Letteratura e le donne

 

 

 

Letteratura e le donne

 

Tesina sulla “Donna in movimento del ‘900”

L'evoluzione nella storia 

La donna, nella storia della civiltà occidentale, è sempre stata subordinata all'uomo: le differenze tra i due sessi hanno portato il maschio a prevalere e ad occupare un posto privilegiato nella società. La donna fin dall'antichità, è sempre stata considerata un essere inferiore e si è evoluta in una società sostanzialmente misogina, oppressa dalle convenzioni sociali. Molte credenze, molti pregiudizi, che sussistono ancora oggi nell'immaginario collettivo, hanno origine molto lontana e sono stati influenzati persino dal pensiero dei classici.
Basti pensare all'opinione che Giovenale e Petronio si sono fatti delle donne. Uno attraverso le sue satire, l'altro con il suo Satyricon, dipingono il volto di una donna ingannatrice, malvagia, padrona: un ritratto che è difficile oggi come allora considerare "realistico ". Nel Medioevo la vita e l'immagine della donna fu invece fortemente influenzata e determinata dalla presenza della Chiesa.
Nei secoli successivi il ruolo della donna è continuato ad essere sottovalutato rispetto a quello degli uomini, benché la figura della donna cominciasse a crescere d'importanza nel campo letterario. La "donna "era rappresentata come un essere angelico, provvidenziale, bellissimo e candido e il mondo in cui stavano era molto differente dalla situazione in cui realmente vivevano le donne allora. La figura femminile nella letteratura ha in ogni modo avuto sempre un ruolo di principale importanza, ma a parte questo alle donne non è mai stato permesso di esprimersi liberamente nel campo dell'arte e della cultura.(fatte le dovute eccezioni che confermano la regola !) Solamente all'inizio del '900 la condizione della donna comincia a cambiare e si può parlare, di donne " in movimento ": incominciano a nascere organizzazioni e associazioni di donne che si univano per combattere assieme contro tutte le discriminazioni della società misogina che da secoli le opprimeva.

 

Ancora oggi a pochi passi dal Medio Oriente, le donne afgane vivono senza diritti e senza tutele. Con l’avvento al potere dei talebani, le donne sono state private di ogni diritto civile e forma di libertà. Prigioniere del burka, il velo che le copre completamente, non possono frequentare scuole o università. Secondo l’interpretazione che i talebani danno alla legge islamica, non è loro consentito camminare per strada se non accompagnate da un uomo, marito o parente. La casa diventa il luogo della loro segregazione. Private anche delle cure mediche, i mariti hanno potere di vita o di morte su di loro. I medici non possono avere contatti con il corpo delle donne che sono perciò obbligate a rivolgersi ad altre donne anche solo per un iniezione. Gli uomini, in genere, possono anche scegliere di lapidare o malmenare una donna, spesso a morte, se osa mostrare solo un centimetro di pelle dal burka. Altre punizioni cui sono soggette le donne in caso trasgrediscano gli editti talebani sono le fustigazioni e le amputazioni-spettacolo eseguite dai medici del ministero della Salute Pubblica.

 

LA DONNA E LA LETTERATURA

La prima parte del lavoro ha analizzato la figura femminile nella letteratura italiana. Sono stati considerati alcuni tra i più importanti autori italiani e nelle loro opere è stato ricercato il ruolo attribuito alla donna, nonché alle sue caratteristiche.

DANTE ALIGHIERI

Nella “Vita Nova” Dante raffigura Beatrice nella sua umanità, mettendo in luce quella fisicità della donna, che nello stilnovismo era diventata effimera..
La carnagione, il colore della pelle, i vestiti, ora sanguigni, ora bianchi, e gli sguardi, conferiscono a Beatrice un aspetto reale, anche se sottendono un significato anagogico, che rende la donna mediatrice ed angelica.
A differenza del “Dolce Stilnovo”, Dante raffigura l’astratto con forme e figure concrete e non con personificazioni ed allegorie.
L’immagine di Beatrice, con la sua bellezza pura ed il suo animo colmo di beatitudine, ha la funzione di portare alla luce l’interiorità del poeta e di avviare quel rinnovamento che culminerà poi nella “Divina Commedia”.
L’incontro con Beatrice rappresenta un’esperienza di tipo mistico, affine a quelle elaborate dai teologi medioevali precedenti Dante.
Anche Dante, mediante l’amore per Beatrice, compie un itinerario ascendente che porta la sua anima alla contemplazione del cielo.
L’incontro con Beatrice è predestinato dall’alto. L’apparizione della donna porta beatitudine non solo a Dante, ma anche a tutti quelli come lui.
Nove anni dopo, Ella riappare vestita di bianco ed in questa occasione lo saluta. Il saluto di Beatrice è un’esperienza di estasi e di rapimento.
Il saluto rappresenta da un lato accoglienza ed omaggio, e dall’altro il saluto dell’anima, cioè la salvezza.
Di questo evento provvidenziale si possono notare tre momenti diversi: la donna che appare produce un effetto di carità; prima del saluto c’è uno squilibrio dei sensi; il senso provoca la beatitudine statica.
La negazione del saluto provoca di conseguenza il dolore, perché esclude la pienezza spirituale, cioè la beatitudine.

FRANCESCO PETRARCA

A differenza di Beatrice, che ha precisi legami con il simbolo e con la scolastica, Laura, la donna cantata da Petrarca, appare nella sua personalità di donna.
Laura è modesta, casta, gentile, ornata di virtù, ma ha anche un corpo che infiamma l’immaginazione del poeta.
La bellezza della donna e della natura che le fa da sfondo, sono alla base di un amore che non è più concetto oppure simbolo, ma sentimento.
Laura appare come una donna bella, in cui è racchiuso l’ideale femminile, non toccato da miseria umana, posto al di sopra delle passioni, che il poeta non vuol profanare trasformandolo in una creatura umana.
La vita di Laura diventa umana dopo la morte, quando si è trasformata in una creatura celeste.
Questa seconda Laura appare più viva, perché meno Dea e più donna.
La nuova Laura che trionfa nel cielo, è umanissima, affettuosa e pietosa, ed attende solo il suo bel corpo ed il poeta per giungere al compimento della sua felicità. 

LA DONNA IN BOCCACCIO

Nelle novelle del Decameron si ritrovano elementi della concezione cortese dell’amore: il culto della donna da parte di Federico degli Alberighi, Nastagio degli onesti che si strugge per un oggetto irraggiungibile.
Se l’amore cortese era necessariamente adultero, l’uomo boccacciano si realizza invece compiutamente nel matrimonio. Per Boccaccio l’amore non deve più rinuncia e mortificazione del corpo, né desiderio inappagato. Trionfa nel Decameron una concezione naturalistica: l’amore e il sesso sono fatti naturali, e per ciò stesso sani e innocenti, e peccato è semmai reprimerli. Anche un‘eroina destinata a tragica morte come Ghismunda rivendica appassionatamente i diritti naturali della carne. La conseguenza di questa concezione naturalistica è che in Boccaccio la donna, da idolo remoto e irraggiungibile e oggetto di culto, qual era nella tradizione cortese, diviene oggetto di un desiderio maschile che deve legittimamente realizzarsi, oppure soggetto di legittimo desiderio carnale. La donna quindi, nel Decameron, non è solo presenza passiva, “materia” inerte delle azioni maschili, ma può assumere un ruolo attivo ed energico. In questa prospettiva assume un significato particolare il fatto che il libro sia rivolto alle donne.

 

LA DONNA IN GOLDONI

La commedia goldoniana nasce nell’ambiente borghese di Venezia e si propone di riflettere realisticamente la società contemporanea, i suoi costumi, i caratteri umani che vi si muovono e i problemi che vi si agitano. Di questo realismo è un esempio chiarissimo “La locandiera”, con il ritratto della sua protagonista: Mirandolina.
Di questa donna sono stati rilevati il garbo malizioso, la grazia, la briosa civetteria, il fascino della femminilità. Mirandolina appartiene al ceto mercantile e di esso presenta sia le caratteristiche positive come laboriosità, senso pratico, fermezza di carattere ed energia attiva; sia quelle negative come scaltrezza, cinismo profittatore e attaccamento all’interesse materiale. Costei si vende anche se solo metaforicamente e non fisicamente, e proprio da questo gioco trae il massimo del profitto. Ma poi numerose e complesse sono le sfumature della sua personalità: l’egoismo, il narcisismo sfrenato, che trova soddisfazione nell’essere sollecitato da una corte di innamorati adoranti, il bisogno incontenibile di esercitare il suo potere sugli altri, di dominarli giocando un ruolo “maschile”. A sedurre il cavaliere, oltre alla rivalsa sessista e classista contro il maschio misogino e il nobile tracotante, la spinge proprio questa smania di esercitare il potere se non una segreta avversione per gli uomini. Pertanto, Goldoni, oltre a tracciare un ritratto impietoso del tipo sociale borghese sotto vesti femminili, dimostra una non trascurabile componente di misoginia.

UGO FOSCOLO

La concezione dell’amore per il Foscolo ha una connotazione passionale e romantica, è un sentimento importante, vissuto come esperienza che si intreccia con quella politica. Questo aspetto si nota nelle “ultime lettere di Jacopo Ortis” dove alla vigilia del trattato di Campoformio, Jacopo; deluso dall’atteggiamento politico di Bonaparte nei confronti di Venezia, abbandona la città e si ritira sui Colli Euganei.
Qui incontrerà Teresa (la divina fanciulla) e s’innamorerà, ma questo amore irrealizzabile accentuerà il suo dolore, già presente per la patria perduta.
L’ideale dell’Ortis patriota corre sullo stesso piano dell’Ortis amante.
Le forme del corpo di Teresa sono definite “angeliche” e le labbra “celesti”. Questa celebrazione della donna come presenza angelica rende religioso e sensuale il rapporto dell’innamorato con lei.
La situazione dell’Ortis è una situazione edipica e deriverà da questo la contrapposizione agonistica nei riguardi del padre e l’attaccamento verso la madre.
La donna per questo autore può provare compassione, questo la porta a visitare la tomba di un defunto mantenendone vivo il ricordo. La donna è inoltre dotata di pudore. Teresa non condivide il criterio di utile della società e ricambia l’amore di Jacopo.
Nelle Odi sono evidenti gli echi della poetica neoclassica e una certa influenza delle Odi pariniane galanti e amorose. Nelle Odi di Foscolo la celebrazione femminile si trasfigura nel mito ideale della bellezza, come unico conforto per alleviare il dolore umano. Nell’ultima parte di quest’opera, viene riconosciuta la fugacità della bellezza, compito del poeta è esternare, attraverso l’opera d’arte, questo ideale.
Le Grazie sono un altro vertice della poetica foscoliana. Sono concepite come divinità intermedie tra il cielo e la terra. Esse riescono a suscitare nel cuore degli uomini gli affetti più nobili. L’opera è divisa in tre parti: il primo Inno è dedicato a Venere, il secondo a Vesta e il terzo a Pallade.

GIACOMO LEOPARDI

L’amore, per Leopardi, è la più potente delle illusioni e sarà l’ultima a morire. E’ concepito come passione totale che coinvolge l’intera esperienza esistenziale degli individui.
Nella prima fase della sua poetica l’amore viene descritto nella “Storia del Genere umano”.
Esso, si narra, venne dato agli uomini da Mercurio come una delle illusioni che dovevano distrarli dalla loro triste condizione di vita.
La passione senza oggetto e senza speranza si trasforma in passione reale nel ciclo delle poesie per Aspasia dedicate all’amore per Fanny Targioni Tozzetti.
Insiste sulla grande passione concepita come prova di forza e di valore nei rapporti col mondo.
I canti d’amore del ciclo di Asparia sono molto importanti per la nascita della poetica del Titanismo: la morte diventa prova del senso eroico suscitato dalla passione d’amore.
Sarà proprio la potente illusione amorosa che darà al poeta la forza di una sfida estrema alla
negatività del mondo, che impone il dovere di una resistenza collettiva al male del mondo.
Amore e illusione sono amati dal poeta e sentiti come felicità vera, perché coincidono con una pienezza totale della nostra vita.
Nel canto “a se stesso” crolla per il poeta un’illusione, cioè l’amore per Fanny Targioni Tozzetti che gli fece credere di poter essere felici sulla terra.
Questo disinganno portò al crollo di ogni mito e illusione, Leopardi li rigetta per affrontare, con un’eroica ribellione, l’ultima lotta contro il destino.

GIOVANNI VERGA

Nelle opere previste Verga rappresenta un amore passionale, travolgente, spesso non corrisposto, con esiti negativi e che si conclude tal volta con un suicidio.
La donna è una creatura lussuriosa, inquietante e quindi si mette in scena un amore sensuale, contrastato e spesso torbido.
Nelle opere veriste l’amore viene concepito come un istinto, analizzato con metodo scientifico e rappresentato in relazione all’ambiente sociale e culturale.
L’amore non rappresenta un valore “sentimentale”, non è consolatorio, non modifica la condizione di vinti dei personaggi.
In mastro don Gesualdo esso si identifica con il matrimonio ed è utile per garantirsi un’ambita promozione sociale, ma anche in questo caso il protagonista non può che costatare la sua solitudine e la sua sconfitta.
Neppure nei Malavoglia l’amore è un ideale per il quale si lotta, ma spesso è accompagnato dalla sottomissione e dalla rinuncia: è il caso di Mena che rinuncia al matrimonio con compar Alfio perché si sente disonorata dalla sorella Lia.
Il pessimismo verghiano, inoltre, comporta il rifiuto della società borghese e dei suoi valori, in quanto essi si oppongono a quelli propri della società arcaica. Tra questi il valore della famiglia, difeso tenacemente da Padron ‘Ntoni, è tenuto vivo dal nipote Alessi che sposa la Nunziata.
L’autore però non propone un lieto fine consolatorio, ma mette in luce la condizione sofferta di tutti i personaggi e l’inesorabile sconfitta che tutti subiscono.

GABRIELE D’ANNUNZIO

D’Annunzio ricercava nell’amore un molteplice godimento: il diletto di tutti i sensi, gli abbandoni del sentimento, gli impeti della brutalità. Essendo un’esteta, anche nell’amore, traeva dalle cose molta parte della sua ebbrezza.
La figura femminile è connotata da accesa sensualità, da una bellezza seducente e raffinata e talvolta da una componente lussuriosa e aggressiva.
Nell’opera dannunziana ricorrono con ossessiva frequenza figure di donne fatali e distruttrici di uomini, indizio di quella paura della donna che è un dato costante della letteratura di fine secolo.
Nel “ Piacere” appaiono due tipi di donne : Elena Muti e Maria Ferres.
Elena Muti, il cui nome richiama allusivamente Elena di Troia, è caratterizzata dal dominio totale esercitato su di lei dai sensi, dall’eros, non controllato da alcuna istanza razionale.
Avida di piacere, ha come unico fondamento del suo essere morale uno smisurato egoismo che la rende insensibile e disumana.
Maria Ferres è invece l’immagine sublimata ed eterea della femminilità che nella mitologia letteraria ottocentesca è l’antitesi e il complemento della donna fatale.
Andrea Sperelli è diviso tra le due immagini femminili, la perversa Elena e la castissima Maria.
In un primo tempo Andrea s’illude che il legame con Maria possa salvarlo dalla sua profonda corruzione, ma poi proprio la purezza della donna diviene lo stimolo di voluttuose fantasie erotiche.
Inoltre i bruni capelli di Maria, richiamando l’immagine delle tenebre e ponendosi in simbolica opposizione al candore della neve, rivelano la presenza della carnalità anche nella donna angelicata, evocando l’idea del peccato in contrapposizione alla sua apparente purezza.

 

Montale ha assegnato un ruolo importantissimo alla donna chiamata Clizia.
E’ una donna caratterizzata da luminosità, pulsione celestiale, estraneità al mondo, ma anche da assenza, freddezza, durezza e tratti demoniaci.
Clizia è una donna salvifica ma senza alcun retrogusto stilnovista, Ella non dispensa salvezza: “è salvezza oltremondana che i mondani possono solo intravedere e inseguire…” .
In particolare è significativo l’ingresso prepotente del motivo dell’amore e del dialogo con la donna assente, carico di implicazioni simboliche ulteriori: la vicenda d’amore, amore lontano, impossibile è infatti un’oggettivazione del senso di isolamento esistenziale che tormenta il poeta e che lo ritiene ora ineliminabile.
A Clizia in particolare sono dedicati molti componimenti e per intero la sezione dei Mottetti. A Clizia, la donna tramutata secondo il mito in girasole, Montale attribuisce fattezze stilnovistiche: dispensatrice di segni potenzialmente salvifici, talora viene assimilata a un angelo o a un uccello; questa caratterizzazione stilnovistica della donna verosimilmente ha per ora valore soprattutto metaforico ed esistenziale; più tardi acquisterà espliciti significati metafisici, quando con La Bufera e altro a Clizia verrà attribuita una simbologia cristiana.

 

LA DONNA E IL SUFFRAGIO UNIVERSALE

Il lavoro che segue ha analizzato il lento percorso delle donne, sicuramente faticoso, teso alla conquista dei più elementari diritti e al riconoscimento della propria identità.

 

INTRODUZIONE ALLE EPOCHE PRECEDENTI

Nelle civiltà patriarcali la donna non ebbe altra funzione che quella di assicurare la discendenza alla famiglia; per quanto fosse diritto dell’uomo ripudiare la moglie sterile o sposarsi una seconda volta, la fedeltà della moglie al marito fu considerata indispensabile per assicurare la legittimità dei figli.

Nell’ambito della civiltà greca in cui vigeva un’accentuata disparità tra i sessi, le donne, in specie quelle appartenenti alla classe agiata, non avevano il permesso di lasciare l’abitazione se non in particolari circostanze; esse erano sottoposte alla potestà paterna e soggette alla tutela del fratello o del marito.
A Roma la donna godeva di una maggiore libertà e riceveva una più completa educazione intellettuale, pur essendo sempre sottoposta al capofamiglia.
Solo con l’avvento del cristianesimo fu riconosciuta l’uguaglianza della donna e dell’uomo davanti a Dio; il matrimonio fu considerato indissolubile e fu vietato il ripudio della donna.
Nel medioevo iniziò l’evoluzione intellettuale della donna, anche la Chiesa riconobbe dei poteri alle donne così esse amministravano i patrimoni appartenenti a comunità religiose.
Il rinascimento, che creò condizioni favorevoli all’evoluzione intellettuale e sociale della donna, non segnò al pari un’evoluzione in campo giuridico: le donne non potevano contrarre obbligazioni senza il consenso del padre o del marito. Neppure i movimenti rivoluzionari del XVIII sec. Segnarono un progresso nel regime giuridico della donna. Si ebbero dei cambiamenti alla fine del XVIII sec., quando il generale diffondersi delle idee di uguaglianza, hanno innescato un processo di emancipazione. Nel corso della rivoluzione francese, anche le donne reclamarono il riconoscimento della loro parità. Nel 1791 Olympe de Gonges scrisse “La dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, in cui affermava che anche la donna deve partecipare alla formazione delle leggi mediante l’elezione di rappresentanti. Questo progetto segnò l’inizio del FEMMINISMO.
Nella seconda metà dell’ottocento si ebbe la spinta decisiva del movimento di emancipazione femminile. Una novità importante fu l’ingresso delle donne in fabbrica e il fatto che esse cominciarono a percepire un salario autonomamente. Vennero dunque sfatati i miti di donna moglie e madre, grazie ai nuovi ruoli che essa ricoprì. Alla fine dell’ottocento, l’obiettivo del movimento femminista fu la conquista dei diritti civili e politici.

 

INIZIO SECOLO

 

All’inizio del novecento, in Italia, le prime battaglie del movimento femministe riguardavano il diritto al voto ed al mantenimento del posto di lavoro. Già nel 1906 Anna Maria Mozzoni e Maria Montessori presentarono una petizione al Parlamento per il voto femminile. Anche Anna Kuliscioff si era impegnata a favore del voto alle donne con la rivista “Critica sociale”. La presenza della donna all’interno della società italiana era più arretrata rispetto alla maggior parte dell’Europa.

 

PRIMA GUERRA MONDIALE

 

Molte cose cambiarono con l’arrivo della prima Guerra Mondiale. Il ruolo della donna è fondamentale: è chiamata a sostituire i soldati sia in campagna sia in città, in più è impegnata come crocerossina e ausiliaria. Così tra il 1914 e il 1918 acquisisce sempre più importanza all’interno della società. Ma non è così facile come sembra, perché, la nuova posizione della donna nella società, era vista come pericolo per il mondo maschile, così iniziarono le prime manifestazioni contro le donne lavoratrici arrivando persino ad aggredire le lavoratrici nei tram.

 

IL PRIMO DOPOGUERRA

 

Nel 1919 viene votata la legge Sacchi, che cancella definitivamente l’autorità maritale e afferma che le donne possono esercitare tutte le professioni e coprire buona parte degli incarichi pubblici. Ma la vicenda della conquista del voto è molto più lunga e difficile, definita da alcune esponenti “un’amara beffa” per il sesso femminile. Fin dall’inizio del secolo si era parlato in Parlamento del voto alle donne, ma gli unici favorevoli erano i socialisti. Più di una volta si è discusso per il suffragio universale femminile, arrivando a presentare leggi a favore in Parlamento, ma l’approvazione è sempre stata rimandata. Con l’arrivo del fascismo, si perse ogni speranza quando nel 1925 l’istituzione dei podestà tolse il voto amministrativo a donne e uomini. Così, fino al 1945, nessuno ebbe più la possibilità di votare.  Nel 1927 furono dimezzati gli stipendi e i salari, questo fatto contribuì a far aumentare l’occupazione delle donne e alla nascita di associazioni a tutela delle lavoratrici. In altri campi, invece, non ci sono contropartite. Il codice Rocco, ribadisce la subalternità della donna all’uomo, viene riconosciuto il delitto d’onore, la potestà maritale, la patria potestà. E’ punita con il carcere chi abortisce e chi prende parte alla propaganda anticoncezionale.

 
LA CONDIZIONE DELLA DONNA NELL’ETA’ FASCISTA

Le donne italiane vengono messe alla prova in un confronto diretto con sollecitazioni nuove sul piano sociale, culturale e lavorativo; ed è in questo clima denso di tensioni che molte donne giovani e meno giovani si sentono incuriosite e stimolate. Si tratta di un processo di massificazione nella società che va ormai prendendo piede in un’Italia che Mussolini e la sua classe dirigente vorrebbero tenere saldamente ancorato a miti e valori tradizionali.
Il fascismo è costretto a gestire un difficile rapporto che lo obbliga ad attuare continui riadattamenti tra il passato e il presente. La donna nuova si trova nel corso del ventennio al centro di un processo di trasformazione che investe le strutture sociali, economiche e ideologiche della nazione.
La donna di Mussolini ci appare più autentica dai contorni netti e precisi che campeggia in tanti scritti e discorsi di regime; la sposa e madre esemplare assume volti molteplici finendo con lo sgretolarsi sotto i nostri occhi.
Nella società giungevano le prime richieste di consigli e di suggerimenti volti a facilitare l’ingresso delle donne nel mondo esterno dei maschi. A tali supporti pratici si univa una crescente volontà di affermare un modo nuovo di essere donna, una femminilità più sicura di sé anche con il costante aggiornamento sulle novità in fatto di moda, di cosmesi e di costume.
Per questa figura femminile emergente e alla faticosa ricerca di una propria identità venivano confezionate apposite riviste sorte con il preciso intento di ricoprire gli interessi femminili.
L’intento era quello di offrire loro una sorta di habitat psicologico in cui potevano facilmente riconoscersi.
Inizialmente le organizzazioni cattolico-popolari incominciarono ad interessarsi al settore della buona stampa indirizzata alle donne, invece negli anni venti le donne affluirono negli uffici e nelle fabbriche, acquisendo maggiore conoscenza dei propri diritti come soggetti sociali autonomi.
Le donne della piccola e media borghesia e del proletariato urbano avevano sperimentato nuove opportunità di socializzazione e di organizzazione dell’esistenza, acquisendo consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri diritti come soggetti sociali e produttivi autonomi, mentre nelle famiglie contadine il lavoro della massaia o moglie del capofamiglia superava in genere quello del capo famiglia stesso.
All’inizio degli anni ’30 tre lavoratori toscani totalizzarono ciascuno 2926, 2834 e 2487 ore lavorative annuali a differenza delle loro mogli che arrivavano fino a 3290, 3001 e 3655.
Il fascismo imponeva una rigida divisione del lavoro: gli uomini si occupavano della produzione e del sostentamento della famiglia; le donne della riproduzione e del governo della casa.
Tuttavia i dirigenti fascisti riconoscevano che le donne lavoravano; secondo i dati forniti dal censimento del 1936 queste rappresentavano il 27% dell’intera forza lavoro.
Oltre al lavoro nei campi e nelle fabbriche le donne dovevano preparare i fanciulli al doposcuola fascista e trascorrere l’estate nelle colonie marine o elioterapiche organizzate dal partito e dai comuni; in alcuni casi diventavano specialiste all’assistenza per strappare i sussidi allo Stato.
Per la realizzazione dei suoi programmi lo Stato assistenziale fascista dipese largamente dal volontariato femminile.
Donne di ceto sociale elevato giunsero così a giocare un ruolo importante nella definizione delle nuove norme di condotta familiare attraverso corsi per casalinghe, lezioni sull’allevamento dei figli e riunioni informali. I modelli familiari da loro trasmessi erano basati su concetti borghesi di rispettabilità e di amministrazione domestica razionale.
In seguito il fascismo prese alcuni provvedimenti legislativi per impedire alle donne di competere con gli uomini sul mercato del lavoro e per tutelare le madri lavoratrici. Ma lo scopo era anche un altro, evitare che le donne considerassero il lavoro retribuito come un trampolino verso l’emancipazione.

Nel 1938, le lavoratrici avevano obbligatoriamente diritto a un congedo di maternità della durata di due mesi coperti da un sussidio di maternità pari alla paga media percepita nello stesso arco di tempo, a un congedo non retribuito lungo fino a sette mesi e a due pause giornaliere per l’allattamento finché il bambino non avesse compiuto un anno.

La dittatura rese inoltre più severe le norme che proibivano i lavori notturni a tutte le donne  e quelli pericolosi alle ragazze di età inferiore ai quindici-venti anni e ai maschi sotto ai quindici; vietava invece ogni tipo di lavoro ai minori di dodici anni.

Mentre il lavoro era indispensabile alla costruzione di una solida identità maschile, l’occupazione femminile, come dichiarò Mussolini, “ove non è diretto impedimento distrae dalla generazione, fomenta una indipendenza e conseguenti mode fisiche-morali contrarie al parto”.

Dapprima a mobilitarsi furono le organizzazioni femminili cattoliche che si impegnarono in un’opera di educazione e di propaganda tra le masse femminili maggiormente esposte alle insidie della civiltà urbano-industriale così che nei primi anni Venti furono proprio gli istituti cattolici ad assumersi l’incarico di far rientrare le donne nei ranghi.
Con gli anni Trenta si giunge ad un momento di rottura: mentre la Chiesa e lo Stato si interrogano sul tipo di educazione e di formazione da impartire alle giovani generazioni femminili, la donna viene sottoposta a spinte contrastanti e a tensioni proprie di un nuovo tipo di cultura che suggerisce inediti modelli sociali e sessuali assai più liberi di quelli delle generazioni precedenti.
La confusione e lo smarrimento sono una conseguenza della contraddittoria politica femminile fascista e del suo pretendere che le donne siano al contempo cittadine responsabili e membri subordinati della famiglia ma sottomesse all’autorità paterna.
Con la caduta del regime fascista e con l’inizio della resistenza il ruolo della donna incomincia a cambiare.

 

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

 

Anche con la seconda Guerra Mondiale si ebbe un miglioramento della vita delle donne. Venne approvato un disegno di legge per sostituire nel lavoro il personale maschile con quello femminile. In mancanza degli uomini, le donne divennero capofamiglia e parteciparono attivamente alla resistenza. Prima ancora della fine della Guerra, nel 1945 venne riconosciuto il diritto al voto alle donne.

 

IL SECONDO DOPOGUERRA

 

Anche se le donne riuscirono nel 1945 a conquistare il diritto al voto, non ottennero però il diritto ad essere elette. Con un decreto dell’anno successivo si affiancò al cosiddetto elettorato attivo, quello passivo. Ma l’Italia maschile non fu convinta di questo avvenimento, infatti, ci fu una sostanziale indifferenza tra i giornali dell’epoca. Al Referendum partecipò l’89% dell’elettorato femminile. All’Assemblea Costituente venne candidato il 7% di donne e ne venne eletto circa la metà. Alla commissione dei 75, incaricate di redigere la nuova Costituzione, parteciparono quattro donne: Maria Federici, la socialista Lina Merin e le comuniste Teresa Noce e Nilde Jotti.

 

Anche in Giappone, la parità fra i sessi è sancita dalla Costituzione, ma la società giapponese è fortemente maschilista, infatti, nel 1988 all’inaugurazione di un grande tunnel fu proibito alle donne l’accesso per paura che le divinità fossero offese. In questa società, la donna, è costretta ad indossare un particolare tipo di abito, conosciuto con il nome di kimono, solo nelle occasioni particolari. Alla donna è permesso lavorare, ma non vi è parità di retribuzione con l’uomo, oltretutto il datore ha il potere di licenziarla in caso di matrimonio o gravidanza.


Il femminismo arabo iniziò nel 1897, quando Qasim Amin pubblicò un libro sulla condizione femminile. Intorno agli anni venti, la Turchia, imboccò la via della laicizzazione, mentre nel Libano le donne lottavano per l’abolizione del velo e della poligamia. Il movimento più importante fu in Egitto con a capo Huda Shaarawi, esso aveva legami con le suffragette inglesi. Lottarono per la parità dei sessi e di scolarizzazione e l’innalzamento a 16 anni dell’età minima per il matrimonio.
Nel terzo millennio esistono ancora violenze barbare nei confronti delle donne. Un primo esempio sono gli aborti dei feti femminili in molti paesi. Dati recenti affermano che sulla terra ci dovrebbero essere 70.000.000 di bambini in più, molte donne islamiche o orientali vengono costrette ad abortire dopo la scoperta del sesso del nascituro.
Un altro grande orrore è un rito chiamato infibulazione, cioè, un’operazione casalinga che esporta i genitali esterni e sutura le grandi labbra, senza nessun tipo di anestesia. Lo scopo è di evitare che le ragazze abbiano rapporti prima del matrimonio e prima delle nozze deve subire l’operazione inversa.     

 

Edvard Munch
Pittore ed incisore norvegese nato nel 1863 a Löyten (una località a nord di Oslo) da una famiglia che annoverava alcuni significativi esponenti della cultura norvegese, Edvard Munch trascorse un'infanzia contrassegnata da una serie di vicende dolorose (tra le quali la malattia e la morte della madre e successivamente della sorella) che certamente segnarono la sua già complessa personalità. Frequentò la Scuola d'Arti e Mestieri di Oslo, dove studiò con M.C.Krohg. Nel 1885 compì un primo soggiorno a Parigi, dove ritornò nel 1889 (scoprendovi Gauguin, ma anche i pittori Nabis, poi Seurat e Van Gogh) e nel 1896. Il periodo più importante dell'attività di Munch è compreso nel decennio 1892-1902, nel corso del quale l'artista definì e rivelò, attraverso una serie di capolavori, la sua ricerca poetica e le qualità del suo linguaggio pittorico, che affonda le radici nel clima secessionistico del tempo e si arricchisce degli apporti del simbolismo in un'interpretazione di intensa drammaticità, secondo i modi che divennero propri dell'espressionismo tedesco. L'amore, la morte e più tardi la vita sono i temi pressanti di tutta la sua pittura. Nel 1895 iniziò l'attività grafica, conclusa nel 1926 , contrassegnata da innovazioni tecniche di assoluta importanza a cui corrispondono sorprendenti metamorfosi di contenuto. Dopo il soggiorno a Berlino (dove fu soggetto ad una grave depressione nervosa ) tornò in Francia dove fece scuola la sua innovativa tecnica di incisione del legno (1901 - 1902). Nel 1911 si stabilì definitivamente in Norvegia dove morì nel 1944.

 

La donna-vampiro di Munch
Munch vede la donna come epicentro di uno sconvolgente mistero sessuale, di cui avverte tutta la profondità e le molteplici stratificazioni, senza però poterlo sondare perché privo degli strumenti "analitici " o per meglio dire " psicoanalitici, di cui invece dispongono i grandi romanzieri del '900 come Proust e Joyce.
Una profondità, dunque, che evoca attraverso miti e figure simboliche che, per il fatto stesso di non poter analizzare e quindi possedere razionalmente la realtà sessuale, risulteranno invariabilmente improntati da un senso di minaccia e di crudeltà divorante.
Nasce così l'identificazione tra la donna e l'immagine mostruosa del vampiro. L'uomo è preso da un senso di consunzione ed esce infranto e disfatto dall'incontro con la donna. In altri dipinti, rimosse per il momento le torbide implicazioni sessuali la donna è vista sotto gli aspetti sereni della madre e della figlia.
PICASSO
Il quadro, dai toni dinamici e drammatici, è caratterizzato da uno schema geometrico quadrangolare, con un impianto asimmetrico.
Le linee guida, costituite dalle figure delle donne, sono rettilinee verticali a sinistra e frastagliate a destra.
L'inquadratura scelta è quella del piano intermedio e frontale.
La luce è irreale: le zone chiare, corrispondenti ai corpi femminili, sono larghe e piatte, mentre le limitate zone scure dipinte sulle stesse figure non sono ombre, ma segni per sottolineare la deformazione, anche se danno l'impressione di isolare le cinque prostitute dallo sfondo, esaltandone i corpi nudi.
Tra i colori dello sfondo (neutri, freddi) e quelli delle donne (caldi) si nota un certo contrasto cromatico, non molto accentuato: le tonalità vanno dal rosa al giallo, dal bianco al rosso, mentre lo sfondo tocca le tonalità dell'azzurro e del grigio passando per il marrone.
Le forme bi-tridimensionali sono articolate in modo da distribuire i pesi visivi quasi casualmente, senza un ordine prestabilito. I corpi infatti sono molto stilizzati, il giro vita appare sproporzionatamente sottile, rispetto ai fianchi e alle spalle, che al contrario sono larghi.
Più che dagli atteggiamenti delle figure, il movimento è dato dalle linee e dalle forme.
Lo spazio è indefinito e chiuso, in quanto lo sfondo si frantuma in tante schegge appuntite, incastrate tra le figure: sono queste che danno senso allo spazio.
Una natura morta arricchisce il quadro; vengono infatti ritratti alcuni frutti (dei grappoli d'uva, una pera, una mela e un'anguria).

 

  • Fonte:  http://skuola.tiscali.it/sezioni/tesine/tesina-donna.doca.

 


 

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