I troll di Tolkien

 

 

 

I troll di Tolkien

 

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I troll di Tolkien

 

I troll di Tolkien

 

I troll nelle opere di Tolkien sono abbastanza rari, e compaiono sostanzialmente ne Lo Hobbit e ne Il Signore degli Anelli. Ne Il Silmarillion, di fatto, si accenna soltanto alla loro genesi a opera di Morgoth, un dato tutto sommato rilevante poiché li schiera geneticamente con le forze oscure.

Come le altre specie fantastiche i troll appartengono a loro volta a diverse razze che differiscono fra loro per alcune peculiarità legata all’habitat in cui essi vivono. Così nella Terra di Mezzo trovano dimora i troll delle pietre, i troll delle colline, i troll delle caverne, i troll delle montagne, i troll delle nevi e gli olog-hai, come gli uruk-hai, frutto degli esperimenti contro natura di Saruman lo stregone.

Nelle prime traduzioni de Lo Hobbit i troll vennero chiamati “uomini neri”, mentre nelle edizioni italiane de Il Signore degli Anelli pubblicate fino al 2004 essi vennero detti “vagabondi”. Anche i traduttori de Il Silmarillon provarono a tradurre in italiano il termine, utilizzando però una traduzione molto meno eccentrica, e chiamando i troll semplicemente “giganti”.

Alle generazioni di lettori cresciute nell’era fantasy, l’utilizzo dei termini “uomo nero”, “vagabondo” e “gigante” a indicare il troll, che è ormai una figura fantastica nota, può apparire quantomeno bizzarro; tuttavia ai tempi delle prime edizioni italiane delle opere tolkieniane, i traduttori si trovarono a fare i conti con la necessità di importare una figura della tradizione nordica che alla maggior parte dei lettori era sconosciuta, e pertanto utilizzarono figure note, quali quella dell’uomo nero o del gigante, che a loro modo di vedere erano più analoghe alla figura dei troll fiabeschi de Lo Hobbit e di quelli mitologici de Il Silmarillion .

D’altro canto, una traduzione di “troll” in italiano basata sul significato e non sul suono è di per sé, almeno per ora, un atto irrealizzabile, dato che i filologi che si sono cimentati nel trovare un significato per la parola scandinava troll, non hanno trovato altro che vaghe corrispondenze con armi, o poteri magici; e persino il germanista Jacob Grimm, non è riuscito a fare di meglio, limitandosi a rintracciare le parole di alcune popolazioni indoeuropee del centro-nord Europa imparentate fra loro (norreno tröll,  svedese troll, danese trold, gotico trallu, tedesco antico getralle, francese drôle, cornico drolls), senza però dare loro un significato univoco

Come già accennato, dopo il 2004 sia ne Lo Hobbit che ne Il Signore degli Anelli, è stata ripristinata la parola troll, un atto in accordo con l’attuale penetrazione del gergo fantasy fra i lettori, e con i dizionari di lingua italiana che hanno accolto il termine fra le loro pagine.

 

I troll de Lo Hobbit

Bilbo e i nani all’inizio del loro viaggio si imbatterono in un pericoloso terzetto di troll delle pietre, la razza troll più antropomorfa della Terra di Mezzo. Come ogni specie fantastica presente ne Lo Hobbit e ne Il Signore degli Anelli, anche i troll del primo libro sono decisamente fiabeschi, mentre nella Trilogia acquistano una serietà e credibilità maggiore.

I troll de Lo Hobbit si chiamano Bert, Tom e William (in italiano tradotti come Berto, Maso e Guglielmo) e parlano la lingua comune, a differenze di quelli de Il Signore degli Anelli che si esprimono nel confuso Linguaggio Nero ideato da Sauron.

Bert, Tom e William vivono in una caverna come i troll della tradizione, e sono affamati di carne umana o pseudo-uomana (dal momento che nani e hobbit non sono uomini) proprio come gli orchi delle favole:

 

« Che ti credi, che la gente passa di qua solo per farsi mangiare da te e Berto? Tra di voi vi siete mangiati un paese e mezzo, da quando siamo scesi dalle montagne. E ancora non sei contento? Eppure ci sono stati i tempi, quando altroché se m'avresti detto grazie per un bel tocchetto d'abbacchio tenerello come questo! ». E con un morso staccò un bel pezzo di carne da una zampa della pecora che stava rosolando e si asciugò le labbra con la manica .

 

Il capitolo de Lo Hobbit dedicato ai troll è quindi esemplare per comprendere il processo creativo di Tolkien, che da buon “rielaboratore di miti antichi” (e racconti folcloristici), impasta la propria narrazione con il materiale già presente nella mitologia e nella letteratura.

Il passo che segue narra di come Gandalf giunse a salvare Bilbo e i nani che erano finiti nelle grinfie dei troll e che stavano per essere divorati. Lo stregone nascosto nell’ombra utilizzò le proprie arti magiche per mettere i troll l’uno contro l’altro, facendoli discutere e litigare fino al giungere dell’alba e della luce del sole che per i troll delle pietre era fatale:

 

Fu proprio allora che Gandalf ritornò. Ma nessuno lo vide. I Troll avevano deciso di arrostire subito i nani e di mangiarli più tardi: l'idea era di Berto, ed era stata approvata dagli altri dopo un bel po' di discussioni.

« È stupido arrostirli subito, andremmo avanti tutta la notte » disse una voce. Berto pensò che fosse quella di Guglielmo.

« Non ricominciare tutta la discussione da capo, Guglielmo, » disse « o andrà davvero avanti tutta la notte ».

« Ma chi discute? » disse Guglielmo, che pensava fosse stato Berto a parlare.

« Tu » disse Berto.

« Sei un bugiardo » disse Guglielmo; e così la discussione ricominciò da capo. Alla fine decisero di tritarli finemente e di bollirli. Così si munirono di un pentolone nero e tirarono fuori i coltelli.

« È stupido bollirli! Non abbiamo acqua e ci vuole un sacco di tempo per arrivare fino al pozzo »

[…]

« L'alba vi prenda tutti e sia di pietra per voi! » disse una voce che sembrava quella di Guglielmo. Ma non lo era. Infatti proprio in quel momento la luce apparve sopra la collina e si sentì un forte cinguettio tra i rami. Guglielmo non parlò più perché rimase fermo, mutato in pietra mentre si chinava; e Berto e Maso si immobilizzarono come rocce mentre lo guardavano. E sono rimasti lì fino ad oggi, tutti soli, a meno che gli uccelli non si posino su di loro; infatti i Troll, come probabilmente saprete, debbono trovarsi sottoterra prima dell'alba o ritornano alla sostanza petrosa di cui sono fatti e non si muoveranno mai più ”.

 

Le attitudini degli orchi, dei giganti, dei troll e delle orchesse/streghe cattive di cucinare gli esseri umani, per lo più i bambini, come fossero pietanze, e di possedere una fame insaziabile, è tipica del mondo delle fiabe. Come Bert, Tom e William anche l’orchessa del racconto siciliano L’uccello verde è alle prese con la propria voracità:

 

 

E la mattina l’orchessa urlò “Ali, prepara la pentola, che voglio bollire la ragazza per cena’.

Ma Ali disse, ‘Ho arrostito due buoi e dieci pecore, e fatto un budino che pesa mezza tonnellata. Lascia vivere la ragazza fino a domani – non è altro che un solo boccone .

 

L’espediente utilizzato da Gandalf per confondere i sensi dei troll, facendoli litigare l’uno con l’altro è presente anche in una nota fiaba raccolta dai fratelli Grimm e nota in italiano come Das tapfere Schneiderlein :

 

Quando arrivò a metà, si lasciò scivolare lungo un ramo fino a trovarsi proprio sopra i dormienti e fece cadere un sasso dopo l’altro sul petto di uno dei due. Ad accorgersene, il gigante colpito, ci mise parecchio, ma poi si svegliò e disse dando una gomitata al compagno: <<Vuoi smetterla con questi colpi?>>. <<Colpi?>> disse l’altro <<tu sogni.>> Si rimisero a dormire poi il sarto buttò giù un sasso sul secondo. <<Che succede?>> disse il secondo: <<Che mi butti addosso?>>. <<Io non butto niente>> brontolò il primo. Stettero un po’ a litigare, ma siccome erano stanchi lasciarono perdere e richiusero gli occhi. Il sartino riprese il suo gioco; scelse il sasso più grosso e lo lanciò con tutta la forza che aveva sul petto del primo. <<Questo è troppo>> gridò costui, saltò su come un forsennato e scosse il compagno contro l’albero tanto da far traballare l’albero. Ne fu ripagato con egual moneta e li prese una furia tale che a forza di sradicar alberi e darsele di santa ragione finirono per cadere a terra morti tutti e due .

 

Un simile espediente era presente anche in Puss-cat Mew, racconto scritto da Knatch-bull-Hugessen nel 1896, molto amato da Tolkien e dai suoi figli . In questo caso è Joe, reso invisibile da un guanto magico, a prendersi gioco di due orchi e di un nano:

 

Joe, vedendo quanto il suo guanto lo nascondesse bene, e indignato per ciò che l’Orco Munchemup aveva detto di Puss-Cat Mew, gli diede col bastone un colpo sullo stinco che lo fece saltare.

“Perché mi hai dato un calcio, Testadilegno?” “Non ti ho toccato” rispose l’altro, al quale Joe nello stesso momento somministrò un colpo simile.

“ Ma non starò qui a farmi prendere a calci da te!” e mentre Joe dava un’altra bastonata a ognuno, i mostri si attaccarono l’un l’altro furiosamente, ognuno credendo che l’amico lo avesse assalito.

Joe si fece indietro e osservò con interesse la lotta, finché un colpo di Testadilegno mandò Munchemup a terra, dove giacque privo di sensi .

 

Le astuzie di Gandalf sono debitrici del passato, in questo caso, mitologico norreno anche per quel che riguarda lo stratagemma di guadagnare tempo per far trascorrere la notte e far arrivare l’alba che avrebbe pietrificato i propri nemici. Nell’Edda poetica sono presenti due episodi a questo molto simili. Il primo vede il dio Thor intrattenere con domande gnostiche il nano Alvise fino al giungere della luce, e il secondo ha per protagonista l’eroe Helgi e un troll/strega Hrimgerdhr.

 

<<Nel petto d’uno solo    mai ho visto

Più antica scienza.

Da un inganno possente    ti dico ingannato:

dal giorno sei stato sorpreso, nano sulla terra.

Ormai batte il Sole nella corte .>>

[…]

<<Ora guarda a oriente, Hrimgerdhr!       Ti ha preso Helgi

Con rune di morte.

In terra, in mare       la flotta del principe è al sicuro

E del sovrano gli uomini ugualmente.

E’ giorno, Hrimgerdhr,       e Attila t’ha trattenuto

Fin quando avesse fine la vita.

La stele del porto,       risibile, tu sembri

Là dove t’ergi, fatta di pietra. >>

      

Ma gli eroi scandinavi non furono gli unici a sfruttare la propria astuzia per prevalere sui loro avversari. Anzi, forse l’esempio più noto di uomo che con la propria intelligenza si prende gioco di un essere molto più grande di lui - mito di Davide e Golia a parte – è presente proprio in area mediterranea, in una dei celebri viaggi di Ulisse che portarono l’eroe acheo nella grotta del ciclope Polifemo. Nell’occasione Ulisse ingannò il possente figlio del dio dei mari Poseidone, dicendogli di chiamarsi “Nessuno”, così che Polifemo, dopo essere stato fatto ubriacare e quindi accecato nel sonno dal furbo itacese, uscì dal suo nascondiglio per raccogliere a sé gli altri ciclopi e vendicarsi. E fu proprio allora che l’inganno di Ulisse di manifestò:

 

Della cagione il richiedean del duolo:

"Per quale offesa, o Polifemo, tanto

Gridàstu mai? Perché così ci turbi

La balsamica notte e i dolci sonni?

Fùrati alcun la greggià? o uccider forse

Con inganno ti vuole, o a forza aperta?"

E Polifemo dal profondo speco:

"Nessuno, amici, uccidemi, e ad inganno,

Non già colla virtude". "Or se nessuno

Ti nuoce", rispondeano, "e solo alberghi,

Da Giove è il morbo, e non v'ha scampo. Al padre

Puoi bene, a re Nettun, drizzare i prieghi". .

 

Dopo lo scontro Gandalf portò i nani e Bilbo all’interno della caverna in cui abitavano i troll. Una volta dentro la Compagnia trovò oro, gioielli e armi dai magici poteri; un rinvenimento assolutamente prevedibile, poiché comune alla tradizione letteraria e mitologica per cui le tane dei mostri sono spesso raffigurate come veri e propri caveau bancari pieni di oggetti preziosi di ogni sorta, sparsi insieme alle ossa e agli avanzi di macabri banchetti. L’esempio più eclatante di arma potente trovata dall’eroe nella tana del proprio nemico è presente nel Beowulf.

L’eroe geata, una volta attirato nel covo della terribile madre di Grendel, si impossessò di una spada delle straordinarie fattezze che egli utilizzò per prevalere nella cruenta lotta contro lo stesso troll femmina:

 

Vide, su un mucchio di arnesi,    una lama dotata

Di vittoria, una spada   antica di giganti;

un segno di prestigio per qualunque guerriero,

la perla delle armi.

 

I troll de Il Signore degli Anelli

 

I primi troll che Frodo e compagni incontrano non sono altro che i vecchi e pietrificati Berto, Tom e William de Lo Hobbit:

 

Giunti sull'orlo si arrestarono e sbirciarono tra i tronchi, col fiato sospeso. In piedi davanti a loro stavano tre Vagabondi: tre Vagabondi grandi e grossi. Uno era curvo, e gli altri due lo guardavano.

Grampasso avanzò disinvoltamente. «Alzati, vecchia pietra!»,

disse, rompendo il bastone sulla schiena del Vagabondo curvo. Non accadde nulla. Ci fu un'esclamazione di sorpresa da parte degli Hobbit, seguita nientemeno che da una risata di Frodo. «Ebbene!», disse. «Ci stiamo dimenticando la storia di famiglia! Questi devono essere quei tre Vagabondi sorpresi da Gandalf a litigare sul miglior modo di cucinare tredici Nani ed un Hobbit» .

 

I troll ne Il Signore degli Anelli hanno ruoli del tutto marginali, e Tolkien concede loro uno spazio minore persino di quello accordato al terzetto de Lo Hobbit. Nelle miniere di Moria, Frodo infilzò il piede di un grosso troll delle caverne al seguito degli orchi, da cui uscì sprizzando del sangue nero. Questa è l’unica descrizione del mostro, che Tolkien ci propone durante lo scontro:

 

“Un colpo vibrato contro la porta la fece tremare, ed essa incominciò a socchiudersi lentamente, sospingendo i cunei. Un enorme braccio seguito da una spalla, ricoperto di una scura pelle con squame verdognole, apparve nella fessura che si allargava sempre di più. Un immenso e piatto piede senza dita penetrò di forza strisciando per terra. Fuori cadde un silenzio di morte” .

 

Oltre a quelli citati, gli unici troll della Terra di Mezzo che entrerono nella narrazione sono alcuni troll delle montagne, utilizzati dagli orchi per spingere i massivi cancelli di Mordor, il capo degli Olog-hai  che venne sconfitto da Pipin e pochi altri troll di diversa razza al seguito degli eserciti di Saruman e Sauron.

 

Conclusioni

 

I troll, nonostante siano contemplati fra le specie della Terra di Mezzo, compaiono di rado nelle opere tolkieniane. Ne Lo Hobbit sono simili agli orchi fiabeschi e, sebbene siano cannibali e abitatori di caverne boschive, parlano con la favella degli uomini, ne Il Signore degli Anelli sono invece imponenti creature dalla forza smisurata e dall’intelletto modesto, utilizzati per le operazioni belliche degli orchi alla stregua di bestie da soma.

Questa scarsa intelligenza dei troll alla “tutto muscoli e niente cervello”, inspirata più dagli orchi, dai troll e dai giganti fiabeschi, che dai giganti mitologici, è ribadita anche nella poesia di Tolkien The Stone Troll che fu pubblicata nel 1962. Nel testo, di cui riporto uno stralcio, il troll è visto emblematicamente come una solitaria creatura che ha come unico scopo di vita la ricerca del cibo:

 

The Stone Troll

Troll sat alone on his seat of stone,

And munched and mumbled a bare

old bone;

For many a year he had gnawed it near,

For meat was hard to come by.

Done by! Gum by!

In a cave in the hills he dwelt alone,

And meat was hard to come by .

 

I troll di Tolkien sono quindi divisibili in due categorie: quelli uomanoidi de Lo Hobbit, che posseggono nomi propri di persona, e quelli animaleschi de Il Signore degli Anelli. Entrambe le tipologie, stando al filo conduttore intelaiato dalla mitologia de Il Silmarillion, sono naturalmente devote alle forze del male ispirate da Morgoth.

A tal proposito Tolkien venne criticato da un lettore particolarmente religioso per aver fornito un’umanità eccessiva a delle creature - Bert, Tom e William - generate dal “Satana” di Arda. Lo scrittore che, a causa della sua fervente cristianità, era molto sensibile ai pareri degli uomini di Chiesa, si difese contando più sulla propria retorica (“Io non dico che William provò pietà, che per me è una parola carica di valore morale e immaginativo ”) che su reali motivazioni. 

In verità sia le accuse del fan religioso che i relativi tentativi di giustificazione dell’autore sono inconsistenti poiché poggianti su una data per scontata, ma non totalmente efficiente, continuità narrativa fra Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli.

Lo Hobbit è nato come racconto per bambini, e i suoi personaggi furono inventati da zero (gli hobbit ad esempio) o ispirati da alcune novelle o poesie che il Professore aveva scritto in gioventù, e che soltanto in età matura furono organizzate fino a formare la Terra di Mezzo. Dunque, quando Tolkien scrisse Lo Hobbit, William, Tom e Bert non appartenevano a una delle specie generate dai malefici poteri di Morgoth, ma erano semplicemente troll, personaggi fiabeschi fine a se stessi senza passato e futuro: la Terra di Mezzo non esisteva se non come magma incandescente in fase di raffreddamento.

Il Signore degli Anelli, a differenza de Lo Hobbit di cui inizialmente doveva essere il seguito, lasciò presto il pubblico dei bambini per diventare un’opera per adulti, basata su una mitologia e una storia delineata, in altre parole su un’accurata sub-creazione che mirava a essere presa interamente sul serio e non soltanto per la morale finale, come avviene per le favole.

Una volta che Il Signore degli Anelli ebbe successo, Tolkien si trovò ad aver due libri che presentavano gli stessi personaggi, ma che perseguivano fini e target differenti. Il Signore degli Anelli divenne poi così celebre da non poter essere considerato - anche soltanto per voluminosità - il seguito de Lo Hobbit, tanto che fu proprio quest’ultimo libro che ritornò alla ribalta editoriale, in quanto antefatto a Il Signore degli Anelli.

Così lo scrittore iniziò un’opera di rivisitazione de Lo Hobbit atta a costruire un continuum con Il Signore degli Anelli; un’operazione artificiosa che, più che una panacea dei mali di coerenza, si rivelò una mera “limitazione di danni”.

 

 

Meno riconducibile mi pare invece l’utilizzo del termine “vagabondo” ne Il Signore degli Anelli, un “peccatuccio” comprensibile se si considera che la traduttrice Vicky Alliata nel 1967, quando completò la prima traduzione dell’opera per la casa editrice Astrolabio, aveva soltanto quindici anni. [Quirino Principe, Note sulla vicenda editoriale di Tolkien in Italia, in «Endòre» n.5 (2002), pp. 4-9.] A tal proposito consiglio a tutti gli interessati ai problemi di traduzione di leggere il citato articolo di Quirino Principe, curatore dell’edizione italiana de Il Signore degli Anelli, in cui l’autore elenca alcuni discutibili scelte prese da Vicky Alliata in fase di prima traduzione. La traduttrice, comunque geniale per la giovanissima età, aveva, forse con troppo “patriottismo”, tradotto ad esempio Thorin Oakenshield con “Torinio Ochescudo”, il nome dello hobbit Merry con “Felice” e il cognome di Bilbo, Baggins, con “Sacconi”. Scelte che poi furono riviste da Quirino Principe per la pubblicazione della più fortunata edizione del 1970 dell’editore Rusconi.

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JRR Tolkien, Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson, Bompiani (2002) p.81

Ibid. pag. 88, 89

Ruth Manning-Sanders, A book of Ogres and Trolls, Methuen Children’s Books (1972), p. 83

Il piccolo sarto valente

Grimm, Fiabe, Bur (2006) p.168

JRR Tolkien, Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson, Bompiani (2002), p. 93, 94

E.H. Knatch-bull-Hugessen, Puss-cat Mew (1869) estratto raccolto in JRR Tolkien, Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson, Bompiani (2002), p.94

Il canzoniere eddico, Garzanti (2004) traduzione di Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, Alvíssmál, stanza 35

Il canzoniere eddico, Garzanti (2004) traduzione di Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, Helgakvidha Hundingsbana in fyrri, stanze 29, 30

Omero, Odissea, KeyBook (2005), nella traduzione di Ippolito Pindemonte (1822), Libro IX, 517 – 528;

Beowulf, Einaudi (1992), traduzione dall’anglosassone di Ludovica Koch, versi 1557-1560

JRR Tolkien, Il Signore degli Anelli, Bompiani (2000), p.267

Ibid. p.404

Il troll di pietra

Un troll sedeva da solo sulla sua sedia di pietra, E sgranocchiava e rosicchiava uno scarno vecchio osso, Per molti anni l’aveva rosicato a fondo, Poiché la carne era difficile da trovare. Rosicalo! Mordilo! In una caverna nella collina egli dimora da solo, E la carne era difficile da trovare.

JRR Tolkien, Le avventure di Tom Bombadil, Bompiani (2007), p.82

Lettera 153, JRR Tolkien , La realtà in trasparenza, Bompiani (2001), p.217

 

Bibliografia

 

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Bestiary, The Folio Society (1992)

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Bósa saga ok Herrauðs, testo in norreno pubblicato su www.heimskringla.no

Eirik the Red and other Icelandic Sagas, Oxford University Press (1999) traduzione dal norreno di Jones Gwyn

Gesta Romanorum, Wynkyn de Worde’s Gesta Romanorum, University of Exeter (1974)

Grettis saga e Orms þáttr Stórólfssonar, tradotte dal norreno da Denton Fox e Hermann Palsson in G.N. Garmonsway, Jaqueline Simpson, Hilda Ellis Davidson, Beowulf and his analogues, J.M. Dent & Sons (1981)

Il canzoniere eddico, Garzanti (2004) traduzione dal norreno di Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli

I Nibelunghi, Einaudi (1972) traduzione dal tedesco medievale di Laura Mancinelli

La Saga dei Volsunghi, Edizioni dell’Orso (1993), traduzione dal norreno di Marcello Meli

The Fairy Queen, poesia raccolta in  Required Poems for Reading and Memorizing: Third and Fourth Grades, State Courses of Study  (1920)

The Mabinogion, Penguin (1976) traduzione dal gallese da Jeffry Gantz

Ragnars saga loðbrókar, brano riportato in inglese in Denton Fox e Hermann Palsson in G.N. Garmonsway, Jaqueline Simpson, Hilda Ellis Davidson, Beowulf and his analogues, J.M. Dent & Sons (1981)

Seafarer, Methuen (1960)

Sir Gawain e il Cavaliere Verde, Adelphi (1986),  traduzione di Piero Boitani

Sir Gawain and the Green Knight, Pearl, Sir Orfeo, G. Allen & Unwin (1975), traduzione  di JRR Tolkien

Solomon and Saturn II, estratto reperito in traduzione italiana di Elena Jeronimidis Conte in JRR Tolkien, Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson, Bompiani (2002)

The Flatey Book and recently discovered Vatican manuscripts concerning America as early as the tenth century. London: The Norroena Society (1906). Traduzione dall‘islandese all‘inglese di by Anderson, Rasmus B.

The Real Mother Goose, Rand McNelly and Co. (1916); l’opera intera è consultabile fra gli e-book di The Project Gutenberg. Http://www.gutenberg.org/files/10607/10607-h/10607-h.htm#a106

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Autori

 

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Interviste

 

Highfield Roger (Emeritus Fellow del Merton College, professore di storia), intervista rilasciatami nella Common Room del Merton College di Oxford (2008).

Larrington Carolyne (docente di norreno e anglosassone presso il St. John’s College di Oxford), intervista rilasciatami presso il St. John’s College (2008).

Lee Stuart D.  (docente di anglosassone e lingua inglese della facoltà di inglese di Oxford, direttore del Computing Systems and Services dell’Università di Oxford), intervista rilasciatami presso la Bodleian Library di Oxford (2008).

O’Donoghue Heather (docente di norreno e anglosassone presso ilLinacre College di Oxford), intervista rilasciatami presso la Facoltà di inglese dell’Università di Oxford (2008).

Phillips Courtney (Emeritus Fellow del Merton College, professore di chimica), intervista rilasciatami nella Common Room del Merton College di Oxford (2008).

Shippey Tom (docente di inglese presso la Saint Louis University degli USA), contributi fornitimi per corrispondenza (2009)

Solopova Elizabeth (docente di anglosassone e medio inglese della facoltà di inglese di Oxford, membro della Bodleian Library), intervista rilasciatami presso la Bodleian Library di Oxford (2008).

Tolkien JRR intervista effettuata dalla BBC nel 1968.

 

Fonte: http://www.marcodinoia.it/wp-content/uploads/2011/03/TESI.doc

Sito web da visitare: http://www.marcodinoia.it

Autore del testo: Marco Andrea di Noia

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