Vittorio Alfieri

 

 

 

Vittorio Alfieri

 

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Letteratura Italiana

VITTORIO ALFIERI (1749-1803)

 

Per capire l’Alfieri, occorre uscire dalla logica dell’Illuminismo e dall’assolutismo illuminato. Illuminismo è un concetto del quale non si può fare a meno per ricondurre a unità i tanti aspetti di una società fermentante; ma nel momento stesso in cui si adoperano il concetto e il termine, si deve avere coscienza che essi non esauriscono tutta la realtà di quegli anni, ma ne colgono solo gli aspetti più innovatori e dominanti. Ma accanto all’adesione all’assolutismo illuminato, vi erano l’insofferenza e i tentativi di elaborare progetti e modelli diversi di organizzazione politica; accanto al razionalismo sensistico vi era la difesa appassionata della spontaneità e del sentimento: tutto un filone di tesi che si riconosceva in Rousseau; accanto all’ottimismo sorretto dai lumi della Ragione vi erano le inquietudini di chi avvertiva la forza nemica della Natura o di chi era attirato piuttosto dall’analisi di quanto nell’animo umano vi è di confuso e torbido. E quanto più il secolo si avvicinava alla fine, tanto più il complesso di tesi e di convinzioni che aveva costituito l’Illuminismo si sfaldava ed emergevano atteggiamenti nuovi dell’intelletto e dell’animo, e spunti prima sommessi si rafforzavano ed il tramonto dell’Illuminismo assumeva tinte più variegate e complesse.


L’ Alfieri fu il maggior scrittore italiano di questa temperie, il che non significa che egli fu estraneo alla civiltà dell’Illuminismo, ma che non ne condivise alcuni aspetti, dibattuti sempre polemicamente e con i quali definì il suo atteggiamento sui problemi della politica, della morale e dell’arte. Sulla formazione della sua personalità influirono anche le circostanze biografiche: più tardi, nel ’90, quando stese una sua autobiografia (la Vita), concepì la propria esistenza come una lunga eroica battaglia contro la società. Riteneva di esser diventato un “liber uomo” ed un grande poeta perché aveva saputo liberarsi dalla falsa educazione e dalle convenzioni sociali. In tal modo, aveva coltivato gli ideali della libertà interiore, l’aspirazione alle cose nobili e grandi, l’anelito alla poesia: ciò che egli chiamava “il forte sentire”. Per ottenere questo aveva dovuto “spiemontizzarsi”, cioè lasciare per sempre quel Piemonte arretrato e feudale nel quale non vi era posto per un “libero” uomo, benché nobile di nascita. Era diventato un apolide, un uomo senza patria: una figura frequente nel Settecento, quando l’amore per i viaggi, la curiosità intellettuale, il cosmopolitismo, inducevano molti intellettuali ad espatriare, altri a cercar fortuna da avventurieri. Furono famosi Giacomo Casanova e un Giuseppe Balsamo detto Cagliostro.
Anche Alfieri, per molti anni, corse per l’Europa, fra amori, duelli, simpatie ed antipatie per luoghi e persone; disprezzò i paesi “schiavi”, cioè soggetti a principi anche se illuminati (Russia, Prussia, Austria), amò soprattutto l’Inghilterra. Viaggiò alla ricerca soprattutto di sé, di uno scopo nella vita, finché lo trovò nella poesia tragica, che dal ’75 in poi lo assorbì interamente.


Il poeta, , dunque, ebbe esperienze europee, e anche se non partecipò mai in prima persona alla vita politica e sociale del suo tempo, rifletté su problemi e soluzioni, con la passionalità che era della sua natura, esprimendosi soprattutto nelle sue diciannove tragedie. Cercò, inoltre, di fissare il suo pensiero sull’uomo e sulla società in un genere ancora tradizionale: il trattato.
Nei trattati Della tirannide, Del principe e delle lettere, Della virtù sconosciuta, e più tardi, nel prosimetrum il Misogallo, contrappose ai valori illuministici i propri miti: il valore del sentimento, del forte sentire, l’odio per il tiranno, qualsiasi politica egli adotti, il disprezzo per l’intellettuale che si lega al carro del principe, l’esaltazione della solitudine, dolorosa, tragica, destinata al fallimento, ma appunto perciò eroica e titanica. (Titanismo)
Fin da giovane, Alfieri si chiuse in se stesso, nella cerchia ristretta della “sua” donna e pochissimi amici; scopre il valore poetico della solitudine, scrive rime nelle quali disegna paesaggi di un fascino orrido e solitario, come quello che intanto tutta l’Europa scopriva ed esaltava nei versi di Ossian; delinea ritratti di sé, nei quali si rappresenta malinconico, “pallido in volto più che un re sul trono”; scrive tragedie, spinto da un’ambizione impaziente che una volta così descrisse: “un bollore di cuore e di mente, per cui non si trova mai pace né loco; un reputar sempre nulla il già fatto e tutto il da farsi, senza mai dal proposito rimuoversi, una infiammata e risoluta voglia e necessità, o di esser primo fra gli ottimi, o di non esser nulla”.
Alla base del suo atteggiamento politico vi fu sempre il culto della libertà e dell’individuo, non riconducibile a precise forme di governo. Alfieri è un libertario: sostanzialmente definisce “tiranno” qualsiasi sovrano assoluto, chiunque, cioè abbia il potere di fare e disfare le leggi; fine dell’individuo è preservare la propria individualità, giungendo per questo anche a sacrificare la vita.


IL TEATRO TRAGICO ALFIERIANO
La tragedia dell’Alfieri ha carattere epico-lirico, l’autore costruì un suo schema, tale da permettergli l’espressione di quei sentimenti che gli urgevano dentro. Accettò le regole classiche: cinque atti; argomento storico o mitologico; pochi personaggi; rispetto delle unità di tempo, spazio e luogo. Di suo effuse il forte rilievo drammatico dato ai protagonisti, l’attesa creata intorno al protagonista che entra in scena solo al secondo atto; la fortissima concentrazione psicologica e scenica, per cui l’azione corre dritta allo scopo, cioè alla fine tragica, e i personaggi paiono rapiti da un demone che li travolge con sé fino allo scioglimento luttuoso. Questa coerenza è visibile anche nel linguaggio: la brevità e l’essenzialità del dialogo, in cui le battute si succedono senza respiro, sembrano addensare pensieri ed affetti chiusi lungamente nell’animo e venuti fuori a fatica in poche, intense parole. Il lessico è scelto ed elevato; rifugge ogni tratto di quotidianità. La sintassi si presenta carica di tensioni, costruita su contrasti e irta di inversioni e di frattire, accentuate dalla fitta punteggiatura, alla naturalezza si sostituisce la ricerca del sublime. L’endecasillabo, scelto per rispetto alla tradizione classica, è forzato in cerca di espressività forti, potenziate dai frequenti enjambement: al Alfieri non interessano la scorrevolezza e la musicalità, ma la rottura e la disarmonia.
Tema obbligato del teatro alfieriano diventa il rapporto tra tirannide e libertà. È un tema che assorbe tutti gli altri e che si fa simbolico e totalizzante: nella lotta dell’”eroe” contro il tiranno è possibile leggere, come in una metafora, ogni qualsiasi lotta che un uomo combatta per la sua libertà: di qualsiasi genere, contro qualsiasi tiranno. Per questo quell’eterna lotta si rivela in drammi che non sono più politici, ma esistenziali. È il caso delle due tragedie che il Novecento considera i suoi capolavori. La Mirra, dove l’eroina (figura mitologica greca), per l’odio di una dea offesa, si innamora del padre, ma contrasta con forza questa passione, che sente non solo ostile, ma tiranna. L’unica liberazione possibile passa attraverso la morte. Come altri eroi, Mirra si libererà dalla violenza del tiranno, l’amore incestuoso, uccidendosi. Nell’altra tragedia, Saul, il vecchio re ebreo, avverte come una forza nemica la vecchiaia, con tutto ciò che essa comporta di perdita di energia e di potere. Sente nemico e tiranno Dio, perché non gli ha dato la giovinezza eterna, e si ucciderà, anche lui, per sottrarsi alla tirannia del tempo e della Natura.
Questi caratteri spiegano perché Alfieri abbia potuto costruire un teatro tragico in un secolo che non era “tragico”. Ottimista, fiducioso nelle forze della Ragione, intento a riforme. Il senso tragico della vita poteva riaffiorare in questo scorcio finale del Settecento, quando tante certezze sono cadute e l’individuo si ritrovava di nuovo solo di fronte a forze potenti ed ostili. Ecco, in Germania, lo Sturm und Drang, in cui si celebra la lotta dell’individuo contro le costrizioni sociali. Werther, l’eroe del romanzo di Goethe, si suicida non solo per amore, ma per l’impossibilità di affermare, nell’amore e nella società, se stesso. Ed ecco, in Italia, il teatro alfieriano, in cui l’Illuminismo ha perso la sua fiducia nel “principe illuminato” e l’individuo tende ad affermare se stesso contro ogni limite, consapevole di esser destinato al fallimento, diventando un moderno titano.


LA FORTUNA Forse più di ogni altro scrittore italiano, Alfieri fu assunto dagli intellettuali risorgimentali come paladino e profeta, e molti elementi si prestarono alla sua canonizzazione in chiave risorgimentale, dato che egli stesso dedicò le sue opere “al popolo italiano futuro”. Anche attraverso la mediazione di Foscolo (nei Sepolcri) e di Leopardi (nella canzone Ad Angelo Mai) la figura umana del tragediografo divenne sinonimo di avversione titanica alla tirannide e preludio al riscatto futuro della libertà e dell’Italia.
Per superare la lettura romantico-risorgimentale, bisogna giungere al 1917, quando uscì un saggio di Benedetto Croce che portò l’attenzione sul significato “protoromantico” dell’opera alfieriana, relegandone sullo sfondo il taglio politico. Tratti romantici sarebbero in Alfieri l’individualismo, la tendenza all’autobiografia, lo spazio assegnato alle passioni soggettive ed il titanismo.

 

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VITTORIO Alfieri
Alfieri è un personaggio molto diverso da Goldoni; nasce ad Asti nel 1749 da una famiglia nobile, studia con insegnanti privati (pagati dalla famiglia e che lavorano solo per lui), frequenta l’Accademia Militare a Torino; è un ragazzo insofferente delle regole, cioè ribelle, crea spesso problemi.
La prima parte della sua vita passa fra i divertimenti. Per dare sfogo alla sua agitazione e non per costruirsi una propria formazione, viaggiò per l'Europa per circa 10 anni, scontento del vuoto della società aristocratica . In quel periodo legge opere degli illuministi francesi e dei suoi autori preferiti come Machiavelli e Plutarco. Poi si mette a studiare da solo: conoscendosi bene si fa legare alla sedia per studiare, in poco tempo recupera tutta la conoscenza persa negli anni passati a divertirsi. Legge moltissimo i classici italiani e latini. Muore a Firenze nel 1803.
La prima tragedia (genere letterario = opera drammatica che finisce male)  scritta da Alfieri, Antonio e Cleopatra, gli fa capire la sua passione per la tragedia. Andò in Toscana per migliorare la lingua italiana, perché fino ad allora aveva parlato francese, la lingua dell'aristocrazia torinese e internazionale. Nel 1778, per liberarsi della monarchia sabauda, rifiutò il titolo nobiliare (della nobiltà), lasciò i suoi beni alla sorella e si trasferì in Toscana, dove si legò alla Contessa d'Albany.
Alfieri compose, dopo la prima, venti tragedie, le più importanti sono: l'Antigone (1776), il Saul (1783) e la Mirra (1784-1786). Sono opere stampate dall'autore a proprie spese e scritte per la società nobile del tempo e non per tutti. Nelle tragedie parla di uno scontro tra il tiranno (chi governa con prepotenza) e l'uomo libero che vuole la propria dignità e libertà fino alla morte. Tiranno e uomo libero si trovano a volte nella stessa persona, come nel Saul. Queste tragedie, con rapporti familiari che finiscono male, comunicano una sofferenza profonda, sono le più grandi di tutta la letteratura italiana e aiutarono a educare le generazioni (le persone che nascono dopo) che fecero il Risorgimento.
SAUL (1782)
Il Saul è una tragedia. Il soggetto è tratto dall’Antico Testamento. Il protagonista è Saul, il re degli ebrei. Altri personaggi: Micol(la figlia di Saul), David (suo sposo e valoroso soldato), Gionata (figlio di Saul, amico di David).
LA TRAMA
1° ATTO: è il giorno prima di una battaglia tra l’esercito d’ Israele e le truppe dei Filistei (gli antichi abitanti della Palestina). David vorrebbe prendere parte allo scontro ma è costretto a rimanere nascosto, perché, secondo una profezia è predestinato a diventare il nuovo re d’Israele. Il re Saul è invidioso di questa profezia.
2° ATTO: David dimostra la sua lealtà al sovrano (Saul) e allora viene incaricato di guidare l’esercito nella battaglia.
3° ATTO: il sacerdote Achimelech dona a David la mitica spada di Golia: Saul è di nuovo invidioso di David che è costretto a fuggire.
4° ATTO: Saul è sempre sconvolto dalla gelosia nei confronti di David e per riaffermare la sua autorità fa condannare a morte il sacerdote Achimelech; ordina anche l’arresto di David.
5° ATTO: David è costretto a lasciare la sua patria perché perseguitato dal re: Micol e David devono dirsi addio. Saul è sempre più perseguitato dagli incubi. Intanto inizia la battaglia e vincono i Filistei: Saul allora si suicida gettandosi sulla sua spada.
La tragedia fu rappresentata per la prima volta a Firenze, in una sala privata: Alfieri recitò la parte di Saul.
GOLDONI E ALFIERI: principali differenze tra i due autori
Alfieri

  • preferisce la Tragedia
  • scrive la storia della sua vita (infanzia, adolescenza, giovinezza);
  • Alfieri è una persona passionale, nel bene e nel male, va incontro a momenti di felicità massima e disperazione senza limiti.
  • Alfieri si innamora spesso e con passione fortissima. A Torino ha abitato in piazza San Carlo, dal lato che oggi si chiama via Alfieri. Se una donna lo rifiutava lui la offendeva e la insultava.
  • Alfieri ci ha lasciato poesie di tipo “preromantico” che significa appartengono al periodo che viene prima (pre) del Romanticismo (1815); in queste poesie è molto forte il sentimento e in particolare l’amore, indicano il suo carattere ed il suo animo travolgente e violento,
  • Alfieri ha la passione per i viaggi, per la conoscenza e la scoperta e per questo è vicino all’Illuminismo; non si sposa perché non crede nel rito di unione tra due persone ma ha lo stesso una lunga storia d’amore con la Contessa d’Albany, sua compagna di vita.

Goldoni

  • preferisce la commedia, è una persona più “regolare”, con una vita tranquilla, si sposa e vive con la stessa donna tutta la vita;
  • Goldoni è al contrario tranquillo e gentile.

 

Fonte: http://www.portaleboselli.it/christophernolan/Archivio%20schede/AZIENDALE/3.%20BIENNIO%20POST%20QUALIFICA/AREA%20COMUNE/ITALIANO%204L%20val%20conf/ALFIERI.doc

 

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