Filosofia riassunti

 

 

 

Filosofia riassunti

 

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Kant

 

Kant nacque a Koniberg da una famiglia di origine scozzese nel 1724. Fu educato nello spirito religioso del pietismo nel collegio Friedericianum e ci rimase fino ai sedici anni. Una volta uscito studiò filosofia matematica e teologia all’università della sua città  e nel 1755 divenne insegnante universitario e nel 1770 fu nominato professore di logica e metafisica nella stessa università. L’esistenza di Kant è priva di avvenimenti drammatici e di passioni, con pochi affetti e amicizie, interamente concentrata in uno sforzo continuo di pensiero che si accompagnava ad uno stile di vita basato su rigide abitudini. Il suo ideale politico era una costituzione repubblicana e simpatizzo con gli americani nella loro guerra d’indipendenza. Si trovò in contrasto con il governo prussiano dopo la pubblicazione della seconda edizione della religione nei limiti della semplice ragione. Negli ultimi anni della sua vita fu colpito da una debolezza senile che lo privò delle sue facoltà e lo uccise nel 1804.
Nell’attività letteraria di Kant possiamo distinguere 3 periodi: 1)Prevale l’interesse per le scienze naturali (fino al 1760) 2)Prevale l’interesse filosofico (fino al 1781) 3)Filosofia trascendentale.
Le opere più importanti del primo periodo sono: Storia naturale universale e teoria dei cieli che descrive la formazione dell’intero sistema cosmico; Nova dilucidatio, nel quale riconosce come principio supremo quello d’identità; Monadologia physica, dove al posto delle monadi di Liebniz Kant pone delle monadi fisiche. L’ottimismo afferma che Dio non avrebbe potuto scegliere un mondo migliore.
Le opere più famose di questo periodo sono "La falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche" esplicita critica al valore della logica aristotelica e "Unico argomento possibile per una dimostrazione su Dio" dove la metafisica viene descrita come un abisso senza fondo o un oceano tenebroso senza sponde e senza fari. Nella Ricerca sulla chiarezza dei principi della teologia naturale e della morale la metafisica è definita come una filosofia sui primi fondamenti della nostra conoscenza. Kant è deciso sostenitore dell’applicabilità del metodo matematico alla filosofia, ma egli vede anche differenze tra le due discipline. In questo periodo avviene l’avvicinamento all’empirismo dei filosofi inglesi. Nei “Sogni” Kant ritiene che la metafisica deve considerare le proprie forze e conoscere se il compito è in proporzione a ciò che si può sapere. La metafisica è la scienza dei limiti della ragione umana e i problemi che deve trattare sono quelli che stanno a cuore all’uomo e che cioè si limitano ai confini dell’esperienza.
Nella Dissertazione del 70 Kant comincia a stabilire la distinzione tra conoscenza sensibile e conoscenza intellettuale. La prima che è dovuta alla ricettività del soggetto ha per oggetto il fenomeno, cioè la cosa come appare nella sua relazione al soggetto. La seconda che è una facoltà del soggetto, ha per oggetto la cosa cosi come essa è, nella sua natura intellegibile, cioè come noumeno. Nella conoscenza sensibile si deve distinguere la materia dalla forma. La materia è la sensazione e testimonia la presenza dell’oggetto dal quale è causata. La forma è la legge che ordina la materia sensibile. La conoscenza sensibile si chiama apparenza e la conoscenza riflessa è l’esperienza.  Dall’apparenza all’esperienza di va attraverso la riflessione che si avvale dell’intelletto. Gli oggetti dell’esperienza sono i fenomeni. La forma è costituita dallo spazio e dal tempo che non derivano dalla sensibilità ma sono intuizioni pure.
Lo scritto più importante del terzo periodo è la Critica della ragione pura scritta nel 1781 e ripubblicata con una seconda edizione, rivista e rimaneggiata nel 1787. Altre opere importanti del periodo critico sono Fondazione della metafisica dei costumi, Critica della ragione pratica, Critica del giudizio e La religione nei limiti della ragione. Negli studi giovanili di filosofia naturale Kant si avvicina alla filosofia naturalistica dell’Illuminismo ispirata da Newton. Questa filosofia gli prospetta l’esigenza di una metafisica che si costituisca  in base agli stessi criteri limitativi. Tale metafisica avrebbe dovuto tuttavia avvalersi del metodo della ragione fondante. Le analisi degli empiristi inglesi, gli prospettano dapprima questa metafisica come scienza limitativa e negativa, quindi come un’autocritica della ragione.
Nella Dissertazione il punto di vista critico si chiarisce come punto di vista trascendentale.
Il pensiero di Kant è detto criticismo perché si contrappone al dogmatismo. Criticare è interrogarsi programmaticamente circa il fondamento di determinate esperienze umane, chiarendone le possibilità, la validità e i limiti. Pertanto il criticismo di configura come una filosofia del limite e può venire definito un’ermeneutica della finitudine.  Questa filosofia del finito non equivale allo scetticismo poiché il limite dell’esperienza tracciato garantisce la sua validità. Il riconoscimento e l’accettazione del limite vengono a costituire la norma che dà legittimità e fondamento alle varie facoltà umane. Kant si propone di rinunciare a ogni evasione dai limiti dell’uomo e deve questa rinuncia a Hume. Ciò non equivale a una rinuncia a fondare la validità delle attività umane.
Il kantismo si inserisce nel pensiero moderno e risulta definito da 2 coordinate di base: la rivoluzione scientifica e la crisi progressiva delle metafisiche tradizionali. Il kantismo è la prosecuzione dell’indirizzo critico seguito dall’empirismo inglese. Il criticismo si interroga sui fondamenti del sapere, della morale e dell’esperienza estetica e sentimentale.
Tuttavia il kantismo si distingue dall’empirismo non solo per il rifiuto dei suoi esiti scettici, ma anche per il suo spingere più a fondo l’analisi critica. Si distingue dall’illuminismo per una maggiore radicalità di intenti, infatti l’Illuminismo ha portato davanti al tribunale della ragione l’intero mondo dell’uomo e Kant porta davanti al tribunale della ragione la ragione stessa per chiarirne strutture e possibilità. Kant ritiene comunque che i limiti della ragione possano essere tracciati soltanto dalla ragione stesa che essendo autonoma non può assumere dall’esterno la direttiva e la guida del suo procedimento. Per Kant i limiti della ragione tendono a coincidere con i limiti dell’uomo.

 

 


 

Filosofia riassunti

La critica della ragion pura

La Critica alla ragion pura è un’analisi critica dei fondamenti del sapere, un’indagine valutativa di scienza e metafisica. La scienza e la metafisica si presentano in modo diverso:

  • scienza: appariva come un sapere fondato e in continuo progresso
  • metafisica: con il voler procedere oltre l’esperienza e con le sue soluzioni antitetiche agli stessi problemi, sembrava non aver trovato il cammino sicuro della scienza

Poiché Hume aveva minato non solo ai fondamenti della metafisica, ma anche a quelli della scienza, Kant ritiene necessario un riesame globale della struttura e della validità della conoscenza che possa stabilire lo statuto di scientificità di questi due campi del sapere.
Kant respinge lo scetticismo di Hume ritenendo il valore della scienza ormai stabilito.
La ricerca di Kant è uno studio teso a stabilire come siano possibili la matematica e la fisica in quanto scienze e come sia possibile la metafisica in quanto disposizione naturale e in quanto scienza. Da ciò le 4 domande base:

  • com’è possibile la matematica pura? (pura inteso come indipendente dall’esperienza)
  • com’è possibile la fisica pura?
  • com’è possibile la metafisica in quanto disposizione naturale?
  • com’è possibile la metafisica come scienza?

mentre nella matematica e nella fisica si tratta di giustificare un dato di fatto, nella metafisica si tratta di scoprire se esistano le condizioni per considerarla una scienza.
L’opera si apre con un’ipotesi gnoseologica di fondo: anche se ogni nostra conoscenza deriva dall’esperienza, da ciò non segue che essa deriva interamente dall’esperienza, potrebbe essere un composto di ciò che riceviamo dalle impressioni e di ciò che la nostra facoltà conoscitiva aggiunge da sola.
Questa ipotesi è convalidata dalla presenza dei giudizi sintetici a priori. Kant è convinto che la conoscenza umana e soprattutto la scienza offra dei principi assoluti. Infatti la scienza, pur derivando in parte dall’esperienza, presuppone alcuni principi immutabili che ne sono la base:

  • Giudizi sintetici a priori:
  • sintetici = il predicato aggiunge qualcosa di nuovo sul soggetto
  • universali e necessari = non derivano dall’esperienza (a priori)
  • Giudizi analitici a priori:
  • analitici = il predicato non aggiunge nulla di nuovo
  • universali e necessari = non hanno bisogno di convalide empiriche
  • Giudizi sintetici a posteriori:
  • sintetici: il predicato aggiunge qualcosa di nuovo sul soggetto
  • particolari e non necessari: derivano dall’esperienza

Kant ritiene, contro il razionalismo, che la scienza derivi all’esperienza, ma ritiene anche, contro l’empirismo, che alla base dell’esperienza vi siano dei principi inderivabili dall’esperienza stessa.
Nella visione kantiana la scienza risulta feconda in un duplice senso: sia per quanto riguarda il contenuto (derivato dall’esperienza), sia per quanto riguarda la forma (derivata dai giudizi a priori):
scienza = esperienza + principi sintetici a priori
i giudizi sintetici a priori stanno anche alla base della metafisica nell’espressione “il mondo deve avere un primo cominciamento”. Kant deve spiegare la provenienza dei giudizi sintetici a priori: se non dell’esperienza, da dove? Elabora una nuova teoria della conoscenza come sintesi di materia e forma: materia = molteplicità caotica e mutevole delle impressioni sensibili (empirismo); forma = insieme delle modalità fisse attraverso cui la mente ordina le impressioni (razionalismo). Kant ritiene che la mente umana filtri i dati empirici attraverso forme innate e comuni agli uomini che sono a priori e universalmente valide e necessarie. Da ciò è spiegato perché si possano formulare dei giudizi senza essere smentiti dall’esperienza (noi tanto conosciamo a priori delle cose quanto noi stessi poniamo in esse).
Questa nuova impostazione del problema della conoscenza implica una rivoluzione copernicana in filosofia: Copernico, per spiegare i moti celesti, aveva ribaltato i rapporti tra Terra e Sole; Kant, per spigare la scienza, ribalta i rapporti tra soggetto e oggetto, affermando che non è la mente che si modella sulla realtà, ma la realtà che si modella sulle forme a priori.
Avviene anche una distinzione tra fenomeno (realtà che ci appartiene tramite le forme a priori) e la cosa in sé (realtà considerata indipendente da noi).
Kant articola la conoscenza in tre facoltà principali (ogni nostra conoscenza scaturisce dai sensi, da qui va all’intelletto e poi nella ragione):

  • sensibilità: la facoltà con cui percepiamo intuitivamente gli oggetti tramite le forze a priori di spazio e tempo
  • intelletto: la facoltà attraverso cui pensiamo i dati tramite categorie
  • ragione: facoltà con cui cerchiamo di spiegare la realtà mediante le tre idee di anima, mondo e Dio

su questa tripartizione è basata la bipartizione dell’opera:

  • dottrina degli elementi: si propone di mettere in luce le forme a priori e si divide in:
  • estetica trascendente = studia la sensibilità e le sue forme a priori (spazio e tempo)
  • logica trascendente = studia il pensiero discorsivo e si divide in:
  • analitica = studia l’intelletto e le sue forme a priori (categorie)
  • dialettica = studia la ragione e le sue forme a priori (idee)
  • dottrina del metodo: si propone di chiarire l’uso degli elementi, ovvero il metodo della conoscenza

Nel Medioevo “trascendentali” erano le proprietà universali che tutte le cose hanno in comune.
Kant identifica il termine non con gli elementi a priori in quanto tali, ma con il loro studio filosofico: è trascendentale ogni conoscenza che si occupi non tanto di oggetti ma del nostro modo di conoscerli. A questo punto possiamo ben intendere il titolo dell’opera. Posto che con il termine ragione si intenda la facoltà conoscitiva generale e con ragion pura quella che contiene i principi per conoscere qualcosa a priori, il titolo può essere interpretato come esame critico generale della validità e dei limiti che la ragione umana possiede in virtù dei suoi elementi puri a priori. La Critica rappresenta un’analisi delle autentiche possibilità conoscitive dell’uomo. La ragione è ciò che viene reso argomento della critica e ciò che mette in atto la critica.

 

L’estetica e l’analitica

L’estetica studia la sensibilità che è passiva perché accoglie per intuizione i propri contenuti, ma anche attiva in quanto organizza il materiale delle sensazioni tramite lo spazio e il tempo che sono le forme a priori della sensibilità. Lo spazio e la forma del senso esterno, cioè quella rappresentazione a priori, necessaria, che sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne e del disparso delle case l’una accanto all’altra. Il tempo è la forma del senso interno, cioè quella rappresentazione a priori che sta a fondamento dei nostri stati interni e del loro disporsi l’una dopa l’altro. Il tempo ha il primato sullo spazio in quanto i fenomeni del senso esterno passano nel senso interno e ogni cosa è quindi nel tempo.
Contro l’interpretazione empiristica di Locke, Kant afferma che spazio e tempo non possono derivare dall’esperienza, poiché per fare un’esperienza qualsiasi dobbiamo già presupporre le rappresentazioni originarie di spazio e di tempo.
Contro l’interpretazione oggettivistica di Newton, Kant sostiene che qualora spazio e tempo fossero davvero dei recipienti vuoti, ossia degli assoluti a se stanti, essi dovrebbero continuare a esistere anche nell’ipotesi che in essi non vi fossero oggetti, ma ciò non sarebbe possibile. Kant sostiene che spazio e tempo sono i quadri mentali a priori entro cui connettiamo dati fenomeni. Come tali, essi, pur essendo “ideali” o “soggettivi” rispetto alle cose in se stesse, sono tuttavia “reali” e “oggettivi” rispetto all’esperienza.
Contro l’interpretazione concettualistica di Leibniz, Kant afferma che spazio e,tempo non possono venir riguardati, alla stregua di concetti, in quanto essi hanno una natura intuitiva e non discorsiva.
Kant vede nella geometria e nell’aritmetica delle scienze sintetiche a priori per eccellenza. Sintetiche ( e non analitiche) in quanto ampliano le nostre conoscenze in quanto il risultato non può quindi essere ricavato per via puramente analitica.
Inoltre, le matematiche sono a priori in quanto i teoremi geometrici e aritmetici valgono indipendentemente dall’esperienza.
La geometria è la scienza che dimostra sinteticamente a priori le proprietà delle figure mediante l’intuizione pura di spazio. Mentre l’aritmetica è la scienza che determina sinteticamente a priori la proprietà elle serie numeriche basandosi sull’intuizione pura di tempo e di successione. Per quale ragione le matematiche, pur essendo una costruzione della nostra mente, valgono anche per la natura? Kant escludendo ogni garanzia di tipo metafisico e teologico, afferma invece che le matematiche possono venir proficuamente applicate agli oggetti dell’esperienza fenomenica poiché quest’ultima, essendo intuita nella spazio e nel tempo possiede già, di per se, una configurazione geometrica e aritmetica. In altre parole, se la forma a priori di spazio con cui ordiniamo la realtà è di tipo euclideo, risulta evidente che i teoremi della geometria di Euclide varranno anche per l’intero mondo fenomenico.
La logica trascendentale ha come oggetto l’origine, l’estensione la validità oggettiva delle conoscenze a priori che sono proprie dell’intelletto e della ragione. Sensibilità e intelletto sono entrambi indispensabili perché senza sensibilità nessun oggetto ci verrebbe dato e senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato. Kant sostiene che le intuizioni sono delle affezioni (passive), mentre i concetti sono delle funzioni ovvero attivi e consistono nell’ordinare diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune. I concetti possono essere empirici, cioè costruiti con materiali ricavati dall’esperienza o puri cioè contenuti a priori nell’intelletto. I concetti puri si identificano con le categorie che rappresentano le supreme funzioni unificatrici dell’intelletto e coincidono con i predicati primi.
Le categorie di Kant hanno una portata esclusivamente gnoseologico-trascendentale e ci saranno tante categorie quante sono le modalità di giudizio. Per questo Kant ha creato due tavole dove ha fatto corrispondere, con qualche forzatura ogni giudizio con un tipo di categoria.
TAVOLA DEI GIUDIZI:

  1. QUANTITA' : universali, particolari, singolari
  2. QUALITA' : affermativi, negativi, infiniti
  3. RELAZIONE : categorici, ipotetici, disgiuntivi
  4. MODALITA' : problematici, assertori, apodittici

TAVOLA DELLE CATEGORIE:

  1. QUANTITA' : unità,  pluralità, particolarità
  2. QUALITA' : realtà, negazione, limitazione
  3. RELAZIONE : inerenza e sussistenza (sostanza e accidente) , causalità e dipendenza (causa ed effetto), comunanza (azione reciproca tra agente e paziente)
  4. MODALITA' : possibilità-impossibilità, esistenza-inesistenza, necessità-contingenza.

Nella deduzione trascendentale Kant si pone il problema: cosa ci garantisce che la natura obbedirà alle categorie manifestandosi nell’esperienza secondo le nostre maniere di pensarla?
Lo spazio e il tempo non rientrano in questo problema poiché gli oggetti non possono essere concepiti senza queste forme a priori. Kant arriva alla soluzione grazie all’introduzione di una suprema unità fondamentale della conoscenza che è quel centro mentale unificatore, l’identica struttura mentale degli uomini che è detta io penso. Il ragionamento di Kant consiste nel dimostrare che:

  1. Poiché tutti i pensieri presuppongono l’io penso
  2. Poiché l’io penso pensa tramite le categorie
  3. Ne segue che tutti gli oggetti pensati presuppongono le categorie.

L’io penso si configura come il principio supremo della conoscenza umana, ossia come ciò uni deve sottostare ogni realtà per poter entrare nel campo dell’’esperienza e diventare un oggetto-per-noi. Nello stesso tempo esso rappresenta ciò che rende possibile l’oggettività del sapere. L’io penso non è creatore, ma sono ordinatore di una realtà che preesiste e senza di cui la sua stessa conoscenza non avrebbe senso.

 

 

Gli schemi (o scemi?????) trascendentali

Kant si chiede come sia possibile che l’intelletto condizioni le intuizioni e gli oggetti sensibili?
Egli risolve il problema dicendo che l’intelletto non potendo agire direttamente sugli oggetti della sensibilità, agisce indirettamente su di essi tramite il tempo: se il tempo condiziona gli oggetti, l’intelletto, condizionando il tempo condizionerà gli oggetti (ma chi lo monta il condizionatore d’aria??). Ciò avviene perché l’intelletto, attraverso quella facoltà che Kant chiama immaginazione produttiva determina la rete del tempo secondo degli schemi che corrispondono ognuno a una delle categorie. Kant intende per schema la rappresentazione intuitiva di un concetto. Gli schemi trascendentali sono la prefigurazione intuitiva (= temporale) delle categorie, ovvero le regole attraverso cui l’intelletto condiziona il tempo in conformità ai propri concetti a priori.

  1. Categorie di relazione

Sostanza Þ          lo schema è la permanenza nel tempo
Causa/effettoÞ    lo schema è la successione nel tempo
Azione ReciprocaÞ  lo schema è simultaneità nel tempo

  1. Categorie di Modalità

      PossibilitàÞ   esistenza in un tempo qualsiasi
RealtàÞ          esistenza in determinato tempo
NecessitàÞ     esistenza in ogni tempo

  1. Categorie di qualità

Lo schema complessivo è il numero, ovvero la successiva addizione degli omogenei nel tempo.

  1. Categorie di qualità

Schema complessivo è la cosalità, ossia la presenza, assenza e intensità dei fenomeni nel tempo.
I principi dell’intelletto puro sono le regole di fondo tramite cui avviene l’applicazione delle categorie agli oggetti.

  • Gli assiomi dell’intuizione (categorie della quantità) affermano a priori che tutti i fenomeni intuiti costituiscono delle quantità estensiva ossia qualcosa che può essere conosciuto solo mediante la sintesi successiva delle sue parti. Questi assiomi giustificano l’applicazione della matematica all’intero mondo dell’esperienza
  • Le anticipazioni della percezione (qualità) affermano a priori che ogni fenomeno percepito ha una quantità intensiva ossia ha un certo grado di intensità che può essere indefinitamente suddiviso.
  • Le analogie dell’esperienza (relazione) affermano a priori che l’esperienza costituisce una trama necessaria di rapporti basata sui principi: della permanenza e della sostanza (nulla si crea e nulla si distrugge); della causalità (tutto ha una causa); dell’azione reciproca (tutte le sostanze si trovano fra loro in un’azione reciproca universale).
  • I postulati del pensiero empirico in generale (modalità) stabiliscono che: Ciò che è in accordo con le condizioni formali dell’esperienza è possibile; ciò che è connesso con le condizioni materiali dell’esperienza è reale; Ciò la cui connessione col reale è determinata in base alle condizioni universale dell’esperienza esiste necessariamente.

La natura, ossia l’ordine necessario e universale che sta alla base di tutti i fenomeni non deriva dall’esperienza, ma dall’io penso e dalle sue forme a priori. Contro lo scetticismo di Hume che affermava che l’esperienza potesse smentire al verità su cui si regge la scienza, Kant sostiene che l’esperienza essendo condizionata dalle categorie dell’intelletto e dall’io penso non può mai smentire i principi che ne derivano.
L’originalità della soluzione kantiana sta nell’intendere il fondamento del sapere in termini di possibilità e di limiti, cioè conformemente al modo di essere dell’uomo che è finito. Le categorie funzionano solo in relazione al fenomeno e prese di per sé risultano vuote. Di conseguenza il conoscere non può estendersi al di la dell’esperienza. Per questo Kant rimanda alla nozione di cosa in se  che è una X meta-fenomenica che si fenomenizza sono in rapporto a noi. La cosa in se costituisce il presupposto o il postulato immanente del discorso di Kant. La cosa in se denominata col termine noumeno non può divenire per definizione oggetto di un esperienza possibile. In senso positivo, esso è l’oggetto di un intuizione non sensibile, ma in senso negativo è il concetto di una cosa in se che non può essere oggetto della nostra intuizione sensibile. La cosa in se più che essere una realtà è un concetto limite che serve ad arginare le nostre pretese conoscitive.

 

La dialettica trascendentale

Nella Dialettica Kant affronta il problema se la metafisica ossa costituirsi come scienza.
Con dialettica Kant non intende ciò che affermava al riguardo Platone o tutta la sofistica (cioè che la dialettica è l’arte del persuadere, quella di tingere di verità delle illusioni), ma ad essa dà un nuovo significato.
Kant nella dialettica vuole trattare e criticare gli errori della metafisica (divisa in psicologia, cosmologia e teologia). Già sappiamo che non è possibile, per la conoscenza umana, spingersi al di là dell’esperienza sensibile (il pensiero umano è infatti limitato). Eppure l’uomo, con la sua ragione, è attirato dalla metafisica in modo naturale e irrefrenabile e, quando con la ragione tenta di avvicinarcisi, egli cade inesorabilmente in una serie di errori (e in una serie di illusioni) necessari.
Gli errori:

  • Tali errorisono necessari perché è innato e strutturale nell’uomo desiderare ciò che va oltre l’esperienza ed è innegabile che egli abbisogni di una dimensione infinita, poiché una finita non gli basta.
  • Inoltre essi possono, certo, essere individuati, ma non possono mai essere estirpati completamente, proprio perché l’uomo sente innato il bisogno della metafisica e, pur conoscendo l’errore, ci ricade.

La ragione vuole spiegare le tre idee trascendentali:

  • Idea psicologica (anima) totalità assoluta dei fenomeni interni.
  • Idea cosmologica (il mondo) totalità assoluta dei fenomeni esterni.
  • Idea teologica (Dio) totalità di tutte le totalità e fondamento di tutto ciò che esiste.

Kant fa il paragone dell’uomo che vive nell’isola(scienza) che non si accontenta e vuole esplorare l’oceano burrascoso (metafisica) e naufraga!
Kant ritiene che la psicologia sia fondata su un paralogismo, ragionamento errato che consiste nell’applicare la categoria di sostanza all’io penso trasformandolo in una realtà permanente chiamata anima. L’equivoco alla base della psicologia consiste nella pretesa di dare tutta una serie di valori positivi a quella x funzionale e ignota che è l’io penso. In conclusione: l’Io penso, Soggetto delle categorie, mezzo attraverso cui la ragione pensa e applica le categorie, non può essere esso stesso oggetto delle categorie.
Anche la cosmologia razionale che pretende di far uso della nozione di mondo come totalità assoluta dei fenomeni è destinata a fallire perché la totalità dell’esperienza non è mai un esperienza in quanto non possiamo sperimentare la totalità dei fenomeni.
Quando si cerca di fare un discorso intorno al mondo nella sua totalità si cade nelle antinomie: contraddizioni strutturali insolubili), in cui tesi e antitesi si annullano a vicenda.
A tali domande si può dunque rispondere indifferentemente affermativamente o negativamente, senza che nulla venga confermato o smentito.
Non potendo dare vere risposte a queste domande, della cosmologia non può essere fatta una vera scienza. Antinomia significa infatti ‘conflitto di leggi’.
La prima coppia di antinomie è detta matematica, in quanto riguarda la totalità cosmologica dal punto di vista quantitativo e qualitativo.
La seconda coppia di antinomie è detta dinamica, perché implica un movimento logico che faccia risalire, di condizione in condizione, a un ultimo termine incondizionato.
1° antinomia

  • Tesi: il mondo ha un inizio nel tempo e, nello spazio, è chiuso dentro limiti.
  • Antitesi: Il mondo è infinito sia nel tempo che nello spazio.

2° antinomia

  • Tesi: ciascuna cosa è composta da parti semplici che costituiscono altre cose composte da parti semplici.
  • Antitesi: non esiste nulla di semplice, ogni cosa è complessa

3° antinomia

  • Tesi: La causalità secondo le leggi della natura non è la sola da cui possono essere derivati tutti i fenomeni del mondo. È necessario ammettere per la spiegazione di essi anche una causalità per la libertà.
  • Antitesi: Nel mondo non c’è nessuna libertà, ma tutto accade unicamente secondo leggi della natura.

4° antinomia

  • Tesi: esiste un essere necessario che è causa del mondo.
  • Antitesi: non esiste alcun essere necessario, né nel mondo né fuori dal mondo che sia causa di esso.

Dio secondo Kant rappresenta l’ideale della ragion pura cioè quel supremo modello personificato di ogni realtà. La teologia si occupa dell’idea di Dio, o, meglio, dell’Ideale di un qualcosa che sia condizione di tutto.
Diverse sono le vie che, nella storia, la metafisica ha cercato per dimostrare l’esistenza di Dio. Kant, infine, ne ha trovate tre, e in ciascuna di queste ha trovato l’errore.
Le tre vie:

  • La prova ontologica (a priori): essa parte dal concetto di Dio come assoluta perfezione e ne deduce l’esistenza (si tratta della formula appoggiata prima di tutto da S. Anselmo e poi da Cartesio). L’errore: si passa dalla dimensione del concetto a quello della realtà, dimenticando che l’esistenza di qualsiasi oggetto ci viene data dall’esperienza e che gli oggetti del pensiero puro non possono essere né spazializzati né temporalizzati.
  • La prova cosmologica (a posteriori): essa inquadra Dio come la causa di tutto. Deve esistere un Essere assolutamente necessario, un essere che abbia creato innanzitutto il mondo, che è l’oggetto di ogni esperienza possibile. L’errore: il principio di causa- effetto può essere usato solo relativamente all’ambito dell’esperienza, perché le categorie non possono essere applicate a un oggetto metafisico. Inoltre, anche se dimostrassimo che ogni effetto, anche sul piano metafisico, è preceduto da una causa, bisognerebbe ancora dimostrare che esista un dio.
  • La prova fisico- teologica (a posteriori): essa parte dalla bellezza, dall’ordine e dalla finalità del mondo per risalire a Dio, essere ultimo, supremo e perfetto (si tratta della formula appoggiata da S. Tommaso). L’errore: pur essendo la prova per cui Kant nutre maggior simpatia, egli afferma che questa potrebbe tutt’al più dimostrare l’esistenza di un architetto del mondo, ma non certo un creatore, cui tutto sia sottoposto. Del resto, qualora dovessimo dimostrare la tesi di un essere ultimo, sarebbe ancora necessario accertare l’esistenza di dio. Inoltre si dimentica che l’ordine della natura potrebbe essere una conseguenza della natura stessa e delle sue leggi immanenti.

In conclusione: dio non può essere dimostrato scientificamente, perché, ad un certo punto, ci si trova per forza di fronte al salto tra dimensione finita e infinita.
Le idee della ragione pura, anche se non portano a conoscere alcun oggetto, indirizzano la ricerca verso quella unità totale che rappresentano. Ogni idea spinge la ragione ad indagare nel proprio campo d’indagine. Le idee sono le condizioni che impegnano l’uomo nella ricerca naturale

 

La critica della ragion pratica

La Critica della Ragion Pratica (CRPr) è mossa dal convincimento dell’esistenza di una legge etica assoluta che Kant vuole constatare. La morale risulta incondizionata presupponendo una ragion pratica pura cioè capace di svincolarsi dalle inclinazioni sensibili e di guidare la condotta in modo stabile. La morale incondizionata presuppone la libertà dell’agire e la validità e universalità della legge. L’equazione moralità = incondizionatezza = libertà = universalità e necessità è legata agli attributi dati dal filosofo alla legge morale: categoricità, formalità, disinteresse e autonomia. La morale di gioca all’interno di una tensione bipolare tra ragione e sensibilità. Se l’uomo fosse sensibilità è ovvio che essa non esisterebbe, perché l’individuo agirebbe sempre per istinto. Se l’uomo fosse pura ragione l’individuo sarebbe sempre in quella che Kant chiama “santità” etica. L’agire morale si concretizza in una lotta tra ragione e gli impulsi egoistici. Nella CRPr il tema dominante è la polemica contro il fanatismo morale, che è la velleità di trasgredire i limiti della condotta umana. La CRPr è divisa in Dottrina degli elementi e Dottrina del Metodo. La prima tratta degli elementi della morale e si divide in un’Analitica, che e l’esposizione della regola della verita (etica) e in una Dialettica, che e l’esposizione e la soluzione dell’antinomia propria della ragion pratica. La Dottrina del metodo tratta del modo in cui le leggi morali possono «accedere» all’animo umano. Kant distingue i «principi pratici» che regolano la nostra volontà in «massime» e «imperativi». La massima e una prescrizione di valore puramente soggettivo, cioè valida esclusivamente per l’individuo chela fa propria. L’imperativo e una prescrizione di valore oggettivo, Gli imperativi si dividono a loro volta in imperativi ipotetici e imperativo categorico. Gli imperativi ipotetici prescrivono dei mezzi in vista di determinati fini e hanno la forma del “se … devi”. Questi imperativi si specificano a loro volta in regole dell’abilita, che illustrano le norme tecniche per raggiungere un certo scopo e in consigli della prudenza, che forniscono i mezzi per ottenere il benessere o la felicita. L’imperativo categorico ordina invece, il dovere in modo incondizionato e solo lui può essere la legge morale in quanto ha valore universale e necessario. Kant si chiede cosa comanda l’imperativo categorico e risponde a se stesso che esso consiste nell’elevare a legge l’esigenza stessa di una legge. Esso si concretizza nella prescrizione di agire secondo una massima che può valere per tutti. L’imperativo categorico è quel comando che prescrive di tener sempre presenti gli altri e ci ricorda che un comportamento risulta morale se la sua massima appare universalizzabile. Nella Fondazione della metafisica dei costumi Kant riporta altre 2 formule. La prima porta ad agire rispettando la dignità umana che è in te e negli altri. La morale istituisce un regno dei fini ossia una comunità ideale di libere persone che vivono secondo le leggi della morale e si riconoscono dignità a vicenda. La terza formula sottolinea l’autonomia della volontà, chiarendo come il comando morale non sia un imperativo esterno e schiavizzante, ma i frutto spontaneo della volontà razionale la quale fa si che noi obbedendo ad essa obbediamo a noi stessi.
La legge non ci dice che cosa dobbiamo fare né prescrive contenuti concreti. Essa è una legge formale universale che afferma che quando agisci tieni presente gli altri e rispetta la dignità umana che è in te e nel passato. Sta a noi tradurre in concreto la parola della legge in ogni situazione. Se la legge morale ordinasse di agire in vista di un fine o di un utile si ridurrebbe ad una serie di imperativi ipotetici e verrebbe compromessa in quanto sarebbero gli oggetti a dare la legge alla volontà, inoltre  sarebbe soggettiva e particolare. Il cuore della moralità kantiana risiede nel dovere-per-il-dovere, ossia nello sforzo di attuare la legge della ragione solo per ossequio ad essa. Il rigorismo kantiano sta nel escludere dall’etica le emozioni e i sentimenti che possono sviare la morale e inquinare la purezza. L’unico sentimento è il rispetto per la legge che mette a tacere tutti gli altri sentimenti egoistici. Il dovere per il dovere nel rispetto della legge: solo se la morale implica una partecipazione interiore è corretta, altrimenti si scadrebbe nella legalità ipocrita. Kant sostiene che non è morale ciò che si fa ma l’intenzione con cui lo si fa in quanto solo la volontà è l’unica cosa incondizionatamente buona al mondo. Il dovere e la volontà buona innalzano l’uomo al di sopra del mondo fenomenico fino al mondo intellegibile e noumenico dove vige la libertà. La vita morale è la costituzione di una natura sovrasensibile nella quale la legislazione morale prende il sopravvento sulla legislazione naturale. Però l’uomo non può partecipare al mondo noumenico se non in quello fenomenico e in virtù di quello. La noumenicità dell’uomo esiste solo in relazione alla sua fenomenicità.

 

La critica della ragion pratica (2° parte)

Il senso profondo dell’etica kantiana consiste nell’aver posto nell’uomo e nella sua ragione il fondamento dell’etica, al fine di salvaguardarne la piena libertà e purezza.
Kant polemizza contro tutte le morali eteronome ovvero contro tutti quei sistemi che pongono il dovere in forze esterne all’uomo o alla sua ragione facendo scaturire la morale da principi materiali. Se i motivi della morale risiedessero nell’educazione, nella società, nel piacere fisico o nel sentimento della benevolenza, l’azione non sarebbe più libera e universale, in quanto tali realtà sarebbero fattori determinanti e mutevoli. Se la moralità si identificasse nella perfezione si potrebbe dire che la moralità equivarrebbe alla moralità. Dicendo che Dio è la perfezione stessa si cadrebbe in un circolo vizioso dicendo che la morale consiste nel seguire la morale. Dicendo che la morale è sottomettersi alla volontà di Dio la morale cesserebbe di essere libera e disinteressata. La morale teologica va contro quegli attributi di libertà e di universalità che costituiscono il mondo morale. Kant va anche contro la morale razionalistica e empiristica. I primi sbagliano perché anche se la fondano sulla ragione la fanno dipendere dalla metafisica. I secondi invece sbagliano perché la connettono al sentimento. La rivoluzione copernicana morale di Kant fa dell’uomo l’unico legislatore del proprio comportamento e fa si che la legge etica dia un senso alle nozioni di bene e male.
Nella Dialettica Kant studia l’assoluto morale o sommo bene. Esso è l’addizione di virtù e felicità e è la cosa a cui tende la nostra natura. Ma in questo mondo virtù e felicità non sono mai congiunte, poiché lo sforzo di essere virtuosi è opposto alla ricerca della felicità. Virtù e felicità sono l’antinomia etica per eccellenza. L’unico modo per uscire da tale antinomia è di postulare un mondo dell’aldilà dove si possa realizzare. I postulati di Kant sono principi indimostrabili che vengono accolti per dimostrare entità o verità: essi sono l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio.
Per il primo postulato Kant dice che:

  1. Solo la santità rende degni del sommo bene
  2. La santità non è mai realizzabile nel nostro mondo
  3. Si deve ammettere un’altra zona del reale dove l’anima in un tempo infinito progredisca verso la santità

Per il secondo postulato l’esistenza di Dio è quella volontà santa e onnipotente che fa corrispondere la felicità al merito.
Il terzo postulato è la libertà: ovvero se c’è la morale deve per forza esserci la libertà.
Mentre la libertà è la condizione stessa dell’etica ed è una certezza che nasce dal fatto morale, le altre due sono solo condizioni ipotetiche; per questo i postulati detti religiosi sono quelli più importanti. Comunque anche la libertà non è specificamente affermata, in quanto il mondo dell’esperienza si regge sul principio di causa ed effetto e il libero arbitrio presuppone un idea di auto-casualità.
La teoria dei postulati fa emergere la prevalenza dell’interesse pratico su quello teoretico. Anche se i postulati kantiani non valgono come conoscenze. Se i postulati fossero certezze la morale scivolerebbe verso l’eteronomia e sarebbe la religione a fondare la morale. Dio per Kant non sta all’inizio e alla base della vita morale, ma alla fine come suo possibile completamento.
Però la CRPr finisce per delineare una sorta di dualismo tra mondo fenomenico della scienza e mondo noumenico dell’etica. Per questo Kant deve scrivere la Critica del Giudizio.

 

La critica del Giudizio (1° parte)
Nella Critica del Giudizio (CdG) Kant studia il sentimento che è la facoltà mediante cui l’uomo fa esperienza di quella finalità del reale che nella prima critica escludeva sul piano fenomenico e la seconda postulava a livello noumenico. Fa dunque del sentimento la terza facoltà e campo di attività autonoma. Il sentimento permette nel soggetto l’incontro tra il mondo fenomenico e quello noumenico; l’incontro e non la conciliazione.
I giudizi si dividono in:

  • Determinanti, che sono quei giudizi conoscitivi e scientifici e determinano gli oggetti fenomenici mediante le forme a priori (spazio e tempo e le 12 categorie).
  • Riflettenti, che sono quei giudizi sentimentali che si limitano a riflettere su una natura già conosciuta dei giudizi determinanti e interpretarla attraverso la nostra esigenza universale di armonia e finalità.

I primi sono scientificamente  e oggettivamente validi, per quanto concerne il fenomeno, mentre i secondi esprimono un bisogno. I secondi si dividono a loro volta in:

  • Giudizio telelologico, che riguarda i discorsi sui fini della natura. Esso esprime un bisogno soggettivo della nostra mente di rappresentarsi in modo finalistico l’ordine delle cose. Finalità oggettiva o reale
  • Giudizio estetico verte sulla bellezza. Finalità soggettiva o formale.

La Cdg si divide in Cdg Estetico e Cdg Teleologico, che a loro volta si dividono i Analitica e Dialettica. Infine troviamo un’appendice detta Metodologia del giudizio teleologico.
Nella Cdg il termine estetica assume il significato di dottrina dell’arte e della bellezza. Il bello non è ciò che piace, ma ciò che piace nel giudizio di gusto. Kant offre 4 definizioni di bellezza, secondo la tavola delle categorie:

  • Secondo la qualità, il bello è l’oggetto di un piacere senza alcun interesse
  • Secondo la quantità, il bello è ciò che piace universalmente senza concetto
  • Secondo la relazione, la bellezza è percepita come finalità senza scopo.
  • Secondo la modalità, il bello è ciò che, senza concetto, è riconosciuto come oggetto di un piacere necessario.

Come si è visto i caratteri specifici del giudizio estetico sono il disinteresse e la pretesa dell’universalità. Egli intende asserire che nel giudizio estetico la bellezza è vissuta come qualcosa che deve venir condivisa da tutti. Ora per comprendere adeguatamente questa tesi di Kant risulta indispensabile tener presente almeno due ordini di considerazioni.
1) Kant distingue tra:

  • Piacevole, ciò che piace ai sensi nella sensazione, esso da luogo ai giudizi estetici empirici che sono legati alle inclinazioni individuali
  • Piacere estetico, che è il sentimento provocato dall’immagine della cosa che diciamo bella e corrisponde a giudizi estetici puri. Solo questi hanno la pretesa di universalità in quanto non soggetti a condizionamenti di vario tipo

2) Kant distingue tra:

  • Bellezza libera, che viene appresa senza alcun concetto. Sono giudizi estetici puri e perciò universali
  • Bellezza aderente che implica riferimenti ad un determinato modello o concetto.

Kant si trova di fronte al problema della deduzione dei giudizi estetici puri cioè alla legittimazione della pretesa dei giudizi di gusto alla validità universale. Egli risolve questo problema con la teoria con la teoria della comune struttura della mante umana. Kant afferma che il giudizio estetico nasce da un libero gioco, cioè da uno spontaneo rapporto dell’immaginazione con l’intelletto, in virtù del quale l’immagine della cosa appare rispondente alle esigenze dell’intelletto generando un senso di armonia. Tale meccanismo risulta identico in tutti gli uomini, resta spiegato il fenomeno dell’universalità estetica e giustificata la presenza di un senso comune del gusto. In questo modo cerca di spiegare anche l’antinomia del gusto:
Tesi: Il giudizio di gusto non si basa sopra concetti Antitesi: Il giudizio di gusto si basa sopra concetti.
Kant afferma che queste due affermazioni cessano di essere contraddittorie premettendo la soluzione dell’antinomia solo a patto di attribuire alla nozione di concetto due significati diversi cioè nella tesi il giudizio di gusto non si basa sopra concetti determinati e nell’antitesi il giudizio di gusto si basa sul concetto di indeterminato. Il che è un modo per ribadire che se il giudizio di gusto non si basa sopra concetti si basa però su quella facoltà del Giudizio (tramite cui viene intuita la finalità soggettiva della natura) che è comune a tutti gli uomini. Kant arriva a una rivoluzione copernicana estetica, affermando che la bellezza non è una proprietà ontologica o oggettiva delle cose, ma il frutto di un incontro tra noi e le cose.

 

La critica del Giudizio (2° parte)

Dopo aver trattato il bello si passa all’analisi del sublime. Per sublime si intende un valore estetico che è prodotto dalla percezione di qualcosa di smisurato (es. un Ferrero Rocher). Kant distingue due tipi di sublime:

  • Sublime matematico nasce in presenza di qualcosa di smisuratamente grande. Da un lato troviamo un dispiacere perché la nostra immaginazione non riesce ad abbracciare le incalcolabili grandezze, dall’altro proviamo un piacere perché la nostra ragione è portata ad elevarsi all’idea dell’infinito in rapporto a cui le stesse immensità del creato appaiono piccole. Il dispiacere dell’immaginazione si converte dunque in un piacere della ragione. In altri termini, prendendo coscienza del fatto che il vero sublime non risiede tanto nella realtà che ci sta di fronte quanto in noi medesimi.
  • Sublime dinamico, nasce in presenza di strapotenti forze naturali. Anche in questa situazione inizialmente avvertiamo un senso della nostra piccolezza materiale nei confronti della natura. In seguito avvertiamo invece un vivo sentimento della nostra grandezza ideale dovuta dignità di esseri umani pensanti, portatori delle idee della ragione e della legge morale.

I due tipi di sublime si assomigliano nel fatto che hanno un andamento di dispiacere-piacere, impotenza-potenza.
Il bello di cui Kant ha parlato sin qui è sostanzialmente (una stron..ta) il bello di natura. Distinto da quest’ultimo è il bello artistico. La natura è bella quando ha l’apparenza dell’arte e l’arte è bella quando ha l’apparenza o la spontaneità della natura. Il genio da all’arte la spontaneità propria della natura. Il genio è un talento (dono naturale) che da la regola all’arte; al genio Kant da 3 prerogative:

  1. Originalità e creatività
  2. Capacità di produrre opere che fungono da modelli per gli altri
  3. Impossibilità di mostrare scientificamente  come compie la sua produzione

Nella critica del Giudizio Teleologico Kant afferma che nella nostra mente vi è una tendenza irresistibile a pensare finalisticamente. Cioè a scorgere nella natura l’esistenza di cause finali, sia intrinseche e estrinseche ( e sviristiche SCHERZO). Il giudizio telelologico è privo di valore teoretico o dimostrativo in quanto la finalità non è un dato verificabile, ma soltanto un nostro modo di vedere la realtà. Secondo Kant l’uomo col meccanicismo non può arrivare a spiegare neanche l’esistenza di un filo d’erba. Si ha comunque il dovere di spiegare meccanicisticamente tutti i prodotti della natura anche quelli che rivelano la più grande finalità. Per evitare l’antinomia del giudizio telelologico è opportuno considerare il finalismo come una sorta di promemoria critico che da un lato ci ricorda i limiti della visuale meccanicistica fungendo da principio regolativi della ricerca e dall’altro ci rammenta l’intrascendibilità dell’orizzonte fenomenico (ma porco io penso). Kant non va oltre la scienza, mentre i romantici vanno oltre Kant e di conseguenza oltre la scienza.
Nella Metodologia del giudizio teleologico egli osserva che la teleologia come scienza non appartiene ne alla teologia ne alla scienza della natura, ma alla critica del giudizio.

 

Religione politica e storia

Nell’opera La religione nei limiti della semplice ragione Kant affronta il problema della natura dell’uomo. La natura dell’uomo deve consistere nella libertà e in questa libertà deve radicarsi l’inclinazione al male. L’affermazione l’uomo è malvagio per natura significa che egli, pur avendo coscienza della legge morale ha adottato la massima di allontanarsi all’occasione da essa. In questa massima risiede dunque il male radicale: un male che non può essere distrutto, perché la distruzione dovrebbe essere l’opera delle buone massime, il che è impossibile se tutte le massime sono corrotte dalla massima che prevede la loro infrazione. L’uomo è responsabile della sua inclinazione al male, questa è un atto libero che gli deve essere imputato come un peccato.
Kant parla di una religione per la quale l’unico culto è la vita morale, Dio non può essere pregato se non con l’azione morale.
Per ciò che riguarda il concetto di storia Kant condivide il punto di vista illuministico sulla civiltà come sforzo verso una società umana universale e cosmopolitica, nell’opera Per la pace perpetua Kant riconosce le condizioni per la pace nel diritto cosmopolitico, cioè nel diritto di uno straniero di non essere trattato da nemico nel territorio di un altro stato. Kant non ritiene che la storia degli uomini si sviluppi secondo un piano preordinato e infallibile. Un piano della storia umana non è una realtà, ma un ideale orientativo al quale gli uomini debbono ispirare le loro azioni.
La tendenza naturale dell’uomo è quella di raggiungere la felicità o la perfezione attraverso l’uso della ragione, cioè attraverso la libertà, e l’uomo può raggiungerle veramente soltanto in una società politica universale nella quale la libertà di ognuno non trovi altro limite che la libertà degli altri.
La ragione secondo Kant è una forza limitata, ma tuttavia la sola su cui l’uomo può contare. Ogni tentativo di evadere dalla ragione e dai suoi limiti è illusorio.

 

Il romanticismo

 

Il Romanticismo è un movimento storico culturale sorto negli ultimi anni del settecento in Germania ed è una struttura culturale globale (investe tutte le materie). Nei romantici vi è una ricerca dell’assoluto ed un insofferenza ai limiti del finito. Proprio questa brama dell’infinito mette in moto la polemica contro la ragione illuministica e kantiana, il privilegiamento del sentimento e dell’arte e l’esaltazione della fede. Definire il concetto di Romanticismo è difficile, sono state elaborate due interpretazioni di fondo: il primo  risalente ai romantici stessi: il Romanticismo sarebbe quell’indirizzo culturale caratterizzato dall’esaltazione del sentimento i cui rappresentanti sono il letterati del circolo di Jena. Tuttavia questa accezione ristretta di Romanticismo con il tempo ha finito per apparire troppo limitata. Si crea una seconda interpretazione che vede il romanticismo configurarsi come un atmosfera storica, ossia come una situazione mentale generale di cui fa parte integrante la corrente dell’idealismo post-kantiano. Si vede nel romanticismo un insieme di idee e di atteggiamenti che sorge in relazione ad determinate relazioni socio politiche.
Non è possibile formulare una definizione esauriente e universalmente valida del Romanticismo; ma esiste la possibilità di tratteggiare alcune tendenze tipiche della mentalità romantica. Il Romanticismo è pieno di ambivalenze, che però cadono in un medesimo orizzonte complessivo e siano espressione di una mentalità comune. Per esempio l’esaltazione del sentimento e la celebrazione della dialettica sono due posizioni totalmente contrapposte ma che scaturiscono da un analogo atteggiamento ovvero la polemica contro l’intelletto illuministico.
Troviamo inoltre una stretta connessione tra arte poesia e filosofia. La Germania costituisce l’anima e il centro del Romanticismo europeo.
Il Romanticismo tedesco ha come luogo di formazione la città di Jena. I maggiori esponenti sono: i fratelli Schlegel, K. Michaelis, moglie di Schlegel e di Schelling e Novalis. Nel 1797 i fratelli fondano la rivista Athenaeum che rappresenta il primo strumento di diffusione delle nuove idee. A Berlino troviamo Schleiermacher, Tieck, Wackenroder e Holderlin. I fratelli furono in rapporto anche con Fichte, attribuendogli la paternità dello stesso movimento romantico, con Schelling che era la maggiore incarnazione filosofica delle nuove idee e con Hegel che in seguito criticò aspramente le dottrine dei fratelli. Nel 1801 con la morte (purtroppo) di Novalis, il gruppo si sciolse ma le sue idee si erano già diffuse in tutta la Germania. I motivi tipici del Romanticismo tedesco non si trovano tutti e contemporaneamente in tutti gli autori. Elencheremo i motivi: i romantici sono tutti d’accordo nel respingere la ragione illuministica infatti c’è il ripudio di quel tipo di ragione illuminista ritenuta incapace di comprendere la realtà profonda dell’uomo dell’universo e di Dio.
Dai poeti e dagli altri artisti, l’organo più funzionale per rapportarsi alla vita e per penetrare nell’essenza più riposta dell’universo è il sentimento; categoria che l’antichità classica aveva ignorato e che ora acquista valore predominante. Questo valore  la principale eredità che il romanticismo riceve dallo Sturm und drang(hete), il quale aveva contrapposto il sentimento alla ragione, ritenuta incapace di attingere le realtà superiori e divine. Il sentimento appare come una ebbrezza indefinita di emozioni. Esso viene ritenuto in grado di aprire a nuove dimensioni della psiche e di risalire alle sorgenti primordiali dell’essere. Appare come l’infinito stesso o come l’infinito nella forma dell’indefinito. L’arte invece è vista come sapienza del mondo ossia come ciò che anticipa il discorso logico e lo completa. Il poeta è visto come un sovrumano o un profeta che fanno di lui un esploratore dell’invisibile. Questo concetto dell’arte come intuizione capace di attingere le profondità originarie della vita e di possedere l’infinito. In essa si individua l’oggetto tramite cui avviene la rivelazione dell’assoluto. In molti autori il privilegia mento dell’arte comporta anche una maggiore importanza del modello estetico poiché essa finisce per configurarsi come la principale chiave di lettura della realtà.
L’estetica romantica coincide con l’estetica della creazione, al poeta è attribuita una libertà illimitata e all’arte una spontaneità assoluta che li rende capaci di creare inesauribilmente. Questo primato dell’arte implica anche un primato del linguaggio poetico e musicale, la musica diviene la regina delle arti poiché fa vivere l’esperienza stessa dell’infinito.
La religione è vista come via di accesso privilegiata la reale e come un sapere immediato che va oltre i confini della ragione illuministica. La polemica che si viene a creare contro l’astratta e impersonale divinità dell’illuminismo porta i filosofi a riavvicinarsi alle religioni tradizionali. Alcuni filosofi ritengono che solo un rinnovato esercizio della ragione possa fornirci quelle spiegazioni dell’essere e dell’assoluto che cerchiamo attraverso l’intuizione estetica. Solo mediante la logica e la ragione risulta possibile fare un discorso fondato sull’infinito.
L’anticlassicismo dei romantici è una tendenza generale della loro sensibilità e dello spirito. I Romantici tendono a infinitizzare determinate esperienze umane; l’infinto si qualifica come il principale protagonista dell’universo culturale romantico. Esistono due modi di intendere l’infinito:

  • Quello panteistico: il sentimento della immedesimazione tra infinito e finito porta a concepire il finito come la realizzazione vivente dell’infinito alla maniera di un panteismo naturalistico che identifica l’infinito con il ciclo eterno della natura o alla maniera di un panteismo idealistico che identifica l’infinito con l’umanità stessa e fa della natura un momento della sua realizzazione. Questo si accompagna d una religiosità cosmica diversa dalle fedi tradizionali.
  • Quello trascendentistico: l’infinito viene in qualche modo a distinguersi dal finito, pur manifestandosi o rivelandosi in esso: il finito è la sua manifestazione più o meno adeguata. Questo porta all’accettazione di qualche religione storica.

Un altro dei motivi ricorrenti della cultura romantica è la concezione della vita come inquietudine, brama incessante: l’uomo è in preda ad un demone dell’infinito che lo porta ad uno stato di irrequietezza perenne. Due esempi sono: lo spirito faustiano di Goethe o lo sforzo (non quello di andare al bagno) teorizzato da Fichte che vede l’io impegnato in un infinito superamento del finito. La parola Sehnsucht che significa desiderio struggente vede l’uomo come desiderio e mancanza ossia come desiderio frustrato verso qualcosa che sempre sfugge. È un desiderare che si esaurisce in sé per il piacere del desiderio.
L’ironia consiste nella superiore coscienza del fatto che ogni realtà finita risulta impari di fronte all’infinito. essa consiste nel non prendere sul serio le manifestazione particolari dell’infinito in quanto queste non sono altre che provvisorie espressioni di esso.
Il titanismo detto anche prometeismo (in onore di prometeo che rubò il fuoco) esprime invece un atteggiamento di sfida e di ribellione proprio di chi si propone di combattere, pur sapendo che alla fine risulterà perdente e incapace di superare le barrire del finito. Talvolta esso sfocia nel suicidio.

 

Il romanticismo (2° parte)

 

La voglia di arrivare all’infinito porta alla tendenza all’evasione e all’amore per l’eccezionale. Disprezzando il finito l’uomo finisce per evadere in mondi remoti nel tempo e nello spazio, i esempio nel culto dell’Ellade, nella riscoperta del Medioevo e nell’esotismo. Ma l’evasione più significativa i romantici l’hanno compiuta nei mondi del sogno e dell’arte, ossia nello spazio senza limite dell’immaginazione e della reverie. Collegato a ciò è la figura romantica del viandante: differenziandosi dal “viaggiare” cosmopolitico e pratico-interessato degli illuministi, il viandante romantico assume. infatti la fisionomia di un vagare inquieto verso un non so che di irraggiungibile e illusorio.
Un altro tema è quello dell’armonia perduta che scaturisce dal diffuso convincimento secondo cui la civiltà e l’intelletto avrebbero sradicato l’uomo da una situazione di primitiva spontaneità e simbiosi con la natura rendendo l’individuo schiavo della società. Questa teoria implica che la storia del mondo proceda da un armonia perduta a un armonia ritrovata, secondo uno schema: un armonia iniziale, una scissione intermedia, la ricostruzione di un armonia futura.
Nei romantici troviamo una decisa mitizzazione del passato felice. Holderlin dice che la nostra epoca è tempo di povertà e coincide col momento della scissione, quando gli dei sono scomparsi e il giorno è tramontato. Ma il poeta continua a vegliare aspettando la nuova alba in cui si avrà il recupero dell’originario e il ritorno del divino.
Col termine spirito gli idealisti intendono l’uomo:

  1. Come attività infinita e inesauribile, che si auto costituisce o autocrea liberamente
  2. Come soggetto in funzione di cui esiste la natura.

Questa teoria dell’uomo è la base dell’equazione di Fichte Io = Dio, che scopre il concetto tomantico dell’infinito e dello spirito. L’io di Fichte è compito morale e la moralità implica uno sforzo e perciò la presenza del limite. Infatti in Fichte lo spirito è costretto ad obbedire ad una necessità razionale che prevede l’ostacolo ; nei poeti lo spirito infinito appare libero da determinazioni limitatrici ed è posto nella forma del sentimento. Gli artisti esaltano la potenza assoluta del sentimento e del sogno.
L’amore appare ai romantici come il sentimento più forte e come l’estasi suprema, ovvero come la vita della vita stessa. La prima caratteristica dell’amore è la globalità ovvero la ricerca di una sintesi tra anima e corpo, spirito e istinto, sentimento e sensualità. Nello stesso tempo viene affrontata l’idea di una donna che sappia  personificare come la greca Diotima (esaltata da Platone) il modello di una donna nuova e superiore capace di amare con la pienezza del proprio essere. A questo tipo di donna viene riconosciuta parità di diritti con l’uomo, nella vita come nella cultura. In una seconda fase l’amore viene ricondotto a elemento di conservazione delle strutture della tradizione: il destino della fanciulla sta soltanto nel matrimonio e che l’amore è un momento soggettivo che esige di essere inquadrato e disciplinato nelle istituzioni giuridiche e oggettive della società.
La seconda caratteristica risiede nella ricerca dell’unità assoluta degli amanti ossia della completa fusione delle anime e dei corpi in modo tale che ciò che è due possa diventare uno.
La terza caratteristica dell’amore romantico è la sua tendenza a caricarsi di significati simbolici e metafisici. L’amore scorge nelle cose manifestazioni o cifre dell’assoluto. Infatti i romantici vedono nell’amplesso degli innamorati il mistero stesso della vita e il simbolo dell’universale armonia.
Tutto ciò significa che nell’amore, l’assoluto più che cercato è almeno in parte già trovato e posseduto.
La cultura romantica procede alla teorizzazione di una nuova filosofia generale della storia. Infatti mente per l’illuminismo il soggetto della storia è l’uomo, per il romanticismo risulta essere la provvidenza. Il periodo storico aveva generato l’idea che a tirare le fila della storia fosse una potenza extra umana concepita come forza immanente o trascendente. Guardata da questo punto di vista la storia prende le sembianze di un processo globalmente positivo in cui non vi è nulla di inutile o irrazionale ed ogni regresso è soltanto apparente. Gli illuministi giudicavano la storia e ne rifiutavano alcuni momenti. Per i romantici ciò è sbagliato per 3 motivi:

  1. Voler giudicare la storia è come intentare un processo a Dio
  2. Ogni momento della storia costituisce l’anello necessario di una catena processuale positiva
  3. Giudicare il passato alla luce del presente significa togliere l’autonomia delle singole epoche che hanno ognuna una specifica ragion d’essere in relazione alla totalità della storia

Il romanticismo è una filosofia giusitficazionistica e tradizionalistica della storia e carica di un valore assoluto le istituzioni basilari del passato e trasforma il medioevo in un epoca di fede, di unità spirituale e di fantasia.

 

Il romanticismo (3° parte)

 

La concezione politica romantica si divide in 2 fasi:

  • Inizialmente si passa in una fiammata rivoluzionaria che si esprime sotto forma di radicalismo repubblicano e ribellismo anarchico. Questa fase trova un riscontro in quel tema della lotta dell’individuo contro la società.
  • Si cominciano ad elaborare schemi politici più conservatori convinti che l’individuo sia tale soltanto all’interno di una comunità e persuasi che il disordine delle forze umane sia destinato a produrre soltanto anarchia e caos. In questo periodo il romanticismo offre degli strumenti teorici di legittimazione delle istituzioni assolutistico feudali ergendosi contro le tendenze riformatrici europee.

Per questo il romanticismo è visto come sinonimo di conservatore, ma anche come equivalente di liberale e patriota.
Il concetto romantico di nazione è diverso da quello settecentesco: esso risulta definito in termini di elementi tradizionali come razza lingua costume religione.  La nazione è pertanto la coesistenza di individui che devono vivere insieme nel senso che non possono non darlo senza rinnegarsi o tradire se stessi.
Viene elaborata inoltre la teoria dello spirito del popolo che dice che gli organismi sociali non sono costituiti dall’insieme delle volontà dei singoli, ma da una misteriosa anima popolare che sottostà alle molteplici manifestazioni sociali politiche e culturali di un popolo. La polemica con l’illuminismo vede 3 differenze fondamentali, che però contengono degli  equivoci. Il cosmopolitismo giuridico viene contrapposto ad un nazionalismo giuridico e politico; l’universalismo religioso va contro la molteplicità delle religioni positive romantiche. Il cosmopolitismo linguistico è superato dal nazionalismo linguistico.
Il pensiero politico tedesco che celebra fin da adesso il primato della Germania finisce per gettare le basi delle successive esaltazioni nazionalistiche che sfoceranno nel nazismo.
In Italia si assiste ad una saldatura tra il concetto di nazione e quello di libertà. Il culto della nazione si fa tutt’uno con il liberalismo (salvaguardia dei diritti individuali), la democrazia, il patriottismo e con il principio dell’autodeterminazione nazionale (ogni nazione deve essere padrona del proprio destino politico).

 

La concezione della natura e i personaggi più importanti del Romanticismo

La nuova concezione della natura è uno dei grandi temi del romanticismo. Da Galileo in poi la natura era considerata un ordine oggettivo e come un insieme di relazioni fatturali legate tra loro da cause efficienti generando la meccanizzazione del quadro del mondo. I romantici pervengono a una filosofia della natura:

  • Organicistica: la natura è una totalità organizzata nella quale le parti vivono in funzione del tutto
  • Energico-vitalista: la natura è una forza vivente dinamica e animata
  • Finalistica: realtà strutturata secondo determinati scopi
  • Spiritualistica: è qualcosa di intrinsecamente spirituale
  • Dialettica: essa è organizzata secondo coppie di forze oppose costituenti unità dinamiche

I romantici ritengono che la natura e l’uomo posseggono una medesima struttura spirituale.
Essi credono che solo il Tutto vive e quindi ogni fondata filosofia della natura debba prendere in considerazione l’ordinamento complessivo del cosmo perche solo in relazione ad esso si possono comprendere le parti e i loro rapporti di subordinazione e coordinazione.

Holderlin nel suo romanzo Iperione, che narra la storia di un greco moderno che vive il sogno dell’infinita bellezza e perfezione della Grecia Antica, esprime le sue idee filosofiche. L’ideale ellenizzante di Iperione è in realtà l’ideale romantico: essere uno col Tutto, questo uno che è tutto è l’infinito e vive e si rivela nell’uomo. Solo la bellezza gli rivela l’infinito; e la prima figlia della bellezza è l’arte, la seconda figlia è la religione e la filosofia nasce dalla poesia. Si trova inoltre l’esaltazione del dolore, Iperione finisce con esaltare il suo stesso dolore.

Il concetto della poesia romantica dettato da Schlegel è il trasferimento nel dominio della poesia del principio fichtiano dell’infinito. La poesia romantica è una poesia infinita. Essa è universale e progressiva. L’idea dell’infinito accomuna poesia, filosofia e religione in modo tale che nessuna di queste attività può sussistere senza l’altra. Il romantico è colui che ci rappresenta una materia sentimentale in una forma fantastica; il sentimento implica e giustifica l’ironia. Dopo la morte di Novalis egli si avvicinò al cattolicesimo e difese la religione. L’unità del finito e dell’infinito veniva intesa come rivelazione dell’infinito nel finito.

Mentre Tieck diceva che l’uomo è il destino che regge il mondo, Novalis celebra con parole entusiastiche il potere infinito dell’uomo sul mondo, egli prende le mosse da Fichte, ma si rifiuta di riconoscere al non-io un qualsiasi potere sull’io. Il mondo ha un’originaria capacità di essere vivificato dallo spirito a priori. Questa vivificazione del mondo è la trasformazione del sistema della natura nel sistema della morale di cui l’uomo è autore. Il trasformarsi dell’uomo in volontà infinita creatrice della natura è il fondamento dell’idealismo magico di Novalis. Mago è infatti colui che sa dominare la natura.

Il concetto della religione venne elaborato da Schleiermacher predicatore e professore di teologia a Berlino. Egli difende l’originalità e l’autonomia della religione nei confronti delle altre forme di vita spirituale. La religione non è la moralità, perché anche chi non è religioso può essere morale. Non è sapere, ma è un sentimento: è la coscienza immediata che ogni essere finito è nell’Infinito e attraverso di esso, e che ogni essere temporale è nel e attraverso l’eterno. Dio e il mondo non sono ne identici ne separati; Dio non può essere senza il mondo ne viceversa. L’unità del finito e dell’infinito, che è propria della religione non conduce all’annullamento della personalità umana come tale. L’individuo è l’infinito e pone il più alto compito morale nello sviluppo dell’individualità personale.

 

La seconda fase del Romanticismo

 

La parola d’ordine del romanticismo è l’identità del finito e dell’infinito. Per questa identità il finito appare come la realtà o l’esistenza dell’infinito perche essi non hanno realtà fuori dall’altro. Dal punto di vista filosofico questo è un immanentismo rigoroso, mentre dal punto di vista religioso è un panteismo. Un’altra concezione di questo rapporto è che l’infinito si distingue dal finito che è la sua rivelazione. Questa visione è trascendentismo e teismo. In alcuni autori si accompagna con l’avvicinamento al cattolicesimo.
Uno degli aspetti fondamentali del romanticismo è la difesa della tradizione: il romanticismo tende a considerare la storicità stessa come tradizione. La storia è concepita come la manifestazione progressiva dell’infinito, cioè di Dio poiché non ci può essere in essa imperfezione o errore che non trovi correzione nella totalità del processo.
In Francia i principali romantici furono Madame de Stael e Renè de Chateaubriand. In campo filosofico-politico la difesa della tradizione è opera degli scrittori teocratici o ultramontanisti ai quali la tradizione appare come l’unica depositaria della verità. Essi vedono nella rivoluzione francese un errore che ha prodotto guerra e rovina.
Lammenais fu dapprima dimensione dell’ultramontanismo, poi sviluppò una forma di cattolicesimo liberale, ma fu scomunicato per eresia e si separò dalla Chiesa. Egli aveva visto nell’indifferenza religiosa la malattia del secolo e ne aveva additata l’origine nella fiducia riposta nella ragione individuale. Alla ragione individuale aveva contrapposto la ragione comune, una specie di intuizione delle verità fondamentali comune a tutti gli uomini.
La filosofia dell’illuminismo continuò in Francia sotto forma di ideologia ovvero l’analisi delle sensazioni e delle idee. De Tracy ricondusse  alla sensibilità le attività fondamentali dell’uomo che sono 4: sentire ricordare giudicare e volere. Cabanis raccolse una serie di osservazioni sull’influsso che le condizioni fisica esercitano sulla vita intellettuale e morale dell’uomo e ammette la dipendenza della vita psichica da quella fisica. Con De Biran l’ideologismo si salda al tradizionalismo; egli ripiega nell’osservazione interiore per giustificare la tradizione religiosa e politica e per identificare coscienza e tradizione. La coscienza svela all’uomo l’attività che costituisce il suo io che è uno sforzo che si esercita sull’organismo fisico sugli stati sensibili e quindi sulla materia. La vita interiore è attività volontà e quindi libertà. Egli dice voglio, agisco, quindi sono. La coscienza è anche la rivelazione di Dio.
In Italia troviamo figure importanti come Mazzini Gioberti, Galluppi e Rosmini.

 

L’idealismo

L’idealismo nasce con Fichte, ma è preparato dai seguaci di Kant che criticano i dualismi del criticismo sopratutto la distinzione fenomeno-noumeno. Tra i più importanti ricordiamo Reinhold, Maimon, Schulze, Beck. Essi dicono che se il criticismo è vero bisogna abolire la cosa in se e ricondurre tutto al soggetto; se fosse falso si può ammettere la cosa in se e tornare al realismo. Se l’oggetto risulta concepibile solo in relazione al soggetto che lo rappresenta non può venire ammessa l’esistenza della cosa in se. Secondo questi critici il kantismo tende a configurarsi come una forma di idealismo coscienzialistico basato sulla riduzione del fenomeno a rappresentazione e della rappresentazione a coscienza. Ma mentre nella prima edizione della Critica della ragion Pura Kant indica il fenomeno con la rappresentazione e il noumeno con l’oggetto della rappresentazione nella seconda edizione il fenomeno è l’oggetto della rappresentazione e il noumeno un concetto limite. Un'altra critica mossa a Kant è che egli dicendo che la cosa in se è causa delle nostre sensazioni ammette il concetto di causa-effetto, che è valido solo per il fenomeno, al noumeno. I seguaci di Kant si muovono su un orizzonte prettamente gnoseologico, mentre Fichte passa alla tesi metafisica di un io creatore e infinito.
La parola idealismo in filosofia sta significare quelle visioni del mondo che privilegiano la dimensione ideale rispetto a quella materiale e affermano il carattere spirituale della realtà vera. Si usa spesso per alludere alle varie forme di idealismo gnoseologico (posizioni di pensiero che riducono l’oggetto della conoscenza a idea o rappresentazione) o per idealismo romantico. Quest’ultimo fondato da Fichte e Schelling fu definito da loro:

  • Trascendetale, collegato all’io penso, il principio fondamentale della conoscenza
  • Soggettivo, contrapposto alla Sostanza di Spinoza che è intesa in termini di oggetto o natura
  • Assoluto, l’io o lo spirito è il principio di tutto e che fuori di esso non c’è nulla.

Fichte abolisce lo spettro della cosa in se e rende l’io creatore e infinito. Tutto è spirito. Lo spirito (detto anche io, assoluto, infinito) è la realtà umana considerata come attività conoscitiva e pratica e come libertà creatrice. A questo punto ci sono due domande: in che senso lo spirito e il soggetto rappresenta la fonte creatrice di tutto ciò che esiste? Che cosa è la materia o la natura?
La risposta sta nel concetto di dialettica; infatti non esiste un io senza un non-io e inoltre lo spirito è causa della natura perché quest’ultima esiste solo per l’io e in funzione dell’io.
L’uomo è la ragion d’essere e lo scopo dell’universo perciò egli coincide con l’assoluto, l’infinito e Dio. Tant’è vero che per Fichte non può esistere un Dio trascendente e perfetto, invece per gli idealisti l’unico Dio possibile è il soggetto che si costituisce tramite l’oggetto. Con l’dealismo ci troviamo di fronte a una forma di panteismo spiritualistico (Dio, l’uomo, è lo spirito operante nel mondo), ma anche una forma di monismo dialettico (esiste un'unica sostanza).

 

Fichte

Fichte nacque a Rammenau nel 1762 da una famiglia poverissima. Studiò teologia a Jena e Lipsia e fece il precettore in Germania e a Zurigo dove conobbe la futura moglie Johanna Rahn. Tornato a Lipsia entrò in contatto con la filosofia di Kant. Nel 91 si recò a Konisberg per far leggere a Kant il suo primo manoscritto che poi venne censurato, per questo indignato attaccò la censura prussiana e passò alla difesa della libertà. Nel 94 divenne professore a Jena e in questo periodo scrisse le opere più importanti. Nel 99 in seguito ad un articolo scritto sul Giornale Filosofico di Jena nel quale identificava Dio con l’ordine morale del mondo fu accusato di ateismo e fu condannato insieme al direttore del giornale. Saputo ciò Fichte scrisse una lettera minacciando il governo di lasciare l’insegnamento insieme ad altri professori, ma il governo di Jena lo convinse che era meglio dare le dimissioni. Si recò a Berlino dove entrò in contatto con i romantici. Morì nel 1814 per una febbre trasmessagli dalla moglie che l’aveva contratta curando i soldati feriti ( grazie Johanna il tuo sacrificio non è stato vano). Egli sentì con forza l’esigenza di un azione morale, anche se nella seconda parte della sua vita questa esigenza venne sostituita dalla fede religiosa. Egli al contrario di Kant volle costruire una filosofia dell’infinito. L’influenza Kantiana si può scorgere solo nel primo periodo della sua attività letteraria. In seguito egli dirà che la cosa in se è solo un sogno, un non pensiero. Negli ultimi anni della sua vita egli modificò la sua filosofia con nuove esposizioni della sua dottrina della scienza.
Dall’io di Kant che è finito perché limitato dal noumeno ed è il principio formale del conoscere si passa all’io fichtiano che è infinito perché tutto esiste nell’io e per l’io ed è il principio formale e materiale a cui si deve la forma della realtà e la realtà stessa. L’io è anche assolutamente attivo, spontaneo e libero. La deduzione di Fichte è assoluta o metafisica perché deve far derivare dall’io sia il soggetto che l’oggetto del conoscere, inoltre mette capo a un principio assoluto che pone o crea il soggetto e l’oggetto in virtù di un attività creatrice ovvero di una intuizione intellettuale. La filosofia deve essere un sapere assoluto e perfetto. Il concetto dalla sua opera Dottrina della Scienza è quello di una scienza della scienza ossia un sapere che metta in luce il principio su cui si fonda la validità di ogni scienza. Il principio è l’io o autocoscienza, perché l’esser per noi è soltanto possibile sotto la condizione della coscienza e questa è possibile solo sotto la condizione dell’autocoscienza. La coscienza è il fondamento dell’essere, l’autocoscienza è il fondamento della coscienza.
Il principio fondamentale della filosofia tradizionale è la legge di identità A = A, ma essa per Fichte dipende dal principio dell’io, perché senza l’identità dell’io Io = Io, esso non può affermare nulla. Il principio supremo del sapere è l’io stesso ed esso non è posto da nessun altro perché l’Io si autocrea. Questa nuova metafisica dice che l’essere dell’Io appare il frutto della sua azione e il risultato della sua libertà. L’io è nello stesso tempo attività agente (Tat) e prodotto dell’azione (handlung) che Fichte chiama Tathandlung. Questa visione è simile a quella rinascimentale dell’uomo come libero e sovrano artefice di se stesso.
I tre momenti della deduzione fichtiana sono:

  1. L’io si autopone: come attività auto creatrice e infinita, come condizione incondizionata di se stesso e della realtà e come principio primo del sapere
  2. L’io oppone a se stesso e in se stesso il non-io
  3. Essi sono reciprocamente limitati, l’io divisibile limita e oppone il non-io divisibile

Questi tre principi delineano i capisaldi della dottrina fichtiana perché stabiliscono l’esistenza di un io infinito, l’esistenza di un io finito e la realtà di un non-io. I tre principi non vanno interpretati come un ordine cronologico (ovvero che avvengono nel tempo), ma come ordine logico. Fichte vuole mettere in luce come la natura NON sia una realtà autonoma che precede lo spirito, ma qualcosa che esiste soltanto come momento dialettico della vita dell’io quindi per l’io e nell’io.
L’io per Fichte risulta finito e infinito al tempo stesso: finito perché limitato dal non io e infinito perché quest’ultimo esiste solo in relazione e dentro l’io.
L’io infinito è l’insieme degli io finiti anche se il primo perdura nel tempo.
L’io infinito è la meta ideale degli io finiti. L’infinito per l’uomo è una missione; l’uomo è uno sforzo infinito verso la libertà ovvero una lotta inesauribile contro il limite. Il compito dell’uomo è l’umanizzazione del mondo ossia spiritualizzare le cose e dare origine ad una natura plasmata secondo i nostri scopi e una società di esseri liberi e razionali.
La missione non è conclusa, perché se lo fosse, L’io, la cui essenza è lo sforzo (Streben) cesserebbe di esistere.
I tre principi rappresentano la piattaforma della deduzione delle categorie, infatti si possono far corrispondere i tre momenti alle categorie di qualità, di quantità e di relazione.

 

Fichte (2° parte)

Dire che la storia filosofia si articola nei tre  momenti significa che l’io presenta una struttura triadica e dialettica e incentrata sul concetto di una sintesi degli opposti.
Nella Prima introduzione alla dottrina della Scienza Fichte dice che idealismo e dogmatismo sono le uniche filosofie possibili: l’idealismo consiste nel partire dall’io o dal soggetto per spiegare l’oggetto, mentre il dogmatismo parte dalla cosa in sé o dall’oggetto per spiegare l’io o il soggetto. Nessuno di questi due sistemi confuta quello opposto, ma il dogmatismo finisce per rendere nulla o problematica la libertà, mentre l’idealismo è una rigorosa dottrina della libertà. Per questo gli individui che non hanno il senso della libertà sceglieranno il dogmatismo mentre gli altri l’idealismo. La superiorità etica e teoretica dell’idealismo sta nel fatto che l’Io è la rappresentazione originaria e assoluta che può spiegare sia se stesso, sia le cose, sia il loro rapporto.
Dall’azione reciproca di io e non io nascono la conoscenza e l’azione morale. Fichte ammette che la rappresentazione sia il prodotto di un attività del non io sull’io (per questo è anche realista), ma poiché il non io è prodotto dall’io, l’attività risulta riflessa. Questo genera una domanda: perché il non io è sussistente e indipendente dall’io. Fichte risponde con la teoria dell’immaginazione produttiva che egli intende come l’atto attraverso cui l’io pone il non io. Mentre in Kant essa fornisce solo le condizione formali in Fichte produce i materiali stessi del conoscere. Essa è inconscia perché è l’atto con cui il soggetto crea l’oggetto.
La ri-appropriazione umana del non io avviene attraverso una serie di gradi della conoscenza tramite una interiorizzazione dell’oggetto che si rivela opera del soggetto: sensazione, intuizione, intelletto, giudizio e ragione.
L’io pone il non io ed esiste come attività conoscitiva solo per poter agire: da ciò il primato della ragione pratica e l’idealismo etico di Fichte secondo cui noi esistiamo per agire e il mondo esiste solo come teatro della nostra azione. Agire significa imporre al non io la legge dell’io e il carattere morale dell’agire sta nel fatto che esso assume la forma del dovere ovvero un imperativo volto a far trionfare lo spirito sulla natura. Per realizzarsi l’io deve agire moralmente, ma non c’è morale se non c’è sforzo per superare l’ostacolo che in Fichte è il non io. Infatti il processo di superamento dell’ostacolo da parte dell’io è infinito e incessante. L’io è infinito poiché si svincola dagli oggetti che si pone.
Secondo Fichte il dovere morale può essere realizzato dall’io finito solo insieme agli altri io finiti; ogni io finito è costretto a porre i limiti alla propria libertà e ad agire per far si che l’umanità sia sempre più libera: ecco lo sforzo sociale dell’io. Gli intellettuali non devono essere isolati, ma persone pubbliche con particolari responsabilità sociali. Il dotto deve condurre gli uomini alla coscienza dei loro bisogni e istruirli sui modi per soddisfarli. Il dotto che è l’essere moralmente migliore deve essere maestro ed educatore del genere umano. Il fine di ogni singolo uomo è il perfezionamento morale di tutto l’uomo.

 

Il pensiero politico di Fichte

Il pensiero politico di Fichte si svolge attraverso due fasi: la prima in difesa delle idee della Rivoluzione Francese; la seconda durante le guerre napoleoniche in Germania che stimola il suo pensiero nazionalistico.  
Nei primi scritti egli condivide una visione contrattualistica e antidispotica dello stato a favore della libertà di pensiero, affermando che lo scopo del contratto sociale è l’educazione alla libertà, di cui è corollario il diritto alla rivoluzione. Infatti se lo stato non permette l’educazione alla libertà ciascuno ha il diritto di rompere il contratto.
In seguito Fichte dice che  il fine dello stato è rendersi inutile a favore di una società di persone libere e responsabili. Fichte riconosce che questo è un ideale-limite, ma sa che lo Stato non può fare a meno di proporsi questo obbiettivo.
Fichte dice anche che lo stato deve farsi garante del diritto ovvero garantire libertà proprietà e conservazione all’uomo che non può agire senza di essi. Lo Stato deve inoltre rendere impossibile la povertà garantendo lavoro e benessere; Fichte crea cosi uno stato autarchico e socialista, ma non comunista in quanto non esclude la proprietà privata che è fatta scaturire dal dovere etico al lavoro.
Le classi sociali dello stato sono 3: i lavoratori dell’industria mineraria e gli agricoltori (producono la ricchezza), artigiani operai e imprenditori (trasformano la ricchezza) e i commercianti insegnanti soldati e funzionari (diffondono la ricchezza).
Fiche dichiara inoltre che lo stato ha il compito di sorvegliare l’intera produzione e distribuzione dei beni fissando il numero dei lavoratori in base ala quantità dei beni prodotti.  Lo stato deve organizzarsi con un tutto chiuso senza contatti coll’estero che sono causa di guerra. Se manca ciò che occorre per fabbricare i prodotti necessari lo stato può attribuirsi il commercio con l’estero e farne un monopolio.
La battaglia di Jena e l’occupazione napoleonica fanno cambiare la politica di Fichte in senso nazionalistico Nei celebri Discorsi alla nazione tedesca il tema fondamentale è l’educazione. Egli ritiene che il mondo moderno abbisogna di una nuova educazione per la maggioranza del popolo per trasformare la struttura psichica e fisica delle persone. Egli dice che solo il popolo tedesco risulta adatto a promuovere la nuova educazione in virtù del carattere fondamentale che è la lingua. Infatti i tedeschi sono gli unici ad aver mantenuto la loro lingua e il loro sangue non si è mischiato a quello di altre stirpi, essi sono l’Urvolk ovvero il popolo primitivo integro e puro. I tedeschi sono gli unici ad avere una patria nel senso più alto del termine e a costituire un’unità organica che si identifica con la realtà profonda della nazione. Fichte proclama che la Germania essendo la sede di Lutero, Liebniz, Kant e del romanticismo è la nazione spiritualmente eletta a realizzare l’umanità fra gli uomini; se essa fallisse l’umanità perirebbe.
Occorre comunque dire che il primato tedesco è solo spirituale e culturale e non politico o militare, che l’interesse ultimo di questa educazione è l’umanità intera e il fine di quest’ultima siano i valori etici della libertà. I Discorsi sono un testo chiave del patriottismo e dello nazionalismo fanatico tedesco (che finirà dopo il gol di Grosso del 4/7/06) anche se hanno trovato il loro epilogo nel nazismo.
In fine Fichte dirà che il diritto è la condizione preparatoria della moralità. Se questa fosse realizzata il diritto sarebbe superfluo, ma non è cosi. Per questo egli accentua la missione educatrice dello Stato e risolve l’io empirico nel noi spirituale della nazione.

 

Schelling

 

Schelling nacque a Leonberg nel 1775. A 16 entrò nel seminario teologico di Tubinga e fece amicizia con Hegel e Holderlin. In seguito studio a Lipsia e a Jena. Nel 98 fu nominato grazie a Goethe aiutante di Fichte a Jena e l’anno dopo in seguito alle dimissioni di Fichte subentrò al suo posto. Qui sposò Carolina Schlegel e nel 1803 passò ad insegnare a Wurzburg e in seguito a Monaco dove divenne segretario dell’accademia delle belle arti. Nel frattempo interrompe l’amicizia con Hegel e assiste amareggiato al suo trionfo. Nel 1809 muore la moglie e 3 anni dopo si sposa con la figlia di una sua amica. Nel 20 passa ad insegnare ad Erlangen e in seguito a Monaco. Nel 41 succede Hegel nella cattedra di Berlino per andare contro l’hegelismo che si diffondeva in Germania. Muore nel 54.
L’interesse di Schelling è rivolto alla natura e all’arte e in seguito al problema metafisico religioso. Lo sviluppo del suo pensiero si divide in 6 fasi che possiamo raggruppare in 2 macrofasi:

  1. Fasi successive del primo periodo dell’idealismo in chiave panteistica:

L’iniziale momento fichtiano
La fase della filosofia della natura
Il periodo dell’idealismo trascendentale
Lo stadio della filosofia dell’identità

  1. Avverte la drammaticità del finito – esistenzialismo – profondamente religioso

Il periodo teosofico e della filosofia della libertà
La fase della filosofia positiva e della filosofia della religione
Schelling e i romantici vedono chiaramente che la filosofia di Fichte inaugura un nuovo indirizzo. Egli cerca di volgere il fichtismo alla difesa e all’illustrazione degli interessi naturalistico estetici. Egli riporta l’Io Assoluto alla Sostanza di Spinoza che è il principio dell’infinità oggettiva, mentre l’io è il principio dell’infinità soggettiva. Egli li vuole unire nel concetto di assoluto che non è ne soggetto ne oggetto, ma un unità o identità indifferenziata che è contemporaneamente soggetto e oggetto, spirito e natura, ideale e reale, conscio e inconscio.
La natura ha vita razionalità e valore in se stessa per questo ha in se un principio autonomo che è l’Assoluto che la spieghi in tutti i suoi aspetti e spiega il mondo della ragione e dell’io e quindi la storia. Questo porta Schelling ad ammettere due possibili direzioni della ricerca: l’una, la filosofia della natura diretta a mostrare come la natura si risolve nello spirito e l’altra la filosofia trascendentale diretta a mostrare come lo spirito si risolva nella natura. Alla base di tale filosofia c’è il rifiuto del meccanismo e del finalismo, perché il primo si trova in difficoltà a spiegare gli esseri viventi, mentre il secondo compromette l’autonomia dei processi naturali.
Schelling contrappone il proprio organicismo finalistico e immanentistico secondo cui:

  1. Ogni parte ha senso solo in relazione in tutto e alle parti
  2. L’universo non si riduce ad una collisione di atomi poiché c’è una parte di finalismo che però è immanente ovvero interno alla natura stessa.

Per questo la natura è un organismo che organizza se stesso, essa obbedisce ad un concetto ed è una entità spirituale inconscia. La natura presenta gli stessi caratteri dell’io di Fichte ovvero attività spontanea e creatrice e crea le altre creature e si dialettizza in 2 principi l’attrazione e la repulsione.
Con l’intento di ricostruire unitariamente la storia della natura egli articola la storia dell’universo in 3 potenze o livelli di sviluppo:

  • Mondo inorganico
  • La luce in cui la natura si fa visibile a se stessa
  • Mondo organico nel quale con la sensibilità abbiamo il preannuncio dell’autocoscienza.

La natura si configura quindi come un processo in cui si ha una progressiva smaterializzazione della materia e un progressivo emergere dello spirito.

 

La filosofia dell’identità e la fase teosofica

La filosofia della natura e della storia hanno come presupposto la teoria dell’Assoluto come identità o indifferenza di soggetto e oggetto. Per questo si pensa che la fase della filosofia dell’identità sia una continuazione di quella precedente. In realtà no, perché mentre prima Schelling partiva dalla natura e dallo spirito per giungere all Assoluto ora fa il contrario convinto che la vera difficoltà non sia quella di cercare l’unità divina negli opposti, ma di dedurre gli opposti dall’unità.
Schelling si trova di fronte al problema di spiegare come dall’uno discendano i molti e come dall’eterno nasca il tempo. Egli afferma che dall’infinito al finito non vi è passaggio, se non a patto di ammettere che il finito è gia in Dio. Ma il finito può essere nell’Assoluto solo se ci è in modo infinito ed eterno, ossia sottratto ai limiti di spazio e di tempo. Per questo afferma che il finito è presente in Dio sotto forma di un sistema di idee. Però il questo fatto non da ancora ragione di come mai le idee si specifichino a loro volta nelle cose.
Nella fase teosofica o della filosofia della libertà egli afferma che dall’infinito al finito o dall’Assoluto al relativo non vi può essere passaggio ma solo rottura che deriva dalla libertà umana che operando il male provoca il distacco del finito dall’Assoluto. Tuttavia in questo modo Schelling non fa che presupporre gia l’esistenza del finito della libertà e del male, ossia ciò che vorrebbe spiegare. Da ciò deriva il problema della giustificazione metafisica di tali realtà: da dove derivano il finito il male e la libertà?
Di fronte a queste domande il teismo creazionista (Dio puro personale e creatore), l’emanazionismo (Dio super-essente da cui emana l’universo) e il panteismo (Dio-mondo) appaiono impotenti. La prima e la seconda perché partendo da un Dio puro non riesce a spiegare perché l’Assoluto da vita all’imperfetto. Inoltre il teismo riducendo il male al non-essere non lo può giustificare nel mondo. Il panteismo perché non riesce a spiegare né il salto dall’infinito al finito né l’esistenza del male.
Ciò lo porta a ritenere che in Dio vi sia una serie di opposti – irrazionalità e razionalità, necessità e libertà, egoismo ed amore ecc. – che danno luogo ad un percorso avente come teatro il mondo, in cui si ha un progressivo trionfo del positivo sul negativo. In Dio vi è da un lato un fondo abissale inconsapevole, un’oscura brama o desiderio d’essere (detta natura) e dall’altro una ragione consapevole (detta essere). In Dio l’essere emerge dalla natura irrazionale. In tal modo l’Assoluto cessa di essere un atto puro per configurarsi come un Dio vivente ossia come un Dio che non è, ma diviene.
La creazione sgorga dal volere inconscio di Dio e dal suo oscuro desiderio d’essere e rappresenta un momento necessario della vita divina, che non può farese stressa se non facendo il mondo. Inoltra fra l’aspetto inconscio e abissale di Dio e il suo essere razionale non vi è antitesi, ma armonica compenetrazione. Nella teofania cosmica di Schelling la vera possibilità del male sorge soltanto in relazione all’uomo quando egli turbando il piano divino sceglie il negativo ribellandosi a Dio.

 

Idealismo trascendentale e filosofia positiva

Nel 1800 nella sua opera Sistema dell’idealismo trascendentale Schelling descrive il suo nuovo pensiero. Se la filosofia della natura parte dell’oggetto per derivarne il soggetto, la filosofia trascendentale parte dal soggetto per derivarne l’oggetto, mostrando il progressivo farsi natura dell’intelligenza. La filosofia trascendentale ha il compito di illustrare come lo spirito si risolva nella natura e come sia in se stesso una natura invisibile. Essa parte dall’idealismo (dal soggetto dall’ideale e dal formale) per giungere al realismo (oggetto reale e materiale). Essa ha il compito di dedurre l’oggetto dal soggetto facendo vedere come i modi di auto costituzione dello spirito (le strutture e le leggi del soggetto) siano identici ai modi di auto costituzione della natura (cioè alle strutture e le leggi dell’oggetto).
Il punto di partenza della deduzione schellinghiana è l’autocoscienza che ha la forma di un intuizione intellettuale ossia di un’attività auto creatrice in virtù della quale l’Io, proprio nel momento in cui conosce o intuisce se stesso, produce o istituisce se stesso. In essa esistono 2 attività:

  • Una reale che consiste nel fatto che l’Io nel suo libero e infinito porsi, incontra il limite e risulta quindi limitabile.
  • Un ideale dove l’Io nel suo infinito intuirsi e auto prodursi procede oltre ogni limite dato e risulta quindi illimitabile.

L’io presenta una struttura di tipo dialettico-fichtiano in quanto si configura come un’attività non limitabile che esiste soltanto in presenza di un  limite che essa stessa pone e oltrepassa continuamente.
Schelling distingue 3 epoche o fasi di sviluppo dell’Io:

  1. Procede dalla sensazione, in cui l’Io trova davanti a se un dato che lo limita e avverte il suo sentire come un patire, all’intuizione produttiva, dove l’Io prende coscienza della sua attività che prevede il superamento incessante del limite
  2. Arriva alla riflessione dove l’Io riflettendo su se medesimo si eleva all’intelligenza differenziata di sé
  3. Arriva alla volontà in quanto l’Io si coglie come volontà e spontaneità  ovvero come intelligenza autodeterminatesi.

A questo punto ci si domanda perché l’oggetto non appare fin dall’inizio una produzione del soggetto? Se il soggetto producesse consapevolmente i propri oggetti non potrebbe pensarli in seguito come delle cose in se perché l’Io li genera inconsciamente tramite la produzione inconscia. L’idealismo trascendentale di Schelling appare una sorta di anamnesi filosofica dell’Io, ovvero come una presa di coscienza di quel produrre inconscio della spirito.
La filosofia pratica inizia con la terza epoca dove lo spirito si pone come volontà che si concretizza nella morale che accentua la liberà dell’agire e nel diritto che accentua la necessità. In tal modo nasce un’antitesi tra libertà e necessità. Una prima composizione dell’antitesi è rappresentata nella storia che è sintesi di libertà e necessità. Schelling sostiene l’esistenza di un disegno che si va attuando gradualmente nel tempo, precisando che la storia è come un dramma nel quale tutti recitano la loro parte in piena libertà e secondo il proprio capriccio dove il poeta della storia, l’Assoluto o Dio, dà unità di svolgimento e si attua e si rivela. La rivelazione storica dell’assoluto avviene in tre periodi:

  1. Sotto forma di destino, una forza cieca
  2. Si rivela come natura
  3. Si rivela come provvidenza.

Schelling non  sa quando comincerà questo ultimo periodo ma se ci sarà ci sarà anche la definitiva realizzazione della sintesi tra libertà e necessità. In questo regno si avrà anche la pace che è il fine ultimo della storia
Nella filosofia e nella storia spirito e natura appaiono distinti, per questo occorre rintracciare un’attività nella quale si armonizzino: questa attività è l’arte. Nella creazione estetica l’artista risulta in preda ad una forza inconsapevole che lo ispira facendo si che la sua opera si presenti come sintesi di un momento inconscio o spontaneo (ispirazione) e di un momento conscio e meditato (esecuzione). L’intero fenomeno dell’arte è un produrre spirituale in modo naturale o un produrre naturale in modo spirituale. Nella creazione estetica si ripete il mistero stesso della creazione del mondo da parte dell’Assoluto. L’esaltazione romantica del valore dell’arte trova in Schelling la sua più significativa espressione filosofica per questo il suo idealismo è definito estetico.
Nel 1809 Schelling interrompe la sua attività letteraria assistendo al trionfo di Hegel per poi riprenderla solo dopo 3 anni dalla morte di Hegel, nell’ultima fase del suo pensiero ovvero la filosofia positiva. Hegel ha distrutto la distinzione tra il razionale e il reale, ha posto il razionale al posto del reale, ha ridotto tutto al concetto e ha avuto la pretesa di derivare da concetti astratti tutta la realtà, l’esistenza del mondo e quella di Dio.
Da ciò la distinzione tra filosofia negativa che si limita a studiare l’essenza o la possibilità logica delle cose (quid sit) e una filosofia positiva che concerne la loro esistenza e realtà effettiva (quod sit). Schelling afferma che l’esistenza derivando dalla libera e imprevedibile volontà di Dio non può venir logicamente dedotta, ma solo indotta. Il filosofo ha il compito di constatare e di interpretare speculativamente la rivelazione che Dio fa di se stesso nel mondo. Dio si manifesta dapprima nella sua natura e nella sua necessità (come accade nella religione naturale) e poi nella sua assoluta personalità e libertà (come accade nella religione rivelata).

 

Hegel

 

Hegel nacque il 27 agosto del 1770 a Stoccarda. Studiò a Tubinga dove strinse amicizia con Schelling e Holderlin. Da giovane si entusiasmò per la rivoluzione francese e per Napoleone. Terminati gli studi feec da precettore privato a Berna e a Francoforte. Nel frattempo morì suo padre che gli lasciò un piccolo capitale e si trasferì a Jena. Nel 1805 divenne professore a Jena e nel 1808 divenne direttore del ginnasio di Normberga. Nel 1816 divenne professore di filosofia a Heidelberg e nel 18 a Berlino dove cominciò il periodo del suo massimo successo. Morì a Berlino di colera nel 31. Nel periodo giovanile gli scritti seguono un interesse religioso-politico, mentre nella maturità c’è un maggiore interesse storico-politico. Ricordiamo tra gli altri Fenomenologia dello spirito e Lineamenti di filosofia del diritto.
Le tesi di fondo del suo pensiero sono: la risoluzione del finito nell’infinito, l’identità tra ragione e realtà, e la funzione giustificatrice della filosofia.
Con la prima tesi Hegel intende che la realtà non è un insieme di sostanze autonome, ma un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è parte o manifestazione e coincide con l’assoluto e l’infinito, mentre i vari enti del mondo sono il finito. Il finito in quanto è reale non è tale ma è lo stesso infinito. Per questo è detto monismo panteistico cioè il finito è manifestazione e realizzazione di Dio (dell’infinito). Ma a differenza di Spinoza che vede l’Assoluto come sostanza statica che coincide con la natura, Hegel vede l’Assoluto come un soggetto spirituale in divenire di cui tutto ciò che esiste è momento o tappa di realizzazione. La realtà è soggetto poiché è un processo di autoproduzione che soltanto alla fine con l’uomo (lo Spirito) e le sue attività più alte giunge a rivelarsi per quello che è veramente.
Il soggetto spirituale infinito viene detto da Hegel idea o ragione intendendo l’identità di pensiero ed essere o meglio di ragione e realtà. Da ciò deriva la frase ciò che è reale è razionale, ciò che è razionale è reale. Hegel intende dire che la razionalità non è pura idealità ma la forma stessa di ciò che esiste e che la realtà non è una materia caotica, ma il dispiegarsi di una struttura razionale. Hegel esprime la necessaria, totale e sostanziale identità di realtà e ragione che implica l’identità tra essere e dover essere in quanto ciò che è risulta anche ciò che razionalmente deve essere.
Hegel ritiene che la realtà costituisca una totalità processuale necessaria formata da una serie di gradi o momenti che rappresentano il risultato di quelli precedenti e il presupposto di quelli seguenti.
Il compito della filosofia consiste nel prendere atto della realtà e nel comprendere le strutture razionali che la costituiscono. La filosofia non arriva a dire come deve esser il mondo perché arriva prima la ragione. Deve soltanto elaborare in concetti il contenuto reale che l’esperienza le offre dimostrandone con la riflessione l’intrinseca razionalità. Il compito della filosofia è giustificare ciò che realmente esiste.
Hegel ritiene che il farsi dinamico del’Assoluto passi attraverso 3 momenti dell’idea:

  1. L’idea in sé e per sé (tesi) dove l’idea è considerata se stessa
  2. L’idea fuori di sé (antitesi) cioè l’idea nella realtà spazio-tempo ovvero la natura
  3. L’idea che ritorna in sé (sintesi) ovvero l’idea che dopo essersi fatta natura torna nell’uomo.

Ciò che davvero esiste nella realtà è lo spirito, la sintesi, il quale ha come sua condizione la natura, antitesi, e come presupposto l’idea pura, tesi.
A questi tre momenti Hegel fa corrispondere le 3 sezioni in cui si divide il sapere filosofico: la logica, la filosofia della natura e la filosofia dello spirito.

 

Hegel (2° parte)

L’assoluto è divenire. La legge che regola questo divenire è la dialettica, la legge di sviluppo e comprensione della realtà. Hegel distingue 3 momenti:

  1. L’astratto o intellettuale (tesi): consiste nel concepire l’esistente sotto forma di una molteplicità di determinazioni statiche e separate secondo il principio di identità e non contraddizione.
  2. Il dialettico o negativo-razionale (antitesi): consiste nel mostrare che le determinazioni devono essere relazionate con altre; poiché ogni affermazione sottintende una negazione occorre mettere in relazione le determinazioni con le loro opposte.
  3. Lo speculativo o positivo-razionale (sintesi) consiste nel cogliere l’unità delle determinazioni opposte.

La dialettica comprende tutti e 3 i momenti. Essa mostra come ogni finito non esiste in se stesso ma solo in un contesto di rapporti, quindi esprime il processo mediante cui le varie parti della realtà perdono la loro rigidezza e diventano momenti di un idea unica e infinita. Il momento negativo della dialettica sussiste solo come un momento del farsi positivo .La dialettica non è un processo infinitamente aperto, ma una dialettica a sintesi chiusa ovvero con un preciso punto di arrivo.

Hegel critica le altre filosofie del periodo:

  • Contro gli illuministi Hegel spiega che essi sono costretti a ritenere che il reale non è razionale perché fanno dell’intelletto i giudice della storia dimenticando lo spirito: la ragione degli illuministi esprime solo le esigenze e le aspirazioni degli individui
  • Contro Kant Hegel dice che con i suoi dualismi Criticotto (soprannome di Kant) non riesce a cogliere l’infinito e l’essere non si adegua mai al dover essere
  • Ai romantici Hegel contesta il primato del sentimento dell’arte e della fede. Inoltre contesta i loro atteggiamenti individualistici. Hegel non costituisce il superamento del romanticismo, ma solo il diverso esito di una determinata direzione di sviluppo della cultura romantica.
  • Hegel accusa il soggettivismo di Fichte di non riuscire ad assimilare adeguatamente l’oggetto. Il supermento infinito del finito è il falso o cattivo infinito o infinito negativo.
  • Hegel critica l’Assoluto di Schelling che è un abisso vuoto nel quale si perdono tutte le determinazioni concrete.

 

La Fenomenololgilali..li...logia? Fenomemonololgilalimonelonogia dello Spirito

Il principio della risoluzione del finito nell’infinito o dell’identità di razionale e reale è stato illustrato da Hegel in due forme diverse. Dapprima Hegel si è fermato ad illustrare la via che per giungere fino ad esso ha dovuto percorrere la coscienza umana o la via che lo stesso principio ha dovuto percorrere per goungere a se stesso; in secondo luogo Hegel ha illustrato quel principio quale appare in atto in tutte le determinazioni fondamentali della realtà. La prima è quella che troviamo nella Fenomenologia mentre la seconda nell’enciclopedia. Hegel ha inoltre incluso la fenomenologia come una sezione della filosofia dello spirito nell’enciclopedia.
La fenomenologia è la storia romanzata della coscienza che esce dalla sua individualità, raggiunge l’universalità e si riconosce come ragione che è realtà e come realtà che è ragione. L’intero ciclo della fenomenologia si può vedere riassunto in una delle sue figure particolari: la coscienza infelice: che è quella che non sa di essere tutta la realtà, perciò si ritrova scissa in differenze, opposizioni o conflitti dai quali è internamente dilaniata e dai quali esce solamente arrivando ala coscienza di essere tutto.
Il punto di partenza della coscienza è la certezza sensibile, che rende certi solo di una cosa singola, di questa cosa. Ciò implica che la certezza sensibile non è certezza dalla cosa particolare ma del questo. Dalla coscienza sensibile si passa alla percezione: un oggetto non può essere percepito come uno se l’io non si prende su di se l’affermata unità. Dalla percezione si passa all’intelletto che è condotto a vedere nell’oggetto stesso un semplice fenomeno a cui si contrappone l’essenza vera dell’oggetto che è ultrasensibile. La coscienza a questo punto ha risolto l’intero oggetto in se stessa ed è diventata autocoscienza.
L’uomo è autocoscienza solo se riesce a farsi riconoscere da un’altra autocoscienza. Si potrebbe pensare che questo debba avvenire tramite l’amore esaltato negli scritti giovanili di Hegel, ma il riconoscimento non può che passare attraverso un momento di lotta e di sfida tra le due autocoscienze che non si conclude con la morte, ma con il subordinarsi di una all’altra nel rapporto servo-signore (io lavolale a casa de signole due botte a settimana). Tuttavia c’è un inversione dialettica dei ruoli, percui il signore diventa servo del servo e il servo signore del signore. Questo processo avviene attraverso 3 momenti:

  • La paura della morte: lo schiavo è tale perché ha tremato dinanzi alla morte e attraverso la paura di perdere la propria essenza lo schiavo ha potuto sperimentare il proprio essere come qualcosa di distinto o di indipendente dal mondo della realtà
  • Il servizio: in esso la coscienza si autodisciplina e impara a vincere, in tutti i singoli momenti, i suoi impulsi naturali.
  • Il lavoro: in esso il servo imprime una forma alle cose, forma se stesso e imprime nell’essere quella forma che è l’autocoscienza.

Questo si conclude con la coscienza dell’indipendenza del servo nei confronti delle cose e della dipendenza del signore nei confronti del lavoro servile.
L’autocoscienza trova la sua manifestazione filosofica nello stoicismo, però raggiunge soltanto un astratta libertà interiore, perché la realtà esterna non è negata. Lo scetticismo esclude il mondo esterno ma cade nel suo classico atteggiamento contradditorio e insostenibile.
La coscienza infelice ebraica rappresenta la traduzione in chiave religiosa della situazione sociale del rapporto servo signore.
Con il cristianesimo la coscienza continua ad essere infelice e Dio continua ad configurarsi come un irraggiungibile che sfugge. La devozione è quel pensiero a sfondo sentimentale e religioso che non si è ancora elevato a concetto. Il fare e operare della coscienza pia è il momento in cui la coscienza cerca di esprimersi nell’appetito e nel lavoro. Essa avverte come dono di Dio anche le proprie forze e le proprie capacità. Tale vicenda prosegue e si esaspera con la mortificazione di se in cui si ha la più completa negazione dell’io a favore di Dio.
Come soggetto assoluto l’autocoscienza è diventata ragione e ha assunto in se ogni realtà, esse è la certezza di essere ogni realtà che per divenire verità ammette un inquieto cercare. Questo cercare altra cosa finisce per diventare cercare la realtà in se stessa, ma ciò non avviene e la ragione si riconosce come qualcosa distinto dal mondo. Questa è detta ragione osservativa che diventa attiva quando ci si rende conto che l’unità di io e mondo non è qualcosa di dato, ma qualcosa che deve venir realizzato. Tuttavia questo progetto finche assume la forma di uno sforzo individuale è destinato a fallire come testimoniano le tre figure della ragione attiva:

  1. Il piacere e la necessità: l’individuo si getta nella vita e va alla ricerca del proprio godimento
  2. La legge del cuore: l’individuo entra in conflitto con altri portatori del vero progetto di miglioramento della realtà
  3. La virtù e il corso del mondo: individuo oppone ai fanatismi l’agire in grado di procedere oltre l’immediatezza del sentimento e delle inclinazioni soggettive.

Alla ragione osservativa e attiva ΔHegel aggiunge l’individualità che pur potendo raggiungere la propria realizzazione rimane astratta e inadeguata.
La prima figura è detta il regno animale dello spirito perché la vita dello spirito viene completamente risolta nella cura dei propri compiti, ma in ciò ci è un inganno in quanto l’individuo tende a spacciare la propria opera come la cosa stessa cioè come il dovere morale stesso.
La seconda figura è quella della ragione legislatrice che cerca in se stessa delle leggi che valgono per tutti, ma che si rivelano auto contraddittorie. Tali contraddizioni spingono l’autocoscienza a farsi ragione esaminatrice di leggi cioè cercare leggi assolutamente valide.
Con queste figure Hegel intende farci capire che se ci si pone dal punto di vista dell’individuo si è inevitabilmente condannati a non raggiungere mai l’universalità. L’individuo risulta fondato dalla realtà storico sociale e non viceversa.
Per spirito Hegel intende l’individuo nei suoi rapporti con la comunità; lo spirito comprende 3 tappe fenomenologiche:

  • Lo spirito vero, l’eticità. Fase dell’eticità classica.
  • Lo spirito che si è reso estraneo a se, la cultura. Fase della frattura tra io e società
  • Lo spirito certo di se stesso, la moralità. Riconquista dell’eticità e dell’armonia fra individuo e comunità in cui lo spirito si riconosce nella sostanza etica dello Stato.

 

L’Enciclopedia

La logica prende in considerazione la struttura programmatica o impalcatura originario del mondo che si specifica in un organismo dinamico di concetti che costituiscono determinazioni della realtà. Mentre per Kant i concetti sono funzioni mentali in riferimento al fenomeno per Hegel sono determinazioni del pensiero e della realtà in se. Hegel passa in rassegna le principali posizioni del pensiero logico rispetto all’oggettività:

  • Procedere ingenuo: ritenere che da una parte vi sia il pensiero e dall’altra le cose e che il pensiero possa conoscere ciò che gli oggetti veramente sono
  • Empirismo: elevando il contenuto della percezione a rappresentazione fa di quest’ultima la norma e la misura dell’oggettività riducendo la realtà vera delle cose a una x impenetrabile
  • Filosofia della fede: pone l’esigenza di saltare dal pensiero all’esser, ma sbaglia nel ritenere che il salto sia possibile tramite il sentimento o la fede.

La logica e la metafisica sono per Hegel la stessa cosa.
La logica si divide in logica dell’essere, dell’essenza e del concetto: partendo dai concetti più poveri arriva grazie all’aiuto della ragione dialettica ai concetti concreti
Il punto di partenza è il concetto dell’essere (concetto vuoto). L’esser è identico al nulla, ma la loro unità è il divenire. L’essere determinato è tale in virtù della qualità che lo specifica e lo rende finito, della quantità e della misura che determina la quantità della qualità. Queste categorie considerano l’essere fuori di ogni relazione. Dall’essere si passa all’essenza quando l’essere scorge le proprie relazioni e scopre la propria ragion sufficiente: le categorie fondamentali dell’essenza sono: l’essenza come ragione dell’esistenza, il fenomeno e la realtà in atto. L’essenza scoprendosi identica a se stessa e diversa dalle altre scopre la ragione d’essere e diventa esistenza. La manifestazione adeguata dell’esistenza è il fenomeno. La realtà in atto, ciò che esiste, è l’unione di essenza e esistenza.
L’essere diventa quindi concetto, ovvero lo spirito vivente della realtà. Il concetto è in primo luogo concetto soggettivo poi oggettivo e infine è idea, unità dell’oggettivo e del soggettivo. Il concetto soggettivo si determina nei suoi 3 aspetti di universalità particolarità e individualità, poi si esprime nel giudizio e si organizza nel sillogismo. Il concetto oggettivo costituisce le categorie fondamentali della natura: meccanicismo, chimismo e teleologia. L’idea è cosi la totalità della realtà in tutta la sua ricchezza delle determinazioni e relazioni interiori. Nella sua forma immediata l’idea è la vita, ma nella sua forma mediata è il conoscere nel quale soggetto e oggetto appaiono distinti e uniti. Al di la della vita e del conoscere e come loro unità c’è l’idea assoluta, cioè l’idea che si riconosce nel sistema totale della logicità. L’idea assoluta è la logica stessa di Hegel nella totalità e unità delle sue determinazioni

 

La filosofia della natura e dello spirito

Hegel ammette che la filosofia della natura abbia per presupposto e condizione la fisica empirica, ma questa deve limitarsi a fornirle il materiale, perché poi la filosofia della natura mostra la necessità con la quale le determinazioni naturali si concatenano in un organismo concettuale.
La natura è l’idea nella forma dell’essere altro e è essenzialmente esteriorità. Da un lato il filosofo presenta tale passaggio come una sorta di caduta del’idea e dall’altro come una sorta di suo potenziamento.
Il concetto di natura ha tuttavia nella dottrina di Hegel una funziona chiave che non può essere tolto senza compromettere l’intera dottrina.
Le divisioni fondamentali della filosofia della natura sono: la meccanica, la fisica e la fisica organica. La meccanica considera l’esteriorità che è l’essenza propria della natura o nella sua astrazione o nel suo isolamento o nella sua libertà di movimento.
La seconda grande divisione della filosofia della natura, la fisica comprende la fisica dell’individualità universale, dell’individualità particolare e dell’individualità totale. La fisica organica comprende la natura geologica, la natura vegetale e l’organismo animale.
La filosofia dello spirito è lo studio dell’idea che dopo essersi estraniata da sé si fa soggettività e libertà ovvero auto creazione e auto produzione. I tre gradi dello sviluppo dello spirito sono lo spirito soggettivo, quello oggettivo e quello assoluto. Nello spirito ciascun grado è compreso e risolto nel grado superiore.
Lo spirito soggettivo è lo spirito individuale, considerato nel suo lento e progressivo emergere dalla natura. La filosofia dello spirito soggettivo si divide in tre parti:

  • Antropologia: che studia lo spirito come anima che è tutto quel complesso di legami tra spirito e natura nell’uomo. Hegel afferma che l’infanzia è il momento in cui l’individuo si trova in armonia col mondo circostante; la giovinezza il momento in cui l’individuo entra in contrasto con l’ambiente e la maturità quando l’individuo si riconcilia con il mondo.
  • Fenomenologia: studia lo spirito in quanto coscienza autocoscienza e ragione.
  • Psicologia: studia lo spirito in senso stretto nelle sue manifestazioni che sono il conoscere teoretico, l’attività pratica e il volere libero. Il conoscere è la totalità delle determinazioni che costituiscono il processo mediante il quale la ragione trova se stessa nel suo contenuto (intuizione rappresentazione e pensiero). L’attività pratica è l’unione delle manifestazioni attraverso le quali lo spirito giunge in possesso di se e diventa libero (sentimento, impulso e felicità). Lo spirito libero è la volontà di libertà.

Lo spirito oggettivo si manifesta in istituzioni sociali concrete. I suoi momenti sono 3: diritto astratto, moralità ed eticità. Il volere libero si manifesta anzitutto come volere del singolo individuo considerato persona fornita di capacità giuridiche. Il diritto astratto riguarda’esistenza esterna della libertà delle persone concepite come puri soggetti astratti di diritto. La persona trova il suo primo compimento nella proprietà che divine effettivamente tale soltanto in virtù del reciproco riconoscimento tra le persone ossia tramite l’istituzione del contratto. Esso consente l’esistenza del reato che richiede una pena che si configura come un ripristino del diritto violato ovvero come una riaffermazione potenziata del diritto ed appare come una necessità oggettiva nel nostro giuridico vivere insieme.
La moralità è la sfera della volontà soggettiva quale si manifesta nell’azione. Questa sgorga da un proponimento che prende forma di intenzione. Il fine dell’azione è il benessere. Quando intenzione e benessere si sollevano all’universalità il fine assoluto della volontà diventa il bene in se e per se. Il bene è un idea astratta che può anche essere cattiva ossia incapace di realizzare il dovere. Il dominio della moralità è caratterizzato dalla separazione tra la soggettività che deve realizzare il bene e il bene che deve essere realizzato. Bene che assume l’aspetto di dover essere o come dice Hegel di un essere assoluto che insieme non è. Da ciò la contraddizione di essere e dover essere.
La morale del cuore (da consistere il bene nelle inclinazioni arbitrarie del soggetto) e l’ironia romantica (non prende sul serio nessuna realtà finita e abbassa la legge etica a trastullo dell’io) possono minare la morale.
La separazione tra soggettività e bene viene annullata e risolta nell’eticità, che è la moralità sociale ovvero la realizzazione del bene in quelle forme istituzionali che sono la famiglia la società civile e lo Stato. Si configura come una sorta di morale che ha assunto le forme del diritto e un diritto che ha assunto le forme della morale.
Il primo momento dell’eticità è la famiglia, nella quale il rapporto naturale dei sessi assume la forma di un’unità spirituale fondata sull’amore e sulla fiducia. La famiglia di articola nel matrimonio, patrimonio e educazione dei figli. I figli divenuti adulti escono dalla famiglia originaria per crearne di nuove.
La famiglia si frantuma nel sistema conflittuale della società civile che è la sfera economico-sociale e giuridico amministrativa del vivere insieme. Essa si articola in tre momenti:

  • Il sistema dei bisogni: gli individui dovendo soddisfare i propri bisogni mediante la ricchezza e la divisione del lavoro danno origine alle classi che sono tre: agricoltori, artigiani e pubblici funzionari.
  • L’amministrazione della giustizia: concerne la sfera delle leggi e della loro tutela giuridica e si identifica con il diritto pubblico.
  • Polizia e corporazioni: provvedono alla sicurezza sociale. Le corporazioni attuano una sorta di unità tra il singolo e la categoria lavorativa fungendo da cerniera tra società civile e stato.

L’idea di porre tra individuo e stato la società civile è una delle maggiori intuizioni di Hegel e sarà ripresa anche da Marx.
Lo stato rappresenta il momento culminante dell’eticità ossia la riaffermazione dell’unità della famiglia al di la della società civile. Lo stato è una sorta di famiglia in grande. Lo stato è l’incarnazione suprema della moralità sociale e del bene comune. Lo stato di Hegel si differenza da quello liberale (Stato volto a garantire sicurezza) perché questa teoria comporta una confusione tra società civile e stato e si differenzia dal modello di Rousseau (democrazia, sovranità popolare) perché il popolo al di fuori dello stato è solo una moltitudine informe. A ciò Hegel contrappone la teoria secondo cui la sovranità dello Stato deriva dallo Stato medesimo ovvero che lo Stato non è fondato sugli individui ma sull’idea di Stato, per questo è lo stato a fondare gli individui sia dal punto di vista storico temporale che da quello ideale .

 

Lo spirito oggettivo e quello assoluto

Hegel rifiuta il modello contrattualistico di coloro che vorrebbero far dipendere la vita associata da un contratto scaturente dalla volontà arbitraria degli individui, perché è un insulto all’autorità dello Stato. Hegel critica il giusnaturalismo ossia l’idea di diritti naturali esistenti prima e oltre lo Stato, anche se condivide con esso la tendenza a fare dello Stato il punto culminante del processo storico.
Lo Stato hegeliano è sovrano ma non dispotico e ha la forma di uno Stato di diritto e opera soltanto attraverso le leggi e nella forma delle leggi ed è fondato sul rispetto di esse. Hegel sostiene che la costituzione sgorga necessariamente dalla vita collettiva e storica di un popolo.
Hegel dice che se si vuole imporre a priori una costituzione inevitabilmente fallisce. L’unica forma di governo razionale è la monarchia costituzionale moderna che prevede una serie di poteri distinti ma non divisi: quello legislativo, governativo e principesco (il potere giudiziario fa parte della società civile):

  • Legislativo: consiste nel potere di determinare e di stabilire l’universale e concerne le leggi come tali; a tale potere concorre l’assemblea delle rappresentanze di classi divisa in una Camera Alta e una Bassa. Hegel si mostra diffidente nel confronti dell’agire politico dei ceti ritenendo che siano inclini a far valere gli interessi privati. Quindi (girandosela un po’ come gli pare) Hegel dice che  l’assemblea dei ceti è soltanto una parte e quella meno determinante del potere legislativo, perché a fare le leggi concorrono anche le altre 2 categorie.
  • Governativo o esecutivo; comprende in se i poteri giudiziari e di polizia e consiste nel tradurre in atto l’universalità delle leggi
  • Principesco: è l’individualità reale a cui spetta la decisione ultima circa gli affari della collettività.

Il pensiero politico di Hegel mette capo a un’esplicita divinizzazione dello Stato che è volontà divina e l’ingresso di Dio nel mondo, ma alcuni studiosi pensano che Dio non si identifica con lo Stato ma con lo spirito assoluto. Inoltre lo Stato non può trovare nelle leggi morali un limite o un impedimento alla sua azione.
Hegel afferma che non esiste un diritto internazionale e il solo giudice o arbitro è la storia che ha come suo momento strutturale la guerra; essa è necessaria e preserva i popoli dalla fossilizzazione alla quali li ridurrebbe una pace duratura.
La storia del mondo è razionale e la stessa fede religiosa nella provvidenza implica la razionalità della storia. Il fine della storia del mondo è che lo spirito giunga al sapere di ciò che esso è veramente; questo spirito è lo spirito del mondo che s’incarna negli spiriti dei popoli che si succedono all’avanguardia della storia. I mezzi della storia del mondo sono gli individui con le loro passioni; ma le passioni sono semplici mezzi, l’azione dell’individuo sarà tanto più efficiente quanto più sarà conforme allo spirito del popolo cui l’individuo appartiene. La tradizione trova i suoi strumenti negli individui conservatori, cosi il progresso trova i suoi strumenti negli eroi o individui della storia del mondo. Gli eroi seguono le proprie passioni, ma si tratta di un astuzia della ragione che si serve degli individui e delle loro passioni come di mezzi per attuare i suoi fini.
L’individuo anche se poi perirà o sarà condotto alla rovina ha già raggiunto il fine voluta dal disegno provvidenziale della storia. La vittoria avviene quando il popolo ha concepito il più alto concetto dello spirito.
La libertà dello spirito si realizza nello Stato che è il fine supremo. I tre momenti della realizzazione della libertà nel mondo sono:

  • il mondo orientale dove uno solo è libero
  • mondo greco romano dove alcuni sono liberi
  • mondo cristiano germanico dove tutti gli uomini sanno di essere liberi.

Lo spirito assoluto è il momento in cui l’idea giunge alla piena coscienza della propria infinità o assolutezza: questo processo è il risultato di un processo dialettico rappresentato da:

  • Arte che conosce l’assoluto nella forme dell’intuizione sensibile
  • Religione nella forma della rappresentazione
  • Filosofia nella forma del concetto

Tramite l’arte l’uomo acquista piena consapevolezza di se; nell’arte lo spirito vive la fusione tra soggetto e oggetto, spirito e natura: nell’esperienza del bello artistico spirito e natura vengono recepiti come un tutt’uno in quanto nella statua l’oggetto (il marmo) è già natura spiritualizzata e l’idea artistico, il soggetto è già spirito naturalizzato. Hegel dialettizza la storia dell’arte:

  1. Arte simbolica: squilibrio tra contenuto e forma, ossia incapace di esprimere un messaggio spirituale secondo forme sensibili adeguate a causa del ricorso al simbolo e alla tendenza allo sfarzoso e al bizzarro.
  2. Arte classica: armonico equilibrio tra contenuto spirituale e forma, attuato mediante la figura umana e rappresenta il culmine della perfezione artistica
  3. Arte romantica: nuovo squilibrio, perche lo spirito acquista coscienza che qualsiasi forma sensibili è oramai insufficiente ad esprimere l’interiorità spirituale e volge alla filosofia.

Da ciò la crisi moderna dell’arte; si rispetta e si ammira l’arte, ma la sottomette all’analisi del pensiero per riconoscerne la funzione e il posto.
La religione è la seconda forma dello spirito assoluto:La filosofia della religione non deve creare la religione, ma semplicemente riconoscere la religione che già c’è. L’oggetto della religione è Dio, il soggetto di essa la coscienza umana e lo scopo la loro unificazione. Poiché è essenziale il rapporto tra Dio e la coscienza la prima forma della religione è propria del sentimento che da solo la certezza dell’esistenza di Dio, non lo giustifica. Il secondo passo è l’intuizione che si ha nell’arte e il terzo la rappresentazione di Dio. La religione non è in grado di pensare Dio dialetticamente e finisce per arenarsi di fronte a un presunto mistero dell’Assoluto.
Lo sviluppo della religione è lo sviluppo dell’idea di Dio nella coscienza umana: il primo passo è la religione naturale che vede Dio nella natura; il secondo sono le religioni naturali che trapassano in religioni della libertà che preludono alla visione di Dio come spirito libero, ma che si muovono in un orizzonte naturalistico. Il terzo stadio è la religione assoluta, quella cristiana in cui Dio appare come puro spirito, anche se presenta i limiti propri di ogni religione. L’unico sbocco coerente della religione è la filosofia che ci parla anch’essa di Dio e dello spirito, ma nella forma del concetto.
Nella filosofia l’idea giunge alla piena e concettuale coscienza di se medesima. La filosofia è nient’altro che l’intera storia della filosofia giunta finalmente a compimento con Hegel. I vari sistemi filosofici non sono in un insieme disordinato, ma costituiscono una tappa necessaria del farsi della verità

 

Positivismo

Il positivismo è un movimento filosofico e culturale che nasce in Francia nella prima metà dell’Ottocento.
Il termine positivo ha due significati: 1) ciò che è reale, sperimentale in opposizione all’astratto; 2) fecondo, pratico e efficace. Il positivismo è una celebrazione della scienza con una serie di convinzioni di fondo:

  • La scienza è l’unica conoscenza possibile e il metodo della scienza è l’unico valido. La metafisica è prima di valore
  • La filosofia coincide con l’enunciazione dei principi comuni alle varie scienze.
  • Il metodo della scienza va esteso a tutti i campi: la sociologia assume molta importanza
  • Il progresso della scienza rappresenta lo strumento per una riorganizzazione globale della vita in società.

Il positivismo nella sua prima fase si pone come proposta di superamento di una crisi sociopolitica e culturale. Nella seconda fase si presenta come riflesso e stimolo di un progresso.
Il decollo del sistema industriale, della scienza, della tecnica determina un clima di fiducia. Questo ottimismo si traduce in un vero e proprio culto per il pensiero scientifico e tecnico. Il positivismo esalta la figura dello scienziato. Il positivismo è l’espressione culturale delle speranze e dell’ottimismo che ha caratterizzato tutto un tratto della storia moderna. Esso si sviluppa nelle nazione che appaiono all’avanguardia del progresso industriale e appare anche come l’ideologia tipica della borghesia liberale dell’Occidente.
Il positivismo si configura come una ripresa originale dell’illuminismo. Le loro somiglianze sono:

  • Fiducia nella ragione e nel sapere, come strumenti di progresso
  • Esaltazione della scienza a scapito della metafisica
  • Visione laica

Le principali differenze sono: il momento storico diverso e la minor carica polemica dei positivisti, portati a considerare le vecchie forme culturali come realtà anacronistiche destinate ad essere spazzate via dal progresso, mentre gli illuministi hanno dovuto combattere contro forze culturali e sociali ancora dominanti facendosi promotori della borghesia. Inoltre l’illuminismo è tendenzialmente rivoluzionario, mentre il positivismo è antirivoluzionario. Mentre gli illuministi sono indirizzati ad una fondazione critica della scienza i positivisti ritengono che il compito della filosofia sia quello di ordinare il quadro complessivo delle scienze o di proporre una sintesi unificatrice. Inoltre l’illuminismo appare lontano da una dogmatizzazione dei poteri della scienza, mentre il positivismo si nutre di un esplicita assolutizzazione della scienza.
Le differenze col romanticismo sono: il romanticismo nasce in Germania in relazione ai problemi suscitati da Kant, il positivismo in Francia e si riconnette all’illuminismo. Il primo parla in termini di filosofia speculativa e di spirito e di dialettica, mentre il secondo in termini di scienza umanità e progresso. Il primo si afferma in una società dove non c’è stata la rivoluzione borghese, mentre l’altro esprime gli interessi e le ideologie della borghesia.
C’è anche una analogia tra positivismo e romanticismo. il positivismo si rivela come il romanticismo della scienza ossia come l’infinitizzazione del sapere positivo assunto ad unica verità: come i romantici caricavano la filosofia di significati assoluti i positivisti attribuiscono alla scienza questi significati assoluti.
Ci sono principalmente due forme di positivismo: quello sociale di Comte, Saint Simon e Mill e quello evoluzionistico di Spencer.

 

Saint Simon e Comte

 

L’idea fondamentale di Saint Simon è quella della storia come un progresso necessario e continuo. La storia è retta da una legge generale che determina la successione di epoche organiche e epoche critiche. Le prime riposano su credenze ben stabilite e progrediscono nei limiti da esse stabilite. Le seconde ci sono quando il progresso fa mutare l’idea centrale su cui l’epoca era fondata.
Il progresso scientifico ha distrutto le dottrine teologiche e metafisiche: ci sarà dunque un epoca in cui la filosofia sarà positiva e sarà il fondamento di un nuovo sistema di religione, di politica e di morale. Solo così il mondo potrà riacquistare la sua unità e la sua organizzazione. Saint Simon si fa annunciatore e profeta di questa organizzazione. Il nuovo potere spirituale sarà quello degli scienziati mentre quello temporale sarà affidato agli industriali. Il sansimonismo contribuì potentemente a formare la coscienza dell’importanza sociale e spirituale delle conquiste scientifiche e tecnologiche.

Comte nacque a Montpellier nel 1798 e studiò alla scuola politecnica di Parigi. Fu dapprima amico di Saint Simon,a ma qualche anno dopo interrupe la sua amicizia. Tra il 26 e 27 andò in manicomio, ma ne usci. Nel 30 uscì il primo vuole del suo Corso di filosofia positiva e ne uscirono altri 5. Aspirò inutilmente ad una cattedra di matematica alla scuola politecnica di Parigi. Perdette il lavoro a causa del suo corso e visse (da parassita) con sussidi e aiuti di amici. Nella seconda parte della sua vita scrisse il sistema di politica positiva che ha il compito di trasformare la filosofia in religione. Comte si presenta come il profeta di una nuova religione di cui formula il catechismo. Ma l’intento di Comte è la costruzione di una filosofia della storia che si trasforma in una religione dell’umanità.
Il punto di partenza della sua filosofia è la legge dei tre stadi: ciascuna branca della conoscenza umana passa successivamente per tre stadi teorici differenti: lo stadio teologico o fittizio, lo stadio metafisico o astratto e quello scientifico o positivo. Nel primo lo spirito umano dirige le sue ricerche verso la natura intima degli esseri, cioè verso le conoscenze assolute, si rappresenta i fenomeni come prodotti dall’azione diretta degli agenti soprannaturali. Nel secondo gli agenti soprannaturali sono sostituiti da forze astratte capaci di generare da se tutti i fenomeni. Nel terzo lo spirito riconosce l’impossibilità di raggiungere nozioni assolute, rinuncia a cercare l’origine e il destino dell’universo e si applica a scoprire le leggi dei fenomeni. Comte fa corrispondere ad ogni stadio una specifica organizzazione politica e sociale: monarchia teocratica e militare, sovranità popolare, società industriale.
La totalità della cultura intellettuale non è ancora stata permeata dallo spirito positivo. Comte nota che manca una fisica sociale cioè lo studio positivo dei fenomeni sociali, inoltre ci troviamo in uno stato di anarchia intellettuale che porta ad una crisi politica e morale della società. E’ evidente che se una delle tre filosofie prendesse il sopravvento ci sarebbe un ordine sociale determinato, ma ciò non avviene. Comte si propone di costruire il sistema delle idee generali per far terminare la crisi. Tale sistema presuppone che siano determinati i compiti particolari di ciascuna scienza e quindi una enciclopedia delle scienze che fornisca il prospetto generale di tutte le conoscenze scientifiche. Comte comincia con l’escludere le conoscenze applicate della tecnica e delle arti. Le scienze si possono classificare considerando il loro grado di semplicità, per questo le ordina secondo il principio della semplicità crescente e della complessità decrescente. L’enciclopedia delle scienze sarà costituita quindi da cinque scienze fondamentali: l’astronomia, fisica, la chimica, biologia e sociologia. La matematica è esclusa perché costituisce la base di tutte le scienze. La logica perché non sussiste in generale, ma è il metodo concreto impiegato da ogni specifica branca del sapere. La psicologia perché non è una scienza.
La sociologia deve concepire i fenomeni sociali come soggetti a leggi naturali che ne rendano possibile la previsione. La sociologia o fisica sociale è divisa in statica che mette in luce la relazione necessaria, il consenso universale che hanno tra loro le parti del sistema sociale e dinamica sociale che è quella del progresso cioè dello sviluppo continuo e graduale dell’umanità. Nel progresso ciascuno degli stadi sociali consecutivi è il risultato necessario del precedente e il motore indispensabile del successivo. Gli uomini di genio sono gli organi propri del movimento predeterminato. Il progresso realizza un perfezionamento incessante che non implica che una qualsiasi fase della storia umana sia imperfetta o inferiore alle altre. Comte concepisce la scienza come essenzialmente diretta a stabilire il dominio dell’uomo sulla natura. Lo scopo dell’indagine scientifica è la formulazione delle leggi perché la legge permette la previsione che dirige e guida l’azione dell’uomo: scienza donde previsione; previsione donde azione. La previsione consente all’uomo di servirsi dei fatti, di volgerli a proprio vantaggio e cosi di estendere il suo dominio su di essi. L’opera di Comte risulta diretta a favorire l’avvento di una sociocrazia, ossia un regime fondato sulla sociologia. Egli stesso avrebbe voluto essere il capo spirituale di un regime positivo.
Il sistema di politica positiva è diretto a trasformare la filosofia positiva in una religione positiva. Il concetto fondamentale è quello dell’umanità, che deve prendere il posto di quello di Dio. L’umanità è il grande essere e questa sua celebrazione dimostra chiaramente l’ultima ispirazione del suo pensiero. L’umanità è la tradizione ininterrotta e continua del genere umano. L’umanità è quindi la tradizione divinizzata che comprende tutti gli elementi oggetti e soggettivi, naturali e spirituali, che costituiscono l’uomo. Comte delinea inoltre il calendario e il segno del suo nuovo sistema religioso.
La morale del positivismo è l’altruismo. Vivere per gli altri è la sua massima fondamentale.

 

Darwin

L’evoluzionismo biologico, cioè la dottrina secondo cui le specie animali e vegetali si trasformano l’una nell’altra fu concepita di Buffon. Essa non poté trionfare a causa della teoria delle catastrofi di  Cuvier, secondo la quale la terra è stata il teatro di successivi cataclismi che ne hanno cambiato la faccia e le specie viventi. Dopo che quella delle catastrofi fu eliminata da Lyell, mancava ancora la dimostrazione della teoria dell’evoluzione che fu data da Darwin.
Charles dopo un lungo viaggio durato cinque anni si dedicò a raccogliere il materiale per la sua grande opera, L’origine delle specie. Il merito di Darwin consiste nell’aver dato una compiuta e sistematica teoria scientifica del trasformismo biologico basandosi su osservazioni e esperimenti.
La teoria di Darwin si fonda su due ordini di fatti: 1) l’esistenza di piccole variazioni organiche che si verificano negli esseri viventi lungo il corso del tempo che possono essere vantaggiose per gli esseri che le presentano. 2) la lotta per la vita che si verifica tra individui della stessa specie per la tendenza a moltiplicarsi seconda una progressione geometrica. Da ciò segue che gli individui presso i quali si manifestino mutamenti organici vantaggiosi hanno maggiori probabilità di sopravvivere nella lotta per la vita e vi sarà in essi una tendenza pronunciata a lasciare in eredità ai loro discendenti i caratteri accidentali acquisiti. Tale è la legge della selezione naturale. L’accumularsi delle piccole variazioni producono il passaggio da una specie all’altra. Dalla teoria segue che tra le varie specie han dovuto esistere numerose varietà intermedie, ma la selezione naturale le ha eliminate. Darwin crede di aver stabilito l’inevitabile progresso biologico allo stesso modo che il Romanticismo idealistico e socialistico credeva nell’inevitabile progresso spirituale.
Nell’opera la discendenza dell’uomo. Darwin dice che non esiste alcuna differenza fondamentale fra l’uomo e i mammiferi più elevati per ciò che riguarda le loro facoltà mentali. La sola differenza è di grado.
Darwin era agnostico. Egli intendeva per agnostico l’impossibilità di trovare nel dominio della scienza conferme o smentite decisive delle credenze religiose tradizionali. Darwin credeva tuttavia possibile negare decisamente ogni intenzione della natura ovvero la finalità della natura. Era convinto inoltre che l’uomo sarà nel futuro una creatura assai più perfetta di quella che è attualmente e in realtà le sue convinzioni si fondano sul presupposto dell’idea del progresso. Diverso è il darwinismo sociale che estende alla società il concetto di selezione naturale che porta alla giustificazione delle discriminazioni razziste e classiste.

 

Schopenhauer

 

Arthur S. nacque a Danzica nel 1788: frequentò l’università di Gottinga dove ebbe come maestro di filosofia lo scettico Schulze. Nel 1811 a Berlino ascolta le lezioni di Fichte, ma si laurea a Jena con una tesi Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente. A Dresda scrisse sulla vista e sui colori in difesa di Goethe e anche il mondo come volontà e rappresentazione. A Berlino tenne i suoi corsi liberi fino al 32 e viaggiò molto in Italia. Mori il 21 settembre 1860. I suoi scritti più importanti sono Sulla volontà nella natura, I due problemi fondamentali dell’etica e Parerga e Paralipomena.
Per quanto riguardano le basi della sua filosofia, Schopenhauer è attratto dalla teoria delle idee di Platone, riprende da Kant l’impostazione soggettivistica della sua gnoseologia, è interessato al filone materialistico e ideologico dell’illuminismo e al tema dell’infinito e del dolore per quanto riguarda il Romanticismo. Inoltre Schopenhauer appare orientato verso il pessimismo, di cui è uno dei maggiori esponenti. Ha una grande importanza anche l’idealismo, che viene indicato in modo spregiativo come “filosofia delle università” al servizio non della verità ma degli interessi volgari.
Un caratteristico rilievo occupa pure nell’universo spirituale di Shoppy la sapienza dell’antico oriente: egli fu il primo a recuperare alcuni motivi del pensiero orientale da cui ha desunto un prezioso repertorio di informazione e a lui si deve il successo in Europa della filosofia orientale.
Schopenhauer distingue fenomeno e noumeno: il fenomeno è il illusione, ovvero ciò che nell’antica sapienza indiana è detto “velo di Maya”; il noumeno è una realtà che si nasconde dietro al fenomeno.
Il fenomeno è una rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza. La rappresentazione ha 2 aspetti: soggetto rappresentante e oggetto rappresentato; quindi non può esistere soggetto senza oggetto. Il materialismo è falso perché nega il soggetto: l’idealismo perché nega l’oggetto.
A differenza di Kant, Schopenhauer propone solo 3 forme a priori; spazio, tempo e causalità. La causalità, si presenta come principio del divenire (regola i rapporti tra oggetti naturali), del conoscere (regola i rapporti tra premesse e conseguenze), dell’essere (regola i rapporti spazio-temporali) e dell’agire (regola la connessione tra un’azione e i suoi motivi), essa è l’unica categoria in quanto tutte le altre sono riconducibili ad essa.
Per Schopenhauer la vita è un “sogno”, ossia un tessuto di apparenze; ma al di là del sogno, vi è la realtà vera, intorno alla quale l’uomo non può fare a meno di interrogarsi.
Schopenhauer dice che noi non ci limitiamo a vederci dal di fuori, ma ci viviamo anche dal di dentro. Noi siamo vita e volontà di vivere, la quale è l’essenza segreta di tutte le cose ossia la cosa in se dell’universo.
Il termine volontà si identifica con il concetto di energia o impulso. La volontà è: inconscia, in quanto consapevolezza e intelletto sono solo 2 sue manifestazioni secondarie; unica, in quanto si sottrae al principio di individuazione; eterna, in quanto va oltre la forma del tempo; incausata e senza scopo, in quanto va oltre la causalità. La volontà non ha una meta oltre se stessa; infatti la vita vuole la vita, la volontà vuole la volontà e ogni scopo cade nell’orizzonte del vivere e del volere.
Miliardi di esseri, vivono solo per continuare a vivere. Anche se si è cercato di mascherare lo scopo della vita proponendo un Dio a cui sarebbe finalizzata la vita, per Schopenhauer, Dio non può esistere e l’unico assoluto è la volontà stessa.
La volontà di vivere si manifesta nel mondo attraverso 2 fasi: nella 1° la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili chiamate idee e che Shoppy considera alla strega di archetipi del mondo; nella seconda si oggettiva nei vari individui del mondo ovvero le realtà naturali. Il grado più basso dell’oggettivazione della volontà è costituito dalle forze della natura; le forze superiori sono le piante e gli animali. In cima a tutti vi è l’uomo, in cui la volontà diviene pienamente consapevole.
Volere significa desiderare e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione. Il desiderio quindi risulta essere il dolore. Tramite il piacere, vi è la cessazione del dolore, ovvero lo scarico delle tensione. Mentre il dolore è un dato permanente, il piacere è solo una funzione derivante dal dolore. In definitiva, la vita è un pendolo che oscilla tra dolore e noia, passando attraverso l’illusorio intervallo del piacere e della gioia.
Poiché la volontà di vivere si manifesta in tutte le cose, il dolore non riguarda solo l’uomo, ma tutte le creature. Per Schopenhauer tutto soffre e da ciò, arriva ad un pessimismo cosmico, secondo cui il male non è presente solo nel mondo, ma anche nel principio da cui esso dipende. Al di la delle celebrate meraviglie del creato si celano la lotta e la sofferenza di tutte le cose.
L’amore è uno dei più forti stimoli dell’esistenza e per Schopenhauer il suo scopo, è solo quello dell’accoppiamento. Ma se dietro il fascino di un volto, c’è solo attrazione sessuale, significa che l’individuo è lo zimbello della natura proprio nel contesto in cui crede di realizzare il proprio godimento. Ma se l’amore come dice Schopenhauer è l’incontro di 2 infelicità, allora l’unico amore che si può elogiare, non è quello generativo dell’eros, ma quello disinteressato della pietà.
Schopenhauer dice che l’esistenza, costituita dal dolore, risulta essere una cosa che col passare del tempo si inizia a non volere più. Ciò potrebbe portare al suicidio dell’individuo, ma Schopenhauer lo esclude per 2 motivi: 1) perché il suicida vuole la vita ed il suo stato, è solo un malcontento per la sua condizione; 29 perché il suicidio opprime unicamente l’individuo. Quindi secondo Schopenhauer, la vera risposta al dolore, non sta nel suicidio, ma nella liberazione dalla volontà di vivere. Dalla presa di coscienza del dolore e dal disinganno di fronte alle illusioni dell’esistere nascono le v arie tappe della liberazione.
L’arte per Schopenhauer, è conoscenza libera e disinteressata che si rivolge alle idee. Il soggetto che contempla le idee, non è l’individuo, bensì il puro occhio del mondo. Quindi l’arte risulta essere purificatrice, in quanto l’uomo, grazie ad essa, contempla la vita elevandosi al di sopra della volontà del dolore e del tempo. Le varie arti corrispondono ai diversi gradi di manifestazione della volontà. L’architettura, il grado più baosso ciè la materia organica; poi ci sono la scultura, la pittura e la poesia che hanno per oggetto le idee del mondo vegetale, animale e umano. Tra le varie arte vi è la tragedia, che è l’autorappresentazione del dramma della vita e la musica, che è l’immediata rivelazione della volontà a se stessa. Ma la funzione dell’arte, è una funzione temporanea, quindi essa non è una via per uscire dalla vita, ma solo un conforto alla vita stessa.
La morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo; infatti l’etica è un tentativo di superare l’egoismo e di vincere la lotta tra individui. Schopenhauer dice che l’etica deriva da un sentimento di pietà, attraverso cui sentiamo come nostre le sofferenze degli altri. Infatti tramite la pietà sperimentiamo quell’unità metafisica di tutti gli esseri facendoci capire come il tormentato e il tormentatore siuano noumenicamente una stessa realtà. La morale si concretizza in 2 virtù cardinali: la giustizia, ha un carattere negativo, in quanto consiste nel non fare il male; la carità, ha un carattere positivo, in quanto invita a fare del bene al prossimo.
L’ascesi, è l’esperienza in cui l’individuo, cessando di volere la vita, si propone di eliminare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere. Il primo passo dell’ascesi è la castità perfetta, che libera dalla prima e fondamentale manifestazione della volontà di vivere: l’impulso alla generazione e propagazione della specie. La soppressione della volontà di vivere, è l’unica libertà concessa all’uomo. Quando succede ciò l’uomo diviene libero, si rigenera ed entra in quello stato che i cristiani chiamano di grazia. Tuttavia mentre nel cristianesimo, dopo l’ascesi vi è l’estasi, momento in cui l’individuo si unisce a Dio; nel misticismo ateo di Schopenhauer, il cammino della salvezza è legato al nirvana buddista, il quale rappresenta il nulla, un nulla relativo al mondo, ossia una negazione del mondo stesso.

 

Kierkegaard (si pronuncia “chiècheguard?”)

 

L’opera di Kierkegaard costituisce una precisa antitesi contro l’idealismo romantico. Soren K nacque in Danimarca a Copenhagen nel 1813; studiò alla facoltà di teologia di Copenhagen e si laureò con una tesi sul Concetto dell’ironia con particolare riguardo a Socrate. Ma non intraprese la carriera di pastore alla quale la laurea lo abilitava. A Berlino ascoltò le lezioni dello Schelling positivo, dapprima entusiasta ne fu preso deluso. Gli eventi della sua vita sono pochi: il fidanzamento che in seguito mandò a monte con Regina Olsen, l’attacco di un giornale satirico Il corsaro e la polemica contro l’ambiente teologico di Copenhagen. Mori nel 1855.
Gli episodi spiacevoli della sua vita hanno avuto una forte ripercussione sulla sua vita interiore. K parla nel suo diario di un grande terremoto che lo ha costretto a mutare il suo atteggiamento di fronte al mondo. Egli accenna soltanto vagamente alla causa di questo sconvolgimento, ma dice che “una gran colpa doveva gravare su tutta la famiglia”. Inoltre egli parla di una scheggia nelle carni che egli era destinato a portare.
Le sue opere principali sono: Sul concetto dell’ironia e Aut Aut di cui fa parte il Diario di un seduttore.
K ha cercato di ricondurre la comprensione dell’intera esistenza umana alla categoria della possibilità. Già Kant aveva riconosciuto una possibilità reale o trascendentale, ma di tale possibilità egli aveva messo in luce l’aspetto positivo. K mette in luce l’aspetto negativo d’ogni possibilità. Ogni possibilità è infatti oltre che possibilità-che-si, possibilità-che-non: implica la nullità possibile di ciò che è possibile quindi la minaccia del nulla. Egli stesso ha vissuto la figura del discepolo dell’angoscia ovvero di chi sente in sé le possibilità annientatrici e terribili che ogni alternativa dell’esistenza prospetta. Perciò di fronte a ogni alternativa K si è sentito paralizzato.
Egli chiarisce le possibilità che si presentano all’uomo, che costituiscono le alternative dell’esistenza e tra cui l’uomo deve scegliere mentre K non poteva. Soltanto nel cristianesimo egli vide un’ancora di salvezza in quanto esso gli sembrava insegnare la dottrina dell’esistenza  e tramite la fede sottrarre l’uomo all’angoscia.
Contro Hegel K presenta l’istanza del singolo. Alla riflessione oggettiva della filosofia di Hegel, K contrappone la riflessione soggettiva connessa con l’esistenza. Hegel ha fatto dell’uomo un genere animale giacché solo negli animali il genere è superiore al singolo. Il genere umano ha invece la caratteristica che il singolo è superiore al genere: Questo secondo K è l’insegnamento fondamentale del cristianesimo. Infatti K ha combattuto tutta la vita contro il panteismo idealistico cioè contro la pretesa di identificare uomo e Dio affermando l’infinita differenza qualitativa tra il finito e l’infinito, tra uomo e Dio.
Il primo libro di K si intitolava Aut Aut e presenta l’alternativa di due stati fondamentali della vita: la vita estetica e quella morale. Tra le due vite vi è un abisso.

  • Lo stadio estetico è la forma di vita di chi esiste nell’attimo fuggevole e irripetibile. L’esteta vive poeticamente, egli è dotato di un senso finissimo per trovare nella vita ciò che vi è di interessante. La vita estetica esclude la ripetizione. Essa è rappresentata nella figura del Don Giovanni che sa porre il suo godimento nella limitazione e nell’intensità dell’appagamento. Ma la vita estetica rivela la sua insufficienza e la sua miseria nella noia. Chiunque viva esteticamente è disperato; la disperazione è l’ultimo sbocco della concezione estetica della vita.
  • La vita etica nasce appunto con la scelta della disperazione e con un salto oltre l’esteticità. La vita etica è il dominio della riaffermazione di se, del dovere e della fedeltà a se stessi: il dominio della libertà per la quale l’uomo si forma o si afferma da se. La vita etica è incarnata dal marito; il matrimonio è l’espressione tipica dell’esteticità, ogni coppia di sposi può diventare felice. Inoltre la persona etica vive del suo lavoro. Il suo lavoro è la sua vocazione ed egli lavora con piacere. La caratteristica della vita etica è la scelta che l’uomo fa di se stesso La scelta di se stesso è una scelta assoluta perché non è la scelta di una qualsiasi determinazione finita ma la scelta della libertà: cioè in fondo della scelta stessa. Il pentimento è l’ultima parola della scelta etica, quella per cui questa scelta appare insufficiente e trapassa nel dominio religioso.

La scelta assoluta è pentimento ovvero riconoscimento della propria colpevolezza. Questo è lo scacco della vita etica per cui essa tende a raggiungere la vita religiosa. Non c’è tuttavia continuità tra vita etica e religiosa.
K raffigura la vita religiosa nella figura di Abramo che sceglie di seguire Dio andando contro la morale. Per questo l’affermazione del principio religioso sospende intermante l’azione del principio morale. Tra i due principi c’è solo rottura. L’uomo che ha fede come Abramo opterà per il principio religioso. La fede è un rapporto privato tra l’uomo e Dio. E’ il dominio della solitudine.
La fede è appunto la certezza angosciosa, l’angoscia che si rende certa di se e di un nascosto rapporto con Dio. La fede è paradosso e scandalo. Cristo è il segno di questo paradosso: è colui che soffre e muore come uomo mentre parla e agisce come Dio. L’uomo è posto di fronte al bivio tra credere e non credere. La vita religiosa è nelle maglie di questa contraddizione che è quella dell’esistenza umana.
L’angoscia è la condizione generata nell’uomo dal possibile che lo costituisce. Essa è strettamente connessa con il peccato ed è a fondamento dello stesso peccato originale. L’innocenza di Adamo è ignoranza; ma è un ignoranza che contiene un elemento che determinerà la caduta. Questo elemento non è che un niente, ma proprio questo niente genera l’angoscia. A differenza del timore e di altri stati analoghi che si riferiscono sempre a qualcosa di determinato l’angoscia non si riferisce a nulla di preciso. L’angoscia è libertà finita cioè limitata, e cosi si identifica con il sentimento della possibilità Il passato può angosciare sono in quanto si ripresenta come futuro. Cosi come una colpa passata genera angoscia solo se non si è veramente passata, giacché se fosse tale potrebbe generare pentimento non angoscia.
K collega l’angoscia al principio dell’infinità o dell’onnipotenza del possibile dicendo che nel possibile tutto è possibile. Per questo principio ogni possibilità favorevole all’uomo è annientata dall’infinito numero di possibilità sfavorevoli. È l’infinità o indeterminatezza delle possibilità che rende insuperabile l’angoscia e ne fa la situazione fondamentale dell’uomo nel mondo.
L’angoscia è la condizione in cui l’uomo è posto dal possibile che si riferisce al mondo; la disperazione è la condizione in cui l’uomo è posto dal possibile che si riferisce alla sua stessa interiorità al suo io. Disperazione e angoscia sono collegate ma non identiche. La disperazione è strettamente legata alla natura dell’io Essa è perciò la malattia mortale non perche conduca alla morte dell’io ma perché è il vivere la morte dell’io; è il tentativo impossibile di negare la possibilità dell’io o rendendolo autosufficiente o distruggendolo nella sua natura concreta.
Dall’altro lato l’io è sintesi di necessità e libertà: la disperazione nasce in lui o dalla deficienza di necessità o dalla deficienza di libertà. La deficienza di necessità è la fuga dell’io verso possibilità che si moltiplicano e non si solidificano mai. C’è poi la disperazione dovuta alla deficienza del possibile: in questo caso la possibilità è l’unico rimedio; dategli una possibilità e il disperato riprende lena perché se l’uomo rimane senza possibilità è come se gli mancasse l’aria. La fede è l’eliminazione della disperazione è la condizione in cui l’uomo non si illude sulla sua autosufficienza ma riconosce la sua dipendenza da Dio.
Tutte le categorie del pensiero religioso sono impensabili: impensabile è la trascendenza di Dio che esclude qualsiasi familiarità tra Dio e l’uomo; impensabile è il peccato come esistenza dell’individuo che pecca; impensabile è l’idea di un Dio che si fa carne e muore per noi.
La storia non è una teofania come pensava Hegel. Il rapporto tra Dio e l’uomo si verifica nell’attimo inteso come improvvisa inserzione della verità divina nell’uomo. Se il rapporto tra uomo e Dio si verifica nell’attimo, ciò vuol dire che l’uomo per suo conto vive nella non-verità; la conoscenza di questa condizione è il peccato. K contrappone il cristianesimo cosi inteso al socratismo dove il maestro non insegna nulla perché la verità vive nell’uomo e si tratta solo di tirarla fuori; nel cristianesimo il maestro è salvatore perché l’uomo vive nella non verità e il maestro deve ricreare l’uomo. Dio rimane quindi fuori da ogni possibile punto di arrivo della ricerca umana; l’unica sua definizione è differenza assoluta che significa che l’uomo non è Dio ma è la non-verità o il peccato. L’attimo è dunque l’inserzione paradossale e incomprensibile dell’eternità nel tempo e realizza il paradosso del cristianesimo che è la venuta di Dio nel mondo. In questo senso solo il cristianesimo è un fatto storico. K afferma che non c’è nessuna differenza tra discepoli di prima mano e di seconda mano. La divinità di Cristo non era più evidente per chi viveva al tempo di Gesù rispetto a qualsiasi cristiano che ha ricevuto la fede.

 

La sinistra hegeliana e Feuerbach

Alla morte di Hegel i suoi discepoli si divisero prima in vecchi e giovani hegeliani a seconda della loro età; in seguito Strauss divise le due correnti diverse in Destra e Sinistra hegeliana. La differenza era causata dalla dottrina di Hegel che era aperta a due diverse interpretazioni a riguardo del rapporto tra filosofia e religione che secondo Hegel esprimono lo stesso contenuto, ma in due forme distinte, il concetto e la rappresentazione.

  • La Destra insisteva sull’identità di contenuto tra rappresentazione e concetto e concepiva la filosofia come conservazione della religione. Era una sorta di scolastica dell’hegelismo in quanto utlizzava la ragione hegeliana per giustificare le credenze religiose. La Destra dovette però togliere gli aspetti panteistico immanentistici dell’idealismo ed adattarlo alle tesi del cristianesimo. Ha un atteggiamento conservatore
  • La Sinistra insisteva sulla diversità di forma tra rappresentazione e concetto e concepivano la filosofia come distruzione della religione. Fini per fare della filosofia uno strumento di contestazione razionale della religione. Ha un atteggiamento rivoluzionario perché concepisce la filosofia come critica dell’esistente, affermando che il mondo costituisce un processo in cui ciò che sussiste, autosuperandosi continuamente è chiamato a farsi razionale.

La Destra hegeliana ebbe limitata incidenza storica. Ben più influente fu invece la sinistra.
Strauss pubblicò nel 1835 Vita di Gesu; questa opera fu la prima ad applicare il concetto hegeliano della religione alla critica dei testi biblici. Il risultato è la riduzione del contenuto della fede religiosa a semplice mito. Il mito è un idea metafisica espressa nella forma di un racconto immaginato o fantastico. Esso ha quindi due aspetti: uno negativo in quanto non è storia e uno positivo in quanto è finzione prodotta dall’orientamento intellettuale di una società data. Esso è diverso dalla leggenda che non ha significato metafisico.
Un mito evangelico è un racconto che si riferisce immediatamente o mediatamente a Gesù. Le due fonti dei miti evangelici sono l’attesa del messia che c’era nel popolo ebreo e la particolare impressione prodotta da Gesu.
Strauss si sofferma a dimostrare l’identità di contenuto tra cristianesimo e filosofia.
Bauer aderì inizialmente alla destra hegeliana per passare poi alla sinistra. Bauer sviluppò una filosofia da lui definita critica pura che opponeva gli intellettuali e lo spirito alla massa racchiudendosi in una sorta di aristocratismo idealistico.
Ruge fu il primo a passare dalla critica religiosa alla critica politica: egli attacca Hegel accusandolo di aver assolutizzato filosoficamente la realtà politica contemporanea. Era collaboratore di Marx, ma era di posizioni più moderate rispetto a lui.
La maggiori figura della sinistra hegeliana è Feuerbach. Egli nacque nel 1804 in Baviera a Landshut e morì nel 1872. Fu scolaro di Hegel a Berlino Ma in seguito si staccò dall’hegelismo e il distacco è segnato dallo scritto Critica della filosofia Hegeliana. Altri scritti importanti sono Pensieri sulla morte e l’immortalità, L’essenza del cristianesimo e L’essenza della religione.
F vuole cogliere l’uomo e la realtà nella loro concretezza. Secondo lui l’equivoco di fondo dell’idealismo è  quello di fare del concreto un predicato o un attributo dell’astratto, anziché dare dell’astratto un predicato o attributo del concreto; infatti egli dice che lì idealismo offre una visione rovesciata delle cose. Da ciò il suo programma di un inversione radicale dei rapporti tra soggetto e predicato.
F afferma che non è Dio (l’astratto) ad aver creato l’uomo ( il concreto), ma l’uomo ad aver creato Dio. Infatti Dio è la proiezione illusoria delle qualità umane: il divino non è altro che l’umano in generale.
Il mistero della teologia è quindi l’antropologia e la religione costituisce la prima ma indiretta autocoscienza dell’uomo. F spiega l’origine dell’idea di Dio in 3 modi diversi:

  1. L’uomo a differenza dell’animale, ha coscienza di se stesso non solo come individuo ma anche come specie. Ora mentre come individuo si sente debole e limitato, come specie si sente infinito e onnipotente. La figura di Dio è quindi una personificazione immaginaria delle qualità della specie.
  2. l’opposizione tra volere e potere, che porta l’individuo a costruirsi una divinità in cui tutti i suoi desideri appaiono realizzati.
  3. La dipendenza dell’uomo di fronte alla natura. Questo sentimento ha spinto l’uomo ad adorare quelle cose senza le quali egli non potrebbe esistere: acqua aria terra.

La religione è frutto di un oggettivazione alienata e alienante, in virtù della quale l’uomo tanto più pone in Dio quanto più toglie a se stesso. Da ciò l’ateismo si configura come atto di onestà filosofica e dovere morale, perché l’uomo deve recuperare in se i predicati positivi che egli ha proiettato fuori di se in Dio.
Quindi non più Dio è sapienza, volontà e amore, ma la sapienza, la volontà e l’amore sono divini. Il compito della vera filosofia è porre l’infinito nel finito. F propone una nuova divinità: l’uomo.
F definisce l’hegelismo una teologia mascherata ovvero una teologia razionalizzata che costituisce la traduzione del filone teologico dell’ottocento. L’idea o lo spirito di Hegel sono il fantasma di noi stessi ovvero il frutto di un’astrazione alienante. E poiché Hegel è il termine ultimo di un’evoluzione di pensiero, la critica a HGegel equivale alla fondazione di una nuova filosofia incentrata sull’uomo.
La nuova filosofia è detta umanismo naturalistico: umanismo perché fa dell’uomo l’oggetto e lo scopo del discorso filosofico e naturalistico perché fa della natura la realtà primaria da cui tutto dipende compreso l’uomo.
F rifiuta di considerare l’uomo come astratta spiritualità, ma lo considera un essere di carne e sangue che risulta condizionato dal corpo e dalla sensibilità. Sensibilità che per F presenta una valenza pratica come dimostra il suo legame con l’amore che la passione fondamentale che da tutt’uno con la vita ed ha il potere di aprirci verso il mondo.  
F ammette che l’io non può stare senza il tu: questa è la dottrina dell’essenza sociale dell’uomo detta comunismo filosofico. F formula anche la teoria degli alimenti dove dice che l’uomo è ciò che mangia; questa tesi non implica un materialismo volgare, ma esprime una consapevolezza dell’unità psicofisica dell’individuo e del fatto che se si vogliono migliorare le condizioni spirituali di un popolo bisogna migliorare le sue condizioni materiali.
Da queste parole traspare il grande amore per l’umanità di F che si risolve in una forma di filantropia: dall’amore per Dio all’amore per l’uomo.

Max Stirner dice che l’individuo è l’unica realtà e l’unico valore; la conseguenza che trae da questa tesi è l’egoismo assoluto. L’individuo proprio nella sua singolarità per la quale è unico e irrepetibile è la misura di tutto. La sua teoria è un individualismo anarchico.

 

Marx

 

Karl Marx nacque a Treviri nel 1818 da una famiglia ebrea convertitasi al protestantesimo per ragioni politiche, ma agnostica. Marx ricevette un educazione di stampo liberale e razionalistico. Entro a contatto con i giovani hegeliani e studiò la filosofia di Hegel. Si laureò in filosofia con una tesi sulla Differenza la tra filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro. Divenne caporedattore della Gazzetta Renana, ma fu costretto a trasferirsi a Parigi in seguito al blocco del giornale da parte del governo. Scrisse nel 43 Critica della filosofia del diritto di Hegel. Nel 44 esce il primo e unico numero degli annali franco-tedeschi. A Parigi strinse amicizia con Engels, un amicizia che durò tutta la vita. In questo periodo scrive i manoscritti economico-filosofici e in seguito si trasferisce a Bruxelles dove con Engels scrive la Sacra Famiglia contro Bauer. Intanto matura il distacco polemico dalla filosofa tedesca.  Che si concretizza nella Tesi su Feuerbach e su L’ideologia tedesca in cui vengono poste le basi della concezione materialistica della storia. Nel 1847 si tiene il primo congresso della Lega dei Comunisti a cui Marx non può partecipare e viene rappresentato da Engels. Nello stesso anno viene incaricato dalla lega di elaborare un documento teorico programmato che viene pubblicato in collaborazione con Engels col titolo di Manifesto del partito comunista. Marx emigra a Londra e dopo un tentativo di riorganizzare la lega fallito si ritira dall’attività politica e lavora al British Museum. Sono anni difficili per la sua famiglia, ma la sua produzione non si arresta. Tra il 57 e il 59 scrive Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica e nel 59 pubblica Per la critica dell’economia politica. Nel 66 inizia il primo libro del Capitale (il secondo e il terzo verranno pubblicati da Engels dopo la morte di Karletto) Nel 70 scrive indirizzi sulla guerra Franco prussiana e nel 71 La guerra civile in Francia con importanti osservazioni sulla comune di Parigi. Muore nel 1883 due anni dopo la moglie.
L’analisi di Marx ha un carattere globale, non è riducibile a una dimensione puramente filosofia, sociologica o economica. Il suo pensiero appare pervaso da una energia totalistica: egli tende ad indagare il fatto scoiale non a compartimenti stagni, ma nell’unità organica delle sue manifestazioni.
Il marxismo è legato con la pressi ossia tende a fornire un interpretazione dell’uomo e del suo mondo che sia anche impegno di trasformazione rivoluzionaria. Nonostante la sua spiccata predisposizione per il pensiero e la scienza Marx ha perseguito tutta la vita l’ideale dell’unione tra teoria e prassi.
Marx vuole tradurre in atto l’incontro tra realtà e razionalità, che Hegel aveva pensato, con la prassi, mediante l’edificazione di una nuova società.
Le influenze che stanno alla base del Marxismo sono: la filosofia classica tedesca di Hegel, Feuerbach, l’economia politica borghese da Smith a Ricardo e il pensiero socialista di Saint-Simon e Owen.
Il rapposto Hegel Marx è molto complesso: l’hegelismo ha esercito su Marx un notevole influsso. La critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico è uno scritto filosofico e politico al tempo stesso, infatti troviamo una momento filosofico e uno storico-politico. Secondo M lo stratagemma di Hegel consiste nel fare delle realtà empiriche delle manifestazioni necessarie dello Spirito. Hegel invece di limitarsi a constatare che in certi ordinamenti storici esiste la monarchia ipotizza che lo stato presuppone una sovranità che si incarna necessariamente nel monarca che è la sovranità personificata. Inoltre egli deduce la piena logicità della monarchia identificandola con la razionalità politica in atto.
Marx definisce questo procedimento misticismo logico, le istituzioni finiscono per esser allegorie o personificazioni di una realtà spirituale che se ne sta occultamente dietro di esse. M dice che essa è il risultato del capovolgimento idealistico tra soggetto e predicato, concreto e astratto. L’idealismo fa dunque del concreto la manifestazione dell’astratto. M oppone ad esso il metodo trasformativo che consiste nel riconoscere di nuovo ciò che è veramente soggetto e veramente predicato. Hegel sbaglia anche sul piano politico perché razionalizza i dati di fatto, trasformandoli in manifestazioni razionali e necessarie dello Spirito. Il giustificazionismo speculativo di Hegel è anche politico e conduce all’accettazione delle istituzioni statali vigenti puntellando ideologicamente la reazione. Marx riconosce però la visuale dialettica di Hegel ossia la visione della realtà come totalità storico processuale.
La teoria di Marx è una critica globale della civiltà moderna e dello Stato liberale. Il punto di partenza è la scissione nella frattura tra società civile e Stato. Tra queste due nel mondo moderno l’uomo è costretto a vivere due vite: una in terra come borghese cioè nell’ambito degli interessi particolari della società borghese e una in cielo come cittadino ovvero nella sfera superiore dello stato e dell’interesse comune. Tutta via il cielo dello Stato è puramente illusorio perché la sua pretesa di porsi come organo che persegue l’interesse comune è falsa.
La civiltà moderna rappresenta al tempo stesso la società dell’egoismo e delle particolarità reali e della fratellanza e delle universalità illusorie. M scorge i tratti essenziali della civiltà moderna nell’individualismo e nell’atomismo, ossia nella separazione del singolo dal tessuto comunitario. E siccome lo Stato post-rivoluzionario concede la libertà individuale e la proprietà privata esso non è altro che la proiezione politica di una società strutturalmente a-sociale o contro-sociale. Ma ha in mente una società in cui esiste una compenetrazione perfetta tra singolo e genere, individuo e comunità e nella quale ciascuno è realmente solo un momento dell’intero popolo. Egli ritiene che l’unico modo per realizzare tale modello di comunità sia l’eliminazione delle disuguaglianze reali tra gli uomini e in particolare del principio stesso di ogni disuguaglianza: la proprietà privata. L’arma cui egli fa appello è la rivoluzione sociale del proletariato: solo la classe prima di proprietà può realizzare la democrazia comunista. Marx contrappone l’ideale di una emancipazione umana che mira alla democrazia e all’uguaglianza sostanziale a quello dell’emancipazione politica che mira all’uguaglianza formale.
Nei confronti dell’economia borghese il suo atteggiamento è duplice, poiché da un lato egli la considera come un espressione teorica della società capitalista e dall’altro le muove l’accusa di fornire un’immagine globalmente mistificata, cioè falsa, del mondo borghese. Ciò è dovuto principalmente alla sua incapacità di pensare in modo dialettico. Essa eternizza il sistema capitalistico considerandolo come il modo naturale immutabile e razionale di produrre e di distribuire la ricchezza. Essa non scorge la conflittualità che caratterizza il sistema capitalistico e che si incarna soprattutto nell’opposizione reale tra capitale e lavora salariato, tra borghesia e proletariato.
Mentre per Hegel l’alienazione aveva un significato sia positivo sia negativo e per Feuerbach solo negativo in Marx essa diviene un fatto reale, di natura socio-economica, in quanto si identifica con la condizione storica del salariato nell’ambito della società capitalistica. L’alienazione dell’operaio viene descritta attraverso 4 aspetti fondamentali.

  • Il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività, in quanto egli produce il capitale che però non gli appartiene
  • Il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa attività, la quale prende la forma di un lavoro forzato in cui egli è strumento di fini estranei
  • Il lavoratore è alienato rispetto alla sua essenza. Infatti la prerogativa dell’uomo nei confronti dell’animale è il lavoro libero, mentre nella società capitalistica è costretto ad un lavoro forzato, ripetitivo e unilaterale
  • Il lavoratore è alienato rispetto al prossimo perché l’altro è soprattutto il capitalista, ossia un individuo che lo tratta come un mezzo e facendo si che i rapporti con l’umanità siano conflittuali.

La causa risiede nella proprietà privata, perché i salariati vengono sfruttati dai capitalisti.
La dis-alienazione si identifica con il superamento del regime di proprietà privata e con l’avvento del comunismo. La storia si configura come luogo della perdita e della riconquista della propria essenza da parte dell’uomo e il comunismo diviene la soluzione dell’enigma della storia. Questa è una dialettizzazione del corso della storia.
Marx afferma che Feuerbach è il solo che si trova in un rapporto critico con la dialettica hegeliana. Feuerbach ha avuto il merito di teorizzare il rovesciamento materialistico di soggetto-predicato ma ha perso di vista la sua storicità non rendendosi conto che l’uomo più che natura e società è storia. Marx ritiene che l’individuo è reso tale dalla società storica in cui egli vive: Marx corregge Hegel e Feuerbach e viceversa poiché contro l’uno può difendere la naturalità vivente dell’uomo e contro l’altro la sua costitutiva socialità e storicità.
Nel campo della religione Feuerbach non è stato in grado di cogliere le cause reali del fenomeno religioso: gli è sfuggito che chi produce la religione non è un soggetto astratto, ma un individuo che è un prodotto sociale. Marx dice che le radici del fenomeno religioso non vanno cercate nell’uomo in quanto tale, ma in un tipo storico di società. La religione è in sostanze l’oppio dei popoli ovvero il prodotto di un umanità alienata e sofferente per causa delle ingiustizie sociali che cerca illusoriamente nell’aldilà ciò che gli è stato negato nell’aldiquà. La religione essendo frutto della società malata, per essere sradicata occorre distruggere le strutture sociali che la producono. Di conseguenza al vecchio materialismo speculativo e contemplante di Feuerbach, Marx oppone un nuovo materialismo che considera l’uomo soprattutto come prassi ritenendo che la soluzione dei problemi non sia da ricercarsi nella speculazione ma nell’azione.

 

Marx

Ne L’ideologia tedesca il discorso storico materialistico di Marx ed Engels presuppone una basilare contrapposizione tra scienza reale e positiva e ideologia. Quest’ultima appare come una falsa rappresentazione della realtà e allude al processo per cui alla comprensione oggettiva dei rapporti reali tra gli uomini si sostituisce un’immagine deformata di essi. Questo programma comporta l’inaugurazione di una nuova scienza, in relazione a cui la filosofia viene ad assumere l’ufficio strumentale di sintesi dei risultati più generali che è possibile astrarre dall’esame dello sviluppo storico degli uomini.
L’unità è una specie evoluta, composta di individui associati che lottano per la propria sopravvivenza. Di conseguenza la storia è un processo materiale fondato sulla dialettica bisogno-soddisfacimento. Questa azione materiale fa distinguere gli uomini dagli animale. Quindi alla base della storia vi è il lavoro che Marx indente come creatore di civiltà e di cultura e come ciò attraverso cui l’uomo si rende tale.
Nell’ambito di quella produzione sociale dell’esistenza che costituisce la storia, bisogna distinguere secondo Marx due elementi di fondo: le forze produttive e i rapporti di produzione. Per forze produttive Marx intende tutti gli elementi necessari al processo di produzione ossia gli uomini, i mezzi e le conoscenze tecniche e scientifiche. Per rapporti di produzione M intende i rapporti che regolano il possesso e l’impiego dei mezzi di lavoro. I rapporti di produzione trovano la loro espressione giuridica nei rapporti di proprietà
Forze produttive e rapporti di produzione costituiscono il modo di produzione. La base economica costituisce lo struttura ovvero lo scheletro economico della società, mentre la sovrastruttura indica che i rapporti giuridici, le forze politiche, le dottrine etiche, artistiche, religiose e filosofiche devono essere intese come espressioni più o meno dirette dei rapporti che definiscono la struttura di una certa società storia. Quindi è la struttura economica che determina le leggi, lo stato, le religioni ecc. Il materialismo di Marx quindi muove dal convincimento secondo cui le vere forze motrici della storia sono di natura socioeconomica.
Forze produttive e rapporti di produzione sono la molla del divenire della società. Ad un determinato livello di sviluppo delle forze produttive corrispondono determinati rapporti di produzione. I rapporti di produzione si mantengono tali solo fino a quando favoriscono le forze produttive e non quando le ostacolano: e siccome le forze produttive si sviluppano più rapidamente dei rapporti di produzione ne segue periodicamente una situazione di contraddizione dialettica che genera una epoca di rivoluzione sociale. Le nuove forze produttive sono sempre incarnate in una classe in ascesa mentre i vecchi rapporti di proprietà sono incarnati da una classe dominante al tramonto. Risulta inevitabile lo scontro dove vince quasi sempre la classe espressione delle nuove forze produttive. Nella Francia del Settecento tra borghesia e aristocrazia vinse la prima. La fabbrica moderna per essendo di un capitalista produce solo in virtù degli operai, dirigenti ecc. Ma se sociale è la produzione della ricchezza, sociale deve essere la distribuzione di essa. Ciò significa che il capitalismo porta in se il socialismo.
M distingue 4 epoche della formazione economica della società: quella asiatica, quella schiavistica, quella feudale e quella borghese, ma sia aggiunge anche quella della comunità primitiva che è la prima e quella futura socialista che è l’ultima. Queste epoche non costituiscono tappe necessarie, ma sono i gradini di una sequenza che va dall’inferiore al superiore. Infatti la storia procede dal comunismo primitivo al comunismo futuro. Il carattere dialettico del materialismo di M è diverso da quello di Hegel. M ritiene di aver fatto camminare la dialettica di Hegel sui piedi anziché sulla testa in quanto

  • il soggetto della dialettica storica sono le strutture economiche e le classi e non lo Spirito;
  • la dialetticità del processo storico è concepita come empiricamente e scientificamente osservabile nei fatti stessi;
  •  le opposizioni che muovono la storia non sono astratte e generiche ma concrete e determinate.

M critica gli esponenti della sinistra hegeliana definendoli ideologi perché non si rendono conto che le idee in quanto rispecchiano le relazioni materiali tra gli uomini non hanno un’esistenza autonoma.
Gli ideologi sbagliano perché:

  1. Sopravvalutano la funzione delle idee e degli intellettuali
  2. Presentano le proprie idee come universalmente valide
  3. Credono che tutto il negativo del mondo risieda nelle idee sbagliate e che l’emancipazione umana consista nel sostituire a idee false quelle vere tramite una battaglia filosofica
  4. Forniscono un quadro deformante del reale.

Marx contrbatte dicendo che:

  • Il motore della storia sono le strutture economiche sociali
  • Le idee non hanno valore universale
  • La vera alienazione risiede nelle situazioni sociali concrete in cui gli uomini si trovano a vivere
  • La vera disalienazione non è un problema filosofico ma pratico sociale.

Il Manifesto rappresenta il riassunto della concezione marxista del mondo. I punti salienti sono:

  • L’analisi della funzione storica della borghesia
  • Il concetto della storia come lotta di classe e il rapporto tra proletari e comunisti
  • La critica dei socialismo non scientifici

La borghesia secondo Marx non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione e tutto l’insieme dei rapporti sociali ed quindi essa è una classe dinamica. Essa ha evocato forze cosi gigantesche che non riesce più a dominarle e quindi il proletariato oppresso non può fare a meno di mettere in opera una dura lotta di classe volta al superamento del capitalismo. Il concetto della lotta di classe è uno dei più significativi del manifesto. Marx insiste inoltre sull’internazionalismo della lotta proletaria dicendo Proletari di tutto il mondo unitevi!
Il Capitale ha il fine di svelare la legge economica del movimento della società moderna. Marx critica l’economia borghese dicendo che non esistano leggi universali dell’economia e che ogni formazione sociale abbia caratteri e leggi storiche specifici. Inoltre M dice che la società borghese porta in se stessa delle contraddizioni strutturali che ne minano la solidità. Infine dice che l’economia debba far uso dello schema dialettico della totalità organica. Un’altra caratteristica del metodo di Marx è studiare il capitalismo distinguendone gli elementi di fondo e astraendo da quelli secondari per poi formulare su di esso alcune previsione. Tuttavia dato il carattere tendenziale delle leggi rilevate esse non vanno confuse con delle profezie. Il capitale risulta quindi una fotografia critica della civiltà capitalistica.
La prima parte dell’opera analizza la merce. Una merce è qualcosa che deve poter servire a qualcosa, ossia essere utile. Inoltre deve possedere un valore di scambio che ne garantisca la possibilità di essere scambiata con altre merci. Il valore della marce si basa sull’equazione valore = lavoro. Più lavoro è necessario per produrre una determinata merce più essa vale. Il valore non si identifica col prezzo però il prezzo ha il valore alla propria base. Per questo Marx contesta il feticismo delle merci che dimentica che le merci sono il frutto dell’attività umana.
La caratteristica specifica del capitalismo, secondo M, è il fatto che in esso la produzione non risulta finalizzata al consumo, bensì all’accumulazione di denaro. Il ciclo capitalistico non è descrivibile con la formula M.D.M, merce-denaro-merce, ma con D.M.D’ ovvero denaro-merce-più denaro. Il plusvalore ovvero il più denaro ha origine dal fatto che il capitalista può comprare una merce particolare che produce valore: questi sono gli operai, l’unica fonte del plusvalore.
Il plusvalore discende quindi dal pluslavoro dell’operaio e si identifica con l’insieme del valore da lui gratuitamente offerto al capitalista. M spiega cosi lo sfruttamento del capitalista.
Dal plusvalore deriva il profitto. Questi due non sono la stessa cosa. Per capire la loro differenza devo introdurre il capitale variabile (capitale mobile investito in salari) e capitale costante (capitale investito nelle macchine). Il saggio del plusvalore risiede nel rapporto tra plusvalore e capitale variabile. Il saggio del profitto è il rapporto tra il plusvalore e la somma del capitale variabile e costante. Il saggio del profitto è sempre minore del plusvalore e esprime il guadagno del capitalista.
Il capitalismo è un tipo di società retto dalla logica del profitto privato anziché dalla logica dell’interesse collettivo ed ha quindi uno sfondo tragico. Questo processo avviene lungo una serie di tappe.
Il capitale accresce il plusvalore aumentando la giornata lavorativa (plusvalore assoluto). Però la dilatazione d’orario presenta limiti invalicabili(un uomo non può lavorare continuamente). Di conseguenza il capitalismo punta alla riduzione della parte di giornata lavorativa necessaria ad integrare il salario (plusvalore relativo). Storicamente questo processo di produzione del plusvalore relativo passa attraverso 3 fasi: cooperazione semplice; manifattura; grande industria. L’industria ha portato le macchine che aumentano il plusvalore relativo e quello assoluto ed inoltre permettono l’uso della manodopera di donne e bambini.
L’aumento della produttività porta a delle crisi cicliche che non provengono dalla scarsità di prodotti, ma dall’abbondanza: questo è dovuto al fatto che nell’anarchia della produzione i capitalisti si precipitano alla cieca nel mercato, saturandolo. La crisi porta alla distruzione capitalistica dei beni che potrebbero essere utili ai poveri e alla disoccupazione che accresce l’esercito industriale di riserva. Inoltre le macchina fanno aumentare il capitale costante e fanno diminuire il profitto. La legge della caduta tendenziale del saggio di profitto equivali quindi a una legge dei rendimenti decrescenti demotivante rispetto agli investimenti capitalistici ed è il vero tallone d’Achille del capitalismo
Tale legge finisce per produrre quell’ultima e decisiva tendenza del capitalismo che è la scissione della società in due classi antagonistiche. Da un lato abbiamo l’espropriazione di molti capitalisti da parte di pochi e la seguente diminuzione costante dei capitalisti e dall’altro abbiamo la massa sempre più grande di salariati e disoccupati. La tendenza finale del capitalismo ha un carattere dialettico-dualistico: da un lato una minoranza industriale, dalla gigantesca ricchezza e immenso potere e dall’altro una maggioranza proletaria sfruttata.

 

Marx (3° parte)

Il proletariato appare investito di una specifica missione storico-universale, ovvero quella della rivoluzione. Lo strumento tecnico della trasformazione rivoluzionaria è la socializzazione dei mezzi di produzione e scambio che passano nelle mani della comunità. Tuttavia questa rivoluzione può essere più pacifica rispetto a quella francese. La rivoluzione deve mirare all’abbattimento dello stato borghese. Lo stato per Marx è una macchina, ma se lo stato Borghese è un insieme di apparati istituzionali che servono specificatamente alla borghesia esso non è una macchina che ognuno possa utilizzare ad arbitrio e piacimento, in quanto ogni classe dominante secondo il materialismo storico è costretta a forgiare una macchina statale secondo le proprie esigenze.
La dittatura del proletariato è una misura politica fondamentale per la transizione al comunismo, essa è una dittatura da parte degli oppressi su una minoranza di ex-oppressori destinata a scomparire. Essa però è solo transitoria perché deve portare al superamento di se stessa e a quello di ogni forma di Stato.
Tra le fasi della futura società comunista Marx distingue il comunismo rozzo dove la proprietà viene abolita solo per essere trasformata in proprietà di tutti: essa viene universalizzata e attribuita alla comunità mentre gli uomini sono tutti ridotti a operai. La comunità ha il ruolo del capitalista e non si risolve il problema della società borghese. La rozzezza di questo comunismo ha come esempio la comunanza delle donne.
Nel comunismo autentico l’uomo superato l’orizzonte della proprietà cessa di intrattenere con il mondo rapporti di puro possesso e consumo. Si crea un uomo nuovo che esercita in modo creativo l’insieme delle sue potenzialità intrattenendo un rapporto poliedrico con la realtà e gli altri uomini.
Nella critica del programma di Gotha Marx descrive le due fasi del comunismo, poi divise in socialismo e comunismo: nella prima la società è l’unico datore di lavoro e tutti sono salariati. Nella seconda fase scompare la divisione del lavoro, la proprietà privata, le cassi, lo sfruttamento, la miseria. Il lavoro diviene il primo bisogno della vita e viene attribuita importanza alle forze produttive.

La parte più originale del pensiero di Engels è la dialettica della natura. La dialettica è un metodo per interpretare la natura. La preoccupazione dominante di Engels è quella di inquadrare il marxismo nelle concezioni della scienza positivistica del suo tempo.
Pertanto le leggi della dialettica devono essere ricavate per astrazione tanto nella storia della natura quanto da quella della società umana. Esse sono fondamentalmente 3: la legge della conversione della quantità in qualità e viceversa; la legge della compenetrazione degli opposti; la legge della negazione della negazione.

 

Nietzsche

Nietzsche nacque presso Lipsia nel 1844. Nel 1849 perde il padre e nel 1850 si trasferisce a Naumburg. Nel 58 entra nella prestigiosa scuola di Pforta. Nel 64 studia teologia a Bonn, l’anno dopo si trasferisce a Lipsia dove legge per la prima volta Schopenhauer. Nel 69 ottiene la cattedra di lingua e letteratura greca a Basilea. In questo periodo strinse amicizia con Rohde, Overbeck, e Wagner. Allo scoppio della guerra franco prussiana si arruola come infermiere volontario ma si ammala di difterite e viene congedato. Nel 78 si distacca da Wagner e Schopenhauer. Intanto la salute del filosofo si va indebolendo e rinuncia alla cattedra di Basilea. Nell’82 conosce una giovane russa di 21 anni Salome in cui crede di aver trovato una discepola e compagna di eccezione, ma lei rifiuta di sposarlo. A causa di ciò si accentuano i dissidi con la madre e la sorella. Nell’87 si trasferisce a Torino e da i primi segni di squilibrio mentale. Nel frattempo la sua fama continua a crescere ma lui è immerso nella follia e muore nel 1900.
Tra i suoi scritti ricordiamo:

  • Scritti giovanili: la nascita della tragedia 1872; le quattro considerazioni inattuali 73/76; la filosofia nell’epoca tragica dei greci 73; su verità e menzogna in senso extra morale 73.
  • Scritti del periodo illuministico o genealogico: umano, troppo umano 78/80; aurora 81; la gaia scienza 82; gli idilli di Messina 82.
  • Scritti del merigio: così parlò Zarathustra 83/85
  • Scritti del tramonto: al di là del bene e del male 86; genealogia della morale 87; il caso Wagner, crepuscolo degli idoli, l’anticristo, ecce homo, Nietzsche contra Wagner 88

 

 

Nietzsche (2° parte)

La nascita della tragedia è un opera composita che tratta di filologia, filosofia, estetica e teoria della cultura, ma soprattutto filosofia e grecità. Il motivo centrale è la distinzione tra apollineo e dionisiaco. Con questa coppia di opposti che vengono definiti anche come forma-caos, stasi-divenire, finito-infinito, sogno-ebbrezza, luce-oscurità N intende i due impulsi di base dello spirito e dell’arte greco. L’apollineo che nasce da un  atteggiamento di fuga di fronte al divenire si esprime nelle forme limpide e armoniche della scultura e della poesia epica. Il dionisiaco che nasce dalla partecipazione al divenire si esprime nell’esaltazione creatrice della musica e della poesia lirica.
N insiste sul carattere originariamente dionisiaco della sensibilità greca, portata a scorgere ovunque il dramma della vita e della morte e gli aspetti orribili dell’essere. N descrive inoltre le varie fasi del rapporto tra apollineo e dionisiaco: in un primo tempo nella Grecia presocratica i due impulsi vivevano separati e opposti; nell’età della tragedia Attica essi si armonizzano tra loro dando origine a capolavori sublimi. Nella tragedia di Euripide l’apollineo prevale sul dionisiaco fino a soffocarlo, questo grazie all’insegnamento razionalistico e ottimistico di Socrate e a Euripide.
La decadenza della tragedia prelude alla decadenza della civiltà occidentale e si riflette sulla differenza tra uomo tragico e uomo teoretico.
La visione di N non è ne ottimistica ne pessimistica. Anche se da Schoppy riprende la tesi del carattere doloroso dell’essere respinge la sua tematica dell’ascesi. Per N la vita è dolore e non ha ne ordine ne scopo ed è dominata dal caso. Due atteggiamenti sono allora possibili: la rinuncia e la fuga ovvero quello dell’asceta e quello dell’accettazione della vita cosi come è che mette capo all’esaltazione della vita e al superamento dell’uomo. N vuole essere discepolo di Dionisio perché vede in lui il simbolo del si totale del mondo. DA cio segue che solo l’arte riesce a comprendere veramente il mondo.
Tra il 73 e il 76 N scrive le 4 considerazioni inattuali. Nella seconda N si schiera apertamente contro lo storicismo e lo storiografismo sostenendo che l’eccesso di storia indebolisce le potenzialità creatrici dell’uomo. L’uomo sentendosi in balia del passato che lo soffoca non è capace di creare qualcosa di nuovo.
Per N il fattore oblio risulta indispensabile nella vita. Innanzitutto perché senza una certa dose di incoscienza non c’è felicità e perché per poter agire efficacemente nel presenta occorre saper dimenticare il passato.
La storia è utile solo se sta al servizio della vita e non viceversa; la vita rappresenta quindi l’ottica con cui rapportarsi alla storia. La storia appartiene al vivente sotto tre rapporti a cui corrispondono 3 specie di storia ognuno con un aspetto positivo e uno negativo:

  • La storia monumentale di chi guarda al passato per cercarvi modelli e maestri. Il suo aspetto negativo è  che tende a mitizzare il passato cancellandone alcune zone, oppure stimola il coraggioso alla temerarietà e l’entusiasta al fanatismo.
  • La storia antiquaria è propria di chi guarda al passato con fedeltà e amore. Però essa degenera in una cieca furia collezionistica e quindi mummifica la vita paralizzando l’agire e ostacolando il nuovo.
  • La storia critica è propria di chi guarda al passato come a un peso da cui liberarsene. L’aspetto negativo risiede nella sua presunzione di poter recidere il passato dimenticando che noi siamo il risultato di precedenti generazioni.

 

Nietzsche (3° parte)

Umano troppo umano segna l’inizio del periodo illuministico. In questo periodo c’è il distacco da Wagner e Schopenhauer. N diventa illuminista perché è impegnato in un opera di critica tramite la scienza.  Per scienza N intende un metodo di pensiero in grado di emancipare gli uomini dagli errori che gravano sulle loro menti. Il metodo è un procedimento critico di tipo storico e genealogico perché ritiene che non esistano realtà statiche o immutabili, ma che ogni cosa sia l’esito di un processo da ricostruire. N distingue il spirito libero e la filosofia del mattino. Lo spirito libero si identifica col viandante, colui che riesce a svincolarsi dalle tenebre del passato inaugurando una filosofia del mattino basata sulla concezione della vita come provvisorietà e come libero esperimento senza certezze precostituite.
Per N Dio è il simbolo di ogni prospettiva oltremondana e la personificazione delle certezze ultime dell’umanità ossia di tutte quelle credenze elaborate per dare un senso e un ordine rassicurante alla vita. L’immagine di un cosmo ordinato è solo una costruzione della nostra mente ai fini di sopportare la durezza dell’esistenza. Di fronte ad una realtà che è contraddittoria gli uomini hanno dovuto convincere se stessi che il mondo è qualcosa di logico; da ciò il proliferare delle religioni per dimostrare che il mondo non danza sui piedi del caso e ch risulta costruito secondo categorie di ragione.
Dio si configura come la essenza di tutte le credenze escogitate per poter fronteggiare il volto caotico e meduseo dell’esistenza. Per N è la realtà stessa cioè l’essenza malefica e caotica del mondo che confuta l’idea di Dio.
A N preme oramai annunciare l’evento della morte di Dio e riflettere sulle conseguenze prodotte da questo fatto decisivo.
Il racconto dell’uomo folle che annuncia la morte di dio è premo di significati filosofici: l’uomo è il filosofo profeta, le risate degli uomini del mercato sono l’ateismo superficiale dell’ottocento, la difficoltà del bere il mare allude al carattere arduo dell’uccisione di dio, il precipitare nello spazio vuoto è il senso di vertigine e smarrimento, la necessità di farsi dei è il superuomo, il giungere troppo presto è la coscienza che la morte di dio non si è ancora concretizzata in un fatto di massa e le chiese come sepolcri di dio alludono alla crisi moderna delle religioni.
La morte di Dio coincide con l’avvento del superuomo. Solo chi prende atto del crollo degli assoluti è maturo; il superuomo ha dietro di se la morte di dio e davanti a se il mare aperto delle possibilità connesse ad una libera progettazione della propria esistenza al di la di ogni struttura metafisica data. La tesi della morte di Dio è il frutto di una persuasione filosofica e di una consapevolezza epocale. Però l’uomo può diventare superuomo solo se ha superato tutte le divinità, infatti N contesta Dio e ogni possibile suo surrogato perché sa che gli uomini possono crearsene di nuove.
La morte di Dio coincide con il tramonto del platonismo e del cristianesimo, perché Platone è il primo a inventare un idea del mondo che si contrappone a quello in cui viviamo; ciò è avvenuto in 6 tappe:

  1. Platone e la filosofia greca, il mondo vero è attingibile dai saggi
  2. Cristianesimo, il mondo vero è promesso ai virtuosi
  3. Kant, il mondo vero è ridotto ad un obbligo o un postulato morale
  4. Positivismo, il mondo vero è prospettato come inconoscibile
  5. Il mondo si rivela un’idea inutile e superflua
  6. Tempo di Zarathustra, eliminazione del mondo dell’aldilà e del mondo apparente dell’aldiquà.

In Aurora N presenta la fine del mondo vero in termini di autosoppressione della morale, cioè dicendo che noi ci siamo sbarazzati delle idee morali e metafisiche di matrice platonico-cristiana.

 

Nietzsche (4° parte)

Cosi parlò Zarathustra è il primo libro della fase della filosofia del meriggio che comincia con la consapevolezza che con l’eliminazione del mondo verso è stato tolto di mezzo anche il mondo apparente.
Dopo la morte di Dio si aprono all’uomo due possibilità: l’ultimo uomo e il superuomo: Zarathustra non è il superuomo, ma solo il suo profeta. N sceglie la figura di Zarathustra (profeta iraniano) perché è colui che per primo ha tradotto la morale in termini metafisici e quindi ha capito l’errore della morale.
Il superuomo è colui che è in grado di accettare la dimensione tragica e dionisiaca dell’esistenza; di dir di si alla vita; di reggere la morte di Dio e la perdita delle certezze assolute; di far propria la prospettiva dell’eterno ritorno. Il superuomo non può che spiccare sull’orizzonte del futuro. Non si tratta di un uomo potenziato, ma di un uomo oltre l’uomo capace di creare nuove valori e di rapportarsi in modo inedito alla realtà.
L’uomo è sostanzialmente corpo e quindi è accettata totalmente la vita.
Nel primo discorso intitolato le tre metamorfosi N descrive la genesi e il senso del superuomo;

  • il cammello rappresenta l’uomo che porta i pesi della tradizione e che si piega di fronte a Dio e alla morale
  • il leone rappresenta l’uomo che si libera dai fardelli metafisici all’insegna dell’io voglio
  • il fanciullo rappresenta l’oltre uomo e nella sua innocenza sa dir di si alla vita e inventare se stessa al di la del bene e del male

N è un filosofo della liberazione, ma soltanto di una parte dell’umanità, ovvero di un elite di individui che hanno addirittura bisogno della schiavitù delle masse. La teoria di N ha solo un carattere filosofico e non politico inoltre N denuncia tutti gli idoli politici del suo tempo.
N presenta la teoria dell’eterno ritorno ovvero della ripetizione eterna di tutte le vicende del mondo. Nel brano la gaia scienza N chiede cosa accadrebbe se un demone apparisse e ci svelasse la teoria dell’eterno ritorno. L’uomo comune reagirebbe con terrore, mentre il superuomo sarebbe entusiasta. Il pensiero dell’eterno ritorno funge da spartiacque tra l’uomo e il superuomo.
Nell’opera di Zarathustra N lo descrive in un altro modo: un pastore (l’uomo) si rotola soffocato da un serpente nella bocca (il pensiero dell’eterno ritorno). Solo quando il pastore morde la testa del serpente (la decisione coraggiosa nei confronti dell’eterno ritorno) si trasforma in una creatura superiore e ridente (il superuomo).
N recupera una visione Greca della ciclicità del tempo. Questa teoria è molto difficile da interpretare,alcuni pensano sia una certezza cosmologica, altri un ipostesi sull’essere che funge da schema etico e altri ancora che sia l’enunciazione metaforica di un modo di essere.
Comunque collocarsi all’interno dell’ottica dell’eterno ritorno vuol dire rifiutare una concezione lineare del tempo e ritenere che il senso dell’essere sia nell’essere stesso e disporsi a vivere la vita come coincidenza di essere e di senso.
Nelle opere dell’ultimo periodo capeggiano i temi della critica alla morale e al cristianesimo. N si propone di distruggere le credenze dominanti per far posto all’avvento di un nuovo pensiero finalizzato alla creazione del superuomo.
Il primo passo da compiere nei confronti della morale è mettere in discussione la morale stessa. Proprio in vista di ciò N intraprende un’analisi genealogica della morale al fine di scoprirne la genesi psicologica effettiva. I valori trascendenti della morale sono una proiezione di determinate tendenze umane. La coscienza risulta piuttosto la voce di alcuni uomini nell’uomo, in altre parole la moralità è l’istinto del gregge nel singolo ovvero la sua sottomissione a determinate direttive fissate dalla società.
In un primo momento la morale risulta improntata ai valori della forza, della salute, della fierezza, della gioia (morale dei signori).Nel cristianesimo la morale è improntati ai valori del disinteresse, dell’abnegazione e del sacrificio di se. (morale degli schiavi). La morale degli schiavi vince su quella dei signori perché quest’ultima in origine comprendeva l’etica dei guerrieri e quella dei sacerdoti; i sacerdoti non possono fare a meno di provare un certo risentimento nei confronti dei guerrieri e non potendo dominare i guerrieri sul loro stesso terreno i sacerdoti affermano se medesimi elaborando una nuova serie di valori contraria a quella dei guerrieri. In tal modo al corpo viene anteposto lo spirito. Questo rovesciamento di valori è rappresentato sopratutto dagli ebrei, ma anche dal cristianesimo, una religione che è il frutto di un risentimento dell’uomo debole verso la vita. Nel cristianesimo storico il simbolo della vita si mette contro la vita. Il cristiano è quindi un uomo risentito e represso che nasconde in se un’aggressività rabbiosa contro la vita e uno spirito di vendetta.
N propone quindi una radicale trasvalutazione dei valori ovvero un nuovo modo di rapportarsi ai valori intesi come libere proiezioni dell’uomo e della sua volontà di potenza. I veri filosofi sono legislatori essi dicono cosi deve essere e stabiliscono la meta dell’uomo.
La volontà di potenza è l’intima essenza dell’essere e si identifica con la vita stessa, intesa come forza espansiva. La molla della vita è la spinta all’autoaffermazione e trova la sua espressione più alta nel superuomo perché la sua essenza consiste nel continuo oltrepassamento di se. La vita è anche auto creazione cioè libera produzione di se medesima al di la di ogni piano prestabilito. L’arte p un esempio di forza creatrice e l’artista è una prima visibile figura di oltreuomo. L’essenza creativa della volontà di potenza si manifesta nella produzione di valori. La volontà di potenza trova il proprio culmine nell’accettazione-istituzione dell’eterno ritorno. Il carattere creativo e redentore della volontà rispetto al tempo coincide con l’apoteosi del divenire ossia con l’atto tramite cui il divenire riceve il sigillo dell’essere.
La volontà di potenza ha anche valenze ben più crude, come sopraffazione e dominio che portano al concetto di volontà di potenza in cui ci sono aspetti antidemocratici che fanno parte della componente reazionaria di N.
In una prima accezione N intende per nichilismo la volontà del nulla ovvero ogni atteggiamento di fuga e di disgusto nei confronti del mondo concreto. In una seconda accezione N adopera questo termine per indicare il movimento storico da lui riconosciuto per la prima volta e che egli concentra nell’espressione Dio è morto. Il nichilismo è quindi la situazione dell’uomo che non credendo più nei valori supremi avverte lo sgomento del vuoto e del nulla.
Il nichilismo nasce quando l’uomo in virtù delle metafisiche si è immaginato dei fini assoluti e delle realtà trascendenti, ma in seguito ha scoperto che tali fini e tali ordini non esistono e che l’essere non è ne uno ne vero ne buono ed è piombato nell’angoscia nichilistica.
Quanto più l’uomo si è illuso tanto più è rimasto deluso. L’equivoco del nichilismo moderno consiste nel dire che il mondo non avendo quella serie di significati forti che i metafisici gli attribuivano non ha nessun senso.
N pur essendo un nichilista radicale dice di superare il nichilismo poiché il nichilismo appare a N soltanto uno stadio intermedio ovvero un no alla vita che prepara il grande si ad essa, attraverso l’esercito dell’attività di potenza.
N distingue tra nichilismo incompleto in cui i vecchi valori vengono distrutti ma i nuovi hanno la medesima fisionomia dei vecchi; nichilismo completo ovvero quello vero e proprio. Quest’ultimo può essere segno di debolezza o di forza: nel primo caso, nichilismo passivo, si limita a prende atto del declino dei valori e nel secondo caso di ha il nichilismo attivo che si esercita come forza violenta di distruzione. N chiama estrema la forma di nichilismo che distrugge ogni residua credenza in qualche verità in se di tipo metafisico. Il nichilismo estremo raggiunge la sua completezza quando passa dal momento distruttivo a quello costruttivo ovvero quando si rende conto che il senso non essendo dato deve essere inventato.
Il significato ultimo del superamento di N del nichilismo è accettare il rischio e la fatica di dare un senso al caos del mondo dopo la morte delle antiche certezze e delle vecchie fedi.

 

Bergson

 

Lo spiritualismo costituisce la prima reazione al positivismo. L’atteggiamento della filosofia spiritualistica si riverisce all’atteggiamento per cui l’uomo prende a oggetto d’indagine la sua sua stessa interiorità. Questa corrente riconosce il compito proprio e specifico della filosofia nella descrizione e nella spiegazione dei dati della coscienza.
Bergson è il massimo esponente dello spiritualismo francese e la sua teoria è compresa nel quadro dell’evoluzionismo spiritualistico. B nacque a Parigi nel 1859 e morì nel 1941. Il suo primo scritto è il Saggio sui dati immediati della coscienza che mostra il metodo della sua filosofia: liberare dalle strutture intellettuali fittizie la vita originale della coscienza per attingerla nella sua presenza. La seconda opera è Materia e Memoria dedicata allo studio dei rapporti tra corpo e spirito. La sua opera più importante L’evoluzione creatrice è dedicata a illustrare la natura della vita come una corrente di coscienza. Nel 1900 Bergson aveva pubblicato i saggi sul Riso e tre altre raccolte di saggi tra il 1919 e il 1934 intitolate L’energia spirituale, Durata e simultaneità e Il pensiero e il movente. Nel 32 pubblica le due fonti della morale e della religione.
Una delle teorie più originali di Bergson è la distinzione tra il tempo della scienza e il tempo della vita:

  • Il tempo della scienza è quantitativo e omogeneo (ogni istante è differente dall’altro solo quantitativamente), reversibile (un esperimento può essere osservato un numero indefinito di volte) e discontinuo, inoltre è astratto esteriore e spazializzato e ha come simbolo la collana di perle
  • Il tempo della vita è qualitativo ed eterogeneo, irreversibile e continuo, inoltre si identifica con la durata reale concreta, interiore ed è libertà e auto creazione. Ha come simbolo il gomitolo o la valanga.

Mentre il tempo della scienza è una costruzione formale di tipo fisico-matematico, il tempo della vita coincide con il fluire auto creativo della coscienza. L’anima si determina da sé ed è quindi libera.
In Materia e Memoria B studia i rapporti tra spirito e corpo. B articola il suo discorso distinguendo tra memoria ricordo e percezione. La memoria pura e la coscienza stessa, lo spirito che registra automaticamente tutto. Il ricordo è la materializzazione di un evento del passato. Il cervello trasforma in ricordi immagini solo ciò che serve all’azione mantenendo nell’inconscio la massima parte del passato. La percezione agisce come un continuo filtro selettivo dei dati. B continua a presupporre un dualismo tra spirito e materia.
L’opera evoluzione creatrice è tesa a mostrare come l’universo stesso sia interpretabile secondo il concetto di durata reale. La vita è sempre creazione e nello stesso tempo conservazione integrale e automatica dell’intero passato.
Noi non possiamo vivere che una sola vita perciò dobbiamo scegliere. In altri termini la vita non segue una linea di evoluzione unica e semplice. L’unita della varie direzioni è un unità che precede la biforcazione. Lo slancio vitale è creazione libera e imprevedibile ed è la causa profonda delle variazioni. Con l’esempio della mano e della limatura di ferro B critica finalismo e materialismo. I primi vogliono che un piano d’insieme preceda queste azioni elementari, mentre i secondi dicono che la posizione di ciascun grano di limatura sia causato dai grani vicini che esercitano azione su di esso. La verità è che vi è stato un atto indivisibile che è l’atto dello slancio vitale.
La prima biforcazione dello slancio vitale è quella che ha dato origine alla divisione tra pianta e animale. La prima è caratterizzata dalla capacità di fabbricare le sostanze organiche. Gli animali sono obbligati ad andare a cercare il loro nutrimento. Neppure la vita animale si è sviluppata secondo un’unica linea. Gli artropodi e i vertebrati hanno sviluppato più la mobilità e la coscienza, mentre negli echinodermi e nei molluschi l’evoluzione ha incontrato un vicolo cieco. L’evoluzione degli artropodi ha raggiunto il culmine con gli insetti e gli imenotteri, mentre quella dei vertebrati con l’uomo. Nei primi si è sviluppato l’istinto nei secondi l’intelligenza.
Istinto e intelligenza sono tendenze diverse, ma connesse e mai assolutamente separate. Nella loro forma perfetta l’intelligenza è la facoltà di fabbricare strumenti artificiali e l’istinto è la facoltà di utilizzare o costruire strumenti organizzati. L’intelligenza si trova a suo agio quando si trova a che fare con la materia inorganica ed è caratterizzata da un incomprensione per il movimento, per il divenire e la vita. L’intelligenza prende sul divenire delle istantanee e cerca di riprodurre il movimento mediante la successione di tali istantanee, ma con ciò si lascia sfuggire la continuità del divenire. È possibile un ritorno consapevole dell’intelligenza all’istinto e tale ritorno è l’intuizione. L’intuizione è un istinto divenuto disinteressato, consapevole di se stesso capace di riflettere sul suo oggetto e di estenderlo definitivamente. Una ricerca di questo genere può dar vita all’arte o alla metafisica.
B individua le società chiuse nelle quali l’individuo agisce unicamente come parte del tutto e che lasciano un margine minimo all’iniziativa e alla libertà; e società aperte nelle quali invece si continua lo sforzo creatore della vita. Nelle società chiuse domina la morale dell’obbligazione, fondata su abitudini sociali che garantiscono la vita e la solidità del corpo sociale. Nelle società aperte c’è la morale assoluta che guarda a tutta l’umanità. Mentre la prima è immutabile la seconda è in movimento e tende al progresso. A queste due morali diverse corrispondono due tipi di religione. C’è la religione statica che mediante miti e superstizioni cerca di dare all’uomo una difesa contro le prospettive di pericolo ed è una reazione difensiva della natura contro l’intelligenza. La religione dinamica è il misticismo. Attraverso il misticismo l’uomo si inserisce nello slancio creatore della vita. La coincidenza dell’esperienza mistica in tutte le forme di religione è l’unica prova di Dio. B ritiene che i mistici cristiani siano superiori a quelli delle altre religioni perché insistono sull’amore. B auspica il sorgere di qualche genio mistico come correzione dei mali sociali dell’umanità.

 

Freud

 

La rivoluzione psicoanalitica ha finito per influenzare tutta la cultura del nostro secolo.
Sigmund Freud nacque in Moravia nel 1856 da genitori ebrei che si trasferiscono a Vienna nel 1860. Si laurea in medicina e si dedica alla psichiatria. Nel 55 grazie ad una borsa di studio si reca a Parigi dove lavora con Charcot sui fenomeni isterici. Poi va a Nancy dove studia l’ipnosi. Torna a Vienna e lavora con Breuer e fonda la teoria psicoanalitica. Nel1933 a Berlino i nazisti bruciano le sue opere e nel 1938 deve lasciare Vienna per Londra dove muore nel 39. Delle sue opere ricordiamo: Studi sull’isteria, interpretazione dei sogni, psicopatologia della vita quotidiana, tre saggi sulla sessualità, l’Io e l’Es, analisi terminabile e interminabile.
La medicina ottocentesca non prendeva sul serio le malattie che non presentavano lesioni organiche corrispondenti. Charcot usava l’ipnosi come metodo terapeutico, mentre Breuer la utilizzava come mezzo per richiamare alla memoria spiacevoli avvenimenti dimenticati per eliminare emozioni connesse ai fatti. Anna O. F con Breuer mettono a punto il metodo catartico che consisteva nel provocare una scarica emotiva capace di liberare il malato dai suoi disturbi. F arriva alla scoperta che la causa delle psiconevrosi è da ricercarsi in un conflitto tra forze psichiche inconsce i cui sintomi risultano psicogeni. La scoperta dell’inconscio segna l’atto di nascita della psicanalisi.
F afferma che la maggior parte della vita mentale si svolge fuori dalla coscienza. L’inconscio è il punto di vista privilegiato per osservare l’uomo. F divide l’inconscio in 2 zone. La prima comprende l’insieme dei ricordi che pur essendo momentaneamente inconsci possono diventare consci. Tale è il preconscio. La seconda zona comprende gli elementi psichici stabilmente inconsci che sono mantenuti tali dalla rimozione. Per superarla occorre usare le associazioni libere: mettere il paziente in grado di abbandonarsi al corso dei propri pensieri facendo si che tra le varie parole da lui pronunciate si instaurino delle catene associative con il materiale che si vuole portare alla luce. Il transfert è il trasferimento sulla persona del medico di stati d’animo ambivalenti provati dal paziente durante l’infanzia nei confronti dei genitori. In questo modo si ha una sorta di attaccamento al medico che si traduce in successo dell’analisi perché il paziente vuole guadagnarsi l’approvazione del medico.
F afferma che la psiche è un unità complessa. La prima topica psicologica distingue 3 sistemi: il conscio, il preconscio e l’inconscio. La seconda distingue l’Es, l’Io e il Super-io.
L’es ovvero la forza impersonale e caotica costituisce la matrice originaria della nostra psiche ed è al di la della moralità, delle forme spazio-temporali e della logica.
Il Super-io è la coscienza morale ovvero l’insieme delle proibizioni che sono stati instillate all’uomo nei primi anni di vita
L’io è la parte organizzata della personalità, che deve equilibrare tramite compromessi pressioni disparate e in contrasto tra loro. Nell’individuo normale l’io riesce a padroneggiare la situazione. Ma se l’es è più forte del Super-io l’io è condotto ad atteggiamenti proibiti e diventa un delinquente. Se il Super-io è troppo rigido si manifestano sintomi nevrotici.
F ritiene che i sogni siano l’appagamento camuffato di un desiderio rimosso. F distingue all’interno dei sogni un contenuto manifesto, la scena onirica e un contenuto latente, l’insieme delle tendenze che danno luogo alla scena onirica. Il contenuto manifesto dei sogni è la forma elaborata e travestita in sui si presentano i desideri latenti. F prende i esame quei contrattempi della vita di tutti i giorni (lapsus, dimenticanze) dicendo che essi sono una manifestazione camuffata dell’inconsci ovvero una sorta di compromesso tra l’intenzione cosciente del soggetto e determinati pensieri inconsci che si agitano nella sua psiche.
I sintomi sono il punto di incontro tra una o più tendenze rimosse e gli impulsi rimossi che stanno alla base dei sintomi psiconevrotici sono sempre di natura sessuale.
Prima di F la sessualità era identificata con il congiungimento di individui di sesso opposto ai fini della procreazione. Freud dapprima dice che la sessualità manca nei bambini e subentra nella pubertà.
F fu costretto ad ampliare il concetto di sessualità fino a vedervi un’energia suscettibile di dirigersi verso le mete più diverse e in grado di investire gli oggetti più disparati. Energia che F nomino libido.
F giunse a definire il bambino come un essere perverso e polimorfo ossia come un individuo capace di perseguire il piacere indipendentemente da scopi riproduttivi e mediante i più svariati organi. F sostiene che lo sviluppo sessuale del soggetto avviene attraverso 3 fasi:

  • Orale che ha come zona erogena la bocca ed è connessa con il poppare (0-1 anno e mezzo)
  • Anale che ha come zona erogena l’ano (1 anno e mezzo-3 anni)
  • Genitale che ha come zona erogena la zona genitale e si divide in fase fallica perché la scoperta del pene costituisce oggetto di attrazione e fase genitale in senso stretto (inzia dal 4° o dal 6° anno) caratterizzata dall’organizzazione delle pulsioni sessuali sotto il primato delle zone genitali

Connesso a ciò è la teoria relativa al complesso di Edipo che consiste in un attaccamento libidico verso il genitore di sesso opposto e in un atteggiamento ambivalente verso quello dello stesso sesso.
Per quanto riguarda le rappresentazioni religiose F dice che esse siano illusioni, appagamenti dei desideri più forti. Dio non è altro che la proiezione psichica dei rapporti ambivalenti con il padre terreno. La civiltà implica un costo in termini libidici essendo costretta a deviare la ricerca del piacere in prestazioni sociali e lavorative.
F non va contro la società anzi ribatte dicendo che la sofferenza è componente strutturale della vita e che l’uomo è una creatura molto aggressiva e senza società l’uomo sarebbe ancora più pericoloso. Anzi lo Stato deve ridurre gli spazi di repressione e sofferenza.

 

L’esistenzialismo

L’esistenzialismo è caratterizzato da una sensibilità nei confronti della finitudine umana e in ciò che la caratterizza, ovvero: la nascita, la lotta, la sofferenza, il passare del tempo e la morte. Inoltre l’esistenzialismo, è collegato ad alcune manifestazioni letterarie in cui è viva la problematicità della vita umana, tra cui Dostoevskij e Kafka. In Dostoevskij, si può scorgere il problema dell’uomo che sceglie le possibilità della vita e le realizza, portando con se il peso di questa realizzazione; in Kafka invece, vi è un senso negativo delle possibilità umane: emergono infatti il tema dell’insicurezza della vita, contro la quale non ci sono rimedi, e il tema della banalità quotidiana, che toglie all’uomo il suo carattere umano. Per quanto riguarda la letteratura esistenzialistica, essa affronta le problematiche dell’uomo, sottolineando le vicende più tristi e dolorose, l’incertezza delle azioni e l’ambiguità del bene. Questi temi vengono ripresi da Camus, il quale nel Mito di Sisifo, vede l’eroe mitologico il simbolo dell’assurdità dell’esistenza umana, distratta dalle aspirazioni e culminante nella vanità dei suoi sforzi. Inoltre in L’uomo in rivolta, Camus descrive la rivolta metafisica, in cui l’uomo va contro la proprio condizione e contro l’intera creazione, rivendicando la felicità e andando contro alla sofferenza e alla morte. Per quanto riguarda il costume esistenzialistico, tipico dei giovani, è riconoscibile per determinati modi di vestire o di portare i capelli, e si propone come protesta contro i conformisti e le false sicurezze. L’esistenzialismo è considerato come la forma filosofica del decadentismo e spesso è stata sottolineata una relazione tra i 2, per il comune tema della morte. L’esistenzialismo, risulta essere collegato anche all’ermetismo, che insiste su temi come la solitudine, l’illusione del vivere, la morte, il mistero, l’oblio e l’irrevocabilità del tempo.
I caratteri comuni dell’esistenzialismo sono:

  1. La riflessione circa l’esistenza. L’esistenza intesa come modo d’essere proprio dell’uomo
  2. Tale modo d’essere viene descritto come un rapporto con l’essere. Gli esistenzialisti concepiscono l’esistenza come un’entità costitutivamente aperta ad un oltre. Il rapporto esistenza essere cioè la relazione problematica tra uomo e l’essere rappresenta quindi il binomio centrale.
  3. Il rapporto esistenziale con l’essere viene interpretato come qualcosa in cui ne va dell’uomo
  4. L’uomo non è una realtà sostanziale e già data , ma un ente che si trova di fronte a determinate possibilità di realizzazione. Possibilità che impegnano la sua libertà. L’uomo è condannato ad essere libero.
  5. L’uomo vive come singolo ossia come un ente individuato e irripetibile.
  6. Come rapporto individuato e concreto con l’essere, l’esistenza si trova sempre in una situazione altrettanto individuata e concreta, racchiusa dalla nascita e dalla morte
  7. L’esistenza risulta costitutivamente segnata dalla finitudine e dal limite.

 

Popper

Karl Popper nacque nel 1902 a Vienna. Tra le sue opere più importanti ricordiamo La logica della ricerca, la miseria dello storicismo, la società aperta e i suoi nemici, conoscenza oggettiva, la ricerca non ha fine, L’io e il suo cervello, i due problemi fondamentali della conoscenza. Muore a Londra nel 1994.
Il rapporto tra il neopositivismo e Popper rappresenta uno dei problemi più controversi e discussi: a tal proposito sono state elaborate tre interpretazioni
1. Popper sarebbe una sorta di neopositivista dissidente (fine anni ’50)
2. E’ l’avversario del neopositivismo (dagli anni ’60)
3. Posizione intermedia tra neopositivistici e anti-neopositivistici (recente)
Di queste ipotesi la più fondata è la terza. Il rapporto con neopositivismo non va ne sopravvalutato né minimizzato. Ma, sebbene il nesso con il neopositivismo è una componente importante, non è l’unica ne la principale. Il suo pensiero si è pur sempre sviluppato a stretto contatto con le tesi neopositivistiche,con cui condivide la battaglia per l’unità della scienza, l’unicità del metodo scientifico, l’idea della scienza come miglior esempio di condotta intellettuale. La rivoluzione epistemologica di Popper è il riflesso, in filosofia, della rivoluzione scientifica compiuta da Einstein in fisica: il popperismo comprensibile solo in riferimento a Einstein. I tratti della rivoluzione einsteiniana che hanno influito su Popper sono:

  • Le teorie di Einstein non sono organizzate in vista di facili conferme, ma di possibili smentite quindi sono previsioni rischiose.
  • Le teorie scientifiche non sono verità assolute ma ipotesi

Popper ha tratto da Einstein i principi di fondo della sua epistemologia: falsificazione e fallibilismo.
Il punto di partenza di Popper è la ricerca di una linea di confine tra asserzioni scientifiche e altre asserzioni.
Per il neopositivismo una teoria risulta scientifica nella misura in cui può essere verificata dall’esperienza: questo è il verificazionismo. Il verificazionismo secondo Popper è un’utopia perché per verificare una teoria dovremmo aver presenti tutti i casi.
Per definire lo status di una teoria introduce criterio di falsificabilità: una teoria è scientifica nella misura in cui può essere smentita dall’esperienza. Una teoria è scientifica nella misura in cui dispone di un sistema di controlli empirici, ossia quando esibisce nella forma di asserzioni base delle possibili esperienze falsificanti: una teoria che non può essere contraddetta da nessuna osservazione non è empirica inoltre più numerosi sono i falsificatori potenziali più la teoria appare scientifica.
Alla base del processo di falsificazione ci sono le asserzioni base che sono enunciati elementari intersoggettivamente controllabili e sulla cui accettazione esiste un accordo tra scienziati.
Il valore delle asserzioni base dipende dal fatto che gli scienziati di un certo periodo storico si trovano d’accordo nel ritenerle valide.
Ma poiché la comunità dei ricercatori può sempre decidere di metterle di nuovo in discussione la base empirica del sapere risulta priva di assolutezza quindi la scienza è come costruzione precaria.
Le asserzioni base non sono la base del sapere in senso cronologico (la conoscenza comincia da aspettative teoriche generali) o logico (non esistono nozioni semplici da cui derivare le altre), ma metodologico con una duplice funzione:

  • le asserzioni base servono per stabilire il carattere scientifico di una teoria (una teoria è falsificabile se esiste almeno un falsificatore potenziale)
  • le asserzioni base accettate costituiscono punto di partenza del meccanismo di controllo di una teoria.

La superiorità epistemologica del principio di falsificabilità deriva dal fatto che miliardi di conferme non rendono certa una teoria, mentre un solo fatto negativo riesce a confutarla.
Ciò che si impara da un’esperienza non è la verità di una teoria ma la falsità di un’ipotesi
ovvero la scienza non è il mondo delle verità certe, ma delle ipotesi non ancora falsificate.
Le teorie possono essere corroborate: un’ipotesi teorica è corroborata quando ha superato il confronto con un’esperienza potenzialmente falsificante. Il grado di corroborazione non garantisce a una teoria la capacità di sopravvivere a controlli futuri, ne significa che essa sia più vera di altre. Ma la corroborazione è un temporaneo criterio di scelta tra ipotesi rivali.
Il criterio di falsificabilità è stato variamente discusso: se dal punto di vista logico la smentita di una teoria è un fatto definitivo, da quello metodologico nessuna smentita può considerarsi definitiva poiché sono falsificabili anche le più accreditate falsificazioni.
Perché una teoria venga rifiutata occorre che se abbia a disposizione una migliore. Popper da un iniziale modello monoteorico (basato sul confronto bipolare teoria-esperienza) è arrivato a un modello pluralistico (incentrato sul confronto tra teorie rivali e l’esperienza).
Il criterio di falsificabilità è un criterio di demarcazione per distinguere all’interno delle teorie significanti quelle scientifiche da quelle non scientifiche.
La metafisica, non essendo falsificabile, non è una scienza, ma ciò non vuol dire, come dicono i neopositivisti, che sia senza senso:
Ai neopositivisti è sfuggita la funzione propulsiva della metafisica esercitata nei confronto della scienza tant’è vero che la ricerca empirica risulta impossibile senza la fede in idee metafisiche generali. In alcuni casi, idee prima considerate metafisiche si sono trasformate in dottrine scientifiche (atomismo).
Inoltre le dottrine metafisiche pur non essendo empiricamente controllabili sono razionalmente criticabili (quindi lungi dal ridursi a semplici espressioni emotive e soggettive).
Popper dubita delle pretese di scientificità del marxismo e della psicoanalisi: i loro ammiratori sono colpiti dal loro potere apparentemente esplicativo: sembravano in grado di spiegare tutto  con un effetto di rivelazione intellettuale che faceva sembrare che il mondo pullulasse di verifiche delle loro teorie e quanto agli increduli si trattava di persone che non volevano vedere la verità manifesta.
Mentre la dottrina di Einstein si presenta con un potere esplicativo limitato e aperta a eventuali smentite Il Marxismo e psicoanalisi sono dottrine onni-esplicative: a) dotate di insufficiente falsificabilità; b) dirette ad aggirare possibili smentite tramite ipotesi di salvataggio.
Popper si presenta come tipico filosofo del metodo, ma in realtà afferma che non c’è alcun metodo per scoprire una teoria scientifica: le teorie sono l’esito di congetture audaci o di intuizioni creative. Le ipotesi hanno infinite sorgenti: da riflessione a fantasia. Per questo Popper distingue contesto della scoperta e contesto della giustificazione. A questo punto interviene il principio di falsificabilità: in quanto le idee una volta trovate vanno provate.
Convinto dell’inesistenza di un metodo capace di trovare le teorie, crede in un metodo per controllare le teorie, consistente in tre passi:

  1. inciampiamo in qualche problema (problemi)
  2. tentiamo di risolverlo con qualche nuova teoria (teorie)
  3. impariamo dai nostri errori (critica)

Questo metodo non è altro che il procedimento per congetture e confutazioni o per prova ed errore: ovvero il metodo problemi-ipotesi-prove che consiste nel rispondere ad un problema con un’ipotesi che deve venir sottoposta al vaglio dell’esperienza
Il metodo per congetture e confutazioni è una sorta di prolungamento culturale del meccanismo dell’evoluzione biologica e del processo di adattamento della specie. Non essendo la scienza un sistema di infallibili verità, l’errore fa parte del sapere scientifico.
Tradizionalmente la scienza si fonda su induzione. Ma Popper sostiene che l’induzione come procedimento di giustificazione delle teorie non esiste: le numerose osservazioni singolari non possono produrre teorie universali da ciò l’impotenza strutturale dell’induzione (tacchino induttivista di  Russell).
Le teorie non vengono ricavate da un procedimento che va dai fatti alle teorie, ma con uno che va dalle teorie al loro controllo tramite i fatti; il punto di partenza è l’ipotesi da cui vengono dedotte le conclusioni da sottoporre al responso dell’esperienza.
La sua dottrina epistemologica è la  sintesi tra l’orientamento logico-deduttivistico del razionalismo e l’empirismo secondo cui è solo l’esperienza che può aiutarci a decidere in merito alla validità di un’ipotesi.
Il rifiuto dell’induzione si accompagna al rifiuto dell’osservazionismo  (osservare senza ipotesi precostituite): la nostra mente non è un recipiente vuoto, ma un faro che illumina, ossia un deposito di ipotesi alla luce delle quali percepiamo la realtà.
Popper è stato accusato di aver ridotto l’induzione a induzione per enumerazione semplice dimenticando l’induzione eliminatoria secondo la quale una prova sostiene un’ipotesi se conferma l’ipotesi stessa e confuta ipotesi rivali o alternative.

 

Popper (2° parte)

Popper dice che la scienza non è sapere certo ma le sue dichiarazioni sono ipotesi. La scienza non ha a che fare con la verità ma con semplici congetture e quindi le teorie non sono mai verificate ma solo temporaneamente non falsificate.
Contro il fondazionalismo  e giustificazionismo (secondo cui la scienza è un insieme di verità certe) Popper afferma che:

  • il nostro sapere è problematico e incerto
  • la scienza possiede fallibilità e autocorreggibilità
  • il problema di come possiamo giustificare la nostra conoscenza risulta privo di senso
  • all’uomo non compete il possesso della verità

Da ciò la connessione tra popperismo e socratismo
Lo scopo della scienza non è la verità (che rimane una pura idea regolativa), ma il raggiungimento di teorie sempre più verosimili (una teoria è migliore di un’altra quando appare più vicina alla verità).
Sebbene nell’ambito della scienza non esiste una legge necessaria di progresso, esiste un criterio generale di progresso ( infatti non possiamo avere argomenti per pretendere di avere raggiunto la verità ma possiamo averli per preferire una teoria)
Il problema della preferenza razionale fra teorie si articola in due sottoproblemi:

  1. preferenza tra teorie scientifiche e non scientifiche
  2. preferenza tra teorie scientifiche:

Sul primo problema Popper dice che le teorie scientifiche sono preferibili perché possono essere sottoposte al metodo falsificazioni sta. Per quanto concerne il secondo punto Popper tenta di offre ire una definizione formale della verosimiglianza. Popper dice che una teoria t2 è più vicina alla verità di t1 se e solo se:

  1. il contenuto di verità di t2 supera quello di t1
  2. il contenuto di falsità di t1 supera quello di t2

Popper arriva a definire la verosimiglianza di una teoria A: Vs(A) = Ctv (A) – Ctf (A) dove Vs(A) è la misura della verosimiglianza della teoria A e Ctv (A) è una misura del contenuto delle verità di A e Ctf (A) è una misura del contenuto delle falsità di A.
Tale definizione si è rivelata inesatta e Popper ne ha riconosciuto l’insostenibilità.
In ogni caso la valutazione di una teoria come migliore e un’analisi razionale delle ipotesi in gioco presupponendo che le teorie rivali sia confrontabili. Popper finisce per approdare ad una epistemologia di tipo evoluzionistico.
Popper rifiuta l’essenzialismo (secondo cui le teorie scientifiche descrivono la natura essenziale della realtà) e lo strumentalismo (secondo cui le teorie scientifiche sono utili strumenti di previsione).
Contro l’esistenzialismo dice che la scienza non può mai raggiungere una spiegazione definitiva della realtà. Contro lo strumentalismo dice che le teorie scientifiche sono enunciati descrittivi che ci informano della realtà e che possono essere veri o falsi.
Popper arriva ad una ripresa del realismo elaborando una teoria realistico-obbiettivistica basata sulla definizione della realtà come corrispondenza tra proposizioni e fatti.
Ipotesi realistica unica in grado di ricordarci che le nostre idee possono essere errate.
Popper ammette che il realismo non è né confutabile ne dimostrabile, ma è la sola ipotesi credibile, ovvero una congettura cui non è stata opposta finora una alternativa valida..
Un aspetto del realismo dell’ultimo Popper è la teoria dei 3 mondi:

  • Mondo 1: delle cose
  • Mondo 2: delle esperienze soggettive (dei pensieri e sentimenti)
  • Mondo 3: delle teorie (contenuti del nostro pensiero) le quali sono oggettive e reali

Il mondo 3 è stato associato al mondo platonico ma qui le teorie sono connesse alla storicità propria del mondo umano.
La crisi mondiale del comunismo e degli ideali totalitari hanno fatto di lui un filosofo della società aperta e critico di ogni assolutismo. La sua originalità è nel tentativo di difendere le ragioni della libertà e del pluralismo con argomentazioni di natura epistemologica.Con il termine storicismo Popper intende quello schema polemico di natura tipico-ideale per alludere a quelle filosofie che hanno preteso di cogliere un senso globale oggettivo della storia (storia come destino). La critica a questo storicismo è di tipo teorico-metodologica e pratico-politica allo stesso tempo. Egli contesta:

  • La pretesa di cogliere una struttura necessaria che formerebbe l’essenza della storia: non esiste un senso della storia precostituito rispetto alle interpretazioni e alle decisioni umane, poiché la storia assume il senso che gli uomini le danno.
  • Il suo voler parlare a ogni costo della totalità della storia, dimenticando l’avvertenza metodologica che se vogliamo studiare una cosa siamo costretti a sceglierne degli aspetti
  • Confusione tra leggi e tendenza: lo storicismo crede di poter predire il futuro inevitabile delle cose umane, ma una previsione per essere scientifica deve basarsi su leggi e non su tendenze

Popper ritiene che nello storicismo c’è un’utopia totalitaria che produce sofferenza per gli uomini, poiché  se si ritiene che esista una direzione oggettiva della storia, per raggiungerla bisognerà eliminare tutti coloro che vi si oppongono (Lenin con il marxismo).
La contrapposizione di Bergson tra società chiusa e società aperta viene utilizzata da Popper per focalizzare l’irriducibile contrasto tra una società organizzata secondo norme rigide di comportamento e una società fondata sulla salvaguardia delle libertà dei suoi membri mediante istituzioni democratiche autocorregibili.
Il suo antitotalitarismo lo porta a una dottrina della democrazia. La democrazia si identifica con la possibilità da parte dei governanti di controllare i governati (mediante istituzioni strategiche come le elezioni). La domanda fondamentale è:
Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi facciano danno?

  1. la democrazia non può caratterizzarsi come governo di maggioranza poiché la maggioranza può divenire tirannica. In democrazia i poteri dei governati devono esser limitati. I governanti possono essere licenziati dai governati senza violenza
  2. esistono due forme di governo: democrazia e tirannide
  3. Una costituzione democratica può escludere soltanto cambiamento che la può mettere in pericolo.
  4. la protezione delle minoranze non può espandersi a chi infrange la legge
  5. Si deve sempre operare in base presupposto che ci possono essere tendenze anti-democratiche latenti sia fra i governati che tra governanti
  6. se la democrazia è distrutta, tutti i diritti sono distrutti
  7. La democrazia offre un campo di battaglia per qualsiasi riforma ragionevole dato che permette riforme non volente.

La difesa della democrazia si accompagna a una critica dell’atteggiamento rivoluzionario e all’esaltazione del metodo riformista.
Mentalità rivoluzionaria nasce da una sorta di estetismo, da un sogno utopistico di perfezione e armonia la quale genera violenza: Popper è contrario all’uso della violenza se non per instaurare democrazia.
Popper contrappone al metodo rivoluzionario il programma detto “tecnologia sociale a spizzico” che prescrive interventi limitati e graduali confrontando i risultati previsti con quelli raggiunti. Di conseguenza Popper ritiene che il metodo gradualista sia superiore a quello rivoluzionario perchè:

  1. evita di promettere paradisi che si rivelano inferni
  2. non pone dei fini assoluti che legittimano la violenza
  3. procede per via sperimentale essendo disposta a corregger mezzi e fini in base a circostanze
  4. riesce a dominare meglio i mutamenti sociali
  5. è in grado di mantenere la libertà creando un’atmosfera di apertura critica

Popper critica il rivoluzionario che quando passa dalla teoria alla pratica è costretto a trasformarsi in un improvvisato riformista scadente poiché finisce per applicare a caso un metodo che è essenzialmente a spizzico, senza però averne il carattere di prudente autocritica.
Agli occhi di molti studiosi questa metodologia pare conservatrice, ed è stata accusata di: 1) dare per scontata la bontà dell’esistenza; 2) limitarsi a interventi sporadici sulla società. In realtà queste critiche sono abbastanza fragili. Perché Popper ritiene che la realtà non vado accettata così come è, ma incessantemente mutata con programmi di riforma parziali e inoltre Popper non pone limiti all’azione riformatrice. Se non quelli che derivano dalla necessità di rimanere fedeli al metodo democratico e agli ideali della libertà.
Popper dice che il problema delle società industriali avanzate è di fare in modo che lo Stato non pregiudichi la libertà dei cittadini. Di conseguenza  l’unico valore da conservare è il metodo della democrazia (in cui egli vede l’analogo in campo politico del metodo critico della scienza).

 

Il neopositivismo

Per neopositivismo si intende la corrente filosofica che condivide il privilegiamento della razionalità scientifica con il positivismo ottocentesco, ma che se ne differenza sia per un concetto più critico della scienza, sia per l’attenzione prestata all’aspetto logico-linguistico della scienza e per il ricorso sistematico agli strumenti della logica formale, sia per una tendenza empiristica.
Le convinzioni di fondo del neopositivismo sono:

  • Le uniche proposizioni che hanno significato conoscitivo sono quelle suscettibili di verifica empirica o fattuale (criterio di significanza)
  • La scienza è l’attività conoscitiva per eccellenza
  • La metafisica è senza senso
  • Attività come la metafisica, la religione, l’etica, non forniscono conoscenze
  • Gli enunciati significanti si classificano in: tautologie che hanno in se stesse la loro verità, ovvero gli enunciati analitici che concernono relazioni tra idee; gli enunciati sintetici che concernono fatti e sono veri solo se testimoniati dall’esperienza
  • La filosofia non è una scienza, ma un’attività chiarificatrice
  • La scienza è una sola; questo consente di elaborare una visione unitaria o unificata del sapere
  • Il discorso scientifico è esclusivamente logico o formale.

I neopositivisti elaborarono le loro teorie prevalentemente nei circoli di Vienna e Berlino. Il neo positivismo è nato in opposizione alla filosofia irrazionalistiche di fine ottocento e inizio novecento e doveva ridare una base chiara alla scienza, scossa dalla crisi dei propri fondamenti.

 

Heiddeger

Martin Heiddeger nasce il 26 settembre 1889 nel Baden. Si laurea nel 1913 con la tesi La dottrina del giudizio nello psicologismo e ottiene la libera docenza nel 1915 con una dissertazione su La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto. Tra le sue opere più importanti ricordiamo Essere e Tempo, che cos’è la metafisica e Kant e il problema della metafisica e L’essenza del fondamento.
Lo scopo di Essere e Tempo è quello di costituire un’ontologia che giunga a una determinazione piena e completa del senso dell’essere. Nella domanda che cos’è l’essere? Ciò che si domanda è l’essere stesso, ciò che si trova è il senso dell’essere, ma ciò che si interroga non può essere che un ente. Il primo problema dell’ontologia è determinare quale è l’ente che deve essere interrogato. Questo ente è l’uomo chiamato da Heiddeger Esserci. In sintesi nel problema dell’essere abbiamo un cercato (l’essere), un ricercato (il senso dell’essere) e un interrogato (l’uomo o L’esserci)
L’analisi del modo d’essere dell’Esserci è essenziale e preliminare per l’ontologia. Ma il modo d’essere dell’esserci è l’esistenza: l’analisi di questo modo d’esserci è un’analitica esistenziale per arrivare al termine finale dell’ontologia.
La prima caratteristica dell’esistenza è la possibilità di comprendere l’essere ovvero di rapportarsi in qualche modo all’essere. La seconda caratteristica dell’esistenza risiede nel fatto che essa è essenzialmente possibilità d’essere. L’esistenza è un insieme di possibilità tra cui l’uomo deve scegliere. L’esserci trascende la realtà in vista della possibilità e appare come un ente il cui essere risulta permanentemente in gioco, a cominciare dall’alternativa tra autenticità e inautenticità. La scelta è un problema che si pone di fronte al singolo uomo e che da luogo a quella che Heiddeger chiama comprensione esistentiva o ontica, la quale concerne l’esistenza concreta di ognuno. La comprensione esistenziale e o ontologica è invece quella che si propone di indagare teoreticamente le strutture fondamentali dell’esistenza.
La comprensione esistenziale deve assumere come suo metodo quello fenomenologico. Il fenomeno di cui essa parla non è apparenza, ma manifestazione o rivelazione dell’essere. Ciò vuol dire che l’essenza della fenomenologia consiste nel fare in modo che l’essere dell’esistenza si riveli e si mostri nelle sue strutture fondamentali. In questo senso Heiddeger dice che la filosofia è ontologia universale e fenomenologica.
Visto nel suo concreto e quotidiano esistere, l’uomo è in primo luogo un essere-nel-mondo ossia un prendersi cura delle cose che gli occorrono. Tale prendersi cura ha le caratteristiche della trascendenza e del progetto. Infatti l’Esserci oltrepassando (trascendendo) la realtà di fatto come si presenta a prima vista costituisce (progetta) la realtà secondo una totalità di significati facenti capo a lui stesso. L’uomo è nel mondo in modo tale da progettare il mondo stesso secondo un  piano globale di utilizzabilità volto a subordinare le cose ai suoi bisogni e ai suoi scopi.
L’uomo è nel mondo secondo la modalità del commercio ovvero della manipolazione degli enti. Le cose sono strumenti di azione. Il modo che Heiddeger chiama visione ambientale preveggente è la visione circospetta del mondo ambiente ovvero del complesso dei rimandi tra gli utilizzabili.
A questo punto il mondo si qualifica come una totalità di rimandi e di significati mettenti capo all’uomo. Tutto ciò vuol dire che se il mondo viene prima delle singole cose, l’uomo viene prima del mondo.
Poiché esistere nel mondo significa per l’uomo progettare, e il progettare si fonda sulle possibilità che all’uomo sono offerte, la comprensione di queste possibilità è un modo d’essere fondamentale dell’uomo stesso. L’uomo ha già da sempre una precomprensione della realtà che lo circonda. A questa idea del processo conoscitivo come articolazione di una precompressione originaria da il nome di circolo della comprensione o circolo ermeneutico.
Come l’esistenza è sempre un essere nel mondo, così è anche un essere tra gli altri. Come il rapporto tra l’uomo e le cose è un prendersi cura delle cose, così il rapporto tra l’uomo e gli altri è un aver cura degli altri. L’aver cura è la struttura fondamentale di tutti i possibili rapporti tra gli uomini. Esso può assumere due forme diverse: può significare sottrarre agli altri le loro cure; e in secondo luogo, aiutarli a essere liberi di assumersi le proprie cure. La prima forma è in autentica della coesistenza, è un puro essere insieme; mentre la seconda è la forma autentica, è il vero coesistere.
Ma per comprendersi l’uomo può assumere come punto di partenza o se stesso o il mondo e gli altri uomini. Nel primo caso si ha una comprensione autentica, nel secondo caso si ha una comprensione in autentica che è il fondamento dell’esistenza anonima. L’esistenza anonima è quella di tutti e di nessuno. L’uomo è in essa un modo d’essere fittizio e convenzionale che vela l’essere proprio.
Queste determinazioni non sono una condanna all’esistenza anonima. Alla base del poter essere c’è quella che Heiddeger chiama la deiezione cioè la caduta dell’essere dell’uomo al livello delle cose del mondo. La deiezione fa parte essenziale dell’essere dell’uomo. L’effettività dell’esserci è il suo essere gettato nel mondo in mezzo agli altri esistenti, al loro stesso livello. In questa condizione l’uomo si sente abbandonato a essere ciò che è di fatto. La totalità di queste determinazioni dell’essere dell’uomo viene compresa nell’unica determinazione della Cura. La cura è la struttura fondamentale dell’’esistenza. La cura è l’essere dell’esserci ovvero la struttura fondamentale dell’esistenza. La cura esprime cosi la condizione fondamentale di un essere che gettato nel mondo progetta in avanti le sue possibilità; ma queste possibilità lo riconducono incessantemente alla sua situazione di fatto originaria, al suo essere gettato nel mondo. L’esistenza è in primo luogo un essere possibile, cioè un progettarsi in avanti; ma questo progettarsi in avanti non fa che cadere all’indietro, su ciò che già l’esistenza è di fatto. Tale è la struttura circolare e conclusa della Cura. Per Heidegger l’intero campo della normativa e dei valori non essendo possibile ne comprensibile fuori del rapporto dell’uomo col mondo appartiene all’esistenza quotidiana anonima e rimane fuori dalla soglia dell’esistenza autentica.
La fine dell’Esserci è la morte, che però non è un termine finale per l’uomo. Essa è come fine dell’Esserci la possibilità dell’esserci più propria. E’ una possibilità incondizionata in quanto appartiene all’uomo in quanto individualmente isolato; è una possibilità insormontabile e certa.
La morte è accompagnata dall’angoscia che Heiddeger distingue come Kierkegaard dalla paura; l’angoscia è quella situazione capace di tenere aperta la costante e radicale minaccia. Di conseguenza l’angoscia colloca l’uomo davanti al nulla. Ma l’angoscia rivela anche il significato autentico della presenza dell’uomo nel mondo L’esistenza anonima è una fuga quotidiana di fronte alla morte. La decisione anticipatrice progetta invece l’esistenza autentica come un essere-per-la-morte. Tale essere non è però un tentativo di realizzarla col suicidio. Non è neppure un attesa, essere-per-la-morte significa procedere al di la delle illusioni dell’esistenza anonima.
Ciò che richiama l’uomo alla sua esistenza autentica è quel fenomeno che Heiddeger chiama voce della coscienza. Con questa espressione intende il richiama dell’esistenza a se stessa. La voce della coscienza è un ponte ideale tra l’inautentico e l’autentico.
L’uomo pur trovandosi ad essere il fondamento di se stesso, essendo un progetto gettato non risulta il fondamento del proprio fondamento. Da ciò la nullità di base che lo costituisce. Anche in quanto progetto concreto in atto, l’esserci incontra il nulla, in quanto il progettarsi su delle possibilità è possibile solo mediante l’esclusione di altre possibilità, cioè tramite il non progettarsi su altre possibilità. L’esserci risulta quindi doppiamente attraversato dalla negatività.
L’esserci è come tale colpevole. Il richiamo che la voce della coscienza fa risuonare è per l’appunto il richiamo a questo nulla. Ma decidersi per il nulle equivale a decidersi per l’anticipazione della morte.
L’esistenza autentica è cosi quella che comprende chiaramente e realizza emotivamente (tramite l’angoscia) la radicale nullità dell’esistenza. La morte ha il compito di farci assumere la negatività strutturale dell’esistenza attestata dalla voce della coscienza.
Appurato che per l’essere dell’esserci è la cura nasce il problema “quale è il senso della cura?”. Il senso della cura è la temporalità. In altri termini la temporalità rappresenta il senso unitario della struttura della cura in quanto questa è esser avanti a se (progetto) esser già in (gettatezza) ed essere presso (deiezione). Di conseguenza l’esserci è tempo o meglio la temporalità è ciò che rende possibile l’esserci nella totalità strutturale delle sue determinazioni.
L’esistenza autentica pur progettandosi come nullità radicale del mondo e di se stesso, non elimina il mondo anzi lo presuppone nella sua realtà di fatto. L’esistenza autentica conferisce all’uomo la possibilità di rimanere fedele al destino della comunità o del popolo a cui appartiene. In altri termini la storicità non è altro che l’assunzione dell’eredità del passato ossia la ripresa deliberata e consapevole delle possibilità tramandate.
Nella storicità in autentica l’estensione originario del destino risulta nascosta.

 

Autore del testo: Federico Ferranti                                                                                                                

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