Fisiologia dell' apparato respiratorio

 

 

 

Fisiologia dell' apparato respiratorio

 

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Fisiologia dell' apparato respiratorio

 

Fisiologia dell'Apparato Respiratorio
Introduzione
La funzione principale dell'apparato respiratorio è di arricchire il sangue di ossigeno O2 e di eliminare l'anidride carbonica CO2. Esso contribuisce anche al mantenimento del PH del sangue (vedi il (**) nel § Introduzione del Sistema Cardiocircolatorio). I principali stadi implicati nel passaggio di O2 dalla atmosfera ai tessuti dell'individuo sono:
- ventilazione dell'alveolo polmonare. Poichè l'alveolo si trova all'interno del corpo (lontano dall'atmosfera) è necessario ricambiare attivamente l'aria negli alveoli. Questa attività si chiama ventilazione, mentre è improprio chiamarla respirazione.
- diffusione, ossia passaggio di O2 dall'alveolo al capillare e passaggio di CO2 dal capillare all'alveolo, avviene passivamente
- accoppiamento ventilazione/ flusso ematico: gli alveoli, oltre che ventilati, devono essere anche irrorati. Esistono però anche situazioni (non patologiche) nelle quali si può avere sono ventilazione o solo irrorazione.
- trasferimento di sostanze dai capillari alle cellule e viceversa, ciò avviene passivamente.
Durante lo studio dell'apparato respiratorio è bene ricordare che gli scambi respiratori sono passivi, ossia avvengono in seguito a determinate variazioni di pressione, mentre il trasporto dei gas (O2 e CO2) avviene attivamente. Tutti i meccanismi degli scambi respiratori possono essere descritti da alcune leggi dei gas, tra le quali:
- la legge dei gas ideali: Pressione * Volume = numero di moli * R (costante) * Temperatura - la legge di Dalton: pressione parziale = frazione molare * pressione totale, pi = xi * P - la legge di Henry: la concentrazione di un gas x disciolto in un liquido è direttamente proporzionale alla pressione del gas x soprastante il liquido.
La ventilazione polmonare
I polmoni non sono in grado di muovesti autonomamente. La cassa toracica ed i muscoli respiratori* hanno il compito di contrarre e distendere i polmoni. La cassa toracica è costituita da uno scheletro osseo (parte della colonna vertebrale, costole e sterno, quest'ultimo cartilagineo). Lo spazio intercostale è chiuso da muscoli intercostali, la parte inferiore è chiusa dal diaframma, quella superiore dai muscoli del collo, della trachea, dall'esofago e dai fasci vascolosi. L'unica apertura della cassa toracica è costituita dalla trachea.
(*) I muscoli respiratori possono essere divisi in muscoli obbligatori (vitali ) della ventilazione e accessori (non vitali). Fanno parte del primo gruppo il diaframma e gli intercostali. Fanno parte del secondo tutti i muscoli con una inserzione sulla gabbia toracica.
Il diaframma è necessario alla inspirazione, mentre non prende parte al processo di espirazione. E' formato da una lamina sottile, ed è inserito nella parte bassa della gabbia toracica. Ha la forma di una cupola rivolta verso l'alto, e centralmente possiede una zona tendinea, detta centro frenico, attraversata dall'esofago, dai grandi vasi eccetera. Il diaframma è innervato dal nervo frenico, che origina dai primi segmenti cervicali (i nervi dei muscoli intercostali invece escono dal midollo all'altezza dei muscoli stessi).
Il diaframma, nella ventilazione normale (eupnoica) contraendosi si abbassa di 2-3 cm, consentendo così un aumento del volume della cassa toracica pari a 250 ml circa.
Nella ventilazione il compito dei muscoli intercostali è quello di muovere le costole. Le costole sono articolate posteriormente con le vertebre, e anteriormente con lo sterno, e sono orientate verso l'avanti e verso il basso. L'articolazione costola-vertebra è una doppia articolazione, ossia una articolazione che permette quattro movimenti, che avvengono a due a due sempre insieme: apertura (= espansione toracica)/innalzamento e chiusura/abbassamento. Questi movimenti sono resi possibili dai muscoli intercostali e dal fatto che lo sterno è costituito da cartilagine, cosicché la parte anteriore delle costole risulta parzialmente mobile. I muscoli intercostali esterni sono responsabili dell'innalzamento delle costole, durante l'inspirazione, mentre gli intercostali interno sono responsabili dell'abbassamento delle costole, durante l'espirazione (ma come vedremo nel prossimo paragrafo il loro compito è solo parziale).
Meccanica dell'inspirazione
Le costole si alzano, sotto l'azione dei muscoli intercostali esterni, poiché:
- la prima costola è fissa alla clavicola, e quindi non può essere nè sollevata nè abbassata - i muscoli intercostali esterni, per questioni meccaniche di leve, nella loro contrazione tirano in sù con più forza le costole inferiori e tirano in giù con meno forza le costole superiori alle quali sono legati, cosicché si ha un movimento risultante verso l'alto. Ciò accade perchè i muscoli intercostali esterni presentano una inserzione indietro e in alto rispetto alle costole alle quali giungono con l'altra inserzione, cosicché presentano una leva migliore sulla costola più lontana, ossia quella inferiore, ciò causa un movimento risultante verso l'alto.
Quando si contrae il muscolo intercostale situato tra la prima e la seconda costola, essendo la prima costola bloccata, esso non può far altro che sollevare e bloccare la seconda. Il secondo muscolo intercostale, situato tra la seconda e la terza costola, essendo la seconda bloccata non può far altro che sollevare la terza e così via.
L'allargamento/innalzamento delle costole crea un aumento di volume pari a 250 ml circa. In particolare l'allargamento aumenta il diametro laterale, e l'innalzamento aumenta il diametro antero-posteriore della cassa toracica. Considerando sia l'effetto del diaframma, sia quello dei movimenti delle vertebre, si ha un aumento di volume totale di 500 ml. L'aumento di volume crea una conseguente diminuzione di pressione, cosicché l'aria viene "aspirata" dall'esterno verso l'interno. (La quantità d'aria inspirata con una inspirazione normale viene detta volume corrente).
I polmoni e la gabbia toracica, l'espirazione
I polmoni sono rivestiti dalla pleura, che possiede due strati, tra i quali è contenuta una quantità minima di liquido pleurico, che ha la funzione di tenere attaccati i due foglietti pleurici, che a loro volta sono attaccati uno alla parete del polmone, e l'altro alla parete della gabbia toracica. Inoltre il liquido pleurico distribuisce la pressione della gabbia toracica in maniera uniforme su tutta la superficie polmonare (Legge di Pascal: la pressione applicata sulla superficie libera di un fluido si propaga su tutte le pareti del contenitore in maniera uguale )
Un'eventuale entrata di aria tra i due foglietti della pleura li separerebbe ed essa non sarebbe più in grado di far aderire il polmone alla cassa toracica. I polmoni quindi si ripiegherebbero su loro stessi.
I polmoni infatti tendono a collassare, mentre la cassa toracica tende ad allargarsi. Polmoni e cassa toracica sono in equilibrio soltanto nell'attimo in cui si termina di espirare l'aria, in condizioni normali (dopo una espirazione forzata non è una condizione di equilibrio). Ciò è importante, poiché significa che l'espirazione è un fatto "spontaneo", infatti tende all'equilibrio, mentre l'inspirazione richiede un notevole lavoro muscolare.
Proprio per questo i muscoli intercostali interni, deputati all'abbassamento delle vertebre durante l'espirazione, devono svolgere un compito minimo, poiché il sistema tende spontaneamente alla condizione post-espiratoria. Essi invece sono importanti nella espirazione forzata.
Durante la fase della inspirazione il diaframma si contrae e le costole si allagano e si sollevano. Siccome il torace e i polmoni possiedono differenti raggi di curvatura essi scivolano sull'interno della cassa toracica; lo scivolamento è reso possibile dal liquido pleurico. Alla fine di una inspirazione in condizioni normali il diaframma e gli intercostali esterni finiscono di contrarsi, e dopo l'espirazione si torna alla condizione di equilibrio, senza dispendio di energia.
Nel caso di inspirazione o espirazioni forzate aumenta il volume dell'aria ispirato o espirata. Questi volumi possono essere misurati con lo spirometro (fig. 1).
Tutte le sostanze che non vengono assorbite dalla rete capillare venosa vengono prelevate dai capillari linfatici. Essi quindi drenano liquidi e grosse molecole, operando a pressioni molto basse (12 mmHg circa, a livello dei capillari, 1 o 2 mmHg a livello dei grossi dotti linfatici).
Un eventuale aumento di pressione a livello dei capillari venosi può rendere nullo il ÆP verso l'interno del capillare, e ciò impedirà l'assorbimento dei liquidi interstiziali (edema).
I limiti quantitativi dell'irrorazione
Nella Introduzione al Sistema Cardiocircolatorio abbiamo visto che, a proposito dei princìpi di economia da rispettare, è necessario far uso del minor volume di sangue possibile, ossia: il sangue che un individuo possiede non è mai in grado di irrorare in maniera ideale tutti i distretti contemporaneamente.
NB: sebbene nel paragrafo precedente abbiamo semplificato il sistema arterìola - capillari - venula con una "U ", in realtà tra una arterìola ed una venula ci sono molti capillari, una vera e propria arborizzazione, che può essere più o meno chiusa. Nel caso essa sia completamente chiusa entra in funzione un canale (anasotomosi artero-venosa) che porta il sangue dall'arterìola direttamente nella venula, bypassando l'arborizzazione capillare.
L'equilibrio nella irrorazione di diversi distretti è reso possibile dalla capacità delle arterìole di impedire o permettere il passaggio del sangue verso i capillari che da esse si originano. Le arterìole infatti sono dotati di sfinteri pre-capillari, ossia ingrossamenti dello strato muscolare (liscio) innervati dall'ortosimpatico, che hanno la funzione di restringere i capillai, se necessario (l'allargamento avviene passivamente con la pressione sanguigna).
In ogni momento quindi molti capillari sono chiusi, ed una loro eventuale apertura (per motivi patologici o altro) causa una deficienza di sangue innanzitutto nelle strutture situare più in alto del cuore, ossia quelle che ricevono il sangue contro la forza di gravità.
Gli sfinteri pre-capillari sono sensibili anche a sostanze prodotte dagli interstizi del tessuto. Queste sostanze agiscono modificando la sensibilità dei capillari agli stimoli del sistema nervoso autonomo, cosicché si abbia un comportamento adeguato alla situazione "locale" (es: vasodilatazione locale). Quindi la situazione locale ha priorità sugli "ordini" mandati dal sistema nervoso, nel senso che può renderli più o meno efficaci.
Esempio: le sostanze presenti nell'apparato digerente in fase di assorbimento hanno proprietà vaso-dilatatrici, per facilitare l'assorbimento stesso. L'orto- ed il para-simpatico in questa situazione "controllano" che l'apparato digerente non convogli verso di se troppo sangue. Ci si può accorgere di una vasodilatazione locale tramite i barocettori, che rilevano nell'atrio destro una diminuzione del flusso di ritorno venoso.
Una variazione di questo genere viene comunicata al bulbo, che promuove essenzialmente una vaso-costrizione splancnica (il distretto splancnico è rappresentato dalla zona occupata dai visceri). Successivamente può essere aumentata la frequenza cardiaca e infine si può comandare una vaso-costrizione periferica in distretti che in quel momento non stanno "lavorando". Ricordiamo che la vasocostrizione non può essere attuata nella zona interessata alla vaso-dilatazione locale poiché lì le fibre muscolari sono state rese insensibili.
In casi particolari, quando due o più distretti impongono una vasodilatazione locale, il sangue può non essere sufficiente, e anche i meccanismi di equilibrio organizzati dal bulbo possono non bastare. Il primo distretto a risentire di questa situazione è il cervello, l'organo con la minor riserva ischemica. Ciò può provocare per esempio uno svenimento.
I capillari, il piccolo circolo ed il ritorno venoso
Il piccolo circolo (circolo polmonare) ha la funzione di ossigenare il sangue venoso, e di espellere l'anidride carbonica. Il nutrimento dei polmoni è assicurato invece dalle arterie polmonari, estranee al piccolo circolo. Il piccolo circolo è costituito da un vasto letto capillare e da piccole distanze: da ciò segue (si può applicare la formula della resistenza R e la definizione di flusso = ÆP/R) che esso è un circolo a bassa pressione e privo di pulsazioni.
Il sangue dai capillari torna alle vene e all'atrio destro perché viene spinto da varie forze, che in ordine di importanza sono:
- vis a tergo: ciò che rimane della spinta data dal ventricolo sinistro, tra capillari e venule ha un valore di circa 4 o 5 mmHg.
- vis a latere: forza originata principalmente dalla contrazione di venule e vene per mezzo dei muscoli che le circondano, ed originata in misura minore dagli accoppiamenti artero-venosi (le pulsazioni arteriose aiutano il sangue della vena adiacente a risalire)
- vis a fronte: forza di "aspirazione" esercitata dai polmoni: durante l'inspirazione l'abbassamento del diaframma causa nella cassa toracica una pressione negativa (minore di quella atmosferica). Le grosse vene che stanno nella cassa toracica, che lo ricordiamo hanno un lume che può essere allargato, risentono di questa differenza di pressione, e si verifica una "aspirazione". Contemporaneamente sotto la cassa toracica (sotto il diaframma) si ha un aumento della pressione, che spinge il sangue venoso verso il cuore.
Lo spazio morto
Il volume dello spazio morto è il volume dell'apparato respiratorio che non partecipa allo scambio gassoso. Si può dividere in spazio morto anatomico (bronchi fino agli alveoli, trachea, laringe, bocca): non prende parte allo scambio gassoso perché la sua costituzione anatomica glielo impedisce e in spazio morto fisiologico (alveoli non funzionali): potrebbero prendere parte agli scambi gassosi ma l'assenza momentanea di sangue e/o ventilazione non glielo permettono.
La presenza del volume residuo e dello spazio morto comportano una diversa composizione tra l'aria che si trova all'interno del polmone e quella che si trova all'esterno.
Dopo una espirazione eupnoica lo spazio morto è occupato dal volume residuo (150 ml) di aria che ha partecipato agli ultimi scambi (aria povera di ossigeno). La successiva inspirazione, oltre a portare dall'esterno aria ricca di ossigeno (450 ml circa), riporta nel polmone i 150 ml dello spazio morto, mentre la trachea si riempie di 150 ml di aria atmosferica.
Nella espirazione la prima aria ad uscire è quella atmosferica situata nella trachea, poi esce l'aria polmonare, e alla fine della espirazione restano nella trachea 150 ml di aria alveolare povera di ossigeno. Lo spazio morto serve a scaldare e umidificare l'aria prima che essa raggiunga gli alveoli, in modo che non sottragga loro calore e umidità.
I gradienti di concentrazione dei gas respiratori
L'aria atmosferica possiede le seguenti pressioni parziali:
O2 160 mmHg CO2 1 o 2 mmHg Azoto e vapor acqueo 500 mmhg
A livello alveolare, dopo che l'aria atmosferica è stata mischiata all'aria povera di ossigeno che stava nello spazio morto, si riscontrano i seguenti valori:
O2 100 mmHg CO2 40 mmHg
Il sangue venoso che arriva agli alveoli presenta:
O2 40 mmHg CO2 46 mmHg
O2 ha un gradiente di 100-40 = 60 mmHg verso i capillari CO2 ha un gradiente di 46-6 = 6 mmHg verso gli alveoli
Gli scambi gassosi avvengono tutti passivamente, seguendo il gradiente di concentrazione. La struttura capillare ed alveolare permette di raggiungere l'equilibrio tra le concentrazioni di O2 e CO2 di alveoli e sangue venoso.
Gli scambi avvengono attraverso l'endotelio e la membrana basale capillare e dell'alveolo e l'epitelio dell'alveolo. Gli alveoli, oltre che dalla membrana basale, sono ricoperti dal liquido alveolare che ne impedisce la disidratazione. In questo liquido si scioglie e si diffonde l'ossigeno, che successivamente viene "catturato" dall'emoglobina. Il liquido alveolare poi contiene delle sostanze tensioattive, dette surfactanti, che hanno il compito di regolare la tensione superficiale degli alveoli.
L'ossigeno, subito dopo il passaggio alveolare, come abbiamo visto, raggiunge una pressione parziale di 100 mmHg. Nell'atrio sinistro, a causa di anastomosi tra il distretto polmonare e quello bronchiale, raggiunge pressioni parziali un pò inferiori.
Infatti la vascolarizzazione dei bronchi è assicurata dalle arterie e dalle vene bronchiali. Queste, dopo aver nutrito il tessuto polmonare immettono parte del sangue povero di ossigeno nelle vene polmonari, perché esse hanno una pressione minore. Il sangue delle vene polmonari, ricco di ossigeno viene quindi parzialmente "sporcato", ma ciò non provoca inconvenienti.
Alcune informazioni in più
- Se si respirasse solo O2 in breve tempo si avrebbe un aumento del PH del sangue o alcalosi (diminuzione della concentrazione di CO2). Il rene non riuscirebbe a compensare questa situazione, e si avrebbe un avvelenamento da O2, consistente in vari disturbi metabolici ed errori di regolazione (tra i quali diminuzione dell'irrorazione sanguigna). Nei neonati una prolungata respirazione di O2 puro è casua di cecità.
- L'emoglobina è costituita da un gruppo eme e dalla globina, capace di legare quattro molecole di O2. Queste molecole non si legano tutte con la stessa facilità: più è l'ossigeno legato all'emoglobina più sarà facile legare le molecole successive (non si tratta però di una relazione lineare). Il fatto che la capacità di legarsi sia facilitata dalla quantità di molecole già legate è detto effetto allosterico.
La relazione tra la p. parziale di O2 e la saturazione dell'emoglobina è di tipo sigmoide:
1) inizialmente è necessario aumentare notevolmente la pressione parziale dell'ossigeno per ottenere una certa percentuale di emoglobina saturata
2) Successivamente anche con un piccolo aumento di pressione parziale si ha un grande aumento della percentuale di molecole di emoglobina saturate. Questa situazione (pressione parziale compresa tra 15 e 45 mmHg) può essere ben sfruttata a livello dei capillari e dei tessuti, dove a piccole diminuzioni di pressione parziale seguono grandi liberazioni di O2 dall'emoglobina.
(a 20 mmHg di pressione parziale l'emoglobina è saturata al 40% a 40 mmHg di pressione parziale l'emoglobina è saturata all'80 %)
Nel caso un tessuto lavori molto la pressione parziale di O2 diminuisce velocemente e l'emoglobina lo rilascia con sempre più parsimonia. Se ci si trova in un muscolo scheletrico in In tal caso può intervenire la mioglobina, che possiede una forte affinità per l'ossigeno. Se il lavoro è così intenso da consumare anche l'ossigeno unito alla mioglobina, si va incontro ad un debito di ossigeno, da pagarsi dopo lo sforzo attraverso una respirazione affannosa.
3) Un ulteriore aumento di pressione non produce grandi cambiamenti nella percentuale di emoglobina saturata (ci si avvicina in modo asintottico al 100% di saturazione)
Mobilità della curva di dissociazione dell'emoglobina: un aumento della temperatura e un abbassamento del PH (causato dai metaboliti intermedi del catabolismo energetico) "spostano" la curva verso destra (viene facilitata la liberazione di O2): ciò può avvenire a livello muscolare. A livello polmonare invece la temperatura è più bassa (inspirazione di aria dall'esterno) e non c'è abbassamento del PH, quindi a parità di pressione parziale c'è più emoglobina satura nel polmone che nei muscoli.
Il volume corrente è di 500 ml. In condizioni normali si compiono 15 atti respiratori al minuto. La ventilazione polmonare ha quindi un valore di 500ml * 15 = 7.5 litri/min. Se togliamo 150ml * 15 = 2.25 litri di spazio morto otteniamo una ventilazione efficace di 7.5 - 2.25 = 5.25 l/min. Ai capillari alveolari giungono circa 5 l/min di sangue. Il rapporto ventilazione/irrorazione è quindi praticamente 1:1.
Le regolazioni dell'attività polmonare
Il polmone deve garantire un adeguato apporto di O2 ed una adeguata rimozione di CO2. Per far fronte a questi compiti c'è bisogno di alcuni recettori che iniviino ai centri coordinatori informazioni sulla situazione ematochimica. Questi recettori sono:
- chemocettori periferici situati nell'arco aortico e nella carotide (glomi aortici e carotidei); si tratta di recettori del secondo tipo, sensibili ai cambiamenti di pressioni parziali (O2 e CO2). Giungono al bulbo come rami del nervo vago e del glossofaringeo.
- chemocettori centrali (nel bulbo) sono situati presso i centri respiratori (uno inspiratorio e uno espiratorio). Questi sono coordinati da un centro del ponte detto centro apneustico, a sua volta controllato dal centro pneumotassico, situato tra ponte e mesencefalo. Quest'ultimo riceve istruzioni da altre strutture superiori tra le quali c'è la corteccia.
I centri apneustico e pneumotassico ricevono informazioni dai chemocettori e dai meccanocettori (lenti e veloci) del parenchima polmonare e toracico, che registrano gli stiramenti che avvengono in loco.
I meccanocettori a rapido adattamento (veloci) scaricano non appena il polmone si dilata, e la scarica è tanto più notevole quanto più è ampia l'inspirazione, possiedono sinapsi eccitatorie col centro bulbare inspiratorio. Quindi una inspirazione ampia sarà naturalmente più veloce (aumenterà la frequenza delle inspirazioni), e solo con la volontà si riesce a fare una inspirazione ampia e lenta.
I meccanocettori a lento adattamento scaricano durante tutto il tempo della inspirazione, e più l'inspirazione è lunga più è notevole la scarica. Possiedono sinapsi inibitorie con il centro bulbare inspiratorio, presso il quale essi promuovono la fine della inspirazione.
La muscolatura della cassa toracica è normale muscolatura scheletrica, innervata da alfa-motoneuroni che escono a livello toracico (intercostali) o bulbare (diaframma). L'alternanza delle contrazioni dei muscoli inspiratori ed espiratori è resa possibile da adeguate sinapsi eccitatorie ed inibitorie che collegano i centri espiratori ed inspiratori.
Quando, durante l'inspirazione, i neuroni del centro inspiratorio scaricano sugli alfa-motoneuroni dei muscoli inspiratori (tramite vie ponto-spinali), contemporaneamente mandano ai neuroni del centro espiratorio delle sinapsi inibitorie e eccitatorie. All'inizio della inspirazione le sinapsi inibitorie sono la maggioranza, ma man mano che l'inspirazione si compie le sinapsi eccitatorie diventano sempre più importanti fino a che, a inspirazione completata, scatta l'espirazione. (durante l'espirazione gli alfa-motoneuroni del centro espiratorio compiono un lavoro concettualmente identico su quelli del centro inspiratorio).
Alterazioni dei ritmi respiratori
Un respiro non regolare, in condizioni patologiche, è segno che le strutture superiori al bulbo sono state danneggiate, poiché esse sono indispensabili alla regolazione precisa dell'alternanza espirazione/inspirazione. Il centro apneustico possiede neuroni che attivano il centro inspiratorio. Il centro pneumotassico possiede neuroni che inibiscono il centro apneustico. La collaborazione di questi due centri permette di avere un respiro regolare.
Se si impedisce al centro pneumotassico di agire, si avrà un respiro comandato essenzialmente dal centro apneustico, ossia costituito da rapide espirazioni e lunghe inspirazioni. Anche sezioni del nervo vago causano modificazioni della attività respiratoria: il ritmo della respirazione viene mantenuto, ma ne aumenta l'ampiezza. L'ampiezza verrebbe ulteriormente aumentata se venissero a mancare le informazioni dai chemocettori centrali.
Regolazione chimica della ventilazione
La regolazione chimica della ventilazione è responsabile degli adattamenti dell'organismo a seconda delle condizioni "ambientali" (situazione del PH, delle concentrazioni di O2 e CO2). La ventilazione aumenta all'aumentare del PH, raggiunti però PH troppo elevati la respirazione tende nuovamente a diminuire (condizioni di tossicità).
Anche l'incremento del lavoro muscolare provoca un aumento della respirazione (e della frequenza cardiaca), in modo che si possa far fronte alla maggio quantità di ossigeno richiesta dall'organismo. (Il PH arterioso si modifica, divenendo più acido*, solo in seguito ad un lavoro muscolare che porti la frequenza cardiaca a 120 o 130 battiti al minuto, poiché prima vari sistemi tampone come bicarbonato e fosfato, riescono a mantenerlo costante.
(*) la concentrazione sanguigna di H+, determinante l'acidità, come abbiamo visto, è proporzionale alla concentrazione di CO2
Il debito di ossigeno dopo uno sforzo
Il debito di ossigeno può essere spiegato in questo modo: la nostra fonte primaria di energia è costituita dall'ATP. Riserve troppo ingenti di ATP però impediscono il metabolismo cellulare, cosicché è preferibile formare dall' ATP + c dell' ADP e cP. Il composto cP si chiama fosfocreatina, e il suo legame è molto energetico, e "racchiude" l'energia prima presente dell'ATP. In condizioni di necessità dalla cP e dall'ADP si può ri-ottenere dell' ATP, da usare come fonte di energia. L'energia fornita dalla cP contenuta nei muscoli dura fino a 10 secondi circa, non di più. Per sforzi più prolungati la produzione di cP avviene tramite il metabolismo del glucosio e poi, quando questo sia esaurito, tramite il metabolismo dei grassi e delle proteine.
Una fonte continua di cP e glucosio è rappresentata dai prodotti del ciclo di Krebs, che è continuamente attivo nell'organismo. Esso tuttavia nel caso di sforzi improvvisi e intensi non riesce a fornire una sufficiente concentrazione di cP, cosicchè si deve ricorrere alla glicolisi anaerobica, che rende l'energia subito disponibile in grandi quantità. La glicolisi anaerobica però lascia anche dei "rifiuti" come l'acido piruvico, convertito poi in acido lattico. L'acido lattico libera degli ioni H+, e successivamente viene "immesso" dal cuore nel ciclo di Krebs e nel fegato, dove viene riconvertito in glicogeno.
Il ciclo di Krebs è in grado di elimare l'acido lattico, ma per "funzionare" ha bisogno di ossigeno. La respirazione affannosa che persiste dopo lo sforzo fisico è il segnale che il ciclo di Krebs stà lavorando. Esso è capace di ri-sintetizzare, partendo dall'acido lattico, cP e glucosio.

 

Fonte: http://digilander.libero.it/ctfonline/appunti/file/fisiologia.rtf

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