Geografia fondamenti

 

 

 

Geografia fondamenti

 

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Fondamenti di geografia – lezione del 30.11.06

 

TRANSIZIONE DALL’URBANIZZAZIONE CONCENTRATA ALL’URBANIZZAZIONE DIFFUSA

 

La trasformazione delle città.

A partire dal feudalesimo fino all’avvento del capitalismo si assiste ad una crescita quantitativa delle città (le città aumentano di numero); dal punto di vista qualitativo invece le città più sono grandi e più crescono.

Il processo di urbanizzazione concentrata dà luogo al formarsi di grossi agglomerati urbani, con le città che si espandono a macchia d’olio oltre i loro confini amministrativi, fino ad investire le città satelliti dei dintorni che nel frattempo si stavano a loro volta espandendo grazie all’influenza della città che le stava inglobando (es. Milano e i suoi sobborghi).

Parliamo di un processo di conurbanizzazione, quando assistiamo alla crescita congiunta di due città che hanno la stessa importanza. Quando un processo di conurbanizzazione assume proporzioni rilevanti parliamo di megalopoli.

Le notevole crescita delle città è spiegato da un modello moltiplicatore della crescita delle città. Dobbiamo rifarci al concetto di attività domestiche e di attività basiche (attività domestiche non apportano reddito, lo ridistribuiscono, attività basiche apportano reddito dall’esterno); possiamo affermare che le attività domestiche sono in funzione delle attività di esportazione D = f(B), significa che le attività domestiche dipendono da quelle di esportazione (se produco molto dal punto di vista delle attività basiche aumenterà il numero dei lavoratori che farà aumentare il numero dei nuclei familiari che determinerà un aumento di consumi, di servizi ecc., questo produrrà reddito che verrà ridistribuito all’interno della città).
E’ stato calcolato che aumentando di una quantità pari a 100 le attività di base, si avrà un aumento di circa 400 di lavoratori e di loro famiglie. Aumenteranno i servizi, questo creerà lavoro che come risultato finale porterà all’aumento della popolazione.
Oggi il moltiplicatore della crescita della città si è abbassato a causa del fatto che mediamente il numero di componenti dei nuclei familiari è diminuito. Occorre precisare che questa teoria è valida per spiegare lo sviluppo a livello regionale, dove l’economia è basata sull’esportazione da cui possono essere ottenute le risorse di cui una comunità è carente.

 

Fenomeno dell’implosione urbana

Due grandi città sono in grado di ridurre la loro distanza, non tanto dal punto di vista itinerario ma quanto in termini di tempo e di costo, in modo maggiore rispetto a due cittadine tra di loro più vicine ma meno importanti, questo per il fatto che le grandi vie di comunicazione favoriscono le città più importanti a scapito dei centri più piccoli.

 

 

Fenomeno della centralizzazione dei grandi uffici

Man mano che la città si ingrandisce, anche il centro della città si ingrandisce, andando a formare a sua volta dei sub centri con relativa crescita di servizi che sono in grado di “pagare” una rendita molto maggiore rispetto ad altre attività (affitto a popolazione residente) innescando un processo di sostituzione, mediante  espulsione, dei residenti con piccole attività preesistenti (modello di Von Thunen: le attività allocate in vicinanza del centro offrono rendite maggiori di quelle poste in periferia). Si assiste in questo modo all’espansione del centro degli affari con attività molto specializzate e servizi rari (es. city di Londra o centro di Milano); la localizzazione nel centro delle città di un certo tipo di attività avviene anche per una questione di marketing, di immagine.

 

Organizzazione interna delle città

Come possiamo “misurare” una città oppure definire i confini di un insediamento urbano? Spesso il tessuto disperso di edifici non permette di localizzare esattamente i confini di una città.

Per delimitare la città utilizziamo gli stessi criteri usati per le regioni geografiche:

  • Criteri formali: la città viene identificata dal ripetersi di caratteri omogenei o dal fatto di essere in presenza di diversità che riteniamo comunque irrilevanti in ragione del fine che ci stiamo proponendo; negli USA viene utilizzato il criterio della percentuale di occupati in attività extragricole; è possibile anche considerare la densità di popolazione; in questo caso più la distanza dal centro cresce più aumenta la densità; i centri si configurano come sedi di uffici, sono poche le persone che ci abitano. I criteri che utilizzo sono sempre di prevalenza di un aspetto rispetto ad un altro;
  • Criteri funzionali:l’unità dell’area metropolitana viene evidenziata dalle relazioni che intercorrono tra le parti interessate, caratterizzate dai flussi. Negli USA viene utilizzato in dato relativo alla pendolarità per lavoro (concetto di gradiente è il flusso della pendolarità decresce dal centro verso la periferia di certe quantità).

 

Delimitazione del centro della città

Adottiamo un criterio fisico,  tipico delle città americane, di quelle sud americane e di quelle asiatiche: più la città diventa importante più il suo centro è caratterizzato dalla presenza di grattacieli. Un altro criterio è quello che vede la presenza nel centro delle città di servizi rari, forte densità di attività terziarie rare; interi edifici del centro sono destinati ai servizi.

Sono elementi caratterizzanti di un insediamento urbano il fatto di essere sede di mercato, di possedere una funzione socio economica, di essere sede di università (funzione culturale), sede di governo. Dal punto di vista spaziale possiamo rilevare di un insediamento la sua forma, la configurazione spaziale che ne delimita l’abitato; esaminando la distribuzione territoriale degli insediamenti si nota come questi assumano forme diverse.
Per mettere in evidenza le forme insediative posso usare vari indicatori: per esempio misurare la concentrazione (Indice di Gini, rappresentato graficamente dalla curva di Lorenz), oppure posso utilizzare un indice di spazialità, l’indice del vicino più prossimo: una volta misurate tutte le distanze più prossime tra una città e l’altra, ne calcolo la media aritmetica, ottenendo la media delle distanze più prossime osservate. Faccio quindi il rapporto tra le distanze osservate e le distanze attese (distanza attesa; quella che mi aspetto tra due città dato un certo valore di densità); questo rapporto può dare come risultato dei valori:

> 1      è siamo in presenza di un insediamento disperso;
< 1      è siamo in presenza di un insediamento raggruppato.  

Osservando la distribuzione di questi insediamenti, è possibile notare una regolarità statistica, che vale per gli insediamenti locali come per molti altri fenomeni in natura. Classificando infatti le città per ordine decrescente di importanza:

  • città con 10 milioni di abitanti;
  • città con …….. milioni di abitanti
  • città con …….. milioni di abitanti
  • città con …….. milioni di abitanti
  • città con ……   milioni di abitanti

 

si osserva una curva che decresce regolarmente. La distribuzione delle dimensioni urbane avviene quindi per dimensione demografica, secondo la regola rango / dimensione (rank – size – rule); secondo questo principio la popolazione della città erresima sarà espressa dal rapporto :

 

POPOLAZIONE DELLA CITTA AL PRIMO POSTO
RANGO DELLA CITTA ERRESIMA

 

Il tutto elevato ad un certo esponente; cambia l’esponente ma l’andamento della curva rimane lo stesso; la città che occupa il quinto posto avrà quindi una popolazione di 2 milioni abitanti, derivante dal rapporto 10 mil. / 5 mil.

Questa relazione si riscontra in molti fenomeni. Esistono paesi che hanno reti di città che rispondono a questa regola. Occorre precisare che:

  • la regola non sussiste nelle città dei Paesi Sottosviluppati, che hanno avuto una urbanizzazione rapida, e in Paesi come la Francia dove la curva decresce regolarmente solo a partire dalla 2° città (Parigi, modello della città primato; questo è tipico di nazioni che sono diventate Stato molto presto, questo ha favorito un processo di concentrazione nella capitale);
  • in Paesi sviluppatisi da diversi Stati Regionali (es. Italia)  il modello è valido.

 

La morfologia delle città.

La densità della popolazione cresce dal centro verso la periferia; all’interno della città abbiamo non solo un centro; ma un centro principale e dei centri secondari che potremmo definire dei sub centri; la rendita al centro è più elevata e cresce anche quando arriva ai sub centri secondari. Inoltre le rendite sono più alte sulle vie dei collegamenti che non nelle vie intermedie. La città di sviluppa lungo le vie di comunicazione (Von Thunen: lungo il fiume le rendite crescono per la diminuzione dei costi di trasporto). Originariamente gli insediamenti industriali si posizionano lungo i corsi d’acqua cittadini (Navigli a Milano, la Dora a Torino) o vicino al centro a seguito della seconda rivoluzione industriale, quando l’industria può utilizzare l’energia elettrica. Si assiste alla formazione di quartieri industriali in quanto si instaura un legame tra il luogo di lavoro e il luogo di residenza. Le persone si localizzano in luoghi diversi a seconda del loro reddito; la distinzione spaziale tra le persone corrisponde a una divisione sociale causata dalla differenza di reddito. Le persone a seconda del reddito di cui possono disporre occupano uno spazio diverso, parti diverse della città. Esiste un legame tra luogo di lavoro e luogo di residenza.  E’ importante il saper fare, chi dispone di buona manodopera si preoccupa di tenerla vicina alla fabbrica, si sviluppano le prime vie urbane di trasporto (tramvai ….).

L’espansione delle città porta alla formazione di quartieri molto popolosi ma del tutto privi di servizi (case popolari); possiamo parlare a questo proposito di espressione del territorio come condizione e prodotto sociale: l’emarginazione delle periferie è il riflesso dell’ordine sociale. Il quartiere ghetto, costruito lontano dal centro della città diventa condizione per accentuare l’emarginazione sociale.

La pianificazione urbanistica degli anni 70 si è posta il problema di come portare i servizi alle periferie delle città. Ultimamente i centri commerciali, che si caratterizzano per essere dei grandi poli di attrazione,  vengono posizionati alla periferia delle città per cercare di colmare questa lacuna. Portano con sé però anche un aspetto negativo; infatti posizionandosi sui nodi fondamentali di trasporto congestionano il traffico, portando diseconomie (inquinamento, le strade a scorrimento veloce sono intasate dal traffico e diventano strade normali).

 

La forma delle piante delle città

Abbiamo forme delle piante delle città che riflettono il prodotto storico e dipendono dal modo in cui si è formata la città:

  • città fondate;
  • pianificate;
  • a crescita spontanea;

 

sulla forma della pianta urbana incide molto il rapporto tra gli edifici e le strade (es. Milano: le vie sono in rapporto allo spazio edificato).

Distinguiamo:

  • strutture a scacchiera, con strade ortogonali, le vie sono ad angolo retto (le città romane con il tipico incrocio tra tecumanus e cardo, o le città coloniali), l’accesso alla città avviene attraverso 4 porte, c’è la presenza di mura. Tutte le strade si dipartono dal centro. Queste città accrescono per un processo di sub urbanizzazione, che è tipico delle città fondate; i nuovi sobborghi si posizionano fuori dalle mura;

 


  • Struttura radioconcentrica, abbiamo la presenza di strade radiali che escono dalla città e delle vie concentriche che uniscono questi raggi (assi di penetrazione). Man mano che la città cresce si espandono gli assi radiali e si sviluppano nuove strade concentriche (es. Milano). La struttura radioconcentrica è la tipologia di pianta tipicamente studiata dai geotecnici, e mette bene in evidenza il concetto di “rendita” in relazione alla vicinanza dal centro della città.

 

 

 


 

  • Città che crescono lungo una via importante di comunicazione, la città cresce mentre si formano delle vie parallele alla via principale.
  • Abbiamo sviluppo di città che è condizionato dalla morfologia del terreno; la forma della pianta della città segue l’assetto delle vie esterne di comunicazione.

 

Gli economisti neoclassici esprimono il concetto di “curva di sostituzione”; posso sovrapporre il modello di un luogo ad un altro partendo dal presupposto che più mi allontano dal centro della città maggiormente cala la rendita e cresce il costo del trasporto; questo mette in evidenza due alternative in sostanza equivalenti:

  • mi posizione al centro di una località sopportando le conseguenze di pagare un’alta rendita, ma azzerando le spese di trasporto;

 

  • mi posiziono in periferia approfittando del fatto che dovrò pagare una rendita bassa, in qualche modo bilanciata dalle alte spese di trasporto.

Il ragionamento però non è esente da difetti, non è provato che la curva del coefficiente di trasporto sia esattamente sovrapponibile a quello della rendita; perché il ragionamento sia valido occorre infatti che l’incremento dei costi di trasporto corrisponda esattamente al decremento della rendita. Non viene preso in considerazione il costo del fattore “tempo”, dovuto alla maggior distanza. Non viene preso in considerazione il costo sociale.

 

Evoluzione della città

L’evoluzione della città è legata alla separazione tra i luoghi di lavoro e i luoghi di residenza: il lavoratore in questa fase è un semplice esecutore, lo si può spostare da un settore all’altro, non è più importante il “saper fare”, aumenta la mobilità (sociale) del lavoratore che passa da un luogo di residenza a un altro, da un luogo di lavoro ad un altro. Questo fatto oltre al miglioramento dei sistemi di trasporto agevola questa mobilità che risulta invogliata dai cambiamenti tecnologici del sistema economico e resa possibile dal miglioramento delle vie di comunicazione e trasporto.

 

Capitalismo flessibile

Il capitalismo flessibile dà origine allo sviluppo delle città e prende il via dalla crisi della grande industria, il cui modello prevedeva profitti crescenti legati ad economie di scala e a fenomeni di agglomerazione. Da questo punto in poi si blocca la crescita e la concentrazione delle industrie, che incominciano a localizzarsi nelle periferie, nelle regioni in via di sviluppo dove la manodopera è più conveniente. Questa particolare fase di sviluppo del capitalismo favorisce la crescita delle città periferiche. Crescono le località marginali, situate nelle periferie dove erano già state relegate attività di secondo piano, che non potevano permettersi di stare nelle aree centrali (tessile, abbigliamento, ecc.).

Fino agli anni 70 le città più erano grosse e più crescevano; dagli anni 70 in poi questo fenomeno si arresta in tutte le città.

A partire dagli anni 80, nei paesi e nelle regioni sviluppate (quindi anche nelle regioni sviluppate della periferia), si avvia questo processo di urbanizzazione diffusa; le grandi città crescono meno delle città piccole che approfittano ancora dei vantaggi offerti dalle economie di localizzazione. Nelle città la crisi dell’industria diventa molto esplicita, si assiste alla comparsa dei “cimiteri di fabbriche”, ciò che gli urbanisti chiamano “vuoti urbani”, grandi aree industriali ormai dismesse:

 

  • anni 70: cessa l’espansione delle grandi città; l’espansione è solo periferica;
  • anni 80: la crisi della grande industria porta alla formazioni di grandi aree industriali dismesse.

 

La crisi della grande industria dipende in larga parte dalla crisi fiscale dello stato; la localizzazione delle attività nella periferia del mondo provoca una diminuzione nelle entrate dello stato che non è più in grado di sostenere finanziariamente le economie di agglomerazione.

Un altro aspetto dell’urbanizzazione diffusa è la deconcentrazione; i sobborghi sono ormai usciti dai confini comunali delle città, grazie anche al miglioramento dei mezzi di trasporto; le aree urbane si sono allargate e i sobborghi si trovano sempre più lontani dal centro della città. Il miglioramento delle comunicazioni contribuisce a diffondere i servizi alle famiglie e a migliorare i servizi alle imprese; una volta questa tipologia di servizi era rara, ora si trovano in tutte le città.

Per le famiglie il processo di urbanizzazione diffusa ha significato anche decentramento residenziale, fino ad essere in certi paesi una vera e propria “tendenza” (es. nel mondo anglosassone si diffonde l’abitudine di vivere in campagna invece che in città). In altri paesi (es. Italia) le famiglie si sono indebitate pagando alti tassi di interesse per riuscire a comprare casa nei luoghi familiari e non essere espulsi dal loro contesto a favore di servizi che erano in grado di garantire una rendita molto più alta. Si assiste al fenomeno dell’autocostruzione: chi non è in grado di contrarre un mutuo, la casa se la costruisce da solo; questo fenomeno è stato in qualche modo favorito anche dalla legislazione dell’epoca (legge sull’equo canone).

In alcune economie di urbanizzazione che sono diventate diseconomie per il congestionamento delle città, i piccoli centri sono continuati a crescere relativamente in maniera maggiore rispetto alle grandi città. Dopo oltre 30 anni di questo processo ormai risultano intasate anche le piccole e medie città, che mentre un tempo riuscivano ancora ad offrire i vantaggi delle economie di localizzazione, ora risultano gravate dagli stessi problemi di intasamento delle grandi città.

A causa del loro sviluppo, questi sistemi urbani industriali sono diventati dei nodi di una rete mondiale di più città, tutte legate l’una all’altra, in un sistema globale.

Le grandi imprese seguivano un preciso modello organizzativo:

  • 1° livello: la sede centrale amministrativa era basata nel paese dove l’impresa era nata; qui venivano prese tutte le decisioni strategiche che riguardavano l’impresa;

 

  • 2° livello: l’impresa localizzava vari stabilimenti nelle varie parti del mondo.  

Con il crescere del processo di integrazione dell’economia mondiale, è diventato sempre più importante un terzo livello, intermedio tra i primi due; esiste sempre la sede centrale dell’impresa, ma nei vari continenti non solo sono localizzati gli stabilimenti (la fase esecutiva), ma anche tutta una serie di funzioni importanti come progettazione e R&D:

  • sede centrale;
  • sede intermedia, progettazione e R&D;
  • stabilimenti.

 

Questa gerarchia nei vari livelli delle grandi imprese a livello mondiale forma una rete, che ovviamente non è collocata nel nulla, ma è sempre legata alla presenza di una città, di un nodo, di economie di cooperazione.

I nodi di questa rete globale che fa riferimento alla grande impresa, sono legati ai nodi delle reti locali composti da imprese principali, dai suoi fornitori e dai servizi per i lavoratori. Inoltre qui non avrò bisogno di economie di urbanizzazione di alto livello; queste saranno destinate solo ai luoghi che ospitano le sedi centrali delle imprese.

A livello mondiale si crea così un paesaggio composto da tanti nodi rappresentativi di tante reti locali (sistemi produttivi locali), che a loro volta non sono altro che ulteriori nodi di altri sistemi locali posti in altri luoghi (ogni nodo è dotato dei servizi occorrenti al collegamento con la rete mondiale).

Queste reti globali sul piano fisico danno origine ad una deconcentrazione delle attività industriali. Ma non tutte le attività si stanno deconcentrando: le attività relative ai servizi finanziari hanno continuato nella direzione di un processo di concentrazione. Il potere di governo di organizzazione dell’economia mondiale è in mano a pochi centri: diventa sempre più importante un numero di centri sempre minore (es. il NASDAQ ha manifestato l’intenzione di acquistare la borsa di Londra! Le borse di Milano, Madrid o Francoforte rischiano di scomparire).

Un tempo poche città a livello nazionale facevano da nodo verso la rete globale, oggi anche i piccoli centri, per ciò che gli può interessare, lo possono fare.

Le attività legate alla specializzazione produttiva di un’area non seguono più un modello organizzativo gerarchico (dalle città grosse alle città piccole); solo i servizi finanziari seguono il modello inverso  e vanno verso una tendenza alla concentrazione.

 

ALCUNI PROBLEMI LEGATI ALLA CRESCITA DELL’URBANIZZAZIONE

 

Problemi ambientali globali

 

La questione ambientale nasce nel 1972; tappe fondamentali:

  • Nel 1972 viene pubblicato dal M.I.T. (Massachusset Institute of Technology) un rapporto sui limiti dello sviluppo consumistico.

 

  • Nel 1987 nasce il concetto di sviluppo sostenibile.
  • Nel world summit del 1992 tenutosi a Rio de Janeiro nasce “Agenda 21”.

 

Con il passare del tempo, sulla questione ecologica, si è formata una sorta di “diplomazia  ecologica” mondiale che si occupa di ecologia a livello globale, che però è la somma di questioni locali, regionali, nazionali; non si risolve il problema ecologico globale se non intervenendo a livello locale.
In questo quadro globale ci si è posti il problema relativo a chi debba sostenere i costi per la protezione dell’ambiente e per il suo miglioramento (concetto di sviluppo sostenibile); gli ambiti di intervento per cercare di risolvere la questione ambientale sono comunque tre:

  • ecologico;
  • economico;
  • sociale.

 

Trascurare anche solo uno di questi elementi, significa fallire l’obiettivo della soluzione del problema ecologico.

La questione è anche di carattere morale; tutti gli individui del mondo hanno gli stessi diritti, tutti sono interessati dalla questione ambientale e tutti si devono preoccupare del futuro del mondo:

  • chi consuma più risorse alla fine è anche quello che sporca di più (è una questione di input e output del sistema).

 

Occorre che i paesi del centro riconvertano la loro tecnologia in modo da “sporcare meno”: questa è una questione di carattere finanziario, questa operazione costa molti soldi. Muoversi in questa direzione per i paesi della periferia è impossibile:

  • dispongono di industrie tecnologicamente arretrate, molto inquinanti;

 

  • non hanno risorse finanziarie da destinare allo scopo;
  • hanno anche tutta una serie di altri problemi da risolvere che sono tipici della periferia del mondo.

 

Una soluzione prevede di aumentare le rese agrarie dei terreni dei terreni dei paesi della periferia:

Se su di un certo appezzamento di terreno di una certa dimensione produco 10 q di un certo prodotto, faccio in modo di aumentare la resa agraria a 40 q dello stesso prodotto, basta coltivare ¼ della superficie per ottenere la stessa quantità di produzione originaria; il resto del terreno potrebbe in questo modo essere messo a riposo per preservare la sua fertilità:

 

Degli efficaci piani di sviluppo devono perseguire precisi obiettivi:

  • chiari obiettivi economici di sviluppo;
  • elementi fisici territoriali per realizzare questo sviluppo economico;
  • obiettivi di tutela economica;
  • obiettivi di tutela del paesaggio.

Questi 4 obiettivi, per garantire uno sviluppo sostenibile, vanno raggruppati in un unico strumento, cosa che oggi purtroppo non avviene.

Ma non tutta l’azione umana è stata negativa; ricordiamo le opere di bonifica avvenute in varie parti d’Italia.

Ai fini del problema ecologico dividiamo il pianeta in ambienti diversi:

  • aree del mondo scarsamente popolate (zone aride, savana);

 

  • area tropicale: agricoltura itinerante (disboscamento, incendio del terreno, cultura); i terreni vengono coltivati per 3 anni, quindi lasciati riposare (maggese); la crescita demografica genera una cultura intensiva del terreno che ne compromette la fertilità:

 

Nelle zone aride il problema è il sovrapascolamento; lo spazio a disposizione dei pastori nomadi è ridotto: l’eccessivo carico di bestiame danneggia il terreno.
Anche eccesso di irrigazione può portare all’impoverimento di un terreno.

Nelle zone mediamente popolate (aree temperate) abbiamo un’agricoltura tecnologicamente avanzata con rendimenti crescenti nel tempo: sulla stessa area insistono più coltivazioni il che si traduce in più popolazione:

  • maggese 20/25 anni;
  • maggese 6/10 anni (boscaglia);
  • maggese 1 / 2 anni (rotazione a tre campi)
  • coltivazione annuale (riso, grano)
  • policultura
  • cultura promiscua (sullo stesso terreno ho più culture nello stesso tempo.

 

La frontiera agricola a volte viene definita “frontiera vuota”. Fa l’esempio della coltivazione del caffè che mentre avanza degrada il terreno, lo sfrutta. Quando il caffè si sposta su nuove terre lascia dietro di sé una terra non produttiva. Nel lungo periodo la frontiera vuota si riempie ricorrendo ad altre culture (fenomeno tipico delle economie di piantagione).

Catene alimentari a cui corrispondono diversi livelli di produzione agricola:

  • livello 1:  vegetazione;
  • livello 2: produzione agricola; nei paesi non colonizzati l’allevamento è integrato con l’agricoltura. Nei paesi colonizzati l’allevamento non è integrato con l’agricoltura.

 

Catena della produzione all’uomo:

  • allevamento chiuso
  • allevamento chiuso / aperto
  • allevamento allo stato brado.

 

LA CITTA’ COME SISTEMA ECOLOGICO

Possiamo rappresentare la città come sistema ecologico, individuando i suoi INPUT e i suoi OUTPUT:

INPUT: approvvigionamenti è tanto la città è più grande tanto sono maggiori i problemi di approvvigionamento. Quali sostanze entrano in una città:

  • alimenti, acqua.
  • Fonti di energia (combustibili, carbon fossile, gas, petrolio).

 

OUTPUT è RIFIUTI: solidi, liquidi (acque reflue), gassosi (inquinanti atmosferici).
I rifiuti pongono enormi problemi di approvvigionamento idrico. L’inquinamento delle acque reflue crea problemi di potabilizzazione.
Molti problemi ecologici di tipo ambientale si possono risolvere con una migliore organizzazione dello spazio dell’attività umana. Con piccoli insediamenti posso utilizzare piccole strutture, creo piccoli problemi:

  • una migliore distribuzione sul territorio degli impianti può essere utile per la risoluzione di problemi ambientali (es. approvvigionamenti);
  • smaltire sostanze nocive di grandi concentrazioni è difficile;
  • grandi concentrazioni creano grossi problemi di inquinamento ambientale che altera le proprietà termiche dell’atmosfera con grave impatto sulla saluta degli uomini.

 

Il quadro di questi fenomeni, che cambia a seconda delle condizioni ambientali delle città, è notevolmente aggravato dai consumi industriali.

L’inquinamento da piombo è cresciuto in maniera esponenziale in questi ultimi anni a causa dell’elevato consumo di benzine; avviene attraverso la catena alimentare (respiro aria inquinata, mangio sostanze inquinate). Questa sostanza viene assorbita in quanto non viene smaltita. Il morbo di Minamata (Giappone) grave sindrome da avvelenamento che avviene attraverso l’assorbimento di piombo dalla catena alimentare.

Elementi più comuni nelle forme di inquinamento:

costituenti pesticidi, zolfo, fosforo, oro, arsenico, cesio, mercurio, piombo, plutonio, metalli pesanti in genere ……..

 Impatto sul sistema di certi fenomeni; quale metodo devo seguire per fronteggiarli:

  • determinare la natura dell’inquinante (materia o flusso);
  • contesto spazio temporale dell’immissione;
  • l’ambiente inquinato;
  • impatto sull’ecosistema nel corto / lungo periodo (catene alimentari).

 

ALCUNE DEFINIZIONI

  • STOCK, qualcosa che è patrimonio dell’ambiente naturale, di cui disponiamo naturalmente;

 

  • RISORSA NATURALE, parte del patrimonio che ha utilità per l’uomo (rinnovabile: legata ai flussi, una caduta d’acqua, energia solare, geotermica. Non rinnovabile);
  • RISERVA, parte delle risorse di cui ho stimato la quantità;

 

ELEMENTI PIU’ PRESENTI IN NATURA

 

Ossigeno, silicio, alluminio, sodio, magnesio, calcio, potassio.

  

 

Fonte: http://www.testi-utili.com/primo_anno/geografia/30.11.06.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Fondamenti di geografia – lezione del 02.11.06

Si riconduce ai capitoli 2 – 4 e 14 del volume I HEGGET; Libro del SESTINI, SAMIR AMIN

 

Riprende alcuni concetti espressi nelle lezioni precedenti; la terra divisa all’origine in tanti geosistemi separati, si assiste quindi ad un processo di integrazione che porta alla formazione di un unico geosistema.

Nascita delle civiltà e delle prime società umane, caratterizzate da una divisione sociale del lavoro; nascono le città è condizione necessaria per la nascita delle città è la presenza di surplus (eccedenza) nella produzione; a ciò si affiancano poi altre condizioni (politiche, religiose).

Richiama le prime aree della terra dove si sviluppano i primi nuclei di urbanizzazione:

  • aree della mezzaluna fertile: il MASHRAQ (moderno Iraq, Siria) e il MAGREB (odierne Tunisia, Algeria, Marocco);

 

  • nuclei di grande concentrazione: l’Impero Cinese, il Sud Continente Indiano, l’ex Impero Romano;
  • altri focolai di civiltà: la valle del Nilo, Valle del Tigri e dell’Eufrate, la civiltà Assiro Babilonese, gli Egiziani, i Persiani, i Greci e i Romani

 

  • il ruolo del Feudalesimo;
  • il ruolo del Colonialismo

 

Richiama i modi di produzione del continente americano:

  • aree delle pianure: metodo di produzione comunitario (i nuclei dei nativi americani);
  • aree degli altopiani: metodo di produzione tributario, la società è stratificata (le grandi civiltà del Centro e Sud America).

 

Passa a trattare l’argomento della cartografia: libro del Sestini

I linguaggi della geografia:

  • verbale;
  • matematico;
  • cartografico, linguaggio principe della cartografia

 

definisce:

TERRA; ellissoide di rotazione, sostanzialmente sferico.

MERIDIANI: linee immaginarie che passano tutte per i poli.

PARALLELI: assi che tagliano il globo perpendicolarmente all’asse di rotazione terrestre (l’asse di circonferenza massima è l’equatore).

Lo spazio terrestre è assoluto, ogni punto è unico e la sua posizione viene determinata mediante coordinate cartesiane:

  • LATITUDINE: distanza di un punto dall’equatore calcolato sull’arco di meridiano; si esprime in gradi nord e sud;

 

  • LONGITUDINE: distanza di un punto dal meridiano di riferimento terrestre, il meridiano 0, di Grenwich (località vicino a Londra); si esprime in gradi est e ovest.

Ogni Paese ha un proprio meridiano di riferimento; per l’Italia è il meridiano di Monte Mario a Roma (scarto rispetto a Grenwich 12° 27’ 12’’ long. est).

Compito della cartografia è fornire una rappresentazione della Terra, mediante l’utilizzo di carte; è importante la scala con cui è espressa la carta:

scala 1: ……….      è    1: l / L

l = lunghezza sulla carta
L = lunghezza sulla terra

Distinguiamo

  • Mappe o piante, hanno scala inferiore a 1 : 10.000, sono le grandi carte.

 

  • Carte topografiche, hanno scala compresa tra 1:10.000 e 1:150.000.
  • Carte corografiche, hanno scala compresa tra 1:150.000 e 1:1.000.000, descrivono una intera regione terrestre.

 

  • Carte geografiche, hanno piccola scala superiore a 1:1.000.000.
  • Mappamondi e planisferi che rappresentano l’intero globo terrestre.

 

Le carte si costruiscono mediante un procedimento detto triangolazione; il problema fondamentale di una carta è riuscire a rappresentare sul piano la forma sferica della terra; ci si affida a delle proiezioni, che si dividono essenzialmente in due gruppi:

  • le proiezioni prospettiche;
  • le proiezioni di sviluppo: cilindriche o coniche

 

carte equidistanti: la misura sulla carta rispecchia in scala la misura sulla terra;

carte equivalenti: la superficie sulla carta corrisponde in scala alla superficie sulla terra;

Nelle proiezioni cilindriche equivalenti (di Lambert) più mi avvicino ai poli, più le aree si avvicinano; nella proiezione cilindrica di Mercatore, al contrario, più mi avvicino ai poli più le aree si allargano è curva rossodromica, è molto utile per la navigazione, in quanto rappresenta in linea retta una direzione che sul globo è una spirale.

Ricordiamo poi le proiezioni equidistanti azimutali che rappresentano la terra prendendo come punto di riferimento l’azimut solare.

E’ importante conoscere la simbologia delle carte per interpretare correttamente quello che vogliono indicare (es. le curve di livello, che uniscono punti che hanno la stessa altimetria, danno un’idea della pendenza della zona che stiamo osservando sulla carta), il tratteggio, la colorazione, lo sfumo.

 

GENERI DI VITA (cap. 4 Hagget)

Il genere di vita esprime la cultura e l’ambiente naturale, contribuendo allo sviluppo del geosistema.

Sottosistema ideologico – culturale esprime i modi di pensare (le ideologie, la conoscenza) sono diversi tra Paesi del Centro e quelli della Periferia; il modello di ACSLEY distingue le culture sulla base dei loro prodotti:

 

Aspetti del sottosistema ideologico – culturale:

la lingua, espressione delle culture, oggi esistono circa 3000 lingue parlate e si stimano in circa 4000 le lingue scomparse; nel corso del processo di integrazione del mondo si assiste ad una semplificazione delle lingue: la lingua madre diventa una lingua “franca”, comprensibile a tutti.
Distinguiamo vari ceppi di lingue indoeuropee:

  • lingue romanze
  • ceppo albanese
  • ceppo greco
  • ceppo armeno
  • ceppo slavo
  • ceppo germanico

la differenziazione linguistica diventa una barriera tra i popoli

la religione, ricordiamo le grandi religioni monoteistiche (riconoscono un solo dio):

  • ISLAMICA
  • CRISTIANA
  • EBRAICA

 

Ma anche INDUISMO, BUDDISMO, TAOISMO

La religione cristiana (cattolici, ortodossi, copti è la chiesa di Bisanzio), sviluppata anche nel continente americano (nord e sud) a seguito dell’arrivo dei colonizzatori europei.

L’Islam, la religione dell’Impero Ottomano (turchi), diffusa anche nei Paesi delle coste africane e nell’Africa subsahariana, nei Balcani, in Pakistan, Bangladesh fino in Indonesia,

Il  buddismo, diffuso in Asia orientale

L’induismo, diffuso in Indonesia, Vietnam, Cambogia.

E’ importante analizzare l’impatto della religione sulla società, che può essere devastante quando si sconfina nel FONDAMENTALISMO e nell’INTEGRALISMO. Le convinzioni religiose impattano sulla vita di tutti i giorni:

  • la comunità Amish della Pensilvanya è contraria alle vaccinazione dei suoi membri, e per questa ragione è stata portatrice di estesi fenomeni epidemici;
  • le sacre vacche dell’induismo;
  • la diffusione di malattie (colera) sui percorsi dei pellegrinaggi (es. pellegrinaggio alla Mecca dei musulmani);
  • conseguenze alimentari (la carne suina per i musulmani);

 

Sottosistema politico – istituzionale, è inerente al concetto di “forma di stato” nelle sue varie articolazioni storiche:

  • il sacro romano impero
  • lo stato feudale
  • lo stato assoluto
  • lo stato liberale
  • lo stato sociale interventista
  • lo stato globale, flessibile, che è tutt’ora in evoluzione

 

lo stato deve garantire la difesa, la democrazia, la pace, la stabilità, la sicurezza sociale.

Lo stato come nazione, intesa come espressione di un popolo (stesse affinità culturali, stessi interessi, stessa lingua, espressione di una sovranità) e di una estensione territoriale.

La globalizzazione, un unico socio sistema mondiale, ha messo in crisi il concetto di nazione, anche se ancora oggi ci sono gruppi etnici che non sono riconosciuti come “nazione” (i curdi, gli armeni, i palestinesi anche se in maniera un po’ diversa), popolazioni che non hanno visto riconosciuto il loro diritto ad avere “un territorio”.

Il territorio di una stato è identificato dai “confini”, naturali o artificiali che sono tipici dei Paesi della Periferia del mondo e che generalmente sono molto instabili.

Distinguiamo stati federali da stati nazionali unitari, con forme istituzionali diverse (monarchie, stati repubblicani, dittature).

La formazione di uno stato è un fenomeno governato da forze centripete, che aggregano (uno stessa etnia a cui appartiene la popolazione), o forse centrifughe, che disgregano (stati multietnici). Le grandi migrazioni stanno creando stati multietnici con il problema della nascita di forme integraliste e estremiste.

Nasce l’esigenza di governare i rapporti tra i vari stati (nascita del diritto internazionale), con la necessità di fissare regole comuni da parte di una organizzazione che vada al di là delle singole nazioni (Organizzazione delle Nazioni Unite – O.N.U.) e delle singole sovranità nazionali.

Conflitti tra stati:

  • per motivi economici legati allo sfruttamento delle risorse del pianeta;
  • rapporti con le minoranze etniche (il popolo basco in Spagna);
  • conflitti territoriali (la guerra anglo argentina per il controllo delle isole Falkland / Malvinas, il conflitto Ecuador – Colombia);

Teorie geopolitiche legate alla espansioni degli stati per la conquista di nuovi territori; il concetto di “spazio vitale” (HAUSSOFER lo ha utilizzato per legittimare l’espansionismo nazista); la teoria di McKINDER (teoria dell’HURTLAND): controllare le periferie per controllare il centro dei continenti (confini, porti); esempi recenti le guerre di Corea e del Vietnam, la Cina con Taiwan, le guerre del Golfo Persico.

 

Sottosistema socio – economico (la popolazione). Lo sviluppo economico determina un cambiamento nelle dinamiche demografiche (cambiamento quantitativo della popolazione).

Mutamento demografico:

  • NATURALE (struttura della popolazione)
  • MIGRATORIO (movimenti della popolazione)

 

Esistono vari indici per quantificare la popolazione:

SALDI ASSOLUTI:

saldo reale (valore assoluto): popolazione fine periodo – popolazione inizio periodo

saldo reale: saldo naturale + saldo migratorio

saldo naturale: nati vivi – morti

saldo migratorio: immigrati (iscritti all’anagrafe) – emigrati (cancellati dall’anagrafe)

 

VALORI RELATIVI (TASSI):

tasso variazione demografica: saldo reale anno 2xjz x 100
                                                            popolazione media   è  popol. iniziale + popol. finale
                                                                                                                                   2

tasso variazione naturale: saldo naturale
                                                   popol. media

tasso natalità:         nati vivi
                               popol. media

tasso mortalità:        morti
                               popol. media

tasso fertilità:           nati vivi                    è un indice generico
                               femmine fertili (15/45 anni)

indice fertilità specifico per età:            nati vivi 18
                                                                     femmine 18

 

Gli indici sono utili per fare proiezioni, per estendere nel futuro le tendenze del passato; per fare previsioni devo tenere conto anche di fattori esterni in grado di modificare le proiezioni.

Esaminiamo l’andamento della crescita demografica: fino al ‘700 grande crescita demografica, ma anche grandi crolli (epidemie, guerre); dalla metà del ‘700 la crescita è costante.

 

Teoria demografica di MALTHUS

 

Nel 1798 pubblicò un saggio sul “principio della popolazione”, in cui sostenne che l’incremento demografico avrebbe spinto a coltivare terre sempre meno fertili con conseguente penuria di generi di sussistenza per giungere all’arresto dello sviluppo economico, dal momento che la popolazione tenderebbe a crescere più velocemente della disponibilità degli alimenti. Sostenne il ricorso al controllo delle nascite, basato sulla castità, per impedire l’impoverimento dell’umanità.

Possiamo distinguere 4 fasi nell’andamento della crescita demografica (vedi tabella):

  • I fase: prerivoluzione industriale, si facevano molti figli per sopperire al tasso di mortalità molto elevato; scarsa crescita demografica;

 

  • II fase: calo della mortalità per miglioramento delle condizioni igienico sanitarie e dell’alimentazione; la natalità è costante; crescita demografica;
  • III fase: fino alla seconda guerra mondiale, ulteriore calo della mortalità; l’introduzione del controllo delle nascite ritarda l’espansione demografica;

 

  • IV fase: situazione attuale (paesi del centro); mortalità più elevata della natalità: crescita zero.

Fonte:  http://www.testi-utili.com/primo_anno/geografia/02.11.06.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Geografia fondamenti

 

Fondamenti di geografia – lezione del 05.10.06

Si riconduce al punto 1 del programma

Capitoli 18 – 19 – 20 del volume II HEGGET; Adamo “Paradigmi e linguaggi geografici”

 

Il turista è colui che lascia l’abituale luogo di dimora e pernotta altrove; il prodotto turistico è rappresentato dall’esperienza che vive il turista. Il prodotto turistico si realizza quando viene consumato. Bisogna riuscire a far tornare il turista nelle zone che ci interessano, sviluppando una conveniente “cultura dell’accoglienza”.

La geografia è la descrizione della terra; rappresenta il mondo reale e tutte le unità territoriali in cui si articola.

Identifichiamo come territorio o spazio terrestre una zona occupata, posseduta, abitata da una comunità umana; il concetto di territorio implica “possesso”.

La geografia fornisce rappresentazioni dello spazio terrestre utili. E’ importante il fine per cui rappresento la terra (se devo navigare fornirò una certa rappresentazione della terra ….)

Quali sono le concezioni - paradigmi - dell’oggetto che devo rappresentare (terra, territori); a seconda delle concezioni dell’oggetto che rappresento posso avere geografie diverse.

Paradigmi sono concezioni della terra ampiamente condivise da una comunità scientifica, derivanti dalla storia della geografia.

Concezione del territorio come SPAZIO DIFFERENZIATO: spazio + ambiente; la terra è differenziata dalla storia della natura e dalla storia umana.

Ambiente      è        riguarda il sociale, l’uomo.

Spazio           è        la natura.

Per descrivere ogni luogo della terra devo tenere conto dei suoi attributi spaziali e ambientali.

ATTRIBUTI SPAZIALI di un luogo: superficie, la forma, la distanza e la posizione relativa rispetto ad altri luoghi della terra.
Concetto di spazio assoluto: ogni luogo della terra è unico ed è individuato da una serie di coordinate cartesiane: la latitudine e la longitudine.

ATTRIBUTI AMBIENTALI di un luogo rappresentano i caratteri propri di una località: vengono definiti come l’insieme degli elementi di un territorio che condizionano l'azione umana. Più in generale l’insieme degli elementi esterni al fenomeno considerato che ne condizionano lo sviluppo. Gli attributi ambientali possono essere naturali, artificiali, materiali e immateriali.

Lo spazio e l’ambiente sono entrambi indispensabili per rappresentare geograficamente un territorio (fa l’esempio della risaia).

Il rapporto con la natura è un rapporto mediato dal rapporto uomo / uomo, dipende dalla nostra cultura, dalla nostra conoscenza.

Parliamo quindi di relazioni verticali in relazione a rapporti tra comunità e ambiente locale, attengono agli attributi ambientali del territorio. Verticali perché abbracciano l’intero ambiente naturale: la comunità (uomo) e l’ambiente (natura).

Relazioni orizzontali, relazioni tra il luogo considerato e altri luoghi esterno ad esso (es. il mercato mondiale). Attengono all’ambiente spaziale (la posizione).

E’ importante considerare l’ambito in cui operiamo: locale, mesoregionale, nazionale, sovranazionale, internazionale; la scala geografica.

La geografia nella rappresentazione di un luogo per un determinato fine non è neutrale, è relativa; fa l’esempio di un lago che vedo in maniera diversa a seconda degli interessi che perseguo; sono sempre possibili utilizzi diversi di una risorsa e questi dipendono dai rapporti sociali, dagli interessi che sono in gioco.

 

La terra come SISTEMA (Alexander Von Humboldt, 1859 e Karl Ritter): la geografia come scienza della interconnessione tra diverse parti della terra e tra fenomeni dell’ambiente.

La geografia è una scienza sistemica (sistema: insieme di elementi e delle loro relazioni), studia l’interconnessione di diversi elementi. Stessi elementi combinati tra di loro in termini spaziali diversi danno luogo a risultati diversi. Altre scienze sono invece analitiche, settoriali, si limitano a studiare l’oggetto del loro interesse (botanica, chimica).    

 

Lo spazio terrestre come CONDIZIONE (vincolo) e PRODOTTO SOCIALE:

CONDIZIONE, VINCOLO: elementi naturali che condizionano l’attività umana.

PRODOTTO SOCIALE: anche gli elementi naturali sono mediati dai rapporti sociali.

 

 


Processi di cambiamento socio territoriali

 

 

Tempi della storia della natura

  

 

 


I tempi della storia umana sono molto più veloci dei tempi della storia della natura. Per esempio la formazione di una foresta tropicale si calcola in centinaia di anni; la distruzione della stessa foresta da parte dell’uomo è molto più veloce. Da questa disparità deriva il problema ambientale.

 

La concezione del mondo dei babilonesi era quella di un disco piatto con al centro Babilonia.

Eratostene già nel III secolo avanti Cristo aveva una concezione della terra sferica e arrivò a misurarne la circonferenza studiando la diversità nell’angolo che formavano le ombre in un preciso momento ad Alessandria e Assuan. Calcolò il diametro terrestre in 39.600 Km, sbagliando di pochissimo (diametro reale 40.006 Km).

Parla dei linguaggi della geografia:

  • linguaggio comune;
  • linguaggio matematico;
  • linguaggio cartografico che è il linguaggio specifico del geografo; non sarebbe possibile allocare correttamente dei punti sulla terra senza la cartografia. La cartografia rappresenta molti aspetti della terra, viene utilizzata come strumento di analisi.

 

Abbiamo definito la terra un geosistema, insieme di un ecosistema e di un sociosistema, combinazione spaziale di elementi naturali e sociali.

Al fine di poterlo studiare meglio, suddividiamo il geosistema terra in 4 sottosistemi:

  • fisico – biologico, naturale (ecosistema) e artificiale (insediamenti umani);  suddividiamo l’ecosistema in ambiente biotico (gli esseri viventi, la biosfera) o abiotico (le sfere non viventi: litosfera, atmosfera e idrosfera)
  • socio – economico;
  • politico - istituzionale;
  • ideologico – culturale.

 

Questi sottosistemi, pur facendo parte di un unico geosistema, non si muovono con la stessa velocità, non sempre sono coerenti l’uno con l’altro, ma intervenendo su uno di essi posso condizionare gli altri. Il geografo nella sua rappresentazione della terra deve verificare logica e ordine nei sistemi.

Definisce il

  • paesaggio: la rappresentazione della struttura territoriale; gli elementi della struttura che cadono sotto i nostri sensi;

 

  • società: comunità sociale, di rapporti sociali associata ad un territorio. Concetto di società secondo:
  • Marx: rapporto tra classi sociali:
  • Weber: in relazione ad un ordine politico: la forma di stato.

Rappresentiamo quindi la terra come sistema anche a livello sociale, che si relaziona con elementi che possono essere anche esterni al sistema.

La terra come unico ecosistema, divisa in regioni naturali (unità territoriali distinte da quelle vicine in ragione di caratteristiche proprie). Regionalizzazione della terra in base alle caratteristiche naturali (tanti ecosistemi collegati tra di loro).

Esaminiamo la natura degli ecosistemi, i meccanismi di funzionamento (fa esempio del lago); distinguiamo degli elementi essenziali:

  • Cicli di energia (fotosintesi clorofilliana);

 

  • Cicli nutrienti (ciclo del carbonio), catena alimentare: vegetariani – carnivori – onnivori
  • Ciclo dell’acqua: calore è evaporazione dell’acqua del mare è formazione di nubi è pioggia assorbita dalle piante, dalla terra da dove transita nelle falde, quindi nei fiumi e ancora nel mare.

 

Gli ecosistemi sono dotati di meccanismi di controllo (fa l’esempio della barriera corallina che cresce fino a raggiungere la superficie dell’acqua - feedback positivo – quando emerge il meccanismo si inverte a causa dell’erosione provocata dal moto ondoso – feedback negativo). La barriera corallina egiziana è simbolo di grande biodiversità, grazie al clima caldo presente tutto l’anno.

Mediante l’indice di Patterson si calcola la produttività di un ecosistema (vegetale) in relazione alla biomassa prodotta (bioni)

Indice di Patterson                         I = Tm P G S
                                               120 Tr

dove:

  • Tm            = temperatura media del mese più caldo del periodo considerato

 

  • G   =  numero di giorni in cui è possibile la crescita nel periodo considerato
  • P   = pioggia

 

  • S   = irraggiamento solare
  • Tr  = escursione termica annua intesa come differenza media tra le temperature del mese più caldo e quelle del mese di più freddo.  

 

Patterson aveva notato che il calore è direttamente proporzionale alla crescita vegetale, che è invece inversamente proporzionale con all’escursione termica.

L’indice di Patterson è un indice “potenziale”, non tiene cioè conto dell’azione dell’uomo e divide la produttività di un ecosistema in sei classi di ambiente forestato:

  • a biomassa grande:
  • Ambiente equatoriale (Amazzonia, sud est Asiatico, Africa equatoriale); foresta pluviale sempreverde; l’ambiente è caldo e umido tutto l’anno;
  • Ambiente delle medie latitudini (Europa, USA, Cina); latifoglie non sempreverdi a causa del ciclo delle stagioni;
  • Ambiente boreale: aghifoglie

 

  • a biomassa media:
  • macchia mediterranea: arbusti sempreverdi;
  • grandi praterie (Pampa argentina, Europa orientale);
  • a biomassa bassa:
  • savana, tundra di muschi e licheni, ambienti rocciosi privi di vegetazione.

 

Mediante l’indice di Patterson è possibile dividere la terra in regioni, unità territoriali distinte in ragione delle caratteristiche delle proprie formazioni vegetali.

LITOSFERA

 L’età della terra è stimata in 4,5 miliardi di anni;

teoria di Kant Laplace (cosiddetta ipotesi nebulare): formazione della terra per aggregazione di polvere cosmica.

I continenti così come li vediamo oggi derivano da un unico agglomerato primitivo (PANGEA); per la deriva dei continenti (teoria della tettonica a placche) sono in continuo movimento sotto il livello del mare, scorrono uno sotto l’altro nelle cosiddette piattaforme continentali. Osservando la forma dei continenti e la loro natura geologica è possibile fare una mappatura delle placche.

Distinguiamo le rocce in

  • rocce di natura eruttive: derivano dall’attività vulcanica, hanno spigoli vivi per l’azione caldo / freddo, gelo / disgelo, cascano per gravità;
  • rocce di natura sedimentaria: derivano da attività di sedimentazione e si dividono in brecce (spigoli vivi) e puddinghe (forma arrotondata) è ciotoli (rotondeggianti) depositati e trasportati dai fiumi che depositano prima i più grandi e poi i più piccoli; alla foce dei fiumi formano “coni di deiezione” è morene (fenomeno glaciale) depositi di materiali portati dai ghiacciai, possono essere frontali o laterali a seconda che derivino dal fronte o dai lati del ghiacciaio; si caratterizzano per la presenza di materiale eterogeneo: da grandi blocchi a sabbia è massi erratici che ritroviamo lontani dalla lingua del ghiacciaio a causa dello scivolamento verificatosi sulla superficie ghiacciata.

 

Le valli fluviali hanno forma a “V”, quelle glaciali a “U”.

Nella formazione dei rilievi è importante:

  • l’epoca della formazione geologica (primario, secondario, terziario e quaternario)
  • la natura delle rocce.

 

Le montagne più antiche si sono formate per orogenesi (sollevamento); la forma che assume il rilievo dipende dalla natura chimica delle rocce che lo compongono: rocce più dure daranno origine a rilievi a punta, rocce meno dure a rilievi rotondeggianti.

Ricordiamo le colline moreniche e quelle da erosione delle acque.

 

Fonte: http://www.testi-utili.com/primo_anno/geografia/05.10.06.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Fondamenti di geografia – lezione del 07.11.06

Si riconduce ai capitolo 14 – 15 – 16 - 17  del volume HAGGET;

 

Accenna alle organizzazioni transnazionali (OPEC, NATO, UE, OCSE …..) e precisa il concetto che la globalizzazione passa anche attraverso un processo di regionalizzazione, di organizzazione degli Stati in macroregioni (unioni doganali).

In campo economico ci stiamo avviando verso il progressivo superamento dei confini, stanno scomparendo le barriere doganali. I confini fanno da “filtro” fra i consumatori, le barriere doganali contribuiscono ad elevare i prezzi:

 

ONERE MONDIALE DELLE MALATTIE

I Paesi della periferia, sottosviluppati rispetto al Centro del mondo, hanno iniziato la loro crescita demografica sono a partire dagli anni 1940/50, e questo non è causa del loro sottosviluppo, ma ne è una conseguenza. La disparità tra Centro e Periferia del mondo nasce quando i Paesi della Periferia si sono integrati con il sistema “mondo” del capitalismo. Originariamente erano popolazioni demograficamente stabili (alta mortalità bilanciata da alta natalità) suddivise in piccoli gruppi. I Paesi del Centro iniziano a ridurre la loro mortalità a partire dal 1700, grazie ai miglioramenti che stavano intervenendo in campo sanitario e che stanno continuando anche ai nostri giorni. I Paesi della Periferia iniziano questo processo negli anni 40/50, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ha incominciato ad organizzare massicce campagne di vaccinazione per debellare le principali malattie epidemiche (colera, lebbra, vaiolo), riducendo di conseguenza la mortalità tra la popolazione di questi Paesi, che ormai dopo aver superato il primo stadio di sviluppo caratterizzato da alta mortalità, stanno superando anche il secondo (riduzione della mortalità e grande crescita demografica):

  • 1° stadio: alta mortalità:
  • 2° stadio: grande crescita demografica, riduzione della mortalità.

 

Volendo fare del turismo occorre sapere quali malattie si possono contrarre nei vari Paesi del mondo (es. le malattie tropicali malaria, febbre gialla, ecc.) e anche eventualmente saper consigliare quale tipologia di farmaci portarsi al seguito ( kit sanitario del turista).


POPOLAZIONE

E’ importante analizzare la domanda turistica che si differenzia in base a:

  • Età
  • Sesso
  • Livello di reddito
  • Livello di istruzione

 

E’ stato messo in evidenzia che i comportamenti turistici a parità di reddito sono molto influenzati dal grado di istruzione. Distinguiamo:

  • Tasso di istruzione (analfabeti – alfabeti senza titolo di studio – alfabeti con titolo di studio elementare, medio, superiore, universitario);

 

  • Tasso di scolarità: la percentuale di coloro che vanno a scuola, si esprime mediante un indice che si ricava dal rapporto

             Numero di coloro che vanno a scuola  x 100
    Numero della popolazione in età scolare

 

Con lo sviluppo cresce il tasso di istruzione e quello di scolarità.

 

Ricordiamo altri tassi

 

Tasso di attività

               Popolazione attiva  x 100
    Popolazione totale

 

  • Popolazione attiva: occupati e disoccupati (chi ha perso il lavoro, chi lo sta cercando);
  • Popolazione inattiva: coloro che sono usciti dal mondo del lavoro in maniera definitiva e chi ancora non vi è entrato (pensionati, casalinghe, studenti)

Esempio particolare: tasso di attività femminile

            Femmine attive  x 100
Totale femmine

Può essere utile esprimere anche il rapporto

                              Popolazione attiva                  x 100
      Popolazione in età attiva

Tasso di sostituzione
Popolazione anziana         x 100
              Popolazione giovane

E’ un indice importante in quanto mostra se e in che misura i giovani sono in grado di sostituire coloro che moriranno

Tasso di vecchiaia
Popolazione anziana         x 100
               Popolazione totale

Un'altra rilevazione importante è quella che può essere fatta prendendo in esame di una località i posti di lavoro in relazione al numero dei residenti occupati; a seconda se il rapporto è maggiore o minore di uno avremo un’indicazione circa la pendolarità in entrata o in uscita che interessa quella località.  

 

CLASSIFICAZIONE DELLE ATTIVITA’ ECONOMICHE

Definiamo come attività economica quella volta a soddisfare i bisogni umani mediante l’utilizzo di risorse (naturali o prodotte dall’uomo) a cui viene applicato il lavoro umano.

Distinguiamo:

  • Attività produttive: agricoltura, industria;
  • Attività improduttive: servizi

 

Quindi

  • Attività basiche: producono beni da esportazioni;
  • Attività non basiche o domestiche: producono beni per il soddisfacimento di richieste interne;

Turismo può essere considerata una attività sia basica che domestica, a seconda che il turista sia o meno straniero (proveniente dall’estero) o di provenienza nazionale. Le attività non basiche sono funzione di quelle basiche [D = f (b)], quanto più crescono le esportazioni, tanto più cresce di conseguenza l’attività domestica:

Lo sviluppo esogeno che alla fine innesca un processo di sviluppo endogeno.

Ricordiamo la classificazione delle attività produttive dell’economista britannico Colin Clark che formulò una legge per lo sviluppo economico secondo la quale il processo di sviluppo si manifesterebbe attraverso il successivo prevalere dell’agricoltura, delle industrie e dei servizi, che lui definì;

  • Attività primarie: sono quelle in cui il lavoro umano interviene direttamente sulla natura: caccia, pesca, allevamento, agricoltura; le attività di prelievo; in questo caso se il prelievo è troppo elevato si rischia di compromettere l’ambiente: la distribuzione geografica delle attività primarie avviene per aree;

 

  • Attività secondarie: industrie estrattive  e manifatturiere;
  • Attività terziarie: servizi, la produzione e l’erogazione di gas, acqua, energia elettrica, credito, assicurazioni, istruzione, sanità, attività culturali, ricreative, servizi alle imprese, pubblicità, marketing.

 

Questa classificazione è stata utilizzata dal censimento demografico per la suddivisione della popolazione.

Il prof. Adamo fa l’esempio del diagramma triangolare, utile per rappresentare tre variabili statistiche simili (ad esempio in una popolazione la % di giovani, adulti e anziani, libro di testo pag. 69).

Paese

Giovani

Adulti

Anziani

Italia 1991

33,4%

57%

9,6%

 

 

Il punto di intersezione delle tre rette esprime in modo sintetico la composizione per età della popolazione Italiana nel 1991, suddivisa tra giovani, adulti e anziani. Rappresento i dati del diagramma triangolare con cartine tematiche: A seconda di ciò che rappresentiamo devo usare lo stesso colore. La gradualità dei colori serve per rappresentare tonalità diverse. Per diverse tipologie di dati userò colori diversi o simboli diversi.

 

DISUGUAGLIANZE ECONOMICHE

Richiama i concetti di

P.I.L. prodotto interno lordo: rappresenta la produzione totale di beni e servizi di un Paese in un dato anno di riferimento, è un indicatore della ricchezza di un Paese.

P.N.L. prodotto nazionale lordo: rappresenta una grandezza data dal P.I.L. sommato al reddito percepito da connazionali all’estero.

Fa l’esempio della Svizzera che ha un P.I.L. maggiore di quaranta volte quello de Mali.

Gli economisti si sono sempre posti il problema di capire per quali motivi alcune nazioni sono ricche e altre povere.

 

Richiama la teoria di Samuelson, cap 15. che identifica lo sviluppo dipendente da quattro variabili

  • popolazione;
  • risorse
  • formazione – capitale
  • innovazione tecnologica

La crescita della popolazione è conseguenza del sottosviluppo, cambiamento nella natalità di un paese è un processo di transizione lenta.

L’impiego di risorse deve riguardare sia l’investimento demografico che l’investimento economico, inteso come investimento per non peggiorare la situazione precedente. L’equilibrio popolazione / risorse è stato spezzato quando è iniziato il processo di sviluppo demografico dei Paesi della Periferia (meno mortalità, più popolazione), scambio ineguale.

La scarsa innovazione tecnologica e la cultura, il modo di pensare frenano lo sviluppo.

Gli economisti si sono chiesti se verrà superato il divario esistente tra Paesi del Centro e Paesi della Periferia del mondo.

Gli economisti però tralasciano un aspetto fondamentale per la spiegazione di queste tematiche: non considerano infatti il fattore “spazio”. L’ambiente sociale è una barriera alla diffusione del capitalismo.

Teorici dello sviluppo equilibrato (concezione neoclassica): le disparità tra Nord e Sud del mondo verranno superate con il tempo; nel lungo periodo il sistema troverà un suo equilibrio.

Teorici dello sviluppo squilibrato: il capitalismo ha generato il dualismo Centro / Periferia e continuerà a generare squilibri:

  • Marxisti: dal momento che il mercato genera continue disuguaglianze va abolito e sostituito da un’economia pianificata, da un mercato statalizzato: il comunismo.

 

  • Teoria riformista o progressista (Keynes): mantenimento del sistema capitalistico, che porta distorsioni ma anche sviluppo, ma con dei correttivi portati dall’intervento dello stato (es. incentivi alle imprese o aumento spesa pubblica) quando si verificano degli squilibri.

Il problema dello sviluppo è stato posto con la crisi economica degli anni 30 (grande crisi del 29) e si è giunti alla determinazione che sarà il mercato a riportare il sistema in equilibrio; il mercato stabilisce cosa produrre, come e dove produrre. Questa teoria però presenta un limite dal momento che il libero gioco del mercato non fa che perpetuare lo squilibrio; infatti il riequilibrio del sistema dovrebbe passare da quelle stesse  imprese che perseguendo profitti hanno generato disparità. (Marxisti)

 

TIPI DI ECONOMIE

 

Economie di scala: maggiore è la produttività di una impresa, maggiori sarà il risparmio sui costi (fissi e variabili) e conseguentemente maggiore sarà il profitto.

Economie ambientali: sono legate alla concentrazione delle imprese in un certo luogo, il maggior profitto non dipende più da quanto produco, ma da dove mi localizzo; distinguiamo così:

  • Economie ambientali Interne: il profitto dell’impresa dipende dall’organizzazione interna dell’impresa stessa: miglior organizzazione, maggiori risparmi, maggiori profitti.

 

  • Economie ambientali Esterne: l’impresa trae vantaggio dall’ambiente esterno: dai servizi, trasporti, dalla mentalità delle persone (secondo Marshall la cosiddetta “atmosfera industriale”);

Le teorie economiche ambientali si riconducono alle teorie di Alfred Weber (1910), la cosiddetta “teoria della localizzazione industriale”, secondo cui le imprese devono posizionarsi dove i costi di produzione sono minimi (e dove di conseguenza i profitti sono massimi); agendo in questo modo si realizzano delle economie, dei risparmi, che Weber definisce “risparmio di agglomerazione” (es. distretto tessile). Il risparmio di agglomerazione ha lo stesso andamento delle economie di scala (curva positiva):

 

                              

Walter Isard, divide le economie di agglomerazione in due tipi:

  • Di localizzazione: il risparmio si concretizza se mi localizzo vicino ad altre imprese ed è dovuto ad economie esterne all’impresa ma interne al sistema delle imprese.

 

  • Di urbanizzazione: il risparmio si concretizza grazie alle economie esterne all’intero sistema, tutto quello che condiziona lo sviluppo del sistema, le cosiddette “condizioni generali per produrre” (per es. servizi).

Le politiche dello sviluppo economico sono importanti perché aiutano a capire quali politiche economiche seguire per superare le disuguaglianze.

Ricordiamo anche il modello liberista di Egelstrand: l’economia nel lungo periodo tende naturalmente all’equilibrio. Nel momento in cui i fattori produttivi scarseggiano si assiste ad una riallocazione della produzione che alla fine sembrerebbe tendere ad una convergenza. Il modello però non tiene conto delle barriere ambientali che frenano lo sviluppo (in realtà si innesca un processo cosiddetto di “filtering down” è viene ricollocato solo quello che è più povero). Possiamo prendere ad esempio il sud dell’Italia, dove l’ambiente sociale non ha recepito i cambiamenti che erano in atto. Ma non bisogna pensare che non vi sarà mai una convergenza tra Nord e Sud del mondo, questa sarà possibile tra ambienti omogenei. Ricordiamo come la rivoluzione industriale inglese si sia diffusa molto rapidamente in Paesi dove l’ambiente era particolarmente recettivo, oppure il nord est dell’Italia che si adegua in fretta, così come il centro, ai cambiamenti in atto nel nord ovest del Paese.

Ricordiamo infine il modello neoclassico di Gershenkron, Rostow, teorici dello sviluppo equilibrato (il laisez fair), che teorizzano uno sviluppo in più stadi:

  • condizioni preliminari per lo sviluppo, prima di giungere al take off serve un ambiente sociale in cui vi sia una accumulazione di capitale (già teorizzata da Marx);
  • Stadio  del decollo;
  • Fase di sviluppo, cresce l’economia si diffonde il benessere;
  • Fase della maturità, la società dei consumi di massa (modello ultimo gli Stati Uniti).

 

Secondo questa teoria tutti i paesi passano attraverso gli stessi stadi di sviluppo economico, perciò le nazioni sottosviluppate sarebbero ad uno stadio primitivo lungo il percorso lineare di sviluppo storico, mentre le nazioni sviluppate si troverebbero già ad uno stadio successivo.

Fattori culturali, strutturali, istituzionali, le barriere tra i Paesi costituiscono i limiti di questa teoria. I Paesi della Periferia del dopoguerra non riescono a seguire questo modello; sul finire degli anni 60, negli anni 70 e soprattutto negli anni 80 (crisi del debito) furono evidenti i fallimenti maturati nel tentativo di elevare la qualità di vita delle popolazioni degli stati poveri.

 

http://www.testi-utili.com/primo_anno/geografia/07.11.06.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Fondamenti di geografia – lezione del 12.10.06

Si riconduce al punto 1 del programma: I paradigmi e i linguaggi della geografia; unità e disparità del sistema.

Testi:
Capitoli 18 – 19 – 20 del volume II HEGGET; Testo Samir Amin

 

Riprende il concetto di biomassa, indice di Patterson relativo alla classificazione degli ambienti basata sulla produzione di bioni.

Accenna alla formazione della crosta terrestre che dividiamo in crosta continentale (silicio alluminio) e crosta oceanica (silicio magnesio).

Accenna al vulcanismo e all’anello circumpacifico, zona della crosta terrestre ricca di faglie, caratterizzata da una grande sismicità. Parla della forma dei vulcani (conica) che divide in base al tipo di lava:

 

  • lava densa         è vulcani a cumulo;
  • lava fluida          è vulcani a scudo.

Parla dell’atmosfera che dividiamo in :

  • troposfera, composta da ossigeno, anidride carbonica, vapore acqueo, che svolge una funzione di filtro dei raggi solari;
  • tropopausa;
  • stratosfera (parte più alta dell’atmosfera).

 

Tratta del movimento dell’aria sul nostro pianeta che vede masse spostarsi dall’equatore verso i poli; parla brevemente dei principali venti:

  • i venti alisei che spirano verso l’equatore;
  • i venti occidentali;
  • i venti polari.

 

Richiama i concetti di:

  • latitudine: distanza di un punto dall’equatore, misurata sull’arco di meridiano;
  • longitudine: arco di parallelo misurato tra due meridiani; il meridiano fondamentale è quello che passa da Grenwich, poco distante da Londra.

 

Parla del clima sulla terra, classificato secondo la scala Door. Parla delle nubi, evidenziando che a seconda delle stagioni e della latitudine possiamo ritrovare tipi di nubi diverse:

- cumuli         è formazioni nuvolose di forma allungata;
- strati            è forma piatta, non portano pioggia;
- nembi          è di colore scuro e di forma allargata, portano pioggia;
- cirri              è riccioli di alta quota.
Tratta brevemente del moto della terra:

  • rotazione;
  • rivoluzione
  • moto della terra con l’intero sistema solare.

 

Accenna alla fluttuazione delle temperature che dipendono dall’energia solare (diagrammi idrotermici per lo studio della temperatura). Parla della fluttuazione del clima, ricordando le due correnti di pensiero principali:

  • attualmente il clima va verso il caldo, perché segue le normali fluttuazioni del clima terrestre, che in passato hanno visto fasi di raffreddamento e fasi di riscaldamento;

 

  • si riconduce il tutto all’effetto “serra” causato da smog e inquinamento; questa spiegazione ha scatenato un acceso dibattito dagli esiti incerti; l’unico fatto sicuro è che lo smog e l’inquinamento peggiorano notevolmente la qualità dell’aria necessaria per nostra vita.

Riprendendo le fluttuazioni del clima ricorda che ci sono state quattro grandi glaciazioni seguite da periodi interglaciali e definisce:

- glaciazione                       è GUNT

- periodo interglaciale      è MINDER

- posto glaciazione           è POST MINDER

La natura dei terreni (PEDOGENESI) dipende dal clima. Le rocce si formano per disgregazione fisica e per decomposizione chimica; distinguiamo in Europa:

  • il terretto, terreno di colore rosso in quanto ricco di ossido di ferro;
  • terreni di colore ocra, giallini, tipici della media pianura;
  • terreni di colore marrone tipici dei climi temperati, formati dal ritiro dei ghiacciai.

 

Il ritiro della calotta polare ha causato nel nord del pianeta (Canada, Svezia, Finlandia) la presenza di grandi laghi. Dopo il ritiro dei ghiacci le terre emerse danno origine alle grandi migrazioni dei popoli, dall’Asia verso l’America.

Fa l’esempio della civiltà micenea che perde molta della sua importanza a causa di cambiamenti climatici.

Brevi ma intensi cambiamenti climatici sono caratteristici del nostro clima e possono generare fenomeni meteorologici gravi (uragani, tornados).

Spiega brevemente come si sviluppa il fenomeno de “EL NINO”, che produce gravi effetti sul clima del pianeta. Si genera nell’Oceano Pacifico, quando un minor afflusso di venti Alisei determina una minor circolazione dell’acqua dell’oceano che in questo modo si riscalda. Questo strato di acqua calda di fatto impedisce alle sottostanti correnti fredde di seguire il loro percorso naturale; questo determina gravi conseguenze sui pesci (meno nutrimento in superficie) e notevoli effetti climatici, responsabili per esempio di carestie in Indonesia.

Il clima di una regione è influenzato dalla sua distanza dal mare, dalla sua latitudine e dalla sua longitudine; grande importanza rivestono i venti occidentali.

RIMANDA L’APPROFONDIMENTO DI QUESTA PARTE AL CAPITOLO  18 DEL LIBRO DI TESTO (HEGGET, VOL II).

 

LE REGIONI.

Definiamo il concetto di REGIONE come unità territoriali, spazi contigui di dimensione diverse (a seconda delle variabili che considero), sia di origine naturale che di origine umana.

Distinguiamo due modelli di regione: le regioni formali e le regioni funzionali.

La caratteristica che permette di legare gli spazi che definiamo “REGIONI FORMALI” è il ripetersi di forme simili, sia naturali che di origine umana (es. nelle Alpi gli schemi delle valli si ripetono, parliamo di Regione Alpina). Dal punto di vista umano si ripete per esempio l’utilizzo del suolo. Sono regioni anche eterogenee tra di loro, ma con differenze tollerabili e comunque le diversità interne sono sempre meno significative di quelle con l’esterno. Il criterio per delimitarle è la prevalenza di una caratteristica rispetto ad un’altra.

Definiamo “REGIONI FUNZIONALI” quelle tra cui possiamo determinare un “legame”, “una relazione” (es. nell’utilizzo del suolo o in campo economico); si tratta di ambienti complementari. Le relazioni che possiamo stabilire tra due regioni funzionali sono individuate da flussi:

  • di persone: migrazioni umane, pendolarità per studio o per lavoro;
  • di merci: scambi commerciali;
  • di capitali: investimenti;
  • di informazioni: conoscenza.

Le regioni funzionali possono essere sia naturali (bacino idrografico) che artificiali (regioni urbane, città che si servono degli stessi servizi).

Fa l’esempio di una regione del nord/est del Brasile, dove ci sono:

  • zona della costa atlantica della coltivazione della canna da zucchero (zona della mata);
  • una zona più all’interno della “Massertao” con clima secco, destinata all’allevamento del bestiame allo stato brado;
  • na piccola fascia intermedia agreste.

Si tratta di regioni formali diverse tra loro ma assolutamente funzionali dal punto di vista economico.

 

Regioni climatiche:

  • regione umida tropicale o equatoriale; si caratterizza da una bassa escursione termica annua. Caldo tutto l’anno (+20°), piove molto. Il clima è determinato dalle piogge. Non esiste una stagione asciutta; ci sono periodi molto o poco piovosi.

 

  • Savana (Africa) o Cerrado (Brasile), zona forestale umida, ma in maniera minore rispetto alla regione umida tropicale. La vegetazione rada riduce la biodiversità; la biomassa dominante per es. la pianta di caucciù;
  • Regione a clima temperato: marittimo caldo, continentale (latifoglie), freddo (conifere); la latitudine e dalla presenza del mare influenzano le stagionalità (+ / - caldo o + / - freddo);

 

  • Clima polare (tundra, muschi e licheni).

 

SOCIOSISTEMI

Parte dalla fine del ‘400; accenna alla diffusione dell’uomo (homo sapiens) sulla terra rifacendosi a 2 principali teorie:

  • diversi nuclei di diffusione;
  • un unico nucleo di diffusione che separandosi ha formato diverse civiltà separate che non sono state in contatto l’una con l’altra se non a partire dalla fine del 1400.

 

I mondi allora conosciuti erano:

  • il mondo europeo;
  • il mondo islamico;
  • il mondo indiano

 

che formavano la cosiddetta EURASIA; esistevano già diverse città dell’oriente e dell’occidente che commerciavano tra di loro (ricordiamo Istanbul, conosciuta anche come Costantinopoli o Bisanzio); in Europa arrivavano prodotti come le spezie, seta e damaschi, gioielli, avorio, schiavi.

L’America precolombiana, l’Australia e la Nuova Zelanda non erano ancora conosciute. Alla fine del 400 la nascita dell’impero Ottomano obbliga gli stati Europei a cercare nuove vie per commerciare con l’oriente. Il centro del mondo allora era rappresentato dalle grande città commerciali europee (Genova, Venezia); nasce così quel modello che possiamo osservare ancora oggi che vede il mondo come un geosistema, diviso in regioni (sia formali che funzionali): la regione del  Centro, formata dai Paesi più ricchi, più sviluppati e la regione della Periferia. I Paesi del Centro (o del nord del mondo) sono molto simili tra loro (dal punto di vista economico, culturale, ecc.), e hanno avuto un modello di sviluppo endogeno (interno) basato sul mercato interno e investimenti interni (lo potremmo definire autopropulsivo), mentre i Paesi della Periferia, che pagano uno scarto nei confronti dei Paesi del Centro e  sono molto eterogenei tra loro, hanno avuto un modello di sviluppo esogeno, dipendente dall’esterno, che deve soddisfare non i bisogni dei suoi abitanti, ma quelli degli abitanti dei Paesi del Centro.
Possiamo dividere la regione centrale in una serie di sub regioni:

  • sub regione americana (USA, oggi potenza egemone, Canada)
  • sub regione dell’Europa Occidentale;
  • sub regione asiatica (Giappone e Sud Corea);
  • sub regione australiana (Australia e Nuova Zelanda)

 

queste regioni hanno la caratteristica di avere crescita zero, la popolazione non aumenta di numero.

I Paesi della regione periferica (che hanno in comune un grosso scarto rispetto ai Paesi del Centro), presentano una economia di tipo agricolo / industriale che non riesce ad eguagliare la crescita demografica. Per crescere come regione occorre infatti abbinare alla crescita demografica anche una adeguata crescita economica. Fanno parte di questa regione:

  • sud est asiatico (che sta crescendo molto);
  • l’America latina (presenta aspetti affini all’Europa, residuo della colonizzazione);
  • l’Africa, che presenta la situazione più drammatica; non deve trarre in inganno il P.I.L. decisamente elevato di alcuni Paesi islamici che vivono drammatici squilibri sociali.

 

Ricordiamo anche la suddivisione del mondo di Alfred Sauvy:

I mondo, USA il capitalismo occidentale;
II mondo, l’URSS, l’economia statalizzata;
III mondo, la Cina, Paese non allineato.

Questa suddivisione del mondo con la caduta dell’impero sovietico ha perso gran parte del suo significato.

Dal punto di vista funzionale i Paesi del Centro si caratterizzano per il fatto di tenere maggiori relazioni commerciali con gli altri Paesi del Centro piuttosto che con quelli della Periferia; i Paesi del Centro sono tra loro interdipendenti, trattano sostanzialmente tutti sullo stesso piano. Possiamo notare maggiori flussi commerciali dalla periferia verso il centro e notare come gli scambi tra regioni della periferia siamo ancora scarsi, anche se in aumento. Il rapporto commerciale tra Centro e Periferia si definisce “ineguale”, dal momento che si assiste ad un trasferimento di “valore” prodotto con il lavoro dalla periferia verso il centro (es. il differenziale salariale tra lavoratori del centro e quelli della periferia.

 

Abbiamo parlato della terra come Geosistema, formato da un sociosistema (socio – economico, politico – istituzionale, ideologico – culturale) e da un ecosistema (fisico biologico).

 

 

SOCIOSISTEMA ECONOMICO

La società, il geosistema, intesa come formazione sociale di combinazioni TERRITORIALI di più modi di produzione, di cui uno dominante in una certa fase storica (concezione marxiana!)

E’ importante notare come il sociosistema – formazione sociale – non sia indipendente dal geosistema – formazione territoriale  a  cui fanno riferimento i diversi modi di produzione – dal momento che identifichiamo una società, tra l’altro, con il suo territorio di riferimento.

Il concetto di modo di produzione è un concetto astratto, che esprime i rapporti sociali che si formano dai vari processi produttivi, da non confondere con le tecniche di produzione che fanno parte del sottosistema ideologico culturale e non del sottosistema socioeconomico.

Esistono società prive di rapporti sociali che si fondano sulla produzione; sono società primitive, collettive, non c’è divisione sociale del lavoro. Tutti fanno le stesse cose e ricevono dal lavoro le stesse cose, producono quello che serve per vivere. Questo è il MODO DI PRODUZIONE COMUNITARIO PRIMITIVO,  che è stato molto diffuso; non prevede la presenza di un “mercato”, si produce quello che serve per vivere, ed è una tipica espressione delle società che sono rimaste a livello di “culture”, a differenza delle società che hanno raggiunto il livello di “civiltà”, in cui è la città alla base dell’organizzazione sociale e territoriale. Le società che hanno sviluppato un grado di civiltà sono formazioni classiste, esiste una divisione sociale del lavoro. Questa a causa della presenza di una “eccedenza” nella produzione – UN SURPLUS ECONOMICO – La classe dei produttori cede il surplus prodotto alla classe dominante. La forma che assume il surplus caratterizza i diversi modi di produzione precapitalistici.

Modo di produzione MERCANTILE SEMPLICE,  non è mai stato dominante, e si è combinato con tutti i vari modi di produzione nelle varie società. Figura centrale è il lavoratore in proprio (artigiano, contadino) che produce beni in più rispetto al suo fabbisogno e li cede,  ricavandone denaro o altri beni (baratto) che utilizza per  appropriarsi di altri beni (merce è denaro o altro è nuova merce). Il modo di produzione mercantile semplice è presente nelle società schiavistiche, feudali, capitalistiche. Si basa sul rapporto tra il lavoratore in proprio e il mercato.

Modo di produzione TRIBUTARIO è stato dominante in molte società; il surplus viene ceduto dai contadini (la comunità del villaggio), che sono proprietari dei terreni e dei mezzi di produzione, allo Stato (le classi dominanti, i politici, i religiosi, i militari). In questo caso il dualismo è rappresentato dal rapporto tra contadini e classe stato. Occorre produrre di più del semplice fabbisogno per la sopravvivenza, e versare questo surplus sotto forma di tributo allo stato che deve garantire ordine, sicurezza, opere pubbliche; quando questo non avviene la classe contadina si ribella. Chiaramente maggiore è questo surplus prodotto è maggiore è il benessere della Città; sono esistite però anche città molto ricche in aree decisamente scarse di risorse (Bagdad, Samarcanda), questo per il fatto di aver sviluppato un fiorente commercio con città lontane, mettendo così in contatto mondi tra di loro sconosciuti e riuscendo ad ottenere così una sorta di monopolio sulle merci scambiate.

Modo di produzione TRIBUTARIO FEUDALE, è simile al modo di produzione tributario semplice, ma la caratteristica dominante  è che il tributo viene ceduto dalla classe dei contadini alla classe dominante sotto forma di rendita. La comunità del villaggio non è più proprietaria dei mezzi di produzione, avviene una sorta di decadenza del modo di produzione tributario. I contadini sono servi della gleba, che lavorano direttamente per conto del signore, oppure hanno la terra in concessione (enfiteusi). La rendita è fissa, a differenza della rendita del sistema capitalistico moderno in cui cresce con lo sviluppo delle forze produttive.

Modo di produzione SCHIAVISTICO, è stato dominante in diverse epoche storiche e in diverse società; il produttore non solo non è proprietario della terra, ma non è più proprietario neppure di se stesso e della sua forza lavoro. Questo modo di produzione è sopravvissuto nel tempo fino alla metà del XX secolo; era presente nel mondo classico (egiziani, assiri babilonesi, greci, romani) per il sostentamento della classe dominante; in epoca moderna (1550 circa) il modo di produzione schiavistico inizia con la tratta degli schiavi dall’Africa nera per il popolamento e il lavoro nelle terre del continente americano (sud e nord America), fenomeno legato al “mercantilismo”; gli schiavi devono produrre non più per il sostentamento del padrone ma per l’esportazione nei mercati mondiali; nel 1850 si giunse all’abolizione formale della tratta degli schiavi,  ma non della schiavitù che continuerà fino alla fine del XIX secolo ed oltre. E’ da notare come il modo di produzione schiavistico bene si combinerà con il capitalismo.

Modo di produzione CAPITALISTICO. Il surplus assume la forma di plus valore, non è più una rendita, corrisponde ad una quota di lavoro non necessario per il sostentamento del lavoratore stesso. Il plus valore si realizza con la vendita del prodotto che genera profitto. Quando parliamo di sviluppo, noi facciamo riferimento allo sviluppo storico del capitalismo, e dobbiamo tenere in considerazione di tre concetti che caratterizzano questo modo di produzione:

  • crescita economica: aumento quantitativo della produzione vendibile che nella società di tipo capitalistico diventa aumento del profitto;
  • sviluppo: sviluppo del geosistema; le strutture di tutti i sottosistemi mutano, cambia l’ordine sociale, cambia l’economia, le istituzioni politiche, la cultura, le conoscenze, i modi di pensare;
  • progresso: concetto neoclassico di progresso (superato): ricchezza – crescita – sviluppo quindi progresso; ma sappiamo che può esserci sviluppo anche senza crescita; progresso in quanto mutamento di tutti i sottosistemi del geosistema mondiale.

 

Fonte: http://www.testi-utili.com/primo_anno/geografia/12.10.06.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Fondamenti di geografia – lezione del 16.11.06

 

Riprende i concetti della lezione precedente:

analisi della domanda del mercato, considerando l’età, il sesso, le fasce di reddito e il livello di istruzione dei consumatori;

indice di pendolarità, che esprime il rapporto tra residenti e numero di posti di lavoro (pendolarità in entrata o in uscita);

diagramma triangolare per esprimere relazioni tra grandezze statistiche affini;

Ricorda i concetti di economia di scala, di economie ambientali esterne (Marshall, Weber, Isard), economia di urbanizzazione (esterne non solo all’impresa ma anche all’intero sistema di imprese)

Teoria di sviluppo equilibrato, concezione neoclassica, nel lungo periodo il mercato raggiunge un suo equilibrio;

Teoria di sviluppo squilibrato, lo sviluppo genera disuguaglianza (tesi marxiste e riformiste).

Il territorio è collegato al mercato che genera un’area di sviluppo e un’area arretrata (di sottosviluppo); se lo sviluppo è continuo si passa dallo squilibrio iniziale ad una convergenza dell’economia; gli imprenditori quando non troveranno più conveniente investire in un territorio si sposteranno altrove; nel lungo periodo si giungerà ad una situazione di equilibrio; questa teoria presenta però un limite, non si spiega infatti per quale motivo in alcune aree non si è avuto sviluppo; non è un problema di distanza itineraria, è la distanza sociale che impedisce il diffondersi dello sviluppo, che per quanto produca distorsioni apporta sicuri miglioramenti. La teoria neoclassica generale non è  valida perché non considera l’ambiente sociale. Altrettanto non valide sono le teorie che affermano che la convergenza nord / sud non si realizzerà mai: questo accade in caso di ambienti omogenei sul piano sociale, ricettivi al cambiamento (es. triangolo industriale  Genova, Torino Milano).

Teorici dello sviluppo squilibrato:

Marxisti: l’impresa, il mercato generano continui squilibri e quindi vanno aboliti con l’introduzione della statalizzazione del mercato, della pianificazione dell’economia: comunismo.

Riformisti: il capitalismo genera squilibri ma porta anche sviluppo, è un meccanismo di efficienza dell’economia; occorre solo prevedere dei correttivi al sistema capitalistico in caso di squilibri che devono essere apportati dallo stato (incentivi alle imprese, maggior spesa pubblica); la collettività deve avere degli strumenti per controllare ed orientare il mercato (norme anitrust, imprese che assumono la forma di società cooperative).

Secondo i marxisti il capitalismo fondandosi su uno squilibrio può solo generare squilibri (accumulazione originaria di capitali per poter investire).

 

Secondo Gunnar Myrdal lo sviluppo è un processo circolare cumulativo, ascendente nell’area centrale, discendente nelle aree periferiche generato dalla localizzazione in un certo luogo di un primo massiccio investimento che satura velocemente tutta la sottoccupazione latente presente nell’area, generando una domanda di beni e servizi, trasporti, un aumento della popolazione e un ulteriore domanda di investimenti (processo circolare cumulativo). Il processo circolare cumulativo di questo nuovo centro genera però effetti negativi nei confronti di un’area esterna che definiamo periferia (effetto ascendente per il centro discendente per la periferia); sono effetti di riflusso; il centro preleva risorse dalla periferia che subisce un processo circolare cumulativo ma in senso negativo; questo genera:

  • emigrazione dalla periferia verso il centro (rastrellamento di risorse umane) è secondo Richardson l’emigrazione è positiva; chi resta ha più risorse a disposizione; ma chi resta sono anziani e bambini, la popolazione non più attiva, lo sviluppo si arresta, la città muore.

 

  • rastrellamento di risorse naturali dalla periferia verso il centro;
  • rastrellamento del risparmio dalla periferia verso il centro che può offrire condizioni economiche migliori.

 

Uno sviluppo esagerato però può causare una diminuzione di competitività dell’area; lo sviluppo genera anche aumento di costi (costo del lavoro ……………) infatti accanto alle economie di agglomerazione  esistono delle diseconomie di agglomerazione che con il procedere dello sviluppo determinano effetti negativi e aumenti di costi per le imprese (carenza di materie prime, sovra specializzazione, costi relativi alla congestione della rete di trasporti); questo potrebbe portare gli impulsi dello sviluppo altrove. Esisterà quindi una dimensione ottimale dell’agglomerazione al di là della quale non sarà più conveniente per le imprese localizzarsi in quell’area.

Importante il contributo di Francois Perroux (anni 50); la sua teoria dei poli di sviluppo è stata molto utilizzata nel tentativo di realizzare politiche di sviluppo regionale. Concettualmente è simile alla teoria di Myrdal, ma Perroux definisce con maggior precisione sul piano tecnico gli interventi che devono essere realizzati. Parte dal presupposto che si realizza sviluppo nel momento in cui si determinano squilibri: occorre quindi creare un centro di sviluppo che lui definisce “polo di sviluppo”. Nelle regioni periferiche sottosviluppate del mondo capitalistico le imprese investono, sviluppando a loro volta tanti modelli centro / periferia che generano squilibri ma anche sviluppo; occorre quindi avere soddisfatte alcune condizioni:

  • una impresa motrice che investa in un determinato territorio, cioè una grande impresa con potere di mercato che attui un grande investimento in un settore trainante del nuovo sistema industriale, con una produzione segmentabile a favore di altre imprese; questo genera economie esterne di localizzazione;
  • occorre che si crei una relazione tra gli elementi di questo nuovo sistema industriale; si formerà così una struttura caratterizzata da relazioni “di dipendenza” (asimmetrica) tra l’impresa motrice che è monopolistica e le altre piccole imprese che al contrario operano su mercati concorrenziali. In questo caso la funzione dell’impresa motrice è quella di fare crescere le piccole imprese.
  • La presenza di una città che contribuisce a formare economie esterne di urbanizzazione (esterne alla singola impresa ma esterne anche al sistema delle imprese) le cosiddette condizioni generali per produrre.

 

Applicazioni della teoria di Perroux si sono avute in Francia per cercare di superare la polarizzazione su Parigi delle attività industriali francesi. In Italia a Torino (nord) Napoli e Taranto (sud): nel nostro Paese la messa in pratica della teoria di Perroux è stata accompagnata dalla riforma agraria, da grandi opere di bonifica, dalla realizzazione di grandi infrastrutture e di grandi impianti chimici. Per esserci accumulazione di ricchezza che genera di sviluppo è necessario che i profitti generati dal Polo di Sviluppo siano reinvestiti in loco.

Queste teorie non spiegano tuttavia il concetto di dominazione, che noi invece spieghiamo con la teoria dello “scambio ineguale” (teoria di Arrighi Emmanuel, e Samir Amin) e serve per capire in cosa consiste la dominazione del Centro verso la Periferia, che possiamo considerare anche in termini di imprese motrici (Centro) e di fornitori (Periferia); attraverso gli scambi, i rapporti commerciali parte del surplus, del valore prodotto nella Periferia viene trasferito verso il Centro, essenzialmente per due motivi:

  • a parità di produttività del lavoro, esiste una differenza salariale tra Centro e Periferia; per produrre lo stesso bene un lavoratore del Centro guadagna molto di più rispetto a un lavoratore della Periferia;

 

  • i paesi del Centro sono caratterizzati da una più ampia composizione organica del capitale (rapporto tra capitale fisso e capitale variabile è C/V) che si tramuta in un vantaggio nel momento in cui avviene uno scambio commerciale con i paesi della Periferia; di fatto il confronto é tra Paesi con livelli di industrializzazione molto diversi. Nei Paesi del Centro più industrializzato le imprese tendono ad innovare molto per raggiungere un vantaggio competitivo che consenta loro di essere per un certo periodo di tempo monopoliste ed esercitare così un grosso potere di mercato e garantirsi grossi profitti. Le imprese della periferia vendono invece prodotti che si devono scontrare con concorrenza: non possono fissare i prezzi, che anzi per consentire loro di vendere dovranno essere bassi. Lo scambio è ineguale nel momento in cui i Paesi della Periferia comprano da imprese monopoliste del Centro del mondo, che fanno i prezzi, ma sono costrette a vendere ai Paesi del Centro a prezzi molto concorrenziali.          

 

Passiamo ora ad esaminare il rapporto Centro / Periferia, la differenziazione della mappa del mondo in termini microeconomici. Non considero più i grandi sistemi economici (gli Stati) ma i singoli operatori economici, rappresentati dai consumatori e dalle imprese. La specializzazione geografica del mondo, il fatto che le imprese del Centro siano specializzate in attività industriali e quelle Periferiche sono meno industrializzate e abbiano caratteristiche diverse, non è solo un fatto dipendente dalla natura, ma l’espressione delle scelte microeconomiche delle imprese. Le imprese di capitali scelgono certe aree del mondo per collocare i loro investimenti e la loro produzione.

Un’impresa di capitali produce per vendere in un mercato e per generare profitti; per produrre di conseguenza dobbiamo avere una certa domanda di beni o servizi.

Per spiegare su quali elementi le imprese basano la loro decisione di localizzarsi in un luogo piuttosto che in un altro, dobbiamo rifarci alla teoria neoclassica della concorrenza perfetta, prendendo alcuni elementi per dati:

  • tutti i consumatori sono uguali e tendono in maniera razionale al soddisfacimento dei loro bisogni;
  • tutte le imprese ottengono (equiparano) i loro profitti;
  • consideriamo il territorio come puro spazio, non considerando  quindi le variabili ambientali (es. la distanza).

 

LE TEORIE NEOCLASSICHE DI LOCALIZZAZIONE DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE

L’economista tedesco Von Thunen elaborò intorno alla metà del XIX secolo una teoria delle localizzazioni delle produzioni agricole. La spiegazione della distribuzione di tali attività sul territorio fu ricondotta da Von Thunen alla distanza dal mercato di vendita dei prodotti agricoli, di solito un centro urbano, ed ai relativi costi di trasporto. Secondo l’economista tedesco le diverse produzioni agricole si distribuirebbero in fasce circolari con al centro il mercato urbano. Nelle fasce ad esso più vicine si localizzerebbero le produzioni in gradi di “pagare” una rendita più elevata grazie alla riduzione dei costi di trasporto, resa possibile dalla prossimità al mercato, e nelle fasce via via più esterne quelle in grado di pagare di rendite via via minori (cioè quelle per le quali il risparmio sui costi di trasporto determinato dalla riduzione della distanza dal mercato è progressivamente meno significativo). In questo modello la variabile essenziale nel determinare la localizzazione  produttiva (agricola in questo caso) è dunque costituita dai costi di trasporto ed è la riduzione di tali costi a generare la rendita.

 

Ha senso produrre solo in presenza di un mercato e si produce il più vicino possibile al mercato. Von Thunen mette quindi in evidenza il ruolo del mercato.

Nel suo modello Von Thunen inserì un corso d’acqua per dimostrare come all’aumentare della distanza le rendite potevano comunque crescere grazie alla riduzione dei costi di trasporto dovuti alla presenza del fiume.

 

Walter Christaller, elabora la teoria dei luoghi centrali (ripresa ed approfondita da August Loch), luoghi di offerta di beni e servizi per un certo “intorno”; per Christaller la città (intesa come borgo – mercato è Marktort) produce beni e offre servizi in sovrappiù rispetto alle esigenze dei propri abitanti. Questa eccedenza di offerta conferisce ad ogni insediamento un certo grado di centralità rispetto ad un ambito più o meno vasto, creando un effetto di gerarchizzazione del territorio (dalla città più importante a quella un po’ meno importante che aggrega attorno a sé centri ancora meno importanti).
Per Christaller sono essenziali due concetti:

  • il concetto di “soglia” di un bene o di un servizio, che rappresenta la quantità minima di domanda che consente di produrre quel bene; occorre vendere una certa quantità del  bene affinché l’attività commerciale possa produrre profitti accettabili a chi la gestisce;

 

  • il concetto di “portata” di un bene o di un servizio, che rappresenta la distanza massima che un consumatore è disposto a percorrere per approvvigionarsi di quel bene; se i potenziali acquirenti devono percorrere un percorso troppo lungo per ottenere il bene, vi rinunciano. In generale si osserva che a causa dei costi e dei tempi di spostamento la quantità di un bene o di un servizio consumato, decresce con l’aumentare della distanza dal luogo centrale, fino ad annullarsi oltre un certo limite.

Il modello dell’area limite teorica di sviluppo attorno a ciascun centro, dà origine a delle rappresentazioni territoriali a forma di esagono (modello di Christaller), o a una distribuzione degli insediamenti di forma conoide (Loch).

 

Fonte: http://www.testi-utili.com/primo_anno/geografia/16.11.06.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Fondamenti di geografia – lezione del 23.11.06

 

Richiama alcuni argomenti da preparare ai fini dell’esame:

  • libro di Samir Amin;
  • articolo del prof. Adamo sulla globalizzazione;
  • Climi
  • Tipi di foreste

 

Riprende in concetti della localizzazione: il territorio come condizione dell’economia; il rapporto Centro e Periferia come conseguenza di scelte individuali di singoli attori, singoli soggetti economici (es. le imprese di capitale). La struttura territoriale ha un ordine logico, una organizzazione, che riflette l’ordine sociale: l’organizzazione territoriale corrisponde all’organizzazione sociale del territorio, condizionata anche in parte dalla natura.

La teoria delle strutture territoriali è una teoria sociale, il modo di intervenire sulla natura dipende dalle nostre conoscenze e dai nostri rapporti sociali (cultura, ideologia).

Le imprese per ottenere profitti devono produrre, utilizzando fattori di produzione che non si trovano ovunque; diventa importante stabilire dove posizionare gli impianti (il dove produco e il cosa produco); Teoria di Von Thunen, produco in presenza di una domanda e più vicino possibile al mercato, meglio se al centro del mercato; teoria di Christaller, mi posiziono attorno ad un centro di riferimento che è in grado di erogare beni e servizi che genera a sua  volta altri centri e altre periferia, si forma una struttura gerarchizzata; le regioni che si sono sviluppate secondo il modello di Christaller sono regioni capitalisticamente parlando “arretrate”, infatti il modello equilibrato, capitalisticamente parlando, è quello della concentrazione.

Introduce la teoria di Alfred Weber (primi del ‘900) della “localizzazione industriale”; Weber si rifà al principio secondo il quale per massimizzare i profitti le imprese devono minimizzare i costi, in particolare modo i costi di trasporto. Per semplificare il suo modello anche Weber fa l’ipotesi di trovarsi in un mercato perfettamente concorrenziale, introducendo però l’idea dei singoli fattori di produzione, arrivando alla conclusione che questi non sono ubiquitari, non si trovano cioè dovunque:

  • Ubiquitari è si trovano dovunque;
  • Ubicati     è si trovano solo in certe aree.

 

Weber distingue quindi la localizzazione delle imprese sulla base del fatto che:

  • utilizzino fattori di produzione ubiquitari; in questo caso i costi di trasporto saranno nulli nel momento in cui l’impresa si localizzerà dove c’è il mercato;
  • utilizzino fattori ubicati: il posizionamento è indifferente dal momento che i costi di trasporto pesano ovunque in uguale misura: saranno infatti relativi o ai costi di approvvigionamento di materie prime o ai costi relativi al trasporto al mercato dei prodotti finiti;
  • utilizzino sia gli uni che gli altri; i costi si minimizzano se l’impresa si localizzerà dove c’è il mercato.

 

Weber ipotizza la localizzazione delle imprese:

  • verso le risorse quando la lavorazione delle materie prime comporta perdita di massa, agevolando i costi di trasporto;

 

  • verso il mercato quando la lavorazione delle materie prime comporta aumento di massa, gravando sui costi di trasporto;

 

Concetto di ISODAPANA

Curve di livello che uniscono punti di uguale costo totale di trasporto di un bene rispetto a un centro sede di mercato.

 

Passa a trattare del panorama delle regioni agricole del mondo, che sono in stretta relazione con le regioni climatiche che regolano i ritmi del lavoro agricolo; ai climi più o meno caldi, più o meno piovosi corrispondono i ritmi del lavoro agricolo; il ritmo della vita è cadenzato dai climi che condizionano le culture.

Citiamo:

  • le zone equatoriali dove è possibile coltivare tutto l’anno (abbondanza di piogge);

 

  • al di fuori delle zone tropicali l’andamento è quello delle quattro stagioni; il ritmo dell’agricoltura è dettato dall’andamento climatico;
  • climi rigidi, permettono solo pastorizia.

 

Anche la morfologia del terreno condiziona l’agricoltura (terreni più o meno scoscesi), così come la sua composizione sia fisica che chimica.

Consideriamo quindi gli aspetti culturali, le nostre conoscenze tecniche. I generi di vita condizionano il paesaggio agrario; nelle zone rurali troviamo la presenza di pastori, nomadi, agricoltori.

Per analizzare i paesaggi agrari devo analizzare i rapporti natura / cultura, i rapporti sociali; considero la proprietà fondiaria (certificata dai registri catastali), la grande proprietà e i suoi rapporti di produzione (datore di lavoro e lavoratori). I censimenti agrari mostrano le varie forme di conduzione di un terreno:

  • in Italia: coltivatori diretti, aziende con salariati o con coloni (½ è mezzadri o con rapporti a 1/3);
  • in altri paesi: contadini senza terra assoldati al bisogno dal padrone, possessori di terreni per la loro personale sussistenza o per la produzione destinata a piccoli mercati locali; accanto alla grande produzione agricola dei mercati mondiali, abbiamo la presenza di una agricoltura di villaggio, di sussistenza.

 

Dividendo le regioni del mondo da questo punto di vista, abbiamo da una parte l’Europa (Londra come centro del mondo) caratterizzata da un tipo di agricoltura intensiva, effettuata in proprietà che per quanto grandi siano non raggiungono le dimensioni a cui arrivano nella periferia del mondo; il paesaggio dal punto di vista strutturale è caratterizzato da:

  • campi aperti;
  • campi chiusi.

 

L’elemento caratterizzante in questo caso è la “recinzione”, intesa non solo come una barriera fisica, ma indicativa di organizzazioni sociali agricole diverse; la recinzione indica per esempio la presenza o meno di animali, oppure una forma di organizzazione dell’attività (es. sistema dei tre campi, alternativamente 2 coltivati e uno lasciato a riposo).

Possiamo quindi affermare che il paesaggio dipende dalle tecniche di coltura e da alcune variabili ambientali:

  • clima;
  • natura dei terreni (pendenza) e tipologia morfologica;
  • ambiente sociale: la proprietà e le forme di produzione;
  • la cultura: le conoscenze che danno vita a diverse tecniche di produzione.   

 

Le regioni europee si caratterizzano per una “cultura intensiva”, destinata però non al mercato mondiale, ma a soddisfare in fabbisogno di un mercato regionale.

Distinguiamo diverse tipologie di agricoltura:

  • L’agricoltura capitalistica o commerciale è quella destinata al mercato mondiale e si basa essenzialmente su due modelli; quello della grande impresa (USA, Canada) e l’economia di piantagione dei Paesi della Periferia;
  • L’agricoltura legata alla sussistenza del villaggio, di un mercato locale;
  • L’agricoltura degli ex paesi Comunisti (ex URSS, Cina) che aveva come elementi caratteristici la grande azienda di Stato (tipica delle zone a forte espansione agricola) e le aziende agricole organizzate sotto forma di cooperativa.

 

Passa a trattare dell’industria, dell’evoluzione dei fattori di localizzazione prendendo come esempio l’industria siderurgica, di cui esemplifica tre fasi:

  • Periodo medioevale, l’industria siderurgica primitiva si sviluppa nelle vallate dove c’è abbondanza di legna da ardere per giungere alla fusione dei minerali; c’è l’utilizzo di grandi mantici per ricavare l’energia necessaria per la lavorazione del ferro battuto nelle fucine;
  • Fine 700, metà del 800, assume importanza il carbone, che diviene il principale fattore di localizzazione delle industrie;
  • Metà del 800, è il periodo della raffinazione del carbone, quindi viene introdotto l’utilizzo degli altiforni (Martin Bessener); si passa dai luoghi del carbone ai luoghi dei minerali di ferro.

 

Con l’introduzione della lavorazione con gli altiforni si sviluppa un processo di concentrazione geografica delle industrie, si punta alle economie di scala (più produco, più abbasso i costi, più guadagno). I Paesi che non disponevano di minerali di ferro, vista l’importanza strategia della produzione di ferro e acciaio, cercano comunque di sviluppare l’industria pesante ricorrendo alla lavorazione dei rottami di ferro mediante il riciclaggio, oppure sviluppando le industrie nei luoghi più vicini ai mercati del minerale di ferro: i porti; in Italia l’ITALSIDER di Genova, Napoli, Taranto (grandi porti con funzione di hub, a cui si aggiungono un insieme di porti più piccoli).

Altre industrie pesanti (raffinazione del petrolio, l’industria chimica) si localizzano non nei luoghi delle materie prime, ma nei luoghi dell’offerta; si ritiene infatti che grazie al miglioramento delle vie di comunicazione sia possibile abbattere i costi di trasporto, e quindi sia più conveniente trasportare il petrolio e distribuirlo tramite appositi impianti nei centri di realizzazione di altri prodotti, derivati dal petrolio (carburanti, materie plastiche).

Un altro importante fattore di localizzazione dell’industria è il costo del lavoro: localizzo i miei impianti:

  • dove il lavoro costa meno, nel caso di produzioni in cicli industriali ripetitivi o applicati alla macchine;
  • dove trovo professionalità altamente qualificate nei settori centrali dello sviluppo capitalistico.

 

Analizziamo la localizzazione industriale prendendo come riferimento i cicli di vita di un prodotto:

  • fase innovativa: necessita di molte tecnologie, la produzione è su piccole quantità, il lavoro è altamente specializzato; in questa fase le industrie sono localizzate nel Centro del Mondo;
  • fase di sviluppo: si riducono le tecnologie impiegate, accanto al lavoro specializzato si introduce una fase lavorativa non specializzata; le industrie continuano a essere localizzate nel Centro del Mondo;
  • fase di maturazione del prodotto: la produzione del prodotto è ormai avviata, avviene in un primo momento in maniera monopolistica, si punta sulle grandi economie di scala, il lavoro è ripetitivo e la produzione è di massa; grazie alla tecnologia la produzione è decentrata nei Paesi della Periferia del Mondo;
  • fase di decadenza del prodotto: la produzione è ormai standardizzata, nei Paesi del Centro il prodotto sta avviandosi ad uscire dal mercato, le imprese non investono più; continua la produzione nei Paesi della Periferia.

 

Le diverse tipologie delle teorie della polarizzazione danno origine a sistemi industriali di tipo diverso (sistema industriale è insieme di fabbriche e delle loro reciproche relazioni). Distinguiamo sistemi industriali con molti o con un solo leader:

  • i piani Marshall, caratterizzati in distretti, sistemi industriali locali basati su di un certo territorio, caratterizzati da più imprese leaders, magari anche in concorrenza tra di loro, e molte altre imprese fornitrici; è un sistema interdipendente, di scambi alla pari. In questo caso possiamo avere imprese fornitrici di un componente, di un solo segmento, o imprese fornitrici di un intero prodotto di qualità.
  • aree di ambito spaziale di economie di agglomerazione, aree di vantaggi che grosso modo corrispondono alle aree di pendolarità giornaliera, le imprese fanno “sistema” e sono in relazione tra di loro; modello di sviluppo polarizzato, il sistema è basato sulla dominazione di una impresa e sulla dipendenza da questa di molte altre imprese. In questo caso le imprese tendono a stringere rapporti di collaborazione formalizzati.

 

Il rapporto di dominazione di una impresa su un gruppo di altre imprese si riduce e diventa più solidale, di collaborazione,  in caso di reti locali, in cui le imprese tendono ad avere dei servizi in comune (marketing, pubblicità); in questo caso le imprese leader privilegiano i rapporti con quei fornitori che consentono loro di competere nel mercato in termini di qualità; per contro i fornitori tenderanno a legarsi ai leader più competitivi per stare agganciati al mercato globale.

Queste reti locali sono componenti di una rete globale che influenza il cambiamento delle reti modello di organizzazione delle reti urbane: le città.

 

Introduce i concetti di:

  • flussi
  • reti di trasporto
  • organizzazione fisica del territorio.

 

Un flusso è evidenziato dalle relazioni che uniscono due parti. La misura di un flusso si deve all’economista piemontese Pareto che espresse un flusso in funzione della distanza (flusso è funzione inversa della distanza):

 

F =  1
D

 

Per es. in relazione ad una città i flussi decresceranno andando dal centro alla periferia:

 

Secondo Ulmann, affinché si generi un flusso tra due centri occorrono tre condizioni:

 

che tra i due centri vi sia complementarietà economica (presenza di prodotti che si integrano);

mancanza di opportunità intermedie;

la presenza di beni trasferibili (trasferibilità di un bene è rapporto prezzo rispetto al peso; l’oro è più trasferibile della legna).

 

Parliamo di modelli gravitazionali per la misura dei flussi: due corpi si attraggono o si respingono in relazione alla loro massa; utilizziamo una legge fisica per ricavarne una indicazione geografica (massa di una località è reddito di una popolazione). I modelli gravitazionali servono per tracciare mappe di mercato su modelli probabilistici.

 

I flussi si realizzano su reti di trasporto. Ci rifacciamo ad Eulero(esame delle variabili spaziali) ed alla teoria dei grafi (grafo è rete di trasporti fatta di collegamenti e nodi):

 

 

  Abbiamo due tipi di reti:

  • reti che ottimizzano gli spostamenti del consumatore;

 

  • reti che ottimizzano i costi del costruttore.

 

Consideriamo ora una rete di trasporti composta da sei nodi:

 

 

A

B

C

D

E

F

TOT

A

0

1

2

3

4

5

15

B

1

0

1

2

3

4

11

C

2

1

0

1

2

3

9

D

3

2

1

0

1

2

9

E

4

3

2

1

0

1

11

F

5

4

3

2

1

0

15

TOT

15

11

9

9

11

15

70

E notiamo che tanto è maggiore il numero di collegamenti che interessano un nodo, tanto maggiore è la sua dispersione; il nodo è il meno accessibile in quanto è il più usato nelle rete.

In questo caso il numero 70 indica l’indice di dispersione della rete; tanto è maggiore tanto più la rete è dispersa, quindi meno accessibile. Per migliorare questa ipotetica rete di trasporti dovrò ridurre la dispersione; i costi di trasporto sono proporzionali alla distanza da percorrere: l’andamento dei costi di trasporto è diverso a seconda del mezzo utilizzato:

  • auto per brevi distanze;
  • treno per medie distanze;
  • nave (aereo) per grandi distanze.

Esaminiamo la logica di una costruzione di una rete (grafo):

 

possiamo studiare la struttura complessiva del grafo e studiarne i collegamenti.

STRUTTURA DELLE RETI

In relazione alle reti possiamo ricordiamo due indici:

  • l’indice di connettività (indice b), dato dal rapporto:

 

collegamenti
nodi

2) l’indice di nodalità, dato da:

S strade che entrano nel nodo

 

TRASFORMAZIONI DEL SOTTO SISTEMA FISICO NATURALE

Parliamo di insediamenti come trasformazioni dello spazio fisico, sia naturali che artificiali. Elementi centrali nel processo di sviluppo degli insediamenti è stata la concentrazione:

  • di ricchezza;
  • di sviluppo capitalistico,
  • sviluppo delle maggiori città (la crescita della popolazione urbana è maggiore della crescita della popolazione totale).

 

Le città crescono più delle campagne e le città più grandi crescono più delle città più piccole.

La prima selezione tra le città avviene durante la transizione dal feudalesimo al capitalismo, quindi con lo sviluppo industriale, con le economie di scala e con le economie di agglomerazione; le città tanto più erano importanti, tanto più offrivano economie di agglomerazione, ma solo fino ad un certo limite oltre il quale la congestione del sistema produttivo portava non più a risparmi ma ad ulteriori costi è diseconomie.

Negli anni 60 negli U.S.A. e negli anni 70 in Europa si assiste ad un processo di urbanizzazione concentrata: le città tanto più sono grandi tanto più crescono. Questo fatto era dovuto oltre che a fattori di crescita naturale, anche ad un  processo di immigrazione dalle campagne causata da:

  • fattori di ripulsione: nei Paesi della Periferia nel dopoguerra vi è grande crescita demografica con conseguente grande crescita delle città; si verifica una disgregazione dell’agricoltura tradizionale e una sua sostituzione con agricoltura capitalistica, c’è sviluppo industriale;
  • fattori di attrazione: dovuti all’industrializzazione; se l’industria non cresce agli stessi ritmi della popolazione si innescano meccanismi di emigrazione. 

 

L’urbanizzazione è il frutto della industrializzazione dei paesi del Centro del mondo e dei processi di emigrazione che ha innescato.

Le popolazione dei Paesi della Periferia non riescono ad emigrare. Originariamente respinti dalle campagne del sud del mondo si spostano quindi nelle grandi città; si assiste ad una crescita della popolazione urbana di molto superiore alla disponibilità di posti di lavoro: l’industria non è sufficientemente sviluppata; in questi Paesi si ha quindi un processo di urbanizzazione senza industrializzazione.

In tempi più recenti anche i Paesi della Periferia avviano il loro processo di industrializzazione; nelle campagne di diffondono nuove tecnologie che consentono di risparmiare posti di lavoro, con conseguente espulsione delle popolazioni verso le città dove però le persone non riescono ad ottenere posti di lavoro “sani”; si creano degli agglomerati di povertà (bidonville, favelas, ghetti) animati da popolazione assolutamente non integrata, ma nello stesso tempo funzionale al capitalismo, che occupa porzioni di solo pubblico per costruire le sue baracche, fa solo lavori marginali (lavoro ipertrofico: lavoro informale, impiega un numero di addetti superiore al necessario) ed è una popolazione parassitaria (per evitare esplosioni di violenza dovuta alla ribellione si creano in questi Stati grandi apparati repressivi, molta polizia, esercito utilizzato per il controllo dell’ordine).

Dopo gli anni 70, quelli dell’urbanizzazione diffusa, del processo di urbanizzazione continua, cambia la tendenza e si innesca un processo di controurbanizzazione, di urbanizzazione periferica: i piccoli centri ora crescono più delle grandi città che sono l’espressione della grande industria ormai in crisi (disoccupazione). Si avvia così un processo di decentramento verso i piccoli centri che ancora godono dei benefici delle economie esterne di agglomerazione, di cui le grandi città non possono più beneficiare a causa della crisi fiscale dello Stato.  

 

Fonte: http://www.testi-utili.com/primo_anno/geografia/23.11.06.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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