Terremoti

 

 

 

Terremoti

 

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Terremoti

MORFOLOGIA TERRESTRE
Per poter comprendere come si verificano gli eventi sismici, dobbiamo guardare più da vicino il nostro pianeta e, in modo particolare, l'evoluzione che ha avuto nell’arco di milioni di anni.Il nostro pianeta ha la forma di una sfera appena schiacciata ai poli e leggermente rigonfiata all'Equatore. La terra risulta essere composta da diversi strati: il primo, il più superficiale, è detto crosta terrestre. Esiste la crosta continentale, costituita da silicati d’alluminio SIAL e la crosta oceanica formata da silicio e magnesio SIMA. Il SIMA, in continua evoluzione, è stato generato dai movimenti vulcanici dello strato sottostante detto MANTELLO che è di spessore variabile e può raggiungere notevoli altezze, creando delle vere e proprie catene montuose sottomarine, dette "dorsali oceaniche". Dopo i 2900 Km di profondità, la densità delle rocce quasi raddoppia; è questa la parte più centrale della terra, lo strato è chiamato nucleo. Si distinguono Nucleo interno e Nucleo esterno. La parte più interna del Nucleo, ancora più densa, costituisce l'unica sorgente possibile del campo magnetico terrestre.

 

 

 

 

 

LA CROSTA CONTINENTALE
Nel 1915 lo scienziato tedesco Wegener, confrontando i margini dei continenti (in particolare quelli dell'America del Sud e dell'Africa) e alcune caratteristiche delle rocce e dei resti fossili trovati negli attuali continenti, promulgò una teoria secondo la quale tutte le terre emerse, circa 225 milioni di anni fa, erano unite in un solo grande continente chiamato Pangea, circondato da un oceano detto Panthalassa. Dopo 45 milioni d’anni, ci fu una prima evoluzione che determinò la divisione della Pangea. L'Eurasia andò alla deriva verso Nord, mentre il blocco Africa-America del Sud si staccò dal blocco Australia-Antartide così come l'India iniziò la sua deriva verso Nord. Settanta milioni d’anni fa, l'India già si dirigeva verso l'Asia. Oggi l'India ha completato la sua deriva e si è saldata con l'Asia, l'Australia si è staccata dall'Antartide e l'America del Nord si è separata dall'Eurasia. I continenti non si sono certo stabilizzati e si può ipotizzare che, nei prossimi 50 milioni d’anni, l'Australia continuerà la sua deriva verso Nord, una parte dell'Africa si staccherà dal continente e la California dall'America del Nord. Il mar Mediterraneo è destinato a scomparire mentre ci sarà un’ espansione degli oceani Atlantico e Indiano che compenseranno la riduzione della massa oceanica del Pacifico. Wegener non seppe spiegare qual era il "motore" che spingeva i continenti a separarsi.

 

 

 

COS’E’ IL TERREMOTO

Un terremoto è prodotto dalla brusca liberazione dell'energia accumulata da una roccia sottoposta a sforzo.
A pressioni non elevate le rocce, sottoposte a sforzi, hanno un comportamento "fragile" che può essere illustrato con il diagramma della figura accanto.
La roccia si deforma elasticamente fino ad un valore A dello sforzo, al di sopra del quale la relazione non è più lineare.
Quando lo sforzo raggiunge il valore C (punto di rottura) la roccia si rompe, liberando tutta l'energia accumulata fino a quel momento.
Il punto in cui avviene la rottura (accompagnata da spostamento delle parti), viene chiamata faglia.

 

LA TETTONICA A ZOLLE
Dopo circa 10 anni, l’ipotesi di Wegener fu elaborata e approvata con il nome di Tettonica a Zolle. Secondo questa ipotesi, la crosta terrestre è formata da tante zolle o placche simili ad un gigantesco puzzle o ad un guscio di Tartaruga. Le zolle che si allontanano creando un Rift cioè una spaccatura sono dette divergenti. Ogni placca può essere formata da terre emerse e da fondali oceanici; esse hanno uno spessore di circa 40 Km e galleggiano sul mantello. Queste zolle sono dotate di movimenti che possono essere Convergenti e Divergenti. Convergenti: le zolle si spingono le une con le altre e si avvicinano fino a toccarsi; E’ proprio dovuto al movimento di queste zolle, e alla formazione di queste spaccature, se siamo costretti a lottare con il TERREMOTO. Durante il corso delle ere geologiche, la crosta terrestre ha subito delle modifiche prodotte da cause interne o ENDOGENE e da cause esterne o ESOGENE. I terremoti hanno origine da movimenti che si verificano all’interno della crosta terrestre e nella parte superiore del mantello. L’energia accumulata da questi spostamenti preme contro le masse rocciose, deformandole. Se la pressione alla quale sono sottoposte le rocce non è più da queste contenibile, si ha la liberazione dell’energia sotto forma di fenomeni sismici. I terremoti possono provocare delle spaccature della crosta terrestre, di solito lungo piani di fratture (FAGLIE). Le scosse di terremoto (ondulatorie se si manifestano con vibrazioni orizzontali, sussultorie se con vibrazioni verticali, e vorticose o rotatorie se si sovrappongono fra di loro o giungono fortemente inclinate in superficie) s’irradiano dall’ipocentro e, attraverso le onde sismiche, si propagano per un’area tanto più vasta quanto più profondo è l’ipocentro, e con intensità tanto minore quanto maggiore è la distanza dall’epicentro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LE FAGLIE

 

Con il nome di faglia vengono indicate tutte le discontinuità piane lungo le quali si ha spostamento.
Da un punto di vista geometrico un piano di faglia, che sarà caratterizzato da una direzione, un'immersione ed un'inclinazione, separerà due blocchi i quali prenderanno il nome di tetto e letto in funzione della loro rispettiva posizione rispetto al piano di faglia.
Si definirà tetto il blocco che si trova al di sopra del piano di faglia, letto quello che giacerà al di sotto.
Si definisce rigetto lo spostamento, misurato in punti omologhi, che i due blocchi subiscono lungo il piano di faglia.
Il rigetto di una faglia si scompone in realtà in :
·  Rigetto reale: corrisponde al reale spostamento avvenuto lungo il piano di faglia (segmento AB della figura).
·  Rigetto verticale apparente: rappresenta la componente verticale, sul piano di faglia, del rigetto reale (segmento CB).
·  Rigetto orizzontale: rappresenta la componente orizzontale del rigetto reale misurata lungo la direzione del piano di faglia (segmento AC).
·  Rigetto verticale: costituisce lo spostamento misurato lungo la verticale (segmento CD).
·  Rigetto laterale: costituisce lo spostamento avvenuto lungo il piano orizzontale (segmento DB).
Si definisce pitch l'angolo che una linea sul piano di faglia, forma con la direzione del piano stesso.
In funzione del tipo di spostamento che avviene lungo la discontinuità, le faglie possono suddividersi in genere in:

Faglie
normali

Se il movimento avviene perpendicolarmente alla direzione della superficie di separazione con uno spostamento verso il basso del tetto rispetto al letto.

Faglie
inverse

Se il movimento avviene perpendicolarmente alla direzione della superficie di separazione con uno spostamento verso l'alto del tetto rispetto al letto.

Faglie
trascorrenti

Se il movimento avviene lungo, la direzione del piano di faglia; in particolare si distingueranno faglie trascorrenti destre e sinistre secondo che ad un osservatore che staziona su un blocco, l'altro apparirà essere stato spostato rispettivamente verso la sua destra o sinistra.


 

 

 

 

 

 

 In natura molto spesso le faglie hanno movimenti intermedi tra quello delle faglie normali (e/o inverse) e quello delle faglie trascorrenti. In tale caso si parlerà di faglie oblique normali o inverse.In particolare avremo:

Faglie
normali

 

 

E' caratterizzata da una geometria del campo tensionale con la componente principale massima (sigma 1) verticale, la componente principale minima (sigma 3) orizzontale e perpendicolare al sigma 1 e la componente intermedia (sigma 2), giacente sul piano orizzontale e parallela al piano di faglia.

Faglie
inverse

E' caratterizzata da una geometria del campo tensionale con la componente principale massima (sigma 1) giacente sul piano orizzontale, la componente principale minima (sigma 3) verticale e la componente intermedia (sigma 2), giacente sul piano orizzontale e parallela al piano di faglia.

Faglie
trascorrenti

E' caratterizzato da una geometria del campo tensionale con le componenti principali massima (sigma 1) e minima (sigma 3) giacenti sul piano orizzontale ed orientate rispettivamente in corrispondenza delle bisettrici dell'angolo acuto e dell'angolo ottuso formati da due piani coniugati; la componente intermedia (sigma 2) sarà verticale.

 

La classificazione sopra riportata ha come riferimento le relazioni esistenti fra le tre componenti principali rispetto all'orizzontale. Queste relazioni sono valide solo per livelli superficiali in quanto, con il progredire delle profondità, l'andamento degli assi delle tre componenti subisce variazioni più o meno marcate dipendenti da numerosi fattori. Ciò comporterà che anche l'andamento deimpiani delle faglie subirà dei cambiamenti nell'orientazione adattandosi, di volta in volta ,alla nuova geometria del campo tensionale.

DINAMICA DI UN TERREMOTO

Il nostro pianeta Terra, può essere pensato come suddiviso in diversi strati che hanno caratteristiche fisiche piuttosto
differenti.Il primo strato (litosfera) è spesso circa 100 km.
La sua parte più esterna, detta crosta,è costituita in parte dai continenti ed in parte dagli oceani.
La litosfera, verso l’interno, confina con il secondo strato (astenosfera).
La litosfera è costituita da alcune “zolle” rigide (zolla eurasiatica, zolla africana, zolla pacifica, ecc.).L’astenosfera, che si trova a temperature comprese tra 1000°C e 2000°C, pur non essendo liquida, è però in grado di fluire lentamente, come il ghiaccio di un ghiacciaio.
A causa di questi lenti movimenti, anche le “zolle” della litosfera, che sono appoggiate sull’ astenosfera, possono subire degli spostamenti (la teoria del moto della litosfera, costruita dai geofisici solo in questi ultimi anni, prende il nome di tettonica a zolle).Quando durante tali spostamenti due zolle vengono a premere fortemente l’una sull’altra, in qualche zona della loro regione di contatto si può originare una profonda spaccatura (faglia): è questa la causa scatenante dei sismi (o terremoti).
Il punto ove il sisma avviene è detto ipocentro.

 

Dall’ipocentro partono delle onde elastiche che si propagano nell’interno della Terra in tutte le direzioni. Il primo punto della superbie terrestre raggiunto da queste onde,ossia quello più vicino all’ipocentro, è detto epicentro.
Nei punti della crosta terrestre raggiunti dalle onde emesse dall’ipocentro si generano altre onde che si propagano solo in superficie. Gli strumenti che rilevano i fenomeni sismici e misurano i tempi di arrivo e le forme delle diverse onde vengono detti sismografi.
Grazie ai sismografi si è potuto constatare che le onde sismiche sono di tre tipi: queste vengono rispettivamente denominate onde P (prime), onde S (seconde), onde L (di Love). Le onde P e le onde S sono quelle che si propagano nell’ interno della Terra; le onde L sono quelle che si propagano solamente in superficie.Vi sono anche le onde di Rayleight che generano un movimento di scuotimento facendo ruotare l’ intero globo con moto ellittico. La loro conformazione ricorda le onde provocate da un sasso su uno specchio d’acqua.
Le onde P, che sono le prime ad arrivare,

 

 

sono onde longitudinali, (di comprensione e rarefazione).Le onde S, che arrivano per seconde, sono onde trasversali, o di taglio, e come tali non riescono a passare attraverso materiali liquidi; le onde L, le ultime ad arrivare, sono particolari onde di tipo trasversale che si propagano solamente su uno strato materiale (crosta superficiale) giacente su un substrato.
Le modalità di vibrazione di questi tipi di onde e le loro forme sono già state illustrate.
La localizzazione dell’ipocentro di un terremoto viene effettuata per mezzo di più sismografi.Attraverso la misura della differenza dei tempi di arrivo delle varie onde ai diversi sismografi, è possibile infatti risalire alle coordinate dell’ipocentro.
E’ importante però conoscere o determinare la velocità di propagazione, il cui valore dipende dal materiale della zona attraversata dalle onde prima di raggiungere la superficie.
L’intensità di un terremoto viene determinata sulla base dell’ampiezza del segnale di uno speciale sismografo. Essa è legata all’energia emessa da un evento sismico e deve tener conto della distanza fra l’ ipocentro e la postazione del sismografo e dell’energia assorbita lungo tale percorso. Questa ampiezza viene detta magnitudo locale (introdotta dal sismologo C. F. Richter nel 1935). La relazione fra magnitudo locale ed energia liberata dall’ipocentro è stata determinata da Richter, il quale, sulla base di tali studi, ha anche elaborato la celebre scala di misurazione dell’ intensità dei terremoti.
Il problema della previsione dei terremoti è ovviamente di vitale importanza. Vi sono oggi vari metodi, basati essenzialmente sull’esame di campioni di rocce estratti dal sottosuolo.

 

TERREMOTO

Qual è la definizione di terremoto?

Un terremoto (dal latino terrae motu ossia movimento della terra) è un rapido movimento della superficie terrestre dovuto al brusco rilascio dell'energia accumulatasi all'interno della Terra in un punto ideale chiamato ipocentro o fuoco. Il punto sulla superficie della Terra, posto sulla verticale dell'ipocentro, è detto epicentro

 

Dove e perché si verificano i terremoti?

I terremoti  si concentrano in zone delimitate.
Con la teoria della tettonica, formulata per la prima volta da Wegener nel 1915, è stata data una spiegazione della distribuzione degli eventi sismici e dei vulcani, e di alcuni fenomeni morfologici come la formazione delle grandi catene montuose.
Questa teoria afferma che i terremoti tendono, in genere, a concentrarsi lungo i margini tra le diverse placche (o zolle) componenti lo strato più superficiale del nostro pianeta (la litosfera). I terremoti possono verificarsi  in prossimità di vulcani attivi e di catene montuose di recente formazione.
Anche la sismicità della penisola italiana presenta una sua caratteristica distribuzione interpretabile con la teoria della tettonica a placche. La penisola italiana, come tutto il bacino del Mediterraneo, è interessata da un'intensa attività sismica che si verifica in aree che sono state identificate, secondo tale teoria, come sede di equilibri dinamici tra la zolla Africana e quella Eurasiatica. In particolare, si ha una notevole attività sismica lungo la catena appenninica e l'arco calabro, ossia in corrispondenza delle strutture che sono state identificate come zone di interazione tra la zolla Africana e quella Eurasiatica. Lo studio della sismicità storica ha, inoltre, contribuito a individuare le regioni della nostra penisola soggette ai terremoti più distruttivi. Tutto il territorio nazionale è interessato da effetti almeno del VI grado della scala Mercalli, tranne alcune zone delle Alpi Centrali e della Pianura Padana, parte della costa toscana, il Salento e la Sardegna. Le aree maggiormente colpite in cui gli eventi hanno raggiunto il X e XI grado d'intensità, sono le Alpi Orientali, l'Appennino settentrionale, il promontorio del Gargano, l'Appennino centro meridionale, l'Arco Calabro e la Sicilia Orientale.

 

Come si misurano i terremoti?

Magnitudo e Intensità
La magnitudo (frequentemente misurata attraverso la scala Richter) e l'intensità macrosismica (misurata tramite la scala Mercalli Cancani Sieberg) sono le due misure principali della "forza" di un terremoto. Le due scale non sono equivalenti: la magnitudo è una misura dell'energia sprigionata da un terremoto nel punto in cui esso si è originato (ipocentro). L'intensità è, invece, una misura degli effetti che il terremoto ha prodotto sull'uomo, sugli edifici presenti nell'area colpita dal sisma, sull'ambiente.
La magnitudo è una misura fisica che dipende soltanto dall'energia sprigionata dal terremoto nel punto in cui si è generato. Grazie allo sviluppo delle tecnologie e alla disponibilità di dati in formato numerico utilizzabili direttamente dai calcolatori elettronici, è oggi possibile calcolare la magnitudo di un evento sismico, in pochi minuti.
Per fissare il valore preciso d'intensità è bensì necessario attendere la raccolta dei dati oggettivi sui danni prodotti dal terremoto. E' possibile in ogni modo, conoscendo la magnitudo, associare ad essa un'intensità teorica presunta. Tale intensità teorica viene tempestivamente comunicata alla Protezione Civile ed è quella riportata dagli organi di informazione. La tabella seguente mostra la corrispondenza fra la magnitudo e l'intensità teorica.


MAGNITUDO

1.0 - 2.3 

2.4 - 2.7

2.8 - 3.1

3.2 - 3.6

3.7 - 4.1

4.2 - 4.6

4.7 - 5.1

5.2 - 5.5

INTENSITA'

I

II

III

IV

V

VI

VII

VIII 

 

 

 

Esistono diverse scale di magnitudo. Perché?

 

Il concetto di Magnitudo è stato introdotto, nel 1935, da Richter per rispondere alla necessità di esprimere in forma quantitativa e non soggettiva la "forza" di un terremoto. La Magnitudo Richter, detta anche Magnitudo Locale  (Ml), si esprime attraverso il logaritmo decimale del rapporto fra l'ampiezza registrata da un particolare strumento, il pendolo torsionale Wood-Anderson ed un’ ampiezza di riferimento. La Magnitudo Richter può essere calcolata solo per terremoti che avvengono a distanza minore di 600 km dalla stazione che ha registrato l'evento.
Per supplire alla limitazione sulla distanza, posta dalla definizione della Magnitudo Richter, sono state introdotte altre scale di Magnitudo che consentono di esprimere l'energia irradiata da un terremoto. La maggior parte delle Magnitudo si basa sull'ampiezza massima del sismogramma registrato o sul rapporto fra l'ampiezza e il periodo delle onde sismiche utilizzate per il calcolo della Magnitudo. Tra queste scale si possono ricordare le Magnitudo di Volume (mb) (b sta per "body waves" ovvero onde di volume) usate per misurare terremoti avvenuti a una distanza superiore ai 600 km e basate sull'uso delle onde di volume (generalmente le onde S). Un'altra magnitudo è quella calcolata sulle onde superficiali: la Magnitudo Superficiale (Ms).
Al fine di calcolare la Magnitudo di terremoti piccoli o moderati a distanza locale o regionale è stata introdotta, nel 1972,  la Magnitudo di Durata (Md). Il suo calcolo è basato sulla misura della durata del sismogramma. Il concetto di base è quello di ritenere a ragione che maggiore è la Magnitudo di un evento, maggiore sarà la durata della registrazione. Essendo molto semplice ed immediato misurare la durata del sismogramma, la Magnitudo di Durata, dal 1980, è entrata nel novero dei parametri che vengono forniti alla Protezione Civile. Gli altri sono la localizzazione dell'evento e la sua intensità teorica.
Si può dimostrare che la Magnitudo di un evento sismico è strettamente connessa con l'energia irradiata dall'ipocentro.Una relazione lega la magnitudo sviluppata dal terremoto al logaritmo decimale dell'energia. A partire da questa relazione, è possibile ricavare che una variazione 1 in Magnitudo equivale ad un incremento di energia di circa 30 volte. In altre parole, l'energia sviluppata da un terremoto di Magnitudo 6 è circa 30 volte maggiore di quella prodotta da uno di Magnitudo 5 e circa 1000 volte maggiore di quella prodotta da un terremoto di Magnitudo 4.

 

Quanto dura un terremoto?

 

La durata della percezione di un terremoto dipende dalla magnitudo dell'evento, dalla distanza dell'epicentro e dalla geologia del suolo sul quale ci si trova. Lo scuotimento in un sito, costituito da sedimenti incoerenti, può durare tre volte di più che in un sito compatto. Nel caso in cui il sisma sia avvertito all'interno di un edificio, l'altezza dello stabile e la tipologia edilizia influenzano fortemente l'intensità e la durata della percezione dell'evento. In genere, i terremoti di bassa intensità sono percepiti per pochi secondi mentre i forti lo sono per meno di un minuto.

 

Quanti terremoti si verificano in media nell'arco di un anno nel mondo? E in Italia?

La stima fornita da uno dei principali centri sismologici internazionali, il National Earthquake Information Center (NEIC) del servizio geologico degli Stati Uniti (United States Geological Survey), è di diversi milioni di terremoti che accadono nel mondo, ogni anno. Molti di questi terremoti non sono percepiti dall'uomo in quanto avvengono in aree remote o sono di magnitudo così piccola da non poter essere avvertiti, ma solo registrati dai  sismometri. Il NEIC localizza dai 12000 ai 14000 terremoti, ogni anno. Di questi circa 60 sono classificati come significativi ossia in grado di produrre danni considerevoli o morti e circa 20 sono quelli di forte intensità, con magnitudo superiore a 7.0.

In Italia l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, mediante l'analisi delle registrazioni della Rete Sismica Nazionale Centralizzata (RSNC), localizza dai 1700 ai 2500 eventi di magnitudo pari o superiore a 2.5 ogni anno. Dalla figura seguente, nella quale è riportato il numero di eventi registrato annualmente dal 1984 al 1997, è possibile osservare il forte incremento riscontrato nel 1997 a causa della sequenza dell'appennino Umbro Marchigiano


Dalla analisi della sismicità storica, è emerso che, in media in Italia, ogni cento anni, si verificano più di cento terremoti di magnitudo compresa tra 5.0 e 6.0 e dai 5 ai 10 terremoti di magnitudo superiore a 6.0. Di seguito, sono riportati i terremoti di magnitudo pari o superiore a 6.5, verificatisi nell'ultimo secolo.

 

I forti terremoti di questo secolo (M>6.5)

8/9/1905 Calabria

M=6.8

I=X

557 vittime

28/12/1908 Calabro Messinese

M=7.1

I=XI

80.000 vittime

13/1/1915 Avezzano

M=6.9

I=XI

33.000 vittime

23/7/1930 Irpinia

M=6.7

I=X

1.404 vittime

6/5/1976 Friuli

M=6.6

I=X

965 vittime

23/11/1980 Irpinia-Basilicata

M=6.8

I=X

3.000 vittime

 

Qual è il terremoto più forte mai registrato in tutto il mondo? e in Italia?

A detenere questo primato è il Cile, a causa di un terremoto di magnitudo 8.5, verificatosi nel 1960. Nonostante l'elevata magnitudo, il numero di morti fu esiguo e gli effetti non furono molto disastrosi. Per trovare il terremoto più distruttivo, dobbiamo trasferirci in Cina, a Tangshan, dove un terremoto causò 655.000 morti, nel 1976.

In Italia, si presuppone che il terremoto che abbia liberato più energia, alla pari di quello di Messina del 1908, sia quello del 5 dicembre 1456. Questo terremoto interessò una vastissima area dell'Appennino meridionale, comprendente il Sannio, il Matese e l'Irpinia settentrionale, causando circa 30.000 morti. Una cifra considerevole, se si pensa che, a quei tempi, quelle aree erano scarsamente abitate. Il terremoto più distruttivo, in Italia, è stato quello di Messina del 1908. Ebbe una magnitudo pari a 7.1, equivalente a quella del terremoto suddetto, causando però circa 80.000 vittime

 

E' vero che ultimamente il numero di terremoti è in aumento?

Sebbene possa sembrare che ultimamente nel mondo si verifichino più terremoti, uno dei principali centri sismologici internazionali, il National Earthquake Information Center (NEIC) del servizio geologico degli Stati Uniti (USGS), fa sapere che il numero di terremoti di magnitudo 7.0 o maggiori è rimasto quasi costante, durante tutto questo secolo. Addirittura, i dati sembrano mostrare una lieve diminuzione negli ultimi anni. Allora perchè ci viene continuamente chiesto se ci sia stato un incremento della sismicità mondiale? Una spiegazione può essere quella che, con l'aumento di stazioni sismiche, si è in grado di registrare più terremoti. Il miglioramento nelle comunicazioni, inoltre, permette di trasmettere più velocemente i dati. Nel 1931, c'erano all'incirca 350 stazioni. Oggi, ben 4000, in tutto il mondo. Va tenuto conto, inoltre, dell'enorme incremento di mezzi di comunicazione e di informazione. Oggi, la popolazione è più informata sui terremoti di quanto lo fosse in passato. In Italia, l'espansione della Rete Sismica Nazionale Centralizzata ha consentito, nel corso degli anni, di migliorare l'accuratezza delle localizzazioni dei terremoti e di aumentare il numero dei terremoti registrati. Nella figura è mostrato il numero di stazioni della RSNC, nel corso degli anni.

I terremoti sono più forti adesso che in passato?

Anche questa è una nostra impressione. Semmai, sono gli effetti di un terremoto ad essere molto più marcati che in passato. Questo perchè, sebbene si siano acquisite tecniche per costruire edifici più saldi e resistenti, con l'aumento della popolazione nelle aree a rischio, è aumentato anche il numero degli edifici.

 

Può la terra aprirsi nel corso di un terremoto?

Spaccature superficiali sulla terra possono verificarsi a causa di un terremoto. Le faglie, comunque, non si aprono durante un terremoto. I movimenti della crosta terrestre avvengono lungo i piani di faglia e non perpendicolarmente ad essi. Se le faglie si aprissero, non ci sarebbero più frizioni e, quindi, neanche più terremoti

 

Si possono causare i terremoti? Si possono evitare?

 

Alcune attività antropiche quale, ad esempio, lo sfruttamento di giacimenti sotterranei o la realizzazione di imponenti opere ingegneristiche, quali la costruzione di dighe, possono causare un'attività sismica, in genere poco intensa, indotta dall'uomo. Tra i più forti terremoti, ritenuti indotti, possiamo ricordare i seguenti:

  • Uno dei casi più distruttivi di sismicità indotta da bacini artificiali in Cina si è verificato, nel 1962, ed è noto come terremoto di Xinfengjiang. La Magnitudo stimata fu pari a Ms=6.1.
  • La diga di Konya vicino Poona, in India, quasi collassò quando, nel 1967, venne interessata da un terremoto di M=6.5, provocando un numero significativo di morti.
  • Nel 1981, si è verificato un terremoto di M=5.3, localizzato a circa 50 km dalla diga di Assuan che, circa sei anni prima, raggiunse il suo livello massimo.

Al contrario, le esplosioni nucleari sotterranee non sembrano poter causare terremoti indotti rilevanti. L'energia che viene generata durante l'esplosione si dissipa molto velocemente sulla superficie terrestre. I terremoti non possono essere evitati. Essi sono l'espressione dei processi tettonici che avvengono nel nostro pianeta e che non sono comparabili con la vita dell'uomo né su scala temporale né riguardo alle forze che mettono in gioco. Se non possiamo evitare i terremoti, possiamo fare in modo che la nostra vulnerabilità ad essi diminuisca, attuando delle misure preventive.

 

I terremoti e il clima sono correlati?

 

Assolutamente no. I terremoti avvengono all'interno del pianeta. I venti, le precipitazioni e la temperatura riguardano soltanto la superficie terrestre. I terremoti si verificano a prescindere dalle condizioni atmosferiche, in tutte le zone climatiche, in tutte le stagioni dell'anno e a qualsiasi ora della giornata.

 

I terremoti che avvengono in regioni diverse della nostra penisola sono in qualche modo correlati?

Può capitare che, nella stessa giornata, si verifichino due scosse in regioni differenti della nostra penisola. Nel corso del recente terremoto umbro marchigiano si sono avute scosse anche nel Friuli, nelle Dolomiti, in Alto Adige, nel Bellunese e nella Sicilia orientale. Queste scosse però rientrano nella normale attività sismica del nostro paese e, probabilmente, se non ci fosse stato l'evento umbro a catalizzare l'interesse, esse sarebbero passate inosservate. E' palese che, su molte decine di eventi di M>4.0 all'anno, alcuni di essi possono, casualmente, avvenire lo stesso giorno.

 

Si possono prevedere i terremoti?

Cosa vuol dire in questo caso la parola "prevedere"? Si vuole qui intendere anno, mese, ora, luogo e magnitudo di una futura scossa di terremoto? In tal caso, gli Americani, ad esempio, userebbero il termine "prediction". Il termine "forecast"  indica, invece, una previsione approssimativa che ci dice intervalli di tempo, di spazio e di magnitudo entro i quali si può verificare, con maggiore probabilità della media, un evento sismico. Val la pena di fare questa premessa perchè possiamo ora rispondere alla domanda. La risposta è no, quando intendiamo previsioni del primo tipo. La risposta non può essere un "no" deciso, nel secondo caso. Numerosi sono i precursori sismici, ossia  quelle anomalie di alcuni parametri geofisici, osservate prima di alcuni terremoti.  Un esempio di anomalia  potrebbe essere una quiescenza sismica ovvero l'assenza di terremoti, per un determinato periodo di tempo, in un' area considerata sismica. Studi per l'identificazione di precursori sismici sono condotti anche in Italia, grazie alla collaborazione con esperti di altri paesi dove questo tipo di metodologia è già collaudata. Si tratta, comunque, di previsioni approssimative che non possono essere utilizzate, per dare un allarme alla popolazione. Altri esempi di precursori sismici sono la variazione inconsueta della velocità delle onde sismiche, variazioni nel contenuto di gas radon nelle acque di pozzi profondi, mutamenti nel livello delle acque di fiumi e di laghi, movimenti crostali.

 


 

 

 

IL PERCHÉ DEL DISASTRO

Ma cosa ha determinato e continua a determinare questa situazione? I motivi sono molti e strettamente connessi al meccanismo economico che regola oggi il cosiddetto "sviluppo"; tra questi i più significativi sono certamente l'eccessiva antropizzazione di territori sottoposti a turbolenza ambientale elevata, l'insediamento di megalopoli e il trasferimento di tecnologie inadeguate o pericolose.
Per quanto riguarda il primo punto va detto che la presenza di comunità umane in aree nelle quali si verificano calamità naturali non è certamente un fenomeno recente essendo antica quanto la storia dell'umanità. Le aree vulcaniche, ad esempio, sono popolate da millenni grazie alla elevata fertilità del suolo; stessa cosa vale per le aree adiacenti i fiumi o esposte ai monsoni, sottoposte a periodiche alluvioni ma ricche di acqua e -percio'- fertili. Ma la urbanizzazione di queste aree ha oggi raggiunto dimensioni preoccupanti; basti pensare che negli ultimi 8 anni sono state evacuate a seguito di allarmi determinati da vulcani più persone di quante siano state evacuate nel corso degli ultimi due millenni; 93.000 evacuati dell'area di Galungung nel 1982, 83.000 evacuati dell'isola di Java nel 1984, 48.000 evacuati dell'area di Amak-Ranakad nel 1988... sono situazioni che fanno testo a tale proposito. Le stesse recenti alluvioni stanno facendo registrare un numero di vittime incredibilmente alto mentre aree periodicamente inondate dai fiumi o dalle piogge (com'è per l'area del Cairo o del Bengala Orientale) hanno raggiunto livelli di urbanizzazione inaccettabili e che, verosimilmente, potranno determinare in un non lontano futuro gravi disastri.
Ma, al di là della loro presenza o meno in territori sottoposti a rischio ambientale, le conformazioni urbane stanno raggiungendo oggi livelli altissimi di rischio determinati esclusivamente dalla loro spropositata grandezza. Secondo proiezioni effettuate dall'UNESCO, tra appena dieci anni il 50% della popolazione mondiale vivrà in città e sarà concentrato nello 0,4% della superficie terrestre. Questa progressiva urbanizzazione interesserà principalmente i paesi in via di sviluppo che già oggi presentano situazioni urbane al limite del collasso come le megalopoli di Città del Messico (30 milioni di abitanti), Lagos (10 milioni), Manila (9 milioni). Questo gigantismo determina livelli altissimi di congestionamento che impedisce una attenta pianificazione e che produce una crescita anarchica della città con tutti i pericoli che questo comporta. Altrettanto gravida di rischi è poi la totale dipendenza, della magalopoli, per quanto riguarda l'approvvigionamento di derrate e di energia, a territori sempre più vasti e sempre più lontani per raggiungere i quali c'è bisogno di sempre più energia e di reti e sistemi sempre più complessi, sempre più vulnerabili; da cio' la possibile interruzione di una di queste reti con la conseguente morte per fame di milioni di persone.

 

 

 

 

 

 

 

LO STATO DELLE RICERCHE SULLA PREVISIONE DEI TERREMOTI


LO STATO DELLE RICERCHE
L'uomo per secoli si è cimentato nel tentativo di prevedere i terremoti, ma la scienza moderna se ne sta interessando ufficialmente, con appositi programmi di ricerca, da non prima degli anni Sessanta e in pochi Paesi al mondo: Giappone, Cina, ex-Unione Sovietica e Stati Uniti d'America. In altre nazioni, questo tipo di studi è ancora più giovane o non esiste affatto. In Italia, almeno fino a qualche anno fa, l'opinione prevalente dei ricercatori era che non esistessero fenomeni precursori inequivocabili e che, quindi, non fosse possibile una previsione di tipo deterministico, ma soltanto probabilistico (F.Mulargia & E.Boschi, 1978 - F.Mulargia, S.Tinti & E.Boschi, 1985). Forse, la ricerca sulla previsione dei terremoti non ha mai dato esiti soddisfacenti anche per la scarsa attenzione riservatale, oltreché per le sue intrinseche difficoltà.
I risultati ottenuti sono insoddisfacenti e riguardano soprattutto:

  • Le previsioni a lungo termine, utili ai fini della prevenzione.
    Sulla base della storia sismica di una regione e sulla sua conoscenza geologica si "prevedono" per un futuro indeterminato, senza alcuna approssimazione della data, terremoti di forza tale da consigliare particolari misure antisismiche.
  • Le previsioni probabilistiche sono elaborate sia sull'osservazione di determinati precursori, sia sulle analogie locali e temporali degli eventi sismici.
    Nella migliore delle ipotesi, si ritiene che i terremoti possano essere previsti un po' come si prevede il tempo atmosferico: senza alcuna certezza, ma con buoni margini di probabilità. Un allarme sismico, però, ha valore soltanto se la previsione è di tipo deterministico e in grado di indicare, almeno con buona approssimazione, la data, la zona epicentrale e la forza del sisma. Infatti, a differenza delle previsioni del tempo, i cui errori non provocano generalmente danni di sorta, una previsione di tipo probabilistico con gli stessi margini di errore sarebbe estremamente dannosa sul piano economico e socio-psicologico, e ,a lungo andare potrebbe fare più danni degli stessi terremoti. Una previsione fallita ha certamente ripercussioni sui valori delle proprietà, comporta flessioni o cessazioni delle attività produttive e provoca inoltre movimenti caotici della popolazione, con tutta una serie di problemi connessi.



DIRETTRICI DI RICERCA
Quattro sono le direttrici generalmente seguite ai fini della previsione dei terremoti:

  • lo studio attraverso la ricerca delle cause endogene,
  • l'interpretazione matematica dei fenomeni,
  • lo studio dei precursori,
  • la combinazione degli indizi di previsione.

La prima direttrice, tramite anche la costruzione di modelli fisici, non ha dato esiti apprezzabili, presumibilmente perché le cause geologiche generali dei fenomeni sismici sono ancora largamente sconosciute e perché non è sempre possibile stabilire delle relazioni tra ciò che avviene in laboratorio e quello che si verifica effettivamente in natura, se non altro per le alte temperature e le enormi forze e masse presenti nella litosfera e nell'astenosfera, che non sono riproducibili con dei modellini. Uno dei cardini fondamentali della scienza moderna, vale a dire la riproduzione in laboratorio dei fenomeni fisici, qui non è sempre e completamente applicabile.
La seconda direttrice, su cui in questi ultimi anni si è concentrata l'attenzione di molti ricercatori, non ha mai permesso di individuare delle relazioni costanti e significative tra i vari terremoti, anche in ragione dell'incertezza insita nei metodi probabilistici. Le statistiche sismiche, del resto, sono indubbiamente utili per dare un quadro generale sull'incidenza dei terremoti, ma risultano del tutto inaffidabili per i singoli casi.
La terza direttrice, sia per la complessità dei fenomeni che per l'inadeguatezza delle metodologie e dei principi seguiti, non ha permesso di individuare ancora un precursore connesso in modo necessario ed esclusivo ai terremoti, tale da poter trarre interpretazioni inequivocabili.
La quarta direttrice, infine, si basa sull'opinione, assai diffusa, che i terremoti non siano preceduti da indizi singolarmente certi e, che, per prevederli, si debbano prendere in considerazione tutti i dati a disposizione, in modo da raggiungere la massima certezza prima di diramare un allarme sismico. Questo punto di vista, però, è sostanzialmente di tipo probabilistico: se nessun indizio è sicuro, è chiaro che anche il loro insieme non può offrire la sicurezza, ma soltanto una maggiore probabilità.



INDAGINI PARTICOLARI
Pur sapendo con precisione quali siano le aree del mondo a rischio sismico, e nonostante che i terremoti avvengano generalmente sempre nelle medesime zone, i sismologi non hanno preveduto ancora, per impiego di una qualche tecnica, un solo terremoto, considerando che il caso di Haicheng (Manciuria), del febbraio 1975, notoriamente fu il frutto di coincidenze fortuite. Mancando vere e proprie tecniche di previsione, si studia, si tiene sotto controllo e si cerca di capire una grande quantità di fenomeni particolari ritenuti in vario modo connessi con i terremoti.
Attività di laboratorio

Nei laboratori sono stati condotti molti esperimenti per comprendere le cause dei terremoti sotto il profilo fisico e, soprattutto, meccanico. A parte le difficoltà generali, già accennate riguardo a questa direttrice di ricerca, si è potuto osservare che, comprimendo un pezzo di roccia mediamente uniforme fino alla sua rottura, esso inizia a frantumarsi prima di rompersi definitivamente. È molto probabile che in zona focale si abbia un fenomeno analogo: le rocce sotto stress, prima della scossa principale corrispondente alla loro frattura, darebbero luogo a tutta una serie di microscosse (scosse di avvertimento) corrispondenti alle microfratture. Se però il pezzo di laboratorio è molto uniforme, la rottura avviene senza frantumazioni, mentre se è poco uniforme non si ha rottura definitiva. Questo tipo di ricerca, volto a individuare la relazione tra scosse di avvertimento e scossa principale, ha dato molte informazioni utili riguardo alla resistenza delle rocce e alle loro trasformazioni fisiche, ma è stato di poco aiuto per la previsione.
Indagini matematiche

Sono state studiate ricorrenze e periodicità dei terremoti e le relazioni tra quelli avvenuti in una medesima zona e tra quelli di diverse parti del mondo, giungendo alla creazione di modelli matematici sulla base della storia sismica di una regione e di ogni altro fattore utile. Ma l'estremo induttivismo, che vuole comprendere una storia sismica lunga milioni di anni dall'esperienza frammentaria di pochi secoli, non può che essere smentito dalla ben più complessa realtà dei fatti: l'unica volta che in Italia fu dato un allarme sismico (nel gennaio 1985, in Garfagnana), poche ore dopo una scossa isolata (peraltro non prevista!) e tenendo conto di quella che era stata l'evoluzione di alcuni terremoti del passato e delle presunte condizioni geologiche locali, furono mobilitati a vuoto uomini e mezzi. D'altra parte, studiando i terremoti che avvengono in una determinata zona sismica, i tentativi rivolti a individuare statisticamente i tempi di accumulo dell'energia di deformazione, prima della sua liberazione, sono soggetti a interferenze dovute ai collegamenti, ancora sconosciuti, che tali terremoti hanno con la più generale attività sismica del pianeta.
Precursori a lenta evoluzione

Sono stati studiati fenomeni che sembrano essere legati ai terremoti, come gli innalzamenti e gli abbassamenti del suolo (misurati con prospezioni geodetiche e altri sistemi sempre più sofisticati), come le variazioni di colore e temperatura delle acque sotterranee o come l'emissione di gas radon dai pozzi. Si tratta però di fenomeni non sempre presenti quando un terremoto sta per attuarsi e con un'evoluzione molto lenta e incerta, tale da impedire qualsiasi previsione entro archi di tempo compatibili con la predisposizione delle misure di allarme.
Precursori a rapida evoluzione

Sono stati studiati con molta attenzione, ricorrendo anche a tecniche specifiche di rilevamento, specialmente quei precursori che sono ritenuti di avviso immediato, o quasi, dei terremoti. Si tratta, soprattutto, di: foreshocks, tempi di arrivo delle onde sismiche, variazioni geoelettriche, variazioni geomagnetiche.

  • Foreshocks
    Come per gli esperimenti in laboratorio sono sorte difficoltà nel tentativo di stabilire un rapporto accettabile tra scosse premonitrici e scosse principali, così anche per esperienza dei terremoti reali si è dimostrato inutile il tentativo di isolare i foreshocks, che pur hanno anticipato molti eventi sismici catastrofici. Allo stato attuale, quello che è appurato è che essi possono ritenersi tali (fore = anticipo; shock = scossa) soltanto se sono effettivamente seguiti da un sisma disastroso: prima che ciò avvenga, non si può stabilire se una scossa potrà essere seguita da altre più grosse.
  • Tempi di arrivo delle onde sismiche


Durante i foreshocks precedenti i grossi terremoti, si sono registrate significative variazioni nel rapporto tra i tempi di arrivo delle onde P (primarie) e di quelle S (secondarie). Si è trattato, però, di rilevamenti discordanti e saltuari, soggetti a turbative di natura geologica e, pertanto, di scarsa affidabilità.
Vi è anche diversità nei tempi di arrivo tra le onde di volume (P ed S) e le onde superficiali, a cui sono imputabili i danni maggiori, e ciò potrebbe servire per una previsione certa dei terremoti. Purtroppo la differenza di tempo è irrisoria nella zona epicentrale interessata dal sisma, dipendendo dalla distanza dell'ipocentro dal luogo in cui viene misurata, e in ogni caso una previsione di pochi minuti d'anticipo si rivelerebbe socialmente inutilizzabile, proprio come quelle che indicano un arco di tempo approssimativo e/o molto lungo.

  • Variazioni geoelettriche


Qualche ora prima di un terremoto si riscontrano anomalie geoelettriche sia nella resistività del terreno che nella differenza di potenziale misurata con elettrodi collocati nel terreno a qualche decina di metri di reciproca distanza. A questo riguardo, i greci P.Varotsos e K.Alexopoulos (1984 a,b) hanno elaborato un metodo che offre una previsione in un lasso di tempo utile e che è in grado di indicare la zona epicentrale e la magnitudo del sisma previsto. Questo metodo, tuttavia, sembra non aver trovato troppo consenso tra gli studiosi, probabilmente perché le variazioni del campo elettrico legate a un terremoto imminente sono scarsamente significative e dell'ordine di pochi millivolts, così che, allo stato attuale della tecnica, sono di difficile interpretazione e non è possibile distinguerle da quelle dovute ad altre cause.

  • Variazioni geomagnetiche


Qualche ora prima di un terremoto si riscontrano anomalie geomagnetiche nella zona interessata all'evento. L'associazione dei terremoti a variazioni del campo magnetico terrestre è cosa risaputa, perlomeno, dal 1799. L'esploratore tedesco A. von Humboldt riferisce di variazioni dell'inclinazione magnetica di 48 minuti d'arco, registrate tre giorni prima del terremoto di Cumana (Venezuela) del 4 novembre 1799. Nel 1855, a Edo (l'attuale Tokio), un ottico pretendeva di aver inventato un apparato capace di predire i terremoti perché, qualche ora prima del terremoto di quell'anno, una grossa calamita a ferro di cavallo, di cui era fiero possessore, perse le sue caratteristiche magnetiche, per riacquistarle solo dopo l'evento sismico. In Calabria, in occasione del terremoto del 16 novembre 1894, l'ago magnetico della bussola dell'ufficio telegrafico di S.Giovanni in Fiore compì ben 32 giri. Ci sono altri esempi storici che potrebbero essere citati e, al riguardo, esiste una casistica molto ricca. Purtroppo, in un primo tempo, le variazioni del campo magnetico non furono ritenute un fenomeno precursore dei terremoti, ma soltanto una manifestazione straordinaria e contemporanea a determinati eventi sismici, e, sia per carenza di strumenti adeguati (in grado di effettuare un monitoraggio continuo), sia per la complessità interpretativa del fenomeno, nessuno si preoccupò di approfondire i contenuti e le implicazioni di quanto era stato osservato. In seguito, furono notate variazioni del campo magnetico in occasione di molti altri eventi sismici e furono approfonditi gli studi sulle proprietà piezomagnetiche delle rocce, riconoscendo fin dagli anni Cinquanta la possibilità teorica di usare le variazioni del campo geomagnetico per rilevare lo stato di sforzo in zona focale. Serie difficoltà sono state incontrate, però, nel distinguere le variazioni legate all'attività sismica da quelle dovute a cause diverse, naturali e antropiche (rumore di fondo), nonché nel rilevamento dei dati, che interessano aree molto estese, e nei loro significati. Affrettatamente, le anomalie sismomagnetiche sono state ritenute di troppo difficile interpretazione per essere considerate in modo attento; ancora oggi si ritiene che sarebbe comunque necessaria una costosa e fitta rete di rilevatori per comprendere le eventuali indicazioni da esse fornite, rete mai realizzata in nessuna parte del mondo. A tutt'oggi le ricerche si svolgono con un numero esiguo di magnetometri e misurando la non sempre significativa variazione dell'intensità totale, di modo che i risultati ottenuti e ottenibili sono da considerarsi poco probanti. Così, mentre si discute se tale segnale premonitore possa o no essere mai utile alla previsione, sono in uno stadio arretrato tutti i tentativi di interpretare le variazioni geomagnetiche per l'individuazione della zona epicentrale di un sisma imminente e per la determinazione della sua magnitudo.

 

Indagini basate su precursori meccanici

I programmi più completi, come quello giapponese, si basano sostanzialmente sullo studio di precursori meccanici, che possono essere sia a rapida che a lenta evoluzione, comprendendo anche i movimenti in atto della crosta terrestre. Questo tipo di ricerca richiede l'utilizzazione di apparecchiature sempre più rare e sofisticate. È stato osservato, ad esempio, che le variazioni della microsismicità (le normali vibrazioni della crosta, indipendenti dai fenomeni sismici) sono collegate all'attività sismica; così la tecnica di rilevamento, in questo settore della ricerca, consiste anche nell'impiego sistematico di speciali sensori per il controllo dei microsismi. Le ricerche, complesse e costose, però, non hanno ancora portato a risultati definitivi. Quindi, pur essendo esse di certo utili per comprendere i rapporti tra i terremoti e le loro cause, sono per il momento sterili ai fini della previsione.
Combinazione degli indizi

Sono di solito presi in considerazione, contemporaneamente, i seguenti dati ritenuti particolarmente utili alla previsione dei terremoti: la velocità delle onde P, il sollevamento del terreno, l'emissione di radon, la resistività delle rocce e il numero dei terremoti avvenuti in una regione. Purtroppo, solo dopo un sisma disastroso, si ritiene che certi fenomeni osservati prima potevano essere veramente dei segnali premonitori. Paradossalmente, le "previsioni" si fanno dopo l'evento, affermando che il terremoto poteva essere previsto. Un conto, però, è dire che, in linea teorica, i terremoti possono essere previsti ed  un  altro è prevederli realmente. Non è tanto l'insieme degli indizi ad essere determinante per una previsione, quanto, invece, ciò che ciascuno di essi rivela con certezza e in modo inequivocabile.

Allo stato attuale delle cose, pertanto, non solo non esistono metodi o macchine per la previsione dei terremoti, ma i tentativi fatti finora, sia che si basino su indagini meccaniche, sia geochimiche, sia statistiche, sia strumentali, hanno delle evidenti carenze sul piano delle scelte e/o su quello delle metodologie seguite, che risultano o inutili o non sicure o incomplete o basate su dati di ardua interpretazione. Nonostante molti abbiano scritto sui possibili precursori, pochi hanno tentato di attuare precise tecniche di previsione.




PROGRAMMI DI PREVISIONE
Pur essendo i risultati finora inconcludenti, è cosa estremamente positiva, comunque, che la previsione in generale sia stata presa in considerazione dalla ricerca scientifica, sottraendola alle "competenze" di astrologi e indovini.
Nei quattro paesi indicati all'inizio del presente capitolo sono stati adottati dei programmi nazionali per lo studio e la previsione dei terremoti.
Programma giapponese

In Giappone, nel 1963, fu istituita una Commissione per la previsione sismica. Il programma, più volte rivisto, ma sostanzialmente invariato, si basa sui seguenti punti:

  • Indagine sui movimenti premonitori della crosta, mediante osservazione del suolo e del livello del mare.
  • Osservazione continua della deformazione della crosta.
  • Osservazione dell'attività sismica globale (in Giappone).
  • Osservazione di modificazioni nelle velocità delle onde sismiche.
  • Controllo delle faglie in movimento e dei sistemi di pieghe.
  • Osservazione delle variazioni geomagnetiche e geoelettriche.
  • Lavoro di laboratorio e prove di frantumazione delle rocce.
  • Fondazione di centri di elaborazione dati.

Nonostante che il programma giapponese sia piuttosto ampio, l'impostazione di base è rivolta soprattutto verso i fattori meccanici, come dimostra l'ampio impiego delle risorse nelle misurazioni geodetiche, sismiche e microsismiche. I precursori non meccanici rivestono un ruolo secondario.
Programma americano

Negli Stati Uniti d'America il programma, correlato con quello giapponese, risale al 1965, ma ha trovato applicazione solo a partire dal 1973. Esso è troppo vasto per essere illustrato in questa sede, riguardando anche i rischi collegati ai terremoti, gli aspetti economici, sociali e psicologici. L'impostazione è comunque anche qui legata soprattutto ai precursori meccanici. Data però la mancanza, in America, di un'informazione storica adeguata sui terremoti, molte energie si sono consumate nel tentativo di comprendere i meccanismi geologici in atto, nella costituzione di una cartografia dei rischi da terremoto e nell'ingegneria sismica.
Programma sovietico

Nella ex-Unione Sovietica i ricercatori hanno compiuto indagini soprattutto sui cambiamenti del rapporto tra la velocità delle onde P e delle onde S, sulla resistività elettrica del terreno e delle rocce, sulle ricerche geodetiche, sullo stress delle rocce e sul contenuto di radon nelle acque sotterranee.
Programma cinese

Si dice che in Cina siano state fatte molte previsioni, in questi ultimi anni, mediante il controllo delle variazioni di livello del terreno e del campo geomagnetico, nonché perfino osservando il comportamento degli animali. Tranne, però, il felice caso del terremoto di Haicheng, non si hanno informazioni precise al riguardo e, sicuramente, non fu previsto il successivo terremoto di Tangshan (1976), che causò più di mezzo milione di vittime.




PROGRAMMI DI PREVISIONE E VARIAZIONI GEOMAGNETICHE
In ciascuno dei suddetti quattro Paesi sono state prese in considerazione le variazioni del campo geomagnetico come segnale premonitore, con risultati non uniformi tra le varie esperienze, che mantengono aperta la strada della ricerca e lasciano dubbi sulle metodologie seguite. È probabile che questa discordanza sia da attribuirsi a una mancanza di chiarezza sull'oggetto di studio, la quale ha impedito un adeguato rilevamento dei dati, e al sostanziale ruolo subordinato in cui questo specifico precursore è stato relegato.
Per quanto riguarda il Giappone, la conclusione attuale è che almeno in quel paese i disturbi di origine antropica siano troppo forti per trarre dalle variazioni geomagnetiche previsioni fondate. Però, questo tipo di ricerca è stato sicuramente trascurato, considerando che, in rete, sono stati utilizzati in tutto il territorio nazionale (almeno fino a pochissimi anni fa) soltanto 13 magnetometri, di quelli a precessione protonica. Qualche progresso è stato comunque fatto, specialmente utilizzando i magnetometri del tipo G.S.I. (Geographical Survey Institute di Tokio) per la misura delle varie componenti, e Rikitake (1987) riferisce di alcune importanti conclusioni a cui sarebbero giunti in questo Paese sul rapporto tra le variazioni geomagnetiche, da una parte, e la magnitudo e la distanza epicentrale di un sisma imminente, dall'altra.
Per quanto concerne gli Stati Uniti d'America, nel 1973 furono installate 70 stazioni magnetiche, distanti tra loro 10 ÷ 15 km, lungo le faglie di San Andreas e di Sierra, con risultati almeno in parte incoraggianti, sebbene i dati rilevati abbiano riguardato soprattutto la sola intensità totale.
Anche dall'ex-Unione Sovietica provengono dati interessanti, pur riguardando sempre la sola intensità.
In Cina è stato osservato addirittura che gli uccelli e i pesci si orientano con il campo geomagnetico, dal momento che perdono completamente l'orientamento se il campo viene artificialmente disturbato. Potrebbe essere proprio sulle variazioni del campo magnetico terrestre legate a sismi imminenti che si basa la presunta capacità di previsione sismica attribuita a certi animali.



PREVISIONE E PRECURSORI
Caratteristiche di una previsione valida

Una previsione dei terremoti, per risultare valida e attendibile, dovrebbe essere di tipo deterministico e basata su dati fisici. In ogni caso, dovrebbe presentare le seguenti caratteristiche:

  • dovrebbe indicare un arco di tempo utile, sia per predisporre i ripari, sia per evitare attese troppo lunghe, dannose sul piano socio-psicologico e su quello economico;
  • dovrebbe essere sicura, in modo che dipenda soltanto dallo stato della tecnica raggiunto il verificarsi di un terremoto non previsto o l'impossibilità di evitare falsi allarmi;
  • dovrebbe essere completa, indicando con buona approssimazione gli elementi fondamentali di un terremoto, che sono la sua zona epicentrale e la sua magnitudo. Senza questi dati non si può sapere quali siano le zone interessate al sisma e se convenga adottare misure di emergenza.

Caratteristiche di un precursore utile

Un precursore valido e attendibile dei terremoti dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:

  • dovrebbe avere peculiarità tali da poter essere sempre distinto da fenomeni analoghi non correlati con i terremoti;
  • dovrebbe presentarsi con variabili che possono essere interpretate in modo da permettere l'individuazione della zona epicentrale e la determinazione della magnitudo del terremoto imminente.


L'incidenza di fallibilità in una previsione deterministica sarà ovviamente precisabile solo dopo anni di osservazione e sperimentazione in varie zone sismiche e dipenderà dal livello tecnologico raggiunto nell'isolamento e nell'utilizzazione dei precursori. Il margine di errore risulterà comunque sempre piccolo e trascurabile, in un bilancio dei vantaggi e degli svantaggi.

 

 

LO STUDIO DEI TRACCIATI SISMICI

I tracciati sismici si ottengono grazie a particolari sensori in grado di registrare i movimenti tellurici. I sensori possono essere di tipo diverso, ma si basano pressoché tutti sul principio del pendolo. I sensori possono essere a pendolo verticale, a membrana o a braccio orizzontale. I sensori a pendolo verticale generalmente possiedono una sensibilità di circa 2000/2500 Km., diversamente i sensori a braccio orizzontale riescono a registrare sommovimenti tellurici, di tutto il pianeta purché questi siano superiori almeno al 5° grado della scala Richter, ovvero di magnitudo 5. I sensori a membrana, chiamati anche geofoni, invece sono particolarmente sensibili ai movimenti tellurici locali. I sensori, per ogni postazione generalmente in numero di almeno tre, sono posizionati l'uno perpendicolare all'altro, in modo da percepire le onde provenienti dalla direzione Est-Ovest e Nord-Sud, l'ultimo sensore percepisce i movimenti verticali. I terremoti quindi possono diventare “visibili” attraverso la memorizzazione dei tracciati dei sensori registrati su carta o supporto magnetico assistito da computer. Mediante questo metodo é quindi possibile studiare le caratteristiche principali delle onde sismiche rilevate.

 

Le onde sismiche che giungono ai sensori dei sismografi sono principalmente di quattro diversi tipi:

  • le onde P o primarie – sono quelle onde che partendo direttamente dall'ipocentro, raggiungono per prime i sensori attraversando gli strati profondi della crosta terrestre e pertanto riescono a viaggiare ad una velocità superiore rispetto alle altre onde emesse. Queste onde viaggiano comprimendo e dilatando le rocce che attraversano;

 

  • le onde S o secondarie – sono quelle che raggiungono il sensore dopo un certo periodo di tempo dipendente dall'ipocentro del sisma. A differenza delle onde primarie, che comprimono e dilatano, si muovono con un movimento simile al movimento di una frusta. Viaggiano più lentamente rispetto alle onde primarie e perciò confrontando i tempi di arrivo tra le onde primarie e le onde secondarie è possibile determinare la distanza del sensore dall'epicentro;

 

  • le onde di Love - sono onde che si muovono sugli strati superficiali della crosta terrestre e quindi vengono attenuate in modo più o meno evidente a seconda del tipo di terreno sul quale si trasmettono;

 

le onde di Rayleight – sono onde che generano un movimento di scuotimento facendo ruotare l'intero globo con moto ellittico.
Le onde sismiche sopra descritte non sono facilmente individuabili sui normali tracciati sismici, in quanto questi descrivono i movimenti come somma degli affetti dei vari tipi di onda.
Le onde sismiche si propagano all'interno della Terra con modalità e percorsi diversi. Esistono pertanto delle zone del globo, in particolare una fascia ad anello posta nella relativa vicinanza degli antipodi, rispetto al punto di epicentro del sisma, che le onde primarie non riescono a raggiungere. Questa zona ad anello viene chiamata zona d'ombra delle onde P (primarie).
Da una postazione sismica è quindi possibile determinare la distanza della postazione dall'epicentro, interpolando i dati di tre postazioni relativamente distanti, è possibile individuare l'epicentro sovrapponendo i cerchi di distanza calcolati dalle basi.
Dallo studio dei primi movimenti registrati sui tracciati inoltre, è possibile comprendere se il terreno sul quale è posta la stazione sismica è sottoposto a compressione o trazione.
Il sensore sismico posizionato parallelamente alla trasforme, registrerà quindi dei tracciati, dall'analisi dei quali sarà possibile determinare se il punto sul quale insiste il sensore è posizionato nel tratto di placca sottoposta a trazione o a compressione e quindi indirettamente indicando la direzione in cui si trova l'epicentro.
Il posizionamento dei sensori sismici è particolarmente importante nello studio delle onde sismiche. Essi devono essere posti in punti sufficientemente distanti da disturbi provocati da eventi estranei ai sismi.
I sensori posizionati in superficie, dovrebbero preferibilmente essere posizionati in corrispondenza di strati saldi di roccia.
Gli strati di terreno sottostanti ai sensori possono anch'essi contribuire in modo determinante allo studio dei tracciati. Strati di terreno deposizionale, o sedimentario, non uniformi come flysh, oppure ghiaiosi, tendono ad attenuare la trasmissione delle onde sismiche e a produrre rumore di fondo facilmente individuabile sui tracciati.

 

I DISASTRI IN ITALIA

Dal punto di vista morfologico, il nostro Paese presenta una situazione particolarmente difficile: su una superficie complessiva di 301.000 chilometri quadrati, ben 106.000 sono occupati da montagne e altri 125.000 chilometri quadrati sono occupati da colline; le aree di pianura sono, quindi, poco più di 70.000 chilometri quadrati, appena il 23 per cento del territorio nazionale. Questa situazione fa sì che buona parte del territorio italiano risulti esposto al rischio alluvionale; nel Veneto, ad esempio, il 15,66% del territorio (dove risiede il 24,79 della popolazione) é esposto ad inondazioni; in Toscana questa percentuale é del 13,60 (15,65 della popolazione), in Emilia Romagna é dell’ 11,23 (14,98 della popolazione). Buona parte del territorio italiano conosce, inoltre, un progressivo e notevole corrugamento e sollevamento, soprattutto nella dorsale appenninica.
Questo fa sì che i rilievi siano particolarmente "giovani", non del tutto "plasmati" dagli agenti atmosferici e, quindi, particolarmente soggetti ad un'opera di erosione e demolizione intensa, per effetto dell'azione combinata di piogge, venti, gelo, corsi d'acqua, ghiacciai... Per completare questo quadro, bisogna accennare alle particolari condizioni meteorologiche che caratterizzano il nostro paese. Se all'Italia sono risparmiati disastri meteorologici come i colossali uragani che si abbattono in Asia o nel golfo caraibico, il regime delle piogge, in Italia, non può certo dirsi tranquillo. Grazie alla particolare posizione geografica della nostra penisola e soprattutto alla sua conformazione montuosa, piogge intense e concentrate in brevi periodi creano le premesse per rovinose alluvioni e frane, soprattutto nelle Alpi Orientali, in Sardegna e lungo il versante tirrenico.
Ad aggravare questa situazione, sono intervenuti particolari processi legati alle vicende politiche ed economiche della storia italiana. Primo tra tutti l'emigrazione che ha spopolato le aeree interne e i dissesti idrogeologici,  i gravissimi problemi ambientali, il sovraffollamento delle aree costiere e padane... sono tutti problemi che affliggono, in maniera gravissima il territorio italiano e che possono essere fatti risalire ad un perverso processo economico e politico di cui l'esodo dal Mezzogiorno (3 milioni di emigrati nel solo decennio 1961-71) o l'abbandono delle campagne (4 milioni di unità lavorative in meno, dal 1951 al 1971) o la crescita abnorme delle aree metropolitane (che passano da 3 a 13 milioni di abitanti, dal 1951 al 1971) sono solo le più vistose tappe di un processo di compromissione del territorio la cui gravità comincia, solo oggi, ad essere percepita da vasti strati della popolazione.
Ma accenniamo ad altri aspetti della vulnerabilità territoriale italiana; tra questi una certa rilevanza é data dalle fluttuazioni climatiche. In Italia, risultano essere rare le escursioni termiche come, ad esempio, quelle conosciute, annualmente, da numerose metropoli statunitensi (picchi termici come +42, gradi in estate, o -22 gradi in inverno, sono abbastanza frequenti in città come New York o Chicago). Da questo, comunque, ne consegue che le metropoli italiane sono del tutto impreparate ad affrontare situazioni climatiche definite "eccezionali", ma che si ripropongo, in effetti, mediamente, ogni trent'anni. Il collasso dei trasporti e, quindi, degli approvvigionamenti (verificatosi, nel gennaio 1986, e durato, per fortuna, solo pochi giorni) a seguito del gelo che paralizzò il traffico ferroviario in numerose stazioni (tra le quali gli importantissimi scali di Roma e Milano) e che bloccò numerosi assi stradali, fa testo a riguardo.
Estremamente alta risulta, poi, la vulnerabilità del territorio italiano ad eventi tettonici. Attraversato da numerose faglie sismiche, il nostro paese é caratterizzato da un’ alta sismicità. Come già detto, si tratta, per lo più, di terremoti che presentano un "periodo di ritorno" abbastanza lungo e che non permettono, quindi, lo strutturarsi di una "memoria storica" tra le popolazioni. In pratica, i terremoti finiscono per colpire una popolazione del tutto impreparata ad affrontarli. Da questo punto di vista, anche terremoti con una magnitudo di certo non paragonabile ai colossali sismi che sconquassano vastissime zone costiere dell'Oceano pacifico hanno (anche per la particolare conformazione geologica ed urbanistica del territorio italiano) provocato, nel nostro paese, moltissimi danni e vittime. A questo si aggiunga la presenza di numerosi vulcani: tutta la dorsale tirrenica della penisola italiana é costellata da complessi vulcanici (i Monti Sabatini, i Colli Albani, i Campi Flegrei, il complesso Somma Vesuvio) che hanno eruttato in un periodo geologico relativamente recente. Queste regioni, al pari dell'area etnea, anche per via dell'eccezionale fertilità del suolo, prodotta dai materiali piroclastici eruttati, conoscono antichi insediamenti urbani e risultano, ancora oggi, densamente popolate.

 

2002 - TERREMOTO IN MOLISE

 

Alle ore 16.08 del 31 ottobre 2002, l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia registra una scossa sismica di magnitudo 5.3, pari all'8° della scala Mercalli, con epicentro tra le località di Casacalenda, Sant’Elia a Pianisi e a Colletorto.

La scossa principale è stata seguita da numerose repliche, le più forti delle quali si sono verificate alle 16.20, con magnitudo 4.1 (6° Mercalli) e alle ore 18.21 con magnitudo 3.8 (5° Mercalli).
A causa degli eventi, si sono verificati ulteriori crolli a Castellino sul Biferno, dove sono state interessate circa 50 abitazioni e la chiesa parrocchiale, a Bonefro ed a S. Giuliano di Puglia, un solaio a Termoli e numerose lesioni a Campobasso.
E’ stata disposta, pertanto, l'evacuazione dei centri abitati di S. Giuliano e Montelungo.
Sul posto, sono intervenuti 600 Vigili del Fuoco con oltre 150 mezzi provenienti dal Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia, Marche, Umbria, Calabria, Basilicata oltre al personale V.d.F. del Molise.
Sono state inviate al Campo Base dei Vigili del Fuoco di S. Croce di Magliano ed a S. Giuliano di Puglia, nove autobotti provenienti dalla Puglia e dalla Campania per i rifornimenti idrici.
I Vigili del Fuoco hanno allestito delle tendopoli a Montelongo, Montorio nei Frentani, S. Croce di Magliano, S. Giuliano di Puglia, Rotello, Colletorto e Ripabottoni.

 

Superficie interessata dall'evento sismico:
-
1000 kmq circa

Comuni coinvolti con danni rilevanti:
1) S. Giuliano di Puglia
2) S. Croce di Magliano
3) Larino
4) Bonefro
5) Montelongo
6) Colletorto
7) Casacalenda
8) Montorio

Risorse presenti sul territorio:
- 105 unità dei comandi  dei vigili del fuoco di Campobasso  ed Isernia
- 50 mezzi

Sono state inviate a supporto:
-35 sezioni operative da 7 regioni
- 320 uomini
- 3 elicotteri del corpo dei vigili del fuoco
- 153 mezzi

Totale interventi effettuati sino alle 20:30 del 1 novembre
- 535


Interventi di Rilievo:
Ricerca, recupero e salvataggio di persone coinvolte nel crollo di un edificio scolastico ubicato nel corso Vittorio
Emanuele di S. Giuliano di Puglia.
Dati significativi:
- 62 persone coinvolte
- 35 estratte vive
- 27 corpi recuperati

 

VESUVIO: LA CATASTROFE ANNUNCIATA

La violenza di un'eruzione dipende sostanzialmente dalla composizione del magma. Gran parte dei 600 vulcani attivi della Terra è caratterizzata da un magma povero di silice: insieme ai gas, esso sgorga liberamente da fenditure nella roccia. Non è così per il Vesuvio: il magma, ricco di silice, esplode affiorando in superficie. Nonostante la loro violenza, anche le eruzioni del Vesuvio hanno provocato pochissime vittime, eccezion fatta per quelle del 79 d.C. e del 1631. Non è un caso: queste date, infatti, inaugurano un nuovo ciclo vulcanico dopo un periodo di quiete durato secoli; in altre parole, queste due eruzioni trovarono la popolazione completamente impreparata ad affrontarle. L'eruzione del 79 d.C. è emblematica di quanto stiamo dicendo.
Agli inizi dell'anno 79 dopo Cristo, gli abitanti di Pompei cominciano a osservare strani bagliori sulla sommità del Vesuvio: verosimilmente, solo qualcuno li collega con i frequenti terremoti che, ormai, da 16 anni, stanno martellando la zona, e solo qualcuno ricorda Strabone, o Diodoro Siculo che, un secolo prima, affermavano che il Vesuvio fosse un vulcano. Queste preoccupazioni passano, tuttavia, in secondo piano in quella che è una delle città più prospere e frenetiche dell'Impero Romano: 25.000 residenti, migliaia di forestieri, 118 taverne, centinaia di negozi, un anfiteatro con 16.000 posti, quattro mercati, decine di bordelli e altrettante bische, un porto sempre strapieno di navi provenienti dalla Libia, dall'Egitto, dalla penisola Iberica, cariche di spezie, d'argento, di tessuti, di schiavi, strade lastricate, archi trionfali, terme, ville più sfarzose di quelle di Roma, superbi affreschi, il tempio di Giove, di Iside, d'Ercole, di Apollo… Pompei la grande. Pompei dell'immensamente ricco banchiere Gaio Quinto Balbo. Pompei la crapulona, osannata da Marziale…
È sopra questa Pompei che, il 24 agosto del 79 d.C., si erge, dalla sommità del Vesuvio, il simbolo della catastrofe: l'enorme nube nera a forma di pino. Sedici anni più tardi, nel 95 d.C., lo storico latino Tacito scriverà all'amico Plinio Cecilio Secondo per avere notizie "di prima mano" sulla sorte di Gaio Plinio Secondo, l'insigne naturalista e ammiraglio della flotta a Miseno, del quale l'amico era nipote. La risposta di Plinio Cecilio, i ritrovamenti archeologici e le analisi geologiche hanno permesso di ricostruire, con esattezza, ciò che avvenne alle falde del Vesuvio, in quell'agosto tremendo del 79 dopo Cristo. La nube nera, composta di ceneri e lapilli, non più sostenuta dall'impeto dell'eruzione, "crolla" addosso ai fuggitivi, gettando nelle tenebre i terrorizzati pompeani.
"Si fece notte. Non però come quando non c'é luna, o il cielo è ricoperto, ma come a luce spenta, in ambienti chiusi" scriverà a Tacito Plinio Cecilio "Avresti potuto sentire i cupi pianti disperati delle donne, le invocazioni degli uomini: alcuni con le grida cercavano di richiamare ed alle grida cercavano di rintracciare i genitori, altri i figli, altri i coniugi rispettivi; gli uni lamentavano le loro sventure, gli altri quelle dei loro cari; taluni per paura della morte si auguravano la morte. Molti innalzavano le mani agli dei; nella maggioranza si formava, però, la convinzione che ormai gli dei non esistessero più e che quella notte sarebbe stata eterna e l'ultima del mondo"
Poi, da questa nube, cominciano a cadere anche pietre corrose dal fuoco, mentre violenti terremoti scuotono la città. Il movimento della terra è tale, dirà Plinio Cecilio, che i carri non riescono ad avanzare, mentre le navi, trovando i fondali improvvisamente innalzati, s'insabbiano senza riuscire a salpare.
In preda alla disperazione, la popolazione di Pompei s'incammina verso Nocera. In città restano i vecchi, i malati, gli schiavi e i cani incatenati: moriranno tutti entro poche ore, con i polmoni pieni di ceneri o soffocati dai gas che esalano dal materiale eruttato. Il giorno dopo, il vulcano sembra essersi acquietato: scomparsa la nube, il cielo torna a essere terso mentre lontani boati sotterranei sembrano indicare il passato pericolo. Ma è solo l'inizio della fine. A qualche chilometro di profondità, enormi masse di magma, estremamente viscoso e ricchissimo di gas, stanno per entrare in attività: di lì a poco, dall'interno del condotto vulcanico saranno "sparate" verso l'alto a una velocità quasi doppia di quella del suono, e formeranno una colonna di materiale piroclastico alta 30 chilometri. Nell'area vesuviana, intanto,  tutto sembra tranquillo. Questo spinge la popolazione di Pompei a rientrare nelle proprie abitazioni, forse per recuperare i beni abbandonati durante la fuga precipitosa, o qualche moneta d'oro, un pezzo di pane, un panno… Poi, l'esplosione. In pochi secondi, la città di Pompei viene investita dal surge: una nube ardente composta da ceneri, pomici e gas, viene vomitata dalla sommità del cratere.
"Una nube nera, terrificante, lacerata da lampeggianti soffi di fuoco che si esplicavano in linee sinuose e spezzate; si squarciava emettendo fiamme dalla forma dei fulmini; avevano l'aspetto dei fulmini ma erano più grandi"
La descriverà Plinio Cecilio che osservava il fenomeno a più di 20 chilometri di distanza.
La sorte per i Pompeiani è segnata. Verosimilmente, i loro ultimi attimi sono identici a quelli vissuti dagli amici di Léon Compere-Léandre, uno dei due soli sopravvissuti al disastro vulcanico di Saint Pierre:
"Stavo seduto sulla soglia della mia casa quando sentii soffiare un vento terribile, la terra cominciò a tremare e il cielo si oscurò. Mi girai, e con enorme difficoltà superai i tre scalini che mi separavano dalla stanza. Sentivo le braccia, le gambe, tutto il corpo che bruciava. Mi lasciai cadere su un tavolo. Nello stesso momento altre quattro persone cercarono rifugio nella mia stanza contorcendosi e piangendo per le ustioni, sebbene sembrasse che i loro vestiti non fossero toccati dalle fiamme. Io mi alzai ed entrai in un'altra camera dove trovai il signor Delavaud disteso sul letto, morto. Era paonazzo, tutto gonfio, ma i suoi vestiti erano intatti. Mi sembrò d'impazzire e sopraffatto mi buttai sul letto, inerte, ad aspettare la morte. Ritornai in me un'ora dopo quando vidi il letto in fiamme. Con le poche forze che mi rimanevano, le gambe sanguinanti e coperto di ustioni, mi incamminai lontano da Saint-Pierre".
E questo accadeva a 8 chilometri di distanza dal cratere vulcanico. Le persone più prossime all'origine della nube, invece, non hanno avuto nemmeno il tempo per soffrire: dei loro corpi non è rimasto più nulla. A Saint Pierre, come a Pompei, in un'area vastissima, non si è ritrovata neanche una scheggia di legno. Un destino altrettanto atroce è riservato agli abitanti di Ercolano: il lahar. All'eruzione vulcanica, infatti, seguono spesso piogge torrenziali, la cui formazione viene determinata dalla presenza, nell'atmosfera, di innumerevoli nuclei di condensazione. Sotto l'azione convergente dell'acqua piovana e dei terremoti che ancora scuotono il vulcano, i depositi piroclastici incoerenti, accumulatisi lungo le pendici del Vesuvio, scivolano a valle, in una valanga inarrestabile che travolge la città di Ercolano.
Tutto viene sepolto da 25 metri di fango. Scompare, così, la Villa dei Papiri, scompare l'anfiteatro, scompare la basilica. Scompaiono migliaia di abitazioni, 15.000 abitanti, le strade, il porto, la cultura di una delle più raffinate città dell'Impero Romano. A differenza dei Pompeiani, gli Ercolanesi sanno che stanno per morire: vedono che il fiume di fango che da ore scorre dal Vesuvio tra non molto, li sommergerà per sempre. E cercano la fuga per mare. La zona dove sorgeva il porto apparirà agli archeologi, 19 secoli dopo, disseminata di scheletri che si accalcano intorno a una barca. Non abbiamo testimonianze scritte sulla distruzione di Ercolano ma, forse, le parole di qualche scampato al disastro non sarebbero state molto diverse da quelle di Diego Guzman, uno dei pochi sopravvissuti della città di Armero, seppellita, il 13 dicembre 1985, dal lahar, prodotto dall'eruzione del Nevado Ruitz:
"Eravamo riuniti a tavola per la cena quando sentimmo il boato, l'arrivo della valanga. Sono corso alla porta e lì la piena mi ha sorpreso. Era un fiume caldo e gommoso. Aggrappandomi alla porta per non essere travolto, ho visto il muro della mia casa dapprima inflettersi poi crollare addosso alla mia famiglia. In un attimo li ho visti spazzati via da un'onda nera. Disperatamente ho afferrato la mano di mia figlia. Poi anche io sono stato portato via dalla furia del fango. Sono stato estratto 2 chilometri più a valle. Avevo tutte le ossa fratturate ma continuavo a stringere la mano di mia figlia. Ma mia figlia non c'era".

 

 

Fonte: http://xoomer.virgilio.it/galile/word_file/tutto%20v%20f.doc

Sito web da visitare: http://xoomer.virgilio.it/galile/

Autore del testo: Gli alunni che hanno partecipato al progetto sono:

BORZILLO G., CAPITANIO A., CAPORASO P., CIAVATTONE M., CORRADO A., COVINO P., CUSANO F., DE MARTINO G., DEL PRETE C.,FIERRO E., FRANZESE G.,FURNO A.,

MIGNONE F., POSSEMATO F., ZOLLO N., ZULLO G.

 

Nota : se siete l'autore del testo sopra indicato inviateci un e-mail con i vostri dati , dopo le opportune verifiche inseriremo i vostri dati o in base alla vostra eventuale richiesta rimuoveremo il testo.

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