Anatomia apparato digerente

 


 

Anatomia apparato digerente

 

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Anatomia apparato digerente

 

L’apparato digerente

 

L’ apparato digerente consiste in un canale cui sono annesse alcune ghiandole: le salivari maggiori, il fegato e il pancreas.

la prima porzione è definita anche segmento di transito, presenta una superficie liscia, che deve essere lubrificata da ghiandole che producono muco per ridurre gli attriti. Il materiale alimentare viene assunto a livello della bocca, con la masticazione si costituisce il bolo alimentare che passa nella faringe e nell’esofago, in cui l’apparato digerente assume quella configurazione a tubo che, ad eccezione dello stomaco e dei primi segmenti, lo caratterizza sino alla fine.

Il segmento di transito presenta quindi caratteristiche particolari dovute al fatto che il materiale alimentare vi soggiorna transitoriamente prima di raggiungere lo stomaco. Nello stomaco hanno inizio i processi digestivi, la digestione tuttavia inizia già a livello della cavità buccale ad opera dell’amilasi salivare (ptialina) contenuta nel segreto delle ghiandole salivari.

Nel segmento di transito avviene l’assunzione del cibo, la masticazione (preparativi per la digestione), la deglutizione, la progressione verso l’esofago, la fonazione e la respirazione. Il punto cruciale è dato dall’incrocio tra vie digestive e vie respiratorie: a livello della porzione terminale della faringe, l’aria inspirata imbocca le vie respiratorie: l’epiglottide deve essere sollevata. Una volta giunto nello stomaco, il bolo sosta per un periodo di tempo variabile da pochi secondi a molte ore.

Il tempo di permanenza nello stomaco può essere determinato tramite somministrazione di un mezzo di contrasto.

Lo stomaco digerisce in modo sommario le proteine, dando origine a grossi polipeptidi di vario peso molecolare. Anche l’amilasi salivare viene degradata in quanto non resiste alle condizioni presenti nell’ambiente gastrico.

Nell’intestino tenue viene completata la digestione di polipeptidi, polisaccaridi e grassi, grazie all’azione degli enzimi amilolitici, proteolitici e lipolitici del succo pancreatico, e della bile secreta dal fegato che però non contiene enzimi.

Inoltre nell’intestino tenue si compiono processi di assorbimento di amminoacidi, esosi e die prodotti di digestione dei grassi.

L’intestino tenue è provvisto di strutture specializzate per l’assorbimento (villi intestinali).

L’intestino crasso assorbe acqua e quindi concentra i residui non digeribili, ne assicura la progressione e l’eliminazione.

Il retto è la sede in cui si raccoglie il materiale fecale. E’ provvisto di una struttura muscolare per l’espulsione del materiale fecale.

Riassumendo l’apparato digerente è formato dal canale alimentari e dagli annessi al canale alimentare (ghiandole salivari, fegato, pancreas). Il segmento di transiti è costituito da: bocca (vestibolo e cavità buccale), istmo delle fauci (tonsilla palatina e tonsilla linguale), faringe, esofago.

 

FUNZIONI DEL SEGMENTO DI TRANSITO

- Assunzione del cibo

- Respirazione

- Masticazione e preparazione del bolo alla digestione. La saliva utilizzata a questo scopo, proviene dalle ghiandole salivari maggiori, ma anche dalle ghiandole salivari minori o intramurali, che creano localmente condizioni diverse in base alla necessità (saliva sierosa nel vestibolo della bocca per evitare il ristagno di detriti, saliva mucosa a livello del palato duro per lubrificare una zona soggetta a forti attriti).

- Deglutizione e progressione del bolo

- Sede di sensibilità gustativa

- Sede di funzioni immunitarie (tonsille)

Per tutte queste ragioni l’apparato digerente si integra con il sistema osteoarticolare, muscolare, con le ghiandole annesse e con i vari tipi di mucosa.

La mucosa di rivestimento si trova in regioni sottoposte al minimo grado di attrito, quali la superficie interna di labbra e guance.

 La mucosa masticatoria si dispone a rivestire quelle regioni della bocca che risultano sottoposte a notevole attrito durante l’assunzione del cibo, ma masticazione e la progressione del bolo.

La mucosa specializzata svolge funzioni specializzate. Si trova principalmente a rivestire il dorso della lingua, dove la presenza di papille conferisce alla mucosa stessa, riccamente innervata, la proprietà di ricevere stimoli tattili anche di minima intensità e stimoli specifici della sensibilità gustativa.

 

DIVISIONE

VESTIBOLO DELLA BOCCA

Il vestibolo della bocca è uno stretto solco delimitato anteriormente dalle labbra e guance, posteriormente dalle arcate gengivodentali. E’ importante la presenza di saliva sierosa per detergere questi solchi ed evitare ristagno di detriti.

 

CAVITA’ ORALE

La cavità orale è occupata quasi completamente dalla lingua. La lingua è un’organo estremamente mobile, svolge compiti essenziali nell’assunzione di cibo, nella formazione del bolo e nella deglutizione. Partecipa alla fonazione (emissione di un linguaggio articolato), ed è sede della sensibilità gustativa. Presenta un corredo muscolare di muscoli striati (movimenti volontari), divisi in muscoli intrinseci ed estrinseci, che garantiscono carattere di mobilità.

La mucosa della lingua presenta caratteristiche diverse a seconda delle zone.

La mucosa del dorso è la superficie esposta ad attriti ed a sollecitazione a seguito della sua compressione contro il palato, quindi occorre una mucosa fortemente aderente al piano muscolare: epitelio di rivestimento, lamina propria, piano muscolare, assenza di muscularis mucosae e sottomucosa. Le regioni non sottoposte a sollecitazioni meccaniche ed attriti, sono caratterizzati da una mucosa poco aderente ai piani sottostanti ed alla presenza di una tonaca sottomucosa.

Viceversa ad di sotto della lingua abbiamo la presenza della sottomucosa e quindi la mucosa non aderisce in modo così forte al piano muscolare.

 

PALATO

A livello del palato duro abbiamo una mucosa fortemente aderente al piano osseo (mucosa masticatoria). Nel palato molle abbiamo una mucosa di rivestimento.

 

ISTMO DELLE FAUCI

E’ un breve segmento, le pareti laterali sono costituite dai due archi palatini, glossopalatino anteriormente, e faringopalatino posteriormente, tra cui si trova la tonsilla palatina, accolta nella fossa tonsillare. Il pavimento è costituito dalla mucosa della base della lingua, largamente occupata dalla tonsilla linguale.

 

ANATOMIA

MUCOSA DI RIVESTIMENTO

La mucosa di rivestimento è lassamente aderente ai piani sottostanti, sui quali può scivolare. E’ presente uno strato do sottomucosa, caratteristica della superficie di labbra e guance.

Le labbra sono organi mobili, delimitanti la rima buccale, servono per l’assunzione di cibo e la fonazione. Sono provviste di un corredo muscolare, vi si distinguono una superficie esterna cutanea, una superficie interna rivestita da mucosa, ed un margine libero o di transizione (bordo roseo o vermiglio).

La cute è formata da epitelio pavimentoso cheratinizzato, nel maschio sono presenti peli e ghiandole sebacee.

Il bordo roseo è fornito di un epitelio pavimentoso stratificato molto spesso, privo di melanociti negli strati basale e spinoso. La lamina propria (derma) si solleva in papille assai alte che si approfondano nell’epitelio. Queste papille connettivali sono riccamente vascolarizzate: l’assenza di pigmento e la ricchezza del corredo vascolare determinano il caratteristico colore rosso. La superficie interna delle labbra presenta la mucosa di rivestimento (epitelio pavimentoso stratificato, con un modesto grado di cheratinizzazione, per la mancanza di forti attriti, la lamina propria provvista di lobuli ghiandolari a secrezione pura, piano muscolare costituito da muscoli intrinseci ed estrinseci).

 

MUCOSA MASTICATORIA

La mucosa masticatoria si dispone a rivestire quelle regioni della bocca che sono sottoposte a notevole attrito durante l’assunzione del cibo, la masticazione e la formazione del bolo.

Queste regioni corrispondono alla mucosa gengivale e al palato duro. Durante la masticazione si sviluppano forze notevoli (20/25 kg) e quindi occorre una mucosa estremamente compatta e robusta.

Caratteristiche: esteso rapporto epitelio di rivestimento-lamina propria, quindi la lamina propria si solleva in papille alte ed assai slanciate, la lamina propria è molto consistente e presenta numerose fibre collagene in uno strato di connettivo estremamente denso, notevole cheratinizzazione dell’epitelio di rivestimento. Quest’ultimo è del tipo pavimentoso stratificato, molto simile a quello dell’epidermide, ma non presenta uno strato corneo. Abbiamo così uno strato basale costituito da cellule proliferanti (elementi di rimpiazzo, avviene un turn over continuo).

Queste cellule si portano gradualmente verso gli strati più superficiali, nel contempo si differenziano e si trasformano (citomorfosi cornea dell’epidermide.

La mucosa masticatoria è costituita da: uno strato spinoso, strato granuloso (strato lucido nell’epidermide), strato cheratinizzato.

Queste cellule via via che procedono verso gli strati più superficiali, presentano un citoplasma in cui si accumulano fascetti di tonofilamenti che si associano a granuli cheratoialini. Il processo di cheratinizzazione è direttamente proporzionale al grado di attrito cui è sottoposto l'epitelio.

 

MUCOSA SPECIALIZZATA

Si trova principalmente a rivestire il dorso della lingua. Presenta particolari caratteristiche che conferiscono alla mucosa stessa la capacità di ricevere stimoli tattili anche di intensità minima, e stimoli specifici della sensibilità gustativa.

Si distinguono nella lingua un’apice, un corpo ed una radice posta dietro al V linguale.

In corrispondenza del dorso della lingua la mucosa presenta diversi tipi di papille. In generale le papille possono essere definite come rilievi di varia forma della lamina propria, sui quali si dispone seguendone il profilo l’epitelio.

Le papille vallate sono le più voluminose tra le papille della lingua. Sono disposte lungo il V linguale e sono costituite da un voluminoso rilievo connettivale cilindrico, l’epitelio si affonda intorno alla papilla, ne raggiunge la base e risale in questo modo tutto intorno alla papilla e viene a formarsi un profondo solco circolare detto vallo.

Le papille fungiformi sono rilievi ristretti alla base e rigonfiati alla loro estremità libera, assumono pertanto la forma di fungo o clava. Sono localizzate su tutto il dorso, ma sono più numerose all’apice e lungo i margini.

Le papille foliate si trovano sui margini subito al davanti del pilastro glossopalatino. Su tutta la superficie del dorso si trovano le papille filiformi o corolliformi, non contengono calici gustativi, e quindi non hanno funzione gustativa.

Le altre papille accolgono calici gustativi.

 

INNERVAZIONE

L’innervazione sensitiva della lingua riguarda la sensibilità generale e la sensibilità gustativa specifica.

Alla sensibilità generale dei 2/3 anteriori della lingua provvede il nervo linguale, ramo del nervo mandibolare del trigemino. I calici gustativi presenti nei 2/3 anteriori della lingua sono innervati dalla corda del timpano, ramo intrapetroso del nervo faciale.

Il terzo posteriore della lingua è innervato dal nervo glossofaringeo (rami linguali), che raccoglie stimoli della sensibilità viscerale generale e della sensibilità specifica.

L’innervazione dei calici gustativi della faringe e dell’epiglottide è affidata al nervo vago.

Abbiamo nel complesso 10000 calici gustativi che si distribuiscono in prevalenza sul dorso della lingua.

 

MECCANISMO DELLA PERCEZIONE GUSTATIVA

La struttura delle papille vallate è caratteristica in quanto i calici gustativi sono contenuti all’interno del vallo, quindi le sostanze sapide devono raggiungere il vallo, nel quale devono essere presenti condizioni di estrema fluidità: nel fondo del vallo si aprono i dotti escretori delle ghiandole gustative a secrezione sierosa, il cui secreto mantiene deterso il vallo permettendo così la stimolazione gustativa.

Le ghiandole sierose (di Ebner) occupano la regione del V linguale. Nell’uomo inoltre è stata dimostrata la presenza di cellule ciliate nel fondo del vallo, che si occupano di evitare fenomeni di ristagno del secreto di queste ghiandole. Infine le ghiandole gustative producono una glicoproteina del peso di 19kd, che viene legata attraverso appositi recettori sulla superficie delle cellule gustative. Questa glicoproteina rappresenta il vettore delle sostanze sapide.

Le ghiandole gustative sono associate anche agli altri due tipi di papille che presentano calici gustativi.

Nell’uomo le papille foliate sono rudimentali (atrofiche), presentano una struttura simile alle altre papille, ma il connettivo, rivestito da epitelio, si solleva in estroflessioni più allungate ed appiattite.

I calici gustativi sono formazioni epiteliali, annidati nello spessore dell’epitelio pavimentoso stratificato che riveste i solchi delle papille vallate, foliate e fungiformi. I calici gustativi sono formati da cellule epiteliali, e si può riconoscere una base slargata che si trova in prossimità della lamina basale dell’epitelio, ed un’estremità apicale ristretta che giunge in prossimità della superficie libera dell’epitelio. In corrispondenza dell’apice del calice gustativo, gli elementi più appiattiti dell’epitelio delimitano un breve tragitto che viene chiamato canale gustativo. Questo si apre in superficie attraverso il poro gustativo esterno, mentre in profondità si mette in rapporto con la parte apicale del calice attraverso il poro gustativo interno. I calici gustativi sono costituiti da cellule gustative, cellule di supporto e cellule basali.

Le cellule gustative presentano all’estremo apicale lunghi villi, cui si attaccano le glicoproteine che rilevano la stimolazione gustativa. Tuttavia queste glicoproteine si attaccano anche sui lati di queste cellule, ed infatti la stimolazione gustativa può avvenire anche per via ematica.

Alla base di queste cellule si trovano terminazioni nervose (giunzioni citoneurali).

Le cellule sensoriali sono recettori sensoriali specifici di 2° tipo: sono cellule epiteliali, i recettori sensoriali specifici di 1° tipo sono cellule nervose (cellule dei coni e dei bastoncelli della retina, cellule olfattive).

Le cellule basali sono cellule staminali, cioè elementi di rimpiazzo per le cellule gustative. Le cellule di supporto sono elementi che stanno differenziandosi in cellule gustative: è presente quindi un ciclo che culmina nell’apoptosi delle cellule gustative (nell’uomo questo ciclo ha una durata di 25 giorni).

Se denerviamo una papilla i calici lentamente degenerano, il che significa che la presenza di fibre nervose è necessaria per mantenere il turn-over e quindi per mantenere la funzionalità del calice.

 

 

Esofago

 

La tonaca mucosa dell’esofago appare svincolata dalla tonaca muscolare per interposizione di una tonaca sottomucosa assai sviluppata.

La mucosa si solleva in rilievi che quando l’organo non è attraversato dal bolo ne riducono il lume conferendogli, in sezione, un’aspetto stellato. Alla formazione di tali rilievi prende parte anche la sottomucosa.

La mucosa consta di epitelio di rivestimento, lamina propria, muscularis mucosae. L’epitelio di rivestimento è pavimentoso stratificato, con un modesto grado di cheratinizzazione perché il bolo vi transita rapidamente, ed esiste possibilità di attriti. Nella lamina propria c’è un’infiltrazione linfocitaria e non presenta ghiandole, ma è attraversata dai condotti escretori di ghiandole che si trovano nella sottomucosa (solo nell’esofago e nel duodeno le ghiandole sono localizzate nella sottomucosa).

La sottomucosa è costituita da connettivo lasso, e si solleva in rilievi che conferiscono all’esofago un lume irregolare (stellato).

Le ghiandole esofagee sono tubuloacinose ramificate a secrezione mucosa. La tonaca muscolare presenta assetto a struttura differente: nel terzo superiore la tonaca muscolare è in continuazione con quella della faringe e risulta perciò formata da fibre muscolari striate.  Segue una zona di transizione, quindi la muscolatura liscia prevale (strato circolare interno più strato longitudinale esterno).

 

 

 

Stomaco

 

Sia macroscopicamente che microscopicamente abbiamo grosse diversità nel passaggio tra segmento di transito e stomaco, territorio in cui avviene la digestione.

Nel segmento di transito la mucosa è caratterizzata da un epitelio stratificato e da una lamina propria molto densa. Nello stomaco abbiamo una vascolarizzazione notevole ed una mucosa con un’epitelio semplice.

Vascolarizzazione:  arteria gastrica sinistra (che deriva dal tronco celiaco), arteria gastrica destra (che deriva dall’epatica propria), arterie gastriche brevi (che derivano dall’arteria lienale), arteria gastroepicloica destra (che deriva dall’arteria gastroduodenale), arteria gastroepicloica sinistra (che deriva dall’arteria lienale).

Appena superato l’imbocco dell’esofago nello stomaco, cambiano le caratteristiche dell’epitelio di rivestimento. L’epitelio esofageo è pavimentoso stratificato, l’epitelio gastrico è cilindrico costituito da una sola fila di cellule assai alte. La mucosa esofagea anche se sollevata in pieghe insieme alla sottomucosa, si presenta liscia, la mucosa gastrica presenta un’aspetto irregolare, caratteristica dell’alternarsi di rilievi detti creste gastriche e depressioni dette fossette gastriche.­­­­­­­­­­­­­

Nello stomaco è possibile distinguere tre territori: il cardia, regione immediatamente seguente all’imbocco dell’esofago nello stomaco, fondo e corpo,   e parte pilorica distinta in un primo tratto slargato (antro pilorico) ed in un secondo tratto canaliforme­­­ (canale pilorico).

Le funzioni digestive dello stomaco dipendono dalla secrezione ghiandolare di una precisa zona dello stomaco costituita da corpo e fondo.

La mucosa cardiale ha principalmente la funzione di facilitare il passaggio del bolo dall’esofago allo stomaco mentre nella parte pilorica hanno inizio quelle modificazioni che preludono a ciò che avverrà nel duodeno. Gli enzimi digestivi gastrici, le pepsine, sono enzimi proteolitici che hanno la proprietà di idrolizzare il legame peptidico all’altezza di alcuni amminoacidi specifici come gli aromatici.

Il loro pH operativo è compreso in un’intervallo tra 1,6 e 3,6. L’azione delle pepsine produce polipeptidi di varia grandezza la cui completa digestione avverrà nel tenue.

Gli enzimi che operano nel duodeno necessitano invece di un pH alcalino (7,5/8).

Di conseguenza, deve verificarsi un fenomeno di neutralizzazione del contenuto che già inizia a livello del piloro. Inoltre a livello delle ghiandole piloriche sono presenti particolari cellule endocrine, le cellule G, che secernono gastrina, un’ormone che agisce localmente (effetto paracrino), stimolando la produzione di acido cloridrico.

L’organo non disteso appare sollevato in pieghe alla cui formazione prende parte anche la sottomucosa. La mucosa gastrica è sollevata in rilievi ravvicinati, detti areole gastriche. La superficie è sollevata in rilievi (creste) che delimitano cavità che si affondano nella mucosa (fossette). La muscularis mucosae rimane al di sotto di una spessa lamina propria in cui è possibile distinguere una porzione superficiale ed una profonda.

Il territorio superficiale è costituito da un’alternarsi di rilievi (creste gastriche) ed infossamenti (fossette gastriche). L’asse delle creste è costituito da tessuto connettivo lasso, con infiltrazioni di linfociti e plasmacellule, non si trova alcuna struttura ghiandolare nella porzione superficiale.

Il territorio profondo si estende sino alla muscularis mucosae, è occupato da ghiandole che si aprono nei fondi delle fossette gastriche.

 

STRUTTURA

E’ caratterizzato da un’epitelio di rivestimento: qualunque organo esposto costantemente a livelli di pH molto acidi sarebbe danneggiato, la mucosa gastrica invece, benché bagnata da acido cloridrico, e quindi da un’ambiente incompatibile con la vita cellulare, non viene distrutta. Un ruolo fondamentale è svolto dale cellule epiteliali, che rivestono le fossette. Queste cellule sono tutte uguali: presentano un nucleo spostato in posizione basale, ed il citoplasma sopranucleare occupato da un materiale chiaro e schiumoso (muco). Questi elementi devono essere pertanto considerati cellule a muco, secernono il muco il cui punto isoelettrico è prossimo alla neutralità. Una volta secreto, esso si disperde su tutta la superficie mucosa.

Una caratteristica delle cellule a muco dell’epitelio gastrico è la distribuzione intracellulare del muco stesso. Contrariamente a quanto si verifica nella maggior parte delle cellule che producono muco infatti, in queste cellule le gocciole di muco mantengono costante la propria individualità, non mostrando alcuna tendenza a confluire. Si stabilisce in tal modo una netta differenza, dal punto di vista morfologico, ad esempio con le cellule mucipare caliciformi in cui il muco si ammassa, per confluenza delle singole gocciole, in un’unica vasta raccolta sopranucleare (tela).

In queste cellule (mucosa gastrica) le modalità di eliminazione ed elaborazione del secreto differiscono da quelle di altri tipi di cellule a muco: le gocciole di muco vengono continuamente prodotte a livello del Golgi, e continuamente versano il loro contenuto all’esterno, per fusione della loro membrana con la membrana plasmatica (esocitosi), non si ha quindi una fase di accumulo distinta da una fase di espulsione dell’elaborato. Se così fosse, si disperderebbe sì una grande quantità di muco, ma la cellula resterebbe del tutto sguarnita e le occorrerebbe diverso tempo per risintetizzare una quantità di muco sufficiente a rivestirla. In questo modo invece la cellula può presentare una difesa continua dall’ambiente acido. il muco si stratifica in superficie, la stratificazione è permanente, perché la secrezione è costante.

Nelle ghiandole gastriche del corpo e del fondo si trovano cellule che producono cloroioni ed idrogenioni (cellule delomorfe). Nel lume ghiandolare si ha la formazione di acido cloridrico. L’acido cloridrico deve superare il muco ed entrare nell’ambiente gastrico.

Queste stesse cellule producono ioni bicarbonato che, immessi nel sangue, attraverso la rete capillare vengono portati nello strato di muco regolandone il pH (6,7).

L’acido cloridrico non attacca la mucosa, e dalle ghiandole attraversa la mucosa stessa senza intaccarla, per arrivare nel lume gastrico. l’acido cloridrico, quando incontra il muco, lo attraversa in modo particolare: in forma molecolare, molecola per molecola, si crea dei percorsi, sottili canali.

Una volta raggiunto il lume gastrico, l’acido cloridrico a contatto col muco dà luogo a fenomeni di repulsione. La barriera di muco può facilmente essere danneggiata da asprina, associando alcool ad asprina salta completamente la barriera di muco, la mucosa viene danneggiata sino ad avere emorragia.

A livello del cardia, la mucosa presenta la conformazione generale di tutta la mucosa gastrica (creste e fossette). Nei fondi delle fossette si aprono le ghiandole cardiali, tubulari composte.

A livello di corpo e fondo, le ghiandole tubulari semplici, sono dette ghiandole gastriche propriamente dette, ed in esse è possibile distinguere tre porzioni: colletto, corpo e fondo.

A livello del piloro le ghiandole sono tubulari ramificate, e con il loro fondo possono arrivare a prendere rapporti con la muscularis mucosae.

L’architettura della mucosa è diversa nei vari tratti dello stomaco: a livello di corpo e fondo, le creste sono piuttosto basse, mentre a livello del piloro il rapporto tra creste e corpo ghiandolare e quasi di 1:1, quindi le creste sono molto alte (sono dette creste villiformi).

Nelle ghiandole gastriche propriamente dette esistono differenze notevoli tra cellule del colletto, del corpo e del fondo. Nel corpo sono più frequenti le cellule tondeggianti, con nucleo centrale, e fortemente acidofile, sono le cellule delomorfe, responsabili dell’emissione di H+ e Cl- (nel lume ghiandolare), ed HCO3- (al polo basale). Sono acidofile in quanto provviste di numerosi mitocondri, e le proteine mitocondriali hanno un’elevato punto isoelettrico. Le
cellule delomorfe producono anche il fattore intrinseco, che viene immesso nel lume ghiandolare, e si trova quindi successivamente nel lume gastrico.

Il fattore intrinseco è una glicoproteina che rende possibile l’assorbimento della vitamina B12 presente negli elementi a livello dell’intestino tenue.

Gli enterociti possiedono un recettore per legare il fattore intrinseco. La vitamina B12 è necessaria per l’enterocitopoiesi, per cui un difetto nella produzione del fattore intrinseco, quale si osserva nella gastrite atrofica, causa una avitaminosi B12 che si manifesta con le caratteristiche dell’anemia perniciosa.

Le cellule delomorfe diventano più rare verso il fondo, dove si trovano cellule basofile, le cellule adelomorfe, che producono pepsinogeno e renina.

Le ghiandole si aprono nel fondo delle fossette.

In corrispondenza del colletto si trovano le cellule del colletto, che presentano un’aspetto schiumoso e producono muco acido.

Questo muco probabilmente facilita il passaggio di acido cloridrico attraverso il muco neutro.

In corrispondenza di corpo e fondo si trovano le cellule adelomorfe.

Vi sono poi cellule staminali dalle quali derivano, per mitosi, le cellule dell’epitelio di rivestimento della mucosa. Abbiamo una continua produzione di cellule che possono rimpiazzare con differenziamento progressivo le cellule epiteliali andate incontro a morte e sfaldamento.

Se provochiamo quindi danni all’epitelio possiamo rimpiazzare le cellule danneggiate, se il danno interessa la mucosa più profonda nessuna cellula staminale può differenziarsi in delomorfa o adelomorfa, e si va incontro al rischio di ulcera gastrica (dalle cellule staminali derivano anche le cellule dei tubuli ghiandolari).

Nel cardia sono presenti ghiandole tubulari composte, costituite da cellule a muco (muco neutro), rare cellule delomorfe ed endocrine.

Nel piloro le ghiandole sono tubulari ramificate, sono costituite da cellule che producono muco neutro (per neutralizzare il succo gastrico), cellule secernenti gastrina (cellule G), cellule endocrine.

Nel corpo e fondo sono presenti ghiandole tubulari semplici, che sono costituite da cellule del colletto (secrezione di muco acido), da cellule delomorfe (HCl, HCO3-, fattore intrinseco), cellule adelomorfe (pepsinogeno, renina).

Le cellule staminali sono elementi di rimpiazzo per le cellule a muco dell’epitelio di rivestimento. La somministrazione di farmaci antimitotici determina da distruzione selettiva di questi elementi, e preclude la possibilità di rimpiazzo. Le cellule staminali sono localizzate nella zona dei colletti.

 

MECCANISMI LEGATI ALLE GHIANDOLE

Nelle ghiandole gastriche propriamente dette si trovano tre tipi di cellule: delomorfe, adelomorfe, ed endocrine.

Le cellule delomorfe tendono ad essere più numerose nella parte alta del tubulo ghiandolare, presentano una forma vagamente piramidale, sono caratterizzate da intensa acidofilia. La porzione basale, più arrotondata e voluminosa, si trova a ridosso della membrana basale, mentre l’apice è posto verso il lume ghiandolare. La membrana plasmatica che riveste la parte apicale delle cellule, si introflette verso l’interno delimitando capillari di secrezione, che permettono una maggiore estensione della membrana.

La membrana che delimita i due versanti del capillare di secrezione, si solleva in lunghi microvilli. Il citoplasma, nelle vicinanze del capillare di secrezione è stipato di mitocondri. L’associazione mitocondri-membrana rende ragione degli imponenti fenomeni di trasporto attivo che hanno luogo durante la secrezione di acido cloridrico.

 

 

SCAMBIO ASSOCIATO

 

            |                                   |

Cl- --->            | ---->       H2O <- OH-         --           |--> Cl-

            |                            |160 mEQ/L

HCO3- <- |-- HCO3- + H+    H+ ------          |--> H+ 

            |                                   |155 mEQ/L

CO2-> |--> CO2 + H2O -> H2CO3  |

            |                                 -->         |--> acqua

H2O->            |-> anidrasi carbonica |

(plasma)                                            (lume gastrico)

 

[H+] plasma è circa 5 * 105 mEQ/L

[H+] succo gastrico è circa 150/160 mEQ/L

 

Le cellule adelomorfe presentano nucleo in posizione basale, basofilia marcata, RER assai sviluppato (particolarmente esteso al polo profondo), Golgi sopranucleare, granuli estrusi per esocitosi. Producono il pepsinogeno, precursore inattivo della pepsina, queste sono enzimi proteolitici, in genere classificate come peptidasi, in realtà hanno la proprietà di idrolizzare il legame peptidico a livello di alcuni amminoacidi, fenilalanina e tirosina. La digestione gastrica delle proteine è quindi estremamente sommaria e produce grossi polipeptidi.

Si conoscono vari tipi di pepsine (in elettroforesi 7, in immunologia 2).
Nelle condizioni di acidità in cui si trova lo stomaco, il pepsinogeno perde un frammento polipeptidico, che verosimilmente maschera il sito attivo dell’enzima, e si trasforma in pepsina. Il pH ottimale operativo della pepsina è compreso tra 1,6 e 3,6.

Da notare che lontano dai pasti, il pH gastrico si porta su valori intorno a 5, ciò inattiva la pepsina, proteggendo le pareti dello stomaco dall’azione litica di questi enzimi.

Le cellule adelomorfe producono anche renina, una proteasi che digerisce le proteine del latte, abbondante nel periodo neonatale.

Nell’antro pilorico è presente la gastrina (cellule G), e bombesina (cellule P). La gastrina è un polipeptide di 34 amminoacidi, ma sono attive anche forme a 17 amminoacidi dette minigastrine.

E’ prodotta dalle cellule G, che si trovano concentrate sopratutto nelle ghiandole piloriche. La gastrina stimola le cellule delomorfe a secernere acido cloridrico, ed è quindi in grado di regolare il pH dello stomaco.

Le cellule che producono gastrina regolano la loro attività principalmente in base allo stato di riempimento dello stomaco, quando questo è pieno, le pareti dell’organo si distendono (stimolo di natura meccanica) avviene la produzione di gastrina, le cellule delomorfe sono spinte ad accelerare la produzione di acido cloridrico di 6/8 volte.

Viceversa nello stomaco vuoto le pareti non sono distese, diminuisce la produzione di gastrina, quindi di acido cloridrico ed il pH si alza .

Secondo un’altra ipotesi, le cellule G potrebbero avvertire variazioni di pH ed in tal modo si attuerebbe una regolazione feedback tra produzione di acido cloridrico  e secrezione di gastrina.

La bombesina è un polipeptide a 15 amminoacidi, ha un’effetto stimolatorio sulla motilità gastrica ed intestinale, e sulla secrezione pancreatica esocrina. E’ prodotta dalle cellule P, localizzate nell’antro pilorico e nel duodeno.

Altre ghiandole presenti sono le ghiandole cardiali, gastriche propriamente dette, piloriche. Queste secernono serotonina, somatostatina, VIP (peptide intestinale vasostatina).

La somatostatina (cellule D) inibisce la secrezione acida delle cellule delomorfe, e la secrezione esocrina del pancreas. E’ un polipeptide di 40 amminoacidi.

 

Intestino tenue

 

Le funzioni dell’intestino tenue sono: digestiva, in quanto completa la digestione degli alimenti, iniziata nella bocca e nello stomaco, mescolando il chimo gastrico con il succo intestinale, succo pancreatico e la bile; assorbente in quanto attiva il passaggio nel sangue e nella linfa dei prodotti della digestione e di altre sostanze ingerite (acqua, sali e vitamine); motoria in quanto causa il rimescolamento del contenuto intestinale e la sua progressione.

Perciò le diverse strutture dell’intestino tenue hanno attività secretiva, assorbente, motoria.

Infine alcune cellule specializzate hanno attività endocrina, secernendo vari ormoni gastro intestinali. Quindi il tenue come lo stomaco, produce secrezioni esocrine (succhi digestivi), ed endocrine (ormoni gastro intestinali).

 

STRUTTURA

La struttura delle quattro tonache che costituiscono la parete del tenue, è comune al resto del canale alimentare, e la mucosa riveste una particolare importanza funzionale.

Essa è sollevata in numerose pieghe, alla cui formazione prende parte anche la sottomucosa, che ne aumentano la superficie. La lamina propria contiene vari noduli linfatici solitari, i quali specialmente nell’ileo, si aggregano a costituire le placche di Peyer.

La mucosa a sua volta consta di epitelio di rivestimento, lamina propria e muscularis mucosae. La superficie della mucosa del tenue presenta numerose estroflessioni digitiformi, i villi intestinali, che contribuiscono ad incrementare la superficie assorbente. I villi presentano un’asse connettivale, dipendenza della lamina propria, e contengono al loro interno una rete di capillari sanguiferi, ed un vaso linfatico (chilifero).

Lungo tutto il tenue alla base dei villi si trovano le ghiandole o cripte intestinali, tubulari semplici.

Oltre a queste, ma solo nel duodeno, si trovano le ghiandole duodenali, tubulari composte, poste nella sottomucosa.

I villi presentano anche una componente muscolare, dipendenza della muscolaris mucosae. Questo è importante in quanto permette il fenomeno della spremitura del villo. La contrazione di queste fibre muscolari, determina movimenti ritmici del villo, utile ai fini dell’assorbimento e del drenaggio della linfa dal vaso chilifero.

Esistono alcune differenze di struttura tra duodeno e tenue mesenteriale: nella prima parte del duodeno (bulbo duodenale) non sono presenti pieghe circolari, i villi nel duodeno non presentano la forma di estroflessioni digitiformi, ma hanno un’aspetto laminare.

Solo nel duodeno sono presenti ghiandole nella sottomucosa (sono presenti a livelli della 1° e 2° porzione e secernono muco neutro). I tubuli ghiandolari si aprono al fondo delle cripte.

Le caratteristiche di configurazione interna spiegano il diverso aspetto che le varie parti del tenue mostrano all’esame radiologico, eseguito dopo somministrazione di un mezzo di contrasto.

La parte superiore del duodeno si riempe infatti in modo uniforme, e si presenta intensamente e regolarmente opaca (è il bulbo duodenale in cui mancano le pieghe semicircolari).

Le restanti porzioni del duodeno, proprio per la sporgenza di pieghe nel lume, presentano un riempimento irregolare che conferisce loro l’aspetto fioccoso, che caratterizza anche l’immagine radiologica delle restanti parti del tenue.

 

ANATOMIA

Lo strato assorbente (epiteliale), che ricopre tutta la mucosa, e perciò anche i villi, è costituito da un solo strato di cellule cilindriche. La morfologia e la funzione dell’epitelio varia in base alla posizione: l’epitelio dei villi è costituito da enterociti (cellule assorbenti), e cellule caliciformi.

Nelle cripte l’epitelio è costituito da cellule caliciformi, cellule indifferenziate, cellule endocrine e cellule Paneth. Nelle cripte si osservano frequentemente cellule epiteliali in mitosi. Ricerche autoradiografiche, condotte con somministrazione di precursori radioattivi del DNA (H3- timidina), hanno dimostrato che le cellule che derivano da queste mitosi, risalgono lentamente, ma continuamente verso l’apice del villo.

Le cellule epiteliali si formano quindi per mitosi nelle cripte, e si differenziano via via che risalgono verso l’apice del villo, che raggiungono in 3 (ileo), o 5/7 giorni (digiuno e duodeno).

Le cellule apicali assorbenti hanno un corredo enzimatico più completo, e presentano la più elevata capacità assorbente; invecchiate vengono infine estruse dall’apice del villo nel lume intestinale. La velocità di estrusione perl’intero intestino tenue umano è piuttosto elevata: circa 20/50 milioni di cellule al minuto, corrispondenti a circa 250 grammi di cellule al giorno.

La vita media di una cellula epiteliale è di conseguenza piuttosto bassa (circa 2 giorni).

La notevole rapidità di rinnovamento delle cellule epiteliali ha il significato di mantenere sempre in perfetta efficienza la superficie assorbente. Farmaci citostatici che bloccano la mitosi, paralizzano l’attività di queste cellule e pregiudicano il normale turn over.

Il fondo delle cripte non è marcato, quindi hanno un’altro significato: le cellule di Paneth presentano numerosi granuli di secrezione fortemente acidofili che contengono una proteina con un elevato punto isoelettrico (11/12).

Le cellule di Paneth sono sierose con nucleo basale, Golgi sopranucleare, e RER in posizione basale. La proteina contenuta nei granuli è il lisozima. Si ritiene che attraverso la produzione di lisozima, le cellule di Paneth, svolgano una funzione regolatrice nei confronti della flora batterica intestinale.

Il lisozima distrugge selettivamente i batteri che dal crasso risalgono nell’intestino tenue. Il lisozima è in grado di distruggere quei batteri che presentano acido muranico nella loro membrana e non agisce contro altri batteri, quali i saprofiti (che non sono patogeni), che si annidano nell’intestino dove svolgono funzioni importanti.

In generale l’ultrastruttura degli enterociti non è diversa da quella delle altre cellule epiteliali; caratteristica è invece la presenza di microvilli alla loro superficie libera. Questo aumenta ulteriormente (15/40 volte) la superficie assorbente della mucosa, sicché questa, tenuto conto dello sviluppo di valvole conniventi, villi e microvilli, raggiunge i 300 mq per tutto l’intestino tenue.

Il duodeno riceve lo sbocco delle vie biliari extraepatiche (per l’immissione della bile), e del condotto pancreatico principale (per l’immissione del succo pancreatico).

Bile e succo pancreatico sono ricchi di ioni bicarbonato, e contribuiscono pertanto insieme al muco ad innalzare il pH, creando le condizioni ottimali per l’azione degli enzimi pancreatici.

 

La mucosa del tenue consiste di epitelio di rivestimento (enterociti e cellule mucipare), lamina propria (forma lo stroma dei villi ed accoglie le cripte intestinali), e la muscularis mucosae la quale invia fascetti nel villo

 

VILLI INTESTINALI

La lamina propria si solleva in sottili lamine (duodeno), ed estroflessioni digitiformi rivestite da epitelio. La lamina propria costituisce lo stroma del villo. La struttura del villo presenta quindi una componente connettivale lassa con numerose cellule linfoidi; un’importante rete capillare sottoepiteliale: in questo modo i prodotti dell’assorbimento accedono direttamente al sangue; una componente muscolare costituita da fascetti di fibre muscolari lisce che provengono dalla muscolaris mucosae, che possono terminare liberi nello stroma o fissarsi al vaso chilifero; una componente linfatica: il vaso chilifero inizia a fondo cieco all’apice del villo, attraversa la muscularis mucosae e passa nella sottomucosa dove si trova un ricco plesso linfatico.

L’epitelio di rivestimento è costituito da due tipi di cellule, enterociti e cellule caliciformi secernenti muco. Si possono reperire rare cellule endocrine e linfociti intraepiteliali. Gli enterociti sono cellule alte, prismatiche, provvisti di un’esteso orletto striato; alla base dei microvilli si trova la trama terminale, che rappresenta una zona in cui le cellule sono fortemente saldate le una alle altre attraverso dispositivi di giunzioni: zonula occludente, aderente e desmosomi. Ciò impedisce il passaggio di materiale dal lume intestinale negli spazi intercellulari (il passaggio di sostanze deve essere diacellulare). Questo è molto importante in quanto i microvilli hanno una membrana ricca di proteine, alcune enzimatiche essenziali per la digestione finale di glucidi e protidi prima del loro assorbimento.

La trama terminale corrisponde ai punti in cui le cellule sono saldate le una alle altre, e presentano un’organizzazione di filamenti actinici stabilizzati da qualche filamento di miosina.

 

AZIONE DEGLI ENZIMI

Al di sotto della trama terminale si trovano in genere vescicole di REL, nelle quali avviene la risintesi dei trigliceridi, a partire da due monogliceridi ed acidi grassi liberi (a catena lunga).

Con metodiche istochimiche è possibile individuare una serie di proteine enzimatiche a livello dell’orletto striato degli enterociti. Si tratta di oligosaccaridasi di peptidasi, oligopeptidasi, enterocinasi.

Il lattoso viene scisso in glucoso e galattoso dalla lattasi (ß-galattosidasi); la saccarasi idrolizza il saccaroso dando origine a glucoso e fruttoso. Saccarasi e lattasi sono due delle oligosaccaridasi presenti nella membrana microvillare dell’intestino umano.

Nei microvilli sono presenti almeno 11 peptidasi, con diversa specificità. Agiscono su oligopeptidi di amminoacidi neutri o acidi, dando origine ad aminoacidi liberi, di e tripeptidi. Agiscono anche su oligopeptidi di prolina e alanina dando origine a dipeptidi; su alcuni dipeptidi dando origine ad amminoacidi liberi (leucina amminopeptidasi).

Questi enzimi sono fondamentali per completare la digestione di oligosaccaridi ed oligopeptidi che non è stata completata dagli enzimi proteolitici ed amminolitici del succo pancreatico.

 

Esiste tutto un gruppo di malattie da malassorbimento dovute alla mancata espressione di geni che codificano per queste proteine.

In un’adulto con deficit di lattasi, dopo ingestione di latte il lattoso viene accumulato nel lume del tenue in quanto manca il meccanismo di digestione (e quindi non si ha assorbimento) di questo disaccaride. Il grande effetto osmotico del lattoso richiama fluidi dall’intestino: uno dei sintomi clinici di intolleranza al lattoso è rappresentato da diarrea.

 

Una volta completata la digestione, amminoacidi e monosaccaridi vengono assorbiti dagli enterociti e liberati a livello del polo profondo della cellula (sono molto facilmente diffusibili). Partono dalla rete capillare sottoepiteliale, passano poi ai vasi tributari della vena porta, e al suo sistema per dirigersi al fegato, che quindi riceve tutti i monosaccaridi e gli amminoacidi assorbiti a livello intestinale.

Per i lipidi la situazione è un po’  diversa: oltre alle lipasi pancreatiche la digestione dei lipidi richiede la presenza della bile epatica, che ha proprietà tensioattiva e disperde i grassi in sospesioni finissime accessibili agli enzimi lipolitici del succo pancreatico (le gocciole di grasso più compatte non potrebbero essere attaccate completamente).

La lipasi pancreatica catalizza l’idrolisi dei trigliceridi dando origine ad una miscela di acidi grassi liberi e 2-monoacil gliceroli che possono essere assorbiti dagli enterociti. Una volta trasportati nella cellula, si accumulano a livello del REL dove l’enzima esterasi risintetizza trigliceridi, che vengono sganciati negli spazi intercellulari profondi, superano la membrana basale, si portano al vaso chilifero, e per via linfatica al dotto toracico. Entrano poi nel circolo venoso, e quindi i grassi arrivano al fegato tramite l’arteria epatica.

 

 

 

Intestino crasso

 

L’intestino crasso nell’uomo ha una lunghezza di 90/180 cm. E’ suddiviso in cieco, con relativa appendice, colon (ascendente, trasverso, discendente, ileopelvico) e retto che si apre nel canale anale. Il crasso differisce dal tenue di tre bande longitudinale, formate dallo strato più esterno della muscolatura liscia (tenie), e per le sacculazioni piuttosto irregolari (haustra coli), che derivano in parte dal fatto che le tenie sono più corte dell’intestino il che causa ripiegature a tasca. Il crasso presenta un calibro maggiore del tenue.

La parete del crasso ha un’organizzazione generale simile per le diverse parti. Fanno eccezione alcune particolarità di organizzazione e struttura che si rilevano a livello dell’appendice e del retto.

 

STRUTTURA

Dall’interno all’esterno si osservano nella parete del crasso, la tonaca mucosa, la sottomucosa, la tonaca muscolare e la sierosa (o avventizia).

La mucosa è liscia, non presenta ne pieghe ne villi. L’epitelio di rivestimento si dispone alla superficie della mucosa interrotto solo dagli sbocchi di numerose ghiandole. E’ costituita da enterociti simili a quelli del tenue, tra i quali sono intercalate cellule caliciformi secernenti muco. L’orletto striato degli enterociti si presenta nel crasso di altezza inferiore rispetto al tenue.

La lamina propria accoglie nel proprio spessore le ghiandole intestinali. Vi si trovano inoltre noduli linfatici solitari, e numerose plasmacellule, che producono IgA.

Le ghiandole intestinali, come quelle del tenue, sono tubulari semplici e sono costituite per lo più da cellule mucipare caliciformi; vi si trovano anche cellule di Paneth, localizzate nei fondi, e cellule endocrine.

La tonaca muscolare presenta uno strato interno di fasci circolari e uno strato esterno di fasci longitudinali. Questi ultimi non si dispongono in una lamina continua, ma si raggruppano in corrispondenza delle tenie, visibili nella gran parte del crasso.

La sierosa non è presente in tutte le parti del crasso: dove manca è sostituita da una tonaca avventizia.

 

FUNZIONI

Le principali funzioni del crasso sono: la regolazione del volume, e la composizione in elettroliti delle feci, contribuendo così alla conservazione del contenuto idrico e salino delle feci; il contenimento e l’espulsione delle feci stesse. A tali funzioni contribuiscono le diverse strutture dell’intestino crasso, svolgendo le seguenti attività: assorbente, sopratutto ma non esclusivamente di elettroliti ed acqua con consequente formazione di feci semisolide, secretoria, sopratutto di acqua ed elettroliti, motoria con il conseguente rimescolamento del contenuto intestinale e la sua progressione.

Inoltre l’abbondante flora batterica presente nel crasso causa la parziale digestione di residui alimentari (cellulosa), con produzione di sostanze in parte assorbite, in parte eliminate con le feci.

La flora batterica del colon, inoltre è in grado di sintetizzare la vitamina B12 e la vitamina K (coagulazione).

 

 

Appendice

 

La parete dell’appendice, pur mostrando la stessa organizzazione generale del crasso, si presenta notevolmente ispessita per lo sviluppo che in essa assume il tessuto linfoide.

La mucosa è liscia come in tutto il crasso. L’epitelio di rivestimento è formato in prevalenza da enterociti.

La lamina propria, che assume uno sviluppo considerevole, è occupata da uno strato continuo di tessuto linfoide. La muscularis mucosae è scarsamente sviluppata, ed è ampiamente discontinua per l’infiltrazione di linfociti, che dalla lamina propria si portano nella sottomucosa.

La tonaca muscolare è sottile, e differisce da quella di cieco e colon, in quando risulta costituita da due strati di fibrocellule muscolari lisce continue, di cui quello esterno è a fasci longitudinali non organizzati in tenie, quello interno a fasci circolari.

Come per tutti i tessuti linfoidi associati alle mucose, con il passare del tempo si ha una vistosa riduzione del tessuto linfoide.

 

Cellule endocrine dell’apparato digerente

 

 

E’ detto anche sistema gastropancreatico (GEP).

La mucosa gastro intestinale, nella sua componente epiteliale, può essere vista come un complesso di cellule organizzate in epiteli di rivestimento e ghiandole che hanno rispettivamente funzioni di assorbimento e secrezione esocrina.

Nella mucosa gastrointestinale si trovano però numerose cellule endocrine, che non liberano i loro prodotti di secrezione nel lume del canale alimentare, ma li riversano nel sangue.

Antiche osservazioni hanno identificato questi elementi endocrini come cellule argentaffini o enterocromaffini, ed hanno attribuito loro la funzione di produrre un’ammina biogena, la serotonina.

Con queste prime osservazioni si è anche dimostrato che tali cellule, localizzate negli epiteli di rivestimento di  tenue e crasso, ma sopratutto nei tubuli delle ghiandole gastriche propriamente dette, piloriche, duodenali, ed intestinali, presentano granuli citoplasmatici (cromaffini ed argentaffini) localizzati in maggior numero tra nucleo e polo profondo della cellula. Tali elementi sono stati perciò denominati cellule basigranulose.

Osservazioni successive hanno dimostrato che le cellule argentaffini hanno la proprietà di assumere precursori delle ammine biogene decarbossilandoli.

Le cellule endocrine del sistema GEP ed altre cellule dotate di tali proprietà metaboliche, sono state perciò riunite in un sistema endocrino chiamato APUD.

Alcuni degli ormoni presenti nelle cellule endocrine del sistema GEP, sono stati anche dimostrati nel sistema nervoso centrale e periferico, dove sono stati localizzati nei pirenofori, nei neuriti, nelle terminazioni assoniche delle terminazioni nervose.

Questi dati suggeriscono la possibilità che da un lato esistano correlazioni tra il sistema nervoso centrale e periferico ed il GEP, dall’altro che alcuni ormoni prodotti a livello intestinale possono agire come neurotrasmettitori.

Gli ormoni prodotti dalle cellule del sistema GEP, svolgono la loro azione in vicinanza della sede di produzione (effetto paracrino). Alcuni polipeptidi ormonali possono passare nel sangue svolgendo funzioni a distanza secondo i meccanismi endocrini classici.

Tutte le cellule del sistema APUD hanno origine dalle creste neurali.

Si ascrivono a questo sistema le cellule del sistema GEP, le cellule endocrine della mucosa tracheo bronchiale, delle vie urogenitali, della cute (melanociti), e di strutture endocrine pluricellulari (cellule parafollicolari della tiroide, cellule della midollare del surrene, cellule principali delle paratiroidi).

Per tornare alle cellule del sistema GEP, alcuni ormoni da essi prodotti (motilina, colecistochinina, GIP) regolano la motilità del tratto gastroenterico e delle vie biliari; altri (gastrina, somatostatina, serotonina, secretina) regolano la secrezione esocrina gastrica e pancreatica.

 

Ghiandole salivari maggiori e pancreas esocrino

 

Le ghiandole salivari maggiori (extramurali) e minori (intramurali), hanno lo stesso piano organizzativo strutturale; il pancreas ha una diversa struttura.

Le ghiandole salivari maggiori sono caratterizzate da una secrezione o esclusivamente sierosa (parotide) o mista (prevalentemente sierosa la sottomandibolare, prevalentemente mucosa la sottolinguale). Le ghiandole salivari maggiori non secernono saliva mucosa pura, reperibile sono in corrispondenza del palato duro e della tonsilla.

 

STRUTTURA

La parte secernete si trova alla fine di un sistema di condotti che si ramificano (si tratta di ghiandole tubulo acinose composte). Si parte da un condotto maggiore -> ramificazioni sempre più fini (si tratta di organi pieni a struttura lobulare); primo ordine di ramificazione tra i lobuli sono i dotti interlobulari; secondo ordine di ramificazione sono i dotti intralobulari.

I condotti interlobulari hanno semplicemente la funzione di condurre la saliva ormai definitiva  ai condotti escretori maggiori; nei condotti interlobulari la saliva non viene modificata nella sua composizione ionica. Nei condotti intralobulari (striati) invece la composizione ionica della saliva  subisce modificazione.

La saliva definitiva non é isosmotica con il plasma : la composizione in K+ é dieci volte più alta nella saliva (K+ é trasportato contro gradiente dal plasma al lume del condotto), la concentrazione di Na+ é più bassa nella saliva rispetto al plasma (Na+ é trasportato il contro gradiente dal lume al plasma. La composizione di ioduri é piu’ alta nella saliva. Le caratteristiche di composizione ionica della saliva sono molto importanti nel mantenimento di un ambiente orale fisiologico.

Lo sviluppo dei dotti striati é diverso nelle tre ghiandole: nella parotide il sistema é estremamente sviluppato, nella sottomandibolare meno sviluppato , nella sottolinguale poco sviluppato.

Ciò significa che le modificazioni apportate dai dotti striati avvengono principalmente sul secreto sieroso (le ghiandole mucose non hanno dotti striati).

Nel pancreas non esistono dotti striati, per cui non esiste possibilità di modificare la concentrazione ionica del succo pancreatico.

Ai dotti striati seguono i condotti preterminali, con funzione e caratteristiche di struttura differenti in base alla natura del secreto. I condotti preterminale mettono capo agli adenomeri, che rappresentano l’unità secernente ghiandolare.

Gli adenomeri possono essere distinti a seconda della loro struttura, quest’ultima determina una certa differenza nella struttura dei condotti preterminali.

Ghiandola a secrezione esclusivamente sierosa: parotide.

Possiede acini sierosi preterminali indifferenziati, costituiti da una singola fila di cellule appiattite. Secerne una saliva molto fluida (può attraversare condotti preterminali di calibro pressoché virtuali). Ha un sistema di dotti striati molto sviluppato.

Ghiandola a secrezione sierosa: palatina.

I condotti preterminali non sono costituiti da cellule indifferenziate, ma da cellule secernenti muco.

Nella ghiandola a secrezione mista (sottomandibolare, sottolinguale) abbiamo: ghiandola sottomandibolare a secrezione prevalentemente sierosa, è costituita da acini sierosi, preterminali indifferenziati e dotti striati con semilune sierose abboccate a preterminali secernenti muco. La ghiandola sottolinguale (prevalente secrezione mucosa) ha rari acini sierosi e preterminali indifferenziati, prevalgono semilune sierose abboccate a preterminali mucosi. Possiede un sistema dei dotti striati poco sviluppato.

Le cellule sierose e le cellule mucose possono essere facilmente distinte in quanto presentano caratteristiche diverse: le cellule sierose producono proteine, quindi hanno un RER molto sviluppato (attiva sintesi proteica ->  amilasi salivare), Golgi sopranucleare, basofilia marcata. Hanno granuli estrusi per esocitosi.

Le cellule mucose hanno un citoplasma con gocciole di muco spesso confluenti, un nucleo schiacciato alla base.

Modalità di secrezione del muco:

1) cellule a muco dell’epitelio gastrico: le gocciole di muco non confluiscono, ma vengono continuamente formate a livello del Golgi, e riversano continuamente il contenuto all’esterno.

2) cellule mucipare caliciformi: le gocciole di muco confluiscono in una unica grossa gocciola raccolta sopranucleare; svuotamento massivo.

3) ghiandole salivari: il muco viene prodotto in grande quantità. Si formano spesso delle gocciole confluenti. Il muco viene rilasciato lentamente nei condotti preterminali.

 

I dotti striati fanno seguito ai condotti interlobulari, e rappresentano il primo segmento dei condotti escretori con un notevole significato funzionale.

In corrispondenza del polo basale, il plasmalemma delle cellule che costituisce i dotti striati presenta una serie di ripiegature (striature al microscopio ottico). Nei lembi del citoplasma interposti, si trovano mitocondri allungati, disposti verticalmente (labirinto basale).

La considerevole estensione del plasmalemma al polo basale e la stretta associazione tra membrana e mitocondri, sono alla base del significato funzione dei dotti striati: occorre energia per far funzionare le pompe ioniche (ioni sodio e potassio sono trasportati contro il gradiente), nell’adenomero, la composizione ionica della saliva è pressoché uguale a quella del plasma. La saliva definitiva non è isosmotica con il plasma, ed ha una composizione in ioni piuttosto diversa dal plasma.

 

 

Pancreas

 

E’ una voluminosa ghiandola annessa al duodeno. Vi si distingue una componente esocrina, che produce il succo pancreatico, ed una componente endocrina. La componente esocrina è predominante (97/99% del totale), e determina pertanto la morfologia esterna ed i principali caratteri organizzativi della ghiandola.

La componente endocrina è costituita da cordoni epiteliali inframezzati al pancreas esocrino, più concentrati nel corpo e nella coda (isolotti pancreatici).

L’organizzazione generale del parenchima ghiandolare è simile a quella delle ghiandole salivari maggiori, rispetto alle quali, tuttavia, la componente secernente è predominante.

Si considerano due condotti escretori (principale ed accessorio), cui fanno seguito i condotti interlobulari, i condotti intralobulari ed i condotti preterminali, che mettono capo agli adenomeri (non acini tondeggianti.

 

STRUTTURA

La componente endocrina è rappresentata da circa 1 milione di isolotti, ed è ben marcata rispetto alla componente esocrina.

Gli adenomeri non sono strutturati come acini, ma come tubuli anastomizzati tra loro, drenati da un numero di dotti relativamente basso.

I dotti striati sono assenti, poiché i condotti intralobulari mancano di tutte le caratteristiche di striature e funzione rilevate nei condotti striati.

Il condotto preterminale appare invaginato entro l’adenomero. Le cellule che assumono tale rapporto, particolarmente con le cellule secernenti sono dette cellule centroacinose.

Le cellule sierose del pancreas hanno forma piramidale, con la parte slargata rivolta verso la lamina basale, e quella assottigliata che prospetta verso il lume. Il nucleo si trova in posizione basale, il citoplasma basale è intensamente basofilo (RER sviluppato), il Golgi è in posizione sovranucleare. Il citoplasma apicale presenta gocciole di zimogeno, mentre le cellule sierose della parotide secernono una piccola gamma di proteine, le cellule sierose del pancreas producono tutta una serie di enzimi proteolitici, lipolitici ed amilolitici.

 

REGOLAZIONE

La regolazione della secrezione del succo pancreatico si compie con meccanismi nervosi ed ormonali (ormoni gastrointestinali).

Dal pancreas esocrino, come dallo stomaco, si distinguono una secrezione basale (interdigestiva) ed una post pradiale (digestiva).

La secrezione pancreatica basale è piuttosto modesta. Il succo pancreatico viene immesso nel duodeno non in modo episodico, come la bile: al momento della digestione avviene un rilascio massivo e rapido di succo pancreatico.

La mancanza di un serbatoio per il succo pancreatico fa in modo che esistano altri meccanismi di regolazione.

In primo luogo le formazioni sfinteriche della papilla duodenale, che occludono parzialmente il condotto pancreatico principale, ciò tuttavia non spiega il rilascio massivo nella fase digestiva. La secrezione pancreatica viene resa notevolmente attiva da stimolazioni di natura nervosa ed endocrina (pancreazimina e secretina). Questa stimolazione determina uno svuotamento massivo delle cellule sierose, i granuli di zimogeno si fondono tra loro e si ha lo svuotamento massivo in un colpo solo (come il granulocito basifilo). La secrezione pancreatica è continua, ma si svolge ad un livello modesto (secrezione basale), al momento della digestione essa viene esaltata da stimoli di natura neuroendocrina.

 

 

 

Fegato

 

E’ l’organo più voluminoso dell'organo. Una delle principali caratteristiche del fegato è la vascolarizzazione. Il sangue raggiunge quest'organo attraverso due correnti d’afflusso e lo lascia attraverso un’unica corrente di deflusso per versarsi nella vena cava inferiore.

I vasi sanguiferi che vanno al fegato sono l’arteria epatica (tronco celiaco), e la vena porta. Dal fegato defluiscono le vene epatiche. L’arteria epatica e la vena porta penetrano nel fegato in corrispondenza dell’ilo, le vene epatiche si aprono invece nella vena cava a livello della faccia post dell'organo. A livello dei sinusoidi epatici avviene mescolanza tra sangue arte e venoso: nel fegato circola sangue arterio-venoso. Il sangue venoso è drenato infine dalle vene epatiche.

La ragione di questa organizzazione vascolare è che la vena porta è il tronco venoso che conduce al fegato il sangue refluo dalla porzione sottodiaframmatica del canale alimentare (esofago addominale, stomaco, intestino tenue e crasso), e dalla milza. Q, attraverso la vena porta, il fegato riceve tutti i prodotti d’assorbi intestinale, inoltre, dal momento che nella milza avvengono fegato di eritrocateresi dovuti all’attività dei macrofagi splenici, al fegato giungono i prodotti di degradazione dell’eme (bilirubina).

Il sangue arterioso porta al fegato ossigeno e metaboliti.

Nel fegato sono presenti cellule di Kupfer (10 milioni /gr, il fegato pesa 1500 gr), che hanno posizione e funzione strategica: proseguono il lavoro dei macrofagi splenici, infatti sono in grado di produrre bilirubina a partire da frammenti di eritrociti, che possono essere arrivati al fegato attraverso la vena porta. Le cellule di Kupfer sono macrofagi residenti.

Il sangue che viene in contatto con gli epatociti è artero-venoso, ha minor ricchezza in ossigeno, esso tuttavia, è ricco di prodotti di assorbimento intestinale.

Un’altra caratteristica della vascolarizzazione è che l’arteria epatica e la vena porta, una volta penetrate nel fegato in corrispondenza dell’ilo, si dividono in rami che si distribuisce a grossi territori di parenchima detti zone. Ciascuna zona è caratteristiche da vascolarizzazione indipendente rispetto alle zone vicine.

Queste doti di segmentazione del fegato su base vascolare sono importanti da un punto di vista pratico, in quanto permettono di realizzare vivisezioni limitate del fegato (epatoctomie parziali).

Le zone a loro volta si suddividono in lobuli o acini, a seconda di come si considera la costituzione del fegato.

Per le complesse funzioni, il fegato può essere considerarsi non solo come un ghiandola esocrina, in quanto elabora la bile che riversa nel duodeno per mezzo dei condotti biliari, ma anche come una particolare ghiandola endocrina, non perché secerne ormoni ma perché riversa direttamente nel sangue numerosi elaborati (proteine plasmatiche, glucoso, lipoproteine).

Il parenchima epatico è costituito dagli epatociti. Gli epatociti sono cellule polarizzate, in quanto in essi è possibile individuare un polo vascolare, in corrispondenza del quale l’epatocita opera selettivamente scambi con il sangue, ed un polo biliare, in corrispondenza del quale avviene la secrezione della bile.

Negli epatociti esiste inoltre una precisa compartimetalizzazione, cioè una precisa distribuzione degli organelli in base alle funzioni. Il RER opera per la produzione delle proteine plasmatiche (+ di 80) riversate in circolo, il REL opera per la sintesi del colesterolo e la degradazione dei farmaci liposolubili (funzione detossificante).

 

FUNZIONI

1) biligenesi. Il fegato elabora la bile che, attraverso le vie biliari, viene immessa nel duodeno, dove svolge importanti funzioni, in particolare ai fini della digestione dei grassi. La bile è anche vettore dei prodotti che devono essere eliminati e di prodotti fondamentali. Essa è arricchita di IgA, e l’80% di IgA presenti nel tenue arriva con la bile.

2) Il fegato è intercalato tra il circolo portale e quello della vena cava inferiore, riceve il sangue refluo dalla milza, stomaco, tenue e dalla maggior parte del crasso ed opera sui metaboliti assorbiti a livello intestinale, fungendo come organo di deposito per alcuni materiali (es. glicogeno), che hanno un importante ruolo nel mantenimento di parametri ematochimici (es. glicemia). In questo senso, il fegato può es considerato come un'organo essenziale per mantenere l’omeostasi ematica.

3) funzioni metaboliche.

a) metabolismo dei glucidi (gluconeogenesi, glicogenosintesi e glicolisi, che sono alla base della funzione glicostatica del fegato e quindi della regolazione della glicemia).

b) metabolismo dei lipidi (sintesi dei trigliceridi, acidi grassi e lipoproteine, formazione dei corpi chetonici, sintesi, degradazione, esterificazione ed escrezione del colesterolo)

c) metabolismo delle proteine (sintesi delle proteine plasmatiche, del fibrinogeno, della protrombina, di quasi tutti i fattori plasmatici della coagulazione, catabolismo delle proteine e dei relativi aa).

L’albumina (4/5 g/100mL) è responsabile del mantenimento della pressione oncotica dei protidi plasmatici. La diminuzione dell’albumina plasmatica può comportare riduzione della pressione oncotica e pertanto alterazione degli scambi idrici tra sangue e tessuti, causando l’abnorme passaggio di liquidi nei tessuti, arrivando alla formazione dell’edema.

d) metabolismo dei composti azotati non proteolitici (sintesi urea, ac. urico, purine pirimidine, glutatione)

e) metabolismo delle vitamine (fosforillazione della tiamina, piridossale, riboflavina, formazione coenzima A dall’acido pantoteico e dal coenzima B12 della vitamina B12)

4) funzione detossificante e trasformante. Molte sostanze tossiche, o farmaci (es. barbiturici), possono essere eliminati da enzimi che, nel caso dei barbiturici, sono localizzati a livello del REL. Infatti, esaminando il fegato di un soggetti che ha fatto uso di barbiturici, si può constatare una notevole estensione del REL negli epatociti.

La funzione trasformante si realizza attraverso reazioni di ossidazione (perossisomi),... Da notare che il fegato può, idrossilando composti del tutto innocui, creare sost cancerogene.

5) funzione di coniugazione (con acido glucuranico). Tipicamente la bilirubina proveniente dai macro splenici e dalle cellule di Kupfer deve esse glucurono coniugata per finire nella bile. Avremo così una bilirubina che non è ancora passata per il fegato, ed una bilirubina diretta, glucurono coniugata.

6) mantenimento omeostasi. Esistono parametri emolitici per i quali è necessaria la normale funzione del fegato.

 

Si è visto come il fegato può essere suddiviso in zone, che presentano vascolarizzazione indipendente, l’ulteriore suddivisione in lobuli non presenta le stesse caratteristiche, in quanto i lobuli presentano una vascolarizzazione multipla.

I lobuli sono ben evidenti sopratutto nelle specie animali in cui il fegato è provvisto di una abbondante trama di connettivo, essi vengono comunemente considerati come le unità strutturali del fegato (lobuli classici). Ogni lobulo risulta costituito da lamine cellulari che delimitano un sistema labirintico in cui è contenuta una reta capillare di vasi sanguiferi a decorso tortuoso, i sinusoidi.

Nel lobulo classico le lamine cellulari ed i sinusoidi hanno disposizione radiale: dalla periferia del lobulo convergono verso il centro.

L’asse del lobulo epatico è occupato da un vaso venoso a parete sottile, la vena centrolobulare, in cui sboccano tutti i sinusoidi contenuti nel lobulo epatico.

La parete della vena centrolobulare appare perciò discontinua. Le zone dove lobuli adiacenti vengono tra loro in contatto sono indicate come spazi portali, in cui decorrono i rami lobulari dell’arteria epatica, della vena porta ed i canalicoli biliari. Queste tre formazioni costituiscono la triade portale.

Il sangue che circola nelle ramificazioni dell’arteria epatica e della vena porta viene convogliato dalla peri del lobulo epatico nella rete di sinusoidi.

Sino a livello della triade il sangue arterioso e quello venoso circolano indipendentemente e le tre formazioni decorrono all’interno di tralci connettivali molto evidenti. I sinusoidi si portano alla vena centrolobulare, che percorre assialmente il lobulo, alla base dei lobuli, le vene centrolobulari confluiscono nelle vene sottolobulari (circolo venoso puro), tributaria a loro volta delle vene epatiche, che sboccano nella vena cava inferiore. Le ramificazioni dell’arteria epatica e della vena porta confluiscono nello stesso sistema di drenaggio quando si immergono nei sinusoidi. Questi ultimi sono riccamente anastomizzati per cui il sangue che circola nei sinusoidi è arterovenoso.

La bile elaborata dagli epatociti si riversa dentro spazi intercellulari scavati tra le pareti di epatociti contigui (capillari biliari), quindi viene convogliata in condotti provvisti di parete propria presenti negli spazi portali (canalicoli biliari).

Come nei seni venosi della polpa rossa, anche nei sinusoidi epatici la velocità del sangue è modesta: nel passaggio da triade portale a rete sinusoidale si ha una grassa caduta di pressione e rallentamento del flusso, ciò permette agli epatociti di restare a lungo contatto con il sangue.

 

MODELLI DI ORGANIZZAZIONE DEL PARENCHIMA EPATICO

Il lobulo epatico (classico) è caratterizzato dagli spazi portali, con triade portale (ramo lobulare di arteria epatica e vena porta, canalicolo biliare).

Questo modello non è del tutto soddisfacente e presenta alcuni limiti.

Nel caso per es di tumore della testa del pancreas, o do ostruzione delle vie biliari, si verifica un ristagno di bile, e la formazioni di lesioni triangolari, con un canalicolo biliare al centro e vene centrolobulari ai vertici.

Il secondo modello (del lobulo portale) è caratterizzato da un territorio di parenchima il cui centro è occupato da un canale biliare, questo è contenuto nello spazio portale a raccogliere la bile secreta dall’area circostante di parenchima epatico. I limiti del lobulo epatico si possono ottenere congiungendo con una linea immaginaria tre vene centrolobulari. Questo modello di organizzazione del parenchima epatico pone l’accento sulla funzione esocrina del fegato. In esso il sangue scorre in direzione centrifuga (dallo spazio portale alla vena centrolobulare), mentre la bile ha decorso centripeto (dalla periferia all spazio portale).

Anche questo modello non è del tutto soddisfacente, in quanto non è in grado di spiegare una delle principali patologie che colpiscono il fegato, la cirrosi epatica.

Nel caso di questa malattia non solo viene distrutto il parenchima epatico, ma il connettivo va a strozzare i vasi arteriosi e venosi, impedendo la vascolarizzazione di queste zone. La rigenerazione del parenchima epatico (vedi oltre), si realizza a partire da rami preterminali e terminali dell’arteria epatica e della vena porta, a seconda che lo strozzamento, e quindi la degenerazione sia avvenuta a livello preterminale o terminale, la rigenerazione inizierà a monte della strozzatura. Avremo allora la formazione di acini, che saranno semplici se siamo a livello terminale, complessi a livello preterminale.

Questi modelli di organizzazione del parenchima epatico sono l’acino semplice e complesso, cioè territori che presentano al centro rami preterminali o terminali della vena. porta, in quanto è da questi rami che ha inizio il processo di rigenerazione.

Un ultimo concetto riguarda la polarità degli epatociti: la superficie degli epatociti rivolta verso i sinusoidi è provvista di microvillo (aumento della superficie assorbente), in corrispondenza del polo biliare, la mb dell’epa presenta una depressione foggiata a doccia. Questa depressione si guistappone ad un’analoga presente sulla parete dell’epatocito adiacente, si delimita in questo modo il capillare biliare, sprovvisto di parete propria.

Superfici relativamente pianeggianti permettono un’esatta giustapposizione con gli epatociti circostanti.

 

ANATOMIA

Il polo vascolare è la superficie dell'epatocita in rapporto con i sinusoidi, la membrana dell'epatocita è sollevata in numerosi microvilli.

I sinusoidi sono capillari sanguigni la cui parete è costituita da cellule endoteliali organizzate in un dispositivo discontinuo, sono riccamente anastomizzati.

Convogliano il sangue dai rami lobulari dell’arteria epatica e della vena porta, collocate nello spazio portale, alla periferia del lobulo, verso la vena controlobulare che percorre assialmente il lobulo.

La parete dei sinusoidi è costituita da cellule endoteliali appiattite, che sporgono nel lume solo con quella porzione in cui è contenuto il nucleo. L’endotelio è discontinuo per la presenza di pori e fenestrature.

Tra l’epatocita e la parete del sinusoide si trova lo spazio di Disse. Attraverso le fenestrature dell'endotelio, il plasma filtra nello spazio di Disse e si pone in rapporto con l'epatocita.

Lo spazio di Disse si estende anche tra due epatociti contigui, e permette un contatto prolungato del plasma con la parete dell'epatocita, sollevata in numerosi microvilli.

Il contatto deve esse lento e prolungato, in quanto a questo livello avvengono numerosi scambi tra epatocita e plasma: acidi grassi vengono assorbiti, lipoproteine e proteine plasmatiche vengono rilasciate.

La struttura della parete dei sinusoidi non è così semplice: i sinusoidi epatici non presentano una membrana basale così come i sinusoidi splenici. L’assenza della membrana rende ragione della permeabilità di questi vasi che nella milza permettono il riassorbimento del plasma, e nel fegato permettono il passaggio del plasma nello spazio di Disse, quindi il ritorno dello stesso plasma “richiamato” dal flusso sanguigno.

Nello spazio di Disse si trovano fibre reticolari, che formano un reticolo di supporto per la parete del sinusoide.

Nei sinusoidi, sporgenti nel lume, si trovano elementi con attività fagocitica attiva, le cellule di Kupfer. Si trovano nel contesto delle cellule endoteliali, ma non sono in linea, si trovano sul versante interno dell'endotelio, appoggiate sulle cellule endoteliali, appartengono alla famiglia dei monociti macrofagi. Sono elementi residenti e presentano forma irregolare, a cavallo del sinusoidi. Aderiscono alla superficie interna dell'endotelio e vanno a popolare la superficie interna dei sinusoidi.

Le cellule di Kupfer si spostano all'interno dei sinusoidi: è necessario un continuo avvicendamento.

Pur essendo macrofagi residenti possono staccarsi dall’endotelio e tornare ad essere monociti circolanti. Esiste, dunque, un continuo ricambio di questo tipo di cellule all'interno del fegato. Completano l’azione emocateretica dei macrofagi splenici.

Queste cellule, inoltre, hanno l’importante ruolo di cellule presentanti l’antigene (come le cellule interdigitate e cellule dendritiche follicolari).

Una piccola parte di queste cellule, che processano antigeni i quali vengono riespressi nel contesto di MHC II, è in grado di raggiungere i linfonodi dell’ilo epatico. Nel parechima epatico, infatti, non vi sono vasi linfatici (presenti sino agli spazi portali),e solo cellule di Kupfer situate alla periferia dei lobuli possono terminare nella zona dell’ilo.

I linfonodi di questa zona presentano una paracortex particolarmente sviluppata (zona T dipendente), e questo è dovuto al continuo apporto di antigeni (espressi nel contesto di MHC II) portati da cellule di Kupfer.

 

Oltre alle fibre reticolare, nello spazio di Disse si trovano anche cellule che hanno la caratteristica proprietà di accumulare nel cito lipidi. Si pensa che queste cellule siano un serbatoio per le sost liposolubili come le vitamine A e K (importante nella coagulazione). Questi elementi sono netti cellule di ITO o fat storng cells.

Le cellule di ITO differiscono dalle cellule di Kupfer per sede e funzioni: si trovano all’esterno e non all'interno dell'endotelio che delimita i sinusoidi.

Sino ad ora abbiamo considerato il polo vascolare degli epatociti, consideriamo ora quelle zone in cui viene dismessa la bile: è possibile visualizzare queste zone trattando le cellule con metodi specifici per la dimostrazione di enzimi di membrana a funzione ATPasica, necessari al meccanismo delle pompe ioniche. Si ottiene così una mappa molto articolata che evidenzia quelle formazioni canaliformi costituite dalla giustapposizione,e di epatociti adiacenti, che presentano sulle membrane solchi foggiati a doccia, i capillari biliari.

La bile viene riversata nel capillari biliari, alla periferia dell’lobulo si trovano territori che rappresentano il punto di passaggio tra capillari biliari, privi di parete propria, e canalicoli biliari, provvisti di parete propria e situati negli spazi portali.

Questo segmento di transito è detto colangiolo.

I capillari biliari non presentano parete propria, ma in corrispondenza di questi la membrana dell'epatocita si estroflette in microvilli, ed inoltre presentano enzimi di membrana ad attività ATPasica.

Pur non possedendo una parete propria, i capillari biliari devono esse “chiusi” in qualche modo per impedire che la bilirubine già passata negli epatociti, quindi coniugata con acido glucuronico, filtri negli spazi di Disse e torni nel circolo ematico.

Questo fenomeno si verifica in patologie come i calcoli delle vie biliari, che causano una elevata pressione a livello del capillari, I quindi una fuoriuscita di bilirubina diretta. i sintomi di questa patologia sono dati da un ittero molto evidente. L’ittero può perciò esse causato anche dalla presenza nel sangue di bilirubina indiretta (non coniugata).

In questo caso l’ittero è dovuto a patologie molto diverse, per es una malattia emolitica acuta che causa un elevato afflusso di bilirubina al fegato ed il mancato riassorbimento da parte degli epatociti.

In condizioni di normalità, i capillari biliari sono strutture perfettamente chiuse, grazie ai classici dispositivi di giunzione (presenti anche a livello degli enterociti), ovvero la triade sona occludente, zona aderente, desmosoma.

All'interno degli epatociti, i lisosomi sono localizzati in corrispondenza dei capillari biliari, e questo sempre per il concetto di polarizzazione e compartimentazione, definito per gli epatociti: i lisosomi infatti sono fondamentali, con la loro attività idrolasica, in diverse tappe delle biligenesi.

In modo analogo, il reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi sono localizzati in corrispondenza del polo vascolare dell'epatocita.

Un’altra caratteristica del polo biliare degli epatociti è la presenza di numerosi filamenti di cheratina. Questi costituiscono il supporto dei capillari biliari, e fanno in modo che i capillari siano una struttura rigida: questo è importante in quanto se i capillari avessero una struttura flessibile, un lieve aumento di pressione causerebbe la distensione delle pareti del capillare, e l’indebolimento dei dispositivi di giunzione che devono garantire una perfetta “chiusura” dei capillari, i quali non possiedono una parete propria.

Passiamo ora ai colangioli. Si tratta di condotti che cominciano ad avere una parete propria, costituita da cellule epiteliali e dalla superficie degli epatociti. In pratica i colangioli sono costituiti da una singola cellula che con i suoi prolungamenti cito va a costituire una struttura vasale.

Queste cellule sono molto importanti per due motivi: esiste una situazione patologica per cui, durante la morfogenesi delle vie biliari, non si formano i colangioli. L’agenesia del colangiolo determina il mancato smistamento della bile, con conseguente morte, a meno di un rapido trapianto di fegato. Inoltre le cellule dei colangioli sono elementi staminali in gradi di differenziarsi in epatociti: da essi dipendono i fenomeni di rigenerazione, dovuti a capacità di differenziamento da parte delle cellule dei colangioli.

Lasciati i colangioli si entra nei condotti biliari che confluiscono nei due dotti epatici per poi arrivare alle vie biliari extraepatiche.

All’interno del fegato, i canalicoli biliari non presentano modificazioni rilevanti, così come non subisce modificazione la bile, almeno fino a che non arriva alla colecisti.

Le vie biliari extraepatiche sono rappresentate dal dotto epatico com, che in seguito riceve il dotto cistico, per andare a formare il dotto coledoco. Questo passa dietro la prima porzione del duodeno e la testa del pancreas, e va a sboccare a livello della faccia mediale della seconda porzione del duodeno.

A livello della papilla duodenale sono presenti formazioni sfinteriche, che permettono la dismissione di bile solo nel caso di presenza di grassi nel duodeno, ed ulteriori sfinteri che impediscono il passaggio della bile nel condotto pancreatico principale quindi nel pancreas, con la conseguente attivazione degli enzimi proteolitici che distruggerebbero il pancreas (pancreatiti acute).

La parete di questi condotti è costituita da epitelio di rivestimento e da lamina propria, con infiltrazione lifocitaria (MALT), ed alcune ghiandole. Esternamente alla mucosa si trova una tonaca fibromuscolare, la componente muscolare è necessaria alla progressione della bile nei dotti.

 

 

Colecisti

 

La parete di quest'organo presenta alcune caratteristiche dovute al fatto che in esso la bile ristagna, subendo modificazioni sostanziali.

La mucosa è sollevata in pieghe ramificate, alla cui formazione prende parte anche la lamina propria. L'epitelio di rivestimento è batiprismatico semplice.

La mucosa si mette in rapporto con la tonaca fibromuscolare senza interposizione di una sottomucosa.

La tonaca fibromuscolare è costituita da fasci di fibrocellule muscolari lisce i,ntrecciate (si determina la spremitura dell'organo), e da fibre collagene.

In fine è presente una tonaca avventizia sulla faccia superiore, una sierosa peritoneale sulla faccia inferiore.

Nel contesto della mucosa non sono presenti ghiandole, l'epitelio di rivestimento è caratterizzato da un’orletto striato breve e sottile, formato da corti microvilli.

Le cellule epiteliali sono saldamente unite tra loro a livello delle parti apicali mediante complessi di giunzione (zonula aderente, occludente, desmosoma).

A queste aree, che devono esse considerate impermeabili, fanno seguito, verso il polo basale, la membrana caratterizzata da un profilo irregolare per la presenta di interdigitazioni che delimitano uno spazio canalicolare intercellulare esteso sino alla membrana basale su cui le cellule poggiano.

La colecisti non funziona solo come un serbatoio, ma serve anche a concentrare la bile assorbendo parte dell’acqua in essa contenuta.

Mentre nella fasi di riposo il sistema dei canalicoli intercellulari, che si delimita tra le cellule dell'epitelio di rivestimento appare ridotto ad una sottile fessura, nella fase di concentrazione della bile (trasporto attivo di Na+ e passivo di acqua) gli spazi canalicolari intercellulari risultano dilatati.

Nel plasmalemma delle superfici laterali delle cellule epiteliali è stata dimostrata attività ATPasica. Il trasporto attivo degli elettroliti, l’assorbimento di acqua  ha luogo a seguito del trasporto attivo di Na+ negli spazi intercellulari. Si stabilisce un gradiente osmotico che richiama acqua dal lume della colecisti.

In seguito avviene il drenaggio dei fluidi: spazi intercellulari, membrana basale, capillari sanguigni, tonaca propria.

 

 

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Fonte: http://www.sismpa.it/download/appunti/Anatomia.zip

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