Chirurgia plastica

 

 

 

Chirurgia plastica

 

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Chirurgia plastica

 

Si divide in riparativa, ricostruttiva ed estetica.


Si occupa di traumatismi, tumori, malformazioni congenite e patologie degenerative.

Nell’800 a.C. in India si ricostruivano già i nasi. Nel 1597 Tagliacozzi pubblica il primo libro di chirurgia plastica. Nel 1794 l’antico metodo indiano viene portato a Londra.

Ogni ferita genera una cicatrice secondo un meccanismo monotono ovunque si trovi la lesione.


Guarigione:

  • prima intenzione à senza complicanze, i labbri della ferita sono stati giustapposti e non vi è stata perdita di sostanza;
  • seconda intenzione à si è persa della sostanza, l’organismo deve colmare la perdita (tessuto di granulazione);
  • terza intenzione à la ferita, infettata, viene riaperta e, una volta risolta l’infezione, risuturata.

Tappe del processo di riparazione: formazione del coagulo di fibrina (immediato), infiammazione (dura tre giorni, è presente iperemia che consente l’arrivo in sede di cellule infiammatorie come neutrofili e macrofagi per eliminare rispettivamente batteri e detriti poiché la riparazione avviene solo se c’è pulizia), proliferazione (dalla terza giornata, ha il suo acme in decima e si spegne nella venticinquesima, appare il tessuto di granulazione che è rosso, gelatinoso e facilmente sanguinante).
La proliferazione ha al suo centro il fibroblasto, dotato di vivace attività protidosintetica e che ricorda la cellula mesenchimale embrionaria. Come giunga in sede non è ancora stato chiarito.
Collagene: tripla elica di catene formate da prolina, idrossiprolina e glicina.
Acido ialuronico: base dei glicosaminoglicani (che formano un cuscinetto di acqua, la cosiddetta sostanza amorfa).
Tessuto di granulazione: connettivo neoformato senza alcuna attività, serve solo a ripristinare la continuità.
Riepitelizzazione: quando il fondo si è formato, lo strato basale dell’epidermide vi scivola sopra.
Contraction (processo cellulare à miofibroblasti) + contracture (processo chimico à polimerizzazione) = retrazione.
I miofibroblasti si contraggono in fase iniziale, poi per un paio di mesi il collagene polimerizza e perde acqua.
Zone a rischio di retrazione: superfici flessorie, orifizi naturali, aree molli in generale.

Patologia secondaria: alterazione dell’integrità anatomica, inadeguata collocazione estetica, discromia, disestesia, perdita degli annessi, fragilità, retrazione.
I melanociti ipereccitati ai bordi della cicatrice colorano attorno ad essa (che resta però di colore chiaro).
Le disestesie possono durare anche per tutta la vita.
La cicatrice è sprovvista di papille dermiche (è piatta) e ciò la rende più fragile.
Una cicatrice è stabile dopo due anni e non evolve ulteriormente.
Le cicatrici, con la tecnologia attuale, non possono essere cancellate. I volumi si possono ricostruire (nel caso di infossamenti), ma non è possibile ripristinare le superfici. Le discromie sono correggibili con tatuaggi o innesti di melanociti.
Una cicatrizzazione ipoplastica porta ad una ferita difficile. Nel gruppo delle ferite difficili rientrano anche le ulcere.
Si considera difficile una ferita non guarita entro tre settimane.
Fattori di rischio esogeni: deficit alimentari (es. vegetariani), sovrainfezioni, corpi estranei (anche piccoli, per questo bisogna sempre lavare le ferite), compressione.
Fattori di rischio endogeni: turbe circolatorie, malattie del sangue, metaboliche, cutanee, infettive, immunitarie, tumori.

Cicatrizzazione iperplastica: eccessiva deposizione di collagene, di solito per seconda intenzione, maggiormente a rischio le  regioni presternale e deltoidea, può avvenire se si tirano troppo i bordi. Si può prevenire comprimendo con indumenti elastici, con medicazioni al gel di silicone, con la protezione antisolare assoluta (se la cicatrice è fresca si iperpigmenta, se è vecchia si ustiona), con massaggi e fisioterapia, con le cure termali o con getti d’acqua pressurizzata da doccette filiformi.

Cicatrizzazione metaplastica o cheloide: massa di fibre collagene disordinate (vortici e spirali) dentro a sostanza ialina, che non segue la forma della cicatrice e recidiva sempre all’asportazione. I fattori di rischio sono gli stessi della cicatrizzazione iperplastica. Maggiore diffusione negli individui di colore. In alcuni casi i cheloidi possono formarsi spontaneamente o a seguito di minimi traumatismi. Terapia con asportazione chirurgica e radioterapia in dose unica entro due ore dall’intervento o in più dosi (la prima entro due ore dall’intervento) per bloccare la fase infiammatoria.

Cicatrizzazione neoplastica: 0,8-1% delle ferite, solitamente da cicatrici guarite per seconda intenzione. La proliferazione è incontrollata. In genere si tratta di carcinomi spinocellulari, più raramente di basaliomi, melanomi o sarcomi. Spesso avviene su vecchie cicatrici. Una cicatrice di una ferita guarita per seconda intenzione che si ulcera è sempre sospetta, soprattutto se di vecchia data.
Quando si incide bisogna rispettare le aree estetiche e le linee di Langer.
Tra le aree estetiche esistono pieghe di separazione che possono essere utilizzate per nascondere le ferite. Le cicatrici che attraversano le aree estetiche sono molto visibili. Si devono seguire le rughe o l’attaccatura dei capelli.
Linee di Langer: linee di tensione cutanea, che in genere seguono le correnti pilari; per individuarle basta fare un piccolo buco nella pelle con un punteruolo, che provocherà una lesione ellittica il cui raggio maggiore segue le linee di Langer.
È importante usare sempre strumenti di dimensioni adeguate a seconda dello spessore cutaneo, disegnare con la penna dermografica, misurare con metro e compasso.
I fili di sutura possono essere riassorbibili o non riassorbibili, monofilamento o intrecciati.
I riassorbibili sono utilizzati per i punti di profondità quando non serve una tensione stabile, i non riassorbibili per la superficie (il riassorbimento andrebbe a spese dei macrofagi) o se serve mantenere una tensione stabile.
Il monofilamento è meno inquinabile ma l’intrecciato tiene meglio il nodo.
Cucire per strati, dal più profondo in su. Ricordare che le colle da sole non bastano per gli strati profondi.

Innesti
Sono privi di peduncolo vascolare.
L’innesto più frequente è quello di pelle. Il prelievo è tangenziale comprendendo epidermide e derma papillare (innesto sottile) o anche il derma reticolare (medio) o tutta la pelle (totale).
Per gli innesti sottile e medio si utilizza il dermotomo, la regione donatrice deve avere sanguinamenti puntiformi che indicano che si sono prelevate le papille e che, quindi, l’innesto è stato prelevato correttamente. La regione donatrice, possedendo ancora i fondi degli annessi, guarirà spontaneamente. La regione ricevente, invece, non era in grado di riparare perché danneggiata in profondità fino ai fondi degli annessi.
È possibile fenestrare gli innesti, trasformandoli così in “maglie” con area fino a cinque volte maggiore rispetto a quella di partenza (innesto a rete). L’aspetto è peggiore ma serve a colmare grandi perdite di epidermide, non potendo donare aree troppo grandi. Poiché l’area donatrice resta danneggiata, si cercano aree nascondibili (come le natiche) che guariranno per seconda intenzione.
Gli innesti servono a “tappare i buchi” rapidamente, ma hanno uno scadente risultato estetico (discromie, retrazioni).
L’innesto a pieno spessore dà risultati estetici migliori, ma è praticabile solo per piccole aree, dovendo la zona donatrice essere suturata chirurgicamente.
Attecchimento degli innesti autologhi: la regione ricevente deve essere ben vascolarizzata, pulita, non infetta, non sanguinante (benché ben vascolarizzata).

Tappe: spasmo dei vasi dell’innesto, letto di fibrina, imbibizione serica per due giorni (grazie alla quale l’innesto può vivere come se fosse in coltura), rivascolarizzazione (neogenesi, nuova rete di vasi dall’ospite ed anastomosi coi vasi già esistenti).
Un vero flusso ematico si ha in terza giornata, la normalizzazione avviene in ventesima giornata. Poiché in terza giornata basta un minimo movimento per rompere i vasi, la prima medicazione si può fare solo in quinta giornata (fino ad allora non si possono cambiare le garze, che sono spesso cucite o ingessate). Un innesto su arto necessita di immobilità in doccia gessata per cinque giorni.

Omoinnesti di cute: rigetto tra la settima e la decima giornata a causa delle cellule di Langerhans.
Tecnica di Alexander: innesti autologhi a rete molto espansa (1:6) e copertura con innesti di cute omologa (1:2) che protegge gli innesti autologhi sottostanti favorendone l’attecchimento ed accelerandone la crescita. La cute omologa viene poi rigettata. Questa cute viene presa dalla banca della pelle e funge da medicazione biologica, ad es. nei grandi ustionati.
L’innesto xenologo è vietato in Europa, ma non negli Stati Uniti.

Colture cellulari di epidermide: partendo da una donazione di 2 cm² si ottengono fino a 2 m² di cute in laboratorio in tre settimane. L’area da coprire viene protetta in quest’arco di tempo con innesti omologhi. La coltura è su supporto di collagene o acido ialuronico. Il problema è che serve anche il derma ed i fibroblasti non possono essere coltivati assieme ai cheratinociti poiché questi ultimi vengono aggrediti dai fibroblasti, che vanno quindi coltivati separatamente.
La tecnica di Cuono prevede la coltura di una lamina di connettivo sulla quale si innesta, dopo una settimana, una lamina di derma.

Cute ingegnerizzata: non necessita di una zona donatrice ed è disponibile in quantità illimitata. Si tratta di cellule autologhe coltivate in vitro su derma di biomateriale (che risolve il problema dei fibroblasti). Utile per grandi ustionati, fascite necrotizzante, bambini, ecc.
È anche possibile direttamente al letto del malato creare una sospensione di cellule epidermiche e spruzzarla sull’area danneggiata, con ottimi risultati.
Innesto di tessuto adiposo: delicato, quando veniva eseguito necessitava di vascolarizzazione dal derma, che doveva quindi essere anch’esso prelevato. Una gran parte dell’innesto andava persa per la necrosi.

Lipofilling: si aspira per liposuzione il grasso e lo si inietta sottocute. Il tessuto adiposo attecchisce e la procedura non lascia cicatrici. Il tessuto adiposo è ricchissimo di cellule staminali stromali, come il midollo osseo. Il grasso prelevato va centrifugato e si scarta sia la parte ematica sia quella oleosa.
Non vanno iniettate le staminali da sole, ma anche gli adipociti, che fungono da nicchia per le staminali.

Altri innesti: di osso (dall’ala iliaca), di cartilagine (dalla condrocostale), di nervi (si utilizzano nervi sensitivi che fanno da guida, con le cellule di Schwann, alla rigenerazione di nervi lesi)

Trapianti
Sono parti anatomiche provviste di un peduncolo vascolare che ne consente la sopravvivenza e la conservazione della propria anatomia.
Angiosoma: area anatomica a varia composizione, che insiste su un’arteria. Può essere oggetto di un trapianto.
Taylor ha riconosciuto tutti gli angiosomi. I vari angiosomi sono anastomizzati (choke anastomosis che si aprono in caso di necessità), per cui è possibile trapiantare anche piccole porzioni di altri angiosomi assieme a quello vascolarizzato tramite il suo peduncolo.
Mantenendo integro il peduncolo è possibile maneggiare il trapianto, ad es. si può piegare un perone per modellare una mandibola senza mandarlo in ischemia.
Per ricostruire la pelle è necessario un trapianto e non un innesto. L’arteria regionale si distribuisce per strati dal muscolo fino alla pelle; in ogni strato vi è una rete vasale che sale allo strato successivo attraverso alcuni vasi. Molti vasi si infilano tra i ventri muscolari lungo i setti presenti tra i muscoli. Vi sono inoltre arterie che perforano direttamente la fascia e si distribuiscono alla pelle. La connessione tra muscolo scheletrico e pelle è costante, infatti la pelle sopra un muscolo ipertrofico è ben vascolarizzata e non flaccida. Ci sono aree privilegiate, in cui si può utilizzare l’arteria regionale, in altre, invece, è necessario trasferire in blocco anche il muscolo.
Si mantiene il peduncolo e si ribalta il trapianto sull’area in cui c’è stata perdita di sostanza.
Il primo trapianto muscolo-cutaneo è stato fatto a Pavia nel 1906 da Tansini.
Esistono 5 classi di muscoli:

  • con un peduncolo
  • con un peduncolo dominante + alcuni peduncoli accessori
  • con due peduncoli dominanti
  • con più peduncoli, nessuno dei quali sufficiente da solo a nutrirlo
  • con  un peduncolo dominante + alcuni peduncoli accessori che, sommati, valgono come un peduncolo dominante

I muscoli più usati per il trapianto miocutaneo sono: gran dorsale (peduncolandolo sul suo ilo, ha una grande area d’azione e la sua perdita non è invalidante), grande gluteo nel paraplegico, etc (in teoria tutti i muscoli, ma bisogna tener conto delle funzioni). E’ possibile trapiantare la cute isolando ogni perforante, ma l’intervento è lungo e molto costoso.

Trapianti random o lembi: impostati su base empirica e non sull’anatomia vascolare, con regole empiriche, come ad esempio il fatto che la lunghezza non possa superare tot volte la base ancora impiantata o il rispetto di determinati angoli. Ormai non si fanno più, conoscendo la razionale vascolare.
Plastica a Z: più lembi ravvicinati. Possibile anche una plastica a lembi alternati.

Trasferimenti a distanza: con tecnica microchirurgica, non si utilizzano più i jump-flaps (avvicinando il trapianto all’area da coprire, come ad esempio l’antico trapianto di naso dal braccio, ha ancora senso da un dito all’altro, cross-finger) ed i lembi tubulati.

Espansione cutanea: s’identifica l’area donatrice e s’inserisce una protesi temporanea al di sotto, che consta di un palloncino sgonfio, che viene man mano gonfiato. Alla fine si ha molta pelle in eccesso. Si utilizzano aree il più possibile vicine.

 

Impianti

Introduzione nell’organismo di materiale non vivente.
Ideale: fisicamente immutabile, chimicamente inerte, non termoconduttore, non elettroconduttore, modellabile, resistente ai traumi, sterilizzabile, non flogogeno, non allergogeno, non cancerogeno, facilmente fabbricabile e reperibile, di costo contenuto.
Le caratteristiche dell’impianto ideale sono fisico-chimiche, biologiche e merceologiche. I materiali devono essere ragionevolmente tollerati fino a dimostrazione del contrario e non è detto che, se funzionano in vitro, funzionino anche in vivo.

Inevitabili reazioni biologiche con diverso grado di espressività:

  • reazione da corpo estraneo
  • reazione del sistema immunitario
  • effetto massa.

Dipendono dal paziente in sé e non dall’impianto. La loro espressività, invece, dipende da impianto e tecnica chirurgica.
Reazioni da corpo estraneo: trattandosi di sostanza sterile, si seguono le normali tappe della guarigione. Meno germi sono entrati, minore è la risposta. I macrofagi non riescono ad eliminare l’impianto, per cui vengono sostituiti dai fibroblasti, che lo ricoprono di collagene. La risposta capsulare è calcolata con la scala di Baker (da 1 a 4). Baker 1 è normale e la fanno tutti, con buona comprimibilità della protesi. Le capsule più grosse sono dure, retratte, antiestetiche e a volte dolenti. Le nuove protesi hanno una superficie zigrinata (testurizzata), così la capsula è interrotta in più punti e non può retrarsi.
Reazioni del sistema immunitario: non si tratta né di un’allergia, né di un rigetto. I linfociti riconoscono la struttura chimica, ma non possono intaccarla. In compenso, in molti casi, aumentano gli anticorpi auto-immuni circolanti e ciò può essere un fattore scatenante di malattie auto-immuni, per questo le protesi non si possono mettere in pazienti predisposti.
Effetto massa: interferenza con diagnostica per immagini (ad esempio la mammografia fa vedere molto poco ed è meglio l’ecografia o la RMN), compressione.
Attorno alle protesi ci sono meno neoplasie (minor vascolarizzazione, maggior allerta immunitaria, più controlli).

 

Impianti bioattivi
Hanno reazioni biologiche volute:

  • biointegrazione
  • riassorbimento
  • biostimolazione.

Biointegrazione: impianti micro-porosi in cui penetra il connettivo, bloccando l’impianto e dando maggior stabilità (esempio osso). Anche alcuni fili di sutura sono microporosi, per aumentarne la stabilità nel tempo.
Riassorbimento: un po’ avviene in ogni impianto, forse a causa dello slime batterico sempre presente (infatti si fa profilassi anche per manovre minimamente invasive come le estrazioni dentarie). I batteri dello slime danneggiano l’impianto che, per questo, ha una scadenza. Esistono impianti volutamente biodegradabili.
Biostimolazione: l’impianto induce reazioni.

Materiali perenni: siliconi, politetrafluoretilene, polimetilmetacrilato, polietilene, poliuretani, poliacrilamide, altri polimeri, metalli nobili.
Materiali riassorbibili: ceramiche, composti alifatici, substrati.
Siliconi: dimetil-poliossano; non s’utilizza più il silicone solido perché dà inadeguate risposte capsulari, con risultati sgradevoli. Ora si utilizzano gli espansori cutanei. Per le protesi mammarie si usa un involucro di silicone ed un contenuto di soluzione fisiologica o di gel di silicone (miglior risultato, ma di poco). Le protesi in sé, se di buona qualità, non differiscono molto fra loro, ma conta molto di più la mano del chirurgo. Il silicone liquido è stato vietato dalla Food and Drug Administration, dà pessimi risultati, perché il sistema immunitario frantuma il liquido in moltissime particelle ed ogni goccia è ricoperta di cellule infiammatorie. E’ impossibile bonificare il tessuto e il silicone scivola lungo le fasce.
Politetrafluoroetilene: è il teflon, base del gore-tex, che è microporoso. E’ utile nei fili.
Polimetilmetacrilato: è usato come cemento da ossa, è microporoso, è venduto in polvere, è estremamente modellabile e poco costoso.
Polietileni: sono microporosi, utilizzati come sostituti dell’osso.
Poliuretani: i monomeri sono tossici e cancerogeni; sono utilizzati per ricoprire le protesi; sono materiali friabili, aggrediti dai macrofagi (ritardando così la formazione della capsula). Infarciscono i macrofagi, che poi migrano nei linfonodi. Quando tutto il poliuretano è stato fagocitato, la risposta capsulare è enorme. Pessimo.
Poliacrilamide: l’acrilamide è tossica e mutagena; è usata come filler allo 0,4% con acqua, ma vi è rischio di diffusione di monomeri dalla macromolecola.
Altri polimeri: un esempio è il dacron.
Metalli nobili: titanio, titanio-alluminio-vanadio, cobalto-cromo, tantalio, titanio-nichel, oro. Cromo e nichel possono dare allergia e sono presenti anche nei tatuaggi.
Ceramiche: conglomerato di non-metalli ottenuto ad altissime temperature. Sono le migliori osteo-conduttrici, in particolare l’idrossiapatite (di sintesi, dall’osso o dal corallo). Il periostio genera nuovo osso nella forma dell’impianto. Si può usare fosfato tricalcico + idrossiapatite, che ha un diverso riassorbimento. Le migliori osteoconduttrici in assoluto sono le ceramiche vetrose, ossia vetri di calcio, fosfato e silicato (brevetto italiano, prodotto a Murano). Le ceramiche sono più costose del metacrilato, ma il risultato è immensamente migliore.
Composti alifatici: acido poliglicolico, acido polilattico; usati sia per viti e placche, sia come filler, perché si degradano.
Substrati: collagene, acido ialuronico, derma decellularizzato.

Il risultato dipende da:

  • profondità, che deve essere la massima possibile
  • tessuto, che dev’essere sano e non cicatriziale.

Complicanze: alterazioni dell’impianto, infezioni.
Classi dei materiali: 1) autocertificazioni; 2a e 2b) controlli, sul fascicolo di progettazione e sulla qualità della produzione; 3) controlli severi, come sui farmaci.
Per ragioni economiche molte protesi sono in classe 2.. Solo ultimamente le protesi mammarie sono state messe in classe 3. 

 

Laser

  • Emissione continua
  • Emissione intermittente per fotoemolisi selettiva e/o foto-bio-stimolazione da break-down ottico.

Gli intermittenti possono essere pulsati (secondi), ultrapulsati (millisecondi), Q-switched (nanosecondi).
Il laser è monocromatico e collimato (ossia non disperde). Il cromoforo è la molecola che assorbe elettivamente il raggio laser, cambiandone il colore, cambia il cromoforo bersaglio. Scopo del laser è distruggere e i pulsati evitano la dispersione, il Q-switched permette di scendere in profondità.
Luce pulsata IPL: 300-1800 nm; permette fotoemolisi selettiva, ossia un’ustione controllata che scolorisce.
Light emitting diode (LED): 10-30 mA; è un’elettroluminescenza che stimola i fibroblasti.
Radiofrequenze: scendono in profondità, sfruttano le onde elettromagnetiche invece che la parte corpuscolata.

 

Traumatismi

La ferita deve essere ripulita per permettere la guarigione e bisogna rispettare le unità estetiche. Bisogna togliere la parte traumatizzata come se fosse un tumore. La mancata pulizia può provocare un tatuaggio post-traumatico, ad esempio da asfalto. Gli arti sono formati da compartimenti rigidi.
Sindrome compartimentale: nei traumi chiusi c’è umo schiacciamento di vasi e nervi. L’approccio terapeutico è multidisciplinare e si devono trattare sia la lesione ossea, sia quelle dei tessuti molli. Si possono utilizzare suture, innesti o lembi e prima si interviene, meglio è.

 

Ustioni

• Ustioni propriamente dette:

  • da contatto con corpo incandescente
  • da liquido bollente
  • da vapore
  • da fiamma.

• Congelamenti
• Lesioni da elettricità

  • folgorazioni propriamente dette
  • da arco elettrico

• Causticazioni

  • da acidi
  • da alcali

• Lesioni da radiazioni

  • UV, raggi X, radiazioni corpuscolate

• Lesioni da citostatici
La temperatura provoca denaturazione proteica. Fino a 60° ci vuole molto tempo per uccidere una cellula; al di sopra, la morte cellulare è rapida; il freddo fa scoppiare le cellule, ghiacciando l’acqua in esse contenuta. Incidenza in Italiaà totale: 400-500.000 casi/anno, di cui 1/3 ospedalizzati (120-160.000/anno), di questi il 3% in burnt unit (circa 4.000).
Fasce d’età più esposteà 0-5 anni: al mattino, in cucina con le pentole; 6-9 anni: stufe elettriche, fiammiferi e giochi; 10-18 anni: falò, campi estivi; adulti: lavori a rischio, come asfaltatori o cuochi; anziani: demenza senile, sigarette, caustici per la pulizia domestica, vestiti incendiati in cucina.
Fattori di rischio: obesità, alcolismo, handicap, tossicodipendenza, guerre.
Traumi possibili: fuochi dì artificio, fulmini, ustioni accidentali iatrogene.

Pronto soccorso pre-ospedaliero: rimuovere indumenti ed accessori, a meno che non siano sciolti e conglomerati con la pelle, al fine di rimuovere la fonte dell’ustione, valutare nel loro complesso tutte le aree ustionate, perché gli indumenti non sono sterili, perché i gioielli metallici conducono calore e perché gli anelli costringono in caso di edema, che, essendo generalizzato, obbliga a toglierli anche se lontani dalla sede delle ustioni. Lavare con acqua fresca corrente per rimuovere energia termica, per pulire grossolanamente e per ridurre il dolore ed evitare lo shock. Non neutralizzare gli acidi o gli alcali, poiché si provocherebbe una reazione esotermica, con ulteriore danno, meglio utilizzare l’acqua fresca per almeno 15 minuti. Valutare i parametri vitali e diagnosticare la gravità delle ustioni per decidere se trattare a domicilio, in ospedale o al Centro Ustioni. Se trattato a domicilio, bisogna eseguire reidratazione orale, o prendere subito una via venosa prima dell’edema, che compare dopo due ore ed obbliga all’isolamento venoso chirurgico con ulteriore danno. Annotare l’ora dell’ustione e cosa è stato somministrato. Se a domicilio, si fa terapia topica, se in ospedale, coprire con lenzuolo sterile o perlomeno pulito in attesa della terapia. La gravità si basa su tre parametri:

  • estensione: vale la regola del 9, la superficie è divisa in multipli di 9; per una valutazione rapida, un pugno chiuso corrisponde circa allo 0,5%; testa e braccia corrispondono circa al 9% ognuna, le gambe al 18% ognuna, il torso al 36% (petto e ventre 18%, dorso e glutei 18%) e il perineo al 1%;
  • profondità: il 1° grado è una distruzione dell’epidermide, che dà una semplice desquamazione; il 2° grado superficiale interessa il derma ed ha lasciato indenni molti annessi, si risolve in vescicole e bolle, dette flittene, all’interfaccia derma/epidermide, con reliquati di alterazioni pigmentarie; nel 2° grado profondo vi è distruzione degli annessi e non può esserci riepitelizzazione, ma una guarigione per seconda intenzione; il 3° grado, o carbonizzazione, è una distruzione di tutta la pelle, guarisce per seconda intenzione e si ha la comparsa di una èscara di tessuto necrotico nero;
  • sede: sono sempre gravi le ustioni a mani e viso; alle mani per il rischio di perderne la funzione, al viso per il rischio di lesioni del bulbo oculare, per il rischio di aspirazione ed ustione delle prime vie aeree, con un edema che può dare insufficienza respiratoria (dopo un’ustione anche lieve con vapore, nel qual caso bisogna ospedalizzare rapidamente).

Classificazione di gravità:

  • < di 15 % (<10 % se bambino/anziano) e 2° grado superficiale o < 2 % e 2° grado profondo/ 3° grado in aree non a rischio
  • 15 – 25 % (10-20 % se bambino/anziano) e 2° grado superficiale o < 10 % e 2° grado profondo/ 3° grado in aree non a rischio
  • > 25 % (>20 % se bambino/anziano) e/o aree a rischio e/o lesioni elettriche e/o politrauma e/o inalazioni e/o patologie concomitanti.

Le ustioni chimiche ed elettriche sono sempre di 3° grado.
Lesioni da arco voltaico: il foro d’entrata e quello d’uscita sono molto vicini, tipiche di contatto con aree bagnate, ad esempio il bambino che mette in bocca la prolunga. Hanno un basso rischio di mortalità, ma gravi danni locali per effetto Joule e per diretta interferenza dell’elettricità con le funzioni cellulari.
Folgorazioni: il foro d’entrata e quello d’uscita sono lontani e la sopravvivenza è possibile solo se il cuore non è in sistole, ma in silenzio elettrico.
Stravaso di citostatici: trattare con abbondanti eluizioni con soluzione fisiologica per lavarli via.

Pronto soccorso ospedaliero: esami di routine, terapia infusoria, catetere vescicale per monitorare la diuresi, solo se necessario, perché fonte di infezioni (meglio se l’urina la raccoglie il paziente), profilassi antitetanica, terapia farmacologica, terapia topica, escarotomia (se sono circolari vanno interrotte perché, con l’edema, impediscono l’espansione della cassa toracica o degli arti.
Fasi della malattia da ustioni:

  • shock. 48-72 ore
  • fase tossi-infettiva: > 72 ore fino a 3-4 settimane
  • fase distrofico-cicatriziale: per tutta la vita.

Shock ipovolemico: la scarica adrenergica provoca vasocostrizione; le citochine paralizzano gli sfinteri precapillari ed aumentano la permeabilità vascolare, aumentando il letto capillare e permettendo fuga di liquidi nell’interstizio, con un’ipovolemia sia relativa, sia assoluta, perché il liquido fugge nel letto capillare o negli interstizi. Si chiudono i distretti circolatori non strettamente necessari per la sopravvivenza, con possibili rene da shock e polmone da shock. Reintegrare i liquidi con cristalloidi (soluzioni saline) finchè non si ha la certezza che il circolo renale funzioni e che non vi sia più stravaso di liquidi (dopodichè si possono dare le colloidi, ma non prima perché se le colloidi finiscono nell’interstizio, si portano dietro acqua ed alimentano un circolo vizioso). Formule per il reintegro: di Parkland, di Monafo e di Evans. Somministrare anche levulosio, perché l’organismo necessita di molta energia. La valutazione viene fatta a seconda delle urine, che danno informazioni anche sul danno renale. La risposta infiammatoria sistemica è detta SIRS.

Fase tossi-infettiva: è un quadro settico sommato ad un’insufficienza multi-organo da tossici. Può esserci infezione del sito ustionato, endocardite subacuta, tromboflebite per gli accessi venosi, sinusite da inalazione, polmonite, infezione delle vie urinarie, infezioni addominali. Il quadro è un catabolismo universale, con deficit immunitario e anemia per blocco dell’emopoiesi da defedamento, ulcera di Curling (da stress, a rischio di perforazione), insufficienza renale/cardiovascolare e sindrome da distress respiratorio.

Terapia locale: trattamento aperto o chiuso.
Trattamento aperto: si lascia all’aria il tessuto mortificato in ambiente sterile, non si fa più in ospedale, ma solo in situazioni di emergenza, perché è meglio di un trattamento chiuso fatto non sterilmente. Si basa sul principio di lasciare il tessuto danneggiato come copertura.
Terapia topica: medicazioni non aderenti (garza grassa con vaselina), sulfadiazina argento (in locale è meglio questo antisettico degli antibiotici), medicazioni avanzate, per mantenere l’ambiente umido. Gli antisettici non servono se la ferita è sterile.
A partire dal 2° grado profondo è fondamentale il trattamento chirurgico: escarectomia + riparazione con innesto. Escarectomia: si toglie il tessuto necrotico, finchè non sanguina (il che indica che il tessuto è vivo) con un coltello tangenziale.  E’ importante lavare con un detergente antisettico (se molto doloroso, si può anestetizzare). Gli innesti da banca della pelle durano di più, perché il paziente è immuno-depresso. Un’ustione >30% senza i tessuti ingegnerizzati è morte sicura. L’ustione non guarisce con le pomate; o guarisce da sola o con la chirurgia. Bisogna operare entro la terza (massimo quinta) giornata.

Fase distrofico-cicatriziale: danni ossei (osteoporosi, osteomielite e fratture patologiche), articolari, muscolari e psichiatrici (fino al suicidio).
Bambini: danni irreversibili sulle strutture in via di sviluppo, le retrazioni possono impedire una corretta postura o una corretta crescita di varie strutture, come ad esempio la mano.

 

Ulcere croniche e ferite difficili

  • Vascolari
  • Da pressione
  • Diabetiche
  • Post-traumatiche
  • Varie (da malattie come vasculiti, infezioni, etc)

Vi è una diatesi individuale ed è importante lo stile di vita (sedentarietà, obesità), l’anzianità ed il fatto che oggigiorno si sopravvive a gravi malattie e traumi. Ischemia à necrosi à ulcera
Vascolari: arteriose o ischemiche 10%; venose o da stasi 75-80%; miste 15%.
Venose: vi è un deposito di emosiderina, che pigmenta, il chirurgo vascolare può ri-vascolarizzare. Stasi à ristagno à edema à compressione arteriosa. Affliggono l’ 1-2% degli adulti, con un enorme costo globale per la cura.
Da pressione: pressione à ischemia à necrosi à ulcera. Tipiche ulcere da pressione sono quelle da decubito, che si formano nelle regioni sovrastanti le grandi sporgenze ossee (ulcere sacrali negli allettati, ulcere ischiatiche in chi usa la sedia a rotelle, ulcere sopra il gran trocantere nei pazienti in decubito laterale). Il piccolo circolo ha una pressione di 30 mmHg, se la si supera per > 2 ore, si causa l’ulcera; è quindi importante mobilizzare ogni 2 ore. Poiché a volte insorgono in più o meno tempo, se il paziente dorme e non può muoversi, non è il caso di svegliarlo per mobilizzarlo.
Piede diabetico: interessa il 2-3% dei diabetici, che hanno un rischio di amputazione di 15-40 volte superiore ad un soggetto normale. La sopravvivenza a 5 anni, dopo la prima amputazione, è il 25%. Il diabete di tipo 2 interessa il 4-11% della popolazione. Il piede diabetico può essere neuropatico, ischemico o misto. Neuropatico: vi è anestesia ed è quindi impossibile difendersi da microtraumi come il taglio delle unghie, vi è squilibrio tra flessori ed estensori, dita ad artiglio, squilibrio dei carichi e dislocazione del cuscinetto adiposo. In fase avanzata è detto piede di Charcot, con deformità irreversibili. Ischemico: calcificazioni, placche, stenosi, occlusioni e perdita di autoregolamentazione dei vasi. Importante consultare un ortopedico per presidi su misura che prevengano la progressione.
Ulcere post-traumatiche: sono definite come ferite difficili; non riparano in acuto e cronicizzano. Esempi: ematomi con necrosi cutanea, ustioni, morsi di uomo/animali, traumi con schiacciamento, iniezioni di droghe. Mai suturare un morso di animale/uomo, ma lasciar guarire aperto, con un drenaggio, perché la saliva è ricchissima di germi.

Nell’ulcera cronica il processo di guarigione è bloccato in una delle sue fasi:

  • stato nutrizionale: diete di privazione, deficit alimentari vitaminici;
  • sistema endocrino;
  • sistema immunitario;
  • perfusione del letto della ferita.

E’ importante l’interazione con il personale infermieristico per gestire l’ulcera. L’approccio conservativo e quello chirurgico non sono opposti, ma complementari; bisogna rimuovere le barriere per creare un ambiente che stimoli la proliferazione cellulare:

  • necrosià debridement (rimozione di tessuto devitalizzato da una ferita)
  • batterià riduzione della carica batterica
  • essudati à gestione degli essudati

Bisogna ritornare nella condizione iniziale di trauma, in modo da reinnescare il processo di riparazione. Le ulcere vanno tolte trattandole come se fossero tumori, si asporta sino a giungere al tessuto sano, che è in grado di riparare.
Medicazioni avanzate: fornire l’ambiente ideale per la riparazione tissutale, mantenere umida l’interfaccia medicazione-lesione, etc.
Vacuum terapia: è una pompa aspirante connessa all’ulcera, che è ricoperta da una spugna sterile in poliuretano, così si assorbono gli essudati e si stimola la vascolarizzazione con la depressione. Si può fare sia in ospedale che a domicilio, con un apparecchio trasportabile, permette di evitare il trapianto, creando il tessuto di granulazione necessario per l’innesto.
Apporto di substrati: collagene, acido ialuronico, grow factors di origine piastrinica (gel proveniente dal Centro Trasfusionale, che può essere autologo o eterologo). Il gel al PDGF o Regranex, ottenuto in laboratorio, non è utilizzato per i suoi costi elevatissimi.
Terapia cellulare: innesti (esempio ulcere croniche vascolari), colture cellulari.
Trapianto: solo se non ci sono soluzioni meno invasive; il suo scopo è chiudere la porta d’accesso alle infezioni e di uscita all’acqua ed agli elettroliti, riempire una cavità, riparare il simile con il simile ed apportare tessuto ben vascolarizzato. Per l’ulcera trocanterica si utilizza il muscolo tensore di fascia lata.
Si può fare un trapianto neuro-cutaneo surale (si segue il nervo) o un trapianto libero da regione anti-brachiale.

 

Neoplasia della mammella

Ricostruzione mammaria: quantità e qualità dei tessuti residui, tecnica di ripristino di volume, ricostruzione del complesso areola-capezzolo, simmetria con la controlaterale.
Il chirurgo deve scegliere con attenzione la procedura, la simmetria e la ricostruzione del complesso areola-capezzolo sono fondamentali, altrimenti la ricostruzione è inutile. E’ importante valutare la tecnica di mastectomia utilizzata, le condizioni generali obiettive e soggettive, il know how della struttura.
Tecniche di mastectomia moderne: QUART, sottocutanea, radicale, skin-sparing.
Le vecchie tecniche non si usano più. Lo skin-sparing è un compromesso tra sottocutanea e radicale: si elimina il complesso areola-capezzolo, ma si salva più pelle possibile. La ricostruzione è a carico del SSN. La quadrantectomia ha senso solo su grandi mammelle, altrimenti è meglio togliere tutto. Nella Quart si può agire riducendo anche la controlaterale.
Ricostruzione:

  • con protesi
  • con tessuto autologo:
  •  loco-regionale
  • a distanza

Protesi: il posizionamento dev’essere sottopettorale, più in profondità possibile; il volume dev’essere modesto. Si può fare espansione preparatoria con un espansore o modellamento della cute in eccesso. I tessuti molli devono essere trofici ed indenni (non si può fare sotto cute irradiata o grosse cicatrici); se non ci sono tessuti trofici, si può fare un trapianto mio-cutaneo, utilizzando il latissimus dorsi, che dà pochi fastidi. La protesi non è carcinogenica, ma è inerte ed è controindicata in caso di patologia autoimmune o rifiuto psicologico. Solo le pazienti con piccolissime mammelle, che hanno subito mastectomia sottocutanea, possono ricevere subito una protesi (a patto che sia molto piccola), in tutti gli altri casi è necessaria l’espansione. Risultati ottimali con espansore da sostituire con protesi permanente. Risultati deludenti con protesi di Becker, che si espande (dimostrando l’importanza del modellamento cutaneo). La situazione migliore si ha con mammelle incise orizzontalmente; è più difficile costruire mammelle pendule, perché la protesi tende a stare su, ma si ottengono buoni risultati simmetrici iperespandendo per avere un po’di ptosi. Se il risultato va bene alla paziente, si costruisce il complesso areola-capezzolo (da questo punto in poi non si può più modificare).
Tessuto autologo: controindicato in pazienti psicologicamente instabili, sovrappeso, grandi fumatrici (il fumo distrugge la vascolarizzazione cutanea per effetto della nicotina, impedendo il trapianto), interventi pregressi a rischio di interruzione dei vasi perforanti, patologie sistemiche (è un intervento molto invasivo). Le ultime due sono controindicazioni assolute. Il muscolo più utilizzato in assoluto (99%) è il muscolo retto mediale dell’addome o TRAM. Possono essere utilizzati anche altri trapianti. Si identificano con il Doppler le perforanti, il Tram sopravvive grazie all’integrità dell’arteria epigastrica superiore (e si sezione quella inferiore), oppure si sezionano i peduncoli e si fa anastomosi con la mammaria interna. La breccia si richiude stirando la regione epigastrica sull’addome (serve un buon pannicolo adiposo, ma senza esagerare). La mammella è calda, ptosica al punto giusto, ma non è innervata (ma non lo è nemmeno con la protesi). Meglio la protesi, anche perché meno costosa.
Ricostruzione immediata vs differita:

  • espansore e protesi: l’immediata consente la riduzione del numero di interventi
  • autologo: l’immediata pone maggiori problemi clinici ed economico-gestionali.

Dopo la mastectomia si può mettere subito l’espansore, poi, con un secondo intervento, la protesi.
Ricostruzione complesso areola-capezzolo:

  • sacrificando parte del controlaterale, ad esempio riducendo l’altra mammella; è la tecnica migliore;
  • con lembi locali: si crea una salienza e poi si fa un tatuaggio medico per pareggiare il colore.

 

Fonte: http://www.medicinapavia.altervista.org/appunti/Chirurgia_plastica.rtf

Sito web da visitare: http://www.medicinapavia.altervista.org/

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