Forme del discorso

 

 

 

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Forme del discorso

Le tecniche di rappresentazione dei pensieri e delle parole dei personaggi sono varie e assai indicative delle modalità di narrazione preferite dall’autore. Esse vengono qui di seguito riportate.
Discorso diretto: il narratore riporta le parole del personaggio in forma diretta (prima persona), cedendogli la parola e limitandosi ad introdurre il suo discorso con un verbo dichiarativo. Se quest’ultimo manca, si ha il discorso diretto libero che ha un effetto di maggior immediatezza.
Es.: "La fante disse: "Ella vuole che voi vegniate a cavallo…" (Dal Novellino).
Es.:"Ma dì su, dunque". "Io non posso più esser meglio di quel poverino!" (da A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXVI).
Discorso indiretto: il narratore riferisce la parole del personaggio in maniera più o meno arbitraria in forma indiretta (terza persona), facendole dipendere da un verbo dichiarativo. Es.: "Ei diceva che la razione di busse non gliel’aveva levata mai il padrone, ma le busse non costavano nulla" (da Verga, Rosso Malpelo).
Discorso indiretto libero: il narratore recupera la voce del personaggio, ma in terza persona, senza interrompere il testo con un verbo dichiarativo e senza le virgolette; tale forma riporta molte tracce del discorso vivo, originario (esclamazioni, interrogazioni, espressioni del parlato) secondo l’immediatezza del discorso diretto; però, a differenza dell’analisi esterna propria del dialogo, approfondisce meglio alcuni tratti interiori (culturali, psicologici, come in Verga e Pirandello) del personaggio (perché passa attraverso la mediazione dell’autore). Il discorso indiretto libero comporta pertanto una cooperazione tra narratore e punto di vista del personaggio.
Es.: Ne Il treno ha fischiato, Pirandello dopo la descrizione di una notte insonne, del protagonista, che all’improvviso aveva udito il fischio lontano di un treno, scrive: "[…] ed era corso col pensiero dietro a quel treno che si allontanava nella notte. C’era, ah!, c’era fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c’era il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s’avviava … Firenze, Bologna, Torino, Venezia … tante città in cui da giovane era stato e che ancora, certo, in quella notte sfavillavano di luci sulla terra".
Discorso raccontato: il narratore riassume sommariamente le parole del personaggio con oggettività e distacco. Es.: "Renzo […] domandò dell’abitazione del dottore, gli fu indicata e v’andò" (Manzoni, op. cit., cap. III).
Monologo: il personaggio si rivolge a se stesso, ponendosi contemporaneamente come emittente e ricevente del messaggio; non c’è la mediazione dell’autore, che solo trascrive le parole come fossero una confessione. Il monologo predilige il presente e le forme infinitive. Es.: "se quell’altra vita di cui mi hanno parlato quand’ero ragazzo, di cui parlano sempre come se fosse cosa sicura; se quella vita non c’è, se è un’invenzione dei preti, che fo io? perché morire?" (da Manzoni, opera citata, cap. XXI).
Soliloquio: il personaggio parla in maniera elementare a se stesso, rivolgendosi ad un interlocutore non presente. Es.: "Io fare il diavolo! Io ammazzare tutti i signori! Un fascio di lettere io! […] Pagherei qualche cosa a trovarmi a viso a viso con quel mercante […] e domandargli con comodo dov’abbia pescate tutte quelle belle notizie" (da Manzoni, op. cit., cap. XVII).
Monologo interiore: è un discorso non pronunciato e senza ascoltatori. Il personaggio in prima persona esprime fra sé e sé i pensieri più nascosti, spesso per associazione di idee e quindi con un ordine non rigorosamente logico. Non c’è la mediazione del narratore, come accadeva nel discorso indiretto libero, che era in terza persona, ma, come quest’ultimo, manca del verbo introduttivo di comunicazione. È spesso condotto su diversi piani temporali del passato e del presente, è ricco di interrogative, esclamazioni e consiste in ricordi, riflessioni, domande. Il tempo del racconto è rallentato, si estende a dismisura, anche se accade poco o nulla.
Es.: "Era un’ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l’accompagnarono […] Quest’ultima sigaretta significava proprio il desiderio di attività (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo […]. Adesso che sono qui, ad analizzarmi, son colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto le sigarette per poter riversare su di esse la colpa delle mie incapacità? Chissà se, cessando di fumare, io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo?" (da Svevo, La coscienza di Zeno, Il fumo).
Flusso di coscienza: è una forma di monologo interiore che riporta in superficie in modo immediato la sfera dell’inconscio. Esso registra il flusso alogico e frammentario di pensieri, immagini, sensazioni del personaggio, senza segni d’interpunzione e senza connettivi logici. È tipico della narrativa anglo-americana.

Es.: "Un bel sollievo dovunque si sia non tenersi l’aria in corpo chissà se quella braciola di maiale che ho preso col té dopo era proprio fresca con questo caldo non ho sentito nessun odore sono sicura che quell’uomo curioso del norcino è un gran furfante spero che quel lume non fumi […]" (J. Joyce, Ulisse).

 

Fonte: http://vgg.labcad.di.unimi.it/cbus/webscu/2005/ABBA-BALLINI/didattica/prima_prova/guida/forme_discorso.doc

Sito web da visitare: http://vgg.labcad.di.unimi.it/cbus/

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