Niccolò Machiavelli

 

 

 

Niccolò Machiavelli

 

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NICCOLO’  MACHIAVELLI

La vita del Machiavelli è segnata da un’ avvenimento fondamentale : dopo 14 anni di attività politico –amministrativa  al servizio della  Repubblica fiorentina, a 43 anni il Machiavelli ,in seguito al ritorno dei Medici a Firenze, viene destituito dall’incarico, costretto a vivere per un anno da confinato, poi, nel febbraio del 1513, sospettato  complice di una congiura antimedicea, è incarcerato e torturato. Per il resto della sua vita non sarà mai reintegrato nel suo incarico, non avrà più modo di svolgere una concreta attività politica. Proprio in questa seconda parte della sua vita si collocano tutte le sue opere politiche e letterarie.

 

Tratti fondamentali della vita.

Nato nel 1469 a Firenze da una famiglia di antico nome e decoro, cresce in un ambiente aperto alla cultura. Della sua formazione tuttavia non sappiamo molto, solo che conobbe il latino, la musica, gli autori classici della letteratura italiana, e che assorbì le suggestioni umanistiche. Ricevette la sua formazione nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, in un quadro fine cinquecentesco aperto agli scambi e alle relazioni con il mondo dell’epoca.
Nel 1502 inviato ad Urbino presso Cesare Borgia sente il bisogno di leggere Le Vite di Plutarco, come se dinanzi all’eroe nuovo che gli sta di fronte cercasse anche il colloquio con gli eroi antichi, quelli ritratti da Plutarco. Nel 1498 Machiavelli  è eletto segretario della Repubblica con l’incarico di reggere la seconda cancelleria, con il compito di studiare i problemi amministrativi della Repubblica. Nel luglio del 1500 e nel 1504 è inviato presso Luigi XII, nel 1502  presso Cesare Borgia e nel 1507 presso l’imperatore Massimiliano. Sono di questi anni i primi scritti di Machiavelli, nei quali non è difficile trovare elementi che torneranno con altro spessore nelle opere maggiori: la concretezza e la tensione di uno stile che è tutto cose, la lucidità con la quale vengono messi a fuoco gli elementi della situazione politica presa in esame. La situazione fiorentina degli anni della Repubblica pone in modo particolare, più  che in altri periodi, dei problemi di ordine politico-istituzionale, che animano le riflessioni e i dibattiti dei funzionari e degli intellettuali .I problemi  giornalieri che cadono sotto gli occhi del Machiavelli sono: la repubblica e il principato, la gestione del potere, il nascere e il durare di un assetto istituzionale. Il ritorno dei Medici segna l’emarginazione politica del Machiavelli, che scrive le sue opere maggiori. La ‘rivincita’ dei Medici si colloca all’inizio del secondo decennio del Cinquecento: nel 1512, appoggiati dalla Lega santa, ritornano a Firenze, e nel 1513 Giovanni  de’ Medici (figlio del Magnifico) viene eletto Papa (Leone X): la restaurazione comporta  lo smantellamento dell’assetto politico-amministrativo repubblicano, e il Machiavelli è fra gli ‘epurati’.

 

La lettera sul Savonarola.

Importante è, per conoscere il Machiavelli, considerare la sua lettera sul Savonarola e la sua predicazione, scritta il 9 marzo del 1498. Machiavelli scrive nel momento di declino del frate, ormai prossimo alla sua tragica fine, avvenuta nel maggio 1498. E’ il periodo in cui il Savonarola cerca disperatamente di mantenersi in forza, dopo un lungo dominio sulla vita pubblica fiorentina, in cui era riuscito a sostituire, seppure per breve periodo, alla festaiola e lieta Firenze di Lorenzo il Magnifico quella puritana e rigorista. Il Machiavelli non osserva le vicende del Savonarola sotto l’ottica dell’aspirazione al rinnovamento religioso, ma è unicamente preoccupato dal carattere politico della predicazione e vede nelle profezie solo il mezzo di cui il frate si serve per tenere unito il suo partito e debilitare gli avversari, per cui tutto si riduce per lui ad un mero tentativo di dominio e l’appassionata parola del domenicano diviene “bugia” che si colora a seconda dei tempi. Da ciò si può intuire come per il Machiavelli il fatto religioso è per lui importante solo per le ripercussioni politiche e sociali e va affrontato come problema politico, o meglio puramente politico, senza considerarne implicazioni mistiche e slanci verso Dio, e di cui c’è l’ansia per seguirne gli eventi e di prevederne i futuri sviluppi, e l’urgenza di valutarlo alla luce della Res Publica, onde prendere, se necessario, le contromisure giuste. Si nota il tono secco e netto nel prospettare e valutare le situazioni, la sobrietà incisiva della frase, la forza brutale del giudizio, reciso e senza sfumature.

 

La teoria Machiavelliana.

Nel Discorso fatto al Magistrato de’ Dieci sopra le cose di Pisa  (1499), Machiavelli  cerca di trarre dall’evento determinato una lezione di valore generale e di derivare dal fatto singolo un assioma politico, e quindi percependo di una situazione le possibilità estreme ed opposte, prospettare i rimedi per l’alternativa, trapassando da una soluzione e da un metodo al metodo e alla soluzione opposti, senza compromessi, secondo la logica del “terzium non datur” . Il compromesso appare al politico la soluzione più fallace, che non risolve, ma rimanda il problema, e si rivela inutile. Da qui emerge una concezione lineare, che rifugge dal gioco dell’equilibrio, e sviluppa una politica precisa, tagliente e senza equivoci. A livello teorico, Machiavelli afferma l’immutabilità della natura umana nei secoli da cui scaturisce la validità dell’esempio storico, da cui vanno tratte le lezioni per il presente, tra cui quelle del rapporto tra virtù umana e fortuna. Osservando da vicino Cesare Borgia, il Valentino, il Machiavelli precisò ulteriormente la sua teoria:  sostiene la necessità di avere armi proprie rinunciando alle Compagnie di Ventura, perché sono l’unica speranza efficace per uno stato geloso della sua sorte. Machiavelli non è un puro teorico , inteso a costruire freddamente una teoria politica per così dire " in laboratorio " : le sue concezioni scaturiscono dal rapporto diretto con la realtà storica , in cui egli é impegnato in prima persona grazie agli incarichi che ricopre nella Repubblica fiorentina , e mirano a loro volta ad incidere in quella realtà , modificandola secondo determinate prospettive . Il suo pensiero si presenta così come una stretta fusione di teoria e prassi : la teoria nasce dalla prassi e tende a risolversi in essa .
Alla base di tutta la riflessione di Machiavelli vi é la coscienza lucida e sofferta della crisi che l' Italia contemporanea sta attraversando : una crisi politica , in quanto l' Italia non presenta quei solidi organismi statali unitari che caratterizzano le maggiori potenze europee e appare frammentata in una serie di Stati regionali e cittadini deboli e instabili ; crisi militare , in quanto si fonda ancora su milizie mercenarie e compagnie di ventura , anziché su eserciti " cittadini " , che soli possono garantire la fedeltà , l' ubbidienza , la serietà di impegno ; ma anche crisi morale , perché sono scomparsi , o comunque si sono molto affievoliti , tutti quei valori che danno fondamento saldo ad un vivere civile , e che per Machiavelli sono rappresentati esemplarmente dall' antica Roma , l' amore per la patria , il senso civico , lo spirito di sacrificio e lo slancio eroico , l' orgoglio e il senso dell' onore , e sono stati sostituiti da un atteggiamento scettico e rinunciatario , che induce ad abbandonarsi fatalisticamente al capriccio mutevole della fortuna , senza reagire e senza lottare . Perciò , come hanno dimostrato le guerre che si sono succedute dopo la calata dei Francesi nel 1494 , gli Stati italiani sono prossimi a perdere la loro indipendenza politica e a divenire satelliti delle potenze europee che si stanno disputando il territorio della penisola . Per Machiavelli l' unica via d' uscita da una così straordinaria " gravità de' tempi " é un principe dalla straordinaria " virtù " , capace di organizzare le energie che potenzialmente ancora sussistono nelle genti italiane e di costruire una compagine statale abbastanza forte da contrastare le mire espansionistiche degli Stati vicini . A questo obiettivo storicamente concreto é indirizzata tutta le teorizzazione politica di Machiavelli , la quale perciò si riempie del calore passionale e dello slancio di chi partecipa con fervore ad un momento decisivo della storia del proprio paese . Ignorare queste radici pratiche immediate del pensiero machiavelliano porterebbe a travisarne completamente il senso . Tuttavia quel pensiero non resta limitato a quel campo così contingente , poiché altrimenti non avrebbe la forza di sollecitare ancora tanto interesse : partendo da quella situazione particolare , cercando di dare una risposta immediata ed efficace a quei problemi di traumatica urgenza , Machiavelli elabora una teoria che aspira ad avere una portata universale , a fondarsi su leggi valide in tutti i tempi e tutti i luoghi . Le radici pratiche immediate danno al suo pensiero quel calore , quella passione che lo rendono affascinante e che conferiscono alle sue opere uno straordinario valore letterario , ma poi la sua speculazione assume anche la fisionomia di una vera teoria scientifica . Concordemente Machiavelli é stato definito come il fondatore della moderna scienza politica : innanzitutto egli determina nettamente il campo di questa scienza , distinguendolo da quello di altre discipline che si occupano ugualmente dell' agire dell' uomo , come l' etica . Machiavelli , poi , rivendica vigorosamente l' autonomia del campo dell' azione politica : essa possiede delle proprie leggi specifiche , e l' agire degli uomini di Stato va studiato e valutato in base a tali leggi : occorre cioè , nell' analisi dell' operato di un principe , valutare esclusivamente se esso ha saputo raggiungere i fini che devono essere propri della politica , rafforzare e mantenere lo Stato , garantire il bene dei cittadini . Ogni altro criterio , se il sovrano sia stato giusto e mite o violento e crudele , se sia stato fedele o abbia mancato alla parola data , non é pertinente alla valutazione politica del suo operato . E' una teoria di sconvolgente novità , veramente rivoluzionaria nel contesto della cultura occidentale . Machiavelli ha il coraggio di mettere in luce ciò che avviene realmente nella politica , non di delineare degli Stati ideali " che non si sono mai visti essere in vero " . Proclama infatti di voler andar dietro alla " verità effettuale della cosa " anziché all' " immaginazione di essa " , proprio perché non gli interessa mettere insieme una bella costruzione teorica , ma scrivere un' opera " utile a chi la intenda " , fornire uno strumento concettuale di immediata applicabilità alla politica reale e di sicura efficacia . Oltre al campo autonomo su cui applica la nuova scienza, Machiavelli ne delinea chiaramente il metodo . Esso ha il suo principio fondamentale nell' aderenza alla " verità effettuale " : proprio perché vuole agire sulla realtà ne deve tener conto e quindi per ogni sua costruzione teorica parte sempre dall' indagine sulla realtà concreta , empiricamente verificabile , mai da assiomi universali e astratti . Solo mettendo insieme tutte le varie esperienze si può poi giungere a costruire principi generali . L' esperienza per Machiavelli può essere di due tipi : quella diretta , ricavata dalla partecipazione personale alle vicende presenti , e quella ricavata dalla lettura degli autori antichi . Machiavelli le definisce ( nella dedica del Principe ) rispettivamente " esperienza delle cose moderne " e " lezione delle antique " . In realtà si tratta solo apparentemente di due forme diverse perché studiare il comportamento di un politico contemporaneo o di uno vissuto cento anni fa é la stessa cosa , cambia solo il veicolo della trasmissione dei dati , dell' informazione su cui lavorare , ma il contenuto é lo stesso . Alla base di questo modo di accostarsi alla storia vi é una concezione tipicamente naturalistica: Machiavelli é convinto che l’uomo sia un fenomeno naturale al pari di altri e che quindi i suoi comportamenti non varino nel tempo, come non variano il corso del sole e delle stelle. Per questo ha fiducia nel fatto che, studiando il comportamento umano attraverso le fonti storiche o l’esperienza diretta, si possa arrivare a formulare delle vere e proprie leggi di validità universale. Proprio per questo la sua storia é costellata di esempi tratti dalla storia antica : essi sono la prova che il comportamento umano non varia e che quindi l' agire degli antichi può essere di modello . Per lui gli uomini " camminano sempre per vie battute da altri ", perciò propone il principio tipicamente rinascimentale dell’imitazione: Machiavelli nota che ai suoi tempi l’imitazione degli antichi é pratica costante nelle arti figurative, nella medicina, nel diritto e depreca quindi che lo stesso non avvenga nella politica. Da questa visione naturalistica scaturisce la fiducia di Machiavelli in una teoria razionale dell’agire politico, che sa individuare le leggi a cui i fatti politici rispondono necessariamente e quindi sappia suggerire le sicure linee di condotta statistica. Il punto di partenza per la formulazione di tali leggi é una visione crudamente pessimistica dell' uomo come essere morale : l' uomo agli occhi di Machiavelli é malvagio : non ne teorizza filosoficamente le cause , non indaga se lo sia per natura o in conseguenza ad una colpa originariamente commessa , ma si limita a constatare empiricamente gli effetti della sua malvagità sulla realtà . Gli uomini sono " ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’pericoli, cupidi di guadagno " e dimanticano più facilmente l’uccisione del padre che la perdita del patrimonio: la molla che li spinge é l’interesse materiale e non sono i valori sentimentali disinteressati e nobili. Tra tanti uomini malvagi il principe non deve né può " fare in tutte le parti la professione di buono " perché andrebbe incontro alla rovina: deve anche sapere essere " non buono " laddove lo richiedano le necessità dello Stato. Il vero politico agli occhi di Machiavelli deve essere un centauro , ossia un essere metà uomo e metà animale , deve cioè essere umano o feroce come una bestia a seconda delle situazioni . Tuttavia Machiavelli sa bene come il venir meno alla parola data o l’uccidere spietatamente i nemici per un principe siano cose ripugnanti moralmente: tuttavia se il principe eticamente é malvagio in politica diventa buono, perché uccide per difendere lo Stato e le sue istituzioni; allo stesso modo i " buoni " moralmente sarebbero " cattivi " politicamente perché non ucciderlo e non compiendo azioni malvagie lascerebbe perire lo Stato. Machiavelli quindi non é il fondatore di una nuova morale, anzi, moralmente parlando é un tradizionalista e considera " cattivo " chi uccide o non mantiene la parola data; egli semplicemente individua un ordine di giudizi autonomi che si regolano su altri criteri, non il bene o il male, ma l’utile o il danno politico. E' interessante notare che Machiavelli distingue tra principi e tiranni: principe é chi usa metodi riprovevoli a fin di bene , in favore dello Stato ; tiranno , invece , é chi li usa senza che ci sia necessità . E' solo lo Stato che può costituire un rimedio alla malvagità dell’uomo, al suo egoismo che disgregherebbe ogni comunità in un caos di spinte individualiste contrapposte le une alle altre . Per quel che riguarda il rapporto con la religione, a Machiavelli non interessa nella sua prospettiva concettuale, come contenuto di verità, né tanto meno nella sua dimensione spirituale, come garanzia di salvezza, ma solo ed esclusivamente come " instrumentum regni ", ossia come strumento di governo. La religione, in quanto fede in certi principi comuni, obbliga i cittadini a rispettarsi reciprocamente e a mantenere la parola data: questa era la funzione che la religione rivestiva già ai tempi degli antichi Romani, secondo Machiavelli. Tuttavia nei Discorsi Machiavelli muove anche un biasimo alla religione, accusandola di essere spesso stata colpevole di rendere gli uomini miti e rassegnati , di far sì che essi svalutassero le cose terrene per guardare solo al cielo . La forma di governo che meglio compendia in sé l’idea di Stato per Machiavelli é quella repubblicana, che argina e disciplina le forze anarchiche dell’uomo. Il principato é per Machiavelli una forma d’eccezione e transitoria , indispensabile solo in certi momenti , come quello che l' Italia sta vivendo ai suoi tempi , per costruire uno Stato sufficientemente saldo . La forma repubblicana é la migliore perché non si fonda su un solo uomo, ma ha istituzioni stabili e durature.

 

Il rapporto virtù fortuna

In Machiavelli si delineano due concezioni della virtù : la virtù eccezionale del singolo, del politico-eroe, che brilla nei momenti di eccezionale gravità, e la virtù del buon cittadino, che opera entro stabili istituzioni dello Stato, e che non è meno eroica della prima, come dimostrano tanti esempi della storia di Roma, dove rifulse la virtù di semplici cittadini. Machiavelli ha comunque una visione eroica dell'agire umano. In lui viene a confluire quella fiducia nella forza dell'uomo, che era stata patrimonio della civiltà comunale (si pensi a Boccaccio), ed era stata poi ereditata e consapevolmente teorizzata dalla civiltà umanistica. Ma, proprio sulla scorta di questa tradizione di pensiero, Machiavelli sa bene che l'uomo nel suo agire ha precisi limiti, e deve fare i conti con una serie di fattori a lui esterni, e che non dipendono dalla sua volontà. Questi limiti assumono il volto capriccioso e incostante della fortuna. E' questo un altro grande tema della civiltà umanistico-rinascimentale , che fa anch'esso la sua comparsa sin da Boccaccio . E' il frutto di una concezione laica e immanentistica, che mette tra parentesi la presenza nel mondo della provvidenza , intesa come disegno divino indirizzato consapevolmente a un fine, e porta in primo piano il combinarsi di forze puramente casuali, accidentali, svincolate da ogni finalità trascendente. Dalla tradizione umanistica Machiavelli eredita la convinzione che l'uomo può fronteggiare vittoriosamente la fortuna. Egli ritenne che essa sia arbitra solo della metà delle cose umane, e lasci regolare l'altra metà agli uomini. Vi sono per Machiavelli vari modi in cui l'uomo può contrapporsi alla fortuna. In primo luogo essa può costituire "l'occasione" del suo agire, la "materia" su cui egli può imprimere la "forma" da lui voluta. La "virtù" del singolo e l’"occasione" si implicano a vicenda: le doti del politico restano puramente potenziali se egli non trova l'occasione adatta per affermarle, e viceversa l'occasione resta pura potenzialità se un politico "virtuoso" non sa approfittarne. L'occasione può anche essere una condizione negativa, che serve di stimolo ad una virtù eccezionale. Scrive Machiavelli nei capitoli VI e XXVI del Principe che occorreva che gli Ebrei fossero schiavi in Egitto, gli Ateniesi dispersi nell'Attica, i Persiani sottomessi ai Medi perché potesse rifulgere la "virtù" di grandi condottieri di popoli come Mosè, Teseo e Ciro. In secondo luogo la "virtù" umana si impone alla fortuna attraverso la capacità di previsione, il calcolo accorto. Nei momenti quieti l'abile politico deve prevedere i futuri rovesci, e predisporre i necessari ripari, come si costruiscono gli argini per contenere i fiumi in piena. Si fronteggiano così, nel pensiero di Machiavelli, due forze gigantesche, la fortuna incostante, volubile, e la virtù umana, che è in grado di contrastarla, imbrigliarla, impedirle di far danno, piegarla ai propri fini. La "virtù"di cui parla Machiavelli è quindi un complesso di varie qualità: in primo luogo la perfetta conoscenza delle leggi generali dell'agire politico, ricavate, come sappiamo, sia dall'esperienza diretta sia della "lezione" della storia passata; in secondo luogo dalla capacità di applicare queste leggi ai casi concreti e particolari, prevedendo in base ad esse i comportamenti degli avversari e gli sviluppi delle situazioni, il mutare dei rapporti di forza, l'incidenza degli interessi dei singoli ; infine la decisione, l'energia, il coraggio nel mettere in pratica ciò che si è disegnato: la "virtù" del politico è quindi una sintesi di doti intellettuali e pratiche , che conferma che nel pensiero machiavelliano teoria e prassi non vadano mai disgiunte. Ma vi è ancora un terzo mondo teorizzato da Machiavelli per opporsi alla fortuna, e quindi un'altra dote che concorre a determinare la "virtù" umana: il "riscontrarsi" con i tempi, cioè la duttilità nell'adattare il proprio comportamento alle varie esigenze oggettive che via via si presentano, alle varie situazioni, ai vari contesti in cui si è obbligati ad operare. Ad esempio, in certe occasioni occorre agire con cautela e ponderatezza, in altre con impeto e ardimento, in certi casi occorre l'astuzia della volpe, in altri la forza del leone. E qui compare una nota pessimistica: questa duttilità è una dote altamente auspicabile, ma quasi mai si ritrova negli uomini, che non sanno variare il loro comportamento secondo le circostanze , perché , se hanno sempre avuto buon esito nell' operare in un certo modo , difficilmente sanno adattarsi a ricorrere a moduli diversi ; per cui i politici avranno buon esito solo se le circostanze saranno conformi alle loro doti naturali : cioè la statistica , se sarà cauto e prudente , avrà successo solo se si troverà ad agire in circostanze che esigono prudenza , ma se i tempi variassero , ed esigessero decisioni pronte ed audaci , egli non saprebbe certamente adattarsi ed andrebbe in rovina . Come si vede Machiavelli reintroduce così , pessimisticamente , un fattore di casualità che sfugge al controllo dell' uomo .

Il Principe

Il 10 dicembre 1513, dall’esilio dell’Albergaccio, Machiavelli annunciava all’amico Vettori di aver composto un " opuscolo de principatibus " , in cui si trattava " che cosa é principato , di quale specie sono , come e' si mantengono , perché e' si perdono " . L' indicazione fissa il momento in cui l’opera può dirsi compiuta, ma lascia aperti altri problemi di datazione: in quale periodo sia stata composta, se sia stata scritta unitariamente o in fasi diverse e soprattutto quali siano i rapporti che legano ai " Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio " . Oggi gli studiosi tendono a collocare la composizione tra luglio e dicembre 1513, in una stesura di getto, mentre si ritiene che posteriormente sia stata scritta la dedica a Lorenzo de' Medici e probabilmente anche il capitolo finale che , nel suo carattere di appassionata esortazione a liberare l' Italia dai " barbari " , sembra staccarsi dal tono lucidamente argomentativo del resto del trattato . Per quanto riguarda i rapporti con I Discorsi si é pensato che la stesura di tale opera sia iniziata precedentemente nel corso del 1513 e sia stata interrotta nel luglio per far posto alla composizione del trattatello , che rispondeva a bisogni di maggiore urgenza , agganciandosi direttamente ai problemi attuali della situazione italiana . il Principe é un' operetta molto breve , scritta in forma concisa e incalzante , ma densissima di pensiero . Si articola in 26 capitoli, di lunghezza variabile, che reca dei titoli in latino com’era usanza dell’epoca. La materia é divisa in diverse sezioni. I capitoli I - XI esaminano i vari tipi di principato e mirano a individuare i mezzi che consentono di conquistarlo e di mantenerlo , conferendogli forza e stabilità . Machiavelli distingue tra principati ereditari ( a cui é dedicato il capitolo II ) e nuovi ; questi ultimi a loro volta possono essere misti , aggiunti come membri allo Stato ereditario di un principe ( capitolo III ) o del tutto nuovi ( capitoli IV - V ) ; a loro volta questi possono essere conquistati con la virtù e con armi proprie ( capitoli IV - V ) , oppure basandosi sulla fortuna e su armi altrui ( capitolo VII , in cui si propone come esempio il duca Valentino ) . Il capitolo VIII tratta di coloro che giungono al principato attraverso scelleratezze , e qui Machiavelli distingue tra la crudeltà " bene e male usata " : la prima é quella impiegata solo per stati di assoluta necessità e che si converte nella maggiore utilità possibile per i sudditi ; male usata invece é quella che cresce con il tempo anziché cessare ed é compiuta per l' esclusivo vantaggio del tiranno . Nel capitolo IX si affronta il principato " civile ", in cui cioè il principe riceve potere dai cittadini stessi ; nel X si esamina come si debbano misurare le forze dei principati e nell' XI si tratta dei principati ecclesiastici , in cui il potere é detenuto dall' autorità religiosa , come nel caso dello Stato della Chiesa . I capitoli XII - XIV sono dedicati al problema delle milizie: Machiavelli giudica negativamente l’uso degli eserciti mercenari ( cosa che per altro aveva fatto già Petrarca ), abituale nell’Italia del tempo, perché essi combattendo solo per denaro sono infidi e pertanto costituiscono una delle cause principali della debolezza degli Stati italiani e delle pesanti sconfitte subite nelle recenti guerre ; di conseguenza , per lui , la forza di uno Stato consiste soprattutto nel poter contare su armi proprie , su un esercito composto dagli stessi cittadini in armi , che combattano per difendere i loro averi e la loro vita stessa . I capitoli XV - XXIII trattano dei modi di comportarsi del principe con i sudditi e con gli amici . E' questa la parte in cui il rovesciamento degli schemi della trattatistica precedente é più radicale e polemico , in cui Machiavelli , anziché esibire il catalogo delle virtù morali che sarebbero auspicabili in un principe va dietro alla " verità effettuale della cosa " : poiché gli uomini sono malvagi , avidi , mancatori della fede e violenti , il principe che é costretto ad agire tra loro non può seguire in tutto le leggi morali , ma deve imparare anche ad essere " non buono " , dove le circostanze lo esigano ; deve guardare al fine , che é vincere e mantenere lo Stato : i mezzi se vincerà saranno sempre considerati onorevoli . Sono questi i capitoli che hanno immediatamente suscitato più scalpore, ed hanno attirato per secoli su Machiavelli l’esecrazione e la condanna. Il capitolo XXIV esamina le cause per cui i principi italiani , nella crisi successiva al 1494 ( il crollo della libertà italiana ) hanno perso i loro Stati . La causa per lo scrittore é essenzialmente l’" ignavia " dei principi, che nei tempi quieti non hanno saputo prevedere la tempesta che si preparava ( solo Savonarola aveva avuto l’intuizione ) e porvi i necessari ripari. Di qui scaturisce naturalmente l’argomento del capitolo XXV, il rapporto tra virtù e fortuna, cioè la capacità , che deve essere propria del politico , di porre argini alle variazioni della fortuna , paragonata a un fiume in piena che quando straripa allaga le campagne e devasta i raccolti e gli abitati . L' ultimo capitolo, il XXVI , é , come accennato , un' appassionata esortazione ad un principe nuovo , accorto ed energico , che sappia porsi a capo del popolo italiano e liberare l' Italia dai barbari .

 

Fonte: http://www.parrocchiapoggiosannita.it/documenti/utili/ITALIANO/MACHIAVELLI.doc
Autore: non indicato nel documento

 

 


 

Niccolò Machiavelli

Nicolò Machiavelli

Il Principe è un’opera che cambierà le sorti della politica.
Machiavelli è molto studiato in tutto il mondo.

Lettera a Francesco Vettori (10.12.1513)

In questa lettera Machiavelli descrive la sua giornata-tipo.
Egli viene cacciato da Firenze a causa della congiura e nel 1513 è un uomo politicamente morto.
Machiavelli è uno scrittore asciutto, preciso e poco ridondante.
All’inizio vi è una citazione di Petrarca “la grazia di Dio non viene mai troppo tardi” che è detta in modo ironico per motivare la sua condizione; bisogna tener presente che Francesco Vettori è ambasciatore dei Medici a Roma dal papa Leone X che è anche lui uno dei Medici.
In questo inizio vi è un’amabilità colloquiale.
La Fortuna viene messa in contrapposizione alla virtù.
Machiavelli dice di catturare le tortore e questo è un segno della sua cattiva condizione economica poiché solitamente questa caccia era lasciata ai servi.
Egli, inoltre, conosce molto bene i classici e i meccanismi della politica del presente e del passato (ha girato tutta l’Europa come ambasciatore dei Medici).
Machiavelli discute con i taglialegna che cercano di ingannarlo per ricevere le cataste ad un prezzo migliore; ad es. Frosino di Panzano dichiara che quattro anni prima aveva sconfitto Machiavelli e che gli dovesse ancora 10 soldi oppure una catasta che doveva arrivare intera a Firenze è stata dimezzata durante il percorso.
Allietandosi egli cerca di ovviare alla malignità della sua sorte .
La sera, poi, si toglie i panni pieni di fango e si mette vestiti raffinati; il suo cibo sono i classici che gli trasmettono conoscenza, questo è un riferimento al Convivio di Dante, e dice d’essere nato per quel cibo.
Con questo cibo che lui trae dalle cose antiche, la conoscenza, compone un opuscolo sui principi e i principati (gli Stati e la loro politica) dove lui cerca di andare a fondo discutendo e ragionando su come siano i principati, come si conquistino, come si mantengano e perché si perdano. Il trattato è composto e lui lo sta ripulendo e elaborando.

 

Lo stile e la suddivisione in tre momenti della lettera

  • Introduzione

 

Nell’introduzione Machiavelli cerca l’ironia ma cita frasi celebri.
Un’ironia è l’aggettivo magnifico con il quale indica il Vettori facendo sembrare che lui lavori molto ma non è vero, per lui una sua semplice lettera è una grazia divina ed è dubbioso del perché lui non gli scriva.
In seguito afferma che chi rinuncia ai propri vantaggi per favorire gli altrui finisce con il perdere soltanto i suoi e i servizi resi non gli vengono riconosciuti ossia chi ha il potere deve tenerlo stretto.
Secondo lui la fortuna interviene nelle cose degli uomini ma non si deve interromperla ma lasciarla agire e stare tranquilli aspettando che permetta di far qualcosa agli uomini per agire nel momento opportuno e più propizio.

Riassunto: l’introduzione ha un’alta retorica con intonazione ironica, c’è una sorta di allocuzione iniziale allusiva ad uno scarso prestigio. Poi vi è una citazione che eleva il destinatario ad altezze divine e si fa distinzione fra perduto e smarrito e l’ironia si accentua. Infine vi sono due sentenze, massime, una sui comodi e una sulla fortuna.

  • La vita quotidiana

La vita quotidiana può essere divisa in tre momenti: vita nel bosco, l’osteria e il colloquio con gli antichi uomini.
In tutta questa seconda parte vi è la centralità dell’io narrante ovvero si sottolinea la personalità (soggetto che agisce, attivo).
Machiavelli accentua i passaggi usando dei costrutti con il participio passato.

  • Bosco
  • Il tono è colloquiale.
  • Machiavelli uccella a tordi che è un tipo di cacciagione dei servi perché i nobili cacciavano con il falco.
  • Scrive in modo ironico ma alza lo stile paragonandosi a Geta.
  • Lui ha bisogno di soldi ed è per questo motivo che vende la legna ad altri.  Egli fa notare come i boscaioli hanno sempre da litigare (sciagura di mano) e lui osserva le liti con grande attenzione ed addirittura potrebbe fare molti esempi (osserva e trae esperienza per parlare di cose più complesse). Ricava da queste persone un’esperienza di vita.
  • I boscaioli tentano di fregarlo.
  • Va alla fonte vicino alla quale c’è un bosco nel quale lui caccia e mentre rimane nascosto legge le storie d’amore.
  • Poi si trasferisce all’osteria dove parla e s’informa; non si alteggia da alto locato e non disprezza gli umili.
  • Mangia con la sua brigata (famiglia) accontentandosi del poco che ha.
  • Ritorna all’osteria dove c’è l’oste, un macellaio, un mugnaio e due panettieri.

 

  • Osteria
  • Si ingaglioffa con persone simili.
  • Gioca e dal gioco nascono mille contese.
  • Rianima il suo cervello e sfoga la malignità della sua sorte.
  • Immerso in queste cose volgari impedisce al suo cervello di ammuffire e secondo la sua triste sorte è contento che lo calpesti per vedere quale vergogna si prova; anche se è convinto che la sorte muta.
  • Colloquio con gli antichi
  • Si libera dell’ingoffagliamento per vestire le vesti delle corti raffinate.
  • Parla con gli antichi come parla all’osteria.

 

Anacoluto = frase che presenta un errore grammaticale (riga 82-83)

  • Legge cercando delle risposte.
  • Tra le sue preoccupazioni vi sono la morte e la povertà.
  • Dal passato ricava l’esperienza per capire il presente.
  • Scrive un libretto: il Principe che tratta dei nuovi principati, di che genere sono, come si acquistano, come si fa a non perderli o come si perde.

 

Ghiribizzo -> in realtà è un libro che cambia le sorti della cultura politica.

 

  • Parte finale

Nella parte finale si trovano molte parole legate al dubbio.
Machiavelli, inoltre, afferma di voler ritornare alla vita politica e rivendica il fatto di essere stato sempre fedele ai Medici chiedendo loro un impiego qualsiasi.
Il registro poetico è un‘invocazione dignitosa ed il tono è serio e grave [vocabolario del dubbio].

Dedica a Lorenzo de’ Medici

à Ritrova nella dedica a Lorenzo de’ Medici dei parallelisimi con la lettera a Francesco Vettori.
Acquistare grazia: in tutte e due i testi Machiavelli vuole acquistarsi la stima dell’interlocutore per poter tornare a Firenze.
Situazione economica: descrive la sua situazione economica precaria da una parte parlando della caccia a tordi e dei boscaioli e dall’altra affermando di non avere nulla di più prezioso da donare che il suo libello (“non ho trovato niente, intra le mie suppellettile”).
Descrizione del contenuto del Principe: nella lettera Machiavelli fa un riassunto del contenuto mentre nella dedica spiega come ha utilizzato il linguaggio.
Mala sorte/fortuna avversa: Machiavelli scrive in tutti e due i testi che l’interlocutore ha fortuna mentre lui no e dice che l’altro potrà conoscere le sue disgrazie e la sua mala sorte in un caso leggendo la descrizione della sua giornata e nell’altro leggendo il Principe.
Discorsi politici: egli afferma che prima di fare discorsi politici bisogna conoscere il popolo.
Ironia: in tutti e due i testi risalta il suo stile ironico.
Conoscenza dei testi antichi: Machiavelli ha una lunga esperienza delle cose moderne e riceve una continua lezione da quelle antiche (“quel cibo che solum me mio et che io nacqui per lui”).

 

La vita di Machiavelli

 L’aggettivo machiavellico significa comportamento politico, morale, astuto e infido che si ispira ai principi individuati da Machiavelli (ogni mezzo è lecito per raggiungere il fine).
à Non vi è più un agire morale ossia tendere verso il bene evitando il male.
à Il Principe viene diffuso e discusso in tutta Europa.
Machiavelli è il fondatore della politica moderna e colui che scopre che l’attività politica è un’attività umana autonoma.
Egli nasce a Firenze nel 1469; riceve una formazione umanistica anche se non conosce il greco e assiste alla crisi di Firenze.
à Nel 1494 i Medici vengono scacciati e nel 1498 Savonarola viene bruciato.
Dopo il 1498 Machiavelli inizia la sua attività entrando al servizio della Repubblica come segretario (Il Segretario), poi fa 10 anni di Balia, compie missioni diplomatiche, osserva attentamente gli eventi e gli vengono affidati incarichi di vario tipo (amministrativi e militari).
àLui sostiene che se vogliono un esercito forte per Firenze lo devono formare loro e non deve essere composto da mercenari (nei suoi scritti riporta sempre al fatto politico e consiglia a Firenze di munirsi di armi).
Il servizio pubblico dura 15 anni durante i quali rimane a contatto con molti personaggi di spicchi e con varie problematiche; egli prima di fare una conclusione conosce gli eventi.

In esilio

  • 1512 a Firenze rientrano i Medici e lui viene esiliato
  • 1513 viene accusato di congiura e si ritira in campagna durante la tregua concessa per festeggiare l’elezione del papa mediceo Leone X
  • 1521 può riprendere la sua attività e gli viene affidato il compito di scrivere l’Historie Fiorentine.

Durante l’esilio egli ha una vivace corrispondenza con Vettori e Guicciardini.
Stesura e elaborazione del Principe (v. pag 39): il nuovo principe agisce anche in maniera immorale pur di mantenere lo Stato.

 

Discorsi sulla prima deca di Tito Livio

  • L’elaborazione del testo dura anni.
  • Leggeva parti e interpretava la storia antica traendone lezioni politiche valide per il presente.
  • Viene pubblicato dopo la sua morte (1531).
  • In questo libro vi sono divagazioni, riflessioni e chiarimenti.
  • Il libro è a sua volta diviso in tre parti:
  • politica interna: importanza delle tensioni interne e della lotta politica interna per la vitalità di uno Stato
  • politica estera: ribadisce le sue idee sulla guerra
  • misto: trasformazione delle repubbliche.

 

Arte della guerra

1519-1520 è l’unica sua opera pubblicata quando era ancora vivo.

Mandragola

Vedi pagine 41-42.

Il Principe

Grazie alla lettera al Vettori del 10.12.1513 si può capire che il trattato è composto mentre con il capitolo 26 si intende che non può essere stato scritto dopo il 1514.
L’edizione critica del Principe risale al 1994 ed è a cura di Giorgio Inglese.
Dionisotti afferma che il Principe è stato scritto di getto mentre altri ritengono che il Principe è stato scritto in due parti prima I-XI e poi il resto.
à tradizione manoscritta: codice D (Monaco), codice G (Gotha) e codice Y (antica vulgata) sono alla base dell’edizione critica di Inglese
à 4.1.1532 prima edizione a stampa
Il testo nella prima versione è dedicato a Giuliano de’ Medici ma poi Machiavellli nel 1513 cambia la dedica e scrive quella a Lorenzo de’ Medici (nipote di Lorenzo il Magnifico).
Perché cambia la dedica?
Egli la cambia molto probabilmente perché cambia la prospettiva politica ossia Lorenzo nel 1516 diventa duca di Urbino.

Perché Machiavelli scrive l’opera?

Urgenza di trovare per Firenze un principe (motivazione intrinseca).
Il dibattito filosofico attorno al tipo di Stato era diffuso e c’era chi sosteneva un principato e chi la repubblica; Machiavelli sosteneva un principato civile ma autoritario.

 

Suddivisioni del Principe

Il discorso va distinto nei vari tipi di principati: sui modi nei quali si acquista, come si mantenga e come si perda.
Prima parte

I à distinzione dei vari tipi di pincipato
II-V à principe antico ossia colui che eredita il principato
VI-IX à principe nuovo
X-XI à principati ecclesiastici

Seconda parte

XII-XIV à ordinamento militare (critica verso i mercenari)
XV-XXIII à governi di un principe
XXIV-XXVI à rivoluzioni d’Italia

Nella dedica vi sono due presupposti fondamentali:

  • la lunga esperienza delle cose moderne
  • continua lezione delle cose antiche

Perché è un opera così fondamentale?
Perché il Principe presenta una sostanziale novità; per la prima volta la politica è considerata come una cosa a se senza essere collegata a istanze metafisiche, religiose di ordine morale. Si studia l’uomo e si studiano i fatti per porre delle regole alla storia, non si dice bisogna agire per il bene ma bisogna che questo sia utile al principe.
Ciò che Machiavelli propone è caratterizzato da due fattori:

  • prudenza ossia la visione lucida della realtà politica
  • armi ossia l’esercito che difende.

Per lui il potere politico corrisponde a realtà concrete e non ha nulla di divino.

 

Rapporto fra virtù e fortuna

Virtù: capacità che ogni essere umano possiede.
Fortuna: mutamento incontrollabile degli eventi.
Il campo di scontro fra questi due concetti è la politica; la virtù non è più in campo morale ma è agire e perseguire il proprio fine in circostanze propizie mentre la fortuna è il caso.

 

Dalla dedica

Cerca di imbonirsi il principe tramite regali à lui offre la consapevolezza e le sue conoscenze à dona il Principe.
Il Principe è la concentrazione in poche parole di tanti anni di studio.
L’immagine del cartografo indica che uno deve essere fuori dal principato per parlare di questo inoltre vi è una velata ironia poiché Machiavelli è consapevole che Lorenzo non ha molte doti politiche.
Nella dedica vi è la volontà di rimettersi sulla breccia.

 

I: Vari tipi di principato

Procedimento dilemmatico

Per ogni argomento Machiavelli propone due soluzioni distinte nettamente e ognuna si può ancora dividere (non c’è una via di mezzo) [stile asciutto]; ogni scelta politica è estrema.
Si tratta a livello scientifico lo studio della politica con uno stile conciso (dire con la minima superficie verbale il massimo contenuto).
Stato può significare o governo o dominio (città attorno a Firenze).
Il primo capitolo introduce alla materia e vengono subito messi in evidenza fortuna e virtù.
La virtù indica una capacità creativa, decisionale; la virtù è quella capacità che consente all’uomo di intervenire sulla realtà per realizzare i propri fini (virtuoso è chi è forte e scaltro). Il termine virtù non ha niente a che vedere con la virtù morale ossia con la rettitudine ma si riporta alla virtus latina ovvero alla forza, al valore militare e alla fierezza.
La fortuna indica l’insieme dei condizionamenti che la realtà impone all’individuo; è sempre imprevedibile e va al di la del calcolo razionale umano.
Per Machiavelli virtù e fortuna sono antagoniste.

Francesco Sforza: 1401-1466, ha ereditato dal padre una compagnia di ventura. Nel 1434 viene nominato Signore della Marca e nel 1450 diviene duca di Milano dopo aver sconfitto la repubblica Ambrosiana. Nel 1441 ha sposato l’unica figlia del Visconti. Egli viene citato come esempio di virtù poiché ha una grande abilità strategica. Questo personaggio è molto ammirato da Machiavelli e viene presentato come principe nuovo.
Re di Spagna: Ferdinando il Cattolico si allea con il re di Francia e poi sconfigge l’Aragonese, viene nominato re di Napoli nel 1504 (aggiunge un membro al regno).
Nel primo capitolo passa in rassegna i temi che poi verranno sviluppati.

II: Principati ereditari

Sono facili da mantenere.
Machiavelli da due consigli:
- non trascurare gli ordinamenti dei propri antenati (i sudditi sono abituati)
- temporeggiare ossia riuscire ad adeguarsi alle situazioni e sapere indugiare.
Chi eredita questo tipo di potere deve usare meno forza ed è più probabile che sia ben voluto e amato.
Ogni mutamento crea un certo malcontento che è la base del prossimo mutamento.

III

L’ascesa ai principati misti è più complicata.
Lo scontro armato può causare un malcontento che porterà le persone offese ad una insurrezione nel futuro se il principe non si comporta virtuosamente.
Misto: una parte ereditata e l’altra di recente acquisizione.
Quale esempio porta Luigi XII che occupò nel 1499 il ducato di Milano. Dopo l’occupazione Ludovico Sforza si è rifugiato in Germania e pochi mesi più tardi riconquista la città perché i milanesi si ribellano.

à Gli uomini devono essere o beneficati o messi nella condizione di non nuocere (non c’è via di mezzo) cioè il principe dopo aver scelto fra le due possibilità non può più tornare indietro.
La gente è subito pronta a cambiare.

 

I consigli di Machiavelli

  • il dominatore dovrebbe conoscere bene la lingua dello Stato conquistato
  • deve estinguere la stirpe conquistata
  • deve rispettare le leggi e i dazi che sono in vigore
  • dovrebbe andarci ad abitare
  • non deve entrare nessun forestiero che è più forte di lui
  • costruire una sorte di colonia.

 

IV

Dario è il re di Persia che dopo la morte di Alessandro riesce a riconquistare i territori toltigli (attorno al 300 a.C.).


Governati
 


assolutisticamente                                                                             con i Baroni

 

difficili da conquistare ma                                                                facili da conquistare ma
facili da mantenere (Turchi)                                                  difficili da mantenere (Francia)

Se il re non mantiene unite le parti del regno è la morte dello Stato (frammentazione al posto di unione).

 

V: Come governare i territori conquistati

 

                                   Vi sono tre possibilità per mantenere il potere
 

 


ruinarli                                    andarvi ad abitare                      non modificare il loro                     
                                                                                                              assetto creando un
governo oligarchico
sconfiggerli militarmente e politicamente

I tiranni, precedenti a Machiavelli, non avevano uno schema da seguire ed è per questo che sbagliavano.
à Ci si avvia a poco a poco nel discorso sui principati nuovi per i quali Machiavelli fa l’esempio di Cesare Borgia [Montalban, O Cesare o nessuno, Storia della famiglia Borgia].
Machiavelli da dei consigli a chi vuole conquistare degli Stati già costituiti.

VI: Principati nuovi che si acquistano con le armi proprie o con la virtù

Machiavelli dice che i nuovi Stati si costituiscono o con la virtù o con la fortuna.
La virtù è la maniera più opportuna di agire seguendo le circostanze propizie ciò che è determinante è che l’uomo può agire sulla storia modificandola a proprio favore secondo occasioni propizie.
La fortuna è il mutamento casuale e incontrollato degli eventi; questa può avere effetti positivi o negativi.
à cfr. Dante inf. VII: l’uomo per Dante accetta il suo destino e agisce di conseguenza mentre Machiavelli afferma che nei momenti propizi l’uomo agisce e muta gli eventi
Non bisogna affidarsi alla sorte.
Generalmente uno Stato che si mantiene con la fortuna dura meno, oltre alla fortuna è determinante l’occasione.
Gli esempi di vie virtuose sono: Mosè, Ciro, Savonarola.

VII

Un principe (Cesare Borgia) che approfitta del potere politico acquistato dal padre che a sua volta aveva pagato i cardinali per diventare papa. Certamente non è un esempio di virtù morale cattolica ma diventa interessante per Machiavelli (si vede come virtù morale e la virtù di Machiavelli siano due cose diverse). Si studia un uomo risoluto che viene trattato come esempio.

Perché diventa interessante?

  • I principati acquisiti per fortuna sono difficili da mantenere perché uno rimarrà principe solo se saprà mantenere il suo Stato con la virtù politica.
  • Vi sono due esempi: Sforza e Borgia; Sforza fa molta fatica a diventare duca di Milano ma conserva il potere mentre Borgia si affida alla fortuna del padre e cade a causa di una straordinaria malignità di fortuna (muore Alessandro VI, suo padre). Machiavelli ammira la virtù del duca Valentino.
  • La politica di Alessandro VI per fare grande il duca Valentino ha successo grazie a una favorevole situazione interanzionale.
  • Vi sono due ostacoli: affidarsi a milizie infide e l’opposizione della Francia.
  • In Romagna vi erano molti Signori; la ripulisce grazie a Ramiro de Lorca che poi fa uccidere e lo espone in due pezzi sulla piazza.
  • Rimane il problema della Francia e di conseguenza aveva cercato di stringere nuove alleanze.
  • Il problema è come conservare lo Stato in futuro quando, morto il padre, vi sarebbe stato un papa avverso:
  • eliminare la discendenza ai quali ha tolto dominio
  • tirar dalla sua parte l’aristocrazia romana
  • avere massima influenza sul Collegio cardinalizio
  • acquistare tanto potere da riuscire a resistere a un impeto anche con le sue forze.

      Ma il padre muore e manda all’aria i suoi progetti.
8.   Machiavelli ricava le sue conclusioni e da norme da imitare: è il modello di principe
nuovo. La rovina totale di Borgia fu causata da un suo grave errore: permise l’elezione
di Giulio II della Rovere al soglio pontificio.

Testo

à Soltanto un uomo con la virtù politica può comandare.
à Bisogna riuscire ad avere una radice unitaria.
à In una lettera al Vettori del 1515 Machiavelli scrive che avrebbe imitato il suo operare se fosse stato un principe nuovo.
à Straordinaria e estrema malignità di fortuna.
à Giulio II aveva promesso, prima del Collegio, di rendere il duca Valentino gonfaloniere generale della Chiesa e di reintegrarlo nel dominio della Romagna.
à I verbi hanno delle oscillazioni poiché la lingua non è ancora codificata (12 anni dopo Pietro Bembo la codifica).

 

Analisi del libro

Lo Stato viene visto come un organismo vivente (metafora), qualcosa che muta; le radici devono essere solide per poter reggere tutto il peso.

Strage di Senigallia

Il duca Valentino ha convocato i capi delle terre che stava conquistando non per negoziare con loro ma per ucciderli.

Dieci regole per conquistare

  • Assicurarsi i nemici
  • Guadagnarsi amici
  • Vincere o per forza o per frode
  • Farsi amare e temere dal popolo
  • Farsi seguire e riverire dai soldati
  • Spegnere chi ti può offendere o deve farlo
  • Innovare gli ordini antichi
  • Essere severo e garto, magnanimo e liberale
  • Spegnere la milizia infedele e crearne una nuova
  •  Mantenere l’amicizia dei principi e dei re in modo che ti abbiano a beneficare con grazia o a offendere con rispetto

 

VIII: Di quelli che per scelleratezze sono pervenuti al principato

Si cita l’esempio di Agatoche Siciliano (tiranno di Siracusa) che riuscì a diventare tiranno con al violenza e a mantenere il suo potere contro i Cartaginesi; lui è un esempio di grande crudeltà, scelleratezza, ma nello stesso tempo virtuoso di come si evitano i pericoli e di come si superano le avversità.
Nell’ultima parte del capitolo egli dedica spazio ad Alessandro VI.
L’ottavo capitolo focalizza l’aspetto della crudeltà: come la si utilizza ai fini di raggiungere il potere.

IX: Al principato civile

 In un principato civile si diventa principe con l’aiuto del popolo e dei grandi.
[umori: fluidi corporei]
Si spiega un avvenimento politico con una metafora del corpo umano.
Due esempi di come sia difficile acquisire virtù e combattere la fortuna: Gracchi e Spartani.

X: In che modo si debbono misurare le forze di ogni principato

La forza di un principato si misura con l’esercito ma questo deve essere proprio. Bisogna fortificare la terra per prevenire un attacco o scoraggiarlo.
Machiavelli prende come esempi le città tedesche che potrebbero resistere per settimane tra le proprie mura e nessuno oserebbe mai conquistarle.

 

XI: Principati ecclesiastici

I principati ecclesiastici si mantengono senza fortuna o virtù visto che sono sostenuti da questi ordini antichi di natura religiosa. Si fa riferimento a tutte le guerre dello Stato pontificio con gli Stati confinanti.
à Quasi tutti questi capitoli parlano di principati mentre nella seconda parte del libro si sottolinea la figura del principe.

XII: Di quante ragioni sia la milizia e i soldati mercenari

Machiavelli critica l’uso di armate mercenarie, ausiliarie o miste.
Ad esempi cita gli Svizzeri.
I mercenari sono soldati guidati da un condottiero che stipula un accordo e che viene pagato mentre gli ausiliari sono soldati non preparati.
Gli Svizzeri secondo Machiavelli sono un esempio negativo però fanno la guerra fuori dal loro Stato e sono, dunque, liberi.
Machiavelli è contro perché: manca la disciplina, la morale (si vendono al miglior offerente) e non sono attaccati al territorio.

XIII: Distinzione dei tre ordini militari [mercenari, ausiliari e propri]

Machiavelli è favorevole agli  eserciti propri.
La sua conclusione è:
ogni principe deve coltivare l’arte della guerra e confidare esclusivamente sulle armi proprie.

XIV: Quello che s’appartenga ad un principe circa la milizia

Machiavelli afferma che un vero principe non deve avere altra preoccupazione che l’interesse per l’arte della guerre e gli raccomanda di leggere e imitare le storie degli uomini antichi eccellenti.

XV: I motivi di lode o di vituperio per i principi

Verità effettuale: parola chiave di questo capitolo.
Fonda la scienza politica moderna: vi è un modello di Stato che si immagina e poi ciò che si vede.

  • leggi politiche separate da quelle morali

Testo
à Calarsi nella realtà concreta su come un principe deve governare.
à Molti hanno immaginato un modello che non esiste.
à Se è necessario bisogna essere cattivi.

Analisi

Machiavelli inserisce nuove parole: effettuale (attribuito alla verità) con cui sottolinea l’oggetto della sua ricerca che è la realtà vera.
Fa un’analisi costruita sulla realtà e non sull’utopia: solo la realtà consente di analizzare la politica.
Contrasto fra essere e dover essere: il principe deve imparare a essere cattivo se è necessario.
Il principe deve possedere virtù e vizi per mantenere uno Stato. [virtù politica vuol dire agire per mantenere il potere, vizi sono difetti]
Machiavelli fa una diversa distinzione: un principe dovrebbe avere tutte le qualità positive ma visto che la realtà è un’altra bisogna che se per mantenere lo Stato deve essere crudele lo sia.
Vi sono tre categorie di vizi:

  • vizi che fanno perdere lo Stato
  • vizi indifferenti
  • vizi necessari alla conservazione dello Stato, questi sono da coltivare.

Certe virtù son rovina e certi vizi saranno il suo bene.
Il capitolo XV è il capitolo che segna una svolta.

Perché questo capitolo è considerato il più importante del principe?

Dopo aver trattato i vari tipi di principato qui si apre una nuova sezione dedicata al modo di comportarsi del principe con i propri sudditi. È centrale perché contiene la più lucida enunciazione del metodo che sta alla base dell’opera di Machiavelli.
Machiavelli si rende conto di avere un approccio diverso rispetto agli autori precedenti; egli si allontana dalla tradizione del pensiero politico precedente (il principe deve agire secondo la morale).
Egli vuol scrivere “cosa utile a chi la intenda”, vuole fornire un’opera “militante” che abbia immediata incidenza pratica, un’opera che possa essere d’aiuto al principe che vuole fondare lo Stato dove non esiste (Italia).
à Non vi è spazio per un’ideale, un’immaginazione, bisogna misurarsi con la realtà concreta.
Per costruire uno Stato ideale bisogna partire dal presupposto che l’uomo è buono e onesto cosa non vera. Le sue affermazioni sono rivoluzionarie perché il campo politico si distingue da quello morale, tutta la tradizione precedente aveva subordinato la politica alla morale ( si giudicava l’agire di un uomo di Stato in base alla morale).

Perché arriva a queste conclusioni?

Dice che se è bene moralmente può essere politicamente dannoso. Il politico deve essere pronto ad agire anche usando metodi riprovevoli come spegnere i nemici e mancare alla parola data (non morale ma politicamente efficace).
Da questo testo emerge una sorta di pessimismo sulla natura umana: vi è la convinzione che gli uomini siano malvagi, il vero essere non coincide con la realtà effettuale (questa è una constatazione di fatto immanente e laica).
L’affermazione segna una svolta di portata straordinaria per il pensiero moderno; di colpo si supera tutta la tradizione medievale e quattrocentesca. L’agire politico dell’uomo può essere valutato con principi propri ed è una condizione necessaria perché possa nascere uno studio scientifico dai fatti  politici.
Verità effettuale e immaginazione, qual è il metodo?

Vuole partire dall’esperienza, dalla realtà così com’è, secondo un metodo induttivo.
metodo induttivo à legge e applicazione
metodo deduttivo à partire da condizioni per arrivare a leggi
Machiavelli non procede con principi universali ma  parte da dati empirici e ne ricava le leggi generali.
L’immaginazione è il procedere da dati generali quindi applica una distinzione fra verità effettuale e immaginazione.
L’osservazione diretta della realtà è il fondamento del pensiero scientifico moderno.
Sulla base di questi temi Machiavelli indica tutta una serie di virtù e che il principe deve adottare.

 

XVII: Della crudeltà e pietà e s’elli è meglio esser amato che temuto,
e più tosto temuto che amato

Cesare Borgia: è stato crudele e lo Stato politico è la rappacificazione della Romagna grazie alla crudeltà.
I fiorentini sono stati pietosi con i pistoiesi e hanno mandato in rovina la città (crudeltà e morte).
Ha una visione utilitaristica e non morale.
Il sedicesimo capitolo dice che il principe deve essere sia liberale che parsimonioso a seconda dell’occasione, afferma il vantaggio della parsimonia sulla liberalità.
Si serve di una citazione dotta per rafforzare la sua teoria.
Egli fa un esempio storico a tutti gli effetti che trae dalla continua lezione delle cose antiche.
L’amore degli uomini è solo fittizio; è meglio essere temuto che amato (si ribadisce il pessimismo sulla natura umana).

XVIII: Il principe e la lealtà

Un principe deve mantenere la parola data?

A volte questo non corrisponde alla realtà  effettuale [si vede dall’esperienza; è un dato empirico].
Usare, nel tempo opportuno, le qualità della bestia (forza, ferocia) e quando conviene quelle dell’uomo (razionalità).
Machiavelli fa l’esempio del Centauro, mezzo uomo e mezzo bestia, Chirone che è stato maestro di Achille.
Un principe deve sapere usare tutte e due le nature e una senza l’altra non funziona; deve essere leone e volpe. Se un principe è costretto deve ispirarsi alle qualità della volpe e alla natura del leone.
Il principe deve essere dinamico e deve agire di conseguenza.
Qui Machiavelli inserisce un altro esempio, quello di Alessandro VI che coglie l’occasione propizia e a dipendenza dell’occasione deve, a volte, andare contro a ciò che è bene; di conseguenza conta più l’apparire che l’essere (un altro esempio è Ferdinando il Cattolico che predica la pace e la lealtà ma è nemico).

Introduzione

Machiavelli ha un realismo aspro e spregiudicato così rovescia il punto di partenza.
Il fine è sempre quello di mantenere lo Stato.

 

Commento

Vi sono due modi di combattere o con le leggi o con la forza, il principe deve sapere usare i due aspetti.
Egli non cerca di collegare la politica alle norme ma prende coscienza della vera forza della politica; c’è una necessità di azione che non può essere arbitraria.
Machiavelli compie un ragionamento in parte deduttivo e in parte induttivo.

 

 

 

XIX: In che modo si abbia a fuggire l’essere disprezzato e odiato

Si afferma che il principe debba evitare di essere odiato presso i sudditi e non deve essere un usurpatore rapace delle cose altrui. Deve cercare di non farsi odiare mantenendo i principi cardine del principe.
Machiavelli fa esempi di imperatori che non hanno saputo fuggire l’odio.

XX: Se le fortezze (…) sono utili o no

Il principe deve armare i suoi sudditi perché così diventano partigiani mentre se li disarma può causare odio.
Si afferma che nessuna milizia mercenaria può difendere dai principi potenti o dai sudditi sospetti e che bisogna avere un esercito proprio.
Egli dice che non serve nessuna fortezza se c’è l’odio dei sudditi ossia il peggior nemico.

XXI: Che si conviene a un principe perché sia stimato

Si fanno vari esempi sul perché un principe debba condurre grandi imprese e dare prova di magnificenza. Si dice che è utile che un principe si schieri apertamente in favore di un potentato rispetto a rimanere neutrale perché chi vince non vuole amici sospetti e chi perde non ti riceve per non aver voluto con le armi in mano correre la fortuna sua (la via neutrale è rovinosa).
Se un principe deve allearsi non si deve alleare con uno più potente di lui.
Il principe deve mostrare ai sudditi che incoraggia le loro attività.

XXII: Dei segretari che i principi hanno presso di loro

Machiavelli afferma che è impossibile scegliere le persone giuste e che un principe è giudicato per le persone che gli stanno attorno.
Tre gradi dell’ingegno: uno capisce da solo (eccellentissimo), uno capisce gli altri (eccellente) e uno non capisce ne sé ne gli altri (inutile).

XXIII: In che modo si abbiano a fuggire gli adulatori

Viene spiegato quali falsi consiglieri il principe debba cacciare.
Poi si afferma che un principe prudente sceglie uomini saggi, di fiducia poi ascolta il loro consiglio ma sceglie in completa autonomia.
Gli adulatori, invece, spingono il principe ad agire e a mutare di parere.

XXIV: Per quali ragioni i principi d’Italia hanno perso i loro Stati

C’è una critica ai principi italiani e alla precaria situazione politica italiana. È necessario avere: un solido ordinamento politico e costituzionale, un’adeguata forza militare, agire con azione magnanime che procurino onore, stima e ammirazione. Secondo Machiavelli i principi italiani hanno agito con ignavia, inefficienza e arriva alla conclusione che i mali d’Italia non nascono da una fortuna avversa ma dagli errori commessi dai principi (assenza di virtù).
I termini di virtù e fortuna vengono inseriti nella prospettiva di una precisa integrazione storica.

 

XXV: La fortuna

In Italia non vi è uno Stato unitario; è opportuno che il principe nuovo ristabilisca l’unità (l’ultimo capitolo esorta la liberazione dell’Italia dal barbaro dominio).
Virtù = capacità attiva e volitiva dell’uomo
Come si fa ad andare contro il destino avverso? (cfr. Dante VII, Dante afferma che bisogna accettare) Può l’uomo modificare il proprio destino?
Machiavelli aveva composto già in età giovanile una poesia sulla fortuna.

Testo

Non è sconosciuto che c’è una fatalità (tesi fatalistica).
â Il nostro libero arbitrio è ovviamente metà governato dalla fortuna e metà da noi.
La fortuna viene paragonata a un fiume rovinoso (evento non prevedibile) contro il quale l’uomo non può fare nulla ma quando questo è quieto può costruire argini per agire contro il destina avverso.
La fortuna sottomette dove non è presente la virtù.
à stilisticamente Machiavelli parte dal generale per poi andare nello specifico
â Come si spiega che un principe che non si occupa del suo comportamento ottiene per un po’ successo e per un po’ rovina? Questo accade perché appoggiando tutto sulla fortuna va in rovina quando questa cambia.

Teoria del riscontro

Ogni uomo si attiene a comportamenti legati alla sua inclinazione naturale ed è quasi impossibile che sappia modificare la sua natura a seconda delle necessità.
Chi è per natura impetuoso tenderà ad usare forza e violenza anche dove dovrebbe mediare e ciò vale anche per il cauto.

Il fattore che determina il successo è saper usare o l’una o l’altra ma usarla cercando di capire il tempo. Ha successo chi combatte in una situazione che richiede le doti di cui è fornito.
L’esempio portato è quello di Giulio II che voleva ampliare lo Stato vaticano ed ha agito con dinamismo e ha conseguito gli obbiettivi.
Un’altra metafora è quella della fortuna vista come donna: bisogna batterla per farla stare zitta.

Commento

Le circostanze storiche mutano ed è opportuno trovare l’occasione propizia anche se non è facile perché si sa che l’uomo non può deviare da ciò per il quale la natura lo inclina.
Se l’uomo sapesse adattarsi a ogni tempo la fortuna non muterebbe.
La fortuna varia mentre la natura degli uomini è immutabile e quindi è meglio essere impetuoso che rispettoso visto che la fortuna è come una donna e può essere tenuta con al violenza.

Elementi metaforici

L’immagine del fiume in piena sottolinea la forza distruttiva della fortuna; la fortuna è qualcosa di incontrollabile (l’uomo può limitare i suoi effetti devastanti?).
L’immagine della donna riprende una tradizione consolidata di misoginia (odio verso le donne) che vede nella donna un’irrazionalità istintiva, una volubilità capricciosa e bisogna picchiarla affinché stia zitta.
Si passa ad un’immagine meno tragica della prima ossia riporta a un aspetto di vita quotidiana. I connotati della fortuna sono meno tragici: l’incontenibile violenza della fortuna viene ridotta a una “piccola” violenza quotidiana.
Viene mostrata l’efficacia della virtù e le sue possibilità costruttive (da un lato costruire argini mentre dall’altro un giovane impetuoso è capace di ottenere la sottomissione della sua amante).

 

Fonte: http://www.myskarlet.altervista.org/Scuola/Machiavelli.doc

Autore: non indicato nel documento di origine

 

N. MACHIAVELLI (1468-1527)

LA VITA
Machiavelli nacque a Firenze nel 1469 da famiglia di antica nobiltà. Non si hanno notizie sui suoi primi anni di vita, ma certo fece studi umanistici e si formò sui classici latini. In seguito alla morte di Savonarola, che aveva retto Firenze dopo la morte del Magnifico, Machiavelli poté diventare segretario della magistratura dei “Dieci di libertà”, ottenendo ruoli di responsabilità civile e militare durante il mandato di Pier Soderini. Molto intensa fu la sua attività diplomatica, con viaggi frequenti in Italia e all’estero. Nel 1500 fu in Francia presso Luigi XII, poi presso Cesare Borgia, figlio del papa Alessandro III, che si stava creando una signoria autonoma nell’Italia centrale.  Nel 1510 si recò nuovamente in Francia per comporre i dissidi sorti tra la Santa Sede e Francia, ma nel 1511 la situazione si aggravò  e Firenze, che si era alleata con i francesi, dovette subire il ritorno della signoria dei Medici (1512), sostenuti dalle forze vittoriose del papato e degli spagnoli. Machiavelli fu così costretto a lasciare la città ma nel 1513, sospettato di aver partecipato ad una congiura antimedicea, fu imprigionato e torturato. Rimesso in libertà si trasferì in una sua villa a S. Casciano, dove scrisse le sue opere più importanti, tra cui Il Principe.
Nella speranza di essere riammesso alla vita politica fiorentina, nel 1516 Machiavelli dedicò Il Principe al signore Lorenzo de Medici, nipote del Magnifico, ma senza risultati. Si avvicinò anche ad un gruppo di intellettuali aristocratici ammiratori delle istituzioni della antica Roma, che si riunivano nel giardino fiorentino degli “Orti Oricellari” annesso al palazzo della nobile famiglia Rucellai, alla quale Machiavelli dedicò i Discorsi sulla prima deca di Tito Livio. Nel 1519 morì Lorenzo de’ Medici e il governo di Firenze venne affidato al cardinal Giulio de’Medici, più aperto e tollerante del predecessore nei confronti di Machiavelli. Nel 1521 quest’ultimo gli dedicò il trattato Dell’arte della guerra e nel 1525, dopo che il cardinale venne eletto papa con il nome di Clemente VII, le Istorie fiorentine. Grazie al favore del papa Machiavelli poté nuovamente accedere alla vita politica, ma con piccoli incarichi. Dal 1525 inoltre era in corso la guerra tra la Francia di Francesco I e l’impero di Carlo V: nel 1527 il papa si alleò con la Francia, ma ancora una volta si rivelò la scelta sbagliata. Nello stesso anno infatti Roma venne saccheggiata dai lanzichenecchi di Carlo V, mentre una rivolta della popolazione provocò il crollo della signoria medicea e il ripristino delle istituzioni repubblicane. Si riaccese in Machiavelli la speranza di accedere a grandi ruoli politici, ma i nuovi governanti non si fidarono di lui per il comportamento poco coerente tenuto in precedenza sotto i Medici. Ammalatosi gravemente, morì il 21 giugno 1527.

 

LE OPERE
Anche se il nome di Machiavelli è legato soprattutto alla storia del pensiero politico, le sue opere letterarie non sono di livello inferiore.
Tra le opere politiche vi sono: Discorso sopra le cose di Pisa, Del modo tenuto dal duca Valentino nell’ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto dda Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, il Discorso dell’ordinare lo stato di Firenze alle armi, il Rapporto delle cose della Magna (=Germania) e il Ritratto delel cose di Francia.
Tra le opere più propriamente letterarie vi sono:  il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua (datazione incerta), con il quale M. diede il proprio contributo al dibattito cinquecentesco sulla lingua, indicando nella lingua fiorentina parlata (e NON letteraria) il modello della lingua italiana da usare (è da tenere presente che il fiorentino godeva di una certa supremazia sulle altre parlate italiane, sia per motivi di dignità letteraria (avevano scritto in fiorentino Dante, Petrarca e Boccaccio), sia perché Firenze era stata uno dei centri culturali più importanti della nazione e questa sarà la lingua che M. utilizzerà nei suoi scritti); il poemetto l’Asino (1516); la novella Belfagor o l’arcidiavolo (1518); e soprattutto le commedie La mandragola (1518) e Clizia (1525).
La Mandragola in particolare offre alla storia del teatro un’opera di alto valore letterario: si tratta di una commedia ispirata, nell’intreccio, alle commedie dell’antichità classica e basata sul tema della beffa ai danni dello stupido, secondo i canoni della tradizione boccacciana. L’intento apparente è quello di divertire, suscitare il riso negli spettatori, ma dietro il comportamento e le battute divertenti dei personaggi si cela l’amarezza dell’autore e una dura critica alla società del tempo, ormai vuota di valori. I personaggi della Mandragola non sono solo immaginari, ma identificabili con i tipi caratteristici della società fiorentina del tempo: uomini volgari, stupidi che si credono furbi, preti corrotti, individui spregiudicati. E così si può dire che anche nella Mandragola ricorre il tratto più importante del pensiero di M. su cui si basa la sua visione dell’esistenza e la sua riflessione politica: l’innata malvagità dell’uomo. E nella scelta di rappresentare non un mondo fittizio, ma un mondo come realmente è, si conferma il metodo caratteristico di M., ossia osservazione della realtà e immediata traduzione in termini letterari.
M. seppe adattare lo stile e usare il lessico nel modo più appropriato e funzionale alla materia delle sue opere. Se i dialoghi della Mandragola hanno tutto il sapore della parlata fiorentina popolaresca, nei trattati politici e nelle opere di ricostruzione storica, la sintassi – anche se elaborata – si mantiene limpida e mantiene l’eco dei classici latini. Al contrario, nel Principe il modo di esporre e di argomentare  è incisivo e di grande rigore logico: quando lo richiede il periodare è ampio e solenne, mentre quando il pensiero affronta nodi difficili la sintassi si fa nervosa, fatta di periodi brevi e contrapposti e il testo si arricchisce di metafore che illuminano la severità dei concetti tramite la fantasia.

 

IL PRINCIPE
La riflessione politica di M. ha una caratteristica ben precisa di originalità: le sue radici infatti affondano nel terreno concreto della realtà dei fatti. Nel Principe l’autore avverte frequentemente il lettore che le sue affermazioni non sono il frutto di una riflessione basata su una realtà ideale, immaginaria, desiderabile, ma sua una “verità effettuale”, sono le deduzioni che lui ha ricavato dall’osservazione di come vanno realmente le cose nel mondo. Si dice che M. concepì la politica come scienza, scienza del comportamento politicamente efficace che gli uomini di governo è necessario che adottino.
Machiavelli separò nettamente la politica dalla morale. Questa è la grande novità rispetto alla tradizione precedente del pensiero politico. La cultura medievale valutava gli uomini di governo in base alla loro qualità morale (generosità, onore, lealtà, ecc.) e la figura del sovrano era astratta e ideale, tracciata così come avrebbe dovuto essere (per ex. si veda il ritratto del sovrano ideale fatto da Dante nel De Monarchia). Ma per M. le cose si pongono diversamente: nel Principe egli ribadisce costantemente che la realtà dalla quale egli trae le sue convinzioni non è una realtà ideale, ma quella che – purtroppo – è.
Egli afferma che lo studio della storia e l’osservazione dei comportamenti umani nel passato e nel presente dimostrano che l’uomo è un essere portato naturalmente al male e questa natura non può cambiare. L’uomo di governo deve muoversi su questa realtà, non su un’altra, magari piacevole ma inesistente. Quindi non ha il dovere di essere buono, leale, onesto, altrimenti sarebbe un perdente; deve obbedire invece alla necessità di comportarsi anche in modo feroce, se le circostanze lo richiedono, per “mantenere lo Stato”, uno Stato solido, sicuro, ordinato, regolato da buone leggi che dominino la cattiva natura dell’uomo.
Un principe inoltre non deve puntare a guadagnarsi l’affetto dei sudditi, perché l’affetto fa presto a convertirsi in odio nei momenti di difficoltà; deve piuttosto mirare a essere temuto, perché la paura della punizione obbliga gli uomini all’obbedienza. Deve farsi stimare fingendo di possedere buone qualità morali, perché gli uomini sono stupidi e si lasciano ingannare dalle apparenze. In un mondo stupido e feroce il principe deve saper ingannare gli stupidi e essere più feroce dei feroci. Volendo rappresentare con una metafora la natura umana, M. ricorre all’immagine del centauro: mezzo bestia e mezzo uomo. Il Principe allora deve essere lui stesso una bestia: un leone che sappia terrorizzare i lupi e una volte che sappia riconoscere le trappole.
Le affermazioni di M. destarono grande scalpore e già dalla seconda metà del Cinquecento il sostantivo “machiavellismo” e l’aggettivo “machiavellico”  si diffusero per indicare un comportamento umano caratterizzato da perfidia e capacità di inganno. Non fu sbagliato, né il frutto di una distorsione del pensiero di M. : è vero, egli indicò nella cattiveria e nella capacità di fingere le “virtù” dell’uomo politico. Ma la parola “virtù” non ha per M. un significato morale come per noi e il suo pensiero non va valutato in base a considerazioni morali. L’autore ha voluto separare la politica dalla morale e perciò, chi si accosta al suo pensiero, non deve dimenticare questo presupposto. Come tutti anche Machiavelli vorrebbe che si verificassero le condizioni per cui un uomo di governo potesse agire con onestà, lealtà e generosità. Ma questo è impossibile. La sua visione della vita, ricavata dallo studio della storia e dalla sua esperienza di politico, gli suggerisce l’amara constatazione che l’onestà e la bontà di cuore non sono “virtù politiche”. Quando necessario, l’uomo politico deve saper ricorrere ad azioni che, seppur pessime sul piano morale, gli garantiscono l’obiettivo di mantenere il potere e salvaguardare lo Stato. La visione del mondo di M. appare così tragicamente pessimistica più che cinica.
Si veda per questo anche il tema della fortuna e del caso nelle vicende umane: tema centrale nella riflessione esistenziale del Cinquecento, un secolo che in Italia fu segnato dalle invasioni straniere, dalla divisione in schieramenti e dalla decadenza delle corti, dal degrado della Chiesa e dalla crisi della fiducia nelle facoltà umane. Anche M. si pone il problema della fortuna, perché tra le virtù dell’uomo politico vi deve essere anche quella di saper prevedere e reagire convenientemente ai mutamenti inattesi delle circostanze. Secondo l’autore la fortuna governa per metà il destino degli uomini, l’altra metà è affidata alle loro azioni. Perciò non è giusto rassegnarsi di fronte ai colpi della sorte. Non tanto per una questione di comportamento da adottare (rispondere o rassegnarsi), ma per il fatto che – secondo M. – la vera virtù sta nel saper adattare il proprio temperamento alle circostanze, saper cambiare natura e inclinazioni dopo aver compreso quale tipo di condotta, audace o prudente, richiede una determinata situazione. Ma questa “virtù” è difficilissima da trovare, perché l’uomo odia dover cambiare il proprio carattere. Pertanto, il problema di come contrastare la sorte sfavorevole rimane, in M. come in molti suoi contemporanei, drammaticamente irrisolto.
Notevole fu l’impatto del pensiero di M. nel mondo della cultura e del pensiero politico. Il Principe, presentato nel 1516 ma dato alle stampe solo nel 1532, cominciò a circolare da subito sottoforma di manoscritto, suscitando forti reazioni e dibattiti.
All’opposto di M. si schierò per esempio Francesco Guicciardini, che si opponeva all’amico su due argomenti fondamentali: egli credeva che gli uomini fossero per natura più votati al bene che al male e che gli esempi tratti dalla storia antica non potessero adattarsi alle condizioni dell’Italia del ‘500. Il pensiero di M. fu considerato inoltre diabolico in età controriformistica e nel 1559 le sue opere finirono all’Indice dei libri proibiti, così come i protestanti si scagliarono contro di lui considerandolo un criminale (si veda l’Antimaclavellus, 1576, del calvinista Innocente Gentillet che arrivò ad attribuirgli la responsabilità morale della “Notte di S. Bartolomeo”).
Recuperarono invece tratti del pensiero di M. alcuni autori del tardo Cinquecento come Botero e Paruta; secondo Botero, per esempio, l’uomo politico può agire senza tenere conto della morale comune, ma le sue azioni devono essere controllate e autorizzate dalla Chiesa. Un’interpretazione affascinante, ma tutto sommato errata, che tranquillizzava le coscienze e ricongiungeva etica e politica fu quella – elaborata nel Cinquecento, fatta propria dagli Illuministi e Romantici e giunta sino al Novecento con Gramsci – secondo la quale M., proprio scegliendo di rappresentare il mondo politico in tutta la crudeltà che lo governa, avrebbe cercato di sollecitare una presa di coscienza da parte degli uomini e la loro ribellione ai crimini che si consumano all’ombra del potere. Sotto i consigli di perfidia e inganno ai governanti si celerebbero dunque avvertimenti precisi ai governati e la volontà di fornire al popolo gli strumenti per comprendere la realtà della politica e combattere per rinnovarla.

 

IL PRINCIPE: LE TEMATICHE (sottolineati i capp. visti in classe)
Nicolaus Maclavellus ad Magnificum Laurentium Medicem (Niccolò Machiavelli al magnifico Lorenzo II de' Medici)
Dedica
I - Quot sint genera principatuum et quibus modis acquirantur (I diversi tipi di principati e i modi per conquistarli)
Distinzione fra repubbliche e principati; fra principati ereditari e nuovi (come Milano per Francesco Sforza) e quelli aggiunti a uno stato ereditario (come Napoli per il re di Spagna).
II - De principatibus hereditariis (I principati ereditari)
Il principe può mantenerli con facilità purché non abbandoni la tradizione di governo degli antenati. (Esempio: gli Este di Ferrara).
III - De principatibus mixtis (I principati misti)
Difficoltà del principato nuovo (gli uomini cambiano volentieri signore credendo di migliorare: l'esperienza li delude. Esempio Luigi XII, che facilmente acquistò e subito perse il ducato di Milano). Probabilità maggiori di successo alla seconda conquista.
Osservazioni sui principati misti, prossimi e uguali per lingua e costumi allo stato conquistatore (facili a mantenersi purché si spenga il sangue dell'antico signore e non se ne alterino le istituzioni).
Osservazioni sui principati lontani e disformi di lingua e costumi (a mantenerli occorre fortuna e industria: è necessario che il principe vi risieda; che vi mandi colonie; che si faccia amici i meno potenti senza accrescere troppo il loro potere). Esempi dei Romani in Grecia. Errori di Luigi XII nella conquista del ducato di Milano (spente le signorie minori; accresciuta la potenza del Papa; introdotti in Italia gli spagnoli; non venuto a risiedervi; non postevi colonie).
IV - Cur Darii regnum quod Alexander occupaverat a successoribus suis post Alexandri mortem non defecit (Per quale ragione il regno di Dario, conquistato da Alessandro, non si ribellò dopo la morte di Alessandro)
Distinzione fra regni assoluti (come l'impero ottomano) e regni a struttura federale (come la Francia). Difficili i primi da conquistare (perché assuefatti alla servitù), ma facili da conservare. Facili i secondi da conquistare (per la rivalità e l'ambizione dei baroni), ma difficili da mantenere. Il regno di Dario era del primo tipo, perciò non si ribellò ai suoi successori.
V - Quomodo administrandae sunt civitates vel principipatus qui antequam occuparentur suis legibus vivebant (In qual modo si debbano governare le città e i principati i quali, prima di essere conquistati, vivevano secondo le loro leggi)
I metodi proposti sono tre: 1) Distruggerli (come fecero i Romani con Cartagine, Capua e Numanzia); 2) Andarvi a risiedere; 3) Lasciarvi inalterate istituzioni e leggi, affidando il governo a una ristretta oligarchia, come fecero gli Spartani ad Atene (ma è sistema precario).
VI - De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquiruntur (I principati nuovi conquistati con le proprie armi e capacità)
Il principe prudente deve attenersi all'esempio degli uomini grandi, perché le vicende umane si ripetono (imitazione «storica»). Al principato si arriva o per fortuna o per virtù: in quest'ultimo caso la conquista è più stabile, come mostrano gli esempi di Mosè, Ciro, Romolo, Teseo e Gerone siracusano.
È indispensabile però il possesso di una propria forza militare: i profeti armati vincono, quelli disarmati periscono. Esempio clamoroso, Gerolamo Savonarola.
VII - De principatibus novis qui alienis armis et fortuna acquiruntur (I principati nuovi conquistati con le armi e la fortuna altrui)
Il potere conquistato con un colpo di fortuna è precario, perché sempre soggetto all'arbitrio altrui o alla volubilità della sorte. Virtù di Francesco Sforza. Virtù e fortuna di Cesare Borgia; sua conquista della Romagna; sua spietata risolutezza nello spegnere le ribellioni (massacro di Sinigaglia). Suo regime d'ordine (Ramiro de Lorqua); suoi piani per il futuro; morte del padre e sua rovina. Valutazione conclusiva della sua «virtuosa» condotta politica.
VIII - De his qui per scelera ad principatum pervenere (La conquista del principato per mezzo del delitto)
Al principato si può giungere anche con il delitto. Esempi: Agatocle siracusano e Oliverotto da Fermo. Entrambi conquistarono il potere con un colpo di mano armato, massacrando i maggiorenti della città. Il primo fu in seguito principe valoroso e prudente, il secondo perì vittima di un agguato a opera di Cesare Borgia. Riflessioni sull'efficacia politica della crudeltà: essa è bene usata se risponde a una reale necessità di sicurezza e non si protrae nel tempo, male usata se praticata come sistema.
IX - De principatu civili (Il principato civile)
Al principato si può salire con il favore del popolo o dei grandi (nobili). Nel primo caso bisogna mantenersi il popolo amico. Nel secondo bisogna guadagnarsene il favore, per averlo alleato contro le insidie dei grandi, che sono infidi. Esempio: Nabide di Sparta. Confutazione del proverbio «chi fida sul popolo fida sul fango». Per fare in modo che il popolo abbia sempre bisogno di lui il principe dovrà però abolire i magistrati.
X - Quomodo omnium principatuum vires perpendi debeant (Come valutare la forza di un principato)
Distinzione fra i principati che possono contare su forze militari proprie e quelli che non possono. I secondi debbono puntare su una tattica difensiva, provvedendo a fortificare la loro terra così da scoraggiare le mire nemiche. Esempio: le città dell'Alemannia.
XI - De principatibus ecclesiasticis (I principati ecclesiastici)
La difficoltà per il principe consiste unicamente nell'acquistarli: a mantenerli non si richiede infatti né virtù, né fortuna, giacché essi si fondano sulla forza della tradizione religiosa: «Coloro soli hanno Stato, e non li difendono; sudditi, e non li governano...». Considerazioni sulla politica di Alessandro VI, Giulio II e Leone X.
XII - Quo sint genera militiae et de mercenariis militibus (I vari tipi di eserciti)
Esame dei vari sistemi di difesa e di offesa. Fondamento di uno Stato sono le buone leggi e le buone armi. Le armi (cioè le forze militari) possono essere mercenarie o proprie, ausiliare o miste. Le mercenarie e ausiliare sono inutili e pericolose, perché infedeli e pavide: prova ne è stato, in Italia, il loro dissolversi al primo assalto dello straniero (Carlo VIII). I capitani, se sono valenti, aspirano alla grandezza propria, in caso contrario, procurano comunque la rovina. È necessario che il principe in persona comandi il proprio esercito: o, nella repubblica, uno dei cittadini. Esempi di eserciti nazionali: Romani, Spartani, Svizzeri. Esempi di Stati con eserciti mercenari: Cartagine, Tebe, il ducato milanese degli Sforza. Eccezioni a quanto detto: Firenze e Venezia (rettesi con armi mercenarie). Origine storica delle compagnie di ventura (Alberigo da Conio, Braccio da Montone, gli Sforza) e loro condotta.
XIII - De militibus, mixtis et propriis (Gli eserciti ausiliari, i misti e i propri)
Insidiosità delle forze ausiliare (fornite da potenze straniere): se perdono, si è disfatti; se vincono, si è in loro potere. Esempi: Giulio II e le truppe spagnole. Firenze e le truppe francesi; il re di Costantinopoli e i Turchi. In esse è maggior pericolo che nelle mercenarie, perché sono meglio organizzate. Come e perché vi abbiano rinunciato Cesare Borgia, Gerone siracusano, Davide. Con quali cattivi esiti vi abbiano fatto ricorso Luigi XI di Francia e gli imperatori romani. Ribadito il valore degli eserciti propri.
XIV - Quod principem deceat circa militiam (Il rapporto tra il principe e gli eserciti)
Il quattordicesimo capitolo verte sul rapporto tra il principe e le armi in generale: l'unico compito che un principe deve assolutamente svolgere per tenersi lo stato che sta comandando è dedicarsi alle armi anche in tempo di pace, come fece Francesco Sforza diventando, da semplice cittadino, duca di Milano. Per tenersi in allenamento deve praticare spesso la caccia e imparare a conoscere la natura dei luoghi dove vive. Un buon principe deve saper imitare quello che in passato fecero i principi migliori, come Alessandro Magno con Achille e Scipione con Ciro. L'autore porta come esempio di principe perfetto Filipomene, che dovunque andasse si interrogava sul modo, in quella situazione, per ritirarsi, per rincorrere il nemico ritirato e per attaccare.
XV - De his rebus quibus homines et praesertim principes laudantur aut vituperantur (Le qualità che rendono gli uomini e soprattutto i principi degni di lode o di biasimo)
Ha inizio la riflessione sulla concreta prassi politica. Il principe che voglia mantenere deve essere buono o non buono a seconda della necessità. È perciò da respingere il catalogo delle qualità e dei vizi da perseguire o da fuggire, come compariva nella precedente trattazione politica.Sul terreno della prassi politica ciò che talora è qualità, altre volte può essere vizio. Il vizio adoperato per difendere lo stato risponde ad un'esigenza collettiva. Le virtù morali usate a sproposito risultano causa di ruina.
XVI - De liberalitate et parsimonia (La liberalità e la parsimonia)
Nel sedicesimo capitolo si parla della liberalità e della parsimonia. La liberalità è considerata in maniera negativa: all'inizio ti fa avere una buona fama, dopo, finiti i soldi, ti costringe a imporre tasse e quindi ad essere odiato dai sudditi e poco stimato dagli altri per la povertà. L'unico momento in cui bisogna essere munifici è quando ci si impadronisce di beni altrui, come fecero Ciro e Cesare. La parsimonia invece, anche se all'inizio non ti farà godere di buona fama, dopo, vedendo che si è capaci di difendersi e di conquistare anche senza gravare sulla popolazione, ti farà considerare uomo generoso. Vengono citati gli esempi di Papa Giulio II che usò la munificenza solo per salire al potere, dedicandosi dopo alla guerra, Luigi XII che riuscì, per la sua grande parsimonia, a fare tante guerre senza tasse extra.
XVII - De crudelitate et pietate et an sit melius amari quam timeri vel et contra (La crudeltà e la clemenza, se sia meglio esser temuti piuttosto che amati o amati piuttosto che temuti)
Il diciassettesimo capitolo è incentrato sulla domanda: meglio essere amati piuttosto che temuti o temuti piuttosto che amati? Per il Fiorentino un principe, per tenere i suoi sudditi uniti e fedeli, può essere ritenuto crudele e deve essere temuto al punto da non essere né odiato né amato. Comunque la crudeltà è indispensabile in guerra.
XVIII - Quomodo fides a principibus sit servanda (La lealtà del principe)
Machiavelli con una figura biologica disegna due diversi modi di combattere:quello dell'uomo e quello della bestia. Il primo ha come risultato le leggi, il secondo la violenza. Quando le leggi non sono sufficienti si deve ricorrere alla violenza.Poiché il principe deve per necessità impiegare anche la parte bestiale, Machiavelli illustra in due modi in cui essa si manifesta:ricorre alle figure della volpe e del leone, immagini dell'astuzia accorta e simulazione e dell'impeto violento, con i quali è possibile evitare i tranelli e vincere la violenza degli avversari. Per il principe è più utile simulare pietà, fedeltà, umanità che osservarle veramente. Le doti etiche sono pure illusioni nella lotta politica.Il dovere del principe è vincere e mantenere lo stato. Il volgo guarderà solo le apparenze, mentre pochi che non giudicheranno dalle apparenze non riusciranno a imporsi perché la maggioranza è dalla parte del principe.
XIX - De contemptu et odio fugiendo (Come evitare il disprezzo e l'odio)
Il diciannovesimo capitolo è come un riassunto di tutte le caratteristiche che un principe deve avere per farsi ben volere: non deve appropriarsi delle cose del popolo, non deve essere superficiale, effeminato e pauroso, ma deve apparire coraggioso, grande e con molta forza di carattere. Qualora non offrisse questa immagine di sé, deve avere due paure: i sudditi e le potenze straniere. Dalle congiure l'unico aiuto può venire dal popolo, in quanto non sempre i congiurati rispecchiano il volere di tutti, invece per sconfiggere un nemico devi possedere un buon esercito. Come al solito il Machiavelli fa molti esempi storici tra i quali uno riguardante una congiura fallita: Messer Annibale Bentivoglio, principe di Bologna fu ucciso dai Canneschi. Subito dopo l'omicidio, il popolo di Bologna uccise tutta la famiglia dei Canneschi e mise a capo di Bologna un lontano parente del Bentivoglio, figlio di fabbro. In conclusione un principe deve stare attento a non inasprire i nobili e a soddisfare il popolo in modo da non temere le congiure.
XX - An arces et multa alia quae cotidie a principibus fiunt utilia an inutilia sint (Utilità o inutilità delle fortezze e di molte altre cose fatte ogni giorno dai principi)
In questo capitolo si parla di quanto possa essere utile disarmare i sudditi o alimentare le fazioni popolari o costruire fortezze. Diciamo che per quanto riguarda il disarmo dei sudditi, si può rivelare positivo quando si è di fronte a un principe nuovo con un nuovo principato, in quanto vengono gratificati quelli che armi, mentre se agisci al contrario vengono offesi, invece quando un principe conquista un provincia è necessario disarmarla, escludendo naturalmente quelli che sono stati dalla tua parte, ma col tempo indebolendo anche quest'ultimi. Passando alle fazioni, per l'autore, le divisioni interne non sono state mai qualcosa di positivo, anzi rendono le città più fragili di fronte al nemico. Continuando con le fortezze fin dai tempi antichi si è avuta l'abitudine di edificare queste fortificazioni, ma gente più recente come Niccolò Vitelli e Guidobaldo da Montefeltro le smantellò. Perché questo? Il Machiavelli dice che chi ha più paura del popolo che dei nemici costruisce fortezze, chi il contrario non le costruisce e ribadisce dicendo che la fortezza più sicura è il non essere odiati dal popolo.
XXI - Quod principem deceat ut egregius habeatur (Come un principe può farsi stimare)
Il capitolo ventunesimo parla ancora di come un principe possa dare una buona immagine di sé, un'immagine di uomo grande e di ingegno eccellente. In politica interna deve essere deciso, deve premiare o castigare in maniera esemplare. In politica estera deve farsi ammirare e deve stupire i sudditi con grandi imprese come Ferdinando d'Aragona, ma soprattutto deve sempre schierarsi a favore di qualcuno e mai restar neutrale in modo che il tuo alleato si senta legato da un patto di amicizia e di riconoscenza e non ti abbandoni mai. Per dare una buona immagine, il principe deve anche istituire delle feste e partecipare ai raduni di quartiere sempre però con grande maestà e dignità. Molto importante è anche la scelta dei ministri. Si nota da questa selezione l'intelligenza di un signore; circondandosi di uomini stolti, il giudizio su di lui non potrà essere mai buono. Questi ministri devono essere così devoti al loro signore da pensare prima a lui che a loro stessi e se un principe ha la fortuna di trovarne uno così se lo deve mantenere con doni e elogi.
XXII - De his quos a secretis principes habent (I ministri del principe)
Riguardo a come il principe della scegliere i collaboratori e come lavorarci.
XXIII - Quomodo adulatores sint fugiendi (Come evitare gli adulatori)
Il ventitreesimo capitolo parla degli adulatori. Un principe deve fidarsi solo di poche persone sincere e veritiere che avrà scelto all'interno del suo Stato. Solo queste dovrà ascoltare, e comunque l'ultima decisione spetterà sempre a lui.
XXIV - Cur Italiae principes regnum amiserunt (Perché i principi d'Italia persero il regno)
Nel ventiquattresimo capitolo vi è come un rimprovero verso i principi italiani che persero il loro Stato, come Federico d'Aragona, il re di Napoli e Ludovico il Moro, duca di Milano. Le motivazioni sono varie, ma comuni: non possedevano un esercito proprio, erano detestati dal popolo o dai nobili. Colpa loro quindi, non della fortuna.
XXV - Quantum fortuna in rebus humanis possit et quomodo illi sit occurrendum (Il potere della fortuna nelle cose umane e il modo di resistere a esso)
La fortuna è arbitra di metà delle azioni umane mentre l'altra metà resta nelle mani degli uomini;la fortuna è paragonata ad un fiume rovinoso che allaga le pianure e distrugge gli alberi e le case: gli uomini previdenti devono disporre per tempo gli argini.Tuttavia si possono vedere principi salire al potere o rovinare senza che essi abbiano modificato il proprio comportamento, Machiavelli ricorre alla mutevolezza continua delle circostanze storiche e della fortuna, non “ruina” colui che riesce a mettersi in sintonia con la qualità dei tempi.
XXVI - Exhortatio ad capessandam Italiam in libertatemque a barbaris vindicandam (Esortazione a prendere l'Italia e a liberarla dalle mani dei barbari)
L'ultimo capitolo è un'esortazione rivolta al principe di Casa dei Medici affinché riunisca l'Italia sanando le ferite, ponendo fine ai saccheggi e alle imposizioni fiscali che continuano a lacerarla. Contando che gli eserciti svizzeri e spagnoli non sono così terribili come si dice, egli potrebbe creare un terzo esercito che li vinca. Il Machiavelli conclude rassicurando che un nuovo regnante sarebbe accolto da tutti a braccia aperte. Gli ultimi versi sono tratti da "Italia mia" del Petrarca. Appare come un ulteriore incitamento rivolto al nuovo principe proprio dal Petrarca anche se scritto circa duecento anni prima: La virtù affronterà la furia degli stranieri; il combattimento sarà corto perché l'antico valore che fu del popolo romano nei cuori italici non è ancora morto.

 

Autore non indicato nel documento di origine del testo
Fonte: http://digilander.libero.it/Parsifal74/MACHIAVELLI.doc

 

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