Il latino classico e il latino volgare

 

 

 

Il latino classico e il latino volgare

 

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Il latino classico e il latino volgare

 

Come abbiamo detto, anche il latino era soggetto a variazioni. Fra le tante varietà di latino che si sono incrociate e sovrapposte nel tempo, nello spazio, nei livelli d’uso, della modalità di realizzazione spiccano, per importanza storica, le due che convenzionalmente sono indicate come latino classicoe latino volgare.
Il latino classico è il latino scritto così come venne usato nelle opere letterarie della cosiddetta “età aurea” di Roma (50 a.C. - 50 d.C. ca), ed è rimasto sostanzialmente lo stesso nel corso della storia. Esso è una lingua colta, espressione dei ceti socioculturalmente più elevati.
A differenza del latino classico, il latino volgare (cioè il latino parlato dal vulgus, dal popolo) non è una lingua vera e propria, identificabile sincronicamente e dotata di una coerente norma grammaticale. Si tratta piuttosto di un agglomerato dinamico e mutevole di fenomeni linguistici, e perciò privo di un’organica grammatica e descrivibile solo diacronicamente.
Il latino volgare presenta inoltre molti punti di contatto con il latino arcaico (dall’VIII secolo a.C., tradizionalmente indicato come quello della fondazione di Roma, alla fine del II secolo a.C.), perché ne continua alcune tendenze grammaticali che, tagliate fuori dalla codificazione letteraria e colta del I secolo a.C., riemergeranno nelle testimonianze scritte solo quando il prestigio scritto del modello classico entrerà in crisi.


1.2.2. Le fonti del latino volgare

Il latino volgare, che fu alla base delle nuove lingue romanze e che era essenzialmente parlato, ci è noto principalmente grazie ad alcune fonti:
a) Le iscrizioni pubbliche, sparse in tutto il territorio dell’Impero. Le scritture occasionali sono molto più interessanti, perché rivelano l’imbarazzo di chi si muove con difficoltà tra forme ufficiali poco conosciute e forme familiari ma prive della dignità necessaria alla scrittura. Celebri i graffiti conservati a Pompei dalle ceneri dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che offrono oltre tutto il vantaggio di essere sicuramente databili.         
b) Le opere di grammatici e insegnanti di latino. In quanto istituzionalmente incaricati di trasmettere la norma linguistica tradizionale, i grammatici e in generale i maestri di scuola spesso offrono testimonianza di usi “sbagliati”, vale a dire di tendenze popolari in atto nella lingua parlata, spesso destinate ad affermarsi nel futuro.
La più famosa e la più importante testimonianza del genere è la cosiddetta Appendix Probi, opera di un maestro di scuola del III secolo d.C. rimasto anonimo, così chiamata (Appendice di Probo) perché trovata in fondo a un manoscritto contenente opere del grammatico Valerio Probo. Questa Appendice è una lista di 227 parole riportate su due colonne. Nella colonna di sinistra le parole si presentano secondo la norma del latino scritto, nella colonna di destra si presentano nella forma “errata”, cioè così come le pronunciavano o le scrivevano gli scolari, secondo lo schema “A, non B”:

speculum           non      speclum
columna                        non      colomna
calida                non      calda
auris                  non      oricla

A differenza degli scolari di quel maestro, a noi interessano proprio queste ultime forme, che testimoniano di altrettanti fenomeni vivi nel latino volgare: caduta della vocale postonica nel suffisso -ULUM, -ULAM in speclum e oricla; alterazione della vocale tonica in colomna (con u breve diventata o chiusa); monottongazione del dittongo latino au in oricla; diffusione dei diminutivi a preferenza delle forme semplici (ancora in oricla).
c) Le lettere private. Si tratta di papiri e cocci che conservano lettere di privati, scritte fuori da rigidi canoni letterari. Dall’Egitto provengono circa 300 lettere in latino, molte delle quali, scritte da militari, trattano di piccoli traffici e altre facende quotidiane.
d) Le testimonianze di autori letterari. Si tratta di opere di autori che tentano di riprodurre nella lingua scritta i tratti tipici della lingua parlata: esemplari, in proposito, i casi delle commedie di Plauto (III secolo a.C.) e del Satyricon di Petronio (I secolo d.C.), al cui interno l’episodio della Cena di Trimalchione costituisce un’importante testimonianza di latino parlato.
e) La letteratura tecnica. Per la natura del suo argomento, questa trattatistica si sottrae alle norme dell’uso classico. Sono interessanti per la storia della lingua i trattati di agricoltura (Catone il Vecchio, Varrone, I secolo d.C.), quelli di veterinaria (Mulomedicina Chironis, IV secolo d.C.), di cucina, di medicina, di dietetica ecc.
f) La letteratura d’ispirazione cristiana. Il latino degli autori cristiani è all’inizio deliberatamente umile e popolare. Il complesso di versioni della Bibbia precedenti san Girolamo mostrano molto bene questo carattere - oltre alla solita stretta dipendenza dal testo greco, dal quale erano state tradotte in latino.
La versione di san Girolamo della Vulgata (383 d.C.), è una correzione condotta sul testo greco delle versioni correnti, e mantiene perciò in grandissima parte lo stesso carattere. Ma nell’ambito del Cristianesimo, perfino gli autori più colti come sant’Agostino sono ricettivi nei confronti del latino popolare, e non subiscono passivamente i modelli letterari. La lingua dei Cristiani ha in generale caratteri propri molto spiccati, tanto che molti studiosi sono arrivati a definirla una “lingua speciale”. Il carattere popolare è sempre un elemento essenziale.
Un episodio saliente nella storia di questi testi cristiani è offerto dalla Peregrinatio Egeriae (o Aetheriae), resoconto di un pellegrinaggio sui Luoghi Santi di una gentildonna appartenente a un ordine di suore. Si tratta di un’opera più tarda (V secolo), libera dai consueti schemi letterari, dove compaiono in massa ille e ipse in usi che corrispondono a quelli più elementari dell’articolo romanzo.
g) Le glosse. Sotto il nome convenzionale di glosse viene elencata una serie di testimonianze del latino tardo o piuttosto già del primo romanzo. Le Glosse di Reichenau (che provengono dal nord della Francia, e sono del IX secolo) contengono spiegazioni di parole ed espressioni della Bibbia diventate “difficili” e un piccolo lessico alfabetico: il latino delle glosse maschera un romanzo già sviluppato.
Le Glosse di Kassel (XI secolo?) sono un manualetto romanzo-tedesco ad uso dei bavaresi che si trovano in Francia: il romanzo è, anche qui, sommariamente arrangiato in veste latina.
Del X secolo sono le glosse emilianensi (da San Millán) e silensi (Santo Domingo de Silos), di zona iberica; pure del X secolo il Glossario di Monza, dove parole latino-romanze sono spiegate in greco volgare.
Le glosse ci riportano non tanto alle ultime fasi del latino quanto già agli inizi romanzi, ma a un romanzo che tuttavia non ha ancora acquisito accesso a un’espressione letteraria autonoma.
h) Il metodo ricostruttivo e comparativo. Questo metodo, lo strumento più importante per la ricostruzione del latino parlato (ben più importante delle registrazioni frammentarie che se ne hanno nelle fonti scritte), consiste nel ricostruire una forma non documentata (cioè non scritta, appunto perché propria del latino parlato) sulla base dei risultati che se ne hanno nelle varie lingue romanze. Così, allineando l’italiano passare, il francese passer, lo spagnolo pasar, il friulano pasá, si può facilmente postulare nel latino volgare un verbo *PASSARE (quando una forma non è documentata nel latino scritto ma è ricostruita nel latino parlato, la si fa precedere da un asterisco *), tratto dal sostantivo PASSUS.

 

Fonte:

http://cis01.central.ucv.ro/litere/idd/cursuri/an_3/lb_straina/italiana/istorialimbii_sem2_pirvu.doc

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