Conduttori semiconduttori ed isolanti

 


 

Conduttori semiconduttori ed isolanti

 

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Conduttori, semiconduttori ed isolanti

 

Possiamo classificare i materiali presenti in natura in base alla conducibilità elettrica che mostrano e quindi all’ostacolo che offrono al passaggio della corrente. Sappiamo che gli isolanti non consentono il passaggio di correnti apprezzabili, i conduttori consentono il passaggio di corrente e i semiconduttori hanno caratteristiche intermedie fra le altre due categorie.
Per esser più precisi dobbiamo introdurre il concetto di resistività. Ricordiamo che un corpo (che supponiamo di forma geometrica regolare, ad esempio un cilindro)

offre una resistenza al passaggio di corrente elettrica che è data dalla seguente formula

dove S è la sezione del cilindro, l è la lunghezza e ρ è la resistività del materiale in questione. Per resistività si intende con esattezza la resistenza offerta al passaggio della corrente, misurata fra facce opposte di un cubo il cui volume sia proprio un centimetro cubo: l’unità di misura della resistività è Ωcm. Nella seguente tabella riportiamo l’ordine di grandezza della resistività per isolanti, conduttori e semiconduttori.

 

 

Resistività (Ωcm)

Isolanti

1010-1023

Semiconduttori

103-108

Conduttori

10-8-10-4

 

Facciamo qualche esempio numerico: supponiamo di considerare un cilindro con l = 10 cm, S = 1 cm2. Se esso è in polietilene (resistività compresa fra 1015 e 1018) la resistenza che offre è compresa fra
10 milioni di miliardi di Ω
e
10000 milioni di miliardi di Ω
Se il cilindro è in rame (resistività 1,7*10-6 ) la resistenza offerta è
17 milionesimi di ohm.
Se il cilindro è di silicio (semiconduttore con resistività 2,3*105)
 milioni di ohm

 

Tavola delle resistività di alcuni materiali


(calcolati a 20 °C)

 

Materiale

Resistività r (in Ω × mm2 / m )

Argento

0.016

rame

0.017

Oro

0.024

Alluminio

0.028

Tungsteno

0.055

Platino

0.10

Ferro

0.13

Acciaio

0.18

Piombo

0.22

Mercurio

0.94

Costantana (lega 80% Cu, 40% Ni)

0.49

Carbonio

35

Germanio

60 × 102

Silicio

2.3 × 109

Ambra

5 × 1020

Vetro

1016 ÷ 1020

Mica

1017 ÷ 1021

Zolfo

1021

Legno secco

1014 ÷ 1017

Per comprendere i motivi di tale differenziazione di comportamento occorre fare riferimento alla teoria atomica.

 

I vari modelli dell’atomo

I modelli interpretativi dell’atomo hanno subito una notevole evoluzione nel corso del tempo. Il modello più semplice è quello rappresentato nella figura precedente (il modello atomico di Thomson) il quale, con esperimenti in cui creava campi magnetici in un tubo a vuoto

 


scoprì l’esistenza di particelle cariche negativamente (gli elettroni) e da cui desunse, data la neutralità complessiva dell’atomo, la presenza di cariche positive (i protoni) ma ritenne erroneamente che  gli atomi erano costituiti da sfere piene (i nuclei) in cui erano incastonati gli elettroni .
Questo modello non resse ai risultati sperimentali di Rhuterford il quale bombardò con nuclei di elio una lamina di oro

E pose rilevatori di particelle con diverse angolazioni rispetto alla lastra: se il modello atomico di Thomson fosse stato corretto ci si sarebbe aspettati che la totalità delle particelle di elio avrebbe dovuto rimbalzare all’indietro come palline di tennis scagliate contro un muro. Egli rilevò invece che solo una percentuale di tali particelle rimbalzava all’indietro mentre altre venivano deviate secondo vi vari angoli di inclinazione possibili.

O addirittura attraversavano indisturbati la lamina.


Questo portò ad introdurre un modello planetario dell’atomo, in cui si riconosceva, in armonia con i risultati di Rhuterford, che l’atomo era costituito in gran parte da spazio vuoto, con l maggior parte della massa concentrata in un nucleo e gli elettroni che orbitavano intorno al nucleo come pianeti intorno al sole.

Il legame fra elettroni e nuclei era determinato dall’equilibrio fra forze meccaniche agenti sull’elettrone

Secondo questa modellizzazione meccanica si riteneva che un elettrone potesse possedere un’energia che potesse variare con continuità, assumere cioè qualunque valore reale possibile (una grandezza che varia con continuità è una grandezza che posso pensare di esprimere con numeri che possono possedere un qualunque numero di cifre dopo la virgola). All’aumentare dell’energia posseduta l’elettrone percorreva orbite con raggio sempre più grande fino a potersi allontanare dall’atomo

Questo modello non era però in grado di spiegare i risultati che si ottenevano analizzando lo spettro di emissione degli atomi cioè le frequenze delle radiazioni emesse dagli atomi. In una radiazione la frequenza è legata all’energia posseduta dalla radiazione emessa. Se un elettrone poteva variare la propria energia di un valore qualunque ed emettere dunque radiazioni a tutte le frequenze

Mentre si notava sperimentalmente che venivano emesse radiazioni soltanto ad alcune frequenze

Il fisico Niels Bohr ne dedusse che l’energia posseduta dall’atomo dovesse essere allora una grandezza quantizzata, una grandezza cioè che non poteva assumere tutti i valori possibili, ma che variasse a scatti, detti quanti di energia. Di conseguenza anche le orbite percorse non potevano essere tutte quelle immaginabili ma il oro raggio doveva variare a scatti, di multipli di una quantità minima.

 

Un elettrone poteva passare da un’orbita all’altra soltanto cedendo o acquistando una quantità di energia pari alla differenza fra le energie corrispondenti alla due orbite.

Il modello di Bohr resse a lungo sia pur con correzioni di dettaglio come quella di De Broglie, che consentivano una maggiore aderenza ai risultati sperimentali.

La vera rivoluzione fu data dal principio di indeterminazione di Heisenberg

Egli dimostrò in sostanza che non è possibile determinare contemporaneamente posizione e velocità di un elettrone nello spazio. Da ciò deriva che parlare di orbite percorse dall’elettrone è un non senso., perché il concetto di orbita presuppone la capacità di determinare con precisione il moto di un corpo. Andava introdotto, allora, un nuovo modello di interpretazione degli atomi, in cui si rinunciava a determinare con precisione assoluta il moto degli elettroni e ci si accontentava di darne una descrizione probabilistica: invece di determinarne la traiettoria ci si accontentava di determinare zone dello spazio intorno al nucleo in cui l’elettrone potrebbe trovarsi con sufficiente probabilità, gli orbitali. Questi orbitali venivano determinati mediante strumenti matematici molto sofisticati, detti funzione d’onda

Si hanno diversi tipi di orbitali

Gli elettroni di un atomo occupano i vari orbitali a partire da quelli con minore energia

Livelli e bande di energia

Quello che ci interessa ora ribadire è la natura quantizzata dell’energia posseduta da un elettrone


Ad un elettrone sono dunque permessi soltanto certi livelli di energia, ad esempio 10,19 elettronvolt oppure 12,047 elettronvolt ma non, per esempio, 10,21 oppure 11,4589 elettronvolt. Dunque la sua energia non può assumere tutti i valori immaginabili.
Questa situazione è vera, però, soltanto se l’atomo è isolato, molto distante dagli altri atomi. Se l’atomo è inserito in un reticolo cristallino, le interazioni elettriche fra gli elettroni di un atomo e quelli dell’atomo successivo complicano le cose e fanno moltiplicare i livelli energetici possibili. Analizziamo la seguente figura

In essa poniamo sull’asse delle ascisse la distanza d interatomica cioè la distanza reciproca fra i vari nuclei del reticolo, e sull’asse delle ordinate l’energia posseduta dagli elettroni. Vediamo che se d è molto grande , cioè gli atomi sono molto distanti l’uno dall’altro, vi sono pochi livelli energetici, ma via via che avviciniamo gli atomi fra loro, i livelli si moltiplicano tanto da dar luogo a vere e proprie bande , cioè intervalli all’interno dei quali è permesso all’energia di assumere un qualsiasi valore.
Dalla figura si vede anche che si creano bande di valori di energia che un elettrone non può possedere. In definitiva, per atomi inseriti in un reticolo cristallino, la situazione è la seguente

Abbiamo tre possibili bande di energia:

  • la banda di valenza, è un insieme di valori di energia che possiede un elettrone vincolato all’atomo,
  • la banda proibita o gap costituita da un insieme di valori di energia che un elettrone non può possedere
  • la banda di conduzione. Un elettrone che acquista una tale energia abbandona l’atomo e diventa libero.

Scopriamo anche, dalla figura precedente, che l’ampiezza della banda proibita dipende dalla distanza interatomica e che essa è molto grande negli isolanti, ha un valore minore nei semiconduttori, è praticamente inesistente nei conduttori

Proprio l’ampiezza della banda proibita consente di spiegare il diverso comportamento di isolanti, conduttori e semiconduttori.
Negli isolanti, data l’ampiezza del gap, diventa molto difficile, improbabile statisticamente, che un elettrone diventi libero, per cui la popolazione di elettroni d liberi in un materiale isolante è molto piccola, da cui l’impossibilità di avere correnti significative.
Nei semiconduttori, il numero di elettroni liberi è superiore a quello presente negli isolanti poiché il gap da saltare è inferiore.
I conduttori sono ricchissimi di elettroni liberi poiché non esiste una banda proibita da dover superare.
Per avere un’idea più precisa, diciamo che in un metro cubo di materiale isolante troverete da 1 milione a  dieci milioni di elettroni liberi mentre in un buon conduttore troverete 1028 elettroni liberi cioè 10 miliardi di miliardi di miliardi di elettroni liberi.
Nel silicio abbiamo 1016 elettroni liberi per metro cubo cioè dieci milioni di miliardi di elettroni liberi.

 

Fonte: http://www.antoniosantoro.com/Conduttori.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Conduttori semiconduttori ed isolanti

 

I  SEMICONDUTTORI

 

        I semiconduttori sono una classe molto importante di conduttori non ohmici perché di larghissimo impiego nei moderni apparati elettronici e che hanno consentito di ridurne sempre più le dimensioni (circuiti integrati).
Due sono i processi attraverso cui avviene la conduzione elettrica in un solido:

  • deriva di cariche a causa di un campo elettrico applicato: è il

    meccanismo del passaggio di corrente nei conduttori sottoposti
ad un campo elettrico per effetto di una d.d.p. applicata ai loro
estremi.

  • diffusione di cariche tra zone ad alta densità e zone a bassa

densità di cariche: è  il  meccanismo  della  conduzione  nei
materiali   detti   semiconduttori    tra   regioni   aventi
rispettivamente abbondanza e scarsità di particolari tipi di
portatori di carica.

        Nella tabella sono riportate alcune caratteristiche fisiche, a temperatura ambiente,  dei materiali che ci interessano, le quali giustificano il nome di semiconduttori dato a certi materiali (v. la resistività).
TABELLA
 



         materiale              densità portatori         resistività r             coeff.termico
                                       di carica(cm-3)               (W.cm)            di resistività (°K-1)

         conduttore                    1023                           10-6                      + 4.10-3
             (rame)
    
    semiconduttore                  1010                           105                        - 70.10-3
          (silicio)

          isolante                        ~ 0                             1014                           -----
(vetro)
Come si vede dalla tabella, la resistività dei semiconduttori è intermedia tra quella dei conduttori e quella degli isolanti.

        Il germanio ed il silicio sono i semiconduttori più usati. Ambedue cristallizzano in forma cubica e i loro atomi possiedono 4 elettroni di valenza. Nel reticolo cristallino (Fig.15), ciascun atomo è legato a 4 atomi vicini mediante 4 legami covalenti che utilizzano i 4 elettroni di valenza di ciascuno. Cosicchè in ogni legame vengono condivisi 2 elettroni e ciascun atomo è circondato da uno strato chiuso di 8 elettroni.

        A 0 °K tutti gli elettroni sarebbero fortemente legati ai loro atomi e, non essendoci portatori di carica liberi di muoversi, il materiale si comporterebbe da isolante.

 

 



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CENNI SULLA TEORIA A BANDE NEI SOLIDI
Le differenze di resistività (o di conducibilità) nei materiali solidi possono essere interpretate tramite la teoria a bande.

        Sappiamo che gli elettroni di un atomo isolato occupano un numero discreto di livelli energetici, ciascuno dei quali è caratterizzato da un valore per l’energia totale posseduta dagli elettroni che occupano quel livello.

        In un materiale solido, costituito quindi dall’insieme di moltissimi atomi, a causa dell’interazione reciproca fra questi, i livelli energetici si raggruppano in bande di livelli singoli vicinissimi in energia fra di loro (in un solido una banda energetica è larga pochi eV e deve contenere i livelli energetici di un numero di atomi dell’ordine del numero di Avogadro). Le bande sono separate da intervalli di energia DE non permessi (Fig.16).

 

 

 

 


L’ultima banda (quella di energia più alta, parzialmente occupata o vuota) è detta banda di conduzione, la banda immediatamente sotto di essa viene chiamata banda di valenza. L’intervallo DE non permesso è detto gap. Questo intervallo di energia proibita corrisponde al fatto che per rompere un legame di valenza occorre fornire proprio una energia DE. Se si fornisce una quantità di energia minore di DE il legame non si rompe in quanto l’elettrone non può assorbirla, per cui tutte le energie minori di DE sono energie proibite per l’elettrone.
In un semiconduttore a 0 °K non ci sono cariche libere nella banda di conduzione perché a questa temperatura nessun elettrone può acquistare energia per superare il piccolo gap e quindi il semiconduttore presenta le caratteristiche elettriche di un isolante.

        Se si aumenta la temperatura, qualche elettrone può acquistare, per agitazione termica, l’energia sufficiente a superare il gap e passare, quindi, nella banda di conduzione aumentando la conducibilità del materiale. Man mano che la temperatura sale, sempre più cariche passano nella banda di conduzione, dove sono libere, e la conducibilità del semiconduttore aumenta o, che è lo stesso, la sua resistività diminuisce. Il coefficiente termico di resistività è, quindi, negativo.
La relazione che lega la resistività di un semiconduttore puro al suo gap DE ed alla temperatura assoluta T è data dalla:

r = AeDE/kT

dove A è una costante e k la costante di Boltzmann.

        Quando un elettrone passa dalla banda di valenza a quella di conduzione, nella banda di valenza rimane un “vuoto” di carica negativa.

        Tale mancanza di carica viene chiamata buco o lacuna. Questa può essere riempita di nuovo da un elettrone o della banda di conduzione o di qualche legame vicino che si rompe. In questo meccanismo di ricombinazione fra lacune ed elettroni, poiché l’elettrone aveva ricevuto una energia DE è costretto a riemetterla sotto forma di fotoni o di calore. Questa energia può essere assorbita da un altro elettrone che può rompere così il suo legame e creare un’altra coppia elettrone-lacuna; in tal modo viene generato il moto delle lacune attraverso il reticolo cristallino. Se, allora, si applica un campo elettrico, il moto di elettroni e lacune acquisterà una componente nella direzione del campo. La conduzione avviene sia per cariche positive (le lacune) che per altrettante cariche negative (gli elettroni) ed il semiconduttore viene detto intrinseco.

 

DROGAGGIO
E’ possibile far variare, in modo controllato, la resistività di un semiconduttore introducendo nel suo reticolo cristallino un numero controllato di impurezze (atomi di altri elementi).

        Il silicio ed il germanio hanno circa 1022 atomi/cm3, ma basta introdurre un atomo-impurezza ogni 106 o 107 atomi di semiconduttore perché la resistività si riduca di molto.

        Se si introducono, per diffusione ad alta temperatura, nel reticolo cristallino di un semiconduttore molto puro atomi-impurezze di alluminio (elemento trivalente) si ottiene un semiconduttore di tipo P. In tale tipo di semiconduttore la conduzione avviene essenzialmente per cariche positive (lacune).
 


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        Infatti (Fig.17), solo tre dei quattro legami degli atomi del semiconduttore possono essere saturati. Il quarto legame, possedendo l’alluminio solo tre elettroni di valenza, manca di un elettrone; si crea quindi una lacuna che, a causa dell’agitazione termica, si rende libera nella banda di valenza. Aumentano, così, le cariche libere e la resistività diminuisce.
Le impurezze trivalenti (Al, B, Ga) vengono dette accettori (di elettroni).
Se l’impurezza introdotta è invece di un elemento pentavalente, tutti i legami con gli atomi del semiconduttore sono completi e resta un elettrone (Fig.18) che passa subito nella banda di conduzione facendo diminuire la resistività. Abbiamo costruito un semiconduttore di tipo N.
Le impurezze pentavalenti (P, Sb, As) vengono chiamate donori (di elettroni).

 

 


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Quanto abbiamo esposto finora può essere riassunto così:

   semiconduttore drogato P                        semiconduttore drogato N

n° lacune libere >> n° elettroni liberi            n° elettroni liberi >> n° lacune libere

densità dei portatori di carica:

     p=1016 lacune/cm3                (maggioritari)         n=1016 elettroni/cm3
     n=1010 elettroni/cm3               (minoritari)           p=1010 lacune/cm3

conduzione per cariche positive                      conduzione per cariche negative

 


GIUNZIONE  P- N
Consideriamo due pezzi di materiale semiconduttore uno di tipo N e l’altro di tipo P separati, come in Fig.19.
 

 

 


      
Nel tipo N abbiamo molti elettroni liberi, poche lacune libere e gli ioni positivi (gli atomi donori) fissi del reticolo cristallino. Nel pezzo di materiale di tipo P ci saranno molte lacune libere, pochi elettroni liberi e gli ioni negativi (gli atomi accettori) fissi del reticolo. Ovviamente il bilancio della carica è tale che sia nel pezzo N che in quello P la carica di un segno uguaglia quella del segno opposto e così ciascuno dei due pezzi di materiale risulta neutro.
 


 

 

 

 

        Supponiamo, adesso, di mettere a stretto contatto (a livello atomico) i due pezzi di semiconduttore creando quella che si chiama una giunzione  P-N (Fig.20).

        Poiché la densità dei portatori maggioritari (elettroni in N e lacune in P) non è più omogenea nei due pezzi uniti assieme, avremo una diffusione di elettroni da N a P e di lacune da P ad N, così come accade nel caso di un gas che diffonde da una zona a concentrazione più alta ad una più bassa.
Man mano che il processo di diffusione evolve, il pezzo N perde cariche negative, caricandosi positivamente, mentre il pezzo P perde cariche positive per cui è come se acquistasse una carica negativa. Ciò ostacola il passaggio di lacune ed elettroni attraverso la giunzione fino ad arrestarlo (quasi) completamente.
Attorno alla giunzione si crea una zona, detta di svuotamento o di barriera, priva di cariche libere (questa zona si comporta da isolante).
Gli ioni fissi stabiliscono una differenza di potenziale Vo che non permette più il passaggio delle cariche maggioritarie attraverso la giunzione ed il processo di diffusione si arresta. Le cariche minoritarie, a causa di questa d.d.p., generano una corrente di deriva Ider, di verso opposto a quella di diffusione Idiff delle cariche maggioritarie, attraverso la giunzione. All’equilibrio queste due correnti si bilanciano come indicato in Fig.20.

        Una giunzione P-N costituisce un diodo a giunzione, in quanto presenta la stessa caratteristica di conduzione unidirezionale di un diodo a vuoto.

 

DIODO A GIUNZIONE
Applichiamo dall’esterno, mediante una batteria, una d.d.p. V agli estremi della giunzione P-N precedentemente studiata.
Collegando il polo positivo della batteria alla parte N della giunzione (e quindi quello negativo alla parte P) aumentiamo l’altezza della barriera di potenziale alla giunzione, col risultato di allargare la regione di svuotamento (Fig.21).

 

 

 


 

 

        La corrente di deriva Ider , dovuta ai portatori minoritari di carica, si può considerare indipendente dall’altezza della barriera perché determinata dal numero di coppie elettrone-lacuna generate per agitazione termica, funzione, quindi , della temperatura. Se questa non varia, Ider @ cost.
La corrente di diffusione Idiff dovuta ai portatori maggioritari, invece, dipende dall’altezza della barriera: se quest’ultima aumenta, la Idiff , per quanto visto prima, dovrà diminuire e la corrente totale Itot = Idiff - Ider sarà minore della corrente di deriva Ider . In queste condizioni la giunzione si dice polarizzata inversamente e la Itot si chiama corrente inversa.

        Se, adesso, invertiamo la polarità della batteria (cioè colleghiamo il suo polo positivo alla parte P della giunzione), avremo come risultato l’abbassamento della barriera (Fig.22) con un conseguente forte aumento della corrente di diffusione Idiff e, quindi, della corrente totale poiché, come abbiamo detto, Ider @ cost. La corrente totale Itot ha verso opposto a quello del caso precedente, la giunzione si dice essere polarizzata diretta e la Itot costituisce la corrente diretta.

 

 

Fig. 22 – Polarizzazione diretta della giunzione

 

 

        Si può dimostrare che la corrente totale può essere scritta come:

Itot = Io(expeV/kT - 1)                         (15)

avendo indicato con Io una costante che dipende dal materiale semiconduttore, con e la carica dell’elettrone. Questa relazione vale sia nel caso di polarizzazione diretta (+V) che di polarizzazione inversa (-V) e fornisce l’espressione analitica (teorica) della caratteristica I-V del diodo a giunzione.

        Possiamo scrivere la (15) come:

Itot/Io = expeV/kT - 1                         (16)

dalla quale, per  V = 0      si ha    Itot/Io = 0
per   V = ¥     si ha    Itot/Io = ¥
per  V = -¥    si ha    Itot/Io = -1   cioè   Itot= -Io

        Per valori negativi della d.d.p. V (polarizzazione inversa), la corrente totale tende rapidamente al valore costante -Io (corrente inversa di saturazione). La relazione (16) è riportata in Fig.23 insieme al simbolo del diodo a giunzione.


        Per dare un’idea del valore del rapporto Itot./Io , osserviamo che a temperatura ambiente kT/e = 0,025 Volt, per cui:

Itot/Io = exp40V - 1

dalla quale, per V = 0,1 Volt appena, si ricava:

Itot/Io @ 50 ,

come si può rilevare direttamente anche dalla Fig.23.
L’elevata pendenza della caratteristica diretta comporta una bassa resistenza diretta e, conseguentemente, una bassa caduta di potenziale ai capi del diodo semiconduttore. Ciò lo rende altamente efficiente in potenza: questo è un vantaggio rispetto al diodo a vuoto per il quale si spende già qualche watt solo per accendere il filamento.
Altri vantaggi sono le piccole dimensioni, la leggerezza e la maggiore durata.
Le applicazioni del diodo a giunzione sono le stesse di quelle del diodo a vuoto (raddrizzamento di corrente alternata). Un’altra applicazione verrà descritta nel prossimo paragrafo.

 

DIODO EMETTITORE DI LUCE (Light Emitting Diode =LED)
Le cifre di colore rosso dei registratori di cassa dei negozi o dei contasecondi digitali che avete usato in laboratorio o di altre apparecchiature  elettroniche vengono costruite mediante  un  diodo a giunzione.

        Quando un elettrone della banda di conduzione del pezzo N cade nella banda di valenza del pezzo P, ricombinandosi con una lacuna, deve liberarsi di una quantità di energia pari a quella corrispondente al gap proibito DE.

        Questa energia può essere emessa sia sotto forma di radiazione elettromagnetica (fotone di energia hf) sia sotto forma di calore k, se viene ceduta come energia di vibrazione al reticolo cristallino del materiale;  il bilancio energetico può essere scritto come:

                                                DE = hf + k                                      (17)

h la costante di Planck, f la frequenza della radiazione elettromagnetica.
In un diodo LED prevale il primo processo e lo vediamo illuminarsi.

        Utilizzando dei materiali semiconduttori composti di gallio, arsenico e fosforo è possibile ottenere, variando il rapporto tra fosforo e arsenico, un valore di DE tale che f vada a cadere nella regione del visibile. Un siffatto dispositivo, allora, emette radiazione elettromagnetica che il nostro occhio è capace di vedere.

 

 

 

        Per evitare che buona parte dei fotoni emessi vengano riassorbiti da  elettroni della banda di valenza facendoli passare in quella di conduzione, il semiconduttore viene fortemente drogato in modo da avere un numero di portatori maggioritari in forte eccesso rispetto a quello generato dall’agitazione termica nel materiale non drogato. Per avvicinarsi ulteriormente a tale condizione e per ottenere un elevato numero di fotoni emessi, la giunzione, inoltre, viene fortemente polarizzata in verso diretto, come in Fig.24, cosicchè il forte campo elettrico sospinge un numero molto grande di portatori maggioritari attraverso la giunzione stessa.

 

 

 


        I diodi LED emettenti nell’infrarosso vengono utilizzati nei sistemi di comunicazione mediante fibre ottiche.

        Se l’eccesso di portatori maggioritari è sufficientemente grande si può raggiungere una delle condizioni per avere effetto laser.

 

MISURA DELLA COSTANTE DI PLANCK MEDIANTE LED
Un diodo LED polarizzato diretto si presta per una misura didattica semplice della costante h di Planck.
Il campo elettrico creato dalla polarizzazione diretta spinge elettroni e lacune a ricombinarsi e l’emissione di luce avviene quando si supera un certo valore del campo cioè esiste una tensione di soglia Vs (Fig.26) individuata dalla d.d.p. corrispondente al ginocchio della caratteristica I-V del diodo. Per cui si può scrivere:

                                             eVs = ΔE = hf + k                                (18)

essendo e la carica dell’elettrone e ricordando la (17).

 

 


        Diversi sono i metodi per misurare Vs: il più semplice usa un voltmetro collegato ai capi del LED per misurare la caduta di tensione nel diodo quando esso è attraversato da una piccola corrente (~ 1 mA).

Dalla (18), supponendo k trascurabile e nota o misurata la lunghezza d’onda λ di emissione , si ricava:

                                          h = eVs/f = eVsλ/c                                   (19)

Se si hanno a disposizione due LED con k circa uguale si può scrivere:

                                             eVs1 = hf1 + k
eVs2 = hf2 + k

e, sottraendo membro a membro, si elimina la dipendenza da k ottenendo:

                                     h = e(Vs1 - Vs2)/(f1 – f2)                               (20)

 

TRANSISTORE A GIUNZIONE
Il transistore è un dispositivo che ha sostituito il triodo a vuoto in quasi tutte le moderne applicazioni. Analogamente al triodo, il transistore può essere utilizzato come amplificatore o come interruttore.

        Questo tipo di transistore è formato da due giunzioni realizzate mettendo uno strato molto sottile (~ 0,002 cm) di semiconduttore di tipo N fra due strati di tipo P (transistore PNP) oppure uno strato di tipo P fra due strati di tipo N (transistore NPN). Il funzionamento di ambedue i tipi è identico per cui, per fissare le idee, descriveremo quello del tipo PNP.
I tre strati di materiale semiconduttore sono chiamati, rispettivamente, emettitore, base, collettore (Figg.26 e 26 bis).

Fig. 26 – Costituzione schematica e simbolo di un  transistore PNP

  

 

 


        La freccia sull’emettitore indica la direzione della corrente quando la giunzione emettitore-base è polarizzata diretta. Tuttavia, per convenzione, le correnti di emettitore Ie , di base Ib  e di collettore Ic  sono considerate positive quando fluiscono verso il transistore, come indicato in figura, per cui restano fissati anche i segni delle d.d.p. Veb , Vcb , Vce tra i tre elettrodi.
Normalmente la giunzione emettitore-base viene polarizzata diretta mentre quella collettore-base in modo inverso.

        Il funzionamento del transistore può essere compreso quando si consideri come viene modificato il potenziale alle giunzioni non polarizzate dall’applicazione di una polarizzazione esterna come quella suddetta (Fig.27 a).

        In assenza di polarizzazione esterna le barriere di potenziale alle giunzioni raggiungono l’altezza richiesta (0,2¸0,3 volt) perché non circoli corrente (Fig.27 b)). Quando le giunzioni vengono polarizzate, abbiamo visto che la polarizzazione fa cambiare l’altezza delle barriere. Precisamente, polarizzando direttamente la giunzione emettitore-base la rispettiva barriera viene abbassata di ½Veb½ mentre la polarizzazione inversa applicata alla giunzione base-collettore fa alzare la rispettiva barriera di ½Vcb½ (Fig.27 c)).

 

 

 

 

 
Diminuendo la barriera emettitore-base, le lacune presenti nell’emettitore possono diffondersi verso la base ed entrare in essa: l’emettitore, analogamente al catodo di un triodo, immette cariche nella base. Poiché lo spessore della base è molto piccolo le lacune diffondono rapidamente verso la giunzione base-collettore subendo, così, una piccolissima ricombinazione con gli elettroni della base. Le lacune vengono raccolte al collettore, in ciò favorite dalla barriera di potenziale in discesa della  giunzione base-collettore: il collettore è l’analogo dell’anodo di un triodo in quanto in esso avviene la raccolta delle cariche.

        Il rapporto tra una variazione DIc della corrente di collettore e la corrispondente variazione DIe di quella di emettitore, con la d.d.p. Vcb tra collettore e base mantenuta costante, si chiama coefficiente a di amplificazione in corrente:

a = (DIc/DIe)Vcb=cost .

        Questo rapporto risulta minore di 1, ma molto prossimo all’unità (0,95¸0,99) dato che Ic @ Ie a causa dei trascurabili effetti di ricombinazione tra elettroni e lacune nella base.
Tuttavia, si ottiene amplificazione (>1) sia in potenza che in tensione poiché la corrente viene immessa in una bassa resistenza (d’ingresso, tipicamente 200¸1000 W) e prelevata su un’alta resistenza (d’uscita, valore tipico 1 MW).

        Un secondo coefficiente b di amplificazione in corrente si può definire in termini di variazione DIb della corrente di base:

b = (DIc/DIb)Vce=cost

Possiamo trovare la relazione che intercorre tra i due coefficienti in quanto

                        DIc=a DIe        e        DIb = DIe - DIc = DIe(1 - a)

e, poichè Vcb è in genere di parecchi volt, risulta    Veb<<Vcb e quindi Vce @Vcb ,  per cui in definitiva

b = a DIe/(1 - a)DIe = a/(1 - a)

che, per un valore tipico di a uguale a 0,98 , dà b @ 50. Possono essere raggiunti valori anche di 200.

 

CARATTERISTICHE DEL TRANSISTORE
Come nel caso del triodo, anche per il transistore si possono ricavare sperimentalmente le relazioni tra tensione e corrente:

Veb = f(Ie ,Ic) ;      Vcb = f(Ie ,Ic) ;      Vce = f(Ib ,Ic)

        Le caratteristiche più usate sono quelle a base comune e ad emettitore comune, in cui la connessione tra l’ingresso e l’uscita ha, rispettivamente, la base o l’emettitore in comune o a massa.

 

        Per un transistore PNP con base comune (o a massa), esse si possono rilevare mediante il circuito della Fig.28.

 

 



 

 

        L’andamento di tali caratteristiche è illustrato nella fig.29, dove viene riportato in ascisse la tensione Vcb tra collettore e base e in ordinate la corrente, diretta ed inversa, Ic di collettore con parametro la corrente Ie di emettitore.
Nel primo quadrante abbiamo la caratteristica diretta del diodo costituito dalla giunzione base-collettore. Questa zona non è di funzionamento per il transistore, visto che tale giunzione viene normalmente polarizzata inversa.

 

 

 

                              

 

        Si utilizzano soltanto le curve del terzo quadrante che, ribaltate, sono riportate nella Fig.30. Esse sono analoghe alla famiglia delle caratteristiche anodiche di un triodo a vuoto. Da notare la piccola pendenza delle curve che implica un’alta resistenza di uscita (R = 1/pend.).

 

 

 

 


Allo stesso modo è possibile rilevare le caratteristiche con emettitore comune utilizzando il circuito mostrato in Fig.31.

 

 

 

 


Un tipico esempio di caratteristiche con emettitore comune di un transistore sono mostrate nella Fig.32, in cui è riportata la corrente di collettore Ic in funzione della tensione Vce tra collettore ed emettitore con parametro la corrente Ib di base.

 

 

 


Tenendo fissa la d.d.p. Vce è possibile ricavare la caratteristica di trasferimento (Fig.33) riportando la corrente d’uscita Ic in funzione della corrente  d’ingresso  Ib  e  quindi (Fig.34) il coefficiente di amplificazione b = (DIc/DIb)Vce=cost. .

 

 

 

 

 

 

 


Fonte: http://www.antoniosantoro.com/Copia%20di%20tesina/altriformati/formato%20word/tesina2.doc

N.Arena – Appunti lezioni Lab.2° - A.A.2008/09

 

 

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