Risoluzione immagini digitali e colori

 

 

 

Risoluzione immagini digitali e colori

 

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La risoluzione dell'immagine e la profondità di colore

 

Per determinare il rapporto tra qualità delle immagini e dimensione del file in funzione dell'uso che ne vogliamo fare è importante capire i concetti di risoluzione dell'immagine e della profondità del colore.

 

La risoluzione dell'immagine

 

Le immagini digitali sono formate da piccoli rettangoli colorati che si chiamano pixel: questo termine è l'abbreviazione di picture element, che, tradotto in italiano, vuol dire elemento di immagine. Per vedere distintamente i pixel che compongono un'immagine digitale a colori basta ingrandirla, usando la funzione di zoom di un qualsiasi programma di fotoritocco, oppure abbassando la risoluzione dello schermo. Vedremo così come ad ogni pixel corrisponde un colore diverso; rimipicciolendo l'immagine invece sembra che questi si fondano in aree simili, creando sfumature, ombre, aloni.
Un concetto legato ai pixel è quello di risoluzione. Per risoluzione dell'immagine si intende il numero di pixel contenuti in ciascun pollice (unità di misura di spazio usata nel mondo anglosassone), indicata dall'abbreviazione "ppi" che in inglese significa appunto pixel per inch. La risoluzione determina il dettaglio di un'immagine. Più il numero di pixel per pollice è alto, più l'immagine è nitida. Un altro fattore da tenere presente è che la risoluzione si misura in pixel per pollice lineare e non pollice quadrato. Ad esempio: un immagine ad una risoluzione di 72 ppi avrà 72 pixel in orizzontale e 72 pixel in verticale, che corrispondono a 5184 pixel per ogni pollice quadrato dell'immagine.
Per capire di quanti pixel deve essere composta un'immagine digitale dobbiamo sapere innanzitutto a chi e dove vogliamo mostrarla. Se ad esempio vogliamo utilizzare un'immagine all'interno di una pagina Web, la risoluzione applicata non può essere diversa di 72 o 96 ppi, perché la maggior parte dei monitor non è predisposta per visualizzare un numero maggiore di pixel per pollice. Ma se l'immagine deve essere stampata, per ottenere la migliore qualità possibile, è utile aumentare la risoluzione in funzione di quella supportata dalla stampante che dovrà riprodurla. Per una stampante a getto d'inchiostro possiamo stare tra i 150 e i 300 pixel per pollice, mentre per una stampante laser possiamo raggiungere i 600/1200 pixel per pollice. In ogni caso bisogna leggere attentamente le informazioni solitamente riportate sul manuale della stampante che usiamo.

 

La profondità di colore

La profondità di colore di un'immagine, detta anche profondità di bit, determina tanto la dimensione del file che l'intervallo dinamico (sfumature) dalle zone scure a quelle chiare, nonché il numero massimo di colori presenti.
Le immagini al tratto o bitmap sono costituite solo da pixel bianchi e neri. Ogni pixel contiene solo 1 bit di informazione e proprio per questo la dimensione del file è la più contenuta. Possiamo pensare che solo con questi due colori a disposizione le immagini non saranno di buona qualità. Invece aumentando la risoluzione (fino a 1.200 ppi) indipendentemente dalla risoluzione della stampante, potremo ottenere un'immagine molto dettagliata. Questo tipo di soluzione è molto adatta per la composizione di quei giornalini scolastici che in genere vengono fotocopiati.
Le immagini in mezza tinta o a toni di grigio (8 bit) riproducono le tonalità e le sfumature utilizzando 256 toni di grigio. Ogni pixel contiene 8 bit di informazione, per questo motivo i file sono otto volte più grandi delle immagini al tratto.
Le immagini in scala di colore (8bit) utilizzano una riproduzione limitata a 256 colori. La dimensione del file è la stessa delle immagini a toni di grigio. Le immagini in scala di colore solitamente vengono utilizzate all'interno di ipertesti o pagine web e in generale se devono essere visualizzate sul monitor del computer. Se invece dovessimo stamparle o modificarle con un programma di fotoritocco, le immagini devono essere convertite in modalità RGB o CMYK.
Le immagini RGB (24 bit) riproducono fino a 16,7 milioni di colori disposti in tre canali a 8 bit (256 colori per canale). Le dimensioni del file di un immagine in questa modalità sono 24 volte più grandi dei file al tratto e 3 volte più grandi di quelle in scala di colore e a toni di grigio.
Le immagini CMYK (32 bit) sono memorizzate in modo tale da risultare divise in quattro colori e quindi predisposte per le stampanti che utilizzano questa modalità. I bit di profondità sono uguali a quelli dell'RGB (8 bit - 256 colori per canale), ma la dimensione del file è maggiore di 1/3 perché contengono in più il canale del nero.
Nel prossimo articolo parleremo dei diversi formati dei file di immagine e le relazioni di ognuno di essi con la profondità del colore.

 

Tavolozze

Come prima cosa, apriamo una parentesi: anche se gli appassionati di design (ai quali questo sito è principalmente rivolto) probabilmente avranno il monitor in ottime condizioni di funzionamento e settato alla massima risoluzione cromatica possibile, per il semplice curioso questo potrebbe non essere vero. In questo caso è allora necessario fare subito un bel test del sistema video (che ho trovato in Web Page Design for Designers, come il resto di questa pagina) rispondendo ad una domanda: tra il quadratino nero (0%) e quello blu (100%), vediamo quattro sfumature intermedie ben definite?
Se la risposta è no, prova a regolare la luminosità o il contrasto del monitor (e la gamma, se usi MacOs). Non funziona, o addirittura non sembrano neanche dei blu? Allora sono guai. Se usi Mac, il tuo monitor ha certamente dei problemi, visto che dovresti avere gli strumenti per regolarlo correttamente; se invece usi un PC, il tuo monitor è guasto o comunque decisamente da sostituire con uno più moderno.
Se il tuo monitor è OK, andiamo avanti e parliamo di palettes, iniziando dalla fondamentale differenza nel modo in cui i colori vengono trattati dal MacOS e da Windows. Ad ogni colore dei 256 supportati da un GIF può essere assegnato uno dei 16.777.216 possibili valori nello 'spazio cromatico' RGB; per questioni legate all'interfaccia utente, i due sistemi non si comportano allo stesso modo.
La palette standard Mac di sistema (il GIF qui a sinistra) ha due colori - il bianco e il nero - che non possono essere cambiati in quanto usati dall'interfaccia, e per questo sono detti 'riservati'; tutti gli altri colori sono rimappabili in assoluta libertà.
Questa è invece una tipica palette di Windows 95; inizia con il nero e termina col bianco, e i primi e gli ultimi dieci colori sono riservati: i 16 VGA più 4 SVGA (giallo chiaro, verde chiaro, blu chiaro e un grigio medio). Gli altri 236 sono rimappabili. Questa palette non è rigida come quella MacOs, ma solo quella di default, e cambia ogni volta che l'utente visualizza un'immagine che usa una palette differente.
In entrambe le piattaforme è quindi possibile creare GIF con tavolozze adattive ottimizzate; per un mare, ad esempio, la tavolozza si adatterà per contenere principalmente dei blu, mentre un tramonto avrà una tavolozza composta da toni di giallo e rosso.
Quando uno schermo a 8 bit mostrerà il mare, la tavolozza usata per l'intero schermo cambierà (fatta eccezione per i colori 'riservati'). In questo modo uno sfondo che in origine era, mettiamo, un verde 'non riservato', diventerà probabilmente un blu, dal momento che nel posto occupato da quel verde all'interno della tavolozza ora ci sarà, appunto, un tono di blu.
Allo stesso modo, se nella stessa pagina web si trovano le due foto di cui sopra e subito dopo l'immagine del mare si trova quella del tramonto, anche quest'ultimo verrà mostrato in toni di blu, perché lo schermo può usare solo una tavolozza 'ottimale' per volta.
L'immagine qui a sinistra rappresenta il sistema per superare queste difficoltà: la benedetta tavolozza 'sicura' ('safe palette') per creare immagini a 8 bit che vengono mostrate esattamente come sono.
Il tuo browser risolve infatti il problema rimappando il GIF sulla sua propria tavolozza, infischiandosene della tua palette adattiva che faceva così bello il tuo tramonto o il tuo mare. Aver usato da subito questa tavolozza, a questo punto, avrebbe certo portato a migliori risultati, se non altro perchè ci avrebbe risparmiato la brutta sorpresa della rimappatura.
Questa tavolozza si basa su incrementi di RGB del 20% (ricordate il test ad inizio pagina...) che portano a costruire una palette di dimensioni 6x6x6. I 216 colori usati sono quindi i colori 'sicuri', e daranno buoni risultati su tutti gli schermi a 8 bit, mentre gli altri colori verranno ottenuti attraverso il dithering (e saranno quindi peggiori).
Naturalmente i 216 colori sicuri potrebbero non essere abbastanza per le nostre necessità; ecco quindi che viene utile un suggerimento datoci da Ben Summers nell'editoriale del dicembre 98 di Web Page Design for Designers.
I due quadrati di sinistra e di destra sono due rossi sicuri adiacenti (rispettivamente 255,0,0 e 204,0,0), mentre il quadrato nel centro è ottenuto con un 'pattern' (visibile nell'ingandimento di sotto) che, a risoluzioni adeguatamente elevate, crea l'illusione di un colore 'intermedio', anch'esso sicuro.
Prima di concludere, ribadisco il concetto base: tutte queste preoccupazioni sono assolutamente inutili se siete certi che i visitatori del vostro sito abbiano settaggi video maggiori di 8 bit.

Spazio cromatico

 

Metodo matematico usato per definire la modalità con cui il colore viene rappresentato in un’immagine. Gli spazi cromatici più comuni sono l’RGB (Red, Green, Blue=rosso, verde, blu), che ha una profondità di 24 bit ed è usato correntemente nella televisione, e il CMYK (Cyan, Magenta, Yellow, Black= ciano, magenta, giallo, nero) che ha una profondità di 32 bit ed è usato per le illustrazioni a stampa.

 

La Gestione del Colore

 

Fiat Lux, disse il Creatore, e da allora sono cominciati i guai per tutti coloro che si sono interessati alla qualità delle immagini a colori. Il vero problema non é tanto il fatto che Dio abbia creato uno spettro così ampio, ma che ci abbia anche dotati di un apparato visivo sensibile molto acuto e assai adattabile. La combinazione di questi due fattori rende quasi impossibile creare immagini digitali in grado di riprodurre anche solo lontanamente gli effetti di luce del mondo reale. Il termine "Gestione del Colore" poi é noto per incutere paura anche ai professionisti di Photoshop e anche i caratteri più fermi si comportano come un branco di elefanti chiusi in una sauna. Non é esagerato affermare che questo argomento é forse quello di più difficile comprensione nella grafica computerizzata e in qualcuno emerge l'illusoria convinzione che calibrando il proprio monitor sia possibile visualizzare colori perfetti, in realtà non é possibile perché i colori prodotti dall'hardware, sono bersagli mobili; il ruolo di Photoshop consiste nella conversione da un bersaglio a un altro. Per quanto detto, il primo e principale elemento per la Gestione del Colore é l'identificazione del monitor, dobbiamo spiegare le fobie del nostro monitor a Photoshop in modo che ne possa tenere conto, inoltre ci consente di utilizzare contemporaneamente più spazi di colore specifici dei profili, elemento utile per gli artisti che creano alternativamente immagini per la stampa e per il Web, e di specificare esattamente cosa fare con le immagini che non dispongono di profilo. Prima di addentrarci nei particolari é opportuno chiarire i vari termini utilizzati.
Calibrazione: processo che regola esattamente le impostazioni dei fosfori di un monitor o della densità dell'inchiostro su una pagina tramite hardware esterno con lo scopo di far produrre al dispositivo colori molto simili a uno standard oggettivo. Per essere più chiari, il Pannello di controllo Adobe Gamma non calibra un monitor, ma effettua delle regolazioni durante la creazione di un profilo per il monitor.
Caratterizzare o Creare Profili: processo che registra quanto riesce una periferica ad avvicinarsi a uno standard per la riproduzione del colore, questa registrazione é il profilo ICC della periferica. La Calibrazione consente alla periferica di riprodurre colori più simili possibili e la creazione di profili calcola la differenza.
CIE: Commission Internationale d'Eclairage, organizzazione scientifica senza scopo di lucro fondata nel 1920 e riconosciuta come ente internazionale di standarizzazione per quanto riguarda l'illuminazione. Negli anni trenta ha sviluppato un metodo per assegnare valori a ogni colore percepibile dall'occhio umano, il metodo CIE-Lab.
CMM: Color Management Module, é il modulo di gestione del colore, software che converte le informazioni sui colori da un profilo a un altro, Photoshop usa ACE (Adobe Color Engine).
CMS: Color Management System, sistema di gestione del colore o gestione del colore a livello di sistema; Apple usa ColorSync, Microsoft usa ICM per Windows, entrambi gestiscono il colore a livello di sistema. Kodak CMS é un sistema di gestione del colore a livello di programma che usava Microsoft Windows fino alla versione 3.11.
Motore Colore: componente del CMS, legge i dati cromatici nel file e il profilo di colore del monitor e converte i colori nello spazio cromatico di un'altra periferica. Per esempio, quando stampi, il motore colore converte i colori visualizzati sullo schermo nei colori più simili che possono essere riprodotti dalla stampante. Quando apri un'immagine creata su un altro computer con un diverso profilo di monitor, l'immagine può essere convertita nel tuo spazio di lavoro RGB.
Criteri di Gestione: le varie opzioni possono essere selezionate nella Finestra Impostazione Colore e determinano le azioni compiute da Photoshop quando apri un file con un profilo incorporato che non corrisponde al tuo spazio di lavoro. Puoi mantenere il profilo incorporato, che potrebbe causare una visualizzazione imprecisa sullo schermo, convertirlo nel tuo profilo di lavoro, oppure semplicemente ignorarlo.
Modello o Metodo di Colore: é il sistema di notazione usato per descrivere numericamente i colori all'interno di una Gamma. RGB, CMYK, Scala di grigio, Lab e HSB sono modelli o metodi di colore.
Profilo di Colore e Profilo incorporato: quando un file contiene informazioni riguardanti le periferiche con cui o per cui é stato creato, il profilo RGB o CMYK viene incorporato nel file stesso. Questa operazione viene definita Etichettare un documento; se il documento non viene etichettato normalmente si usa il termine senza Tag. Quando il file viene aperto o stampato, il motore di gestione del colore legge il profilo o i profili incorporati e applica i criteri di gestione del colore, convertendo o meno i colori dell'immagine nel tuo spazio di lavoro. I formati di file psd, tiff, jpeg e eps ti danno la possibilità di incorporare un profilo nella Finestra di dialogo Salva come. I profili possono essere cambiati selezionando Immagine, Metodo, Assegna profilo e Immagine, Metodo, Converti in profilo.
Spazio Cromatico: é l'insieme dei colori che possono essere creati da una determinata periferica. In Photoshop Lab ha lo spazio cromatico più ampio che include tutti i colori che possono essere percepiti dall'occhio umano; lo spazio cromatico é però limitato (altrimenti tutto sarebbe troppo bello) dalle funzionalità delle periferiche utilizzate.
Gamma: la Gamma di un determinato metodo di colore é l'insieme dei colori presenti nello spazio cromatico. La Gamma di una priferica é il sottoinsieme di colori che possono essere riprodotti da tale monitor o stampante.
ICC: International Color Consortium (www.color.org), é stato fondato nel 1993 da otto società, comprese Apple, Microsoft, Agfa, Adobe e Kodak allo scopo di definire un sistema tramite il quale il colore potesse essere standardizzato per tutti i computer, i programmi e le stampanti. Il formato di file icc é stato sviluppato per memorizzare e fornire l'accesso alle informazioni riguardanti le funzionalità di una determinata periferica. Il file icc (Macintosh) o icm (Windows) registra le informazioni della periferica per un profilo del monitor, della stampante o dello scanner. I profili icc o icm, vengono caricati nella finestra di dialogo Impostazioni colore di Photoshop come spazi di lavoro e sono multipiattaforma.
Mappatura dei Colori: é la conversione delle informazioni sui colori da un profilo a un altro. Il motore colore esamina i dati cromatici dell'immagine, prende in considerazione il profilo sorgente incorporato nel file, quindi mappa le informazioni del colore sul profilo di destinazione.
Profilo RGB: la Gamma che può essere riprodotta dal monitor e alcune particolarità, per esempio il tipo di Tubo catodico o di Fosfori, vengono registrate come profilo RGB in un file icc o icm. Il profilo viene utilizzato dal motore colore.
Profilo CMYK: caricato nella finestra di dialogo Impostazione colore di Photoshop, identifica nel motore colore le funzionalità del dispositivo di output o della macchina da stampa con cui sarà stampata l'immagine. Anche i profili per le periferiche, come le stampanti a getto di inchiostro, che richiedono immagini RGB, vengono caricati come profili CMYK. Il profilo CMYK determina lo spazio di lavoro del metodo CMYK.
Spazio di Lavoro: é la gamma del modello o metodo di colore dell'immagine, limitato dal profilo della periferica. Per le immagini CMYK viene definito dal profilo CMYK, per le immagini RGB viene definito dal profilo RGB. Quando nella barra del titolo del'immagine appare un asterisco dopo il metodo di colore, non c'é una corrispondenza di profili, cioé il profilo dell'immagine aperta non corrisponde al profilo scelto nelle Impostazioni colore.
Inizieremo a gestire il colore a livello di sistema, possiamo esaminare qualsiasi unità o cartella quando carichiamo il profilo RGB, quindi non é necessario inserirlo in una posizione specifica. In effetti, se crei una cartella separata, é meno probabile perdere il profilo durante una successiva installazione di Photoshop o del software di sistema. Non utilizzeremo il pannello di controllo Adobe Gamma per creare il profilo di un monitor LCD, perché funziona soltanto con CRT, sono disponibili pacchetti di terze parti e il produttore del monitor LCD potrebbe avere incluso un'utility simile.
La Finestra di dialogo Impostazioni colore Di Photoshop: la prima volta che apri Photoshop 7, puoi personalizzare le impostazioni di colore, in seguito puoi rivedere tali impostazioni e apportare modifiche. Le impostazioni vengono memorizzate in un file nella cartella Impostazioni Adobe Photoshop 7, eliminando il file vengono ripristinate le impostazioni di colore predefinite di Photoshop. Nella parte superiore é presente la casella Impostazioni che elenca le configurazioni di impostazioni colore, generalmente appropriate per determinate categorie di lavoro, in seguito dovrebbero essere assegnati profili più appropriati.

 

SPAZI di LAVORO

RGB: La selezione effettuata nello spazio di lavoro RGB, definisce il tuo spazio di lavoro RGB; quando incorpori un profilo di colore in un'immagine RGB, questo é ciò che includi. Adobe RGB può essere usato per tutti i sistemi perché ha una vasta Gamma ed é il miglior ambiente per la visualizzazione delle immagini su schermo, puoi comunque usare il profilo creato con Adobe Gamma.
CMYK: Anche se stampi soltanto con stampanti a getto di inchiostro, devi assegnare il profilo corretto per l'impostazione CMYK, utilizzano i dati cromatici RGB dell'immagine ma fondamentalmente sono periferiche CMYK. Molte stampanti poi installano diversi profili icc per le diverse combinazioni di risoluzione e tipi di carta; scegli quello che utilizzi solitamente.
Grigio: Lo spazio di lavoro Grigio, ha effetto solo sulle immagini in Scala di Grigio sullo schermo. I professionisti del Web usano 2.2 per Windows e 1.8 per Macintosh. Se lavori per la pre-stampa, in particolare con i quotidiani, usa l'ingrossamento punti (Dot Gain) standard.
Tinta Piatta: L'ingrossamento predefinito é pari al 20%; la percentuale si riferisce alla quantità di espansione di una goccia d'inchiostro su un determinato tipo di carta. Su carta patinata, compresa la carta lucida, generalmente é molto limitato perché la carta non é particolarmente assorbente (a causa dello strato di rivestimento). La carta non patinata, in particolare quella dei quotidiani, assorbe più inchiostro quindi ogni goccia di inchiostro si espande o ingrossa di più. Le impostazioni di ingrossamento dei punti compensano l'espansione dell'inchiostro riducendo le dimensioni del punto di inchiostro.

 

CRITERI di GESTIONE del COLORE

I tre elenchi a discesa di questa sezione, permettono di definire il comportamento di Photoshop nel caso dell'apertura di un'immagine con profili incorporati non corrispondenti alle impostazioni di colore attive.
Disattivato: indica a Photoshop di non effettuare la gestione del colore all'apertura di un'immagine. Questa opzione é utile per le immagini a Scala di grigio, perché assegnando o convertendo un profilo é probabile che venga ritagliata la gamma tonale.
Mantieni Profili Incorporati: se sei sicuro che il profilo incorporato sia corretto, puoi mantenerlo quando apri l'immagine, successivamente puoi sempre convertirlo nel tuo spazio di lavoro.
Converti in RGB di Lavoro: se il tuo computer é l'ultima macchina su cui hai modificato l'immagine e l'output finale sarà preparato su qusto computer, converti l'immagine nel tuo spazio di lavoro. Lavorando con grafica Web normalmente é consigliabile convertirle nel tuo spazio di lavoro.
Profili non corrispondenti: questa opzione ti fornisce la possibilità di valutare la situazione e scegliere se salvare il profilo incorporato, convertirlo nel tuo spazio di lavoro oppure eliminare il profilo.

 

OPZIONI di CONVERSIONE

Al momento della selezione della casella di controllo Modalità avanzata, entriamo nel mondo sotterraneo della gestione del colore.
Modello: é la forza motrice di tutto il processo, é consigliabile usare Adobe ACE (Adobe Color Engine).
Intento: ogni volta che i colori vengono mappati di nuovo, durante la conversione si perde qualche piccolo dettaglio; il trucco sta nel limitare al massimo la perdita. Percettivo, mantiene l'aspetto generale dell'immagine. Saturazione, i colori fuori dalla gamma di destinazione mantengono i valori di saturazione e vengono inseriti nella gamma regolando la luminosità e la tonalità. Colorimetrico Relativo, i colori esterni alla nuova gamma vengono inseriti nella gamma regolando la tonalità e la saturazione. Colorimetrico Assoluto, le coordinate assolute Lab dei colori di origine vengono mappati sulla gamma di destinazione, senza considerare il punto bianco, quindi possono verificarsi scostamenti di colore insoliti; questa opzione viene utilizzata per loghi a uno o due colori.
Usa Compensazione Punto Nero: viene selezionata questa casella se si effettuano conversioni da RGB a CMYK. Quando non é selezionata, i pixel neutri più scuri nella gamma vengono mappati sul nero.
Usa Dithering: durante la conversione può aumentare le dimnsioni del file, ma può anche ridurre l'effetto banda nelle immagini a tono continuo. Mappando troppi colori su di un numero troppo basso di colori nella gamma di destinazione, nelle sfumature possono comparire striature visibili, il dithering riduce questo problema.

 

CONTROLLI AVANZATI

Togliere la Saturazione ai Colori del Monitor: consente di visualizzare più dettagli nelle zone di luce delle immagini che usano spazi RGB molto ampi (come Adobe RGB). Dovrebbe essere selezionata solo su queste aree di luce e soltanto se questa parte della gamma non viene visualizzata sullo schermo; se la Paletta Info indica che ci sono variazioni nelle aree molto luminose, ma non riesci a vederle sullo schermo, prova a selezionarla, ricordati però di deselezionarla dopo perché cambia tutti i colori.
Fondi Colori RGB con Gamma: quando ingrandisci la visualizzazione, se vedi delle imperfezioni sul monitor e la Paletta Info ti indica che non dovrebbero essere presenti, prova ad usare questa opzione aumentando o riducendo la gamma per uniformare la fusione dei colori. Ricorda di deselezionare l'opzione prima di riprendere il lavoro.
In un mondo ideale, ogni periferica visualizzerebbe il colore proprio come viene percepito dall'occhio umano; indipendentemente dal monitor, dalla macchina da stampa offset, dalla stampante a getto di inchiostro o dal browser Web. Sfortunatamente questo non é possibile; le limitazioni della riproduzione del colore e gli elementi dei singoli dispositivi, creano molti aspetti di una singola immagine, useremo quindi le funzionalità di Photoshop per provare a controllare queste differenze. Ma é proprio necessaria? Se usiamo Photoshop dovremmo gestire il colore, alcun immagini e alcuni flussi di lavoro richiedono una gestione del colore più precisa, ma tutti gli utenti di Photoshop dovrebbero attivare almeno le funzionalità di base; se sul monitor non é visualizzato un colore accurato, é probabile che le immagini create non siano simili alla realtà. Probabilmente la chiave per una gestione del colore efficace consiste nell'accertarsi che sul monitor appaiano gli stessi colori registrati nel file, desideriamo cioé che lo schermo riproduca esattamente l'immagine, ma se l'esattezza del colore é importante dobbiamo creare un ambiente favorevole per la visualizzazione del colore; é ovvio che in una stanza buia, i colori del monitor sembrino più saturi; più luce c'è nella stanza, più viene alterato l'aspetto dei colori sul monitor; più importante é la corrispondenza del colore, più importante é l'ambiente in cui viene creata. Se siamo soddisfatti dei risultati ottenuti dalla stampante a getto di inchiostro e sono simili ai colori visualizzati sul monitor, non cambieremo nulla, Photoshop e l'hardwer stanno gestendo appropriatamente il colore; se il monitor e la stampante sono coordinati, abbiamo raggiunto l'isola felice, quella a cui la gestione del colore vuole condurci.

 

Un modello colore è un metodo per definire i colori, generalmente per mezzo dei loro componenti.
Il colore è creato da componenti di luce che combinati in varie e differenti percentuali creano colori separati e distinti.
I diversi modelli di colore disponibili in PP permettono di manopolare e vedere le immagini in modalità differenti.
Questi modelli di colore rientrano in due categorie fondamentali: colori additivi e colori sottrattivi.
Colori Additivi (RGB) è la modalità utilizzata dai monitors, scanners, fotografia e occhio umano.
RGB (rosso,verde,blu) si avvale della luce trasmessa per visualizzare il colore.
In questa modalità si ottiene ogni nuovo colore sommando la luce rossa, verde, blu in diverse quantità.
Questi tre colori sono chiamati colori primari in quanto la somma dei loro valori in quantità differenti permettono di creare qualsiasi tipo di colore visibile.
Nel modello RGB (in PP è la modalità di default) i valori dei colori sono espressi in componenti rosso, verde, blu.
Il valore massimo di un colore corrisponde a 255: per esempio il rosso puro è espresso dalla somma dei valori 255,0,0. In altre parole la componente rossa è al massimo, 255, mentre le altre due sono a zero.
Quando tutte le componenti sono pari a 255, viene visualizzato il colore bianco, mentre quando sono tutte pari a 0, viene visualizzato il colore nero.
Colori sottrattivi (CMYK) sono utilizzati nelle pubblicazioni e nella stampa.
Sono chiamati così perchè, per produrre altri colori, si sottraggono alla luce bianca cioè si utilizza la luce riflessa per visualizzarli.
Questa modalità usa i colori secondari ciano, magenta e giallo.
Combinando in eguali quantità questi tre colori si dovrebbe produrre il nero, ma, in stampa, si ottiene soltanto un colore vicino al nero.
Il nero (K) si aggiunge per compensare questa incapacità dei CMY di creare un nero accettabile.
K viene utilizzato per definire il colore nero per evirare di confonderlo con la B che definisce il colore Blu.
Le tinture e gli inchiostri ciano, magenta e giallo riflettono meglio la luce e sono chimicamente più stabili degli inchiostri rosso, verde e blu.
In CMYK, i valori dei componenti sono tradizionalmente espressi come percentuali cioè il valore massimo di un colore è 100.
Comunque PP permette di calcolare i valori dei colori di questa modalità sia in percentuale sia in componenti (0-255).
Il colore rosso, nella modalità CMYK, è 0, 100, 0, 100, 0. Ovvero miscelando il massimo valore di magenta e giallo senza ciano e nero otteniamo il colore rosso.
Bianco = 0, 0, 0, 0
Nero = 100, 100, 100, 100.
RGB definisce il colore utilizzando i seguenti componenti: rosso (R) verde (G) blu (B) che corrispondono alle quantità di luce rossa, verde e blu contenute in un colore RGB, si misurano in valori da 0 a 255.
Il modello di colore CMYK definisce il colore utilizzando i seguenti componenti:ciano (C), magenta (M), giallo (Y), nero (K).
I componenti CMYK determinano le quantità di inchiostro contenute nel modello colore CMYK, in valori percentuali da 0 a 100.
Il modello colore HSB definisce il colore utilizzando i seguenti componenti:tonalità (H), saturazione (S) luminosità (B).
La tonalità descrive il pigmento di un colore e si misura in gradi da 0 a 359 (gradi = 0 il rosso, 60 il giallo, 120 il verde, 180 il ciano, 240 il blu e 300 il magenta).
La saturazione descrive il livello di vivacità di un colore ed è misurata in valori percentuali da 0 a 100 (più alto è il valore e più vivido sarà il colore).
La luminosità descrive la quantità di bianco contenuta in un colore e si misura in valori percentuali da 0 a 100 (valore alto = colore luminoso).
HLS (tonalità, brillantezza, saturazione) è una variazione di HSB e una alternativa a RGB.
La tonalità (H) definisce i colori (giallo, arancio, rosso e così via),
la brillantezza (L) determina la percezione dell'intensità (colori più chiari e più scuri),
la saturazione (S) definisce la profondità del colore (da debole a intenso).
Il selezione dei valori è per H da 0 a 360, per L da 0 a 100 e per S da 0 a 100.
YIQ è il modello preferito per lavorare con i video, è usato nel sitema di trasmissione televisiva (video standard del Nord America: NTSC).
I colori sono suddivisi in valori di Brillanza (Y) e due valori di cromaticità (I, Q).
Su un monitor a colori sono visibili tutti e tre i componenti; su un monitor monocromatico, è visibile solo la Brillanza.
Tutti i valori vanno da 0 a 255.
In PP, la componente Y del processo di suddivisione produce un'immagine in scala di grigi che spesso è di qualità superiore a quella ottenuta con il comando Converti in nel menu Immagine.
Lab: questo modello colore sta diventando sempre più popolare.
Sviluppato dalla Commission Internationale de l'Eclairage (CIE) si basa su tre parametri: Luminosità (L), cromaticità da verde a magenta (a) e da blu a giallo (b).
Il rettangolo a due dimensioni del selettore di visualizzazione determina le coordinate di 'a' e 'b' da -60 a 60 e il valore di 'L' da 0 a 100.
Esso è indipendete dal dispositivo che si utilizza, cioè non necessita di informazioni dal dispositivo per lavorare correttamente.
Per la preparazione alla stampa, esso copre l'intera gamma di colori del CMYK e RGB.
Scala di grigi è un modello di colore che definisce 256 gradi di grigio.
Il selettore contiene 255 livelli di scala di grigio: 255 più luminosi e 0 più scuri.

 

CMYK: cos'è e come influisce sui progetti di stampa

CMYK è la chiave per ottenere progetti di stampa di successo, indipendentemente dalla loro dimensione o complessità. Se avete una buona conoscenza del sistema CMYK di definizione dei colori utilizzato da stampanti e macchine da stampa a colori, siete sulla buona strada per creare progetti di stampa a colori di successo utilizzando sia una stampante laser a colori sia il vostro centro stampa di fiducia.

Colore sullo schermo e colore sulla carta a confronto

Vi è mai capitato di stampare un progetto con una stampante di fascia alta o anche solo con la stampante d'ufficio e di ottenere come risultato una stampa i cui colori non hanno nulla in comune con quelli creati con tanto impegno sul computer? Se la risposta è sì, probabilmente il modo in cui il vostro monitor visualizza i colori è molto diverso dal modo in cui la stampante successivamente stampa gli stessi colori. Forse sapere che monitor e stampanti non elaborano i colori alla stessa maniera vi lascerà sorpresi.
Il modo in cui vediamo i colori, nel mondo intorno a noi e sullo schermo del computer, dipende interamente dalla luce. Il monitor del computer utilizza una combinazione di raggi di luce rossi, verdi e blu (RGB nell'acronimo inglese) per visualizzare oltre 16,7 milioni di colori. Invece, la quasi totalità delle macchine da stampa commerciali e una grande quantità di stampanti a colori utilizzano una combinazione di quattro colori - ciano, magenta, giallo più un colore chiave (CMYK nell'acronimo inglese) - per rappresentare tutti i colori sulla pagina stampata (un numero inferiore a 16,7 milioni di colori).
RGB e CMYK possono quindi essere paragonati a due differenti lingue utilizzate per descrivere il colore. Prima di poter stampare i vostri progetti a colori, dovrete imparare a "parlare" CMYK o, più precisamente, a creare file che una stampante o macchina da stampa basata su questo standard sia in grado di interpretare senza difficoltà.

 

Definizione del colore con CMYK

Come abbiamo visto, CMYK elabora ogni colore come una combinazione di sfumature di ciano, magenta, giallo più un colore chiave. Il colore chiave è quasi sempre il nero (solo in frangenti di stampa molto particolari il colore chiave può essere un altro), e quindi CMYK potrebbe essere chiamato "CMYB", da "black" - nero. Le stampanti a colori (laser o a getto d'inchiostro), così come le macchine da stampa professionali sono equipaggiate con inchiostri di questi quattro colori e utilizzano combinazioni uniche al fine di ricreare il colore sulla pagina stampata.
Ad esempio, il rosa chiaro è composto da 2% di ciano, 83% di magenta e 0% di giallo e nero. La somma delle diverse percentuali non raggiunge il 100%, ma riflette la proporzione necessaria di ciascun colore nella miscela utilizzata per creare il colore finale. Per ottenere un colore simile all'arancione zucca i quattro colori vengono così ripartiti: 0% di ciano, 72% di magenta, 83% di giallo e 0% di nero.

 

CMYK nel mondo reale

Cosa significa CMYK per voi? Non va dimenticato che il monitor del computer visualizza la versione elettronica dei progetti di stampa sfruttando lo standard RGB per definire i colori mentre la stampante o la macchina da stampa utilizzano lo standard CMYK. Numerosi colori RGB hanno equivalenti CMYK, ma il modo migliore e più sicuro per sapere esattamente come verrà stampato un colore è procurarsi una guida dei colori commerciale o un libro sull'elaborazione del colore. Questi testi stampati contengono centinaia, se non migliaia, di esempi di colore che mostrano esattamente come verrà stampato un colore su carta. Questi cataloghi sono normalmente in vendita e diversi produttori di inchiostri, come Pantone o Agfa, ne pubblicano di propri. Pertanto, se la stampa verrà affidata a una tipografia sarà necessario informarsi sulla marca degli inchiostri adoperati. Se invece le stampe saranno realizzate con una stampante laser o a getto d'inchiostro, si dovrà individuare il modello di colore utilizzato dall'apparecchio (le stampanti HP adottano Pantone).
Tutti i migliori strumenti di grafica e impaginazione (PageMaker, Photoshop, QuarkXPress e così via) hanno opzioni CMYK, quindi è necessario fare riferimento alla guida colore per conoscere esattamente, e fin dall'inizio del progetto, come un colore risulterà una volta stampato senza preoccuparvi se il colore RGB visualizzato sullo schermo sembra non corrispondere. Inoltre, molte stampanti HP, come quelle della linea Color LaserJet, dispongono della tecnologia incorporata ColorSmart affinché le stampe realizzate in CMYK corrispondano il più possibile al colore RGB visualizzato sullo schermo senza ulteriori accorgimenti da parte vostra.

 

HSB

Hue, Saturation, Brightness: metodo di composizione del colore per la rappresentazione sul monitor ed espresso con tre valori: colore, saturazione e luminosità..

 

CALIBRAZIONE DEL COLORE

E' il procedimento che serve per garantire un'accurata riproduzione di colore nelle immagini.
La completa calibrazione del colore è di solito un procedimento a due fasi: calibrazione del dispositivo d'ingresso, come uno scanner; e calibrazione del dispositivo di uscita, come una stampante o un monitor. Calibrando in modo corretto i dispositivi d'ingresso e di uscita, il colore sarà acquisito accuratamente dallo scanner e riprodotto fedelmente sul monitor o sulla stampante.

 


ColorSync

Un problema con cui spesso ci si trova a fare i conti è la giusta corrispondenza dei colori tra i diversi dispositivi: un colore che vediamo visualizzato con una certa tonalità ed intensità sul monitor è spesso riprodotto in maniera diversa quando viene stampato.
Tutto questo dipende dal fatto che le periferiche di acquisizione e di stampa rappresentano la gamma dei colori solo attraverso il linguaggio binario che è fatto di 1 e di 0. Le percentuali che si usano per indicare un colore o un altro sono solo delle convenzioni, una sorta di linguaggio del colore ideato per le macchine.
Inoltre, a seconda del dispositivo utilizzato viene usato un diverso sistema per la rappresentazione del colore. I monitor, gli scanner e le fotocamere digitali utilizzano il sistema RGB, che riproduce il colore mescolando la luce blu, verde e rossa; la quasi totalità delle stampanti utilizzano invece il sistema CMYK, che riproduce il colore mescolando l’inchiostro ciano (una tonalità di blu), magenta (una tonalità di rosa), giallo e nero.
Per risolvere questo problema Apple ha inventato un sistema di gestione del colore che si occupa della calibrazione dei colori per ottenerne una accurata corrispondenza tra i diversi dispositivi: ColorSync.
ColorSync utilizza dei profili colore che contengono la gamma di colori che quel dispositivo riesce a gestire. Permette quindi di impostare un profilo colore per ciascuna periferica di input o di output che contiene le informazioni sulle capacità di colore di quella periferica.
I profili ColorSync sono strutturati in un formato che segue le regole dell’International Color Consortium (ICC), un consorzio nato per la standardizzazione del colore tra i dispositivi digitali. Ecco perché spesso si parla di profili ICC riferendosi a ColorSync.
Ciascuna applicazione che supporta ColorSync registra, insieme al documento, anche un profilo ColorSync del dispositivo utilizzato per la creazione dell’immagine. Il profilo contiene la gamma di colore che questo è in grado di riprodurre, acquisire o visualizzare (descrivendo i punti di bianco e di nero che il dispositivo è in grado di replicare e la densità massima per i colori rosso, verde, blu, ciano, magenta e giallo).
Quando si lavora con un’immagine che contiene un proprio profilo, ColorSync identifica i colori che il monitor è in grado di riprodurre effettuando un controllo sul profilo di sistema del monitor.
Esegue quindi un confronto tra il profilo del monitor e quello del dispositivo utilizzato per la creazione dell’immagine (profilo contenuto nel file dell’immagine), tarando così i colori nella maniera più appropriata.
Stessa cosa avviene quando stampiamo un’immagine: ColorSync effettua un confronto tra il profilo del monitor e quello della stampante, impostando i colori affinché corrispondano il più possibile a quelli visualizzati sul monitor.
Per utilizzare ColorSync nella gestione del flusso di lavoro bisogna che questo sia supportato da tutti i dispositivi utilizzati.
Inoltre ColorSync si appoggia a un motore per la trasformazione degli spazi colori tra i diversi dispositivi, per esempio da RGB a CMYK: il Color Matching Modules (CMM).
Il CMM sfruttando i profili ColorSync in pratica si occupa di convertire l’immagine da uno spazio colore ad un altro e contemporaneamente applica le informazioni contenute nei vari profili per effettuare correttamente il rendering dell’immagine.
L’AppleCMM è l’unico CMM che ColorSync contiene nella sua distribuzione con il sistema operativo Mac OS; altri CMM sono disponibili da alcune aziende che sono in prima linea nello sviluppo delle periferiche per l’acquisizione o la stampa quali Kodak, Agfa e Heidelberg. Questi si presentano come estensioni e vanno salvati nella relativa cartella.
Dato che ColorSync utilizza le capacità e le caratteristiche colore del monitor come base per la taratura del colore, occorre innanzitutto calibrare il monitor. Per effettuare questa operazione occorre che il monitor sia acceso da almeno una mezz’ora, in modo che si sia riscaldato bene e quindi i colori rendano nel modo più appropriato.
Alcuni monitor hanno un proprio sistema di calibrazione del colore; per verificare ciò basta aprire il Pannello di Controllo Monitor. Se nella sezione Colore è presente un bottone ’Calibra’ allora il monitor non ha capacità di calibrazione e quindi il controllo mette a disposizione il Default Calibrator che si attiva schiacciando il pulsante ’Calibra’. Diversamente bisogna consultare la documentazione del monitor.
In qualsiasi caso prima di procedere alla calibrazione del monitor è necessario:
regolare la luminosità verificando che il bordo nero dell’immagine proiettata sullo schermo sia effettivamente nero e non grigio;
aumentare al massimo il contrasto;
selezionare la massima risoluzione con cui si intende lavorare;
impostare l’altezza, la larghezza e la posizione dell’immagine sullo schermo.
A questo punto possiamo procedere alla calibrazione del monitor, in modo che le applicazioni che supportano ColorSync visualizzaranno le immagini con una corrispondenza del colore più accurata. In questo processo veniamo guidati con sufficiente chiarezza dalla calibrazione guidata.
In seguito alla calibrazione del monitor viene creato un nuovo profilo ColorSync che verrà subito attivato nel Pannello di Controllo Monitor.
Il pacchetto ColorSync è costituito da:
i profili ColorSync per i diversi dispositivi di input e di output, contenuti nella cartella Profili ColorSync situata nella Cartella Sistema;
il Pannello di Controllo ColorSync;
l’Estensione ColorSync situata nella cartella Estensioni.
La cartella Profili ColorSync
Questa cartella, contenuta nella Cartella Sistema, contiene tutti i profili ICC delle periferiche che si utilizzano.
Trascinando un profilo nella Cartella Sistema questo viene automaticamente copiato insieme agli altri profili. Vengono riconosciuti come profili quei file che hanno come tipo ’prof’ e creatore ’sync’.
Quando si installa una nuova periferica o un nuovo programma che supporta ColorSync i profili associati vanno a finire in questa cartella; generalmente la lista di questi profili viene visualizzata in un menu a comparsa all’interno del driver di stampa e delle applicazioni.
All’interno della cartella Profili ColorSync i files possono essere anche suddivisi in sottocartelle per una migliore organizzazione. Possono inoltre essere utilizzati gli alias, in modo da poter utilizzare anche i profili installati da quelle applicazioni che li memorizzano nelle proprie preferenze (tipo FreeHand 7 e 8).

Il Pannello di Controllo ColorSync

Questo pannello di controllo permette di impostare tutto il processo di gestione del colore; le applicazioni debbono però supportare la tecnologia ColorSync.
Il Pannello di Controllo ColorSync provvede a:
impostare i profili per i dispositivi sorgente (scanner e fotocamere digitali), per i monitor, per le periferiche di output (stampanti) e per i dispositivi di verifica (stampanti per la prova colore).
impostare i profili di default per gli spazi RGB, CMYK e grigi per i documenti che non contengono un proprio profilo;
scegliere un CMM;
salvare diverse configurazioni e passare da una all’altra a seconda delle necessità.
Nella scheda Profili si possono scegliere i profili per le periferiche di input, monitor, output, e verifica, scegliendo Profili per Dispositivi Standard. Il profilo del Monitor non può essere cambiato da qui; per modificarlo bisogna aprire il Pannello di Controllo Monitor e cambiarlo.
Dovremo scegliere il profilo a seconda del lavoro che stiamo eseguendo e dei dispositivi che intendiamo utilizzare; infatti in fase di stampa, ad esempio, anche il tipo di carta influenza il risultato finale. Per questo motivo una stampante non ha mai un solo profilo ColorSync, proprio perché i colori vengono gestiti anche a seconda della carta che intendiamo utilizzare.
Scegliendo invece Profili di Default Documenti si possono scegliere invece i profili per i documenti che non ne hanno uno. A seconda quindi del sistema di colore utilizzato dall’immagine che non ha un proprio profilo, verrà assegnato a quel documento il profilo RGB, CMYK, colori grigi e Lab scelti in questa sezione.
Nella scheda CMM si sceglie il motore di colore. ColorSync mette a disposizione il motore di colore AppleCMM.
È consigliabile non usare il CMM Automatico perché in questo caso ogni profilo richiama il suo CMM preferito e il funzionamento di ColorSync diventa meno efficace; è consigliabile usare quindi l’AppleCMM a meno di non disporre per i propri scopi di un altro CMM.

L’Estensione ColorSync

Questa estensione è il motore vero e proprio della tecnologia ColorSync ed è necessaria al suo corretto funzionamento; permette infatti alle diverse componenti di ColorSync di interagire e quindi effettuare le conversioni degli spazi colori.

Applicazioni

Ho già detto che le applicazioni per l’acquisizione, l’editing e la stampa delle immagini debbono supportare ColorSync per poterne sfruttare tutte le potenzialità.
In genere un programma che supporta ColorSync ha anche una sezione dedicata alla configurazione dei profili, che si possono impostare in maniera indipendente da quelli settati nel relativo Pannello di Controllo.
Adobe Photoshop, per esempio, ha un complesso pannello per la gestione dei profili ColorSync e dei conseguenti comportamenti; si possono scegliere dei profili diversi da quelli impostati nel Pannello di Controllo ColorSync ma si può anche scegliere di mantenere il profilo contenuto nell’immagine che si sta aprendo. Ci sono svariate possibilità di configurazione che vanno impostate a seconda delle necessità e del modo di lavorare.

Conclusioni

In genere ColorSync non viene utilizzato dall’utente medio ma solo dai professionisti del colore, che spesso si trovano a dover solo immaginare come quel dato colore verrà stampato, premesso che conoscano alla perfezione la macchina sulla quale verrà realizzata la stampa.
ColorSync è molto utile in questi casi perché aumenta la possibilità di riprodurre il più fedelmente possibile l’immagine su cui si sta lavorando.
Per approfondire l’argomento potete consultare la pagina relativa alla tecnologia ColorSync sul sito dell’Apple Developer Connection oppure visitare il sito ufficiale.


determinazione della grammatura della carta

Il metodo si applica a tutti i tipi di carta
Definizioni:
Grammatura della carta: è la massa, espressa in grammi, di un metro quadrato di carta, determinata nelle prescritte condizioni di prova.
Principio del metodo:
Dal campione si taglia una provetta di determinate dimensioni, la si condiziona e la si pesa. Si calcola la grammatura della carta come rapporto tra la massa determinata e l’area calcolata della provetta.
Apparecchiatura e materiali:
Dispositivo per il taglio della provetta,costituito da una dima di opportune dimensioni e da un coltello o una lama affilata,ovvero da una fustella.
Bilancia, con una precisione del = 0,5 per cento della massa reale nell’intervallo di misura considerato e con una sensibilità dello 0,2 %.Regolo di misura ( riga ),con graduazione in millimetri,che consenta la misura delle dimensioni della provetta con l’approssimazione di = 0,5 mm.

Campionamento e preparazione delle provette

Si effettua il campionamento secondo quanto prescritto nel metodo aticelca mc-9 (campionamento della carta e del cartone per le prove).
Dal campione ottenuto si prelevano fogli campione di dimensione tali da consentire il taglio di provetta di area non inferiore a 500 cm2,preferibilmente di 200 mm per 250 mm.
Si condizionano i fogli campione in ambiente conforme a quanto prescritto nel metodo aticelca mc-20 ( metodo di condizionamento della carta e del cartone per le prove).
Da 10 fogli campione diversi si tagliano almeno 20 provette ( 2 per ciascun campione) in modo che i bordi di taglio siano netti e squadrati.

Condizioni e procedimento di prova

Si effettua la determinazione in ambiente condizionato secondo quanto prescritto nel metodo condizionamento della carta e del cartone.
Si determinano le dimensioni delle provette, con l’approssimazione di = 0,5 mm.
Si pesa separatamente ogni provetta,trascrivendo il risultato con almeno tre cifre significative.

Calcolo ed espressione dei risultati

Si calcola la grammatura della carta in base alla formula seguente
per G = M : A X  10.000
In cui:G = grammatura della carta, in grammi al metro quadrato;
M = massa della provetta,in grammi;
A = area della provetta,in centimetri quadrati.
Si calcola la media delle 20 determinazioni,esprimendo il risultato in grammi al metro quadrato,con l’approssimazione alla prima cifra decimale.Resoconto della prova:
Nel resoconto di prova si riportano:
A) la descrizione e l’identificazione del materiale sottoposto alla prova;
B) i risultati delle singole prove,quando richiesto;
C) la media delle determinazioni,espressa in grammi al metro quadrato,con l’approssimazione alla prima cifra decimale;
D) le eventuali modifiche a quanto prescritto nel presente metodo;

  1. ogni altro dettaglio o informazione che possa essere utile ai fini dell’interpretazione dei risultati.

Avvertenze:
La ripetibilità di taglio delle provette deve essere raggiunta nel 95 % dei casi,con la precisione dell’1 %  della misura dell’area. Se ciò non si verificasse,è necessario determinare singolarmente l’area di ogni provetta.
Si deve controllare spesso la precisione del dispositivo di taglio,misurando singolarmente le dimensioni di 20 provette e calcolandone l’area. Si otterrà la precisione di taglio prescritta quando lo scarto tipo delle singole aree è inferiore allo 0,5 % dell’area media; in tal caso si deve impiegare il valore dell’area media per il calcolo della grammatura nelle prove successive.
La bilancia deve essere controllata spesso con masse di precisione nel senso crescente e decrescente dei carichi.
Le provette preparate devono essere esenti da filigrane, linee d’acqua, pieghe, e da qualsiasi altro difetto comunque rilevabile.
La determinazione della grammatura della carta può essere effettuata in condizioni diverse da quelle prescritte,e ciò sia allo stato secco,sia al momento del prelievo.
Nella determinazione della grammatura allo stato secco si effettua la misura dell’area dopo condizionamento nell’ambiente prescritto nel metodo aticelca mc-20 (metodo di condizionamento della carta e del cartone per le prove) e la determinazione della massa dopo essiccamento in stufa secondo quanto prescritto nel metodo aticelca mc-25 (determinazione dell’umidità della carta e del cartone. Metodo per essiccamento in stufa).

 

Fonte:http://www.marforio.org/appunti/sistemadielaborazionedelleinformazioni/Spazi%20cromatici%20-%20CMYK.doc

 

La digitalizzazione delle immagini

Per rendere una informazione comprensibile ad un computer è necessario esprimerla sotto forma di una sequenza di bit ovvero sotto forma di 0 e 1.
Consideriamo il semplice caso di un disegno in bianco e nero come quello che vediamo nella figura che segue:
Per estrarre la sequenza di bit che rappresenti il suddetto disegno possiamo procedere in questo modo:
- per prima cosa dividiamo il disegno in quadratini molto piccoli, chiamati pixel, sovrapponendogli una griglia
- ad ogni quadratino della griglia diamo il colore nero se il contenuto di nero al suo interno supera quello del bianco, e viceversa diamo il colore bianco se il contenuto del bianco al suo interno supera quello del nero.
La successiva figura rappresenta proprio la nuova immagine che otterremo dopo aver portato a termine la suddetta operazione.
A questo punto, ad ogni quadratino o pixel della griglia associamo uno 0 se il suo contenuto è il bianco e 1 in caso contrario.
In tal modo otterremo una lunga sequenza di 0 e 1 che codifica l’immagine della lampadina in formato digitale.
La nostra immagine di partenza, dopo questa operazione si è dunque trasformata in una sorta di mappa composta di 0 e 1, ed infatti il nome tecnico che si usa per descrivere questa sequenza di bit è proprio bitmap.
Ovviamente, più fitta è la griglia che sovrapponiamo all’immagine e più la nostra rappresentazione digitale risulterà fedele all’originale.
D’altra parte, una griglia più fitta significa un maggior numero di pixel e quindi un maggiore numero di bit che dovranno essere utilizzati per descrivere digitalmente l’immagine.
Per un’immagine di partenza viceversa a colori, per ogni quadretto, o meglio per ogni pixel, anziché utilizzare solo uno 0 ed un 1, utilizzeremo una combinazione di 0 e 1 in base a una tabella di codifica dei colori.
La successiva tabella di codifica dei colori è ad esempio composta di 64 colori, e quindi ad ogni pixel potremo assegnare un numero da 0 a 63 in binario che individuerà uno solo dei colori della tabella stessa.
Dato che per esprimere in binario numeri fino a 63 sono necessari sei bit, vorrà allora dire che ad ogni pixel dell’immagine corrisponderà una combinazione di sei bit.
Ovviamente serviranno tanti più bit quanti più colori utilizziamo.
Se infatti usiamo 8 bit per ogni pixel, i colori che possiamo utilizzare nella nostra immagine saranno 256.
Se invece usiamo 16 bit per ogni pixel, i colori che possiamo utilizzare nella nostra immagine saranno 65536, e così via.
La maggior parte delle schede grafiche utilizza ormai 24 bit per ogni pixel o addirittura 32 bit per ogni pixel.
Le immagini codificate pixel per pixel con il procedimento appena visto, danno corpo, come si è già accennato, ai cosiddettti file bitmap, ed appunto caratterizzati dall’estensione .BMP
I dispositivi fisici per digitalizzare le immagini sono: lo scanner e la fotocamera digitale.
Vista come avviene la trasformazione di una immagine in bit, possiamo adesso esaminare quali sono e come funzionano i principali dispositivi fisici che effettuano la suddetta trasformazione, o acquisizione.
Il più utilizzato di questi dispositivi è sicuramente lo scanner.
E’ possibile utilizzare lo scanner per acquisire: foto, disegni e pagine di documenti cartacei.
Il suo uso è molto semplice, basta appoggiare sul piano trasparente il foglio con l’immagine da acquisire rivolta verso il piano stesso, e attivare un apposito programma di acquisizione che ci guiderà nell’operazione.
Il programma di acquisizione, che viene sempre fornito assieme allo scanner, prima di utilizzarlo, andrà ovviamente installato. 
Nell’ambito di quest’ultimo è importante la scelta della risoluzione con cui verrà acquisita l’immagine.
Questo importante parametro si esprime in DPI, ovvero dot per inch (punti per pollice).
Se il valore in DPI della risoluzione è troppo basso l’immagine prodotta risulterà poco dettagliata, mentre se è troppo alto c’è il rischio di produrre inutilmente dei file di grandi dimensioni.
Un valore generalmente appropriato per ottenere immagini di buona qualità è, ad esempio, 300 DPI, mentre per immagini da pubblicare sul web, e dove è importante evitare file eccessivamente pesanti, di solito si utilizza una risoluzione di soli 72 DPI.
Ciò che determina la qualità di uno scanner è:
- la massima risoluzione, e che come abbiamo visto si misura in DPI
- la massima risoluzione ottenuta per interpolazione, e che è un artificio software per accrescere fittiziamente la risoluzione
- la profondità di colore, e che ci dice quanti sono i colori utilizzati dallo scanner per descrivere ogni pixel
- il tipo di collegamento con il computer, e da cui dipende la velocità con cui possiamo scansionare una immagine (in genere conviene utilizzare collegamenti di tipo USB al posto dei più datati e lenti collegamenti su porta parallela)
- il programma di acquisizione (un programma troppo macchinoso rende tutto più complicato e ci farà perdere tempo e pazienza).

La fotocamera digitale
Sono dispositivi che acquisiscono un’immagine tramite una matrice attiva di pixel chiamata CCD.
Più pixel saranno presenti sul CCD, maggiore sarà la massima risoluzione dell’immagine prodotta dalla macchina fotografica.
Una macchina ad esempio con un CCD di 1 megapixel (circa 1 milione di pixel) sarà in grado di catturare immagini composte di circa 1000 pixel di lato.
Una immagine da stampare su carta, per essere di buona fattura, dovrà essere prodotta da un macchina fotografica con un CCD di almeno 2 megapixel.
Se invece interessa produrre immagini per il Web potremmo utilizzare sensori anche con meno di 1 megapixel.
Le foto, anziché su pellicola, sono conservate su di una particolare memoria che non cancella le immagini quando spegniamo la macchina fotografica.
Il numero di foto che è possibile conservare su questa memoria dipende dalla definizione delle foto e dalla capacità della memoria, insomma: più memoria più foto, più definizione meno foto.
In ogni caso, una volta riempita la memoria della fotocamera, dovremo trasferire il suo contenuto su di un computer per poterla cancellare e poi riutilizzare nuovamente.
Se si vuole usare la fotocamera durante i viaggi, e durante i quali non si ha a disposizione un computer, conviene allora acquistare una o più schede di memoria ausiliarie per non essere costretti a cancellare le foto già fatte quando la memoria a nostra disposizione è in via di esaurimento.
Per trasferire le foto dalla memoria della fotocamera al computer si usa normalmente una connessione di tipo USB, ma in alcuni modelli è possibile trovare al suo posto una porta seriale.
Anche ora un programma di acquisizione viene fornito assieme alla fotocamera digitale.
Con il suddetto programma si è in grado di:
- scaricare su di un computer le foto presenti nella memoria della macchina fotografica digitale
- organizzare su di un computer le foto all’interno di un album
- stampare le foto.
Per quest’ultima operazione una comoda alternativa può essere quella di utilizzare delle apposite stampanti in grado di stampare direttamente (senza passare per un computer) le immagini contenute nella memoria di una fotocamera digitale.

 

I formati grafici
Non è unico il modo in cui si può effettuare la codifica digitale di un’immagine.
Ciò comporta che ad un’unica immagine possono corrispondere più rappresentazioni digitali, ovvero più formati grafici.
Per riconoscere il tipo di formato in cui è stata codificata un’immagine basta osservare l’estensione del relativo file.
Quando un’immagine digitale è ottenuta da quella bitmap eliminando le informazioni visive meno importanti, si dice che l’immagine stessa è stata sottoposta a compressione con perdita.
Esistono differenti tipi di compressione con perdita, ma quello più utilizzato si chiama JPEG. Un file che contiene un’immagine compressa di quest’ultimo tipo ha l’estensione JPG, e può anche essere 100 volte più leggera dell’originale file bitmap.
Esiste anche la cosiddetta compressione senza perdite.
La compressione senza perdite, se applicata a immagini con molte variazioni cromatiche, comprime meno rispetto a quella JPEG, ed infatti presenta i seguenti vantaggi:
- risulta più adatta a rappresentare immagini geometriche dai contorni decisi e con poche sfumature dato che non elimina nulla durante la compressione
- consente di definire la trasparenza, ovvero possiamo definire come trasparente tutto ciò che è tra il bordo irregolare dell’immagine e il confine rettangolare del riquadro che la contiene.
Il formato più utilizzato per questo tipo di compressione si chiama GIF.
Il suo più grosso limite è che non consente di usare più di 256 colori all’interno di una singola immagine.
Il formato GIF è dunque comodo per loghi e marchi, ed è meno adatto per fotografie ed immagini con molte sfumature.
Usato più raramente è il formato senza perdite TIFF.
Presenta l’estensione TIF, è simile al GIF, ma non ha la limitazione dei colori fino a 256.
La grafica vettoriale
Non tutte le immagini sono disegni o fotografie.
Spesso, infatti, abbiamo a che fare anche con schemi o con grafici costruiti a partire da semplici figure geometriche.
In questi casi, invece di descrivere l’immagine pixel per pixel, conviene specificare: tipo, forma, colore, dimensione e posizione delle figure geometriche (cerchi, rettangoli, linee, frecce e così via) che la compongono.
Nel caso di un quadrato, ad esempio, potremmo limitarci a descrivere le coordinate dei quattro vertici del quadrato e la lunghezza di un suo lato, piuttosto che descriverne tutti i punti come avviene in una bitmap.
Tecnicamente il nome dell’immagine digitale appena descritta è quello di immagine vettoriale.
Semplici programmi di disegno vettoriale sono integrati all’interno di programmi come Word e PowerPoint, e consentono ad esempio di aggiungere rapidamente e con estrema facilità uno schema al testo che stiamo scrivendo.
Anche le immagini grafiche già pronte con l’estensione WMF che Word mette a disposizione, le cosiddette clipart, sono realizzate in grafica vettoriale.
I vantaggi della descrizione vettoriale sono essenzialmente tre:
- si risparmia sulle dimensioni dell’immagine dato che al posto della descrizione di tutti i punti basta specificare solo la posizione di pochi punti chiave
- si possono facilmente dare delle nuove dimensioni ad un’immagine
- si può facilmente muovere ogni singolo elemento geometrico che compone l’immagine.

 

INTRODUZIONE ALLA FOTOGRAFIA DIGITALE

Quando ci si mette alla ricerca della propria macchina fotografica digitale, si comincia ad avere a che fare con una serie di numeri e nuove unità di misura. Nella maggior parte dei casi, queste cifre esprimono la risoluzione della fotocamera, ovvero l'accuratezza con cui l'apparecchio e' in grado di delineare i dettagli. Ci sono però anche altre note sulle caratteristiche dell'apparecchio che possono essere complicate da interpretare a meno che non si abbia una certa conoscenza tecnica del mondo dei computer. Proviamo allora a capire cosa bisogna sapere per una consapevole valutazione di questi dati.
Risoluzione: Il dispositivo di ripresa di una fotocamera digitale e' composto da un incolonnamento di sensori che catturano il colore e le informazioni sulla luce, convertendoli poi elettricamente nel dato numerico che caratterizza ogni singolo pixel (dall'inglese "picture elements"). Se una fotocamera e' in grado di fotografare un immagine composta da 640 pixel orizontali e 480 pixel verticali, si dice che ha una risoluzione di 640 per 480, quindi 307200 pixels. Potendo raggruppare più pixel nella medesima area, si producono immagini con una risoluzione più elevata, ovvero con una maggiore qualità nei dettagli.

Oltre alla risoluzione ottica, presa in considerazione fino a questo momento, tra le caratteristiche tecniche descrittive di un particolare apparecchio, troviamo spesso la così detta risoluzione interpolata. L'interpolazione e' un artificio matematico realizzato dal software della fotocamera, che permette di incrementare la risoluzione andando ad aggiungere pixel di cui si stima il colore e la luminosità. Questo procedimento compromette comunque in qualche misura la resa qualitativa. L'interpolazione e' anche realizzabile attraverso l'uso dei più comuni programmi di fotoritocco, per cui nella maggior parte dei casi non e' consigliabile ricorrervi in fase di ripresa.
Risoluzione di stampa e risoluzione video: Addentriamoci a questo punto un po' più approfonditamente nella definizione del concetto di risoluzione e delle unità di misura in cui la risoluzione e' espressa. Questo argomento deve essere chiarito soprattutto per poter avere una buona consapevolezza dei risultati ottenibili con l'attrezzatura che ci si appresta ad acquistare.
Abbiamo detto che la risoluzione delle immagini digitali (così come quella dei monitor) e' espressa in pixel per pollice (pixel-per-inch - ppi). La risoluzione degli apparati di stampa e' invece espressa in punti per pollice (dot-per-pixel - dpi), ovvero in numero di punti di inchiostro che la stampante e' in grado di scrivere per ogni pollice di supporto. Capita spesso che le due unità di misura siano considerate equivalenti, il che genera indubbi errori di valutazione.
Supponiamo di acquisire un'immagine con un dispositivo avente una risoluzione pari a 640 per 480 pixels. Per capire quale sarà la dimensione di tale immagine nella sua rappresentazione a video, occorre prendere in considerazione la risoluzione del monitor utilizzato. Un'impostazione classica per i video corrisponde a 72 ppi. Consideriamo questo valore il parametro di riferimento e facciamo alcuni calcoli. Dividendo gli originali 640 punti per i 72 punti per pollice visualizzabili sul monitor, si ricava che l'immagine ha una lunghezza a video di 8,8 pollici (circa 22,4 cm). Applicando la stessa operazione alla misura dell'altezza si ottiene il valore di 6,6 pollici (circa 16,8 cm). Abbiamo in questo modo dedotto le dimensioni sul video.
Per quanto riguarda invece la stampa dell'immagine, il ragionamento da seguire e' leggermente diverso. In fase di stampa bisogna innanzi tutto decidere quale risultato stiamo cercando di perseguire: possiamo decidere di ottimizzare la resa qualitativa dell'immagine, oppure possiamo imporre che venga rispettata una determinata dimensione e accettare quella che sarà la qualità risultante. I due parametri sono inevitabilmente legati tra loro, in quanto maggiore e' il numero di punti di inchiostro che dedichiamo ad ogni pixel (aumentando di conseguenza le dimensioni), e peggiore è la qualità del risultato finale. Procedendo in questa maniera infatti si rende progressivamente più evidente il fatto che l'immagine è composta da una serie di quadratini di inchiostro colorato.
La qualità della stampa può essere considerata ottima nel caso in cui ad ogni pixel venga fatto corrispondere un punto di inchiostro. Supponiamo di avere a disposizione una stampante con una risoluzione di 360 dpi. L'immagine presa in considerazione prima, che sul monitor (essendo espressa su di una matrice di 72 punti per pollice lineare), appariva di dimensioni pari a 8,8 per 6,6 pollici, risulta su carta di 1,7 per 1,3 pollici (4,13 per 3,5 cm), in quanto, stampando 360 punti di inchiostro per pollice, occorrono rispettivamente 1,7 e 1,3 pollici di supporto per stampare i 640 per 480 pixel che la compongono.
Se vogliamo invece mantenere la dimensione dell'immagine tale quale appariva sul monitor, occorre diminuire la risoluzione di stampa: dedicando 5 punti di inchiostro ad ogni pixel di immagine, si mantiene su carta l'originaria risoluzione video di 72 ppi e si mantengono quindi anche le dimensioni. In questo caso un buon suggerimento per migliorare la qualità, è quello di provare ad aumentare la risoluzione a video mediante il procedimento dell'interpolazione.
Messa a fuoco e Zoom: Soltanto le fotocamere digitali di fascia alta sono dotate di obbiettivi con messa a fuoco variabile. Tuttavia, essendo la lunghezza focale delle fotocamere compatte molto ridotta, la profondità di campo e' sempre tale da garantire una messa a fuoco perfetta a partire da una certa distanza minima fino ad arrivare ad infinito. Nelle fotografie in cui il soggetto e' particolarmente prossimo all'obbiettivo, e' sufficiente assicurarsi delle normali condizioni di illuminazione per ottenere dei buoni risultati. Per quanto riguarda invece lo zoom, e' necessario ancora distinguere tra zoom ottico e zoom digitale. Lo zoom ottico, e' in tutto simile allo zoom delle macchine fotografiche classiche. Lo zoom digitale e' invece ottenuto grazie ad un procedimento matematico attraverso il quale si isola la zona dei sensori fotosensibili coinvolti nella ripresa del particolare dell'immagine di proprio interesse, e si riporta la risoluzione dell'immagine al valore massimo mediante l'interpolazione. Di conseguenza la qualità finale dell'immagine ne risente in maniera proporzionale all'ingrandimento eseguito. Lo zoom ottico e' quindi senza dubbio il migliore, mentre lo zoom digitale e' una buona risorsa a cui ricorrere soltanto se si sta fotografando per pubblicare su Web o comunque su monitor. Eseguire uno zoom digitale in fase di ripresa equivale a ritagliare il particolare di una foto con un programma di fotoritocco e poi ingrandirlo.
La memorizzazione delle immagini: Nella fotografia digitale il rullino non è più utilizzato, ed e' sostituito da supporti in grado di memorizzare i valori numerici che descrivono le immagini riprese e che ne permettono la ricostruzione nel pc. Tali supporti sono in pratica delle carte di memoria simile a quelle presenti nei computer. Esse possono essere integrate nella macchina fotografica, o possono essere removibili. Nel caso in cui siano integrate, il trasferimento dei dati tra la fotocamera e il computer avviene tramite un cavo seriale. In questo caso una buona stima del tempo di attesa necessario per il trasferimento di ogni foto e' di 30 secondi. Se si considera quindi che per trasferire trenta immagini occorrono, secondo queste tempistiche, quindici minuti, si capisce che il procedimento può diventare piuttosto tedioso. Le carte removibili hanno il vantaggio di diminuire questi tempi di attesa e di mettere a disposizione una memoria più capiente. Due sono i modelli che si possono annoverare tra gli standard: la Compact Flash e la Smart Media. La SmartMedia in particolare, grazie all'uso di un adattatore, può molto comodamente essere inserita in un comune lettore di floppy disk, permettendo così un pregevole portabilità. Nel caso la propria fotocamera sia equipaggiata con memorie removibili, nulla vieta in oltre di acquistarne alcune di scorta da portare sempre con se, così come siamo usi fare con le macchine fotografiche classiche ed i comuni rullini.
Il formato delle immagini: Alcune caratteristiche relative al formato delle immagini digitali vanno prese in considerazione nel momento in cui si decide di archiviare le proprie fotografie. Chi ha un po' di pratica con i programmi di fotoritocco, certamente sa che ogni software per l'elaborazione delle immagini e' in grado di salvare i dati in un formato proprietario. Infatti, negli anni in cui la grafica digitale andava affermandosi, abbiamo assistito ad una corsa, da parte dei produttori di hardware o di software, per l'ideazione della struttura dati più adatta alla memorizzazione delle immagini. Con il passare del tempo, e' tuttavia risultato evidente, che il concetto di formato proprietario doveva essere superato, in quanto sempre più spesso l'utente si trovava di fronte all'esigenza di portare le proprie immagini da una piattaforma all'altra o da un programma all'altro. Così oggi, ogni software di fotoritocco supporta, oltre all'eventuale formato proprietario, anche tutti gli altri formati più diffusi. I più comuni sono: Tiff, Jpeg, Gif.
Il formato Tiff (Tag Image File Format) e' stato sviluppato dalla Aldus Corporation nel 1986 ed e' il formato più versatile attualmente in utilizzo. Supporta infatti qualunque tipo di immagine, con qualunque profondità cromatica ed e' dotato di alcune specifiche per la compressione dei dati. L'unico inconveniente e' che, essendo disponibile in diverse versioni, può capitare che una particolare applicazione incorra in qualche problema nell'importare un'immagine salvata con un differente programma.
Il Jpeg (Joint Photographics Experts Group) non e' un vero e proprio formato di memorizzazione delle immagini, ma piuttosto un meccanismo di codifica dei dati usato per ridurre la dimensione dei file. E' nativamente applicato ad immagini in formato Tiff, e ne permette la compressione fino ad un fattore di circa 15 volte. Non e' da usare durante un procedimento di fotoritocco in quanto ogni qualvolta l'immagine viene salvata si ha una perdita di dettagli non visibili che assume però un peso non indifferente sulle eventuali successive operazioni di correzione cromatica.
Il Gif (Graphics Interchange Format) e' stato sviluppato dalla CompuServe nel 1987 esplicitamente con l'obbiettivo di realizzare un formato leggero adatto al trasferimento delle immagini su canali multimediali. Il limite maggiore nell'implementazione di programmi software che utilizzano questo formato e' costituito dal fatto che utilizza un algoritmo proprietario (LZW) per l'utilizzo del quale e' necessario acquistare la licenza dall' IBM. Questo e' tuttavia un inconveniente per la realizzazione dei software che ambiscono a gestire anche questo formato, non certo per l'utente che si avvale di un tale programma.
Naturalmente esistono moltissimi altri formati quali ad esempio l'Eps o il Pict, ma non è il caso di addentrarsi ulteriormente nella descrizione dei dettagli.
Consumo energetico: Uno degli argomenti più accattivanti in grado di convincere gli scettici ad acquistare una macchina fotografica digitale, riguarda il fatto, che superato l'investimento iniziale per l'attrezzatura, non si dovranno più sostenere spese per lo sviluppo e la stampa delle pellicole. Tuttavia, i costi di mantenimento del proprio hobby, vengono completamente annullati soltanto se si ha l'accortezza di dotarsi di batterie ricaricabili. Molti modelli di fotocamera digitale ne sono naturalmente dotati, e vengono quindi venduti accessoriati con il relativo carica batterie. Se comunque così non fosse, il consiglio è quello di sostituire le pile stilo usa e getta di comune utilizzo, con pile ricaricabili. L'investimento sarà ripagato in un breve periodo in quanto il consumo di energia delle fotocamere digitali non è indifferente.

Lineatura (l.p.i. line per inch.)
Livello di finezza della trama dell'immagine espressa in linee per pollice o per centimetro.
Es.: 150 linee per pollice che corrispondono a 59 linee al cm2
(misura italiana).

 

Fonte: http://www.marforio.org/appunti/sistemadielaborazionedelleinformazioni/La%20digitalizzazione%20delle%20immagini.doc

 

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