Ermetismo di Ungaretti

 

 

 

Ermetismo di Ungaretti

 

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   L’ermetismo


Nella varietà di atteggiamenti culturali e formali, di cui fu ricco il Decadentismo, si inserisce la corrente poetica dell’Ermetismo. Questo termine è usato, talora impropriamente, per designare un certo tipo di lirica - e poi anche di critica - italiana novecentesca, di non immediata accessibilità per il lettore.
Cominciò a diffondersi intorno al 1930 e venne chiarendosi nella sue ragioni di cultura e di poetica fra il 1930 e il 1940, indicando una letteratura intenzionalmente difficile e chiusa ai non iniziati. Si riconoscono appartenenti a questo movimento Mario Luzi, Alfonso Gatto, Vittorio Sereni, Leonardo Sinisgalli, Salvatore Quasimodo, Grande, Carlo Betocchi, Attilio Bertolucci. Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale sono posti da alcuni critici tra gli Ermetici, da altri sono considerati precursori del movimento.


La definizione divenne di uso corrente dal 1936 quando uscì un celebre saggio di Francesco Flora, La poesia ermetica, che, sottolineando la "dipendenza" da modelli francesi (soprattutto Mallarmè e Valéry) approdava ad un complessivo giudizio negativo o comunque restrittivo. L'aggettivo ermetico sottolinea appunto l'impossibilità di comprensione da parte del lettore, ove questi non possegga la "chiave" per penetrare entro i significati nascosti. Gran parte del giudizio del Flora era tuttavia limitato dalla ancora incompleta conoscenza di tutto il materiale poetico venuto in luce negli anni successivi.
Espressioni decadentistiche si riconoscono non solo nella difficile poesia "essenziale" degli Ermetici; ma anche nelle deformazioni stilistiche e contenutistiche di altri scrittori, oscillanti fra spregiudicato erotismo e inquietudine esistenziale, calligrafismo e capriole sintattiche, fino al gusto del primitivo, del violento, dell’eslege in Pier Paolo Pasolini.


Cifra comune dei poeti Ermetici è il contrasto fra il mondo reale e quello che l’artista sente pulsare dentro di sé, e del quale può appagarsi. Un tale contrasto si risolve nella "assenza", che non è inerzia, ma attesa della verità da parte del poeta e stupore della sua scoperta, nella escavazione interiore, nel ripiegamento sulle proprie inquietudini spirituali. Le vicende visibili non entrano in questo mondo, in cui spazio e tempo scompaiono, traducendosi in dimensioni psichiche. Carattere costante è la ricerca di una poesia essenziale, nella quale la parola abbia una sua assolutezza nuda e la espressione rifugga da ogni abbandono alla retorica, alla discorsività, al sentimentalismo, profilandosi come dettata da improvvisa illuminazione. La parola, insomma, assume un valore enorme, totalitario ed è strumento catartico, liberatorio. Il poeta ermetico rifiuta la parola come "scambio" (da ciò deriva la oscurità di significato per colui che, accostandosi a questo tipo di lirica, voglia leggere la parola in tale senso). Essendo creazione e rivelazione, la parola è allusiva, imprevedibile, non sempre rispondente al senso lessicale e spesso iperbolica, più adatta a smaterializzare il dato di fatto che a renderlo nella sua concretezza. Una tale parola non potrà naturalmente essere inserita in costrutti rispettosi di regole tradizionali, quali che siano. L’aggettivo inoltre non ha valore descrittivo, ma varrà a sfumare l’oggetto in dimensione non realistica con la sinestesia (dal greco = percezione contemporanea), cioè con l’unione di termini appartenenti a campi sensoriali diversi: voce striata, oscurità melodiosa, bianco silenzio, odore biondo. I nessi tra le immagini non ripetono quelli della realtà e della logica della lingua parlata; ma insorgono fra le parole rapporti nuovi e invisibili, accostamenti imprevisti, in una successione di forme ellittiche. Queste forme trovano la loro espressione più alta nella analogia, la quale elimina la tradizionale figura della similitudine, e quindi l’uso del come tra termini distanti.
Il ritmo è dettato dalla emozione, è affidato alla scansione interiore, sicché, quando si verificano strutture metriche tradizionali, ciò non indica un ritorno alla norma retorica, ma incontro causale fra momento interiore e forma precostituita. Con la nuova visone della poesia, che si disse "pura" perché libera da qualsiasi legame con l’esterno, autonoma nei confronti di ogni disciplina, gli ermetici si ritrovarono coscientemente isolati nell’esercizio di un’arte gelosa di sé, raffinatissima nella sua ricerca formale, tale da riempire la vita morale e intellettuale del poeta. Si è voluto vedere in ciò una reazione non clamorosa, ma sdegnosa e seria, alla storia vociante e piazzaiola del Fascismo.

 


Si usa ripetere che la caratteristica di questa poesia è la sua oscurità, ma ciò non è del tutto esatto: l'oscurità c'è, ma è la conseguenza delle sue premesse, non è la premessa stessa. La caratteristica assoluta è invece l'essenzialità: per ottenere questo risultato il poeta rifiuta tutte le forme tradizionali del linguaggio, soprattutto quelle forme poetiche consacrate alla tradizione; a questo rifiuto il poeta accompagna anche quello dei sentimenti ormai convenzionali della poesia e accetta di esprimere solo quei sentimenti intimi e gelosi che appartengono esclusivamente al suo mondo interiore.Con questo il poeta vuole partecipare agli altri i propri sentimenti e vuole che gli altri li afferrino con la stessa immediatezza con cui egli li prova, e perciò rifiuta tutti gli espedienti retorici, le definizioni abusate, la mancanza di sincerità prodotta da una forma elaborata: il sentimento deve scaturire "nudo" e deve imporsi grazie alla sua stessa forza, e non mediante la "bellezza" dell'espressione. Pertanto questa poesia pur cosi scarna, è sofferta, spesso dolorosa, ma evocatrice e comunicativa. Dote necessaria è dunque la sincerità dell'ispirazione, che impegna il poeta nel compito difficile di riuscire a trasmettere le vibrazioni più riposte dell'animo, i turbamenti passeggeri ma profondi, il mistero dell'inconscio, e tutto ciò va detto trovando quelle poche parole, talora quell'unica parola che riesca a trasmettere da sola tutta la gamma di sensazioni provate. Ecco che la poesia ermetica mette a punto un nuovo linguaggio, che rifiuta il sonoro costrutto carducciano, la sensibilità morbida del Pascoli, la trionfante retorica dannunziana e la dimessa semplicità artificiosa dei crepuscolari: solo Leopardi è riuscito a lasciare versi che possano richiamare la medesima essenzialità, la medesima poesia pura.

Va detto tuttavia che la parola, per quanto inserita in tutta la sua scarna essenzialità, non dà luogo ad un discorso povero; anzi essa si carica di tutta una serie di significati allusivi e di valori simbolici che vanno molto al di là del suo significato lessicale. Inoltre le parole valgono anche per il loro valore fonetico, non nel senso della musicalità convenzionale, già dimostrata nella Pioggia nel pineto di D'Annunzio o nella onomatopea pascoliana, ma nel senso di una armonia che nell'animo umano legge sensazioni diverse e pensieri inaspettati. Viene esaltata in questa poetica l'analogia, il passaggio non "logico" fra parola e parola, ma "sovralogico": la ragione non lega le parole, ma è con la sensibilità, l'istinto che si trova una chiave interpretativa.

 


La poetica ermetica è stata accusata di egocentrismo, di esaltare i problemi individuali, e di trascurare i problemi reali dell'esistenza, di essere estranea alla vita del proprio tempo, ma non è una accusa ben fondata se si guarda bene. Certo, essa può sorvolare sugli avvenimenti della cronaca quotidiana, ma non ignora i problemi più vasti e universali. La poesia di Ungaretti nasce dal contatto con la tragedia immensa della guerra, e dalla guerra trae la sua dolorosa riscoperta della vita. Né si può dimenticare che tutta la poesia di Quasimodo trae ispirazione dal Sud, dalla propria terra siciliana, aspra e ingrata, evocata col cuore dell'emigrato, gonfio di malinconia e lacerato dalla nostalgia. Da questi due esempi si può dire che cade l'accusa di individualismo di fronte alla sensibilità da essi dimostrata nei confronti di problemi che purtroppo hanno riguardato intere comunità.

 

In sintesi si può dire che, pur con mille aspetti e soluzioni diverse, gli ermetici cercano di restituire al linguaggio della poesia una sua dimensione essenziale, scabra, talvolta volutamente oscura (di qui il termine) al fine di restituire alla parola abusata verginità e novità. Così riscattate le parole tornano a essere specchio della realtà e consentono all'uomo di percepire l'inesprimibile sostanza di quel mondo apparentemente privo di senso che lo circonda. I poeti ermetici sono, quindi, accomunati da un male di vivere che, pur essendo diverso nella concreta esperienza di ciascuno, li accomuna tutti nel pessimismo sulle possibilità dell'uomo e persino della stessa poesia. In assenza di certezze da cantare a gola spiegata, gli ermetici rifiutano dunque i moduli espressivi tradizionali sulla base di una precisa scelta etica, dalla quale discendono poi le novità di stile.
 Giuseppe      Ungaretti

 

 

 

 

 

 

Giuseppe Ungaretti nacque nel 1888 ad Alessandria d'Egitto da genitori lucchesi. L'esperienza africana, che comporta anche contatti con fuoriusciti italiani anarchici e socialisti (tra cui lo scrittore Enrico Pea), fornisce alla poesia ungarettiana soprattutto un repertorio di ricordi (colori, profumi, paesaggi, microeventi) che compaiono ora esplicitamente ora in modo sotterraneo lungo tutto il corso del suo sviluppo. Trasferitosi a Parigi nel 1912, frequenta l'università e stringe contatti con î rappresentanti delle avanguardie: fra gli altri, Apollinaire, Picasso, Braque, De Chirico, Cendrars, poi occasionalmente anche i futuristi, che lo invitano a collaborare a «Lacerba». All'esperienza parigina appartiene anche il suicidio dell'amico Mohammed Sceab, emigrato con lui da Alessandria. Nel 1914, allo scoppio della guerra, si trasferisce a Milano; pubblica le prime poesie su «Lacerba» e fiancheggia gli interventisti. Partecipa alla guerra, combattendo sul Carso. Nel 1916 esce quasi inosservata la raccolta Il porto sepolto, primo nucleo dell'Allegria, che col titolo di Allegria di Naufragi compare a guerra finita, nel 1918. Nel 1918 ritorna a Parigi, dove diventa corrispondente del «Popolo d'Italia». Nel 1920 si impiega presso l'Ufficio stampa dell'Ambasciata italiana e sì sposa con Jeanne Dupoix. L'anno dopo è a Roma, impiegato presso il Ministero degli esteri. Gli anni successivi sono caratterizzati essenzialmente dalla pubblicazione di altre raccolte poetiche, dalla crescita della popolarità del poeta, che viene invitato a tenere cicli di conferenze in vari paesi europei, e dalla morte del figlio Antonietto (1930) che costituirà un'ennesima esperienza dolorosa dell'«Ungaretti uomo di pena». Tra il 1936 e il 1942 tiene la cattedra di Letteratura italiana all'università di San Paolo in Brasile. Nel 1942, rientrato in patria, è eletto Accademico d'Italia. Ottiene vari premi letterari. Dal 1947 insegna Letteratura moderna e contemporanea, all'università di Roma. Ottiene altri riconoscimenti nazionali e internazionali. Muore a Milano nel 1970.
Oltre all'Allegria, il libro suo più importante, saranno da ricordare, il Sentimento del tempo (1933), seconda raccolta poetica, cui seguiranno II Dolore (1947), La Terra Promessa (1950), Un grido e Paesaggi (1952), Il Taccuino del Vecchio (1960), II Deserto e dopo (1961).
Del 1969 è l'edizione di Vita d'un uomo.

 


Importanti anche i saggi critici (riuniti ora nel secondo volume di Vita d'un uomo) e le raccolte di traduzioni: Traduzioni (1936) di poeti inglesi, francesi, russi e spagnoli, Da Gòngora a Mallarmé (1948) e Visioni di William Blake (1965).
Per illustrare brevemente la poetica di Ungaretti si può partire da : Vita di un uomo. Poesia e biografia sono infatti per Ungaretti strettamente legate, tanto che sono proprio le esperienze di vita a determinare alcune precise scelte di stile e contenuto assolutamente innovative per la poesia italiana. La prima, e fondamentale, è l'esperienza di soldato. Sepolto in trincea tra fango, pioggia, topi e compagni moribondi, il giovane poeta scopre una nuova dimensione della vita e della sofferenza che gli sembra imporre, per poter essere descritta, la ricerca di nuovi mezzi espressivi.

 

 



Nasce così la raccolta Allegria di naufragi, nella quale il lavoro di scavo comincia dalla parola. Dall'analisi delle proprie emozioni Ungaretti trae enunciazioni essenziali e fulminee che comportano la distruzione della metrica tradizionale: i versi vengono spezzati e ridotti talvolta a singole parole; queste ultime si stagliano isolate, o accostate tra loro con lo strumento dell'analogia, senza punteggiatura, intervallate da spazi bianchi che assumono a loro volta
un preciso significato. Una poesia, dunque, che per dare il meglio di sè deve essere recitata, come magistralmente faceva l'autore stesso, o almeno pensata ad alta voce.
II comun denominatore dei testi è la presenza di una concreta fenomenologia bellica - che va dalle più nette immagini di violenza e morte in Veglia alla distruzione materiale in Pellegrinaggio e in San Martino del Carso - o dei suoi riflessi morali in Fratelli («aria spasimante», «fragilità») e in Sono una creatura (pietrificazione interiore, pianto silenzioso, morte in vita). Sono insomma testi di oggettiva denuncia delle lacerazioni prodotte dalla guerra. I due componimenti in cui le immagini materiali della guerra sono assenti appaiono anche (con San Martino del Carso) i più desolati: l'esperienza della tragedia bellica è quasi sempre resa da Ungaretti in termini di riflessi intimi, di moti dell'animo. Ungaretti, insomma, non è un poeta espressionista che si compiace della violenza delle immagini. Un accenno di espressionismo c'è però in Veglia, legato alla serie di participi (buttato, massacrato, digrignata, penetrata) che rappresentano la situazione con crudezza di significati e asprezza fonica, e che, in assenza di un verbo finito, generano un clima di tesa sospensione drammatica (evocativo dell'interminabile lunghezza della notte). Accentua la potenza tragica della rappresentazione la scansione, come spessissimo accade in Ungaretti, che pone in risalto, stagliandoli sullo sfondo bianco della pagina e, per analogia, su un abisso di silenzio, proprio alcuni dei termini più aspri (massacrato, digrignata, penetrata). Ma, per contrasto, all'esperienza della morte fa riscontro il sorgere prepotente di un istinto vitale, quasi primordiale, il bisogno di pensare all'amore e subito dopo il viscerale attaccamento alla vita. È questo un movimento ricorrente nell'Allegria (in singoli testi e nel complesso della raccolta).
La successiva raccolta Sentimento del tempo, del 1933, presenta un'evoluzione nella poetica di Ungaretti. Gli spunti autobiografici, così numerosi nell'Allegria di naufragi, diminuiscono lasciando posto a una riflessione più esistenziale. L'uomo Ungaretti tenta ora di farsi Uomo, cercando nelle proprie emozioni e paure il riflesso di quelle che sono comuni a tutti. Inizia qui il tormentato recupero della fede, la quale può forse rappresentare per l'uomo smarrito un'ancora di certezze. Il cammino, tuttavia, non è lineare e non mancano situazioni di conflitto tra il sentimento religioso e le esperienze dolorose nella storia del singolo o della comunità. Parallelamente a questi cambiamenti tematici ne avvengono altri a livello stilistico: in particolare il recupero di una metrica più tradizionale, rinnovata però dal precedente lavoro di scoperta della parola.
Ne Il dolore, raccolta del 1947, la biografia irrompe nuovamente nella poesia in seguito alla tragica morte del figlio Antonietto, cui sono dedicate le liriche della prima parte; nella seconda parte, invece, Ungaretti si sofferma sulle vicende drammatiche della guerra. C'è dunque un rapporto tra le due sezioni: il dolore individuale e quello collettivo danno la misura di un cammino umano segnato dalla sofferenza e dalla difficile riconquista della fede negli imperscrutabili disegni divini. E tra questi due piani, quello personale celebrato nel Dolore e quello corale, collettivo, che ha trovato le sue più alte espressioni nel Sentimento del tempo, si muove tutta la successiva produzione di Ungaretti. "E una polarizzazione molto significava - scrive Mengaldo - nella quale si celebra ancora una volta lo sdoppiamento ungarettiano fra uomo di pena e clown delle forme, o se si vuole tra 'persona' e 'maschere'".
                                                                                                        

L’ermetismo di Ungaretti, che fu apprezzato da Mussolini, esprime il bisogno di recuperare la purezza originaria degli individui, la loro primitiva semplicità e forza d'animo. L'intenzione, di per sé, è lodevole, ma se in politica si cerca di affermare un principio del genere, senza realizzare, nel contempo, una rivoluzione sociale e culturale, lo sbocco verso l'ideologia fascista diventa inevitabile, anche se un poeta come Ungaretti non potrà non accorgersi, in seguito, che il regime fascista, incapace di affrontare la complessità della vita, predicava solo illusioni e mistificazioni.

 

 

        San Martino del Carso MARTINO DEL 
                                                       da L'ALLEGRIA - IL PORTO SEPOLTO

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non m'è rimasto
neppure tanto

Ma nel mio cuore
nessuna croce manca

E' il mio cuore
il paese più straziato

Valloncello dell'Albero Isolato, il 27 agosto 1926

 

Fonte: http://xoomer.virgilio.it/semidiluce/_private/L%27Ermetismo%20di%20Ungaretti.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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