Rapporti di lavoro speciali

 

 

 

Rapporti di lavoro speciali

 

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Rapporti di lavoro speciali

RAPPORTI DI LAVORO SPECIALI

Rapporti di lavoro speciali sono tanto i rapporti la cui fattispecie si discosta notevolmente da quella dell'art. 2094 c.c., quanto quelli in cui assume particolare rilevanza la tutela dell'interesse pubblico. Quest'ultima categoria ricomprende rapporti di lavoro - quelli di lavoro nautico, marittimo ed aereo e quelli nel settore del trasporto ferroviario ed autoferrotranviario - che non pongono particolari problemi di qualificazione perché la loro natura subordinata è ben definita.
Rapporti particolari inerenti l’esercizio dell’impresa
Alcuni rapporti di lavoro subordinato presentano caratteristiche particolari che li differenziano dal modello tipico tradizionale del rapporto subordinato a tempo pieno e indeterminato, e, pertanto, sono definiti rapporti di lavoro speciali.
L’apprendistato o contratto di tirocinio
Il datore di lavoro ha l’obbligo di impartire all’apprendista l’insegnamento necessario per il conseguimento della qualificazione. I lavoratori devono essere iscritti in appositi elenchi presso gli uffici del lavoro territorialmente competenti e l’instaurazione del rapporto è subordinata all’autorizzazione del servizio ispettivo della Direzione provinciale del lavoro. L’età richiesta va dai 16 ai 24 anni. La durata del rapporto non può essere inferiore a 18 mesi e superiore a 4 anni.
Il lavoro a tempo parziale (part-time)
Consiste nello svolgimento di una attività lavorativa ad orario inferiore rispetto a quello ordinario. I lavoratori che siano disponibili a prestare lavoro part-time debbono essere iscritti in una apposita lista di collocamento. Il contratto deve stipularsi per iscritto.
Il lavoro ripartito (job-sharing)
Trattasi di un contratto di lavoro subordinato con il quale due o più lavoratori si assumono in solido l’adempimento di un’unica obbligazione lavorativa. Essendo i due lavoratori tenuti ad eseguire un’unica prestazione lavorativa ripartita tra essi, ciascuno la eseguirà parzialmente, sia con riferimento all’oggetto di essa sia con riferimento al tempo di lavoro, secondo le modalità convenute.
Il contratto di formazione e lavoro
Può essere definito come quel contratto con cui si istaura un rapporto di lavoro subordinato a termine, con lavoratori di età giovane (di regola tra i 16 e i 32 anni), svolto secondo tempi e modalità previste da appositi progetti predisposti dal datore di lavoro o da associazioni di categoria, con lo scopo di avviamento al lavoro dei giovani e della loro formazione professionale.
Dirigenti d’azienda
Il lavoro dirigenziale presenta caratteri di specialità rispetto all’ordinario rapporto di lavoro, soprattutto per:

  • la particolare intensità dei poteri conferiti al dirigente dal datore di lavoro;
  • l’esclusione dei dirigenti dal campo di applicazione di numerose norme in materia di legislazione sociale.

Il lavoro societario
Si discute se rientrino nei rapporti di lavoro (anche se speciali) quelli intercorrenti tra società, soci ed amministratori. In particolare:

  • socio lavoratore: conferisce alla società lavoro personale; la giurisprudenza ha però distinto tra il lavoro del socio (autonomo) e quello del socio che svolge per la società un lavoro di tipo determinato;
  • esponenti degli organi sociali: se non sono soci, sono legati alla società da un rapporto di immedesimazione (si esclude quindi la subordinazione: es. l’amministratore unico). Può aversi lavoro subordinato per organi quali l’amministratore delegato.

Il lavoro familiare e l’impresa familiare
Datore e prestatore di lavoro sono parenti o affini e sono conviventi. Si ha quindi presunzione di gratuità, che può essere vinta dalla prova contraria. Nell’impresa familiare il lavoratore ha diritto:

  • al mantenimento;
  • alla partecipazione agli utili;
  • ai beni e agli incrementi dell’impresa.

Non è comunque esclusa la possibilità di lavoro subordinato.
Il lavoro a domicilio
L'art. 1 della L. 18 dicembre 1973, n. 877, modificato dalla L. 16 dicembre 1980, n. 858, definisce lavoratore a domicilio "chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità, anche con l'aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi". Prima dell'emanazione della L. 858/1980, si discuteva, in dottrina ed in giurisprudenza, della natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro a domicilio. Oggi il problema è superato nel senso che deve farsi ricorso ad una valutazione caso per caso, essendo prevista sia l'ipotesi di:

  • lavoro a domicilio autonomo, quando l'oggetto della prestazione è il risultato dell'attività che il lavoratore fornisce, avvalendosi di un'organizzazione propria ed assumendosi in proprio il rischio della stessa;
  • sia quella di lavoro a domicilio subordinato, quando l'oggetto della prestazione è costituito dalle energie lavorative che il dipendente mette a disposizione del datore ed esplica sotto la vigilanza e le direttive di questi.

Con riferimento alla disciplina del rapporto, si segnalano:

  • l'istituzione di un apposito registro dei committenti, nel quale devono essere iscritti i datori che intendono assumere lavoratori a domicilio;
  • la previsione di un libretto personale di controllo, di cui i prestatori devono essere muniti;
  • l'obbligo di retribuire il lavoratore sulla base delle tariffe di cottimo pieno, risultanti dai contratti collettivi della categoria;
  • l'applicazione delle norme vigenti in materia di tutela previdenziale e di assegni familiari, con l'esclusione dell'integrazione salariale.

Il telelavoro
È il lavoro svolto a distanza ovvero fuori dell’azienda o dagli altri luoghi in cui tradizionalmente si presta l’attività lavorativa. La normativa sul telelavoro è, ad oggi, ancora contenuta per lo più in accordi quadro tra le parti sindacali e datoriali. Solo nel pubblico impiego si è avvenuta un’apposita normativa.
Rapporti inerenti l’esercizio di particolari attività
Il lavoro marittimo ed aereo
I principi generali della loro regolamentazione sono contenuti nel Codice della navigazione, e molte norme sono di carattere inderogabile, data la connessione con l’interesse pubblico. Il contratto è disciplinato dalla legge nazionale del veicolo.
Il lavoro in agricoltura
Possiamo distinguere fra:

  • salariati fissi: minimo di durata due anni, applicabile anche ai contratti a tempo determinato;
  • braccianti agricoli: assunti a giornata, per lavori determinati. Sono iscritti in appositi elenchi comunali, dove sono suddivisi in permanenti, abituali, eccezionali e occasionali.

Il lavoro sportivo
La L. 23 marzo 1981, n. 91, disciplina il lavoro sportivo, qualificando, all'art. 2, come sportivi professionisti "gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso, con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica". L'attività svolta dall'atleta a titolo oneroso e con carattere di continuità costituisce l'oggetto di un rapporto di lavoro dipendente. Lo sportivo professionista assume, invece, la veste di lavoratore autonomo quando ricorre anche uno solo dei seguenti requisiti:

  • l'attività è svolta per una manifestazione sportiva singola o per più manifestazioni collegate tra di loro in un breve periodo di tempo;
  • non è previsto alcun obbligo di frequenza a sedute di preparazione o di allenamento;
  • la prestazione non supera le 8 ore settimanali o 5 giorni in un mese o 30 giorni in un anno.

Ora, se è vero che di regola il lavoro sportivo si configura come lavoro subordinato, è anche vero che la sua disciplina si differenzia notevolmente da quella di quest'ultimo. Le principali particolarità riguardano:

  • la costituzione del rapporto, che può avvenire senza il tramite degli uffici di collocamento, con assunzione diretta;
  • il contratto individuale di lavoro, che: deve essere stipulato per iscritto ad substantiam; deve essere depositato presso la federazione sportiva nazionale per l'approvazione; può contenere una clausola compromissoria, con conseguente definizione arbitrale, anche obbligatoria, delle controversie; non può avere durata superiore a 5 anni (con esclusione dell'applicazione della L. 230/1962 sul contratto a termine);
  • il patto di non concorrenza per il periodo successivo alla risoluzione del contratto, che è vietato;
  • la cessione del contratto, che è ammessa sempreché vi sia il consenso dell'atleta;
  • la disciplina limitativa dei licenziamenti, che non si applica al lavoro sportivo.

Il lavoro artistico
Presenta delle affinità con il lavoro sportivo il lavoro artistico, che consiste nell'attività di spettacolo e nelle prove svolte dal personale artistico e tecnico - orchestrali, corali, ballerini, artisti e tecnici della produzione televisiva, cinematografica, radiofonica, teatrale, e lavoratori ad essi equiparati. Come afferma MAZZIOTTI, "la valutazione come autonomo o dipendente del lavoro artistico svolto con una certa continuità deve essere operata tenendo conto della particolarità delle prestazioni artistiche e dell'alto grado della loro autonomia". Il lavoro artistico è soggetto ad uno speciale collocamento.
Il lavoro giornalistico
Il lavoro giornalistico, di norma, è un rapporto di lavoro dipendente che si instaura tra il giornalistica professionista, da un lato, e gli editori di quotidiani o riviste o agenzie di informazione per la stampa, dall'altro. Da tale definizione si evince che l'attività giornalistica può essere svolta solo dagli appartenenti all'ordine professionale: giornalisti e pubblicisti.
La particolarità del rapporto - derivante sia dalla natura intellettuale della prestazione lavorativa sia dalla natura dell'attività imprenditoriale (che è quella di un'impresa di tendenza) - consiste in un affievolimento del vincolo di subordinazione. Tale affievolimento comporta che i giornalisti, in caso di cambiamento dell'indirizzo politico del giornale, possono dimettersi senza perdere né i benefici economici né la c.d. indennità fissa, cioè quella particolare indennità cui hanno diritto nell'ipotesi di licenziamento dovuto a colpa dell'editore.
Rapporti non inerenti l’esercizio dell’impresa
Il lavoro domestico
Il rapporto di lavoro domestico può essere definito come quel rapporto avente ad oggetto la prestazione dei servizi necessari al governo della casa ed ai bisogni personali e familiari del datore di lavoro da parte di terzi estranei, che assumono la posizione tipica di lavoratori subordinati. E ciò sia che si tratti di personale con qualifica specifica (istitutori, maggiordomi, bambinaie diplomate, ecc.), sia che si tratti di personale adibito a mansioni generiche (cameriere, cuochi, bambinaie comuni, ecc.). Al fine dello svolgimento della prestazione di lavoro domestico, non sempre è necessaria la coabitazione; tuttavia, essendo il lavoro prestato nella stessa sfera in cui si svolge la vita privata del datore, esso implica sempre l'elemento della convivenza, inteso in senso lato. Ciò spiega perché non è considerato lavoro domestico:

  • quello svolto a favore, non della comunità familiare, ma dell'attività professionale di uno dei suoi membri;
  • quello svolto fuori del luogo in cui si svolge la vita privata del datore: ad es., in alberghi, pensioni, ecc. (così, MAZZIOTTI).

La disciplina del lavoro domestico è contenuta:

  • negli artt. 2240-2246, c.c.;
  • nella L. 27 dicembre 1953, n. 940, per la tredicesima mensilità;
  • nella L. 2 aprile 1958, n. 339;
  • nel D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1403, che estende anche ai lavoratori domestici l'assicurazione infortuni, contro la disoccupazione e per il carico di famiglia (assegni familiari);
  • nei contratti collettivi, che a seguito della dichiarazione di incostituzionalità del divieto contenuto nell'art. 2068, co. II, C.C. (Corte Cost. 9 aprile 1969, n. 68), possono essere stipulati anche in materia di lavoro domestico.

In particolare, la L. 339/1958 dispone che:

  • l'assunzione del personale domestico avviene direttamente, con l'obbligo per il datore di denunciare, entro 30 giorni dal compimento del periodo di prova, l'avvenuta assunzione al competente ufficio di collocamento;
  • il periodo di prova, regolarmente retribuito, non può essere superiore ad un mese per la categoria impiegatizia e ad 8 giorni consecutivi per la categoria operaia;
  • il lavoratore ha diritto ad un riposo settimanale di una giornata intera, di regola coincidente con la domenica (o di due mezze giornate, una delle quali coincidente con la domenica), ad un conveniente riposo durante il giorno ed a non meno di 8 ore consecutive di riposo notturno.

Ai lavoratori domestici sono poi stati estesi i diritti relativi:

  • alle ferie annuali, che in ogni caso non possono essere inferiori a 15 giorni;
  • al congedo matrimoniale;
  • alla tredicesima mensilità;
  • al preavviso;
  • al trattamento di fine rapporto.

La L. 339/1958 istituisce anche una commissione centrale per la disciplina del lavoro domestico con compiti consultivi e commissioni provinciali con compiti di rilevazione e regolamentari.
Infine, va detto che deve essere considerato rapporto di lavoro domestico subordinato anche il rapporto c.d. di "ospitalità alla pari", se presenta i caratteri della collaborazione domestica.
Il lavoro alla pari
I datori di lavoro sono tenuti a corrispondere la remunerazione; se si obbligano al vitto e all’alloggio, vi sono particolari precisazioni (es. nutrizione sufficiente). Per gli stranieri si applica l’accordo europeo di Strasburgo del 24.11.69, ratificato dalla L. 304/73.
Il rapporto di portierato
Si ha rapporto di portierato quando il lavoratore (portiere) è adibito alla custodia di uno stabile condominiale, abitato cioè da più proprietari od affittuari. Tale rapporto è disciplinato da alcune leggi speciali e dalla contrattazione collettiva. Presenta le seguenti particolarità:

  • si costituisce senza il tramite degli uffici di collocamento;
  • il prestatore deve essere munito di apposita licenza rilasciata dall'autorità comunale, in difetto della quale il rapporto è tuttavia qualificato egualmente come di portierato se tali sono state le mansioni di fatto svolte;
  • il prestatore deve essere iscritto nel registro dei portieri;
  • è prevista la possibilità per il portiere di farsi sostituire da un familiare per periodi brevi nell'arco della giornata: come si vede, si tratta di una particolarità rispetto agli altri rapporti di lavoro subordinato che si caratterizza per l'infungibilità della prestazione.

Al portiere, come corrispettivo del lavoro svolto, deve essere garantito:

  • il salario;
  • la tredicesima mensilità;
  • l'alloggio gratuito, con luce, acqua e riscaldamento.

Il rapporto di pubblico impiego
Gli elementi caratteristici del rapporto di pubblico impiego
Il rapporto di pubblico impiego è un rapporto di lavoro dipendente che si distingue dal rapporto di impiego privato in ragione di alcuni caratteri peculiari che la dottrina dominante (VIRGA) individua:

  • nella natura pubblica dell'ente datore di lavoro;
  • nella continuità;
  • nella professionalità
  • nell'inserimento del lavoratore nell'organizzazione dell'ente;
  • nella predeterminazione della retribuzione.

Ora, sembra lecito ritenere che questi criteri siano idonei a differenziare il rapporto di pubblico impiego dal rapporto di lavoro privato anche a seguito dell'emanazione del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 - successivamente modificato ed integrato dai decreti legislativi n. 470 e n. 546 del 1993 - con il quale sono state realizzate la c.d. privatizzazione del pubblico impiego e la riforma della dirigenza pubblica, che si esaminano qui di seguito nelle loro linee fondamentali.
La c.d. privatizzazione del pubblico impiego: l'applicazione della normativa di diritto comune e la contrattualizzazione

L'art. 2, co. II, D.Lgs. 29/1993, nel testo sostituito dall'art. 2, D.Lgs. 546/1993, dispone che "I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II del libro V del Codice Civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, salvi i limiti stabiliti dal presente decreto per il perseguimento degli interessi generali cui l'organizzazione e l'azione amministrativa sono indirizzate". Con tale disposizione viene realizzata una ridefinizione del sistema delle fonti della disciplina del rapporto di pubblico impiego. Ridefinizione che può sintetizzarsi nella sottrazione di tale rapporto allo specifico corpus normativo vigente con la correlativa graduale sua riconduzione sotto la disciplina del diritto comune e con la sua contrattualizzazione. Si fa eccezione, tuttavia, per alcune categorie che restano escluse dalla privatizzazione: magistrati ordinari ed amministrativi, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare e delle forze di polizia, dirigenti generali ed equiparati, personale delle carriere diplomatica e prefettizia. L'art. 2, D.Lgs. 29/1993, va posto in relazione con l'art. 55, co. II, D.Lgs. 29/1993, ai sensi del quale "La L. 20 maggio 1970, n. 300, si applica alle pubbliche amministrazioni, a prescindere dal numero dei dipendenti". Questa disposizione pone fine alle antiche dispute, sorte soprattutto in sede giudiziaria, circa i limiti di applicabilità dello Statuto dei lavoratori al settore del pubblico impiego; dispute che, difatti, vengono oggi risolte nel senso dell'estensione dello Statuto alle pubbliche amministrazioni, senza limitazioni né sotto il profilo dei soggetti destinatari, né sotto quello delle modalità di applicazione. Unica eccezione è quella relativa all'attribuzione delle mansioni proprie della qualifica superiore di cui si tratterà al paragrafo IV.
L'assoggettamento del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici alla disciplina di cui si è detto comporta necessariamente la contrattualizzazione dello stesso (art. 2, co. III, D.Lgs. 29/1993). Infatti, con la riforma del 1993, si attribuisce il ruolo di fonte diretta e primaria di regolamentazione del rapporto ai contratti collettivi, eliminando la necessità della loro recezione in atti a carattere normativo e realizzando, al tempo stesso, una notevole semplificazione del procedimento per la loro stipula.
Si stabilisce, infatti, che la contrattazione collettiva è nazionale e decentrata e si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro, eccezion fatta per quelle riservate alla legge ed agli atti normativi ed amministrativi, previste dall'art. 2, co. I, lett. c), L. 421/1992. Il D.Lgs. 29/1993 prevede quattro livelli di contrattazione collettiva, per cui si hanno:

  • contratti collettivi quadro;
  • contratti collettivi nazionali di comparto;
  • contratti collettivi nazionali delle aree separate;
  • contratti collettivi decentrati.

In sede di contrattazione collettiva, la P.A. è rappresentata dall'Agenzia per la rappresentanza negoziale, organismo tecnico dotato di personalità giuridica e sottoposto alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, che si sostituisce alle preesistenti delegazioni pubbliche differenziate per i singoli comparti e facilmente permeabili alle influenze politico-clientelari.
L'accesso al pubblico impiego
Differenze notevoli fra la disciplina del pubblico impiego e quella del lavoro privato permangono, anche a seguito della c.d. privatizzazione, in materia di assunzione, che nel settore pubblico avviene, di regola, mediante concorso (art. 97, co. III, Cost.). Più precisamente, l'art. 36, D.Lgs. 29/1993, nel testo sostituito dall'art. 17, D.Lgs. 546/1993, dispone che l'assunzione avviene:

  • per concorso pubblico, che può essere per esami, per titoli, per titoli ed esami, per corso-concorso o per selezione, e deve svolgersi con modalità che ne garantiscano l'imparzialità, la tempestività, l'economicità e la celerità di espletamento, ricorrendo, ove necessario, all'ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione;
  • mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento presenti negli uffici circoscrizionali del lavoro, per le qualifiche ed i profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo (si tratta, in pratica, dei posti dalla prima alla quarta qualifica funzionale), fatti salvi gli ulteriori requisiti prescritti per specifiche professionalità;
  • mediante chiamata numerica degli iscritti nelle apposite liste di collocamento formate dagli appartenenti alle categorie protette di cui al titolo I della L. 2 aprile 1968, n. 482.

Le mansioni del dipendente pubblico
L'art. 56, co. I, D.Lgs. 29/1993, dopo aver ribadito il principio generale per cui il pubblico dipendente deve essere adibito alle mansioni della qualifica di appartenenza, introduce una novità rispetto alla normativa previgente precisando che nella suddetta qualifica "rientra comunque lo svolgimento di compiti complementari e strumentali al perseguimento degli obiettivi di lavoro". Ancora più innovative sono, però, le disposizioni contenute nel co. II dell'art. 56 e quelle dettate dall'art. 57, D.Lgs. 29/1993, così come sostituito dall'art. 25, D.Lgs. 546/1993; disposizioni che rappresentano una deroga al principio della generale applicabilità dello Statuto dei lavoratori alle P.A. Le ipotesi previste da tali articoli sono tre, e cioè:

  • quella dell'adibizione occasionale, attuata ove possibile con l'osservanza di criteri di rotazione, a compiti o mansioni immediatamente inferiori, che non comporta alcuna variazione del trattamento economico (si noti che nel sistema privatistico l'adibizione a mansioni inferiori non è consentita);
  • quella dell'attribuzione di compiti specifici non prevalenti della qualifica superiore, che non viene considerata esercizio di mansioni superiori e non dà, quindi, diritto al lavoratore ad una retribuzione maggiore;
  • quella dell'assegnazione temporanea a mansioni superiori, che dà diritto al trattamento economico corrispondente all'attività svolta per il periodo di espletamento delle mansioni superiori, ma che non attribuisce il diritto all'assegnazione definitiva delle stesse (nel settore privato, invece, l'assegnazione a mansioni superiori, in presenza di alcune circostanze, previste dall'art. 13, st. lav., diventa definitiva). L'assegnazione a mansioni superiori può essere disposta solo ove ricorrano le circostanze contemplate dall'art. 57, D.Lgs. 29/1993.

La riforma della dirigenza pubblica
Con il D.Lgs. 29/1993, e successive modificazioni ed integrazioni, viene realizzata, oltre che la privatizzazione del pubblico impiego, anche la riforma della dirigenza pubblica. Punti qualificanti di essa sono i seguenti:

  • la creazione di un'effettiva élite di managers, attuata con la riduzione del numero delle qualifiche dirigenziali da tre ("dirigente generale", "dirigente superiore", primo dirigente") a due ("dirigente generale" e "dirigente");
  • l'affermazione del fondamentale principio della separazione tra politica ed amministrazione, in virtù del quale agli organi di direzione politica spetta il compito di definire gli obiettivi, i programmi e gli indirizzi per l'attività dell'amministrazione, mentre la gestione amministrativa è affidata ai dirigenti. A questi ultimi è rimessa, dunque, l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno e l'esercizio di autonomi poteri di gestione tecnica e finanziaria con l'unico limite degli stanziamenti di bilancio;
  • l'imputazione ai dirigenti di una responsabilità maggiore che nel passato, afferente ai risultati dell'azione amministrativa e, specificamente, all'attuazione o meno dei programmi di matrice politica;
  • la modifica dei criteri di reclutamento e di formazione dirigenziale, attuata per mezzo dell'assegnazione di un ruolo fondamentale alla Scuola superiore della pubblica amministrazione.

Lineamenti della nuova disciplina della giurisdizione
Il naturale corollario della sottoposizione dei pubblici dipendenti alla disciplina civilistica del rapporto di lavoro subordinato è la devoluzione al giudice ordinario individuato nella persona del "Pretore del lavoro" - e non più dunque al giudice amministrativo - di tutte le controversie afferenti al pubblico impiego (art. 68, D.Lgs. 29/1993, nel testo sostituito dall'art. 33, D.Lgs. 546/1993). Si fa eccezione solo per quelle concernenti le materie rimaste assoggettate alla normazione unilaterale pubblicistica di cui ai numeri da 1 a 7 dell'art. 2, co. I, lett. c), L. 421/1992 e per quelle riguardanti le categorie di personale di cui all'art. 2, co. IV e V, D.Lgs. 29/1993, nel testo sostituito dall'art. 2, D.Lgs. 546/1993.
In considerazione dei rilevanti problemi organizzativi a cui la nuova normativa dà luogo, il legislatore delegato, opportunamente, ne differisce l'applicazione ad un momento successivo all'entrata in vigore del D.Lgs. 29/1993, e cioè a partire dal febbraio 1996.
Infine, l'art. 69, D.Lgs. 29/1993, come sostituito dall'art. 34, D.Lgs. 546/1993, nell'intento di realizzare una deflazione del contenzioso in materia di pubblico impiego, obbliga, a pena di improcedibilità della domanda, al tentativo di conciliazione stragiudiziale delle controversie individuali devolute al giudice ordinario

 

Fonte:

https://m.facebook.com/notes/unisalentoius-spaccio-riassunti/riassunti-dei-libri-disponibili-database-in-continuo-aggiornamento/117560628324656/

http://download2173.mediafire.com/76dv752gs63g/qmj1qm3okbhj3m3/Diritto+del+Lavoro+-+Riassunti+Ghera+-+75+pag.doc

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