Riassunto dei promessi sposi

 

 

 

Riassunto dei promessi sposi

 

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Riassunto dei Promessi Sposi

Capitolo 1
Una sera del mese di novembre 1628, su una stradina lungo la sponda del lago di Como, cammina un frate, don Abbondio. Mentre cammina ha alcuni pensieri che vengono improvvisamente interrotti dall'apparizione di due bravi, due brutti tipi al servizio di un signorotto spagnolo molto potente.
Dopo avere descritto le caratteristiche dei bravi, Manzoni comincia a raccontare il colloquio tra i bravi e don Abbondio: i bravi dicono al curato che, in nome del loro potente padrone, don Rodrigo, il matrimonio fra Renzo e Lucia “non s'ha da fare!”. Don Abbondio, impaurito, assicura la propria fedeltà al potente signore spagnolo promettendo che non celebrerà il matrimonio, già fissato.
Questo atteggiamento debole viene visto alla luce della giustizia del seicento, dove le minacce sono frequenti e non sono mai punite, e viene sottolineata la natura debole e paurosa del curato.
Conclusa questa riflessione del poeta, si torna alla narrazione con il ritorno a casa del curato, che racconta il suo incontro alla sua serva, Perpetua.

 

Capitolo 2
Al mattino successivo, quando Renzo si reca alla chiesa, apprende che per alcune formalità il matrimonio deve rinviarsi. Poco convinto, sul punto di allontanarsi, incontra Perpetua che non può fare a meno di fargli intendere che le ragioni sono ben altre. Nuovo colloquio tempestoso con don Abbondio, costretto da Renzo a rivelare che l'impedimento è don Rodrigo, il signorotto del paese. Renzo, disperato, corre alla casa di Lucia. 

 

Capitolo 3
Lucia, rimasta sola con la madre e con Renzo, racconta di avere suscitato l'interesse di don Rodrigo, e allora i tre decidono di rivolgersi ad un avvocato, l'Azzecca-garbugli.
L'avvocato, durante l'incontro con Renzo, pensa, sbagliando, che invece di avere subito un torto, è Renzo un bravo che ha fatto qualcosa di brutto e che cerca di evitare la punizione andando da un avvocato. Perciò pensa di aiutarlo, ma quando scopre che invece Renzo è la vittima di don Rodrigo, allora rifiuta l'incarico e non gli da neanche spiegazioni, perchè si spaventa della potenza di don Rodrigo.
Intanto Lucia insiste con la madre per parlare con fra Cristoforo, un frate cappuccino in cui ha molta fiducia. Mentre le due donne pensano come fare a parlare con fra Cristoforo, arriva fra Galdino, che chiede delle noci per il suo convento e che racconta alle donne una fiaba. Lucia decide di dare a fra Galdino un messaggio per fra Cristoforo.
Ritorna Renzo, deluso per l'incontro con l'avvocato, e le due donne cercano di calmarlo e gli dicono che hanno chiesto l'intervento di fra Cristoforo. Intanto è già sera e i tre devono separarsi.

Capitolo 4
Padre Cristoforo, avvertito da Lucia, esce dal suo convento di Pescarenico e si reca alla casa delle due donne. Il capitolo è in gran parte occupato dalla narrazione della giovinezza del frate: figlio di un facoltoso mercante, aveva ricevuto una raffinata educazione. Venuto un giorno a diverbio con un nobile, l'aveva ucciso in duello; quindi, per espiazione, s'era fatto frate, mutando il nome di Lodovico in quello di Cristoforo. 

Capitolo 5
Padre Cristoforo, dopo aver parlato con le due donne, decide di recarsi da don Rodrigo per convincerlo a desistere dal suo proposito. Si reca al palazzo del signorotto, dove è ricevuto nella sala da pranzo: è in corso infatti un banchetto, cui il padrone di casa ha invitato un suo cugino, il conte Attilio, e alcuni personaggi importanti del paese. Si discute della guerra in corso per la successione del ducato di Mantova, si brinda all'abbondanza (mentre nelle campagne infuria la fame) e si disserta su futili questioni d'onore. Padre Cristoforo è chiamato a dir la sua. 

Capitolo 6
Finalmente don Rodrigo riceve il frate in disparte. Padre Cristoforo accusa il signore di perseguitare Lucia e gli minaccia la vendetta di Dio. Don Rodrigo scaccia il frate che prima di lasciare il palazzo ha la promessa di un vecchio e buon servitore che sarà avvertito degli eventuali progetti infami del suo padrone. Intanto, in casa di Lucia, Agnese espone ai due giovani un suo progetto: quello di strappare il matrimonio a don Abbondio, presentandosi a lui con due testimoni e dichiarando l'intenzione di sposarsi. Sembra che secondo l'uso il matrimonio sarà così ugualmente valido. Lucia è riluttante; Renzo, entusiasta, esce in cerca dei due testimoni e li trova in Tonio, cui promette di pagare un debito che costui ha col curato, e nel fratello di lui, Gervaso. 

Capitolo 7
Padre Cristoforo annuncia desolato alle due donne il fallimento della sua missione. Furore di Renzo, Lucia acconsente all'idea della madre. Intanto nel paese si vede gente strana, e un mendicante va alla casetta di Lucia a chiedere l'elemosina con l'aria di esplorare il luogo. Sono gli uomini di don Rodrigo che studiano il modo di rapire Lucia, agli ordini del capo dei bravi, il Griso. A sera, i due giovani, Agnese e i testimoni s'avviano in silenzio verso la casa di don Abbondio. 

Capitolo 8
È il capitolo della «notte degli imbrogli», che comincia col fallimento del tentativo di matrimonio «a sorpresa»; don Abbondio, con furia inusitata, si libera degli intrusi e dà l'allarme: il campanaro Ambrogio, credendo la canonica invasa dai ladri, suona la campana a martello. Mentre il gruppo di Renzo cerca scampo per la campagna, altrettanto sorpresi dall'allarme sono i bravi in azione per rapire Lucia e che hanno trovato vuota la sua casa. E così anche un ragazzetto, Menico, che padre Cristoforo, avvertito dal vecchio servitore, ha mandato alla casa delle due donne a scongiurarle di correre da lui. Il ragazzo è bloccato dai bravi, che tuttavia, spaventati dalla campana, lo lasciano libero. Così Menico riesce a incontrare il gruppo di Renzo e ad avvertire i fuggitivi di recarsi al convento. 
Tra i due gruppi in fuga, s'inserisce l'agitazione del paese che, svegliato, non riesce a capire che cosa stia succedendo. Renzo e le due donne giungono al convento dove trovano già organizzata da padre Cristoforo la loro fuga dal paese, per sottrarsi alle minacce di don Rodrigo. Le due donne andranno a Monza, Renzo a Milano, muniti di lettere di presentazione per cappuccini, amici del padre. I fuggiaschi s'imbarcano e in piena notte attraversano il lago. 

Capitolo 9
Renzo, Lucia e Agnese raggiungono la parte orientale del lago di Como, poi Monza, e lì si separano. Renzo va a Milano, le donne al convento dei cappuccini, dove incontrano il padre guardiano, al quale fra Cristoforo le ha raccomandate. Si dirigono quindi al monastero di Santa Margherita, dove vive una monaca di nobile famiglia che ha molti privilegi. L'aspetto fisico della monaca non è proprio quello di una religiosa e cosi Manzoni racconta la sua storia, che continua anche nel capitolo X.
Geltrude, figlia di un nobile spagnolo, è destinata fin da piccola a vita religiosa. Da piccola non si oppone, ma poi prova a ribellarsi. Ma la reazione dei parenti è dura, con una specie di guerra psicologica basata soprattutto sul silenzio. Allora Geltrude dichiara di accettare il volere dei suoi genitori.

Capitolo 10
Geltrude viene ricevuta dal padre, che ritiene che la ribellione della figlia sia gravissima, e le impone di farsi monaca. Da questo momento la sua vita cambia: prima era rifiutata dai parenti, ora è circondata di affetto; prima era sola e prigioniera, adesso può fare tutto in libertà. Comincia la sua vita religiosa, e ogni volta che potrebbe ritirarsi non ha il coraggio di farlo. Diventa così monaca. Ma non è contenta e si dispera. Ha una relazione con un vicino, Egidio, e per nasconderla arrivano a commettere un omicidio.
Conclusa la storia della monaca di Monza, tornano in scena Lucia e Agnese, che vengono accolte da Geltrude con molta generosità. Ma don Rodrigo prepara già una vendetta.

Capitolo 11
Don Rodrigo, attendendo con inquietudine il ritorno dei bravi, pensa alle possibili conseguenze del rapimento di Lucia, ma sa di non correre grossi rischi. Al suo ritorno, Griso annuncia il fallimento della spedizione e riceve severi rimproveri da Don Rodrigo. Dopo aver discusso dei fatti della nottata, i due concordano una strategia per scoprire se vi siano state fughe di notizie sul progetto di rapimento. Il conte Attilio viene informato dal cugino del fallito rapimento di Lucia e attribuisce la responsabilità a fra Cristoforo. I due cugini stabiliscono poi di intimorire il console del villaggio, di convincere il podestà a non intervenire, e di far pressioni sul Conte zio, affinché faccia trasferire il frate. 
Il Griso si reca in paese per cercare di comprendere ciò che è successo la notte precedente. Nel villaggio c'è un fitto intrecciarsi di voci: tutti i protagonisti di quei fatti turbolenti commentano l'accaduto. Il bravo riferisce al padrone quelle voci e insieme escludono l'ipotesi di una spia interna al palazzotto. Al termine del colloquio, don Rodrigo incarica il proprio uomo di fiducia di scoprire dove si sono rifugiati Renzo e Lucia. Grazie alle chiacchiere del barocciaio, passate di bocca in bocca, il bravo è in grado di informare il suo signore che Lucia si trova a Monza. Il nobile incarica allora il sicario di proseguire là le ricerche: il Griso, che proprio in Monza è maggiormente ricercato dalla giustizia, cerca di sottrarsi, ma alla fine obbedisce agli ordini. Renzo, colmo di tristezza per la separazione da Lucia e per la partenza dal paese, procede verso Milano. Giunto alle porte della città chiede ad un passante indicazioni per raggiungere il convento cui è destinato.Entrato in città, il giovane scopre con sorpresa della farina e del pane gettati a terra. Pur con timore raccoglie tre pani. Proseguendo poi verso il centro della città, incontra parecchia gente che trasporta affannosamente pane e farina. Viene colpito dalla vista di una famigliola particolarmente impegnata nel trasporto. Il giovane comprende finalmente che è in atto una rivolta e che la gente sta dando l'assalto ai forni: la sua prima sensazione è di piacere. Renzo decide di star fuori dal tumulto e si reca al convento, ma il frate portinaio gli nega l'ingresso. Il giovane va così a curiosare tra la folla e si lascia attrarre dal tumulto. 

Capitolo 12
La vicenda romanzata, a questo punto, a dar sempre più l'impressione di una «storia vera», s'innesta in un fatto storico realmente accaduto: la rivolta milanese di San Martino, dell'11 novembre 1628, quando, esasperato dalla fame e dalla politica inetta del vicegovernatore Ferrer, il popolo dette l'assalto ai forni. Renzo s'inserisce così nell'avvenimento e assiste al saccheggio del «forno delle grucce». 

Capitolo 13
Saccheggiato il forno, la folla si rivolta contro il vicario di provvisione, cioè il funzionario addetto al vettovagliamento della città. Inferocita si getta contro il suo palazzo e soltanto l'intervento del Ferrer giova a salvare il vicario dal linciaggio. 

Capitolo 14
Eccitato da questi fatti, Renzo, trovatosi in mezzo a un crocchio di gente, fa un discorsetto sulle ingiustizie dei potenti, a sfogo delle proprie pene. Uno sbirro in borghese lo porta all'osteria, lo fa bere e riesce anche a carpirgli le sue generalità. Del tutto ubriaco, Renzo va a dormire. 

Capitolo 115
Renzo, essendo ubriaco, abbandona la sala dell'osteria, tra saluti e risa. Con l'aiuto dell'oste raggiunge poi la sua camera .L'oste tenta nuovamente di far declinare a Renzo le proprie generalità, ma alle nuove proteste rinuncia. L'oste decide di andare al palazzo di giustizia per denunciare Renzo . Arrivato , denuncia al notaio criminale la presenza nella sua osteria di un giovane che non ha voluto rivelare le generalità. Il funzionario, che conosce già il nome di Renzo, mostra però di non accontentarsi delle informazioni fornite dal padrone dell'osteria e sottopone l'uomo ad un interrogatorio. 
Il notaio criminale e due birri penetrano nella camera di Renzo e gli dicono di seguirli. Intimorito dal rumore che viene dalla strada e che sembra annunciare nuovi tumulti, il notaio abbandona subito l'atteggiamento autoritario e, con le buone, cerca di indurre Renzo a seguirli. Il funzionario si mostra eccessivamente gentile ed afferma che si tratta di una pura formalità, ma il giovane non gli presta fede e comincia ad elaborare un piano per essere liberato dalla folla. 
Il giovane chiede aiuto. Per sfuggire al linciaggio, i birri e il notaio, abbandonano il prigioniero e si confondono tra la folla. 

Capitolo 16
Uscito fortunosamente da Milano, si incammina per la strada di Bergamo, dove spera di trovare aiuto dal cugino Bortolo, fuori dei confini dello Stato. A Gorgonzola, mentre sta mangiando un boccone in una osteria, apprende che quel giorno la giustizia milanese s'è lasciata sfuggire dalle mani uno dei responsabili della rivolta; e capisce che quel tale è lui. Riprende al più presto la strada, sempre più atterrito per il rischio gravissimo che ha corso. 

Capitolo 17
Uscito dall'osteria di Gorgonzola, Renzo prosegue il suo cammino nell'oscurità, lungo le strade verso l'Adda. Durante il tragitto, i suoi pensieri vanno al mercante e al suo resoconto calunnioso. Dopo alcuni paesi , Renzo si inoltra in una zona non coltivata e poi in un bosco. Qui viene colto da un oscuro timore, ma sente il rumore dell'Adda e si precipita verso il fiume. Non potendo attraversare il fiume, si rifugia in una capanna abbandonata. Tenta di addormentarsi, ma alla sua mente si affacciano ricordi dolorosi. Verso le sei del mattino riprende il cammino verso l'Adda. Traghettato da un pescatore , passa sulla sponda di Bergamo dirigendosi verso il paese del cugino. Giunto nel paese di Bortolo, Renzo individua immediatamente il filatoio e lì trova il cugino, il quale lo accoglie festosamente, dichiarandosi disposto ad aiutarlo. I due cugini si informano reciprocamente sulla rispettiva situazione e sulle vicende politiche dei propri paesi. Dopo essere stato avvertito dell'uso bergamasco di chiamare baggiani i milanesi, Renzo viene presentato al padrone del filatoio e assunto come lavorante.

Capitolo 18
Al paesello, gli sbirri ricercano inutilmente Renzo. Don Rodrigo apprende così le disavventure del suo rivale; e intenzionato sempre di più a rapire Lucia, pensa di ricorrere a un uomo più potente di lui per giungere al rifugio della ragazza. Agnese, preoccupata per la mancanza di notizie, cerca anch'essa Renzo al paese, dove apprende che padre Cristoforo è stato trasferito a Rimini

Capitolo 19
Responsabile della sua partenza è il conte Attilio, che a Milano è riuscito a convincere il conte zio, importante personaggio, a chiedere al padre provinciale dei cappuccini l'allontanamento del frate per una missione di parecchi mesi. Don Rodrigo agisce a sua volta recandosi dal potente signore che lo aiuterà a rapire Lucia, l'Innominato. 

Capitolo 20
Don Rodrigo convince all'impresa l'Innominato che manda il capo dei suoi bravi, il Nibbio, da quell'Egidio, che sa in relazione con la monaca di Monza. Gertrude, sollecitata dall'amante, fa uscire con una scusa Lucia dal convento, sicché i bravi, guidati dal Nibbio, possono rapirla e portarla al castello del loro signore. 


Capitolo 21

Il racconto che il Nibbio fa al padrone sul rapimento di Lucia scuote l'Innominato già da tempo scontento della sua vita; le lacrime di Lucia lo turbano. Durante la notte, mentre la ragazza fa voto di consacrarsi alla Madonna se verrà liberata, egli è assalito da una profonda crisi che lo spinge a meditare il suicidio. Ma all'alba sente suonare le campane nella valle e si alza con propositi nuovi. È questo il capitolo della giustamente famosa «conversione dell'Innominato». 

Capitolo 22
L'innominato, viene informato da un bravo che tutta quella gente, così festosa, va verso un paese vicino, per vedere il cardinale Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano. La popolarità, il rispetto e la venerazione che il popolo dimostra verso il cardinale, fa nascere nell'innominato la speranza, parlandogli " a quattr'occhi, " che egli possa curare il suo spirito tanto in crisi, che possa pronunciare parole rasserenatrici. Presa, quindi, la decisione di parlare con il cardinale, si reca prima nella camera di Lucia, che intanto sta dormendo in un cantuccio; rimprovera la vecchia, per non aver saputo convincere Lucia a dormire sul letto, le raccomanda di lasciarla riposare in pace, e di riferirle, quando si sarà svegliata " che il padrone è partito per poco tempo, che tornerà e che... farò tutto quello che lei vorrà. ". E' superfluo dire che la donna resta sbalordita per lo strano e insolito comportamento del suo padrone, che intanto mette di guardia un bravo, davanti alla porta della camera di Lucia, perché nessuno la disturbi; quindi, risoluto, si dirige verso il paese, dove si trova il cardinale; e giuntovi, avuta indicazione che egli si trova in casa del curato, va là, entra in un cortiletto, dove sono riuniti molti preti che lo guardano con aria di meraviglia e di sospetto, e chiede di voler parlare al cardinale. Prima che si svolga il colloquio tra l'innominato e l'arcivescovo, l'autore traccia un profilo di Federigo Borromeo; la descrizione, fatta con calore in tutta la sua splendida grandezza, risulta veramente efficace. Ancora giovinetto, manifestata la vocazione di dedicarsi al ministero ecclesiastico, oltre a dedicarsi alle occupazioni prescritte, decide di sua spontanea volontà " di insegnare la dottrina cristiana ai più rozzi e derelitti del popolo, e di visitare, servire, con­solare e soccorrere gl'in fermi. ". Quantunque discenda da nobile famiglia, tutto il suo comportamento è improntato alla più servile umiltà; teme le dignità, anzi cerca di evitarle, non per sottrarsi al servizio altrui, ma perché non si stima " abbastanza degno, né capace di così alto e pericoloso servizio". Poco più che trentenne, infatti, ricusa l'arcivescovado di Milano, successivamente costretto ad accettare su ordine del papa. Riduce al minimo le sue esigenze, ed offre tutto ai poveri; per lui, infatti, " le rendite ecclesiastiche sono patrimonio dei poveri". E' merito suo la fondazione della biblioteca ambrosiana. Ma quel che più spicca in lui è la bontà, la giovialità, la cortesia verso gli umili. Quanto scrive il Manzoni, per magnificare questo uomo di virtù predare, non è un parto di fantasia, ma realtà evidente, tanto è vero che riuscirà a convertire, come per grazia divina, chi si era macchiato di tanti infami crimini: l'innominato.

Capitolo 23    
Incontro tra l'Innominato e Federigo e abbraccio di riconciliazione. Il cardinale, conosciuta la vicenda di Lucia, fa chiamare don Abbondio, presente con gli altri parroci della zona. e gli dà l'incarico di provvedere al recupero della ragazza. Viaggio di don Abbondio, terrorizzato, in compagnia del terribile signore, fino al castello. 


Capitolo 24

Lucia è liberata e condotta provvisoriamente in paese, nella casa di un buon sarto, dove subito giunge Agnese e poco dopo il cardinale, cui Agnese racconta le loro vicende. L'Innominato, al castello, avverte i suoi uomini che potranno restare al suo servizio solo se intenzionati come lui a mutar vita. 

Capitolo 25
Don Rodrigo pensa bene di lasciare il paese e tornarsene a Milano, prima d'essere costretto a incontrare il cardinale. Il prelato viene accolto da don Abbondio al quale chiede informazioni su Renzo. Lucia viene ospitata da una ricca signora, donna Prassede, col beneplacito del cardinale, il quale finalmente chiede a don Abbondio perché non abbia celebrato le nozze dei due giovani. 


Capitolo 26

Celebre dialogo tra Federigo e don Abbondio, che sembra ravvedersi, anche se non nasconde le sue buone ragioni. L'Innominato regala a Lucia una dote di cento scudi d'oro; ma ad Agnese che porta alla figlia la buona notizia, Lucia rivela il voto fatto la notte del rapimento. Decidono così di mandare metà della somma a Renzo e di pregarlo di non pensar più al matrimonio. Ma non riescono a mettersi in comunicazione con lui: il giovane ha mutato il proprio nome in quello di Antonio Rivolta e ha cambiato filanda. 


Capitolo 27

La guerra per la successione del ducato di Mantova, che aveva visto di giorno in giorno l'Italia settentrionale coinvolta nella guerra europea che prende il nome di guerra dei trent'anni, impegnava del tutto l'attenzione del governatore don Gonzalo. Temeva questi che anche Venezia volesse scendere in campo contro la Spagna: bisognava cercare di distoglierla facendo la voce forte contro la Repubblica veneta. E l'occasione fu fornita a don Gonzalo dalla notizia che Renzo si era rifugiato nel territorio bergamasco. Di qui la finzione delle ricerche condotte per accertare se Renzo era veramente a Bergamo. Era una formalità: Renzo diventò una pratica burocratica. Il potere, di lui non s'accorse, perché era sola un pretesto. Ma Renzo, pur cambiando residenza e nome, continuava a nascondersi: sapeva per esperienza che del potere politico non ci si poteva fidare. Una sola cosa lo tormenta: quella di mettersi in contatto con Agnese e Lucia. Riesce a trovare una fidata trafila e un giorno riceve insieme con una lettera di Agnese cinquanta scudi: Lucia, era detto nella lettera, non poteva sposarlo più perché aveva fatto voto di castità. Si mettesse il cuore in pace e attendesse agli affari suoi. Cosa che Renzo si dichiarò non disposto a fare. Il suo unico proposito ora sarebbe stato di indurre Lucia al matrimonio. Lucia, intanto, aveva trovato ospitalità in casa di donna Prassede, una donna che poco poteva sul marito, don Ferrante, un intellettuale che da lei si difendeva chiudendosi tra i suoi libri. Così donna Prassede sfogava la sua volontà di strafare e la sua voglia di fare del bene ad ogni costo (ma il bene coincideva stranamente col suo concetto piuttosto storto di bene) alle persone come Lucia che si erano lasciate traviare. Non altrimenti si poteva e doveva spiegare l'innamoramento della giovane per uno come Renzo che per poco era sfuggito alla forca e che sicuramente doveva essere un poco di buono, se era ricercato dalla polizia. Pensiero dominante di donna Prassede era di liberare la mente di Lucia dall'immagine di Renzo e perciò a lei parlava spesso e in termini duri ed ingiusti: Lucia per forza di cose doveva difenderlo da tanta aggressività e così il suo Renzo se lo confermava sempre più dentro. E sempre più intensamente l'immagine di lui l'assediava, sempre come risultato dei metodi educativi di donna Prassede. Nulla c'era da temere dal marito di lei, don Ferrante, un letterato di grande classe: aveva tanti libri e la sua attenzione si fermava su scienze come l'astrologia e la duellistica, dove era diventato un'autorità. Era il tipo di letterato astratto, inutile, formalistica, che non sa legare scienza e realtà, cultura e società.

Capitolo 28
Questo è un capitolo, in cui il Manzoni abbandona di nuovo i suoi personaggi, per tracciare un quadro storico degli avvenimenti successivi alla sedizione di San Martino, che ebbe come conseguenza un ribasso del prezzo del pane; un ribasso che risultò fatale, in quanto la plebe, affamata, si abbandonò ad uno sfrenato consumo, e troppo tardi se ne avvide delle conseguenze disastrose, perché così facendo, non solo rendeva impossibile una lunga durata " a goder del buon mercato presente", ma addirittura ne impediva "una continuazione momentanea. ". Anche i contadini abbandonavano la campagna e si riversavano in città; la situazione era destinata a precipitare; i tentativi di porvi rimedio non ottenevano alcun risultato efficace. Consumate le scorte, la fame divenne un male disastroso, pericoloso e inevitabile. 
In città, chiusi negozi e fabbriche, la disoccupazione imperversa e la miseria si spande a macchia d'olio. Accattoni di mestiere e mendicanti formano una lugubre e grossa schiera. Il cardinale Federigo in questa circostanza organizza i suoi soccorsi; forma tre coppie di preti che, seguiti da facchini carichi di cibi e di vesti, girano per la città, per ristorare chi è più bisognevole. Ma l'interessamento caritatevole del cardinale, unito alla generosità dei privati e ai provvedimenti dell'autorità della città, si dimostra inadeguato rispetto alla vastità del male. 
Per tutto il giorno nelle strade si ode " un ronzio confuso di voci supplichevoli, la notte, un sussurro di gemiti," ma non si ode " mai un grido di sommossa. ". Eppure, osserva il Manzoni, tra coloro che soffrivano " c'era un buon numero di uomini educati a tutt'altro che a tollerare, " per cui conclude che spesso " ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi". Se qualcuno era in grado di fare qualche elemosina, la scelta era ardua; all' avvicinarsi di una mano pietosa, all'intorno era una gara d'infelici, che stendevano la loro mano. Poiché le strade diventano ogni giorno di più un ammasso di cadaveri, trascorso l'inverno e la primavera, il tribunale di provvisione decide " di radunare tutti gli accattoni, sani ed infermi, in un sol luogo, nel lazzaretto, " dove potranno essere aiutati a spese del pubblico. In pochi giorni gli infelici ospitati divengono tremila; ma i più, o per godere l'elemosine della città o per la ripugnanza di star chiusi nel lazzaretto, restano fuori. Per cacciare dunque gli accattoni al lazzaretto, si deve ricorrere alla forza, e così, in pochi giorni, il numero dei ricoverati sale a circa diecimila. 
Ma tale iniziativa, sia pur lodevole nelle intenzioni, per l'ammassarsi di tanti infelici in un sol luogo, per l'organizzazione carente e per l'inadeguatezza dei mezzi, è insufficiente. La gente dorme per terra o su paglia putrida; il pane è alterato " con sostanze pesanti e non nutrienti"; manca persino l'acqua potabile; perciò la mortalità cresce a tal punto che si comincia a parlare di pestilenza. Per porre rimedio a questa grave e pericolosa situazione, si mandano via dal lazzaretto tutti i poveri non ammalati, mentre gli infermi vengono ricoverati nell'ospizio dei poveri di Santa Maria della Stella. Finalmente, con il nuovo raccolto il popolo ha di che sfamarsi, ma la mortalità, per epidemia o contagio, anche se con minore intensità, si protrae fino all'autunno, quand'ecco, implacabile, un nuovo flagello si abbatte sulla popolazione: la guerra. Infatti il cardinale Richelieu con il re, alla testa di un esercito, scende in Italia e occupa Casale, tenuto prima da don Gonzalo. Nel frattempo si dispone " a calar nel milanese" anche l'esercito di Ferdinando, nel quale pare che covasse la peste, tanto che si fa divieto a chiunque, quando l'esercito muove all'assalto di Mantova, " di comprar roba di nessuna sorte dai soldati". Ma tale divieto non è preso in alcuna considerazione. L'esercito di Ferdinando, era per lo più composto da bande mercenarie che mettevano a soqquadro tutti i paesi, asportando dalle case tutti gli oggetti di valore.

Capitolo 29
Nel paese di Lucia, per sfuggire ai saccheggi, don Abbondio, Perpetua e Agnese pensano di rifugiarsi nel castello dell'Innominato, dove confluisce, ben protetta, la gente della zona. 

Capitolo 30 
La peste la prende anche don Rodrigo: se la scopre addosso una sera tornando da un festino dove aveva celebrato ironicamente il morto conte Attilio. Chiede aiuto al Griso perché chiami un medico: il Griso chiama invece i monatti. Che lo portano al lazza retto. Ma prima del padrone muore fulminato dalla peste anche il Griso. Di peste s'ammala anche Renzo, ma la forte, contadinesca fibra lo salva: superata la convalescenza decide di far ritorno al suo paese in cerca di Lucia. Nessuno in tanta confusione si curerà di lui e dei suoi conti con la Giustizia. Salutato il cugino Bortolo, riattraversa l'Adda e si affaccia al suo paese. Dovunque imperano i segni della morte, dell'abbandono, della sofferenza. Incontra Tonio in camicia che dice cose senza senso: la malattia lo aveva reso idiota e fatto somigliare stranamente al fratello folle. Da una cantonata vede avanzare una cosa nera; è don Abbondio che ha perduto Perpetua: è mal messo ma si preoccupa della presenza di Renzo. per lui sorgente di guai. Di Agnese sa che si rifugiata a Pasturo, di Lucia dice che è a Milano in casa di don Ferrante. Altro non sa; una sola cosa vorrebbe: che Renzo torni al più presto dond'è venuto. Renzo passa anche accanto alla sua vigna: ormai ridotta a una marmaglia di piante, di vilupponi arrampicati, di rovi, di un guazzabuglio di steli. Pare anch'essa investita e disgregata dalla peste. A sera trova rifugio in casa di un amico. L'indomani decide di recarsi a Milano in cerca di Lucia.

Capitoli 31 e 32
Il passaggio delle milizie straniere ha lasciato la peste che comincia a imperversare a Milano e nel contado. In città la confusione è grande. Il cardinale ordina una processione espiatoria che non fa che accrescere il contagio. Dovunque si parla di untori, cioè di agenti del nemico incaricati di spargere la peste ungendo le porte e i muri delle case. Si istituiscono anche «infami» processi contro innocenti, accusati dall'isterismo popolare. 


Capitolo 33

Tra i colpiti dalla peste è don Rodrigo, tradito dal Griso e consegnato ai monatti, i raccoglitori dei morti e dei contagiati. Renzo, che ha superato la malattia, ora che nessuno si cura più di lui, si mette in cerca di Lucia, e si reca al paese, dove trova la desolazione; da don Abbondio apprende che Perpetua è morta insieme con molti altri, che Agnese è presso parenti a Pasturo e che Lucia è a Milano, presso la famiglia di don Ferrante. 


Capitolo 34

Renzo riesce a entrare in Milano; scorge dovunque i segni terribili del morbo e della desolazione. Assiste all'episodio patetico della madre di Cecilia, la bambina morta di peste. Trovata finalmente la casa di don Ferrante, apprende che Lucia è al lazzaretto, l'ospedale degli appestati. Scambiato per un untore, riesce a stento a sottrarsi a un gruppetto di gente imbestialita, saltando su di un carro di monatti. 

Capitolo 35
L'aria si fa sempre più afosa, il cielo si copre di una coltre di umidità greve, quando Renzo entra nel lazzaretto: un insieme di capanne e di fabbricati posticci, alzati per la circostanza, accanto ad altri in muratura. L'impressione è quella del covile segnato da un vasto brulichio prodotto da sani e malati, da serventi e da folli, impazziti per la peste, da gente variamente indaffarata. Su tutto domina l'organizzazione imposta dai cappuccini ed è, il loro, un ordine esemplare sempre tenendo conto che bisogna amministrare, confortare, curare o avviare al cimitero ben sedicimila appestati. La visione generale è quella che insorge da un luogo che è un condensato, un contenitore di grandi sofferenze su cui incombe l'aria ed il cielo nebbioso. Il primo gruppo di malati, collocati a parte, dentro un recinto, è quello dei bambini allevato da nutrici e da capre: alcuni sono neonati ed hanno bisogno di costante cura ed attenzione. Molte donne guarite dalla peste provvedono alla cura dei bambini: ma anche le capre, quasi consapevoli della grande sofferenza, offrono mansuete il proprio latte ai bambini. È uno spicchio di umanità che intende sopravvivere e resistere nonostante tutto sembri avviare a morte o a disperazione. E proprio in un atteggiamento di padre che si cura dei propri piccoli Renzo intravede dopo tanto tempo la cara immagine di padre Cristoforo. Affettuoso l'incontro tra i due. Il padre dopo essere stato per anni a Rimini, per pressioni esercitate sui superiori ha ottenuto di essere richiamato a Milano e di essere adibito al servizio dei malati. Renzo gli fa un succinto riassunto delle sue avventure e dice di essere nel lazzaretto in cerca di Lucia. Potrebbe essere, se è ancora viva, nel recinto assegnato alle donne: è proibito entrarvi. Ma il padre lo autorizza date le buone intenzioni che lo animano. Ma Lucia sarà viva? Se non dovesse essere viva, Renzo si dice pronto a fare vendetta su don Rodrigo, che è all'origine di tutte le disavventure sue e di Lucia. E a questo punto padre Cristoforo lo redarguisce e alla legge di vendetta contrappone la legge cristiana del perdono e della carità. Lui, che ha fatto l'esperienza dell'assassinio di un uomo, sa quanto arida sia la strada della vendetta e quanto allontani da Dio e quindi dall'umanità la ricerca di una giustizia che impone morte per morte. La vera giustizia è la carità che compensa la morte di un uomo con la crescita ideale di nuova umanità. Renzo convinto si dice disposto al perdono del suo avversario. E il frate lo conduce in una capanna dove gli mostra don Rodrigo moribondo: ecco come si è ridotto colui che voleva farsi padrone dell'altrui vita! E il padre non sa decidere se in quelle condizioni il signorotto sia per un castigo o per un atto di misericordia della divinità.


Capitolo 36

Dopo affannosa ricerca, incontra finalmente Lucia. L'amarezza per la riconferma del voto fatto alla Madonna, è risolta dall'intervento di padre Cristoforo, che scioglie Lucia dal voto. Lucia resta con una ricca signora che ha perduto i suoi e l'ha presa a ben volere, mentre Renzo torna ad avvertire Agnese del prossimo ritorno della figliola. 

Capitolo 37
Uscito dal lazzaretto Renzo è sorpreso da un temporale, quello che porterà via la peste. Vede Agnese, ritorna a Bergamo dal cugino per cercarsi una casa, è di nuovo al paesello ad attendervi Lucia che, trascorsa la quarantena, si accinge a ritornare. Prima della partenza, apprende la morte di padre Cristoforo, il processo contro la monaca di Monza, e la morte anche di donna Prassede e don Ferrante. 


Capitolo 38

Lucia ritorna al paese. Don Abbondio si decide finalmente a sposare i due giovani, ma soltanto quando viene a sapere che il palazzo di don Rodrigo è ora occupato dall'erede di lui, un marchese, «bravissim'uomo» che ha saputo della storia di Lucia e di Renzo, e è disposto ad acquistare ad alto prezzo le loro casette e a liberare Renzo dall'imbroglio di Milano. I due sposi, con Agnese, si trasferiscono a Bergamo, dove la famiglia e gli affari prosperano. Il romanzo termina con la celebre morale messa in bocca a Lucia: «...lo non sono andata a cercare i guai: sono loro che sono venuti a cercar me... i guai vengono bensì spesso perché ci si è dato cagione; ma la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani..

Fonte: http://dislessia.myblog.it/list/utilita/riassunti_dei_promesi_sposi.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Riassunto dei promessi sposi

I Promessi Sposi - riassunto


La vicenda si svolge fra i dintorni di Lecco, Milano e Bergamo fra il 7 novembre 1628 e l'autunno del 1630. Tutto ha inizio quando il curato don Abbondio, fifone di nascita, viene minacciato di non celebrare il matrimonio fra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella dai bravi di don Rodrigo, un signorotto locale molto potente, il quale si era invaghito della poveretta. I due promessi chiedono aiuto a fra Cristoforo, un cappuccino passionale sempre pronto ad aiutare la povera gente, il quale cerca di convincere Rodrigo a rinunciare alla ragazza; egli non acconsente e decide di rapire Lucia. I ragazzi decidono così di organizzare un matrimonio a sorpresa, la stessa notte prestabilita per il rapimento. Entrambi falliscono miseramente e Renzo, Lucia e Agnese, la madre della fanciulla, sono costretti ad andarsene dal loro paesino. Renzo fugge a Milano, dove è in corso una rivolta per il pane e viene scambiato per un rivoltoso. Riuscito a fuggire, si rifugia in quel di Bergamo dal cugino Bortolo sotto falso nome. Lucia e Agnese, intanto, vengono accolte nel monastero di Monza, sotto la protezione della "Signora" Gertrude, una monaca obbligata, figlia di un principe. Don Rodrigo, però, prega l'Innominato, un ricco potente temuto e rispettato da tutti per i suoi atti scellerati, di rapire Lucia. Questi acconsente, riuscendo nell'impresa. Parlando con la ragazza incomincia ad avere dei ripensamenti, dei sensi di colpa, che lo torturano tutta la notte, fino al totale pentimento grazie al card. Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano, uomo di polso e di grande bontà. Il signorotto decide di liberare Lucia, che però per disperazione, durante la notte, fa voto alla Madonna di rimaner vergine. Liberata, la giovane rivela il voto alla madre e viene accolta da una coppia di signori milanesi. Agnese rimane al paese e riesce a mettersi in contatto con Renzo, dicendogli di mettersi il cuore in pace e di dimenticare Lucia; egli non lo accetta. Intanto a Milano incominciò a dilagare la peste, portata dai Lanzichenecchi, ma attribuita all'opera degli untori. Lo stesso don Rodrigo morì di peste e con lui anche il Griso. Anche i nostri promessi contrassero il morbo, ma riuscirono a superarlo. Intanto Renzo, nel tentativo di ritrovare Lucia, dopo essere passato per il suo paese e aver scoperto la morte di molti suoi amici, ritrovò Lucia e incontrò padre Cristoforo nel Lazzaretto di Milano. Ella però gli ricordò il voto, così Renzo chiamò padre Cristoforo, il quale lo sciolse. I due tornarono al paesello natio, accompagnati da un forte acquazzone che lavò ogni traccia della malattia. Renzo e Lucia, finalmente, si unirono in matrimonio, e vissero per sempre felici e contenti nella loro casetta di Bergamo.

 

Fonte: http://www.libroaperto.org/Libri/Letteratura/Italiana/Manzoni/Promessisposi/I%20Promessi%20Sposi%20-%20riassunto.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

I PROMESSI SPOSI

 

Visita per i riassunti di tutti i capitoli, per le analisi dei capitoli e per le analisi dei personaggi del romanzo questo link: http://scuola.otforum.it/appunti/italiano/promessisposi.html

La scelta del romanzo

Anche se le liriche e le tragedie del Manzoni si sono rivelate fortemente innovativa, è nel romanzo “I Promessi Sposi” che troviamo la più completa realizzazione della nuova concezione della letteratura.
Nel 1821 scegliere come genere il romanzo appariva come una decisione coraggiosa e soprattutto di rottura contro tutta una serie di canoni classici che nessuno prima di allora aveva osato toccare.
Il romanzo rispondeva perfettamente alla poetica del vero (la realtà viene rappresentata senza distorsioni e senza artifici letterari propri della letteratura classicistica), dell’interessante (il testo non si rivolge ad una casta chiusa, ma ad un pubblico più ampio e questo, ovviamente suscita facilmente l’interesse del lettore comune, respinto da tragedie, odi e poemi epici che trattavano temi lontani e in modo assai complicato) e dell’utile (il romanzo risponde alle esigenze dell’impegno civile dello scrittore). Inoltre il romanzo era completamente svincolato da ogni tipo di regole, essendo un genere nuovo. In questo modo veniva meno anche la regola classica della “separazione degli stili”, secondo cui solo ciò che è nobile può essere rappresentato in forme serie e sublimi. Nella letteratura precedente ai Promessi Sposi, il popolo era sempre stato dipinto in chiave comica, mentre per la prima volta, violando convezioni letterarie profondamente radicate, il Manzoni è riuscito a narrare le vicende di due popolani lombardi in tutta la loro serietà e tragicità. Inoltre i personaggi non sono più inseriti su una scenografia astratta, ma si compenetrano nello sfondo storico e sociale in cui sono collocati assumendo maggiore realismo.
E’ bene osservare che il Manzoni rifiuta nel modo più assoluto l’idealizzazione dei propri protagonisti. Essi, sebbene siano portatori di virtù considerare le più alte, non cessano di essere due contadini e, come tali, conservano la mentalità, il linguaggio e i comportamenti tipici della loro condizione.

I Promessi Sposi e il romanzo storico

Il modello cui si basa è quello di Walter Scott, padre del romanzo storico. Il Manzoni comunque si distacca parecchio dal modello Scottiano, vediamo come.
Nei testi dello scrittore scozzese i protagonisti non sono le grandi personalità storiche, bensì personaggi inventati di cui la storiografia non si occupa. Le loro vicissitudini vengono inserite su di uno sfondo storico reale che incide sulla loro vita. La storia è quindi vista dal basso, sulla base dell’esperienza quotidiana della gente comune.
Il Manzoni nella stesura del suo romanzo si documenta con uno scrupolo incredibile, leggendo cronache del tempo, biografie… Ed è proprio l’approccio del Manzoni verso la storia, così sistematico e puntuale, che separa i due autori. La “storia” di Scott, secondo Manzoni, non è analizzata con cura ed è romanzata attraverso l’invenzione. Vi è quindi una vera e propria respinta del romanzesco.

Il quadro polemico del Seicento e l’ideale manzoniano di società

Il Romanzo è ambientato nella società lombarda del Seicento sotto la dominazione spagnola. Manzoni si colloca verso il passato in modo assai critico, con l’atteggiamento dell’illuminista, bravo a cogliere l’irrazionalità, le aberrazioni, i pregiudizi e le ingiustizie della società passata. Quel tipo di società è infatti l’elogio di questi vizi, il trionfo dell’ingiustizia e della prepotenza da parte dei potenti.
Come anche visto nell’Adelchi, l’analisi del passato serve al Manzoni per criticare la società in cui viveva.
Analizzando la società seicentesca, offre alle nascenti forze borghesi il modello di una società futura da costruire. E quali sono i paletti di questo ideale manzoniano di società? Cerchiamo di schematizzarli:

  1. un saldo potere statale;
  2. una legislazione razionale ed equa;
  3. una politica economica oculata;
  4. un’organizzazione sociale giusta;
  5. una società in cui le classi inferiori si rassegnino cristianamente alle loro inevitabili miserie e rinuncino a rivendicare i propri diritti con la forza.

Nel romanzo ogni classe sociale è rappresentata da personaggi “positivi” e da altri “negativi”.
L’aristocrazia, per esempio, è rappresentata negativamente da don Rodrigo e Gertrude (usano il loro privilegio in modo oppressivo). Il cardinal Federigo è l’aristocratico, per così dire, “buono”: benefico e lungimirante. L’Innominato rappresenta il personaggio di “transizione”: è negativo prima della sua conversione, poi, cambia sponda e dedica la sua vita a proteggere i deboli oppressi e a beneficare gli umili.
Per quanto riguarda il popolo, l’esempio negativo è offerto dalle masse rivoltose di Milano, mentre invece il positivo dalla rassegnazione cristiana di Lucia. Renzo è, come l’Innominato, un personaggio di transizione. E’ un esempio negativo fino alla rivolta di Milano (animo ribelle), poi si abbandona totalmente alla Provvidenza, atteggiamento analogo a quello di Lucia.
Arriviamo infine ai ceti medi. Esempi negativi sono don Abbondio e Azzeccagarbugli, mentre un esempio positivo è fra Cristoforo (lo inseriamo nel ceto medio perché, prima di diventare frate, era un borghese).
Un modello di società che si nutre dei princìpi della borghesia liberale in cui la componente laica si fonde con la componente religiosa. Chi ha deve dare a chi non ha e chi non ha deve sopportare pazientemente le sue miserie: è questo il modello ideale di società che ha Manzoni in cui la religione è l’unica vera forza riformatrice in quanto agisce alla radice dei mali della società e riesce laddove le riforme politiche hanno fallito producendo conseguenze disastrose (Rivoluzione francese).
Questa visione religiosa conduce Manzoni verso una visione pessimistica della storia: la ricerca della felicità originaria è al di fuori di ogni capacità umana, ma non per questo l’uomo si deve rassegnare. Egli può e deve agire contro il male della società.

L’intreccio e la struttura romanzesca

Il romanzo si apre all’insegna della tranquillità: Renzo e Lucia vivono in serenità sulle rive del ago e vagheggiano un futuro di serenità e felicità. Questo stato è però solo apparente in quanto viene subito minato dalla presenza del signorotto don Rodrigo. I due personaggi iniziano quindi un viaggio alla scoperta del negativo della realtà storica: Renzo sperimenterà il male nel campo sociale e politico (la sommossa di San Martino, il disfacimento sociale della Milano appestata), mentre Lucia lo sperimenterà nel campo morale.
Il romanzo può essere letto anche come romanzo di formazione.
La formazione di Renzo consiste nel giungere ad abbandonare ogni velleità d’azione e a rassegnarsi totalmente alla volontà di Dio. Questo processo si attua attraverso le due esperienze della sommossa e della Milano appestata in due momenti ben precisi: la notte passata presso l’Adda ed il perdono concesso a don Rodrigo morente nel lazzaretto.
Anche se non particolarmente visibile, anche Lucia è un personaggio che si trasforma durante il romanzo. All’inizio del racconto appare come prigioniera di una visione idillica della vita, mentre, man mano che la storia evolve, matura in lei la consapevolezza che non può esistere l’Eden in terra, che le sventure si abbattono anche su chi è senza colpa e che la vita più cauta ed innocente non basta ad evitarle. La fiducia in Dio, comunque, addolcisce i guai del mondo e li rende utili per una vita migliore.

Il Fermo e Lucia

Il romanzo è stato redatto in tre edizioni, la prima, inedita, risale al 1821-23 ed è stato pubblicata solo un secolo dopo da alcuni studiosi con il titolo “Gli Sposi Promessi”, poi, “Fermo e Lucia”.
La seconda pubblicata nel 1827 portava già il titolo definitivo: “I Promessi Sposi”. Infine la terza e ultima edizione risale al 1840-42. Tra le ultime due edizioni vi sono essenzialmente differenze linguistiche, mentre le discrepanze tra l’ultima e la prima sono davvero profonde, tant’è che alcuni hanno proprio parlato di due romanzi distinti.
Per prima cosa vi sono differenze nell’impianto narrativo e nei personaggi. Per esempio nel “Fermo e Lucia”, Lucia è più realistica, più legata ad una determinata condizione sociale. Vi sono maggiori digressioni storiche che sono state fortemente ridotte nei Promessi Sposi rendendo il racconto più leggero. Per concludere, nel Fermo, le critiche sono più aspre ed esplicite, mentre nei Promessi Sposi sono velate da una sottile ironia.

 

Il problema della lingua

Essendo i Promessi Sposi un’opera destinata ad un pubblico vasto, non si poteva utilizzare la lingua della tradizione letteraria, aulica ed ardua, comprensibile solo a chi fosse fornito di alta cultura. Il problema della lingua fu quindi assai ostico e Manzoni riuscì a venirne a capo per gradi.
Nel Fermo, egli si orienta verso una lingua formata da un fondo di toscano letterario, ma arricchita di apporti della parlata viva. Ma già dopo il 1924, l’autore abbandona questa lingua di compromessi per abbandonarsi totalmente al toscano. Pubblicato il romanzo nel 1927, si reca in viaggio a Firenze dove scopre il fiorentino delle persone colte, che diventerà la lingua dell’edizione definitiva dei Promessi Sposi. L’opera di riscrittura del romanzo lo impegnò fino al 1840.
Manzoni scrisse diversi trattati riguardo la lingua italiana e le sue teorie incontrarono il favore della classe politica dello Stato unitario tant’è che il ministro della Pubblica Istruzione affidò a Manzoni l’incarico di diffondere nel popolo la buona lingua.

 

Fonte: http://scuola.otforum.it/download/alessandro_manzoni.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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