Carlo Goldoni biografia vita e opere

 


 

Carlo Goldoni biografia vita e opere

 

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Carlo Goldoni

 

 

 

La casa veneziana di Goldoni
Goldoni è considerato uno dei padri della commedia italiana. È stato autore anche di numerosissimi libretti di opera lirica.

 

Nacque a Venezia nel 1707, da una famiglia borghese. Intrapresa la carriera di medico, il padre lo chiamò presso di sé, a Perugia. Si trasferì quindi a Rimini, per studiare filosofia, ma abbandonò lo studio, per seguire una compagnia di comici di Chioggia.
Ebbe così inizio un periodo piuttosto avventuroso della sua vita. La passione per il teatro caratterizzò la sua agitata esistenza. Con l'improvvisa morte del padre, si dovette prendere carico della famiglia; tornato a Venezia. Completò quindi gli studi a Padova, ed intraprese la carriera da avvocato
Nel 1734 incontrò a Verona il capocomico Giuseppe Imer e con lui tornò a Venezia dopo aver ottenuto l'incarico di scrivere testi per il teatro San Samuele. Conobbe e sposò Nicoletta Conio.


A Venezia, dopo la stesura della sua prima commedia interamente scritta, La donna di garbo (1742-43), fu costretto a fuggire a causa dei debiti.
Continuò a lavorare nel teatro durante la guerra di successione austriaca curando gli spettacoli di Rimini occupata dagli Austriaci; poi soggiornò in Toscana.
Nel 1748 torna a Venezia e fino al 1753 scrive per la compagnia Medebac una serie di commedie, in cui, distaccandosi dai modelli della commedia dell'arte, realizza i principi di una "riforma" del teatro.


A questo periodo appartengono La vedova scaltra, La famiglia dell'antiquario, La bottega del caffè, , La serva amorosa, fino a La locandiera.
Dopo aver lasciato il Medebac, Goldoni scrive varie tragicommedie e commedie. Deve adattare i propri testi innanzitutto per un edificio teatrale ed un palcoscenico più grandi di quelli a cui era abituato, e per attori che non conoscevano il suo stile, lontano dai modelli della commedia dell'arte: fra le tragicommedie ebbe un gran successo la Trilogia persiana Goldoni era ormai una celebrità nazionale.
Goldoni fu invitato a recarsi a Parigi per occuparsi della Comédie Italienne..
Goldoni insegnò l'italiano alla famiglia reale, alle figlie del re di Francia Luigi XV a Versailles e nel 1769 ebbe una pensione di corte. Tra il 1784 e l'87 scrisse in francese la sua autobiografia, Mémoires. La rivoluzione francese sconvolse la sua vita e, con la soppressione delle pensioni di corte, morì in miseria il 6 febbraio 1793. Le sue ossa sono andate disperse.

 

 

La locandiera (Goldoni)

 

« Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne. »
(Carlo Goldoni, La locandiera, 1751)
La storia si incentra sulle vicende di Mirandolina, un'attraente e astuta giovane donna che gestisce a Firenze, con l'aiuto del suo cameriere Fabrizio, una locanda ereditata dal padre.

 

 

Primo atto

Mirandolina viene corteggiata da ogni uomo che frequenta la locanda, in modo particolare dal Marchese di Forlipopoli (un aristocratico decaduto che ha venduto il prestigioso titolo nobiliare) e dal Conte d'Albafiorita (un mercante che, arricchitosi, è entrato a far parte della nuova nobiltà).
I due personaggi rappresentano gli estremi dell'alta società veneziana del tempo. Il Marchese, avvalendosi esclusivamente del suo onore, è convinto che basti la sua protezione per conquistare il cuore della bella. Al contrario, il Conte crede di poter procurarsi l'amore di Mirandolina così come ha acquisito il titolo (le fa infatti molti e costosi regali).
L'astuta locandiera, da buona mercante, non si concede a nessuno dei due, lasciando ad entrambi intatta l'illusione di una possibile conquista.
L'arrivo del Cavaliere di Ripafratta, un aristocratico altezzoso e misogino (uomo che disprezza le donne), sconvolge il fragile equilibrio instauratosi nella locanda. Il Cavaliere, ancorato alle sue origini di sangue blu e lamentandosi del servizio scadente, detta ordini a Mirandolina. Egli cerca inoltre di mettere in ridicolo il conte ed il marchese di essersi abbassati a corteggiare una popolana.
Mirandolina, ferita nel suo orgoglio femminile e non essendo abituata ad essere trattata come una serva, si promette di far sì che il Cavaliere si innamori di lei. Sarebbe questo il suo modo di impartirgli una lezione.

 

Secondo atto

All'inizio del secondo atto, Mirandolina si mostra sempre più gentile e piena di riguardi nei confronti del Cavaliere.
La strategia di seduzione è ben pianificata e viene rappresentata con una generosa serie di scene comiche; il cavaliere finisce per cedere, e tutto il sentimento d'odio che provava si tramuta in un appassionato amore che lo tormenta.

 

Terzo atto

Fabrizio, accorgendosi che Mirandolina rivolge speciali attenzioni al cavaliere, brucia di gelosia e vorrebbe vendicarsi del suo rivale in amore.
Il cavaliere caccia malamente Fabrizio, litiga col conte e si appresta a duellare con lui. A fermare lo scontro interviene però Mirandolina, la quale induce ammette di aver scherzato con il cavaliere ed annuncia di voler sposare Fabrizio, ponendo fine alle gelosie fra i tre. Il cavaliere lascia la scena adirato, mentre gli altri due benedicono le nozze:l’uno regala loro 300 scudi, l’altro 12 zecchini,
La donna non ama Fabrizio ma, per tener fede ad una promessa fatta al padre in punto di morte, lo sposa, convinta che questo matrimonio non le impedirà di mantenere la propria libertà.
La scena si conclude quando Mirandolina si rivolge al pubblico e lo esorta a non lasciarsi mai ingannare dalle lusinghe della locandiera.
Fonte: http://www.portaleboselli.it/christophernolan/Archivio%20schede/AZIENDALE/3.%20BIENNIO%20POST%20QUALIFICA/AREA%20COMUNE/ITALIANO%204H/goldoni_valut%20diff.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine christophernolan?

 


 

Carlo Goldoni biografia vita e opere

 

Carlo Goldoni

 

Carlo Goldoni nasce il 25 febbraio 1707 a Venezia.  A nove anni raggiunge il padre medico, a Perugia e qui inizia gli studi presso i Gesuiti. Dal ‘23 al ’25 è allievo del Collegio Ghilisieri di Pavia e frequenta la facoltà di Giurisprudenza, ma a causa di una violenta satira diretta contro le famiglie della nobiltà pavese, è costretto ad abbandonare la città.
Nel ’31, la morte improvvisa del padre lo obbliga a riprendere gli studi interrotti e a laurearsi in legge a Padova. Dopo qualche anno di mediocre pratica dell’avvocatura e di viaggi in numerose città, si stabilisce a Milano.
Nel ’38 che Goldoni si dedica alla commedia e scrive Momolo Cortesan.
Nel ’47 conosce Gerolamo Medebach, che a Venezia teneva Compagnia a Sant’Angelo, e si convince a collaborare con lui. In questo periodo nascono: La vedova scaltra, La putta onorata, Il cavaliere e la dama. Nel ’50 scommette col pubblico di sfornare 16 commedie in un solo anno; promessa che manterrà, dando vita tra le altre, a: La bottega del caffè, Il bugiardo e Pamela.


Nel ’53 nasce La locandiera.
Nel periodo successivo assume un impegno di 10 anni con il teatro SanLuca e qui mette in scena alcuni capolavori come Il campiello, I rusteghi, La trilogia della villeggiatura, Le baruffe chiozzotte.
Alcuni insuccessi e l’ormai irriducibile disputa con Gozzi, convincono il commediografo ad abbandonare Venezia e raggiungere Parigi, invitato dal Tèâtre-Italien, per il quale però dovrà riprendere a scrivere «a soggetto». Nel novembre del ’71 il Bourru bienfaisant viene rappresentato alla Comédie Italienne, e suscita l’ammirazione di Voltaire.
Sempre a Parigi scrive, in francese, le sue Memorie, iniziate nell’84 e pubblicate nell’87.
Muore quasi in miseria a Parigi, nel 1793.

La locandiera

La trama della Locandiera
La locandiera è una commedia scritta da Goldoni nel 1750. La storia s’incentra sulle vicende di Mirandolina, un'attraente e astuta giovane donna che gestisce a Firenze, con l'aiuto del suo cameriere Fabrizio, una locanda ereditata dal padre. Mirandolina viene costantemente corteggiata dagli uomini che frequentano la locanda, e in modo particolare dal marchese di Forlipopoli, un aristocratico decaduto a cui non rimane nient'altro se non il prestigioso titolo nobiliare, e dal conte d'Albafiorita, un mercante che, arricchitosi, è entrato a far parte della nuova nobiltà. I due personaggi rappresentano gli estremi dell'alta società veneziana del tempo. Il marchese, avvalendosi esclusivamente del suo onore, è convinto che basti elargire la sua protezione per conquistare il cuore della bella. Al contrario, il conte, crede che così come ha comperato il blasonato titolo, possa procurarsi l'amore di Mirandolina acquistandole numerosi regali. L'astuta locandiera, da buona mercante, non si concede a nessuno dei due, lasciando intatta l'illusione di una possibile conquista. I nobili clienti, invaghiti, tardano a lasciare l'osteria, e così facendo contribuiscono alla crescita del profitto e della fama della locanda. L'arrivo del Cavaliere di Riprafratta, un aristocratico altezzoso ed un misogino incallito che disprezza ogni donna, sconvolge il fragile equilibrio instauratosi nella locanda. Il Cavaliere, ancorato alle sue origini di sangue blu, lamentandosi del servizio scadente della locanda, detta ordini a Mirandolina, e rimprovera il conte ed il marchese di essersi abbassati a corteggiare una popolana. Mirandolina, ferita nel suo orgoglio femminile e non essendo abituata ad essere trattata come una serva, si promette di far sì che il cavaliere s'innamori di lei. In breve tempo, riesce nel suo intento: il Cavaliere cede, e tutto il sentimento d'odio che provava si tramuta in un appassionato amore che lo tormenta. Proprio il suo disprezzo verso il sesso femminile lo ha reso vulnerabile alle malizie della locandiera, poiché non conoscendo le armi nemiche non ha potuto difendersi. Mirandolina, però, lo rifiuta appena si accorge che il suo gioco le stava sfuggendo di mano: il marchese ed il conte, notando le speciali attenzioni di Mirandolina rivolte al cavaliere, bruciano di gelosia e vogliono vendicarsi del loro comune rivale in amore. Il cavaliere dilaniato dai due sentimenti contrastanti, non vuole far sapere che è caduto vittima dei lacci di una donna, ma freme per avere la locandiera per sé, ed è disposto perfino a usare la violenza per realizzare il suo fine. Mirandolina, con un abile stratagemma riappacifica i nobili, si sposa con il cameriere Fabrizio, che l'aveva sempre amata e che mirava a lei anche per diventare il padrone della locanda, e si ripromette di non giocare più con il cuore degli uomini.

I personaggi della Locandiera
Mirandolina: e' la maliziosa locandiera che accetta la corte dei suoi clienti, riuscendo contemporaneamente a tenere legato a se il cameriere promesso sposo Fabrizio. Rappresenta le donne che si dilettano a tenere in proprio potere gli uomini, strapazzandoli e usandoli in qualsiasi modo desiderano. Il trionfo di Mirandolina su coloro che disprezzano le donne e' solo apparente: in questa commedia riceve la sua punizione: il cavaliere che a tutti costi vuole umiliare, a causa delle sue scenate violente, la costringe a correre ai ripari e a sposare Fabrizio.
Cavaliere di Ripafratta: ha la presunzione di essere inattaccabile al fascino femminile, oppone alle arti delle donne il proprio disprezzo, ma e' facilmente vinto da Mirandolina. Si vergogna dei suoi sentimenti di fronte ai conoscenti. Alla fine ammette che per vincere le donne non basta disprezzarle, ma fuggirle.
Fabrizio: e' il cameriere di Mirandolina e suo futuro marito, di cui la locandiera fa quello che vuole. Nonostante la sua perplessita' di fronte al comportamento di Mirandolina, che accetta la corte degli avventori e si diletta ad innamorare gli uomini, si fa presto convincere a sposarla, con solo poche parole e qualche moina.
Marchese di Forlipopoli:  rappresenta il nobile decaduto, fuori dal suo tempo, che continua a fare affidamento sul suo titolo nobiliare, mentre quello che conta e' il denaro. e' avaro, ma vanitoso e presuntuoso.
Conte d'Albafiorita: e' un membro della nobilta' ricca, che ammette di dovere la sua influenza al denaro e lo considera molto piu' importante della presunta influenza del marchese e della protezione che egli puo' offrire alla locandiera.

 

Lo stile dell'opera
Lo stile e' semplice e scorrevole, l'opera e' in dialetto fiorentino, in quanto la commedia e' ambientata a Firenze. Si tratta di una commedia in prosa.
I temi della locandiera
Nella commedia non ci sono riferimenti al di fuori del mondo reale e sensibile. I temi sono quelli della seduzione, dell'amore inteso come sentimento umano ed ingannevole.


Ambientazione temporale
La commedia e' ambientata a Firenze in una locanda. Il tempo e' contemporaneo a quello in cui scrive l'autore, che per la sua nuova commedia si rifa' alla vita di tutti i giorni. Il 1700 e' il secolo dell'illuminismo in cui ogni riferimento al di fuori del mondo reale non e' considerato, cosi' come non vi sono accenni alla religione. In questo periodo la nobilta' in quanto tale perde d'importanza, mentre e' fondamentale il potere economico dei nobili, specie al di fuori dei loro territori. La commedia infatti si riferisce al mondo della borghesia che incomincia ad avere in questo secolo grande importanza e che costituiva il pubblico delle commedie di Goldoni.

 

Questionario


Dove nasce Goldoni
O  Venezia
O  Trieste

In che anno nasce Goldoni?
O  1707
O  1907

Dal 1723 al 1725 Goldoni è a Pavia
O  Vero
O  Falso

Nel 1850  Goldoni scrisse La locandiera.
O  Vero
O  Falso

Goldoni non collaborò mai con il teatro di San Luca
O  Vero
O  Falso

Ad un certo punto della sua vita Goldoni è costretto a trasferir a Parigi
O  Vero
O  Falso

 

Goldoni non scrisse le sue memorie
O  Vero
O  Falso

Goldoni muore quasi in miseria a Parigi, nel 1793.
O  Vero
O  Falso

Tra le seguenti opere sottolinea solamente quelle attribuibili a Carlo Goldoni
Le baruffe chiozzotte, Le bourru bienfaisant, Il lupo e la gallina, Il campiello, La finta ammalata, L’incubo nella notte, La locandiera, I rusteghi, Il servitore di due padroni,  La vedova scaltra, La putta onorata, Il cavaliere e la dama, Il moro di Venezia.
Dove si svolge la Locandiera
Venezia
Firenze

In che periodo si svolge la Locandiera
1700
1300

La nobiltà in quanto tale è importante in questa commedia
Vero
Falso

L’opera è in:
La locandiera è in dialetto:
Fiorentino
Triestino

Sottolinea solo i personaggi principali della Locandiera:
Marchese di Forlipopoli,  Conte di Almaviva, Conte d'Albafiorita, Alessandro, Fabrizio, Mirandolina,   Cavaliere di Ripafratta.

 

Mirandolina accetta la corte dei  suoi clienti
O  Vero
O  Falso

Il marchese cerca di conquistare Mirandolina con il suo titolo
O  Vero
O  Falso

Il conte cerca di conquistare Mirandolina con il denaro
O  Vero
O  Falso

Il Cavaliere di Ripafratta adora tutte le donne
O  Vero
O  Falso

Anche il Cavaliere di ripa fratta si innamora di Mirandolina
O  Vero
O  Falso

Mirandolina riappacifica i nobili e sposa il conte D’Albafiorita
O  Vero
O  Falso

Il Marchese di Forlinpopoli rappresenta il declino della nobiltà
O  Vero
O  Falso

Il  Conte d’Albafiorita  crede di conquistare Mirandolina offrendole  numerosi regali
O  Vero
O  Falso

Fabrizio è il cameriere di Mirandolina ma la odia profondamente.
O  Vero
O  Falso

 

Nella Locandiera ci sono molti richiami religiosi
O  Vero
O  Falso

Il 1700 è il secolo dell’Illuminismo e La locandiera ne segue i canoni
O  Vero
O  Falso

La locandiera è una commedia in prosa
O  Vero
O  Falso

I temi sono quelli della seduzione, dell'amore inteso come sentimento umano ed ingannevole.
O Vero
O Falso


Fonte: http://www.ivanoturco.it/documents/Carlo%20Goldoni.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

CARLO GOLDONI
Vita
Carlo Goldoni nacque a Venezia nel 1707 da una famiglia borghese, il padre era un medico.
La sua casa era luogo d’incontro di gente di teatro, attori e musicisti.
Si trasferì con il padre a Rimini, dove iniziò a studiare filosofia, ma, il giovane Goldoni amava le opere teatrali, perciò fuggì da Rimini nascosto nella barca di una compagnia di comici.
Non volendo fare il medico, come suo padre, si laureò in giurisprudenza ed iniziò a lavorare come avvocato.
A Venezia conosce il capocomico Giuseppe Imer e divenne poeta della sua compagnia.
Per problemi economici fu costretto a trasferirsi a Pisa, dove tornò a fare l’avvocato. Qui, Antonio Sacchi, un celebre Arlecchino, gli chiese di ideare per lui un “canovaccio”: nacque così Arlecchino servitore di due padroni.
Poi torna a Venezia dove lavora sempre come poeta per la compagnia teatrale.
In questi anni porta avanti la sua riforma del teatro e compone la sua opera più famosa La locandiera.

 

Goldoni riesce ad attuare la riforma del teatro comico, vincendo le resistenze del pubblico abituato alla commedia dell’arte.

La commedia dell’arte metteva in scena delle “maschere” con caratteristiche fisse (Arlecchino, Pantalone, Colombina…); gli attori si specializzavano nel ruolo di una maschera e recitavano improvvisando: seguivano cioè un semplice “canovaccio” cioè una semplice traccia schematica sulla quale inventavano le battute e le scenette comiche.

  • come trasforma il canovaccio?

Goldoni trasforma il canovaccio in un testo interamente scritto, in modo che gli attori non dovessero più improvvisare.

  • perché questa riforma del teatro?

Secondo Goldoni il teatro doveva portare in scena temi tratti dalla realtà sociale, per cercare di correggere i vizi e mettere in ridicolo i cattivi costumi.

- secondo Goldoni La commedia deve rispettare dei principi, quali?

  •  Portare sulla scena avvenimenti tratti dalla realtà: personaggi e situazioni verosimili
  •  usare una lingua vicina al parlato (uso del dialetto)
  •  basarsi non più sull’improvvisazione, ma su un dialogo scritto.

 

Nel 1762 Goldoni, stanco delle polemiche e deluso dal pubblico che correva ad assistere agli spettacoli di un suo concorrente, Carlo Gozzi, si trasferisce in Francia, ma non ebbe successo e morì in miseria nel 1793.

 

COMMEDIA DELL’ARTE

                                                Mette in scena maschere
                                               Gli attori improvvisano su un canovaccio
                                               Poco realismo                 
        
                                              

RIFORMA DI GOLDONI

                                                Personaggi e situazioni tratti dalla realtà
                                               Affronta temi sociali
                                               Usa un linguaggio semplice (spesso il dialetto)
                                               Gli attori non improvvisano, hanno un testo scritto

 

LA LOCANDIERA (1753)

I PERSONAGGI. Sono nove:
1. Mirandolina, la locandiera
2. il Cavaliere di Ripafratta
3. il Conte d’Albafiorita
4. il Marchese di Forlipopoli
5. Fabrizio, il cameriere della locanda
6. il servitore del Cavaliere
7. il servitore del Conte
8. Ortensia, un’attrice di passaggio
9. Dejanira, un’attrice di passaggio

LA TRAMA
La commedia è composta da tre atti.

1. Alla locanda di Mirandolina alloggiano il Marchese di Forlipopoli, che vanta un grande titolo ma è senza soldi,  il Conte d’Albafiorita (tutti e due sono innamorati di Mirandolina) e  il Cavaliere di Ripafratta che si comporta in maniera sprezzante, offensiva.
Mirandolina decide di farlo innamorare.

2. Mirandolina incomincia a circondare di attenzioni il Cavaliere fino a quando, questi sente che sta per innamorarsi della donna e allora decide di partire e chiedere il conto. Mirandolina glielo porta con le lacrime agli occhi, ma sviene: il cavaliere la soccorre e nell’emozione rivela il suo sentimento d’amore. Mirandolina ha raggiunto il suo scopo!

3. il Cavaliere manda a Mirandolina una boccetta d’oro con lo spirito di melissa (contro gli svenimenti), ma lei la rifiuta. Il Cavaliero oramai innamorato, va nella stanza dove Mirandolina sta stirando con l’aiuto di Fabrizio. Prega Miarandolina di accettare la boccetta, ma lei la getta nel cesto della biancheria, lo tratta con freddezza e gli ordina di tornare nella sua camera. Il Cavaliere è geloso della confidenza che la donna ha con  il cameriere Fabrizio.
Mirandolini ha raggiunto ciò che voleva ma si rende conto di aver spinto il gioco troppo oltre, allora decide di sposare Fabrizio.
A causa di Mirandolina nasce un contrasto fra il Conte d’Albafiorita e il Cavaliere e si sfidano a duello: Mirandolina e Fabrizio riescono a fermare i duellanti ed assicura al Conte che non c’è nulla tra lei ed il Cavaliere che si rende conto di essere stato preso in giro.

Mirandolina è il personaggio principale, con le caratteristiche femminili di civetteria ma anche le qualità specifiche dei borghesi, cioè la voglia di migliorarsi e affermarsi attraverso il lavoro.
È abile e forte, dimostra molta praticità quando decide di sposare il proprio dipendente, il cameriere Fabrizio: in questo modo avrà un marito della sua stessa condizione sociale e nello stesso tempo potrà continuare a fare la padrona visto che si tratta di un suo dipendente.

I nobili vengono messi in ridicolo da Goldoni, dipinti come incapaci, privi di veri interessi, superbi, falsi e sgarbati. Sono messi a confronto con i borghesi, visti da Goldoni come intraprendenti, capaci, legati ad un sano senso della realtà.

Fabrizio è sinceramente innamorato della sua padrona ed è molto geloso degli spasimanti di lei ma sa anche comportarsi bene con lei e non prendersi nessuna confidenza: potrà farsi valere solo alla fine, quando diventerà suo marito.

 

Verifica di italiano

Dopo aver illustrato la poetica di Carlo Goldoni e le caratteristiche della sua riforma del teatro, presenta la sua opera maggiore “La locandiera”, evidenziandone la trama, la struttura e analizzando i personaggi principali.

Sequenza delle argomentazioni
Rispondi alle seguenti domande e usa le risposte per argomentare in modo coerente e ordinato quanto richiesto dalla consegna.

 

  • Che cosa riuscì ad attuare, tra gli anni Trenta e Quaranta del Settecento, Goldoni?

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  • A quale forma di teatro era abituato il pubblico dell’epoca?

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  • Spiega le caratteristiche della commedia dell’arte

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  • Che cos’era il canovaccio?

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  • Goldoni come trasforma il canovaccio?

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  • Qual era la finalità dell’arte secondo Goldoni?

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  • Il teatro, dove doveva attingere le proprie tematiche?

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  • Che tipo di linguaggio si doveva usare?

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  • Qual è l’opera maggiore di Goldoni?

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  •  Racconta brevemente la trama

ATTO PRIMO
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ATTO SECONDO
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ATTO TERZO
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  • Chi è il personaggio principale  e quali sono le sue caratteristiche

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     12)  Quali caratteristiche hanno gli ospiti della locanda?
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  • E Fabrizio?

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  • Alla fine della commedia, che cosa dimostra Mirandolina?

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  • Mirandolina è veramente innamorata di Fabrizio?

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CARLO GOLDONI

  • Che cosa riuscì ad attuare, tra gli anni Trenta e Quaranta del Settecento, Goldoni?

Tra gli anni Trenta e Quaranta del Settecento, Carlo Goldoni riuscì ad attuare la riforma del teatro comico.

  • A quale forma di teatro era abituato il pubblico dell’epoca?

Il pubblico e gli attori dell’epoca, erano abituati alla commedia dell’arte e opposero resistenza alla riforma di Goldoni.

  • Spiega le caratteristiche della commedia dell’arte

La commedia dell’arte metteva in scena delle  “maschere” con caratteristiche fisse (Arlecchino, Pantalone, Colombina…); gli attori si specializzavano nel ruolo di una maschera e recitavano improvvisando: seguivano cioè un semplice “canovaccio”.

  • Che cos’era il canovaccio?

Il canovaccio era una semplice traccia schematica sulla quale gli attori inventavano le battute e le scenette comiche.

  • Goldoni come trasforma il canovaccio?

Goldoni trasforma il canovaccio in un testo interamente scritto, in modo che gli attori non dovessero più improvvisare.

  • Qual era la finalità dell’arte secondo Goldoni?

Secondo Goldoni, l’arte doveva avere una finalità etica ed educativa.

  • Il teatro, dove doveva attingere le proprie tematiche?

Il teatro doveva portare in scena temi tratti dalla realtà sociale, per cercare di correggere i vizi e mettere in ridicolo i cattivi costumi.

  • Che tipo di linguaggio si doveva usare?

Il linguaggio doveva essere chiaro, vicino al parlato, anche con l’uso del dialetto.

  • Qual è l’opera maggiore di Goldoni?

La Locandiera, la maggior opera di Goldoni, è una commedia in tre atti.

 

  •  Racconta brevemente la trama

ATTO PRIMO
Alla locanda di Mirandolina alloggiano il Marchese di Forlipopoli, che vanta un grande titolo ma è senza soldi,  il Conte d’Albafiorita (tutti e due sono innamorati di Mirandolina) e  il Cavaliere di Ripafratta che si comporta in maniera sprezzante, offensiva.
Mirandolina decide di farlo innamorare.

ATTO SECONDO
Mirandolina incomincia a circondare di attenzioni il Cavaliere fino a quando, questi sente che sta per innamorarsi della donna e allora decide di partire e chiedere il conto. Mirandolina glielo porta con le lacrime agli occhi, ma sviene: il cavaliere la soccorre e nell’emozione rivela il suo sentimento d’amore. Mirandolina ha raggiunto il suo scopo!

ATTO TERZO
Il Cavaliere manda a Mirandolina una boccetta d’oro con lo spirito di melissa (contro gli svenimenti), ma lei la rifiuta. Il Cavaliero oramai innamorato, va nella stanza dove Mirandolina sta stirando con l’aiuto di Fabrizio. Prega Miarandolina di accettare la boccetta, ma lei la getta nel cesto della biancheria, lo tratta con freddezza e gli ordina di tornare nella sua camera. Il Cavaliere è geloso della confidenza che la donna ha con  il cameriere Fabrizio.
Mirandolini ha raggiunto ciò che voleva ma si rende conto di aver spinto il gioco troppo oltre, allora decide di sposare Fabrizio.
A causa di Mirandolina nasce un contrasto fra il Conte d’Albafiorita e il Cavaliere e si sfidano a duello: Mirandolina e Fabrizio riescono a fermare i duellanti ed assicura al Conte che non c’è nulla tra lei ed il Cavaliere che si rende conto di essere stato preso in giro.

  • Chi è il personaggio principale  e quali sono le sue caratteristiche

Mirandolina è il personaggio principale, con le caratteristiche femminili di civetteria ma anche le qualità specifiche dei borghesi, cioè la voglia di migliorarsi e affermarsi attraverso il lavoro.

12)  Quali caratteristiche hanno gli ospiti della locanda?
I nobili vengono messi in ridicolo da Goldoni, dipinti come incapaci, privi di veri interessi, superbi, falsi e sgarbati. Sono messi a confronto con i borghesi, visti da Goldoni come intraprendenti, capaci, legati ad un sano senso della realtà.

  • E Fabrizio?

Fabrizio, il cameriere, è sinceramente innamorato della sua padrona ed è molto geloso degli spasimanti di lei. Sa anche comportarsi bene con lei e non prendersi nessuna confidenza: potrà farsi valere solo alla fine, quando diventerà suo marito.

  • Alla fine della commedia, che cosa dimostra Mirandolina?

Alla fine Mirandolina dimostra di essere una donna molto abile e forte. Mostra molta praticità quando decide di sposare il proprio dipendente, il cameriere Fabrizio: in questo modo avrà un marito della sua stessa condizione sociale e nello stesso tempo potrà continuare a fare la padrona visto che si tratta di un suo dipendente.

  • Mirandolina è veramente innamorata di Fabrizio?

Per Mirandolina questo matrimonio non è il coronamento di un sogno d’amore, ma è sicuramente un buon affare per lei.

 

 

CARLO GOLDONI – LA LOCANDIERA
Tra gli anni Trenta e Quaranta del Settecento, Carlo Goldoni riuscì ad attuare la riforma del teatro comico.
Il pubblico e gli attori dell’epoca, erano abituati alla commedia dell’arte e opposero resistenza alla riforma di Goldoni.
La commedia dell’arte metteva in scena delle  “maschere” con caratteristiche fisse (Arlecchino, Pantalone, Colombina…); gli attori si specializzavano nel ruolo di una maschera e recitavano improvvisando: seguivano cioè un semplice “canovaccio”.
Il canovaccio era una semplice traccia schematica sulla quale gli attori inventavano le battute e le scenette comiche.
Goldoni trasforma il canovaccio in un testo interamente scritto, in modo che gli attori non dovessero più improvvisare.
Secondo Goldoni, l’arte doveva avere una finalità etica ed educativa. Il teatro doveva portare in scena temi tratti dalla realtà sociale, per cercare di correggere i vizi e mettere in ridicolo i cattivi costumi. Il linguaggio doveva essere chiaro, vicino al parlato, anche con l’uso del dialetto.
La Locandiera, la maggior opera di Goldoni, è una commedia in tre atti.
ATTO PRIMO
Alla locanda di Mirandolina alloggiano il Marchese di Forlipopoli, che vanta un grande titolo ma è senza soldi,  il Conte d’Albafiorita (tutti e due sono innamorati di Mirandolina) e  il Cavaliere di Ripafratta che si comporta in maniera sprezzante, offensiva, disprezza tutte le donne.
Mirandolina decide di farlo innamorare.
ATTO SECONDO
Mirandolina incomincia a circondare di attenzioni il Cavaliere fino a quando, questi sente che sta per innamorarsi della donna e allora decide di partire e chiedere il conto. Mirandolina glielo porta con le lacrime agli occhi, ma sviene: il cavaliere la soccorre e nell’emozione rivela il suo sentimento d’amore. Mirandolina ha raggiunto il suo scopo!
ATTO TERZO
Il Cavaliere manda a Mirandolina una boccetta d’oro con lo spirito di melissa (contro gli svenimenti), ma lei la rifiuta. Il Cavaliere oramai innamorato, va nella stanza dove Mirandolina sta stirando con l’aiuto di Fabrizio. Prega Miarandolina di accettare la boccetta, ma lei la getta nel cesto della biancheria, lo tratta con freddezza e gli ordina di tornare nella sua camera. Il Cavaliere è geloso della confidenza che la donna ha con  il cameriere Fabrizio.
Mirandolina ha raggiunto ciò che voleva ma si rende conto di aver spinto il gioco troppo oltre, allora decide di sposare Fabrizio.
A causa di Mirandolina nasce un contrasto fra il Conte d’Albafiorita e il Cavaliere che si sfidano a duello: Mirandolina e Fabrizio riescono a fermare i duellanti ed assicura al Conte che non c’è nulla tra lei ed il Cavaliere che si rende conto di essere stato preso in giro.
Mirandolina è il personaggio principale, con le caratteristiche femminili di civetteria ma anche le qualità specifiche dei borghesi, cioè la voglia di migliorarsi e affermarsi attraverso il lavoro.
I nobili vengono messi in ridicolo da Goldoni, dipinti come incapaci, privi di veri interessi, superbi, falsi e sgarbati. Sono messi a confronto con i borghesi, visti da Goldoni come intraprendenti, capaci, legati ad un sano senso della realtà.
Fabrizio, il cameriere, è sinceramente innamorato della sua padrona ed è molto geloso degli spasimanti di lei. Sa anche comportarsi bene con lei e non prendersi nessuna confidenza: potrà farsi valere solo alla fine, quando diventerà suo marito.
Alla fine Mirandolina dimostra di essere una donna molto abile e forte. Mostra molta praticità quando decide di sposare il proprio dipendente, il cameriere Fabrizio: in questo modo avrà un marito della sua stessa condizione sociale e nello stesso tempo potrà continuare a fare la padrona visto che si tratta di un suo dipendente.
Per Mirandolina questo matrimonio non è il coronamento di un sogno d’amore, ma è sicuramente un buon affare per lei.

 

Fonte: http://www.portaleboselli.it/christophernolan/Archivio%20schede/TURISTICO/3.%20BIENNIO%20POST%20QUALIFICA/area%20comune/ITALIANO/4H%20Goldoni%20C.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

CARLO GOLDONI

La vita

Nasce a Venezia nel 1707 da famiglia borghese.
Segue il padre medico nei suoi spostamenti
Studia a Perugia e poi a Rimini da dove fugge su una barca di comici per raggiungere la madre a Chioggia.
Nel 1725 studia legge a Pavia e si impiega alla cancelleria criminale di Chioggia.
Nel 1731 muore il padre e si avvia alla professione di avvocato.
Nel 1734 conosce a Verona il capocomico Imer e inizia a scrivere testi per il teatro San Samuele.
Fugge da Venezia per debiti e nel 1745 si stabilisce a Pisa dove entra nell’Accademia dell’Arcadia.
Conosce a Livorno il capocomico Medebac. A contratto scrive otto commedie l’anno.
Lascia l’avvocatura e diventa scrittore di teatro vivendo dei proventi della sua attività.
Lo spettacolo teatrale deve di conseguenza incontrare i gusti del pubblico.
Il mercato implica concorrenza e Goldoni deve affrontare quella del suo rivale Pietro Chiari.
Nel 1753 passa al teatro S.Luca di proprietà del nobile Vendramin.
Nel 1762 si reca a Parigi a dirigere la Commedie italienne, anche se il pubblico non apprezza subito la sua riforma perché abituato ai lazzi dei comici e perché non capisce anche per la lingua,le sfumature delle commedie che delineano caratteri.
Nel 1771 dopo il successo della commedia Il burbero benfico , fu assunto come maestro di italiano a corte .
Scoppiata la rivoluzione francese fu privato dell’incarico e della pensione. Morì il 1793.

GOLDONI E L’ILLUMINISMO

Goldoni non fu illuminista militante. L’ambiente veneziano era aperto alla cultura europea attraverso i contatti diplomatici e commerciali.
Molto ampia era anche la produzione libraria. Il pensiero innovatore veniva assorbito da strati sempre più ampi della popolazione.
Motivi illuministici:
Goldoni:              esaltazione della filosofia pratica, senso della socialità, repulsione della menzogna e dell’ipocrisia.
Simpatia per l’uomo dabbene, della sincerità della fedeltà agli impegni.
Ammirazione per le società mercantili e disposizione cosmopolita.
LA RIFORMA DELLA COMMEDIA
Rifiuto della commedia dell’arte che accusa di :Volgarità, rigidezza,ripetitiva delle medesime azioni mimiche.
Goldoni rifiuta le maschere e vuole rappresentare individualità dalle caratteristiche irripetibili.Non sono più utilizzabili le maschere tradizionali perché esse costituiscono dei tipi fissi.
L’arte classica rappresentava delle categorie di individui, quella borghese e moderna delle individualità singole.
Secondo Goldoni le virtù degli uomini assumono una diversa fisionomia a seconda dell’ambiente sociale in cui sono formate e vivono.
Nella commedia di Goldoni si sogliono distinguere commedie di carattere che vogliono delineare una singola figura e commedie di ambiente , che vogliono descrivere un particolare settore della vita sociale ma questa è una distinzione convenzionale in quanto le commedie di carattere evocano attorno a sé un determinato ambiente.

UNA RIFORMA GRADUALE

Goldoni incontra una certa difficoltà nella realizzazione di una nuova commedia.
Gli attori erano abituati a recitare improvvisando, si erano specializzati in un ruolo che non volevano abbandonare e si trovavano in difficoltà a imparare una parte.
Goldoni spesso modella il carattere di un personaggio sulle capacità espressive dell’attore.
Anche il pubblico abituato alla commedia tradizionale restava sconcertato di fronte alle innovazioni introdotte da Goldoni e anche gli impresari temevano di perdere il favore del pubblico.
Goldoni procede a tappe e lentamente. In una prima fase scrive soltanto il copione per il protagonista e lascia all’improvvisazione le altre parti.
Spesso lascia anche le maschere che rassicuravano il pubblico che le riconosceva, ma le trasforma dall’interno. Pantalone ad esempio, assume via via i contorni del mercante veneziano.
Il pubblico borghese pian piano, impara a riconoscere negli spettacoli proposti, i propri valori, la propria concezione della vita, fondata sul buon senso, l’onestà, la fedeltà alla parola data.
Anche la critica nei confronti della società e in particolar modo quella rivolta alla borghesia ,doveva essere cauta, perché la nobiltà veneziana ,chiusa su se stessa ,era sospettosa nei confronti di ogni critica. Goldoni nel rappresentare  i vizi della nobiltà è costretto, per non avere noie ad ambientare le sue commedie in altre città.

ITINERARIO DELLA COMMEDIA GOLDONIANA.

Nella prima fase delle sue commedie Goldoni contrappone alla nobiltà oziosa e inerte , la borghesia industriosa con i suoi valori :la schiettezza, il senso pratico, l’onorabilità, la famiglia,in testi quali:
La putta onorata, La buona moglie, La famiglia dell’antiquario, Il cavaliere e la dama.
La sua critica alla nobiltà tuttavia non è violenta o rivoluzionaria egli ne riconosce in qualche modo il ruolo, ma vorrebbe smuovere i nobili dall’inerzia ricordando loro la funzione sociale del passato e auspicando una loro partecipazione alla vita economica del loro paese.

LA SECONDA FASE.

Nella seconda fase della commedia goldoniana , dal 1753 a 1758, al teatro San Luca, Goldoni si trova di fronte a varia difficoltà, il teatro troppo grande non era adatto alla Rappresentazione di interni, gli attori erano meno bravi, la concorrenza del Chiari si faceva via via più forte e il pubblico sembrava prediligere commedie esotiche e di evasione..
Questa crisi accompagnata da un periodo di crisi nervose portano il commediografo a scrivere una serie di commedie i cui protagonisti sono spesso individui  tarati, infermi, nevrotici e ossessionati da tic.:I puntigli domestici,La dama vendicativa,La donna di testa debole,La donna stravagante.
In questa fase si collocano anche le commedie di ambiente che si basano sulla rappresentazione del popolo veneziano visto con simpatia per la sua vitalità spontanea:Il campiello, Le massere,Le morbinose.

I TESTI PIU MATURI

La seconda metà del secolo vede una crisi della borghesia infatti la perdita dei possedimenti d’oltremare avevano limitato fortemente i commerci. Il mercante perde il suo slancio energico, la sua intraprendenza, la propensione al rischio e si chiude nel più sicuro investimento delle sue sostanze nella terra.Al dinamismo succede l’inerzia, all’affermazione della propria visione della vita, la difesa gratta del proprio interesse. Quelle che erano le virtù diventano difetti il senso dell’economia diventa avarizia, la difesa della reputazione diventa superbia, la puntualità ostinazione.
Goldoni nelle sue commedie registra questa trasformazione. Il “rustego”, chiuso nel suo ambiente famigliare, attaccato al proprio meschino tornaconto, grettamente conservatore e ottusamente autoritario.si scontra con i giovani e le donne che rivendicano il diritto a una vita più libera e gioiosa. Irusteghi, Sior Todero brontolon ,Le smanie della villeggiatura..

 

Fonte: http://www.istitutoturoldo.it/il-portale/area-docenti/carlo-goldoni.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

 

Carlo Goldoni è stato un drammaturgo, scrittore e librettista italiano. E’ considerato uno dei padri della commedia italiana. A nove anni raggiunge il padre medico, a Perugia e qui inizia gli studi. Nel ’31, la morte improvvisa del padre lo obbliga a riprendere gli studi interrotti e a laurearsi in legge a Padova. Nel ’38 Goldoni si dedica alla commedia e scrive Momolo Cortesan, in cui la parte del protagonista era scritta quasi per intero, dando così inizio alla «riforma tecnica» che lo condurrà in seguito ad abbandonare per sempre l’improvvisazione della Commedia dell’Arte. Nella commedia tradizionale gli attori sul palcoscenico si nascondevano dietro le maschere, le quali rappresentavano dei personaggi standardizzati, fissi. La personalità dell'attore era del tutto irrilevante e la trama veniva costruita di volta in volta, nel rispetto di alcune regole fondamentali. Questo genere teatrale era entrato in grave decadenza. Nel 1747 Medebac gli offrì di stabilirsi a Venezia dove fu poeta della compagnia fino al 1753.  In questi anni egli portò avanti la sua riforma, aiutato anche dagli attori. Nel 1762 si trasferì in Francia per dirigere la “Comédie italienne”. Dal pubblico veneziano si congedò con la commedia Una della ultime sere di carnevale, che esprimeva tutto il dolore del distacco. Morì il 6 febbraio 1793.
Il mondo e il teatro
Negli ultimi anni veneziani, le commedie cominciano ad andare in crisi. Le figure dei servi assumono un nuovo spazio, muovendo critica alla ragione borghese dei padroni. Per Goldoni, una componente essenziale del mondo è l'amore. Questo sentimento presente sui giovani nelle scene è subordinato a regole sociali e familiari. La reticenza di Goldoni sulle sue avventure amorose raccontate nei Mémoires è presente anche nelle sue commedie. Per Goldoni il teatro ha una forte valenza istituzionale, è una struttura produttiva.. Goldoni ha una visione critica del mondo, in quanto turba l'equilibrio dei valori della vita delle classi sociali rappresentate. Nelle scene goldoniane si ha la sensazione di un'insanabile irrequietezza, che si sospende con il lieto fine tradizionale, sancito dai soliti matrimoni. Goldoni anticipa alcune forme del dramma borghese ottocentesco. Il segreto del comico goldoniano consiste nel singolare piacere del vuoto dello scambio sociale, dell'estraneità tra i personaggi dialoganti e della crudeltà di vita di relazione.

 

La riforma del teatro
Intorno alla metà del XVI secolo si sviluppò in Italia un nuovo tipo di spettacolo teatrale, la commedia dell’arte, destinata ad ottenere un successo strepitoso e a dilagare nel secolo successivo in tutta Europa. Nella commedia dell’arte esistevano le maschere: Pantalone era il vecchio brontolone e avaro; Arlecchino o il servo sciocco o astuto come Brighella.
La commedia dell’arte piaceva molto. Le compagnie italiane, venivano chiamate a recitare anche all’estero, alle corti d’Europa. Goldoni, che con la sua riforma del teatro eliminò il cattivo gusto della commedia dell’arte, abolì gradualmente l’uso delle maschere e sostituì il canovaccio con un copione. La ragione della riforma si posava sull'impianto stesso della commedia dell'arte e sulla visione del reale che proponeva.
Il bisogno di una riforma nasce già nello spirito del razionalismo arcadico che aspirava alla semplicità, all'ordine razionale, al buon gusto. Già in ambito arcadico erano nati tentativi di riforma da parte di alcuni autori toscani ma i loro tentativi erano solo letterari e confinati nel chiuso delle Accademie. Goldoni però non era un letterato, ma un uomo di teatro che lavorava a diretto contatto con il pubblico, di cui ne conosceva i gusti e le preferenze.

La commedia dell’arte
La commedia dell'arte non è un genere di rappresentazione teatrale, ma una diversa modalità di produzione di spettacoli. La definizione di "arte", che in realtà significava "mestiere", veniva identificata anche con altri nomi: commedia all'improvviso, commedia a braccio o commedia degli Zanni.

La Locandiera
La locandiera è una commedia in prosa che Goldoni ha scritto nel 1752. Il testo si compone di tre atti. L'arrivo del Cavaliere di Ripafratta, un aristocratico che disprezza ogni donna, sconvolge il fragile equilibrio instauratosi nella locanda. Il Cavaliere, lamentandosi del servizio scadente della locanda, detta ordini a Mirandolina, e rimprovera il conte ed il marchese di essersi abbassati a corteggiare una popolana. Mirandolina, ferita nel suo orgoglio femminile, si promette di far sì che il cavaliere s'innamori di lei. In breve tempo ci riesce: il Cavaliere cede, e tutto il sentimento d'odio che provava si tramuta in un appassionato amore. Proprio il suo disprezzo verso il sesso femminile lo ha reso vulnerabile alle malizie della locandiera. Mirandolina, lo rifiuta appena vede che il suo gioco le sta sfuggendo di mano: il marchese ed il conte, notando le speciali attenzioni di Mirandolina rivolte al cavaliere, bruciano di gelosia e vogliono vendicarsi del loro comune rivale in amore. Il cavaliere non vuole far sapere che è caduto vittima dei lacci di una donna, ma freme di avere la locandiera per sé, ed è disposto perfino a usare la violenza per realizzare il suo fine. Mirandolina, con un abile stratagemma riappacifica i nobili, si sposa con il cameriere Fabrizio, che l'aveva sempre amata, e si ripromette di non giocare più con il cuore degli uomini. Mirandolina non ama Fabrizio, ma aveva promesso a suo padre, prima della morte, che l'avrebbe sposato. Mirandolina lo sposa per aver la sua libertà, Fabrizio sarà sempre il suo servo.
Sior  Todero Brontolon
Commedia di carattere è anche “Sior Todero Brontolon”, opera in dialetto veneziano del 1762 in cui vita reale e rappresentazione scenica si fondono alla perfezione nell’ambiente della borghesia mercantile veneziana. La trama è nota: un avaro mercante veneziano, Todero, per risparmiare la dote osteggia il matrimonio della nipote Zanetta con Meneghetto e gli preferisce Nicoletto, figlio del suo fattore Desiderio. Ma non ha fatto i conti con le astuzie e la determinazione della nuora Marcolina, moglie del debole Pellegrin, né con l'amore di Nicoletto per la cameriera Cecilia: una commedia fortunatissima anche presso i critici, tanto da essere paragonata alle opere di Molierè.

I Rusteghi
La vicenda si svolge a Venezia nel 1760 ed ha per protagonisti quattro rusteghi: Lunardo, Canciano, Simone e Maurizio. Quando Lunardo decide di combinare il matrimonio della figlia Lucietta con Filippetto, figlio di Maurizio, senza che gli sposi vengano avvisati, le donne decidono di ribellarsi. Margarita, matrigna di Lucietta aiutata da Felice, riesce a far sì che i due giovani possano almeno incontrarsi. I quattro uomini, saputa la cosa, montano su tutte le furie, ma è Felice, a dimostrare quanto assurdo sia il comportamento dei rusteghi.  I rusteghi costituisce uno dei più raffinati punti d’arrivo della riforma goldoniana. Dopo aver tolto dalla scena le maschere, Goldoni diede vita a una serie di commedie ciascuna incentrata sullo studio di un carattere. La peculiarità è aver portato sulla scena quattro personaggi, con grande abilità a ogni rustego sono conferite sfumature differenti. I rusteghi mette in scena lo scontro tra il nuovo e l’antico, tra una concezione di vita rigida e una più moderna, fondata sul dialogo e sulla reciproca comprensione. La commedia analizza anche la condizione femminile e la sua nascente emancipazione, laddove l’uomo rappresenta il passato, e la donna  in un gioco di specchi che si ritrova anche altrove nel teatro goldoniano  l’equilibrio, la serenità e il progresso.

Il periodo parigino                    
 Sempre in francese, Goldoni ha lasciato la sua autobiografia teatrale, i Mémoires (1787), ultimo conforto prima della morte, avvenuta in miseria, dopo che l’Assemblea legislativa aveva soppresso pochi mesi prima anche la sua modesta pensione di corte.
Mémoires
Un'indispensabile fonte per ricostruire i principali eventi della vita di Carlo Goldoni e le varie tappe della sua esperienza artistica è costituita dai Mémoires, scritti a Parigi nel 1783-1784 e sempre a Parigi completati e pubblicati nel 1787. Sono l'ultima, ma non meno importante opera di Goldoni. Come indica il titolo esatto (Mémoires de M. Goldoni, pour servir à l'histoire de sa vie, et à celle de son théâtre) si tratta più che di un'autobiografia interiore, di una rievocazione delle vicende esterne dell'uomo pubblico e della sua professione. In quest'opera Goldoni volle giustificare la propria vocazione teatrale, presentando l'itinerario creativo come una progressiva rivelazione a se stesso e agli altri del suo genio innato. In tal modo egli non spiega la reale evoluzione della sua drammaturgia, ma fornisce comunque informazioni utili che, unite alla lettura dei testi, consentono di interpretare le sue intenzioni e i suoi programmi. La memoria inganna talvolta l'anziano scrittore che tuttavia si servì, per comporre la sua autobiografia, di materiali preesistenti come la premessa all'edizione delle sue opere edite da Bettinelli e le prefazioni ai diciassette tomi dell'edizione Pasquali, che arrivavano a coprire un arco di vita fino al 1743. Nel corso dei Mémoires Goldoni rappresenta il mondo secondo un'ottica educata al teatro. Di ogni fatto è colto ciò che è dialogabile, mimico e comico. Molti episodi sono narrati secondo un gusto realistico che d'improvviso lascia lo spazio a illuminazioni grottesche e sorprendenti.

Autore: Morelli Ludovica
http://www.isis-gioberti.it/documentiScaricabili/progetti/lavori4A/goldoni/italiano_goldoni/Goldoni%20ludovica.doc

 

Goldoni, Carlo

1 Cenni biografici
Carlo Goldoni (Venezia 1707 - Parigi 1793) trascorse parte della fanciullezza a Venezia, e l’adolescenza e la giovinezza in varie sedi. Compì studi disordinati e concluse quelli di diritto. Avvocato a Pisa dal 1745 al 1747, coltivò il teatro, componendo per diverse compagnie. Stabilitosi dal 1748 a Venezia, s’impegnò con la compagnia di Girolamo Medebach per il teatro Sant’Angelo (1748-1753), dando il via alla ‘riforma’ del teatro comico; quindi passò al teatro San Luca (1753-1762): quindici anni che fruttarono 120 commedie. Polemiche, rivalità, difficoltà economiche lo indussero a lasciare Venezia. Si trasferì a Parigi, chiamato dalla Comédie Italienne, che però gli richiese soprattutto canovacci e recite a soggetto. Deluso e assillato da problemi economici, accettò l’incarico di maestro di lingua italiana della figlia di Luigi XV, che gli fruttò una modesta pensione, che, sospesa dopo gli eventi rivoluzionari, gli fu riassegnata dopo la sua morte.
2 La riforma del teatro comico
Nel processo di valorizzazione della lingua italiana che caratterizza il Settecento (➔ Settecento, lingua del) un ruolo importante è svolto dal teatro per la centralità sociale, mondana e culturale che esso acquista nel corso del secolo. Il rinnovamento portato dall’Arcadia rispetto alle proliferazioni del teatro barocco aveva interessato soprattutto il melodramma e la tragedia; nel teatro comico invece faceva ancora presa sul pubblico la commedia dell’arte con «le sue sconce arlecchinate, laidi e scandalosi amoreggiamenti e motteggi; favole mal inventate e peggio condotte, senza costume, senza ordine» (Goldoni, Prefazione alla prima raccolta delle sue Commedie, in Tutte le opere, III: 1252). Di qui la necessità di una riforma che mettesse al centro dello spettacolo il testo e i caratteri sulla base del «vero» e della «naturalezza del dire». Un problema dunque di forma e di linguaggio: se nel melodramma la parola è assistita dalla musica, e se la tragedia può contare su un linguaggio aulico adeguato al suo registro elevato, la commedia manca ancora di un linguaggio atto a raccontare il quotidiano per la «costante riluttanza della lingua italiana ad accettare un dialogo drammatico aderente alla realtà storica» (Dionisotti 1967: 102).
La sfida goldoniana fu quella di costruire un linguaggio drammatico che fosse «imitazione delle persone che parlano», un linguaggio da costruire rivoluzionando le regole e la pratica del genere comico, affidando la commedia non più al mero intreccio e ai facili effetti della recitazione all’improvviso, ma al ‘carattere’ del personaggio e alla verosimiglianza delle situazioni, innovando in questo modo il rapporto tra autore e pubblico e tra autore e scena. A tal fine occorreva sottrarre la materia alla libera gestione dei comici, imponendo il rispetto di un testo scritto e rinnovando la materia, andando ad attingere «direttamente all’immenso serbatoio della vita reale di uomini comuni, traendo spunto dai loro particolari caratteri […] come dalle effimere burrasche della vita quotidiana» (Stussi 1998: 887).
Occorreva poi difendere il testo della commedia e la sua autorialità, fissandolo nella forma stabile del libro: operazione che comportava una sua revisione nel passaggio dal copione per la scena al libro per la lettura (Pieri 1995: 904). E attraverso le successive edizioni delle commedie, dalla prima raccolta (Venezia, Bettinelli, 1750-1752), alla successiva (Firenze, Paperini, 1753-1755), fino alla stampa definitiva (Venezia, Pasquali, 1761-1778), Goldoni procedette a una progressiva decantazione degli elementi scenici più condizionati dalla rappresentazione in vista di una destinazione per un pubblico il più possibile italiano ed europeo (Pieri 1991; Scannapieco 2001): oltre a eliminare o attenuare le forme dialettali o a dotarle di chiose, intervenne sull’italiano per correggerne certi tratti morfologici dell’uso corrente e sostituirli con quelli dell’uso letterario; per esempio, sistematico è il passaggio da -o ad -a della desinenza della prima persona dell’imperfetto indicativo (avevoaveva), e la sostituzione dei pronomi soggetto lui, lei con egli, ella, due fenomeni tipici nella differenziazione dei livelli di italiano a partire dal Cinquecento.
Nel passaggio alla stampa i testi vedono dunque una rielaborazione in direzione più letteraria, ma, per la natura stessa del teatro, di una letterarietà distinta dal linguaggio umanistico della letteratura, perché la commedia appunto è «una imitazione delle persone, che parlano, più di quelle che scrivono», come afferma lo stesso Goldoni nella presentazione all’edizione Paperini, destinata a presentare la sua riforma a livello nazionale. Qui rivendica di essere «un poeta comico» e non un «accademico della Crusca» e di essersi pertanto «servito del linguaggio più comune, rispetto all’universale italiano» (Teatro, III: 1285), dove per «universale italiano» s’intende l’italiano degli scrittori, la lingua illuministica governata dai dotti. E, nella definitiva edizione Pasquali, nel presentare le commedie dichiara di «purgarle, per quanto può, dai difetti di lingua», ma «di scrivere quel Toscano che usavasi a’ tempi del Boccaccio, del Berni e d’altri simili di quella classe, ma come scrivono i Toscani de’ giorni nostri, quali si vergognerebbono di usare que’ riboboli che sono rancidi e della plebe, e abbisognano di commento e di spiegazione per gli stranieri non solo, ma ancora per la maggior parte degl’Italiani» (Tutte le opere, I: 621-757).
Si avverte in questa dichiarazione un riflesso delle contemporanee polemiche linguistiche sulla norma della lingua nazionale tra puristi e modernisti o liberisti, i quali ultimi difendono il principio di comprensibilità dell’italiano, cui si attiene Goldoni nel voler «essere inteso in Toscana, in Lombardia, in Venezia», e da spettatori colti e incolti.
La ricerca della naturalezza espressiva cui mirava Goldoni andava realizzata non ripudiando della commedia dell’arte il patrimonio di esperienze ancora vive (Romagnoli 1983: 130), ma rinnovandolo dall’interno, trasformando le vecchie maschere in personaggi dai connotati sociali e umani riconoscibili. Riguardo alla lingua, dalle «meccaniche caratterizzazioni plurilinguistiche» si passa «a una libera scelta, come tra pari, dell’italiano o del veneziano, in funzione degli ambienti rappresentati e della destinazione delle commedie» (Stussi 1998: 927).
Il programma riformatore di Goldoni occupò tutta la sua esistenza, una vita per il teatro, da lui stesso narrata nei tardi Mémoires in un’idealizzazione della propria vicenda teatrale. Dopo un lungo apprendistato di canovacci, tragedie e testi per musica, intermezzi e drammi giocosi, musicati da insigni musicisti (Galuppi, Paisiello, Cimarosa, Mozart), che fecero di Goldoni il più influente librettista comico del Settecento, approdato al suo primo impegno stabile con il teatro Sant’Angelo, Goldoni avviò dunque quella riforma del teatro maturata anche durante il soggiorno in Toscana, dove aveva assistito alle commedie del Fagiuoli, del Gigli e del Nelli, opere certo di respiro provinciale, ma che egli considerava «testi vivi della buona lingua toscana».
Nella Prefazione alla prima edizione delle sue commedie Goldoni affermò di aver preso a «Maestri» il Mondo e il Teatro, l’uno per i tanti e vari caratteri, l’altro per i «colori» con i quali «si debban rappresentar sulle scene i caratteri, le passioni, gli avvenimenti che nel libro del Mondo si leggono». E continuava: «Quanto alla lingua ho creduto di non dover farmi scrupolo d’usar molte frasi e voci Lombarde, giacché ad intelligenza anche della plebe più bassa che vi concorre, principalmente nelle Lombarde città dovevano rappresentarsi le mie Commedie». Inoltre di avere aggiunto «qualche noterella» ad «alcuni vernacoli Veneziani» nelle commedie «scritte apposta per Venezia mia Patria» e che «il Dottore che recitando parla in lingua Bolognese, parla qui nella volgare Italiana» (Teatro, III: 1255-1258).
3 Le commedie
Nel passaggio dalla scena alla stampa, la lingua subisce dunque una revisione in considerazione della diversa fruizione del testo e della esigenza di conferirgli una dignità letteraria e renderlo comprensibile a un pubblico più vasto, eliminando via via le maschere, legate ai vari stereotipi dialettali o toscanizzando alcune parti dialettali. La prima commedia senza maschere e senza dialetto è Pamela (andata in scena nel 1750), tratta dal romanzo di Richardson e quindi ambientata in Inghilterra: come se per uscire dallo schema plurilinguistico l’autore avesse dovuto uscire dall’Italia e affrontare un soggetto che non ammetteva maschere e dialetto. Quanto poi allo stile – continuava Goldoni nella stessa Prefazione – «l’ho voluto qual si conviene alla Commedia, vale a dire semplice, naturale, non accademico od elevato» (ivi).
Il programma di riforma è illustrato in una commedia, Il teatro comico, pièce-manifesto, in cui è presentata una compagnia comica che, facendo le prove di una commedia nuova, mette a confronto le scelte del capo della compagnia con gli esponenti del vecchio teatro, che alla fine si lasciano convincere ad abbracciare le nuove idee. Improntate a un teatro socialmente e civilmente impegnato, come vuole la riforma, sono le commedie scritte per il Sant’Angelo, tra le quali La vedova scaltra, La putta onorata, La buona moglie, La famiglia dell’antiquario, La bottega del caffè e la grande Locandiera. A misurare il percorso fatto dalla riforma nella conquista di una lingua che si è liberata dagli stereotipi tipici dell’italiano della commedia dell’arte e ha acquisito la naturalezza del parlato, può servire un confronto tra La donna di garbo, la prima commedia scritta per intero (rappresentata nel 1748 e stampata nel 1750) e La locandiera (rappresentata e stampata nel 1753): nell’una, Rosaura sfoggia un linguaggio scelto, parodia della artificiosa aulicità tipica dell’italiano delle maschere, e in un monologo inanella forme melodrammatiche (come «smanie del tradito mio cuore»), espressioni improbabili (come «si prevalse della mia debolezza») e inversioni letterarie nella collocazione finale del verbo; nell’altra, Mirandolina si esprime nella lingua reale di un personaggio immerso in un ambiente e in una situazione, ricca quindi di deittici, di espressioni comuni, di segmentazioni e dislocazioni, in una sintassi mossa, con frasi brevi e legami impliciti in grado di rendere l’affettività del personaggio e suggerirne gesti e movimenti scenici.
Nel reinterpretare l’estemporanea plasticità linguistica, e quindi la carica di verità espressiva della commedia dell’arte (Trifone 2000: 72 e sgg.), Goldoni inventava l’italiano della conversazione, che ebbe ulteriori sviluppi nella produzione degli ultimi anni veneziani. Lo sguardo drammaturgico su Venezia si è fatto sempre più critico, producendo una serie di capolavori realistici, commedie in prosa in dialetto e in lingua, in cui entravano i malesseri e le alienazioni di un ceto borghese incapace di rinnovarsi: Gl’innamorati, I rusteghi, La casa nova, La trilogia della villeggiatura, Sior Todero brontolon. Una serie che si conclude con il grande affresco popolare delle Baruffe chiozzotte e con Una delle ultime sere di carnovale. Tutte commedie dove all’analisi dei personaggi, borghesi e popolari, si accompagna una resa linguistica, in cui lingua e dialetto sono scandagliati in tutte le loro possibilità e differenziazioni diastratiche. Sull’attenzione alle sfumature del veneziano sono molto importanti le osservazioni che accompagnano la Putta onorata (Tutte le opere, II: 421).
Altrettanta attenzione l’autore presta al parlare degli «uomini qualificati», per il quale prende spunto da concrete forme della conversazione di borghesi e intellettuali dell’Italia settentrionale (Stussi 1998: 929), in un contesto di uso scritto non letterario in cui entrano calchi dal veneziano e regionalismi veneti (come brugior su brusor «dolore», gridare su criar «litigare», correr dietro «corteggiare», borino su borin «vento leggero», scavezzate «spezzate», compagno nel significato di «simile», ecc.), forme letterarie e modi del toscano vivo, espressioni colloquiali (piantare il bordone «introdursi a scroccare», piangere il morto «essere triste, abbattuto») e francesismi: un «fantasma scenico che ha spesso la vivezza del parlato» (Folena 1983: 91), una sorta di koinè lombarda che aveva già un suo collaudo teatrale (Pieri 1995: 890). Tale koiné trova riscontro nella testimonianza di un veneziano contemporaneo, Francesco Zorzi Muazzo, che riferiva del modo di parlare negli ambienti urbani colti, definito «parlar impontìo», e «zè parlar affettà come saravve a dir un venezian volendo parlar toscan», dove toscano equivale a italiano (Zorzi Muazzo 2008: XXXVIII), insomma un parlare avvertito come affettato. Imitare la conversazione delle persone «qualificate» significava pertanto renderne anche gli aspetti di affettazione, derivanti dall’uso di una lingua non ancora posseduta per competenza naturale.
In effetti, ai suoi contemporanei il teatro di Goldoni, non solo veneziano ma anche italiano, era apparso nuovo proprio per veridicità e adesione al reale anche nel linguaggio, e per questo biasimato da alcuni e apprezzato da altri (Hecker 1985). Voltaire ne ammirava lo stile «naturale», ma, va precisato, il suo giudizio nasceva da una competenza dell’italiano della conversazione formatasi sui manuali italo-francesi del Settecento, che offrivano un modello di lingua cerimoniosa, propria delle convenzioni di salotto, i cui materiali sembrano rifare seppure grezzamente moduli delle conversazioni galanti di alcune commedie goldoniane; e lo stesso Voltaire sosteneva di voler far apprendere l’italiano alla «petite fille du grand Corneille» sulle «pièces» di Goldoni (Hecker 1985: 118).
La fisionomia impacciata dell’italiano goldoniano era quella dell’italiano settecentesco dell’uso comune (fuori della Toscana), come mostrano le chiose esplicative o di traduzione apposte dall’autore alle commedie in dialetto, scritte in un italiano artificiale. Per esempio, dai Rusteghi: un fiaetin «un pocolino», Coss’è sti sesti? «che malegrazie son queste?», La varda co spessego «come io mi sollecito», un puto de sesto «un giovine di garbo», ecc.
Ma è nella sintassi e nella struttura testuale che Goldoni raggiunge la vivezza e spontaneità del parlato, dando esempio di una vitalità linguistica che prelude alla lingua «viva e vera» del ➔ Manzoni; al quale però l’italiano di Goldoni apparirà «difettoso», mancante dell’organica unitarietà che possedeva invece il «puro e bel veneziano» delle altre sue commedie. Manzoni non poteva però non apprezzare di quell’italiano il tentativo di superare la distanza tra la lingua parlata e la lingua scritta, che secondo lui costituiva un ostacolo al raggiungimento di una lingua comune italiana. Ma l’intento di Goldoni era squisitamente ed esclusivamente teatrale, la scioltezza del suo parlato era orientata da uno speciale estro scenico, pertanto estranea alla prosa narrativa o argomentativa delle varie prefazioni alle commedie, una sorta di embrionali «memorie italiane»: dunque una scrittura narrativa, dove l’italiano inclinava verso i modi e le forme della tradizione, «mostrandosi nei fatti piuttosto diverso dalla prosa più innovativa di quel secolo e della sua tendenza all’agilità e alla linearità» (Tomasin 2009: 177-187), a conferma di una sensibilità linguistica tutta legata al teatro.
Nei Mémoires Goldoni trova «una sua perfetta misura comunicativa» (Folena 1983: 367), grazie a quel francese che, impostosi nel corso del Settecento come lingua internazionale ed entrato nel parlato familiare delle classi nobili e borghesi in Lombardia e nel Veneto, si presentava come lingua per eccellenza della prosa e della conversazione. Nel teatro di Goldoni il francese compare accanto all’italiano e al veneziano ora in funzione giocosa e parodica, ora nel rendere i modi della conversazione mondana. La sua presenza interferisce con l’italiano teatrale goldoniano, modellandone l’impianto dialogico, fortemente paratattico, agile e sciolto, e il lessico, con l’assunzione di francesismi più o meno adattati a seconda dei contesti borghesi o popolari. La competenza goldoniana del francese, soprattutto orale ed esente da preoccupazioni ortografiche o letterarie, si perfeziona nel soggiorno parigino, come mostrano le commedie in francese, in particolare il Bourru bienfaisant, «veramente pensate secondo lo spirito francese» e scritte in un francese «sincronico, sensibile all’uso» (Folena 1983: 385). E anche nei Mémoires, composti a partire dal 1783, la scelta del francese – un francese colloquiale, disinvolto, ma anche approssimativo – risponde alla volontà di rivolgersi al pubblico del momento nella sua propria lingua, secondo quella esigenza pragmatica di comunicatività che ha sempre guidato Goldoni.

Riferimenti
Opere.
Goldoni Carlo
- La locandiera, a cura di S. Mamone e T. Megale, Venezia, Marsilio.
- Teatro, a cura di M. Pieri, voll. 3, Torino, Einaudi, 1991
- Tutte le opere, a cura di G. Ortolani, Milano, Mondadori, 1935-1956, 14 voll.
Una edizione nazionale con intenti critici è in corso presso l’editore Marsilio di Venezia.

Studi
Dionisotti Carlo (1967), Tradizione classica e volgarizzamenti (1958), in Id., Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, pp. 103-144..

Folena Gianfranco (1983), L’esperienza linguistica di Carlo Goldoni, in Id., L’italiano in Europa, Torino, Einaudi, pp. 89-132..

Hecker Kristine (1985), ‘Scritto come si parla’. Le idee del Goldoni sul linguaggio teatrale e la reazione dei contemporanei, «Quaderni di teatro», 28, pp. 105-137.

Pieri Marzia (1991), Introduzione a Carlo Goldoni, Teatro, vol. I, pp. VII-XLIV.
Pieri Marzia (1995), La commedia e Goldoni, in Manuale di letteratura italiana, a cura di F. Brioschi e C. Di Girolamo, Torino, Bollati Boringhieri, vol. 3, pp. 883-917.

Romagnoli Sergio (1983), Nel laboratorio teatrale di Carlo Goldoni («Il teatro comico»), in Id., La buona compagnia. Studi sulla letteratura italiana nel Settecento, Milano, Franco Angeli.

Scannapieco Anna (2001), La tradizione delle opere di Goldoni, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, vol. X, La tradizione dei testi, parte II, La tradizione a stampa, Roma, Salerno, pp. 1057-1068

Stussi Alfredo (1998), Carlo Goldoni e l’ambiente veneziano, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, vol. VI, Il Settecento, Roma, Salerno, pp. 877-933.

Trifone Pietro (2000), L’italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Dario Fo, Pisa.Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali.

Zorzi Muazzo Francesco (2008), Raccolta de’ proverbii, detti, sentenze, parole e frasi veneziane, arricchita d’alcuni esempi ed istorielle, a cura di F. Crevatin, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Angelo Colla Editore.

autore: Tina Matarrese

Fonte: http://www.liceokennedy.net/~bellina/4D%202009-2010/Goldoni.doc

 

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