 3 personaggi nei Dialoghi, ognuno  di loro rappresenta una posizione differente. Enea si fa portavoce della  religione rivelata, Cleante si fa portavoce della religione naturale, in  particolare dell’argomento dell’architetto, Filone rappresenta la posizione  dello scettico che rifiuta sia la religione naturale che quella rivelata. Hume  non intervenne mai nel racconto, è però facile identificare Hume con Filone.
  Presupposto di Hume. È impossibile dimostrare  l’esistenza di Dio perché non può esserci una dimostrazione empirica. Il  problema è quindi di per sé irrisolvibile. Pur con questa premessa entra nei  vari punti di vista di entrambi, evidenziandone i punti deboli di ognuna.  Cleante presenta l’argomento dell’architetto. Esso si sviluppa  maggiormente nella rivoluzione scientifica del seicento in cui vi è  rovesciamento della visione geocentrica con l’affermazione di quella  copernicana. La tesi centrale dell’argomento dell’architetto è che gli studi  sulla natura rivelano un ordine e un modello negli aspetti fisici, chimici e  biologici del mondo. Più si studia la natura, più si resta colpiti dalle  criticate relazioni tra le sue parti e dal piano generale dell’universo.  L’ordine e il progetto della natura assomigliano molto all’ordine e ai progetti  dei manufatti umani, come le case e gli orologi, in cui ogni parte si adatta  alla perfezione a tutte le altre allo scopo di raggiungere un obiettivo, una  meta. Poiché gli effetti della progettazione umana sono tanto simili agli  effetti che scopriamo nel mondo naturale possiamo inferire o indurre che le  cause degli uni e degli altri siano le stesse in entrambi i casi. Nella sfera  delle citazioni umane la causa è il sapere, l’intelligenza, il pensiero; quindi  deve esistere una divinità intelligente che è amore o causa degli effetti  dell’universo. E poiché la complessità costruttiva e l’ordine del mondo sono di  gran lunga superiori all’ingegnosità umana, anche la loro causa deve essere  molto più sapiente. L’universo è quindi come una macchina e poiché presenta un  meccanismo perfetto chi l’ha creato è perfetto e non simile agli uomini.
  Critica di Hume all’analogia. Hume dà inizio al suo attacco  criticando l’analogia tra i prodotti umani e quelli della natura. Le  opere dell’uomo e quelle della natura non si assomigliano sino al punto da  darci forti ragioni di credere che abbiano cause simili. La dissomiglianza è  così evidente, il massimo che si può arrivare a fare è una congettura, una  supposizione. Hume inoltre è un empirista radicale: solo il ricorso  all’esperienza può darci delle certezze. Mentre noi abbiamo esperienza della  relazione tra la pianificazione o la progettualità umana e i risultati che ne  derivano, nel caso della natura non abbiamo esperienza alcuna della causa, ma  solo dell’effetto. L’oggetto naturale non assomiglia a quello prodotto  dall’uomo. Potrebbero esserci molte cause dell’ordine e del progetto diverse  dal pensiero.
  LA PRIMA CRITICA DI HUME PUÒ ESSERE COSÌ RIASSUNTA: LA TESI FONDAMENTALE DELL’ARCHITETTO, OVVERO CHE VI È UNA  GRANDE SOMIGLIANZA TRA GLI EFFETTI DELLA PIANIFICAZIONE UMANA E GLI EFFETTI  NATURALI, E CHE QUINDI LA CAUSA DEI   MANUFATTI UMANI, CIOÈ IL PENSIERO, È UGUALE ALL’AGENTE  CAUSALE UNIVERSALE, NON È CONVINCENTE. Abbiamo imparato dall’esperienza  che gli oggetti umani derivano dal progetto, ma non abbiamo alcuna esperienza  simile riguardo agli oggetti naturali e al modo in cui essi nascono.
  Hume sottolinea che se si prendesse sul serio la  similarità tra oggetti naturali e oggetti umani e il principio che oggetti  simili implicano cause simili si arriverebbe a concludere che L’AUTORE DELLA  NATURA SIA MOLTO SIMILE A UN ESSERE UMANO. Più si insiste sul fatto che gli  oggetti sono simili, più sarà necessario dipingere la divinità in termini  umani, sarebbe quindi una divinità imperfetta, si giungerebbe così a una  definizione di Dio in contrasto con tutte le tradizioni religiose. L’analogia  porterebbe quindi a supporre che Dio è giusto e imperfetto a causa del suo  prodotto. Hume sottolinea così che l’argomento dell’architetto è debole, esso  parte da un presupposto che l’universo è perfetto e che colui che l’ha creato è  perfetto. Se invece si partisse dall’esperienza del mondo si vedrebbe che il  mondo è imperfetto e che quindi il creatore dovrebbe essere imperfetto  diversamente da ciò che dice la tradizione. Hume sottolinea recuperando dagli  stoici che l’universo è un grande animale più che una grande macchina. Hume quindi disse che se anche fosse stata vera l’analogia che oggetti simili  producono cause simili si sarebbe concluso o che Dio era simile a un essere  umano o che un illimitato numero di ipotesi erano valide. Erano possibili  analogie totalmente differenti che avrebbero portato a tipi di conclusioni  totalmente differenti ad esempio si vedono molte somiglianze tra gli eventi  naturali e lo sviluppo di organismi viventi. Analogamente al mondo vegetale  o a quello animale, l’intero mondo naturale potrebbe possedere alcuni  principi interni di sviluppo e ordine.
  Visto che l’unica informazione di cui dobbiamo  servirci per giudicare è il carattere degli eventi cui assistiamo, se ne  potrebbe anche proporre un’interpretazione materialistica e meccanicistica. Si  può quindi ipotizzare che la materia abbia una capacità di autorganizzarsi e  che l’universo possa esserci creato da sé. Secondo Hume non si può essere  sicuri che il cosiddetto universo organizzato non sia il risultato di un 
  Non possiamo neppure essere certi dell’esistenza  di un agente responsabile dell’ordine del mondo: di conseguenza, non possiamo  certamente concludere che tale agente sia intelligente. Come elemento finale  della sua critica all’argomento dell’architetto, Hume sottolinea che il  ragionamento analogico su cui è imperniato, non  fornisce una base per alcuna conclusione sugli attributi morali dell’architetto  della natura, nemmeno se si è convinti che tale architetto esista.  L’idea di una divinità buona e moralmente giusta non consegue in alcun modo  dall’accostamento tra gli oggetti fatti dall’uomo e quelli naturali. Se si  suppone che l’architetto sia simile all’uomo, non abbiamo alcuna ragione di  pensare che l’autore della natura abbia una qualità morale. Quando si esamina  il prodotto e cioè la natura e si prendono in considerazione i suoi aspetti  gradevoli, possiamo forse trarne la conclusione che la sua pianificazione sia  frutto di un’intelligenza giusta e buona. 
  Quindi, dati gli eventi infelici, spiacevoli e  indesiderabili cui dobbiamo assistere, non siamo in grado di inferire che il  progetto del cosmo sia benevolo, giusto o buono.
  ß HUME DIMOSTRÒ CHE L’ARGOMENTO DELL’ARCHITETTO È BASATO SU  UN’ANALOGIA ERRONEA; CHE QUAND’ANCHE FOSSE CORRETTO, CONDURREBBE A CONCLUDERE  CHE LA DIVINITÁ È MOLTO SIMILE A UN ESSERE UMANO; CHE, SE CI SI BASA SOLO  SULL’ESPERIENZA MOLTE ALTRE TEORIE POSSONO ESSERE VALIDE; E CHE L’EVIDENZA DEI  FATTI È INSUFFICIENTE PER PERMETTERCI DI INFERIRE CHE IL MOTORE DELL’UNIVERSO E  INFINITO E PERFETTO.
L’ARGOMENTO COSMOLOGICO (O CAUSALE) 
  Questo argomento parte dai dati dell’esperienza da  ciò che osserviamo. Noi vediamo le cose muoversi a cambiare. Perché questi  eventi accadono devono avere una causa. Tutto ciò che esiste ha quindi una  causa sia intesa come evento precedente (causa efficiente) sia come ragione per  il verificarsi dell’evento (causa finale). Spingendoci sempre più alla ricerca  delle diverse cause dei diversi oggetti possiamo continuare all’infinito ma a  un certo punto dobbiamo fermarci perché troviamo una causa ultima che non  richiede ulteriori spiegazioni: è Dio. Per scartare l’alternativa di una  successione infinita di cause, deve esistere una causa prima degli eventi che è  Dio. A partire dall’esperienza delle cause degli eventi, possiamo provare  l’esistenza di una causa prima, Dio. Tra i filosofi e teologi sostenitori i  questo argomento vi sono: ARISTOTELE, MAIMONIDE E SAN TOMMASO D’AQUINO.
SAN  TOMMASO D’AQUINO (1221-1274) 
  Tommaso ha compiuto una fusione tra le dottrine  Aristoteliche e la teologia cristiana. La ragione e la fede per San Tommaso  derivano dalla provvidenza divina e camminano in parallelo. Ritiene così che le  verità di fede, come l’esistenza di Dio, sono oggetto di argomentazione  razionale. Per dimostrare l’esistenza di Dio egli raccoglie ed articola le sue  PROVE (chiamate vie) in cinque argomenti di fondo.
- Via: essa parte dal principio che “tutto ciò che si muove è mosso dall’alto”. Ogni movimento che si verifica nel mondo deve richiedere un motore. Ogni motore è mosso poi da qualcos’altro e così via. Non potendo procedere all’infinito è necessario giungere a un primo motore che non va mosso da null’altro e questo primo motore è Dio (prova cosmologica).
- Via: ogni accadimento richiede una causa. Nell’ordine delle cause non si può procedere all’infinito altrimenti non ci sarebbe una causa prima, una intermedia e una ultima. Vi deve essere una causa efficiente prima che è Dio (prova causale).
- Via: Tommaso dice di verificare nel mondo la contingenza ovvero che le cose sono necessarie, potrebbero verificarsi in un altro modo. A questa contingenza deve contrapporsi Dio che è necessario.
- Via: nel mondo vi è imperfezione e questa imperfezione si manifesta in modi differenti. Dobbiamo però avere un modello perfetto per dire che vi è imperfezione ed è Dio.
- Via: le cose naturali, prive di intelligenza, appaiono dirette a un fine; questo non potrebbe essere se non fossero governate da un essere dotato di intelligenza. Questo essere è Dio che ordina le cose naturali a un fine.
Presupposto: impossibilità di far risalire all’infinito la catena delle cause.
Critiche all’argomento cosmologico
HUME:  critica alla causalità
  Hume sostiene che non siamo in grado di provare o  di stabilire la premessa maggiore dell’argomento cosmologico, ovvero che ogni  evento deve avere una causa (qualcosa che lo spiega). Il concetto di causa non  ha esistenza oggettiva nella realtà. Nella nostra esperienza non verifichiamo  nessi causali tra gli eventi ma solo successioni di eventi. Tutto ciò che  possiamo determinare è quali eventi siano in successione regolare con altri  eventi della nostra esperienza. Se ad esempio noi vediamo 2 eventi che si  succedono e questa successione è regolare, possiamo stabilire a posteriori che  l’evento B è causato dall’evento A. Questo ragionamento non può essere esteso  al di là della nostra esperienza. Inoltre siamo noi che con la nostra ragione  decidiamo che è impossibile procedere all’infinito dato un certo evento. Nulla  però dimostra questo nel mondo. L’argomento cosmologico dimostra solo che la  mente ha un’esigenza di regolarità; inoltre ha a sua disposizione una posizione  limitata dalla realtà e decide che tutto funziona così.
  KANT
  Secondo Kant l’argomento cosmologico conteneva  premesse non valide, che non provavano nulla. Stando a Kant la prima di queste  premesse era che fosse possibile inferire da eventi contingenti l’esistenza  necessaria di una causa della loro esistenza.
  Per Kant il principio di causalità secondo il quale ogni evento deve  avere una causa, si applica solo al mondo dell’esperienza sensibile.
  Ma nell’argomento cosmologico questo principio  della conoscenza empirica viene usato per portarci oltre il mondo  dell’esperienza dei sensi verso qualcosa che si suppone lo trascenda. Questa  estensione è ingiustificata a illegittima. Non abbiamo ragione alcuna di  presumere che i principi impiegati nell’analisi della nostra esperienza possano  essere applicati a ciò che va al di là dell’esperienza stessa. Inoltre non si  può inferire la necessità dell’esistenza di una causa prima. Non abbiamo alcun  mezzo razionale per arrivare alla fine della ricerca delle cause e delle  spiegazioni, né abbiamo un qualche modo per determinare quando la serie delle  cause e delle spiegazioni viene completata. 
  KANT  CONSIDERAVA ERRATO NELL’ARGOMENTO COSMOLOGICO IL RICORSO A UN RAGIONAMENTO CHE  ANDAVA AL DI LÁ DELL’ESPERIENZA POSSIBILE E ANCHE AL DI LÁ DEI LIMITI ENTRO CUI  È GARANTITA L’AFFIDABILITÁ DELLE NOSTRE FACOLTÁ RAZIONALI. (è da ricordare che Kant pone  il concetto di causa fra le 12 categorie con le quali la mente coglie i  fenomeni. I soggetti non si limitano a fotografare la realtà ma li ordinano e  li interpretano con le categorie che hanno una base innata. I soggetti così non  colgono la realtà così com’è ma la realtà così come appare. La categorie di  causa può quindi essere applicata solo all’esperienza, se si estende a Dio  porta a degli errori. La religione può essere solo appensa di fede, al più può  farmi agire moralmente).
L’ARGOMENTO ONTOLOGICO 
  L’argomento ontologico ritiene di dimostrare  l’esistenza di Dio a partire dalla sola definizione del concetto di essere  supremo che i soggetti hanno nella loro mente. Si tratta di una pura  dimostrazione a priori. Tra coloro che hanno sostenuto questo argomento vi  sono: SANT’ANSELMO, CARTESIO E SPINOZA.
  SANT’ANSELMO
  Egli sostenne che chiunque comprendesse ciò che si  intendeva con il termine Dio si sarebbe necessariamente reso conto che un ente  del genere doveva necessariamente esistere. Dio è ciò di cui non si può  concepire nulla di maggiore. Proprio per questa sua definizione egli deve  esistere non solo come idea nella mente degli uomini ma anche nella realtà. Dio  deve necessariamente esistere realmente altrimenti si potrebbe percepire  qualcosa maggiore di Dio.  ß 
  L’ESSENZA DI  DIO IMPLICA L’ESISTENZA. 
  CARTESIO
  Secondo Cartesio una prova dimostrativa  dell’esistenza la si trova nell’idea che ciascuno ha nella propria mente, di un  essere sovrannaturale perfetto, non meno di quella di qualsiasi figura e di  qualsiasi numero. Cartesio riprende così l’argomento di Sant’Anselmo  aggiungendovi un’analogia con la matematica. L’esistenza di Dio è certa come  quando si definisce un triangolo. Visto che nella mia mente ha sia l’idea di un  triangolo, sia l’idea di Dio, l’idea di un essere perfetto deve avere  corrispondenza reale.
  L’esistenza  di Dio deve mantenere nel mio spirito almeno lo stesso grado di certezza che ho  attribuito fin qui a tutte verità matematiche.
SPINOZA 
  L’essenza di Dio è tale da rendere necessaria la  sua esistenza. Un essere perfetto deve esistere altrimenti non sarebbe  perfetto. Spinoza a differenza di Cartesio e Sant’Anselmo identifica Dio con la  totalità della realtà. Spinoza afferma quindi l’esistenza di una divinità ma le  attribuisce caratteristiche differenti dalla religione tradizionale. Questa sua  posizione è definita PANTEISMO: Dio non è un essere separato dall’universo,  egli pervade il cosmo intero. DIO  È TUTTO OPPURE È IN TUTTO.
Critiche all’argomento ontologico
MONACO  GAUNILONE
  Inviò la sua critica a un suo contemporaneo,  Sant’Anselmo. Egli osservò che se questa forma di ragionamento fosse vera, si  sarebbe anche potuto dimostrare che dovevano esistere tutti i tipi di oggetti  reali e irreali. Per esempio se si potesse immaginare che da qualche  particolare il punto cui si possono spingere i naviganti vi sia un’isola  perfetta, ne conseguirebbe che, se quest’isola fosse perfetta, allora secondo  l’argomento di Anselmo l’isola dovrebbe necessariamente esistere. Poiché è  perfetta per definizione, a partire da questo solo concetto, essa deve  realmente esistere. Gaunilone cercò di dimostrare che l‘argomento conteneva  elementi assurdi e contradditori. Anselmo rispose a questa critica dicendo che  l’argomento ontologico si applicava solo a Dio, dal momento che si trattava  dell’unico concetto possibile di oggetto perfetto.
  SAN  TOMMASO
  L’errore dell’argomento ontologico stava nel  presumere che si potesse conoscere la natura di Dio, ovvero il suo essere  perfetto prima di sapere se egli esiste o no.
  Per San Tommaso si può conoscere la natura di Dio  solo dopo aver saputo della sua esistenza, non viceversa. Ne consegue che PRIMA  DOBBIAMO STABILIRE LA SUA ESISTENZA CON  ALTRI MEZZI, POI STUDIARE LE SUE QUALITÀ E, ALLA FINE DI QUESTA ANALISI,  POTREMMO SAPERNE ABBASTANZA PER DEFINIRE DIO.
  L’argomento ontologico è debole: presuppone che  l’interlocutore abbia già un’idea di Dio. Gli argomenti che partono dal reale  sono più convincenti.
KANT
  Egli volle dimostrare che l’esistenza non è un  tipo di qualità che possa far parte della definizione di un qualsiasi concetto. L’esistenza è una questione di fatto, non può essere oggetto di una  dimostrazione a priori, non è una caratteristica. In un celebre esempio, Kant  notò che l’idea di 100 talleri e 100 talleri veri contengono la stessa quantità  di denaro. Il suo valore economico è lo stesso, che io ci stia solo pensando o  che abbia i soldi in tasca. Il concetto non cambia se ci si limita a pensarlo  oppure se lo si pensa come esistente. L’unica cosa che cambia è che se i 100  talleri sono veri essi avranno delle conseguenze, ma questo non aggiunge niente  all’idea dei 100 talleri. Applicando questo principio all’argomento ontologico, troviamo che la forza dell’idea di dio come essere perfetto non aumenta se  lo si pensa come perfetto ed esistente o semplicemente come perfetto.
  DOPO KANT LA  FILOSOFIA È GIUNTA ALL’IMPOSSIBILITÀ DI DIMOSTRARE RAZIONALMENTE L’ESISTENZA DI  DIO. SI HA QUINDI LA   FINE DELLA TEOLOGIA RAZIONALE. LE POSSIBILI CONSEGUENZE  DELL’ABBANDONO DI DIMOSTRARE RAZIONALMENTE DIO SONO: 
  ATEISMO
  Esistono due forme di ateismo. Una prima forma  sostiene la pura e semplice negazione dell’esistenza di un qualsiasi essere  divino. Questa tesi è una conseguenza logica della natura insoddisfacente  delle prove dell’esistenza di Dio. La seconda forma di ateismo ritiene che gli  Dei esistono ma vivono in un altro mondo rispetto a quello degli uomini e non  si occupano assolutamente delle cose del mondo. Epicuro sostiene questa forma  di ateismo. Tra queste due forme di ateismo comunque c’è qualcosa che le  accomuna: il mondo fisico è distinto dal mondo di Dio.
  AGNOSTICISMO (=non sapere)
  L’agnostico sostiene che non vi siano sufficienti  elementi razionali per stabilire né l’esistenza né la non esistenza di un  essere supremo. Di fronte a un problema insolubile rifiuta di prendere una  posizione e si astiene dal giudizio sin quando non siano acquisiti elementi più  decisi a fronte di una parte o dell’altra.
  IL  FIDEISMO 
  Questa posizione riconosce l’inadeguatezza delle  prove dell’esistenza di Dio e ritiene che la nostra conoscenza religiosa non è  e né dovrebbe essere basata su un sapere razionale e naturale, ma piuttosto  esclusivamente sulla fede.
  LA CONOSCENZA RELIGIOSA VA OLTRE I LIMITI DELLE FACOLTÀ RAZIONALI E  DELL’INTELLETTO UMANI. 
  Ne consegue che gli esseri umani, se vogliono  giungere alla conoscenza religiosa, devono prima riconoscere che non vi è  speranza di giungervi con i mezzi razionali e poi mettersi alla ricerca della  conoscenza di Dio usando la sola fede. Coloro che hanno sostenuto le  tesi fideistiche vi sono PASCAL e KIERKEGAARD (tra gli irreligiosi VOLTAIRE e  HUME).
  PASCAL 
  È uno scienziato e filosofo francese del seicento.
  Pascal parte dalla posizione dello scettico: non  ci sono cioè prove giuste per dimostrare l’esistenza di Dio. Tutto ciò che  sappiamo è incerto fuorché la fede e la rivelazione. Nonostante  però vi sia la nostra totale incertezza e la nostra totale incapacità di  comprendere alcunché, noi non riusciamo ad accontentarci dello scetticismo o  dell’agnosticismo ma ci ritroviamo spinti con forza a credere. SIAMO QUINDI DILANIATI TRA UNO  SCETTICISMO INTELLETTUALE CHE METTE TUTTO IN DUBBIO E UN DOGMATISMO NATURALE  CHE CI SPINGE A CREDERE A MOLTE COSE.
  Poiché non possiamo giustificare le nostre  credenze in modo razionale, siamo infine costretti a passare  dall’insoddisfacente ricerca della conoscenza razionale a una conoscenza basata  solo sulla fede. Lo scettico e l’agnostico condividono con Pascal il rifiuto di  ogni conoscenza apparentemente basata su principi razionali o naturali, ma non  fanno il passo successivo, quello della fede pura.
  (Pascal critica Cartesio per la sua concezione di  Dio: ovvero rappresenta Dio come qualcuno che dà l’impulso al mondo e poi se ne  disinteressa, Pascal rivendica il Dio della tradizione ebraica e prima di Kant  dice che nessuno ha descritto il Dio della tradizione religiosa.)
  LA  RIVELAZIONE
  Un’altra concezione che spesso si trae dalle  critiche dell’argomento a favore dell’esistenza di Dio, a volte inserita in una  teoria fideista, è che la conoscenza religiosa non può essere basata  sull’evidenza naturale, ma è invece basata sulla conoscenza rivelata. La  conoscenza religiosa appartiene a un ordine differente da quello della  conoscenza naturale e che i filosofi della religione hanno spesso trascurato  questa distinzione, occupandosi della sola religione naturale, i cui insegnamenti  potrebbero rivelarsi tanto insoddisfacenti come pensavano Hume e Kant. Ma resta  un’altra area del pensiero religioso, la religione rivelata, che è  immune dalle critiche rivolte alla religione naturale. La rivelazione si trova  in alcuni documenti che vengono accettati come parola di Dio, oppure in alcune  esperienze che vengono considerate complicazioni o contatti, con un essere  divino.
  Negli ultimi cento anni si è sviluppata un’altra  visione della conoscenza religiosa fondata sui bisogni umani e sul carattere  peculiare dell’esperienza religiosa umana. Il filosofo e psicologo americano  James sottolineò che alcune persone vogliono credere, vi sia o no una prova  adeguata. L’oggetto della fede può essere deciso nella vita di queste persone e  quindi la fede non va giudicata negativamente solo perché non è possibile  provarla e convalidarla. Oltre a James, anche Pascal e Kierkegaard affermano  che vi è differenza tra credere e conoscere. Si crede nonostante la mancanza di  conoscenza, se il credere viene giudicato sufficientemente importante. 
  ß 
  LE CREDENZE  RELIGIOSE POSSONO ANCHE DERIVARE DA BISOGNI UMANI, MA QUESTI NÉ LE SPIEGANO, NÉ  RENDONO MENO NECESSARIA UNA SPIEGAZIONE. 
  LA RIFLESSIONE SULLA RELIGIONE HA UN ESITO: LA TOLLERANZA. 
  LA FILOSOFIA CI MOSTRA COME IL GRADO DI CERTEZZE DERIVA DALLE  CREDENZE, BISOGNA INVECE ESSERE PRUDENTI. NON CI SONO ARGOMENTI RAZIONALI PER  DIMOSTRARE UNA CREDENZA COME LA FEDE. IL   CARATTERE DELLA FEDE STA NELLA SUA IRRAZIONALITÀ. 
  Un altro problema di cui sono occupati i filosofi delle  religione è quello della  
  NATURA DI DIO
  L’ATEISMO 
  L’ateismo è la teoria secondo cui Dio non esiste,  o se esiste, non può in alcun modo influenzare l’esistenza umana. Riguardo  alla natura di Dio gli ATEI ritengono che Dio è una funzione dell’immaginazione  umana inventata per una serie di ragioni psicologiche, sociologiche, economiche  e di altro genere .
  Nietzche e Freud ad esempio ritengono che le  credenze religiose sono nate a causa di alcuni bisogni umani, come per esempio  il desiderio di sentirsi al sicuro nell’immensità del cosmo e altri bisogni  simili. Thomas Paine e Marx hanno messo in rilievo la funzione delle fedi  religiose nella sopravvivenza di specifiche istituzioni e nella permanenza al  potere, politico e sociale, di alcune classi. Freud ha tentato di stabilire una  connessione tra i problemi sessuali e le convinzioni religiose. Rifacendosi a  queste teorie gli atei sostengono che Dio come ente reale non esiste e che si  tratta di una costruzione della mente umana, inventata per soddisfare particolari  bisogni.
  Le basi filosofiche dell’ateismo 
  All’ateismo hanno fornito basi filosofiche più  solide le teorie metafisiche che assicurano una comprensione razionale adeguata  di ciò che sappiamo sul mondo per mezzo di un sistema in cui non sono presenti  concetti sovrannaturali. A giustificazione dell’ateismo è stata spesso proposta  una metafisica  materialista o naturalista che sostiene che nel cosmo non vi è  null’altro se non oggetti materiali o naturali. Un’altra giustificazione  all’ateismo è stata data da filosofi che hanno sostenuto che nessuna teoria  coerente o soddisfacente della natura di Dio ha mai spiegato come faccia un  essere divino a possedere qualità generalmente attribuite alla divinità e avere  nel contempo qualcosa a che fare con il mondo umano. A partire dall’antichità,  con Epicuro, sino ai pensatori contemporanei come Russell i filosofi hanno  sostenuto che nell’idea di un Dio giusto, che governa un universo ingiusto vi  sono numerosi paradossi e contraddizioni.
  IL DEISMO 
  Questa teoria sulla natura di Dio afferma che  esiste un essere o un potere divino separato dal mondo fisico, il quale ha  creato o dato inizio a questo stesso mondo fisico ma non esercita alcuna forza  o influenza diretta sugli eventi che hanno luogo nell’universo così com’è ora.  Questa teoria si sviluppò nel 600 con lo sviluppo dei sistemi fisici e  astronomici; molti pensatori si resero conto che le nuove idee scientifiche  suggerivano un’immagine dell’universo come meccanismo autonomo. 
  DIO VENIVA  PRESENTATO COME “IL PERFETTO OROLOGIAIO” CHE AVEVA CREATO O REGOLATO IL  MECCANISMO DEL MONDO SECONDO I MIGLIORI PRINCIPI RAZIONALI E POI, DOPO AVER  MESSO IN MOTO LA MACCHINA, NON AVEVA PIÙ SVOLTO ALCUN RUOLO NELLE VICENDE DELLA  NATURA.
  ILTEISMO 
  Questa teoria si adatta alla maggior parte delle  tradizioni religiose d’occidente. 
  ESISTE UN DIO O  UNA PLURALITÀ DI DEI, CHE HA UNA QUALCHE SORTA DI RELAZIONE PERSONALE O DIRETTA  CON GLI ESSERI UMANI.  La concezione ateistica della divinità può essere o politeistica (ci sono molti  dei) o monoteistica (una sola divinità). Sia la versione mono che poli  comportano molti altri problemi sulla natura di Dio che devono essere ancora  risolti. Uno di questi è se Dio sia finito o infinito per quel che  riguarda la potenza, la conoscenza e gli altri attributi. Nel politeismo  dell’antica Grecia ogni divinità era limitata a ciò che era in grado di  compiere, mentre nella tradizione giudeo-cristiano-islamica la divinità viene  considerata come onnipotente e non soggetta ad alcun vincolo. Un’altra  questione molto discussa dai teisti è la relazione tra la natura divina e i  criteri della bontà, giustizia, moralità e via di seguito. Il problema è  quindi se i valori sono frutto della decisione arbitraria di Dio, o degli dei,  oppure se vi siano criteri di valore universale a cui si sottomette e obbedisce  la divinità stessa. Abbiamo da un lato teorie ateistiche in cui la natura  di Dio viene concepita come co-eterna e delle verità che Dio acetta e le  impiega nelle sue relazioni col mondo.
  Altre teorie definite VOLONTARISTICHE affermano  che la potenza delle divinità è totalmente illimitata ed è un potere di Dio far  sì che una cosa sia buona o cattiva. Tutto ciò che Dio vede è, per il semplice  fatto che Egli lo vuole, necessariamente giusto o sbagliato.
  Critiche  al teismo
  I tentativi di costruire una teologia razionale  sono stati spesso esposti in termini teistici; si sono opposti gli scettici, i  mistici e i fideisti. Sono state avanzate forti obiezioni basate sul fatto che  le teorie proposte dai teisti non soddisfano le esigenze della mente razionale.  Diversi pensatori religiosi hanno tentato di dimostrare che razionalmente non  possiamo scoprire nulla di Dio. Tra i mistici e i fideisti, i più estremisti  hanno sostenuto la tesi della cosiddetta TEOLOGIA NEGATIVA per la quale Dio è al di là di  qualsiasi classificazione o categoria l’uomo possa mai costruire. Su Dio non  si può asserire mentre, se non proposizioni puramente negative, che dicono  cosa Egli non è. Di conseguenza la nostra conoscenza di Dio può essere  formulata solo in termini negativi. 
  IL FONDAMENTALISMO 
  Altri come NEWTON hanno sostenuto che sia la  natura che le scrittura erano esposizioni del messaggio di Dio all’uomo, un  messaggio da decifrare o con la scienza o con lo studio della rivelazione  divina così come veniva presentato nella bibbia o nel corano
  Un movimento di studiosi biblici, nato con  SPINOZA, elaborò quella che è stata definita “la critica storica della Bibbia”  ovvero uno studio di quest’opera dal punto di vista della sua storia e del suo  sviluppo, che poneva in discussione l’accuratezza del testo e discuteva se  fosse stato scritto da Dio o da altri esseri umani.
  Tra la fine del 700 e l’inizio dell’800 nacque una  teoria che oggi sarebbe definita FONDAMENTALISTA in cui si sosteneva che la  Bibbia era parola di Dio, che il testo in nostro possesso era esatto in tutti i  particolari e che il suo significato poteva essere accertato con  un’interpretazione letterale. Questa teoria presuppone che Dio esista con  certezza, che sia immutabile e che comunichi la sua volontà all’umanità  attraverso un testo da Lui presentato per noi attraverso tutte le vicissitudini  della storia.
  La filosofia della religione non si occupa di  presentare prove né a favore dell’ateismo né a favore della fede religiosa.
  IL SUO  OBIETTIVO PRINCIPALE STA PIUTTOSTO NELL’ESAMINARE LE PRETESE CONOSCITIVE CHE  VENGONO AVANAZATE IN QUESTA SFERA, CON LO SCOPO DI CHIARIRE SE VI SIANO CRITERI  IN RELAZIONE AI QUALI ESSE POSSANO ESSERE GIUSTIFICATE, E NEL VALUTARE E  INTERPRETARE QUESTE PRETESE NEL QUADRO DI UNA COMPRENSIONE RAZIONALE.
Fonte:http://appunti.buzzionline.eu/downloads/filosofia0405.doc
Autrice  del testo : Betty
Filosofia appunti e riassunti
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