Storia della medicina

 


 

Storia della medicina

 

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Metodo Scientifico


Il metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Esso consiste, da una parte, nella raccolta di evidenza empirica e misurabile attraverso l'osservazione e l'esperimento; dall'altra, nella formulazione di ipotesi e teorie da sottoporre nuovamente al vaglio dell'esperimento.

 

Il dibattito

Queste ed altre sfumature di significato legate al concetto di metodo scientifico sono il motivo per cui, o l'espressione del fatto che, su tale concetto si è discusso molto e non esiste (ancora) un accordo generalmente condiviso su una possibile definizione del metodo. Il dibattito è estremamente complesso e coinvolge non solo la pratica scientifica ma anche, o forse soprattutto, la speculazione filosofica.
Semplificando, il problema della ricerca di una definizione di metodo scientifico si pone come reazione all'evidente successo, pratico e teorico, ottenuto nei secoli dalla scienza, con la convinzione (o la speranza) che tale successo sia riconducibile all'applicazione, appunto, di un metodo semplice e facilmente esportabile a molte altre discipline, se non a tutte. La profonda evoluzione che la scienza ha subito da Galileo ad oggi rende però difficile individuare con precisione una metodologia universalmente applicata ed applicabile nei diversi secoli e nelle diverse discipline.

 

Cenni storici

Il metodo scientifico si sviluppa storicamente, ma il suo nucleo risiede, come detto, nell'uso combinato di teoria ed esperimento. La soluzione di continuità rappresentata da Galileo Galilei a cavallo tra il XVI e il XVII secolo è tale, tuttavia, da rendere improprio l'uso dei termini scienza e scienziato in riferimento ad epoche precedenti, soprattutto per quanto riguarda il problema del metodo scientifico. Prima di Galileo le figure che più si avvicinavano a quella, moderna, di scienziato erano rappresentate essenzialmente da una parte da logici e matematici (e — fino ad allora con poca differenza sostanziale — astronomi), e dall'altra dagli studiosi di filosofia naturale, se si occupavano dell'universo sensibile. Più in generale possiamo dire che con Galileo assistiamo alla nascita della scienza proprio come "distaccamento" dalla filosofia.

 

Greci

Con i primi pensatori greci assistiamo all'uscita da una cultura improntata al mito e alla comparsa, per la prima volta, di un metodo di pensiero improntato all'uso della ragione, dell'argomentazione, in contrapposizione al dogmatismo religioso. È la nascita della filosofia, progenitrice della scienza. Essi cercavano un sapere che fosse innegabile, un sapere immutabile nel tempo, assoluto, definitivo, incontrovertibile, necessario e indubitabile. Fu definito «sapere» (sophia), «ragione» (logos), «verità» (alétheia) e «scienza» (epistéme).
Talete di Mileto, (624-548 a.C.) fu il primo - a nostra conoscenza - che nacque animista e morì filosofo. Negli scritti pervenutici si legge che Talete, osservando la natura, previde con molto anticipo un grande raccolto di olive e monopolizzò a proprio vantaggio i frantoi, diventando ricco. Ciò introduce uno degli aspetti discriminanti fra la scienza e quelle discipline che vogliono porsi come scientifiche (si veda ad esempio l'astrologia): la capacità di fare previsioni, verificabili, viene ritenuto uno degli aspetti distintivi delle discipline autenticamente scientifiche. Malgrado la sua capacità di fare previsioni, morì d'insolazione, per essere stato obbligato a rimanere senza cappello sotto il sole, durante i Giochi Olimpici.

 

Aristotele

Aristotele (384-322 a.C.) apportò un enorme contributo di sistematizzazione delle conoscenze fino ad allora acquisite e gettò le fondamenta della logica formale, rimaste essenzialmente intatte fino alla fine del XIX secolo, identificando nel sillogismo la forma tipica del processo deduttivo, con cui trarre conclusioni coerenti con le premesse. Aristotele affermava:

 

« Ebbene, sillogismo è un discorso nel quale, poste alcune cose, qualcosa di diverso da ciò che è stabilito segue di necessità in forza di ciò che è stabilito. Vi è dunque una dimostrazione quando il sillogismo proceda da asserzioni vere e prime, oppure da asserzioni tali che hanno assunto il principio della conoscenza ad esse relativa in forza di certe asserzioni vere e prime; dialettico è invece il sillogismo che argomenta da opinioni notevoli. »

 

(Aristotele, Topici, in M. Zanatta, Organon di Aristotele, Torino, 1996, vol. II, pp. 115–117)

È importante sottolineare come per Aristotele la conoscenza parte prima di tutto dal soggetto: non è semplice ricezione di dati, ma è opera dell'intelletto attivo, che andando al di là degli aspetti contingenti e transitori della realtà sensibile, riesce ad "astrarne" le forme eterne e intellegibili.
Aristotele inoltre distingueva fra i "possessori della scienza", ossia coloro che conoscono le cause (il "perché") e coloro che conoscono solo i fatti senza aver conoscenza delle loro cause (il "che"). La scienza, per Aristotele, è sempre conoscenza delle cause. Il sillogismo è una costruzione logica formata da una o più proposizioni precedenti (se...) dalle quale nasce una proposizione conseguente (allora...). Il sillogismo di per sé non dà garanzia di verità, ma serve solo a trarre conclusioni coerenti con le verità "vere e prime".
Indubbio anticipatore del moderno metodo scientifico fu Archimede (287-212 a.C.). Lo studio delle sue opere (si ricordi Sui corpi galleggianti, in cui enunciò il famoso principio che porta il suo nome) impegnò a lungo gli studiosi della prima età moderna, fra cui lo stesso Galileo, e costituì un importante stimolo alla rinascita scientifica moderna.

 

La scolastica medievale

Nell'ambito della scolastica medievale anche San Tommaso (1225-1274), rifacendosi agli insegnamenti di Aristotele, diede un ulteriore contributo al metodo scientifico formulando una concezione di verità come corrispondenza tra l'intelletto e l'oggetto:


(LA)
« Veritas est adaequatio intellectus ad rem; adaequatio rei ad intellectum; adaequatio rei et intellectus. »

(IT)
« La verità è adeguamento dell'intelletto alla cosa; adeguamento della cosa all'intelletto; adeguamento dell'intelletto e della cosa. »

 

La verità, secondo Tommaso, ha le caratteristiche dell'universalità e dell'indipendenza. Il nostro sapere, per essere valido, non deve essere determinato da fattori soggettivi e contingenti; la verità è vera di per sé, al tempo di Aristotele come in ogni epoca, pertanto è assoluta e non dipende da nient'altro.
Queste caratteristiche della verità sono riconosciute come tali dalla nostra ragione, che non le apprende dal mondo circostante, sottoposto ai mutamenti della temporalità, ma le trova già all'interno di se stessa: non potrebbe altrimenti riconoscerle come immutabili.


(LA)
« Sed haec adaequatio non potest esse nisi in intellectu. Ergo nec veritas est nisi in intellectu. »

(IT)
« Ma questa corrispondenza non può sussistere se non nell'intelletto. Dunque, la verità non può esistere se non nell'intelletto. »

(De veritate, q. 1 a. 2 s. c. 2)

Come già per Aristotele, le nostre conoscenze nascono dunque dal nostro intelletto: non le riceviamo induttivamente dall'esperienza. Questa distinzione tra soggetto conoscente ed esperienza sensibile sarà fondamentale per i successivi sviluppi della scienza, dando vita alla corrente filosofica detta realismo.
All'ambito della scolastica appartiene, tra gli altri, Ruggero Bacone (1214-1274), il quale nei suoi studi cercò di applicare fedelmente il metodo ipotetico-deduttivo della filosofia aristotelica, rivalutando l'importanza della sperimentazione e sminuendo viceversa le argomentazioni basate sulla tradizione.

 

Leonardo da Vinci

Anche Leonardo (1452–1519), nel Rinascimento, si appropriò del pensiero ipotetico-deduttivo aristotelico, contribuendo per parte sua a porre le basi del metodo scientifico.
Leonardo anticipò in un certo senso la metodologia che venne più tardi concepita nel 1600 da Galileo Galilei: a titolo di esempio ci sono i suoi progetti ingegneristici, le macchine di Leonardo, i suoi disegni del corpo umano, gli studi sulla prospettiva.
In particolare, Leonardo affermò l'importanza di due fattori:

  • la sperimentazione empirica, perché non basta ragionare e fare uso dei concetti se poi non li si mette alla prova;
  • la dimostrazione matematica, come garanzia di rigore logico:

 

« Nissuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, s'essa non passa per le matematiche dimostrazioni. »

 

 

Secondo Leonardo, infatti, ogni fenomeno in natura avviene secondo leggi razionali che vivono al di sotto delle sue manifestazioni esteriori.

 

Galileo e la sperimentazione

Con Galileo Galilei, il primo a introdurre formalmente il metodo scientifico, furono introdotti una serie di criteri ancora oggi validi: fu abbandonata la ricerca delle essenze primarie o delle qualità, che era il proposito della filosofia aristotelica, con la riduzione della realtà a puro fatto quantitativo e matematico. Al metodo calcolativo, che pure derivava dalla tradizione sillogistica classica, fu inoltre affiancata l'importanza dell'osservazione empirica: secondo una celebre formula dello scienziato pisano cioè, il libro della natura è scritto in leggi matematiche, e per poterle capire è necessario eseguire esperimenti con gli oggetti che essa ci mette a disposizione.
Ancora oggi la scienza moderna fa distinzione tra l'aspetto sperimentale e quello teorico: né uno né l'altro sono preponderanti, poiché fa parte del metodo scientifico che un modello teorico spieghi un'osservazione sperimentale ed anticipi future osservazioni. Uno dei punti basilari è la riproducibilità degli esperimenti, ovvero la possibilità che un dato fenomeno possa essere riproposto e studiato in tutti i laboratori del mondo.
Non sempre è possibile riprodurre sperimentalmente delle osservazioni naturali, ad esempio, in alcune scienze come l'astronomia o la meteorologia, non è possibile riprodurre molti dei fenomeni osservati e allora si ricorre ad osservazioni e simulazioni digitali. Un altro esempio è l'evoluzionismo di Charles Darwin, che per essere verificato direttamente richiederebbe tempi d'osservazione talmente lunghi (milioni di anni) da non essere riproducibili in laboratorio; in questi casi le verifiche sperimentali si basano sull'analisi genetica, su quella dei fossili e su esperimenti con microrganismi i cui cicli riproduttivi sono estremamente brevi.
Contemporaneo di Galilei fu Francesco Bacone, che appartiene però alla corrente induttivista, alla quale in seguito aderirà anche Newton. Bacone tentò di costruire un metodo rigoroso (l'Organum) al quale egli voleva ricondurre ogni descrizione e affermazione sul mondo, e tramite il quale poter evitare quei pregiudizi (gli Idòla) che ostacolerebbero una reale percezione dei fenomeni della natura.

 

Kant e l'Ottocento

 

« Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare all’aria un peso che egli stesso sapeva già uguale a quello di una colonna d’acqua conosciuta […] fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che […] essa deve costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per dir così, colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria. »

 

(Kant, Prefazione alla Critica della ragion pura [1787], Laterza, Roma-Bari 2000)

 

Immanuel Kant

Sul finire del Settecento fu fondamentale il contributo di Kant (1724-1804): come già per Aristotele e Tommaso (seppur in modi diversi), anche secondo Kant la nostra conoscenza non deriva dall'esperienza, ma è a priori. Kant criticò David Hume, secondo cui l'oggettività delle leggi scientifiche (in particolare quella di causa-effetto) non era valida perché nascerebbe da un istinto soggettivo di abitudine. Kant operò una sorta di rivoluzione copernicana affermando che la nostra ragione gioca un ruolo fortemente attivo nel metodo conoscitivo; le proposizioni scientifiche in grado di ampliare il nostro sapere sul mondo, infatti, non si limitano a recepire passivamente dei dati, ma sono di natura critica e deduttiva. Egli le chiamò giudizi sintetici a priori: sintetici perché unificano e sintetizzano la molteplicità delle percezioni derivanti dai sensi; a priori perché non dipendono da quest'ultime. Nella Deduzione trascendentale Kant dimostrò che nel nostro intelletto ci sono delle categorie che si attivano solo quando ricevono informazioni da elaborare (cioè sono trascendentali), e giustificano il carattere di universalità, necessità, e oggettività che diamo alla scienza; viceversa, senza queste caratteristiche, non si ha vera conoscenza. Kant può essere fatto rientrare nella corrente filosofica del realismo, poiché postulava una netta separazione tra soggetto conoscente e oggetto (o noumeno), anche se questa distinzione fu spesso foriera di equivoci.
Nel 1866, con la pubblicazione dell'Introduction à l'étude de la médecine expérimentale, Claude Bernard tenta di adottare un metodo, detto sperimentale, nel settore della medicina. L'emergere delle scienze umane e sociali a partire dalla fine del secolo 1800 fino al secolo 1900 ha rimesso in discussione questo modello unico del metodo scientifico.

 

Einstein e gli ultimi sviluppi

Ai primi del Novecento, Einstein (1879-1955) rivoluzionò il metodo scientifico con un approccio che stupì i contemporanei: egli formulò la teoria della relatività partendo non da esperimenti o da osservazioni empiriche, ma basandosi su ragionamenti matematici e analisi razionali compiuti a tavolino. Inizialmente gli scienziati erano scettici, ma le predizioni fatte dalla teoria in effetti non furono smentite dalle misurazioni di Arthur Eddington durante un'eclissi solare nel 1919, che confermarono come la luce emanata da una stella fosse deviata dalla gravità del Sole quando passava vicino ad esso. Einstein disse in proposito:

 

« Max Planck non capiva nulla di fisica perché durante l'eclissi del 1919, è rimasto in piedi tutta la notte per vedere se fosse stata confermata la curvatura della luce dovuta al campo gravitazionale. Se avesse capito davvero la teoria avrebbe fatto come me e sarebbe andato a letto »

 

(Archivio Einstein 14-459)

La teoria della relatività fu successivamente sostenuta da applicazioni matematiche che introducevano molte implicazioni nel campo della fisica ma soprattutto in quello dell'astronomia. Essendo la teoria del tutto rivoluzionaria, essa è stata per più di un secolo sottoposta a numerosi esperimenti e controlli, seguendo i più rigorosi metodi scientifici.
Lo stesso criterio è stato più volte adottato nella scoperta di particelle previste teoricamente e successivamente non smentite da vari esperimenti scientifici.
In seguito alle teorie e all'approccio di Einstein, nel tentativo di definire un metodo scientifico valido anche nel campo delle scienze umane, i filosofi hanno cercato nuovi ragionamenti ed un importante contributo è venuto da Karl Popper (1902-1994) e dalla sua pubblicazione Logica della scoperta scientifica. Rifacendosi a Kant, Popper respinse l'approccio induttivo del positivismo logico, affermando che un metodo scientifico, per essere tale, deve essere rigorosamente deduttivo, e ribadì come la conoscenza sia un processo essenzialmente critico.
Aderendo alla corrente del realismo, Popper accolse dalla tradizione aristotelico-tomista l'ideale della verità come corrispondenza ai fatti. La verità, secondo Popper, è una, oggettiva e assoluta; ed esiste sempre una proposizione in grado di descriverla. Egli distinse tuttavia tra la possibilità oggettiva di approdarvi (che può avvenire anche per caso), e la consapevolezza soggettiva di possederla, che invece non si ha mai. Noi non possiamo mai avere la certezza di essere nella verità. L'ideale della corrispondenza ai fatti è però un ideale regolativo che deve sempre guidare lo scienziato, attraverso lo strumento della logica formale: ad esempio, due proposizioni in conflitto tra loro non possono essere entrambe vere.

 

Il Ciclo conoscitivo

Il Ciclo conoscitivo definisce il percorso (ricorsivo) per raggiungere o consolidare la conoscenza di un determinato argomento. Non c'è accordo universale su quale sia questo percorso, perché la sua definizione dipende anche da che cosa si intenda in generale per conoscenza, e questo costituisce un argomento di discussione della filosofia. In proposito, è particolarmente acceso il dibattito tra deduttivisti e induttivisti. Si cerca ora pertanto di passare in rassegna i due metodi, quello induttivo e quello deduttivo.

 

Il metodo induttivo

Limitandosi al campo delle scienze naturali, fisiche e matematiche, il ciclo conoscitivo induttivo o induzione descrive il percorso seguito per arrivare alla stesura di una legge scientifica a partire dall'osservazione di un fenomeno. Si articola nei seguenti passi, ripetuti ciclicamente:


  • Osservazione
  • Esperimento
  • Correlazione fra le misure
  • Definizione di un modello fisico
  • Elaborazione di un modello matematico
  • Formalizzazione della teoria

Osservazione

L'osservazione è il punto di partenza (e di arrivo) del ciclo di acquisizione della conoscenza nel senso che costituisce lo stimolo per la ricerca di una legge che governa il fenomeno osservato ed anche la verifica che la legge trovata sia effettivamente sempre rispettata. Si tratta di identificare le caratteristiche del fenomeno osservato, effettuando delle misurazioni adeguate, con metodi esattamente riproducibili. In fisica, infatti, tale parola è spesso usata come sinonimo di misura.

Esperimento

L'esperimento, ove possibile, è programmato dall'osservatore che perturba il sistema e misura le risposte alle perturbazioni. Esistono tecniche di programmazione sperimentale, che consentono di porsi nelle condizioni migliori per perturbare in maniera minimale, ma significativa, al fine di osservare le risposte nel migliore dei modi.

Correlazione fra le misure

L'analisi della correlazione fra le misure, che si colloca nel ciclo immediatamente dopo la fase di osservazione, costituisce la parte iniziale del patrimonio tecnico-scientifico utilizzabile per la costruzione del modello. Il dato grezzo, che è costituito in genere da tabelle di misure, può venire manipolato in vari modi, dalla costruzione di un grafico alla trasformazione logaritmica, dal calcolo della media alla interpolazione tra i punti sperimentali, utilizzando i metodi della statistica descrittiva.
Bisogna prestare attenzione nella scelta del tipo di funzione che correla i dati perché, citando Rescigno, le modulazioni dei dati ne cambiano il contenuto informativo. Infatti, se le manipolazioni mettono in evidenza alcune informazioni contenute nei dati, possono eliminarne altre. Quindi il contenuto informativo può diventare inferiore a quello dei dati originali.

 

Modello fisico

Per facilitare il compito di scrivere la legge che esprime l'andamento di un certo fenomeno, si costruisce mentalmente un modello fisico, con elementi di cui si conosce il funzionamento, e che si suppone possano rappresentare il comportamento complessivo del fenomeno studiato.
L'empirismo radicale sostiene che non è possibile avanzare oltre la conoscenza contenuta nei dati grezzi e quindi rifiuta il fatto che la conoscenza induttiva, sulla quale si fondano leggi empiriche e modelli, costituisca nuova conoscenza.
Viceversa, la posizione realista è molto più flessibile e consente di parlare anche di concetti non direttamente osservabili, come la forza di attrazione gravitazionale o il campo elettromagnetico, la cui conoscenza è resa possibile adattando opportuni modelli all'osservazione degli effetti di tali entità e utilizzando a fondo le possibilità dell'induzione.
Va notato che spesso un medesimo fenomeno può venire descritto con modelli fisici, e quindi anche con modelli matematici, diversi. Ad esempio i gas possono essere considerati come fluidi comprimibili oppure come un insieme di molecole. Le molecole possono essere pensate come puntiformi oppure dotate di una struttura; fra di loro interagenti oppure non interagenti: tutti modelli diversi. Ancora, la luce può venire considerata un fenomeno ondulatorio oppure un flusso di particelle e così via.

 

Modello matematico

Il modello matematico si colloca al massimo livello di astrazione nel ciclo conoscitivo: la parte del ciclo che si occupa dei modelli è il dominio delle scienze teoriche.
In generale un modello matematico è costituito da più elementi concatenati, ognuno dei quali è descritto da un'equazione e caratterizzato dai parametri che entrano in tale equazione.
Il modello deve essere validato con una fase di verifica attraverso un numero adeguato di dati sperimentali. Esso si dice identificabile appunto se è possibile determinare tutti i parametri delle equazioni che lo descrivono.
Una volta che il ciclo conoscitivo è completo si può iniziare ad approntare una teoria per il fenomeno osservato.

 

Il metodo deduttivo


Esempio di metodo deduttivo: non è l'osservazione a spronare la scienza, bensì il sorgere di problemi e il tentativo costante di eliminare gli errori.
Il filosofo e logico inglese Bertrand Russell (1872-1970) sollevò un importante problema riguardo a quello che venne considerato, fin dai tempi di Bacone, il modo di fare scienza: il metodo dell'induzione. Secondo questa metodologia, la scienza si baserebbe sulla raccolta di osservazioni riguardo un certo fenomeno X, da cui trarre una legge generale che permetta di prevedere una futura manifestazione di X. Ciò che Russell osservò, con classico humour inglese, è che anche il tacchino americano, che il contadino nutre con regolarità tutti i giorni, può arrivare a prevedere che anche domani sarà nutrito... ma "domani" è il giorno del Ringraziamento e l'unico che mangerà sarà l'allevatore (a spese del tacchino)! Questa fu la celebre obiezione del tacchino induttivista.
Detto in maniera sintetica, l'induzione non ha consistenza logica perché non si può formulare una legge universale sulla base di singoli casi; ad esempio, l'osservazione di uno o più cigni dal colore bianco non autorizza a dire che tutti i cigni sono bianchi; esistono infatti anche dei cigni di colore nero.
Una problematica analoga venne sollevata dal già citato Karl Raimund Popper, il quale osservò che nella scienza non basta "osservare": bisogna saper anche cosa osservare. L'osservazione non è mai neutra ma è sempre intrisa di teoria, di quella teoria che, appunto, si vorrebbe mettere alla prova. Secondo Popper, la teoria precede sempre l'osservazione: anche in ogni approccio presunto "empirico", la mente umana tende inconsciamente a sovrapporre i propri schemi mentali, con le proprie categorizzazioni, alla realtà osservata.

 

Il criterio popperiano di falsificabilità

Karl Popper ha quindi elaborato una definizione di metodo scientifico deduttivo basata sul criterio di falsificabilità, anziché su quello induttivo di verificabilità. Gli esperimenti empirici non possono mai, per Popper, "verificare" una teoria, possono al massimo smentirla. Il fatto che una previsione formulata da un'ipotesi si sia realmente verificata, non vuol dire che essa si verificherà sempre. Perché l'induzione sia valida occorrerebbero cioè infiniti casi empirici che la confermino; poiché questo è oggettivamente impossibile, ogni teoria scientifica non può che restare nello status di congettura.
Se tuttavia una tale ipotesi resiste ai tentativi di confutarla per via deduttiva tramite esperimenti, noi possiamo (pur provvisoriamente) ritenerla più valida di un'altra che viceversa non abbia retto alla prova dei fatti. La sperimentazione, dunque, svolge una funzione importante ma unicamente negativa; non potrà mai dare certezze positive, cioè non potrà rivelare se una tesi è vera, può dire solo se è falsa.
E siccome ciò che noi chiamiamo "osservazione" è già in realtà una sorta di "pregiudizio", secondo Popper la formulazione di una teoria scientifica non deriva necessariamente dall'osservazione o descrizione di un dato fenomeno, poiché non c'è un nesso causale tra la percezione sensoriale e le idee della ragione. La genesi di una teoria non ha importanza: essa scaturisce dalle nostre intuizioni, e può avvenire anche in sogno. Mentre l'osservazione di per sé non offre né costruisce teorie: essa deve avvenire in un momento successivo a quello della formulazione, e serve non a confermare ma a demolire.
Per il metodo popperiano, quindi, ciò che conta di una teoria scientifica non è la sua genesi soggettiva, ma il fatto che essa sia espressa in forma criticabile e falsificabile sul piano oggettivo.
Il criterio di falsificabilità fu suggerito a Popper dall'audacia della teoria della relatività di Albert Einstein che fu elaborata esclusivamente sulla base di calcoli compiuti a tavolino, con cui il genio tedesco osò sfidare le teorie preesistenti, e persino l'evidenza del senso comune. Popper ne dedusse che una teoria è tanto più scientifica quanto meno teme la falsificazione, ma anzi accetta di misurarsi con essa. Quanto più una teoria sembri a prima vista facilmente falsificabile, tanto più essa rivela la propria forza e coerenza se regge alla prova dei fatti.

 

Regole per applicare il metodo deduttivo all'osservazione dei fenomeni naturali

La preoccupazione metodologica scientifica è quella di rispettare una serie di regole imposte dal pensiero logico al fine di salvaguardare la realtà e l'obiettività dei fenomeni studiati.
Le scienze naturali, dette anche scienze empiriche per il loro carattere sperimentale, sono una forma di conoscenza basata su due elementi fondamentali, l'oggetto di studio ed il metodo impiegato.
Questa conoscenza è un sapere empirico, cioè fondato sull'esperienza, descrittivo ed esplicativo, di osservazioni singole e limitate che possono essere sia ripetute che generalizzate.
L'oggetto di studio della scienza è la realtà sensibile, vale a dire il mondo che ci circonda nei suoi diversi aspetti e ciò che rende ammissibile l'introduzione di un ente nel discorso scientifico, è la sua osservabilità di principio, cioè di registrare mediante strumenti di varia natura l'esistenza di un dato oggetto o di un fenomeno e di descriverli.
Il metodo sperimentale, detto anche galileano o ipotetico-deduttivo, è una procedura conoscitiva articolata in diverse proposizioni, chiamate ragionamento sperimentale. Esso si basa sull'idea che la teoria si costruisce all'inizio, non alla fine.
Per eseguire osservazioni scientifiche che abbiano carattere di oggettività, è necessario applicare le seguenti regole, proprie del metodo deduttivo:

  • formulare un'ipotesi;
  • esprimerla in modo da prevedere alcune conseguenze o eventi, deducibili dall'ipotesi iniziale;
  • osservare se si produce l'evento previsto;
  • se l'evento si produce, la teoria non è confermata, semplicemente non è stata smentita e possiamo accettarla solo provvisoriamente.

Dunque le basi della scienza sono quelle osservazioni di fenomeni naturali che chiunque può ripetere, da qui la preoccupazione di una descrizione dei fenomeni e delle conclusioni in termini selezionati, rigorosi e univoci, in modo che ognuno possa esattamente comunicare ciò che pensa.
Esempi di metodologia scientifica sono:

  • le sperimentazioni fatte dai fisici in varie epoche, per dimostrare la natura elettromagnetica e corpuscolare della luce;
  • le procedure di Louis Pasteur per dimostrare la teoria dei germi nell'eziologia di alcune malattie infettive.

Evoluzione dell'approccio al metodo scientifico

Col procedere della scienza moderna nella ricerca fisica della struttura della materia, le basi metodologiche del procedere scientifico sono state modificate da parte dei fisici stessi, giungendo ad un approccio che renda conto del comportamento reale degli eventi.
Si prenda ad esempio il caso dello studio delle particelle che manifestano la dualità onda-corpuscolo: non è possibile misurarne in modo preciso contemporaneamente la posizione e la velocità per il Principio di indeterminazione di Heisenberg. Ad un elettrone, viene così associata una funzione d'onda che definisce le proprietà in termini probabilistici.
In biologia e medicina molte leggi sono di tipo probabilistico e non possono essere espresse con una formula matematica. Quindi, per riconoscere la scientificità di un discorso medico, si ricorre ad un controllo empirico basato sulla ripetibilità, statisticamente significativa, delle osservazioni da parte di altri ricercatori.
Quando poi l'ente oggetto di ricerca è il pensiero stesso, le ipotesi metodologiche sono definite dalla psicologia, cercando di rispettare i canoni accettati dalla scienza moderna per farla rientrare nel campo di studio delle scienze naturali. Bisogna notare qui, oltre allo sforzo di un rigore scientifico, la ricerca di una metodologia di studio che rispetti sia il metodo sperimentale che l'oggettività delle osservazioni e delle asserzioni teoriche, che il rigore semantico e la ripetibilità statisticamente significativa delle osservazioni.

 

La consuetudine scientifica

Il metodo scientifico attuale nei confronti dei diversi campi della scienza prevede diverse fasi di approccio all'applicazione di una teoria scientifica. Gli scienziati utilizzano il "modello" per fare delle previsioni controllabili mediante esperimenti ed osservazioni o un'"ipotesi" quando non vi è ancora un supporto sostenuto da regole ed esperimenti. Si passa poi alla "teorie" quando si possiedono solide prove e verifiche sperimentali. Così nella teoria dell'evoluzione, elettromagnetismo e relatività, l'intero impianto scientifico è supportato da valide prove sostenibili. Avviene tuttavia che in circostanze particolari la presenza di piccole contraddizioni osservative, possa determinare future correzioni o persino "rivoluzioni" scientifiche, all'interno di una teoria. L'esempio è quello della velocità della luce, per la teoria della relatività essa è definita un limite invalicabile, eppure esistono circostanze particolari che consentono il suo superamento. Tale circostanza determina contraddizioni ed implicazioni scientifiche importanti, come lo sviluppo di nuove teorie che cercano di spiegare le evidenze osservative.
Un esempio è quello della teoria delle stringhe, la quale sembra essere un modello promettente, ma che ancora non è sostenuto da evidenze empiriche che possano dargli una precedenza su analoghi modelli in competizione. Sicché pur nell'imperfezione dei modelli precedenti, viene mantenuto l'intero impianto scientifico sino a quando una nuova teoria non possa del tutto spiegare le anomalie di quella precedente.
Nel recente passato si ha un esempio con l'Elettrodinamica quantistica, la quale ha soppiantato completamente il precedente modello interpretativo dovuto alla fisica newtoniana.

 

Critiche al metodo scientifico

In riferimento alla pratica quotidiana e concreta dello scienziato è diffusa la critica che si possa davvero stabilire un metodo scientifico: la scienza sarebbe un'attività umana come tutte le altre e per questo non "automatizzabile". William Whewell, ad esempio, nota nella sua Storia della Scienza Induttiva che "inventiva, sagacia, genio" sono importanti ad ogni passo nel metodo scientifico. Non solo l'esperienza, dunque, ma anche l'immaginazione sarebbe essenziale al fare scienza.
Critiche, più in generale, all'idea stessa che si possa davvero definire un metodo scientifico sono state avanzate da Thomas Kuhn con i concetti di rivoluzione scientifica e di progresso scientifico non lineare; altre critiche sono state mosse da Imre Lakatos, che tra l'altro era stato allievo di Popper. Lakatos tuttavia credeva nella scienza e nel progresso scientifico.
Le critiche più radicali al metodo scientifico dal punto di vista epistemologico sono dovute a Paul Feyerabend nel suo Contro il metodo, e in altri lavori successivi. Feyrabend sostiene che la scienza non si sarebbe potuta sviluppare se gli scienziati avessero realmente applicato il metodo dichiarato. Egli porta numerosi esempi di scienziati che hanno sostenuto una teoria contro l'evidenza dei dati sperimentali.
Tra gli italiani, principale critico del metodo scientifico è Giuseppe Sermonti, che si sofferma in particolare sugli effetti deleteri che può avere la scienza sulla società se non indirizzata correttamente. Il già ricordato Bertrand Russell, invece, nel suo libro L'impulso della scienza sulla società, affronta il tema dello sviluppo che la tecnica scientifica potrà avere in futuro, e in particolare dei pericoli legati alla strumentalizzazione a fini personali che tale scienza potrebbe avere da parte di qualcuno, a fini di controllo.


Ippocrate
Ippocrate di Coo o Kos (Coo, 460 a.C. circa – Larissa, 377 a.C. terminus ante quem) è stato un medico greco antico, considerato il "padre" della medicina.

Figlio di Eraclide e di Fenarete, Ippocrate proveniva da una famiglia aristocratica con interessi medici, i cui membri erano già appartenuti alla corporazione degli Asclepiadi. Il padre, egli stesso medico, affermava di essere un discendente diretto di Asclepio, dio della medicina. Fu proprio il padre, insieme ad Erodico, ad introdurre il giovane Ippocrate all'arte medica. Egli lavorò a Kos, viaggiò molto in Grecia e fu anche ad Atene. Ma esercitò specialmente nelle regioni della Grecia settentrionale, in Tracia e a Taso.
Ippocrate viaggiò moltissimo, visitò tutta la Grecia ed arrivò persino in Egitto e in Libia. Alla sua epoca l'Egitto era il paese ritenuto più avanzato nella cultura scientifica e tecnologica, nonché nell'aritmetica e nella geometria. Quasi tutti i medici laici viaggiavano molto per curare i malati e studiare le metodologie di cura.
Acquisì grande fama in vita, contribuendo a debellare la grande peste di Atene del 429 a.C., ma anche, e forse soprattutto, per la sua attività di maestro. Egli infatti fondò una vera e propria scuola medica e scrisse diverse opere, una settantina, che sono raccolte nel "Corpus Hippocraticum".

 

Pensiero

Ippocrate introdusse il concetto innovativo secondo il quale la malattia e la salute di una persona dipendono da specifiche circostanze umane della persona stessa e non da superiori interventi divini; egli fu anche il primo a studiare l'anatomia e la patologia (per farlo applicò la dissezione sui cadaveri).
Ippocrate inventò la cartella clinica, teorizzò la necessità di osservare razionalmente i pazienti prendendone in considerazione l'aspetto ed i sintomi e introdusse, per la prima volta, i concetti di diagnosi e prognosi. Egli credeva infatti che solo la considerazione dell'intero stile di vita del malato permetteva di comprendere e sconfiggere la malattia da cui questo era affetto. Se tale prospettiva è rimasta ancora oggi come tipica della pratica medica, la ricchezza degli elementi che Ippocrate chiama in causa (dietetici, atmosferici, psicologici, perfino sociali) suggerisce un'ampiezza di vedute che raramente sarà in seguito praticata. Ma la necessità di una considerazione globale valeva anche in senso inverso: ogni elemento nella natura umana aveva, infatti, ripercussioni sull'intera esistenza.
Tale innovazione appare chiara soprattutto a partire dalle osservazioni che Ippocrate rivolge all'indirizzo della scuola di Cnido. Questa, sotto l'influenza delle prime osservazioni scientifiche compiute in area ionica (Talete, Anassimandro) aveva rafforzato lo spirito di osservazione tipico dei primi medici itineranti greci, nominati nei poemi omerici. Da una parte Ippocrate ha grande stima di tale approccio sperimentale, ritenendo che grazie ad esso l'intera verità potrà gradualmente essere scoperta; dall'altra parte egli ne critica il fatto che le osservazioni empiriche non siano congiunte in un quadro scientifico complessivo, che metta ordine nell'infinita varietà dei fenomeni con i quali il medico si deve confrontare. Solo questa conoscenza di tipo universale rende infatti il medico veramente tale. Ippocrate valorizza il dialogo tra medico e paziente. "Se ti udrà un medico di schiavi, ti rimprovererà:" Ma così tu rendi medico il tuo paziente!" proprio così dovrà dirti, se sei un bravo medico" Il concetto è chiaro. La citazione è fatta a memoria, tratta da Paideiadi Werner Jaeger (traduzione La Nuova Italia).

 

Teoria degli umori

Ippocrate sostenne la "teoria umorale", secondo la quale il nostro corpo sarebbe governato da quattro umori diversi (sangue, bile gialla, bile nera, flegma), che combinandosi in differenti maniere condurrebbero alla salute (crasi) nel caso in cui questi siano in proporzioni ed equilibrio o, contrariamente, alla malattia.
A lui si deve l'importanza del concetto di dieta e alimentazione all'interno della dottrina degli umori e la coniugazione di medicina e chirurgia (ad esempio attraverso purghe e salassi).

 

Etica del medico

Se da una parte la mancanza di qualsiasi vincolo legislativo aveva reso possibile lo sviluppo rapido della ricerca medica, d'altra parte essa spostava la riflessione anche sui doveri morali del medico. In diversi passi delle opere di Ippocrate egli insiste sull'esigenza che il medico conduca una vita regolare e riservata, non speculi sulle malattie dei pazienti ma anzi li curi gratuitamente se bisognosi, stabilisca un legame di sincerità con i malati. Il testo più celebre che codifica l'etica medica è però il giuramento (ancor oggi in uso), in cui vengono enumerati i princìpi fondamentali che deve seguire chi esercita questa professione: diffusione responsabile del sapere, impegno a favore della vita, senso del proprio limite, rettitudine e segreto professionale.


Galeno

 

Galeno di Pergamo (129 d. C. – 216 d. C.) fu un medico greco antico i cui punti di vista hanno dominato la medicina europea per più di mille anni.
Galeno nacque a Pergamo (oggi Bergama, in Turchia), da una famiglia di architetti. I suoi interessi, prima di concentrarsi sulla medicina, furono eclettici: agricoltura, architettura, astronomia, astrologia, filosofia.
All'età di 20 anni divenne, per quattro anni, therapeutes (con significato di addetto o socio) del dio Asclepio nel tempio locale. Dopo la morte di suo padre (148 o 149) lasciò il tempio per studiare a Smirne, a Corinto ed a Alessandria. Studiò medicina per dodici anni. Quando tornò a Pergamo, nel 157, lavorò come medico alla scuola dei gladiatori per tre o quattro anni, durante i quali fece esperienza sui traumi e sul trattamento delle ferite, che lui, più tardi, descriverà come le finestre nel corpo.
Dal 162 visse a Roma, dove scrisse e operò estesamente, dimostrando così pubblicamente la sua conoscenza dell'anatomia. Si guadagnò una favorevole reputazione come medico esperto acquisendo presto un'ampia clientela. Uno dei suoi pazienti era il console Flavio Boezio, che lo introdusse in tribunale, dove divenne medico di corte dell'imperatore Marco Aurelio. Successivamente curò anche Lucio Vero, Commodo e Settimio Severo.
Parlava principalmente in greco, che nell'ambiente intellettuale di allora era preso in maggior considerazione del latino.
Salvo che per un breve rientro a Pergamo (166-169), Galeno trascorse tutto il resto della sua vita nella corte imperiale, scrivendo e conducendo esperimenti. Effettuò vivisezioni di numerosi animali per studiare la funzione dei reni e del midollo spinale. I suoi soggetti preferiti erano le scimmie. Secondo la sua stessa testimonianza impiegava 20 scrivani per annotare le sue parole. Molte delle sue opere e manoscritti furono però distrutti nel 191, dal fuoco divampato nella biblioteca del Tempio della Pace a cui egli aveva donato i suoi scritti.
La data della sua morte è fissata convenzionalmente intorno all'anno 200, basandosi su un riferimento del X secolo, il Lessico di Suda. Alcuni, tuttavia, propendono per una datazione più tarda, il 216. La sepoltura avvenne, giusto quanto riportato da Ibn Jubayr, presso Misilmeri in provincia di Palermo, dove il medico sbarcò durante la navigazione di ritorno verso l'Asia Minore, a causa di una grave malattia.
Il prenome Claudio, non documentato prima del Rinascimento, è forse dovuto ad un'errata decifrazione dell'espressione Cl. Galenus presente nei codici latini: Cl stava, probabilmente, per Clarissimus.

 

La fisiologia di Galeno

Galeno ha tramandato la medicina ippocratica nel senso rinascimentale. Scrisse opere voluminose di filosofia e medicina, dei quali ci restano solo 108 scritti, parte nella stesura originale greca e parte nella versione araba.
Nel suo Sugli elementi secondo Ippocrate descrive il sistema del filosofo dei "quattro umori corporei", che sono stati identificati con i quattro elementi antichi. Ha sviluppato poi le proprie teorie partendo da quei principi e ignorando completamente le opere (latine) di Celso.
Le teorie di Galeno mettono in evidenza la creazione (natura, physis) fatta da un singolo creatore. Questa concezione fu un motivo importante che rese le sue teorie facilmente accettabili da studiosi di epoca successiva di formazione religiosa monoteistica: cristiana, musulmana, ebraica. Nell'opera "Il miglior medico è anche filosofo" sostiene che un buon medico deve eccellere nelle tre principali branche della filosofia: etica, logica, fisica. L'etica è necessaria perché l'intervento medicale non deve avvenire nel senso di produrre il massimo guadagno per chi lo realizza (magari ingannando il paziente). Spesso Galeno invitava i suoi discepoli al disprezzo del denaro. Il medico deve essere un logico perché deve saper interpretare in maniera coerente i sintomi del paziente, inoltre la padronanza logica è fondamentale per confutare teorie dei colleghi senza fondamento. L'importanza della conoscenza della fisica deriva dal fatto che a quel tempo le conoscenze riguardo l'anatomia, fisiologia degli esseri viventi venivano percepite senza soluzione di continuità con quelle che riguardavano il cosmo e la terra. Conoscenza della fisica era dunque conoscenza della natura in senso lato. Gli oggetti che ci circondano sono costituiti da una physis le piante aggiungono physis natura, gli animali una physis anima o psyche. Sebbene Galeno dichiara di essere all'oscuro sulla natura o sostanza dell'anima, distingue tre facoltà: razionalità con sede nel cervello, passionalità con sede nel cuore, appetitività con sede nel fegato. (quest'impostazione può essere percepita assai vicina a quella odierna per l'importanza che attribuisce al cervello, per la tripartizione delle nostre facoltà vedi psicologia). Il principio fondamentale di vita era per lui lo pneuma (aria, alito, spirito)
Lo spirito animale nel cervello controllava movimenti, percezione e sensi, lo spirito vitale nel cuore controllava il sangue e la temperatura corporea mentre lo spirito naturale nel fegato regolava alimentazione e metabolismo.
Galeno ha accresciuto la sua conoscenza compiendo esperimenti con animali vivi. Uno dei suoi metodi consisteva nel dissezionare pubblicamente un maiale vivo, tagliando consecutivamente le fasce dei suoi nervi finché, tagliato anche il nervo della laringe (ora anche conosciuto come nervo di Galeno), il maiale smetteva di stridere.
Legò gli ureteri di animali vivi per mostrare come l'urina provenisse dai reni.
Sezionò i midolli spinali per dimostrare la paralisi, e così via. Come medico dei gladiatori studiò le ferite. Si rese conto che una lesione sui nervi esterni della colonna produce insensibilità nel tronco da quel punto in giù. Alcune delle conoscenze di Galeno sono corrette anche se esaminate da un punto di vista moderno: dimostrò che le arterie trasportano sanguein contrasto con Erasistrato e la tradizione greca antica, non aria; effettuò i primi studi sulle funzioni dei nervi, del cervello e del cuore; sostenne inoltre che la mente era situata nel cervello, non nel cuore, a differenza di quanto affermava la tradizione aristotelica. Per quanto riguarda la circolazione sanguigna capì che i sistemi arterioso e venoso fossero intercomunicanti attraverso minuscoli vasi, (anastomoseis) tuttavia si sbagliò sul cuore ritenendo che il sangue potesse passare direttamente dalla parte destra a quella sinistra. (questo modello di circolazione sanguigna verrà superato solo nel XVII secolo con Harvey). Galeno seziona e viviseziona animali e assimilando continuamente la loro fisiologia a quella umana, per certi versi anticipa Darwin quando assimila la scimmia all'uomo. Nel trattato "Sui semplici " in ossequio alla tradizione ippocratica che sosteneva che nella natura c'e il rimedio di ogni male parla di piante aventi funzione curativa anticipando la medicina naturalistica. Il Galenos era una soluzione di alcol ed oppio che aveva effetti analgesici per quasi tutti i mali dell'epoca. Purtroppo però con questo preparato aveva effetti collaterali perché rese dipendente dall'oppio l'imperatore Marco Aurelio.

 

La fortuna delle sue teorie

L'autorità di Galeno egemonizzò la medicina, in tutti sensi, fino al XVI secolo.
La maggior parte delle opere greche di Galeno sono state tradotte da monaci nestoriani nel centro medico e universitario della sasanide Jundishapur, in Persia. Gli eruditi musulmani le tradussero presto in arabo, assieme a quelle di molti altri classici greci, trasformando la sua opera in una delle fonti principali per la medicina islamica e per i suoi migliori esponenti quali Avicenna e Rhazes. Tali opere raggiunsero dunque l'Europa occidentale sotto forma di traduzione latina dei testi arabi.
I suoi seguaci, nella convinzione che la sua descrizione fosse completa, ritennero inutili ulteriori sperimentazioni e non procedettero oltre negli studi di fisiologia e di anatomia, un campo nel quale il primo serio cambiamento avverrà solo con Vesalius. Saranno proprio le indagini anatomiche di Andrea Vesalio, a dimostrare l'inesistenza nell'uomo della rete mirabile, facendo cadere uno dei cardini della sua fisiologia e dando inizio alla confutazione e al superamento del suo impianto teorico. L'avvento della iatrochimica, infine, contribuì ulteriormente al declino della medicina galenica.
Galeno si occupò anche di religione. A proposito, ad esempio, di ebrei e cristiani ritiene che essi siano dei filosofi, ma ritiene anche che manchino loro gli strunenti di conoscenza perché non avevano ancora elaborato il contenuto della loro fede.


Teoria Umorale
La teoria umorale, concepita da Ippocrate di Coo, rappresenta il più antico tentativo, nel mondo occidentale, di ipotizzare una spiegazione eziologica dell'insorgenza delle malattie, superando la concezione superstiziosa, magica o religiosa.
Nel VI secolo a.C. Anassimene di Mileto aveva introdotto nel pensiero greco la teoria dei quattro elementi fondamentali (aria, acqua, fuoco e terra) che costituiscono la realtà. Un secolo più tardi Empedocle diede corpo a questa teoria, sostenendo che la realtà che ci circonda, caratterizzata dalla mutevolezza, è composta da elementi immutabili, da lui nominati radici. Ogni radice possiede una coppia di attributi: il fuoco è caldo e secco; l'acqua fredda e umida; la terra fredda e secca; l'aria calda e umida.

Ippocrate tentò di applicare tale teoria alla natura umana, definendo l'esistenza di quattro umori base, ovvero bile nera, bile gialla, flegma ed infine il sangue (umore rosso). La terra corrisponderebbe alla bile nera (o atrabile, in greco Melàine Chole) che ha sede nella milza, il fuoco corrisponderebbe alla bile gialla (detta anche collera) che ha sede nel fegato, l'acqua alla flemma (o flegma) che ha sede nella testa, l'aria al sangue la cui sede è il cuore. A questi corrispondono quattro temperamenti (flegmatico, melanconico, collerico e sanguigno), quattro qualità elementari (freddo, caldo, secco, umido), quattro stagioni (primavera, estate, autunno ed inverno) e quattro stagioni della vita (infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia).Il buon funzionamento dell'organismo dipenderebbe dall'equilibrio degli elementi, definito eucrasia, mentre il prevalere dell'uno o dell'altro causerebbe la malattia ovvero discrasia.
Oltre ad essere una teoria eziologica della malattia, la teoria umorale è anche una teoria della personalità: la predisposizione all'eccesso di uno dei quattro umori definirebbe un carattere, un temperamento e insieme una costituzione fisica detta complessione:

  • il malinconico, con eccesso di bile nera, è magro, debole, pallido, avaro, triste;
  • il collerico, con eccesso di bile gialla, è magro, asciutto, di bel colore, irascibile, permaloso, furbo, generoso e superbo;
  • il flemmatico, con eccesso di flegma, è beato, lento, pigro, e sereno, talentuoso
  • il tipo sanguigno, con eccesso di sangue, è rubicondo, gioviale, allegro, goloso e dedito ad una sessualità giocosa.

Galeno

L'infinita possibilità che gli elementi hanno di combinarsi fra loro è all'origine degli infiniti caratteri riscontrabili nella natura umana. Gli umori, inoltre, sono soggetti a prevalere o a diminuire a seconda dei momenti della giornata, delle stagioni e delle età della vita. Il sangue, ad esempio, prevale in primavera, la collera in estate, la flemma in autunno e la bile nera in inverno.
Galeno (131-201) ampliò tentando di corroborare la teoria umorale attraverso studi scientifici basati sulla dissezione di animali e sull'osservazione di cadaveri morti di morte violenta (ad esempio in battaglia). Egli sosteneva che principio fondamentale di vita era pneuma (aria, alito, spirito), corrispondente al sangue. Pertanto il cuore, essendone la sede, doveva essere la sede della vita e dello spirito (ciò che più tardi si chiamerà anima). Riflettendo sulla bile nera affermò che la separazione di questa nel corpo, l'«umor melancolico», può causare la melancolia, l'antrace o l'elefantiasi.
Fu artefice di un clamoroso errore: ritenne completamente separate la circolazione del sangue arterioso e di quello venoso e proclamò che i salassi, asportando l'eccesso di sangue, erano in grado di riequilibrare gli umori.

 

Cosa resta della teoria umorale

Persino nel Seicento, in Paesi come l'Inghilterra, la teoria umorale era ancora in voga. Molti pazienti con sintomi riconducibili a quelli indicati da Ippocrate, venivano curati cercando di far bilanciare la presenza dei quattro umori nel corpo. A tale scopo era stata inventata addirittura una "sedia rotante" su cui veniva fatto salire il paziente; questa sedia era in grado di ruotare ad alta velocità, in modo che alla fine del "trattamento" il paziente si trovasse con gli umori mescolati e quindi nuovamente bilanciati.
Sebbene la scienza moderna abbia completamente smentito le teorie di Ippocrate e dei suoi seguaci, esse furono dominanti fino al Rinascimento. Di questa egemonia sopravvivono ampie tracce nel linguaggio moderno: il cuore è comunemente indicato come la sede dei sentimenti e in particolare dell'amore che, poeticamente, è "alito di vita"; malinconia è un sentimento di tristezza ma anche una grave forma di depressione; collera e flemma descrivono ancora oggi irascibilità e pigrizia; il collerico "si rode il fegato" oppure "è giallo dalla rabbia" (l'ittero è sintomo di malattia epatica caratterizzata dalla colorazione giallognola). Influenze della teoria umorale e della teoria dei quattro elementi sono tuttora presenti in varie forme di medicina alternativa come ad esempio la medicina naturopatica.
Malpighi
Marcello Malpighi (Crevalcore, 10 marzo 1628 – Roma, 29 novembre 1694) è stato un medico, anatomista e fisiologo italiano.

 

A Bologna

Marcello Malpighi nacque a Crevalcore, alle porte di Bologna, il 10 marzo 1628.
Nel gennaio del 1646 s'iscrisse allo Studium di Bologna, ma non sembrò mostrare una precoce vocazione per gli studi. La sua vita spensierata si spezzò quando nel 1649 morirono entrambi i genitori ed il nonno paterno.
Da primogenito Malpighi doveva occuparsi dei suoi otto fratelli; decise così di diventare medico. Si appassionò all'anatomia e frequentò il "Coro anatomico", un'accademia fondata da Bartolomeo Massari che si era dedicata alla dissezione di animali e, se disponibili, di cadaveri umani.
In quegli anni, però, lo Studium di Bologna era entrato in un'età grigia e nella medicina bolognese, nonostante la tradizione anatomica risalente a Mondino dei Liuzzi e Giulio Cesare Aranzio, l'autorità antica di Galeno era tuttora saldamente ancorata.
Le attività del Coro provocarono l'animosità di quasi l'intero corpo accademico. Avversari particolarmente accaniti furono Paolo Mini e Ovidio Montalbani. Il primo proclamò che lo studio degli antichi scritti di Galeno rendeva inutile qualsiasi dissezione, il secondo fece valere la sua autorità per introdurre nell'esame di dottorato una severa prova di fede alla medicina galenica.
Malpighi si sentì particolarmente perseguitato, probabilmente perché uno degli antagonisti, Tommaso Sbaraglia, era legato alla famiglia dei Malpighi da un vecchio e profondo odio nutrito da dissidi su un pezzo di terreno di confine tra le proprietà delle due famiglie.

 

A Pisa

Così nel 1656, due anni dopo la laurea in "medicina e filosofia" e un anno dopo la morte del suo maestro (e cognato) Massari, Malpighi accettò l'invito dell'arciduca Leopoldo di Toscana di insegnare presso l'Università di Pisa.
Qui divenne membro dell'Accademia del Cimento, che si proponeva come erede della scienza galileiana in Italia riunendo molti studiosi illustri.
Una particolare amicizia lo legava al matematico Giovanni Alfonso Borelli, che lo introdusse alla iatromeccanica ed alle sue idee improntate sull'osservazione dei fenomeni viventi basandosi sulle leggi della fisica e della matematica. Questo nuovo indirizzo cercava di applicare la filosofia meccanica di Descartes ai corpi viventi e di considerare, quindi, gli animali, complessi ingegni meccanici. Nell'ambito dell'Accademia Malpighi conobbe anche un nuovo strumento che lo doveva accompagnare per il resto della sua vita: il microscopio.

 

Ritorno in patria

Ritornato nel 1659 a Bologna per intercedere per suo fratello Bartolomeo, condannato a morte per aver ucciso durante una rissa il primogenito degli Sbaraglia, Tommaso, Malpighi vi rimase, coprendo la cattedra di Medicina teorica e facendo le sue prime importanti osservazioni microscopiche.
In una serie di lettere dirette a Borelli, Malpighi descrisse la struttura fine dei polmoni. Nella medicina galenica i polmoni erano considerati costituiti di sangue coagulato. Malpighi non si mostrò solo seguace della filosofia meccanica e maestro di microscopia ma riuscì anche a penetrare con vari artifizi anatomici nell'interno delle strutture e a svelare il sottile meccanismo del loro funzionamento.

Con la descrizione degli alveoli Malpighi gettò le basi per una teoria della respirazione e fornì un dato fondamentale alla nascente medicina moderna: nella sua famosa opera De motu cordis (1628), William Harvey aveva portato prove decisive contro il sistema galenico che vedeva il sangue prodotto nel fegato e poi consumato dalle parti del corpo. Al sistema harveiano della circolazione del sangue mancava tuttavia la dimostrazione che era effettivamente "chiuso". Malpighi, partendo dall'osservazione di una rana, dimostrò l'esistenza della rete di capillari delineando in maniera definitiva il ciclo della circolazione sanguigna.
Le tensioni all'interno del corpo docente bolognese non si erano placate, e Borelli convinse Malpighi che era meglio lasciare la città e trasferirsi a Messina dove lui gli aveva procurato un posto molto ben remunerato all'università. A Messina Malpighi proseguì la sua immane opera intesa a rivelare la struttura microscopica degli organi degli esseri viventi. Nel 1665 pubblicò i tre opuscoli: De lingua, De cerebro e De externo tactus organo, incentrate sul senso del gusto, sul funzionamento del cervello e sul senso del tatto.
Un altro clamoroso successo per la iatromeccanica avvenne l'anno successivo quando uscì De viscerum structura, nel quale Malpighi mise in evidenza il complesso sistema di follicoli, tubuli e vasellini dei reni e sviluppò un nuovo modello del processo della secrezione. Nel 1663 individuò in un vaso sanguigno dei globuli che inizialmente interpretò come globuli di grasso.
Ma anche a Messina Malpighi non resistette a lungo e nel 1666 fece ritorno nella sua amata Bologna ottenendo l'insegnamento di Medicina pratica e diventando un medico richiesto e, per conseguenza, persona benestante.

 

L'apogeo

Gli anni a seguire furono di particolare importanza per la vita di Marcello Malpighi perché videro la rottura dell'amicizia con Borelli e l'inizio della collaborazione con la Royal Society di Londra, che dal 1669 in poi pubblicherà tutte le sue opere. Entrambi gli eventi rafforzarono l'autonomia scientifica di Malpighi che, pur rimanendo sempre fedele alla microscopia e alla iatromeccanica, estese ulteriormente il suo campo di ricerca: agli insetti (De bombyce, 1669), all'embriologia (De formatione pulli in ovo, 1673) e alle piante (Anatomes plantarum, 1675/1679), aprendo per ognuno di essi nuove strade. Solo davanti ai minerali si diede per vinto.
Nel 1687 la Royal Society pubblicò l'Opera omnia di Malpighi, ma nonostante la sua crescente fama a livello internazionale, l'opposizione bolognese non si attenuò. Il valore dei lavori di Malpighi venne messo in dubbio e ridicolizzato dal botanico Giovanni Battista Trionfetti, dall'arcidiacono Anton Felice Marsili e dagli eterni nemici Paolo Mini e Giovanni Girolamo Sbaraglia. Per di più, un incendio, che nel 1683 distrusse la sua casa di città insieme a tutti i suoi strumenti e manoscritti, e i crescenti problemi di salute contribuirono a offuscare la sua vita.
Nel 1688 Malpighi raccontò in una lettera i dettagli di una violenta incursione da parte di Sbaraglia che semidistrusse con alcuni suoi studenti la sua villa a Corticella, alle porte di Bologna. Molto probabilmente, però, non si trattava di un fatto realmente accaduto ma di un racconto allegorico, nel quale Malpighi aveva trasformato le vessazioni verbali subite nel De recentiorum medicorum studio dissertatio epistolari ad amicum. In questo libello l'autore anonimo, probabilmente Sbaraglia, attaccò Malpighi e mise in dubbio l'utilità della scienza e della microscopia per l'arte medica.

 

A Roma

Nel 1691 Pietro Antonio Pignatelli, cardinale legato di Bologna, venne eletto papa Innocenzo XII. Egli volle avere l'amico bolognese Malpighi come archiatra a Roma. Malpighi non riuscì a lungo a sottrarsi a tale richiesta, per cui tornò da Messina per recarsi a Roma. Fu nominato "cameriere segreto partecipante", titolo che equivalse allo status clericale di monsignore, e fu accolto a Roma con i massimi onori. Nonostante ciò, Malpighi visse il trasferimento forzato con amarezza e tristezza. Tre anni più tardi, il 19 novembre 1694, morì dopo un attacco apoplettico. Tre anni dopo apparse la sua Opera posthuma.
Niente descrive l'opera innovatrice di Malpighi meglio del giudizio di un suo contemporaneo:


(LA)
« Alter microcosmi Columbus, non unum tantum, verum innumeros novos orbes in sola viscerum structura detexit. »

(IT)
« Un altro Colombo del microcosmo, scoprì non uno solamente, ma invero numerosi nuovi mondi nella sola struttura delle visceri. »

Vesalio
Andrea Vesalio - forma italianizzata di Andreas van Wesel - (Bruxelles, 31 dicembre 1514 – Zante, 15 ottobre 1564) è stato un anatomista e medico fiammingo.
È considerato il fondatore della moderna anatomia.

 

Le origini

Nacque a Bruxelles il 31 dicembre 1514 da famiglia benestante e tradizionalmente legata alla professione medica. Suo bisnonno era stato medico di Maria di Borgogna e docente all'università di Lovanio, suo nonno lavorò anche lui come medico per Maria di Borgogna e scrisse una serie di commentari agli Aforismi di Ippocrate ed in ultimo suo padre, anch'egli di nome Andrea, fu medico e farmacista per l'imperatore Carlo V. Con queste premesse, fu abbastanza naturale che quando Vesalio divenne uno dei più conosciuti medici ed anatomisti europei, gli fu offerto l'incarico di medico personale dell'imperatore presso la corte spagnola.

 

La formazione

Le sue origini, certamente non umili, gli permisero di ottenere un'ottima istruzione: la sua formazione avanzata iniziò nel Paedagogium Castri, una scuola preparatoria connessa all'università di Lovanio e successivamente nel Collegium Trilingue. Studiò il latino, il greco e l'ebraico. La sua conoscenza del latino divenne così profonda che, utilizzando questa lingua, a ventitré anni egli poté insegnare anatomia in Italia. Per quanto riguarda il greco la tradizione vuole che egli fosse in grado di tradurre Galeno a vista. Nel 1530 entrò nell'università di Lovanio che al tempo era una delle più grandi università europee, probabilmente seconda soltanto a Parigi e Bologna. Studiò filosofia e filologia, ma, indipendentemente dai suoi corsi universitari, cominciò ad interessarsi di anatomia e anche a praticare alcune dissezioni su topi, cani e gatti.
Nel 1533 si trasferì a Parigi per studiare medicina, seguendo così la tradizione familiare. I sui principali maestri furono Jacobus Sylvius e Ioannes Guinterius Andernacus. Vesalio ammirò i propri docenti (loderà Sylvius nel De Humani Corporis Fabrica del 1543), ma successivamente non si dimostrerà soddisfatto dell'insegnamento ricevuto in questo periodo; a Parigi infatti l'anatomia veniva insegnata in modo tradizionale, cioè basandosi prevalentemente sulla lettura delle opere di Galeno e riducendo al minimo le esperienze pratiche di dissezione. Vesalio era invece molto più propenso allo studio diretto del corpo umano: utilizzò così, come facevano molti studenti, il Cimitero degli Innocenti per procurarsi materiale per studiare le ossa. A questo proposito, nel De Humani Corporis Fabrica, racconta come in questo cimitero fosse possibile trovare una grandissima quantità di ossa; come egli fosse diventato talmente esperto da poter scommettere di riconoscerle tenendo gli occhi bendati ed utilizzando solo il tatto; come questa esperienza nel cimitero fosse necessaria in mancanza di un vero insegnamento su questa parte della medicina. Tuttavia già in questo periodo egli dimostrava buone capacità nella dissezione.
Nel 1536, a seguito dell'invasione della Francia da parte di Carlo V, dovette tornare a Lovanio dove continuò gli studi medici e la pratica della dissezione. Nel settembre del 1537 andò a Basilea e poco dopo si trasferì a Padova. Il 5 dicembre, dopo un esame, l'università gli conferì il titolo di Dottore in Medicina.

 

La carriera

La carriera vera e propria di Vesalio inizia a Padova. Già il giorno seguente alla laurea egli tenne la sua prima lezione pubblica, dissezionando un cadavere e spiegando sia gli organi sia la tecnica usata. Il senato di Venezia (che governava Padova) gli assegnò subito la cattedra di anatomia e chirurgia.
Nelle sue lezioni Vesalio utilizzava, come aiuto visuale, anche ampi fogli volanti costituiti da schematici disegni e da concise didascalie. Sei di queste tavole vennero date alle stampe con il titolo Tabulae anatomicae sex (Venezia 1538), iniziando così la personale produzione anatomica didattico-scientifica di Vesalio, che raggiunse l'apice con il De humani corporis fabrica (Basilea 1543), perfetta sintesi di rigore scientifico e bellezza artistica.


Nel gennaio del 1540 Vesalio visitò Bologna come docente ospite. Durante questo soggiorno ricostruì lo scheletro completo di una scimmia e di un uomo, e dalla comparazione dei due si rese conto che le descrizioni anatomiche galeniche erano basate sulle dissezioni di animali e non di uomini. La confutazione di molte teorie galeniche divenne poi uno dei punti chiave del De humani corporis fabrica, che probabilmente iniziò a scrivere proprio a Bologna.
Nel 1542, terminato di scrivere il De humani corporis fabrica, per seguirne il processo di stampa abbandonò la cattedra di Padova, alla quale gli succedette Realdo Colombo.
L'opera fu pubblicata nel giugno del 1543. Diffondendola, Vesalio era ben consapevole delle controversie che ne sarebbero nate: era infatti la prima volta che qualcuno osasse confutare le teorie di Galeno, fino ad allora considerato, quasi dogmaticamente, autorità assoluta della scienza medica. Molti medici infatti criticarono l'opera di Vesalio, in particolare il suo passato maestro Jacobus Sylvius. Ma ci furono anche molti sostenitori, tra i quali il più autorevole fu Gabriele Falloppia.
Della Fabrica venne anche stampata, principalmente ad uso degli studenti, l'Epitome, ovvero un riassunto dell'opera in sei capitoli.
Il 4 agosto dello stesso anno a Spira, Vesalio presentò l'opera all'imperatore Carlo V che lo assunse subito come medico di corte. Non sono ben chiare le ragioni dell'abbandono della ricerca scientifica in favore di questo nuovo incarico; alcuni sostengono che questo nuovo lavoro fu necessario per recuperare le grandi spese sostenute per la stampa della Fabrica, mentre altri sostengono che Vesalio volle abbandonare l'ambiente accademico perché in esso aveva ormai troppi nemici. Ma la ragione più probabile è ciò che egli stesso spiega nella prefazione alla Fabrica: secondo Vesalio infatti l'anatomia era solo il fondamento della medicina, mentre egli aspirava invece a diventare un medico completo. Il lavoro al servizio dell'imperatore offriva molte possibilità di praticare come medico e come chirurgo.
Nel gennaio del 1544 tornò in Italia per sbrigare gli ultimi affari all'Università di Padova, ma viaggiò e tenne delle lezioni anche a Bologna e Pisa. In quest'ultima, alla presenza di Cosimo I dei Medici, inaugurò il teatro anatomico di via della Sapienza.


Tornò in Belgio per sposare Anne van Hamme e cominciò poi un periodo di intensa attività, soprattutto come chirurgo militare, svolgendo molti incarichi in vari paesi europei per conto dell'imperatore. Tra il 1553 e il 1556 visse in maniera quasi stabile a Bruxelles, dove praticò in privato la professione di medico e portò avanti i suoi studi. Nel 1555 pubblicò una versione riveduta ed accresciuta della Fabrica. In particolare aveva avuto modo di studiare i corpi femminili, anche di donne incinte, e questo gli permise di approfondire soprattutto l'anatomia dell'utero e dei feti.


Da questa edizione della Fabrica vennero invece tolte le precedenti lodi al suo vecchio maestro Jacobus Sylvius. Nel frattempo infatti non erano mai cessati gli scontri con i galenisti, ai quali Vesalio continuava ad opporre con forza le sue ragioni, derivanti dalla pratica continua e meticolosa della dissezione. I suoi avversari, Sylvius in testa, cercarono in tutti i modi di attaccare la sua reputazione presso l'imperatore, arrivando anche a tacciare di empietà la pratica della dissezione. A questo proposito Carlo V scrupolosamente chiese ai teologi dell'Università di Salamanca un parere sull'ammissibilità delle dissezioni: questi risposero dicendo che esse erano utili e lecite.
Nel 1556, quando Carlo V abdicò gli concesse una pensione vitalizia e lo nominò conte. Nel 1559 tornò alla corte spagnola al servizio di Filippo II. Nel maggio del 1562 riuscì a curare il principe Don Carlos da una brutta ferita alla testa che lo aveva ridotto in fin di vita. Questo caso mise a dura prova Vesalio, sia per la gravità della ferita, sia per le responsabilità connesse al fatto di curare il principe e sia per le ostilità che incontrò da parte degli altri medici di corte.
Cominciò così a maturare in Vesalio il desiderio di abbandonare la corte e tornare a lavorare in Italia. Questo desiderio probabilmente era già nato quando nel 1561 Gabriele Falloppia gli inviò da Padova, come omaggio, una copia della sua opera Observationes Anatomicae, che conteneva alcune osservazioni e critiche alla Fabrica. Vesalio scrisse una lettera di risposta che fu affidata per la consegna all'ambasciatore veneziano presso la corte di Filippo II. Questi fu però trattenuto in Spagna per diversi mesi a causa di altri impegni, e quando finalmente ritornò nella Repubblica di Venezia nell'ottobre del 1562, Falloppia era morto.
Vesalio venne a sapere della morte del collega solo nella primavera del 1564, quando, per ragioni mai ben chiarite, partì per un pellegrinaggio verso la Terra Santa. Infatti partendo dalla Spagna fece tappa a Venezia e qui ritrovò la sua lettera. Alcuni medici gli chiesero di darla alle stampe; egli acconsentì e la lettera venne pubblicata a Venezia il 24 maggio 1564 con il titolo Andree Vesalii Anatomicarum Gabrielis Fallopii Observationum Examen. Vesalio non vide mai questa pubblicazione, infatti in aprile si era già imbarcato per la Terra Santa. Molto probabilmente, una volta tornato, avrebbe riottenuto la sua vecchia cattedra di medicina a Padova, lasciata vacante da Falloppia; ma durante il viaggio di ritorno si ammalò e fu sbarcato sull'isola di Zante, dove morì il 15 ottobre 1564.

 

Sulle ragioni del pellegrinaggio

Per molti anni si credette che la partenza di Vesalio verso la Terra Santa fosse dovuta a problemi con la giustizia ed in particolare con l'Inquisizione. A questo proposito ci sono diverse fonti: il famoso medico e chirurgo francese Ambroise Paré riporta la storia di un anatomista spagnolo che eseguì la dissezione di una nobildonna morta per "strangolamento dell'utero". Al momento della seconda incisione la donna, non essendo veramente morta, si risvegliò improvvisamente; ciò causò un tale orrore agli occhi dei presenti, che l'anatomista, prima molto famoso, divenne per tutti odioso e detestabile e decise così di lasciare il paese. Edward Jorden, un medico inglese, racconta pressappoco la stessa storia, ma riporta esplicitamente il nome di Vesalio e dice che egli usò il pellegrinaggio come scusa per lasciare la Spagna. Il diplomatico francese Hubert Languet, in una sua lettera, racconta invece che la vittima della dissezione fosse un uomo e che Vesalio si sia accorto della falsa morte quando, dopo aver aperto il petto e scoperto il cuore, si accorse che esso batteva ancora: per questo fu processato e condannato a morte dall'Inquisizione; tuttavia, per interessamento diretto ed ufficioso dell'imperatore Filippo II, la pena fu commutata nell'obbligo di pellegrinaggio in Terra Santa. Altre fonti del tempo ignorano completamente questa storia, in particolare non esiste alcun documento od atto relativo al presunto processo di Vesalio.
Alcuni storici affermano che è molto improbabile, sebbene non impossibile, che Vesalio commettesse un errore del genere. Ciò che è molto più probabile invece è che egli, dopo la sua morte, sia stato vittima di una perfida calunnia messa in giro dai medici suoi avversari . In effetti la lettera di Languet potrebbe essere un falso, infatti pur portando la data del 1º gennaio 1565, essa fu pubblicata per la prima volta solo nel 1620 nell'opera Vitae Germanorum Medicorum di Melchior Adam, e non compare invece nelle raccolte pubblicate della corrispondenza di Languet.


Per la storiografia moderna la storia della condanna di Vesalio è da considerarsi priva di fondamento.
L'ipotesi più probabile sul motivo della sua partenza è che egli fosse semplicemente stanco della vita di corte e dell'ostilità dei medici spagnoli, e che il pellegrinaggio fosse solo il pretesto per andarsene dal paese. Sembra anche che le gelosie e gli scontri con gli altri medici di corte, specialmente riguardo alle cure mediche al principe Don Carlos, fossero così aspre che Vesalio se ne ammalò: il botanico fiammingo Clusius, che arrivò a Madrid il giorno stesso della partenza di Vesalio, testimonia infatti che questi avesse ottenuto il permesso di partire in pellegrinaggio proprio per motivi di salute. Inoltre, come già spiegato, il desiderio di Vesalio di tornare a Padova per dedicarsi esclusivamente alla ricerca scientifica, fu certamente determinante nella sua decisione di lasciare la corte.

I suoi testi

Vesalio pubblicò a Venezia nel 1538 le Tabulae Anatomicae Sex dove iniziò ad usare la moderna terminologia medica e il più importante De humani corporis fabrica nel 1543 a Basilea che viene considerato uno dei testi base dell'anatomia moderna. Le tavole anatomiche della Fabrica furono illustrate da un allievo appartenente alla scuola del Tiziano e di cui purtroppo non se ne conosce il nome.

 

L'indipendenza da Galeno

La formazione e la ricerca di Andrea Vesalio si mosse inizialmente nel quadro teorico sedimentatosi nella tradizione galenica. Ma fu proprio la ripresa delle tecniche investigative risalenti a Galeno che lo portò a porre le basi sperimentali che decretarono l'obsolescenza del quadro teorico.

 

La rete mirabile

Un esempio del processo di maturazione e di progressivo affrancamento di Vesalio dall'accettazione acritica delle teorie galeniche durante il periodo padovano è costituito dal problema della rete mirabile: questa struttura anatomica era uno degli elementi fondamentali su cui poggiava la fisiologia galenica; secondo questa, lo spirito vitale, formatosi nel cuore per affinamento dello spirito naturale originatosi nel fegato, veniva portato alla base del cervello dalle arterie carotidi, che qui si sfioccavano in un intricato reticolo vasale, la rete mirabile appunto. In tale sede lo spirito naturale veniva ulteriormente affinato, trasformandosi in spirito animale che, distribuito attraverso i nervi periferici, ritenuti cavi, dotava il corpo di sensibilità e movimento.
La rete mirabile costituisce una riprova di come l'osservazione galenica fosse basata sullo studio di specie inferiori: questa formazione anatomica, infatti è molto evidente negli ungulati mentre non esiste nell'uomo. Vesalio ne ammise l'esistenza nelle Tabulae anatomicae sex (1538), mentre nella Fabrica del 1543 riconosce con vivacità l'errore compiuto e ne analizza con spirito critico la causa:
Quante, spesso assurde cose sono state accettate in nome di Galeno... Tra queste quel mirabile plesso reticolare, la cui esistenza viene costantemente sostenuta nei suoi scritti e di cui i medici parlano continuamente. Essi non lo hanno mai visto, ma tuttavia continuano a descriverlo sulla scorta dell'insegnamento di Galeno. Io stesso sono ora realmente meravigliato per la mia (precedente) stupidità... Causa la mia devozione a Galeno non intrapresi mai una pubblica dissezione di una testa umana senza contemporaneamente servirmi di quella di un agnello o di un bove per mostrare che non riuscivo a riscontrare in alcun modo nell'uomo... e per evitare che gli astanti mi rimproverassero di essere incapace di trovare quel plesso a tutti loro cosi ben noto per nome. Ma le arterie carotidi non formano affatto il plesso reticolare descritto da Galeno.

 

Il sistema nervoso

Nella Fabrica Vesalio respinse altri importanti aspetti della neurologia di Galeno, ad esempio il concetto che i nervi fossero cavi. Leggiamo quanto egli stesso asserisce in proposito:
Posso affermare di non aver mal trovato passaggio di alcuna sorta, nonostante a questo scopo abbia esaminato i nervi ottici durante la vivisezione di cani e di altre specie animali di dimensioni maggiori, ed il capo di un uomo ancora caldo, meno di un'ora dopo la decapitazione.[10]
Descrisse anche il corpo calloso come struttura commisurale dei due emisferi.

 

Potenza e limiti dell'indagine anatomica

Sul piano della fisiologia del sistema nervoso Vesalio esprime una posizione agnostica, tracciando nettamente limiti tra l'osservazione anatomica e la speculazione filosofica:
Non nego che i ventricoli elaborino lo spirito animale, ma sostengo che questo non spiega nulla sulla sede cerebrale delle facoltà più elevate dello spirito. (...) Non sono in grado di comprendere come il cervello possa esercitare le sue funzioni.
Convinzione ferma ed imprescindibile di Vesalio era l'importanza delle sezioni anatomiche al fine di poter comprendere la struttura e la fisiologia del corpo umano; teoria questa in netto contrasto con le convinzioni galeniche, basate su un'idea organicistica del corpo umano, secondo cui: «Non vi possono essere lesioni funzionali del corpo, se queste non sono associate a lesioni effettive degli organi interni».

 

Altri risultati

Descrisse, per la prima volta, il decorso delle vene e l'anatomia del cuore, negando l'esistenza della tanto favoleggiata finestra interventricolare; indicò, inoltre, la forma dello sterno e il numero delle ossa che compongono l'osso sacro; descrisse i menischi articolari della mano e del ginocchio, e individuò infine il corpo luteo dell'ovaio
Morgagni
Giovanni Battista Morgagni o Giovan Battista Morgagni o anche Giambattista Morgagni (Forlì, 25 febbraio 1682 – Padova, 5 dicembre 1771) è stato un medico, anatomista e patologo italiano.

Considerato il fondatore della anatomia patologica nella sua forma contemporanea, fu definito da Rudolf Virchow il Padre della patologia moderna. In Europa, peraltro, era conosciuto come "Sua Maestà anatomica".
Unì agli studi medici una ricca formazione culturale nelle varie discipline. Ammesso già a quattordici anni nell'Accademia dei Filergiti, all'età di sedici anni si iscrisse all'Università di Bologna, dove si laureò nel 1701 sia in medicina che in filosofia. A Bologna divenne allievo e assistente di Antonio Maria Valsalva, all'ospedale di S. Maria della Morte, coadiuvandolo nell'attività settoria e didattica. Nei cinque anni passati a Bologna svolse ricerche di anatomia che pubblicò nel primo volume degli Adversaria anatomica. Nel 1704 fu presidente dell'Accademia degli Inquieti, che contribuì ad orientare verso lo sperimentalismo.
Nel 1707 lasciò Bologna e si trasferì a Venezia, dove venne a contatto con il chimico Giangirolamo Zanichelli e l'anatomista Giandomenico Santorini. Durante il soggiorno veneziano si recò spesso a Padova per seguire lezioni, avviare contatti e farsi conoscere dall'ambiente accademico. Fu contemporaneo dello scienziato, professore e lettore di Chirurgia Girolamo Vandelli cattedratico dell'Università di Padova con cui condivise molte attività di studio e ricerca scientifica. Nel 1709 tornò a Forlì, dove esercitò come medico pratico, ottenendo subito consenso.


Nel 1711 venne chiamato alla cattedra di medicina teorica dell'Università di Padova, che fu mutata in quella di anatomia nel 1715. Mantenne la cattedra di anatomia fino alla morte.

 

Fin dal 1740 alcune dispute tra il Morgagni e il Vandelli (i predecessori del Caldani e del Bonioli, rispettivamente) avevano indotto i Riformatori a disporre che i primi due cadaveri idonei spettassero al Morgagni e il terzo al Vandelli. L'introduzione nel 1764 della nuova cattedra di chirurgia pratica all'ospedale, affidata al Sograffi, e quella di medicina pratica all'ospedale, affidata al Dalla Bona, non fa che aumentare le difficoltà del reperimento dei cadaveri, essendo stato concesso al Dalla Bona il diritto di eseguire autopsie in ospedale come al Sograffi. Così, il Dalla Bona «quando termina la malattia in morte, apre esattamente il cadavere ed [...] esamina distintamente la parte, che si è creduta, e dichiarata mal affetta, nonché le altre vicine, e lontane, che ne hanno la maggior relazione o per riconfermare il giudizio, o per riconoscere l'errore».


Morgagni fu uno scienziato moderno, che nella sua attività di ricerca usò sistematicamente il metodo sperimentale, utilizzato poi da alcuni suoi allievi, tra cui Andrea Pasta. Oltre che uomo di scienza fu anche un abilissimo e ricercato clinico medico.
La sua opera scientifica può suddividersi in due parti, quella anatomica e quella anatomo-patologica. Le ricerche anatomiche sono contenute nelle “Adversaria anatomica” e nelle Epistolae anatomicae, opere in cui sono descritte innumerevoli scoperte morfologiche che gli diedero fama mondiale, tanto che nel 1769 la Natio Germanica lo proclamò Anatomicorum totius Europae Princeps.
Le ricerche anatomo-patologiche sono invece contenute nella sua opera più celebre, il De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis (1761), uno dei libri più importanti della storia della medicina, che segna l'inizio della patologia d'organo e il tramonto dell' umoralismo, teoria che aveva dominato in patologia dai tempi di Ippocrate e Galeno. Con lui inizia la moderna patologia e, dunque, la medicina moderna, caratterizzata dal definitivo successo del metodo fondato sull'osservazione sistematica e sull'esperimento.


Nel De sedibus, mettendo in relazione le alterazioni anatomiche osservate autopticamente con le malattie che erano state rilevate clinicamente, dimostra come ad ogni alterazione anatomica corrisponda un'alterazione della funzione e quindi una malattia. La cirrosi epatica, ad esempio, è stata descritta per la prima volta da Giovanni Battista Morgagni nel De sedibus (nel Libro III, Delle malattie del ventre, Lettera XXXVIII, Dell’Idropisia ascite, della Timpanite, dell’Idropisia del peritoneo e di altre idropisie dette saccate. Il termine cirrosi fu coniato invece da René Théophile Hyacinthe Laënnec (come decritto nella sua Segnalazione XXV, dell’auscultazione mediata pubblicata nel 1819), volgarizzando i termini greci Skirròs che significa duro, fibroso e Kirrhós', che significa giallo, dal colore che il fegato assume nella cirrosi detta oggi "di Morgagni-Laënnec".


Personalità eclettica e di vasta cultura umanistica fu anche latinista, archeologo, botanico e storico.
Nella sua vita fu membro di innumerevoli accademie scientifiche italiane e straniere, tra cui la Royal Society di Londra.
Fra i suoi ammiratori, si segnala il medico Camillo Versari, che ci ha lasciato Sei discorsi consacrati alla vita, alle opere, all’elogio di Giovan Battista Morgagni e che nel 1873 ha donato alla città di Forlì il monumento a Morgagni.

 

De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis

È una delle opere più celebri ed importanti della storia della medicina che pose le basi di un nuovo sistema fondato su un rigoroso metodo sperimentale in modo tale che la patologia poté finalmente diventare una scienza sperimentale. Il titolo stesso riassume l'essenza del metodo anatomo-clinico: morbus è il quadro clinico presentato dal paziente; causis per anatomen indagatis è l'alterazione organica dimostrata dall'esame autoptico. Per la sua compilazione Morgagni impiegò sessant'anni di osservazioni.
L'opera consta di 750 pagine, stampate fittamente su doppia colonna e risulta composta di settanta epistole medico anatomiche, ordinate in cinque libri, ciascuno dei quali è dedicato ad una delle principali Accademie europee di cui il Morgagni era socio ed è preceduto da una lettera ad altrettanti illustri medici in cui sono discussi i problemi fondamentali della ricerca anatomo-patologica.
Ogni epistola medico anatomica prende in considerazione una malattia, con la presentazione di un certo numero di casi della malattia a cui il titolo si riferisce, completi di dettagliata relazione autoptica ed epicrisi finale. In tutto sono presentati circa 700 casi, in gran parte di diretta osservazione del Morgagni, alcuni osservati dal Valsalva, altri dal Santorini e, infine, altri ancora desunti dalla letteratura di autori considerati dal Morgagni stesso scientificamente attendibili.
In ciascuna epistola medico anatomica Morgagni esamina la letteratura precedente e la mette a confronto con le proprie osservazioni. La sua sintesi è quindi il frutto di continui esami comparativi, dapprima separatamente tra reperti anatomici e fra sintomi clinici e poi stabilendo i legami tra i due ordini di fenomeni. Il parallelismo fra lesione anatomica e sintomo clinico caratterizza le storie anatomico-mediche del De sedibus che è improntato secondo il punto di vista clinico e non anatomico.
L'ordinamento del De sedibus ricalca quello di un trattato di patologia speciale (G. Ongaro).

  • Il primo libro è dedicato all'Accademia dei Curiosi della Natura e comprende argomenti concernenti le malattie del capo;
  • Il secondo libro è dedicato alla Royal Society di Londra e comprende la patologia del torace;
  • Il terzo libro è dedicato alla Accademia delle Scienze di Francia e comprende le malattie dell'addome;
  • Il quarto libro è dedicato all' Imperiale Accademia di Pietroburgo e comprende la chirurgia e le malattie di tutto l'organismo;
  • Il quinto libro è dedicato alla Reale Accademia delle Scienze di Berlino e contiene tutti gli argomenti che erano sfuggiti all'Autore durante la compilazione del trattato.

L'opera ebbe una accoglienza trionfale, tanto che dal 1761 al 1765 ne furono stampate ben quattro edizioni e in seguito fu tradotta in lingua inglese, in lingua francese e in lingua italiana.


Paracelso
Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim detto Paracelsus o Paracelso (Einsiedeln, 14 novembre 1493 – Salisburgo, 24 settembre 1541) è stato un alchimista, astrologo e medico svizzero. È una delle figure più rappresentative del Rinascimento. Si laureò all'Università di Ferrara, più o meno negli stessi anni in cui si laureò Copernico.
Fino al 1500 la composizione e i mutamenti della materia erano spiegati sulla base della dottrina dei quattro elementi di Aristotele: acqua, aria, terra e fuoco. Paracelso, per la prima volta, aggiunse ad essa una teoria che contemplava la presenza nella formazione e nei cambiamenti della materia, di tre principi: sale, zolfo e mercurio. Egli inoltre rifiutò l'insegnamento tradizionale della medicina, dando vita ad una nuova disciplina, la iatrochimica, basata sulla cura delle malattie attraverso l'uso di sostanze minerali.

Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim amava farsi chiamare Paracelso, a indicare che lui era sullo stesso piano di (in greco parà sta per vicino, presso) Aulo Cornelio Celso, romano naturalista e esperto in arti mediche vissuto nella prima metà del I secolo. Non aveva un carattere facile, anzi era piuttosto superbo e orgoglioso, tanto che dal suo nome Bombastus è derivato in inglese l'aggettivo bombastic, che indica una persona piena di sé ed arrogante. "Alcuni mi accusano di superbia, altri di pazzia, altri ancora di stoltezza". Ricevette molte accuse, tra cui quella di alcolismo o di non prendere parte alle cerimonie religiose. In realtà egli si considerava un dottore delle Sacre Scritture, una sorta di teologo laico, convinto, però, che la fede andasse vissuta dentro di sè, a livello intimo più che collettivo

 

Origini, infanzia, anni di apprendistato

Paracelso era figlio di Wilhelm von Hohenheim e di una serva ecclesiastica. Nacque ad Einsiedeln, in una delle case vicine al monastero di Unsere Liebe Frau, una delle stazioni di sosta per i pellegrini diretti a Santiago de Compostela. La figura di sua madre è avvolta dal mistero; secondo alcune voci del tempo sarebbe stata un'isterica, idea forse diffusasi a partire dall'esperienza di Paracelso riguardo a questa malattia nelle donne. Pare, inoltre, che da ella il figlio avrebbe ereditato la bruttezza fisica e le maniere rozze. Nel 1502 si stabilì con il padre a Villach. Fu da suo padre, laureato in medicina presso l'università di Tubinga, che egli ricevette i primi insegnamenti in medicina e in chimica. In seguito, sotto l'abate ed alchimista Trithemiusof Wurzburg, studiò chimica ed occultismo. Per quanto riguarda la sua formazione universitaria, che avvenne tra il 1509 e il 1515, lui stesso dice di aver frequentato varie università. A quanto pare, non subì alcun fascino da parte della Sorbona di Parigi, che pure era all'avanguardia dal punto di vista del sapere anatomico. La sua fortuna fu quella di venire a contatto con la medicina innovativa dell'Italia settentrionale. Si laureò in medicina presso l'Università di Ferrara, alla quale però non rimarrà molto fedele, poiché essa si opponeva ad un cambiamento del sistema medico.

 

Gli anni del vagabondaggio e Basilea

La sua vita fu estremamente movimentata, ma difficile da ricostruire perché notoriamente Paracelso abbellì la sua biografia di particolari inventati ed avventurosi. Secondo quanto lui dice dopo aver lavorato nelle miniere in Germania e in Ungheria, dove apprese i segreti dei metalli, intraprese lunghi vagabondaggi che lo portarono in Italia, Spagna, in Germania, in Inghilterra, in Svezia, in Polonia, in Transilvania; mete plausibili, mentre è molto meno probabile che, come egli stesso dice, sia stato in India e in Cina. Pare che si recò anche in Russia, alla ricerca delle miniere dei Tartari, dove sarebbe stato fatto prigioniero dal Khan, che gli avrebbe svelato dei segreti. Molto importante fu per lui l'esperienza di medico militare, prima durante la guerra veneziana, più tardi in Danimarca e in Svezia. Tornato in Germania, la sua fama aumentò rapidamente e nel 1527 gli fu offerta la cattedra di medicina all'Università di Basilea. Paracelso, nello stesso anno, fece bruciare pubblicamente dai suoi studenti i testi di Galeno ed Avicenna, bollandoli come ignoranti in materia medica. Poco dopo iniziò a perdere anche quella stima e fiducia da parte degli studenti che fino allora lo avevano salvato dall'essere allontanato dall'ambiente universitario. La sua opposizione aperta sia alla medicina tradizionale, sia alla nuova medicina nata tra Italia e Francia e la sua indole polemica lo portarono a perdere il lavoro fisso di insegnante presso l'Università di Basilea. Lasciò infatti la città nel gennaio del 1528. negli stessi anni tra le università francesi e quelle italiane si andavano riscoprendo i classici di Galeno ed Avicenna, purificati filologicamente dalle glosse medioevali, ed integrati da trattati di anatomia "scientifici", oltre a ricerche empiristiche che andavano ad attaccare direttamente la tradizione popolare (come per esempio le opere di Laurent Joubert della facoltà di medicina di Montpellier) e quelle platoniche.

 

Il periodo di San Gallo

A San Gallo, cittadina dell'est della Svizzera, visse un secondo breve periodo positivo della sua vita. Qui, nel 1531, gli vennero affidate le cure del borgomastro del paese Christian Studer per ventisette settimane. Tuttavia, Paracelso non era tenuto in gran considerazione dai medici teorici di allora. Durante questi anni, infatti, la sua figura si contrappone a quella di Joachim Vadiano, medico e luminare più in vista a San Gallo, del quale è anche sindaco, umanista che però prediligeva la teoria alla pratica e al contatto diretto con il malato. Le fonti fanno sembrare che Paracelso fosse spesso consultato per problemi allo stomaco e all'intestino, probabilmente perché la sua fama era maggiore in questo campo che nella chirurgia.
Durante il soggiorno a San Gallo si verificò un evento a partire dal quale si può intuire l'inclinazione profetica della personalità di Paracelso: come questi scrive nella sua opera Paramirum, il 28 ottobre del 1531 avvistò un gigantesco arcobaleno. Egli notò che questo indica la stessa direzione da cui, due mesi prima, era venuta la cometa di Halley. Secondo Paracelso, l'arcobaleno, da lui chiamato arco della pace, avrebbe portato un messaggio salvifico dopo la discordia annunciata dalla cometa.
Dopo aver passato i restanti anni della sua vita a vagare di città in città, morì a Salisburgo il 24 settembre 1541. È sepolto nella chiesa di S. Sebastiano. Le scene più commoventi presso la sua tomba si sono verificate nel 1831, quando, durante le terribili settimane del colera indiano, gli abitanti delle Alpi Salisburghesi si recarono in pellegrinaggio a Salisburgo, per implorare non il Santo patrono, ma il medico Paracelso, di risparmiarli dall'epidemia.

 

L'ideologia

Secondo questo singolare personaggio, i migliori insegnamenti per un medico non provenivano affatto dai veneratissimi medici del passato, come Ippocrate, Galeno o Avicenna, bensì dall'esperienza, quella stessa che lui aveva raccolto nei suoi numerosi viaggi e che voleva trasmettere ai suoi alunni. Alla retrocessione agli antichi egli voleva contrapporre il progresso, uno slancio verso uno studio più approfondito della natura, in cui lui era convinto ci fosse la cura per ogni sorta di malattia (riprende la concezione ippocratica della "vis medicatrix naturae"). In particolare, come egli spiega nei dieci libri degli Archidoxa, nella natura ci sono delle forze guaritrici chiamate Arcana che vengono portate alla luce dall'arte alchemica. I quattro arcana principali sono la prima materia, il lapis philosophorum, il mercurium vitae e la tintura.

 

Le teorie innovative

Nella visione paracelsiana tutti i corpi, organici e inorganici, l'uomo compreso, sono costituiti da tre elementi basilari: il sale, lo zolfo e il mercurio. Lo stato di salute è quello in cui queste tre sostanze formano una perfetta unità e non sono riconoscibili singolarmente, mentre nella malattia si separano. Il medico si getta quindi alle spalle la teoria degli umori da tutti condivisa. Nella prima metà del XVI secolo sostenne infatti:

 

« come infatti attraverso uno specchio ci si può osservare con cura punto per punto, lo stesso modo il medico deve conoscere l'uomo con precisione, ricavando la propria scienza dallo specchio dei quattro elementi e rappresentandosi il microcosmo nella sua interezza [...] l'uomo è dunque un'immagine in uno specchio, un riflesso dei quattro elementi e la scomparsa dei quattro elementi comporta la scomparsa dell'uomo. Ora, il riflesso di ciò che è esterno si fissa nello specchio e permette l'esistenza dell'immagine interiore: la filosofia quindi non è che scienza e sapere totale circa le cose che conferiscono allo specchio la sua luce. Come in uno specchio nessuno può conoscere la propria natura e penetrare ciò che egli è (poiché egli è nello specchio nient'altro che una morta immagine), così l'uomo non è nulla in sé stesso e non contiene in sé nient'altro che ciò che gli deriva dalla conoscenza esteriore e di cui egli è l'immagine nello specchio. »

 

 

Inoltre alla teoria dei contrari egli opponeva la teoria dei simili, già presente presso i primitivi e gli egiziani, secondo la quale una malattia può essere curata con la stessa sostanza da cui è stata causata.

 

L'etica del medico

Da un punto di vista più intimo, Paracelso dava molta importanza, non meno di Ippocrate, all'integrità personale del medico, al suo agire secondo coscienza. Inoltre, vedeva nel celibato un mezzo che permetteva al medico di dedicarsi totalmente alla cura dei pazienti, anche in caso di malattie contagiose e quindi per lui pericolose. Pare, infatti, che egli fosse casto. Secondo Paracelso le malattie, come la salute, provenivano da Dio, dunque il medico non era altro che colui che faceva avvenire quella guarigione che altrimenti sarebbe venuta direttamente da Dio, se il paziente avesse avuto abbastanza fede.

 

La donna

Interessante è l'ideologia, anch'essa originale, costruita da Paracelso intorno alla donna. Innanzitutto, egli riconosce che anche alcune figure femminili, nella sua vita, hanno contribuito a formare il suo sapere di medico. Distingue nettamente l'anatomia e lo spirito della donna rispetto a quelli dell'uomo. Per lui la donna è matrix (matrice), termine con cui non si intendono solo gli organi riproduttivi, ma la totalità di essa. Quello della donna è un piccolo mondo a parte in cui però è racchiuso il grande mistero della vita, che la mette a stretto contatto con il grande mondo della natura. Mentre, secondo la tradizione, a partire da Ippocrate, la donna è solo il recipiente che raccoglie il seme, per Paracelso la capacità immaginativa della donna incinta è decisiva per la formazione spirituale del figlio. Si hanno sue descrizioni dell'anatomia femminile, anche se molto meno dettagliate rispetto a quelle di Vesalio, in quanto basate principalmente sull'osservazione esterna.

 

Contributi medici

Quella di Paracelso è una medicina che pone al centro l'uomo vivo. Egli dava molta importanza ad un'attenta osservazione del paziente ed era molto capace nell'immedesimarsi nei suoi disturbi. L'anatomia di Paracelso, infatti, non si basa sulla dissezione come quella di Vesalio, bensì sull'esteriorità, sulla capacità del medico di ricollegare i segni sul corpo all'agente interno causa della malattia. Si può dire dunque che pone le basi della semeiotica. Nei suoi scritti, nel descrivere le parti anatomiche, inserisce contemporaneamente le sue interpretazioni di esse, non distingue ciò che vede da ciò che pensa. Nel Volumen Paramirum elenca i cinque possibili principi delle malattie: l' ens astrale, l' ens venale, l' ens naturale, l' ens spirituale e l' ens dei. Un buon medico, per capire la causa della malattia, deve basarsi su tutti e cinque gli enti. Per quanto riguarda la chirurgia, il fondamento è conservativo e non aggressivo: bisogna solo stimolare la natura ed essa provvederà da sé. Tuttavia, l'uso di anestesie molto blande faceva sì che egli non praticasse vivisezioni e che le sue operazioni fossero dolorose. Si dedicò particolarmente a studi sulla sifilide; secondo la sua teoria la malattia era generata da due fattori connessi: l'influsso astrale, di per sé innocuo, e l'atto impuro, che sorge dalla libido. La sua importanza in campo farmacologico è dovuta al fatto di essere stato il primo a raccomandare l'uso di sostanze minerali e di prodotti chimici per la cura delle malattie dell'uomo diversamente da quanto esposto nelle precedenti dottrine dove ci si limitava all'uso di piante ed estratti vegetali.

 

Difficoltà di interpretazione

Leggere Paracelso presenta una serie di problematiche non facilmente risolvibili. "Egli era medico, astrologo, mago e alchimista e al contempo nemico della medicina, dell'astrologia, della magia e dell'alchimia tradizionali". Tutto ciò che scrisse è influenzato da queste discipline e nello stesso tempo è utilizzato polemicamente contro di esse. In Paracelso, la visione scientifica delle cose si mescola sempre con una più spiritualistica e astrologica. "Il profano che si avvicina a Paracelso non può che rimanere stordito dal miscuglio di scienza e superstizione, filosofia e banalità, genio e follia". Quando tratta di medicina, tratta anche di magia, di alchimia, di astrologia. "Non c'è medicina senza alchimia, non c'è medicina senza astrologia, non c'è medicina senza magia". Egli afferma: "Sulla Terra c'è ogni tipo di medicina ma non coloro che sanno applicarla". Non a caso egli stesso, nel Paragranum, afferma che i quattro pilastri della medicina sono la filosofia, l'astronomia, l'alchimia e le virtù. Inoltre il suo Corpus scriptorum è davvero immenso, e pare che egli dettasse le sue pagine a scrittori occasionali. In particolare, la maggior parte delle opere fu dettata al suo pupillo prediletto, Johannes Oporinus, il quale si occupò di pubblicarle dopo la morte dell'autore. Egli è stato definito il Lutero della medicina per il suo spirito di ribellione. In un periodo in cui uscire dai sentieri battuti, in qualsiasi campo, era un'eresia da condannare, Paracelso si gettò in una concezione del tutto indipendente della scienza medica e non esitò a scagliarsi contro le concezioni tradizionali ereditate dal passato e ancora fermamente condivise.
Lombroso
Cesare Lombroso, nato Marco Ezechia Lombroso (Verona, 6 novembre 1835 – Torino, 19 ottobre 1909), è stato un antropologo, criminologo e giurista italiano. Fu uno dei pionieri degli studi sulla criminalità. Il suo lavoro fu fortemente influenzato dalla fisiognomica, disciplina di antichissime origini, e da idee provenienti dalla teoria del darwinismo sociale, piuttosto diffusa a quei tempi.

 

Studi universitari

Il giovane Cesare scelse di seguire gli studi della facoltà di medicina, sebbene la madre preferisse per lui quelli giuridici per vari motivi, tra cui l'esempio di Francesco Marzolo (la cui concezione intrecciava storiografia e fisiologia nel sostenere fondamentalmente la centralità della lingua nella storia), inoltre l'affiorare dell'elemento filosofico e della riflessione, nonché dell'ethos dettato dalla morale moderata e repubblicana del tempo. Scelse l'Università di Pavia, in quegli anni rappresentata da Bartolomeo Panizza che aveva formulato lodevoli comparazioni tra l'ambito anatomico e quello fisiologico nel corso dei suoi studi, e da Luigi Porta che aveva esteso all'anatomia patologica nonché alla fisiopatologia sperimentale il fine e l'utilizzo della chirurgia. Nel 1852 all'inizio degli studi si scopre sorprendentemente entusiasta della sua indipendenza, delle nuove amicizie e dell'abbondanza di materiale a cui attingere per i suoi studi, che interessavano materie quali, all'inizio l'anatomia, la storia naturale e la botanica. Studiò sui testi dei personaggi più importanti di quel tempo quali il mineralogista e zoologo Gian Maria Zendrini, Giuseppe Balsamo Crivelli (scopritore del fungo parassitario patogeno del "mal del calcino", la Batys Bassiana), il Panizza stesso ed il botanico Giuseppe Moretti, muovendo dal concetto, dominante all'epoca, dell'"unità della Natura" (come insieme di viventi e non viventi in senso sistematico e sincronico) a cui si rifaceva il Nostro, parlando, ad esempio, nel 1853 nel Di un rapporto fisiologico comune ad alcuni neurotteri ed imenotteri, discettazione pubblicata in concomitanza con la fine del suo primo anno di studi.

 

Carriera

Compiuti gli studi universitari a Pavia, Padova e Vienna, partecipò come medico militare alla campagna contro il brigantaggio successiva all'unificazione italiana. Incaricato di clinica psichiatrica e di antropologia a Pavia, svolse ricerche sul cretinismo e sulla pellagra. Fu poi direttore del manicomio di Pesaro e ordinario di medicina legale a Torino.

 

Il primo insegnamento

Dopo il trasferimento dall'ospedale di Genova a quello divisionario di Pavia sembrò ormai raggiungibile l'obiettivo di avviare un insegnamento clinico importante; così, nonostante le riserve a causa dell'ostacolo di disporre di un reparto di malati per lo studio pratico della clinica delle malattie mentali, al Lombroso venne richiesto l'insegnamento in un corso libero e gratuito, a partire dal 6 dicembre del 1862. Dopo poco tempo anche la principale difficoltà logistica venne appianata grazie all'intervento del rettore (il Cantoni) che, dopo aver in prima istanza acconsentito all'istituzione di un corso di quella materia, in seguito si interessò anch'egli alla stessa, come è documentato dalla corrispondenza tra lui ed il Lombroso. Successivamente le cose migliorarono per il nostro. Infatti, il direttore dell'ospedale comunale di Sant'Eufemia (lo Zanini) si adoperò per venire incontro alle esigenze del neo-insegnante, mettendo a disposizione sua e dei suoi allievi il reparto degli 'alienati maschi', di 15 posti letto, per tutto il tempo del corso teorico, in modo tale da affiancare alla teoria la clinica, a condizione che il docente si comportasse come un primario dell'ospedale. Così alla fine di luglio si concluse il primo corso, come testimoniato dall'attestato rilasciato al docente in data 4 luglio, onde testimoniarne "la di lui somma diligenza ed il distinto suo zelo". Altra testimonianza del buon esito dal punto di vista intellettuale di questa prima prova del Lombroso può essere la pubblicazione ne L'appendice psichiatrica, il 4 maggio, della 'Prelezione al corso di clinica delle malattie mentali', ovvero la pubblicazione della prima lezione del corso, tenuta dal Lombroso, sulla 'Gazzetta medica italiana, Lombardia' del primo giugno. In questi documenti è palese la passione ed il profondo interesse scientifico del nostro per la scienza,e per la scienza medica psicologica in particolare, per via della complessità stessa della materia, per il decorso così differente delle malattie mentali dalle altre patologie, per la difficoltà nella diagnosi, impossibile da formulare basandosi univocamente sul fattore scientifico, e per la molta incertezza e sperimentalità dei metodi curativi. Tuttavia, oltre all'interesse propriamente scientifico, il Lombroso ha sempre convissuto con la passione per la storia e soprattutto per lo storicismo, al punto da integrare queste due costanti dei suoi studi nello studio clinico dell'"intelligenza" a favore del quale spezzava una lancia allo scopo di approfondire la conoscenza della fisiologia del pensiero, attraverso lo studio dei neoplasmi e della formazione del callo (approfondimento istologico dei tessuti). Nondimeno l'influenza della psiche stessa all'interno delle varie patologie ed in relazione ai diversi pazienti; una differenziazione che potrebbe ricordare vagamente quella che sarà la futura metodologicità freudiana, sebbene siano molti gli elementi dissonanti tra questi due personaggi, nonché vasto l'intervallo temporale. Fulcro del metodo del Lombroso era la cosiddetta 'pura psicologia', indispensabile, a suo avviso, per spiegare fenomeni quali le allucinazioni ed i fenomeni dell'"idea", riconducendo a sub specie historica le varie forme di malattia, in una concezione che faceva del 'manicomio' un compendio evidentissimo dello sviluppo umano, quasi un campionario storico, dalla 'tabula rasa' del selvaggio, sino ai lampi di genio della follia. Nel 1898 inaugurò a Torino un museo di psichiatria e criminologia (più tardi chiamato "di antropologia criminale").
Il museo, per lungo tempo chiuso al pubblico (la collezione costituita da migliaia di pezzi tra reperti anatomici, manufatti e scritti di criminali ed alienati, reperti probatori, armi proprie ed improprie, strumenti scientifici, documenti e fotografie, ecc. era parzialmente accessibile soltanto per motivi di studio e di ricerca) è stato inaugurato di nuovo il 26 novembre 2009 e nuovamente aperto al pubblico. L'odierno allestimento è opera dell'architetto Massimo Venegoni.

 

Il primo caso

Dopo il 1870, data assunta come inizio del 'periodo pesarese', e dopo gli studi condotti sulla pellagra, il Lombroso si concentrò più propriamente sullo studio dell'antropologia, dei pazzi e dei criminali, giacché in questi gli sembrava di rinvenire maggiormente le 'stigmate del primitivismo'. Il primo caso che si trovò ad esaminare fu quello del brigante Villella, settantenne, datosi alla macchia nei monti. L'autopsia del Vilella, probabilmente una di quelle che più si impressero nella mente del Lombroso, evidenziò alla base del cranio la fusione congenita della parte corrispondente dell'occipite con l'atlante, ed altre caratteristiche anomale, quali ad esempio la mancanza della cresta occipitale interna, la deformazione della cresta mediana ed altre deformazioni delle ossa craniche, che spinsero il Lombroso a considerare che quelle peculiari caratteristiche ossee avessero avuto una certa qual influenza sull'attività del cervelletto; la probabilità dell'eziologia di queste anomalie poteva essere imputata ad un arresto allo stato fetale nello sviluppo del cervello, considerazione evidentemente embriogenetica che mise il Lombroso sulla strada che accostava l'analisi evoluzionistica alla medicina legale applicata alle patologie, attraverso un iniziale confronto con i primati. Infatti il trovare negli uomini la fossa mediana, di norma presente solo in primati e gorilla, suscitava l'ipotesi che fosse presente un nesso tra l'evoluzione naturale della specie ed i comportamenti del singolo all'interno del contesto sociale. Un primo accenno di ricerca in questo senso si può ricondurre all'anno 1869 in cui studiosi inglesi avevano riscontrata la capacità cranica dei delinquenti minore di quella dei pazzi, ed anno in cui il Golgi stesso studiava le relazioni eziologiche tra delitto e pazzia. Fu così che nacque la 'convinzione atavica' avallata da un secondo caso, quello del contadino Verzeni, omicida ed antropofago, che presentava caratteri atavici o d'involuzione, vale a dire di 'mancata evoluzione', che, secondo il Lombroso, avrebbero, in una certa qual misura, motivato le manifestazioni 'anomale' della sua condotta, derivanti, indipendentemente dall'atto di scelta volontaria e cosciente, direttamente da deviazioni della struttura fisica. Il problema che si presentò al Lombroso fu quindi quello di ridefinire alla luce di queste intuizioni e teorie il problema del delitto in termini di libero arbitrio e di responsabilità, ovvero di educazione, od addirittura di terapia. Le parole del Lombroso sono a riguardo vistosamente influenzate da un determinismo assoluto, derivante dal procedere delle indagini, preminentemente sperimentali, intrecciate con studi psichiatrici sia sulla pazzia sia sul cretinismo in genere, da cui prenderà corpo la 'teoria dell'uomo delinquente'.

 

Teorie

 

Genio e follia

All'inizio l'opera del Lombroso dovette combattere per sradicare i pregiudizi morali relativi alla delinquenza, ormai ben radicati nel substrato sociale. Infatti, la maggior parte dei contemporanei continuava a considerare i delinquenti unicamente colpevoli, reputando irrilevanti gli studi del Lombroso. Nonostante ciò la teoria dell'equivalenza epilettica del delitto (o meglio, della sua componente epilettica) guadagnava terreno, benché proclamata relativamente tardi (ma già individuabile in testi quali Genio e Follia e Du démon de Socrate (1836, del francese Lélut). L'interesse per il genio derivava anche da concezioni residue di stampo illuminista relativamente ad un'immagine della storia come 'catastrofica' (nel senso greco di catastrophè), caratterizzata da subitanei rivolgimenti dovuti a cause naturali o individuali (cioè i genii), teoria avallata dall'evoluzionismo emergente contemporaneo al Lombroso che tendeva a considerare a tal proposito i geni come una certa qual sottospecie di eroi. In una pubblicazione del Lombroso a riguardo, Sulle malattie proprie degli uomini dati ai lavori intellettuali, è concepito il legame tra genio e follia, che aveva collegato a questi due fattori anche peculiarità fisiche riscontrate dal Lombroso nei pazzi. Nei vari manicomi in cui condusse le sue analisi, il Lombroso oltre a trovare le tare ed i difetti, le anomalie individuali, aveva trovato anche lampi di genialità e passione, coltivando ipotesi che per certi versi lo allontanavano un po' dalla teoria epilettica. Era stato molto colpito dalle idee dei pazzi, dai loro lavori ingegnosi e dai loro calcoli prodigiosi, continuando sulla strada secondo cui tra i pazzi abbonderebbero i fondatori di religioni e partiti, come, ad esempio, Lutero, Savonarola e Giovanna d'Arco. Le distrazioni dei genii erano ritenute dal Lombroso come momenti di assenza epilettica, così come le loro visioni notturne (in Dostoevskij, Maupassant, Musset), le malinconie (Voltaire, Molière, Chopin, Giusti), i tentativi di suicidio (Rousseau, Cavour, Chateaubriand), le megalomanie (Maometto, Colombo, Savonarola, Bruno), la timidezza (Leopardi), l'amore infantilistico (Dante, Alfieri, Byron). Fisicamente il Lombroso asseriva la predominanza tra i geni di caratteristiche quali il pallore, la magrezza o l'obesità, l'essere rachitici, sterili o celibi, di cervelli per la maggior parte di volume superiore alla media e con deformità (come le suture anormali nel cranio di Volta); esistevano poi anche casi in cui i genii erano totalmente ed irreversibilmente pazzi, non soltanto in alcuni momenti o in manifestazioni latenti, si vedano gli esempi di Tasso, Gogol, Ampère, Kant e Beethoven. Tuttavia insieme a queste analisi caratteriali, il Lombroso sosteneva anche alcune teorie più opinabili, come ad esempio quella che le grandi variazioni barometriche e la canicola influenzerebbero la pazzia e le grandi scoperte o le osservazioni più acute (adducendo come esempi i casi di Malpighi e Galvani).
Dal 1876 divulgò la propria teoria antropologica della delinquenza nelle cinque successive edizioni de L'uomo delinquente, che successivamente espanse in un'opera in più volumi. Tra i massimi studiosi di fisiognomica, Lombroso misurò la forma e la dimensione del cranio di molti briganti uccisi e deportati dal Meridione d'Italia in Piemonte nel corso dell'occupazione sabauda, concludendone che i tratti atavici presenti riportavano indietro all'uomo primitivo. In effetti quella che sviluppò fu una nuova pseudoscienza che si occupava di frenologia forense. Egli dedusse che i criminali portavano tratti anti-sociali dalla nascita, per via ereditaria, cosa che oggi si considera del tutto infondata. Da notare che Lombroso aveva sviluppato la teoria dell'atavismo un anno prima della pubblicazione de L'origine delle specie di Darwin (1871).
Di fatto il suo lavoro nella prima metà del XX secolo venne chiamato in causa nel contesto dell'eugenetica e da certe forme di "razzismo scientifico", che ebbero numerose conseguenze.
Lombroso sostenne sempre con forza la necessità dell'inserimento della pena capitale all'interno dell'ordinamento italiano. Riteneva infatti che se il criminale era tale per la sua conformazione fisica, non fosse possibile alcuna forma di riabilitazione, individuando in tal modo l'obiettivo cui il sistema penale doveva tendere per la sicurezza della società.
Alcuni degli studi più strani effettuati da Lombroso nel corso della sua vita di ricercatore furono La ruga del cretino e l'anomalia del cuoio capelluto, L'origine del bacio, Perché i preti si vestono da donne. Nel 1891 pubblica in collaborazione con Filippo Cougnet un libro intitolato Studi sui segni professionali dei facchini - Il cuscino posteriore delle ottentotte - Sulla gobba dei cammelli - Sulla gobba degli zebù e nel 1896 un lavoro su Dante epilettico.
Un importante collaboratore "involontario" di Lombroso nei suoi studi fu Giuseppe Villella (Motta di Santa Lucia 1803 - Pavia 1872), pluripregiudicato per incendio e furto e sospettato di brigantaggio. È dallo studio autoptico del suo cadavere che Lombroso scopre la cosiddetta "fossetta occipitale mediana": l'anomalia della struttura cranica fonte, a suo dire, dei comportamenti devianti del "tipo criminale". Il teschio del "brigante", purtroppo non poté ricevere degna sepoltura, infatti è tuttora esposto su una mensola del museo torinese lombrosiano. La stessa sorte è toccata ai numerosi resti di persone che nell'Italia del Sud sono considerati eroi e patrioti, morti per la libertà. A dimostrare che la scienza e la morte non guardano le differenze sociali la testa stessa di Lombroso è conservata in formalina in un vaso di vetro nel Museo di antropologia criminale "Collezione Lombroso" presso l'Istituto di medicina legale a Torino.
In un recente studio di antropometria, La vera storia del cranio di Pulcinella, il naturalista napoletano Dario David ha messo in luce che in un campione di individui abbastanza esteso, costituito da ex detenuti, confrontato con un campione di individui mai stati sottoposti a misure detentive, i tratti somatici del "delinquente" di Lombroso avevano percentuali significativamente diverse a seconda del quartiere di Napoli da cui proveniva il campione: 50% in alcuni zone popolari (Forcella, Sanità, Quartieri Spagnoli e soprattutto il Cavone), 12% in tutti gli altri quartieri. La causa più probabile, essendo i campioni provenienti da quartieri aree diverse della medesima città, sembra essere il fatto che quei tratti somatici si siano sviluppati in abbondanza in zone particolarmente chiuse e isolate (socialmente e geograficamente) dove la cristallizzazione di un dato carattere sia più facile. In queste stesse zone vigeva un regime di povertà e abbandono da oltre 400 anni, e quindi vi era un maggiore rischio di insorgenza criminale (rispetto ad altri quartieri della stessa città). In un certo senso si può oggi parlare di "ragioni di Lombroso": la concomitanza tra caratteri somatici e comportamento umano potrebbe esistere, ma di certo non secondo il legame diretto causa-effetto, della teoria atavica, che fu ipotizzato dall'autore.
Da un punto di vista metodologico e statistico i testi di Lombroso difettano per l'esiguità e la mancanza di bilanciamento dei campioni considerati, questo ad ulteriore danno della scientificità delle conclusioni ottenute.

 

I mattoidi

Negli individui definiti dal Lombroso 'mattoidi' si diversifica l'impulsività epilettica, rispetto agli accessi impulsivi e preminentemente contraddittori caratteristici dei criminaloidi. Questi soggetti vengono accostati al cosiddetto 'genio', caratterizzato dall'istantaneità creativa dell'ispirazione, dall'irresistibilità all'estro, dalle assenze e dall'amnesia, ricordando come caratteristica principale dell'intelletto geniale quella che il Lombroso definiva 'creazione incosciente' (non a caso accostata al fenomeno singolare dell'epilessia). La classe dei mattoidi era quella situata esattamente sul confine tra saviezza e follia, caratterizzata da una paranoia a se stante, indipendente da quelle che le sono vicine. Infatti a differenza dei pazzi comuni, i mattoidi conducono una vita normale, sebbene castigata in certo qual modo. La loro sobrietà, in quanto innaturale e forzata, può talvolta raggiungere l'eccesso, avvicinandoli a certi geni del bene o grandi pensatori, con i quali, precisa il Lombroso, essi non hanno nulla in comune, facendogli così guadagnare il favore delle folle. Sono tipi umani concentrati sull'ordine, pedanti, abili e di buon senso nella quotidianità, al punto che sono capaci di occultare la loro follia. Spesso il loro ruolo sociale è quello di patrioti o spiriti umanitari, capaci di influenzare le folle con la loro audacia e le loro fanatiche convinzioni. Tipiche dei mattoidi erano considerate le tendenze metafisiche, la passione delle minuzie, la smania paranoica del voler rinvenire una ragione logica in cose che fondavano su altri elementi la loro esistenza. Ad un'analisi più attenta risulta chiara l'influenza, nell'analisi di questi personaggi da parte del Lombroso, dell'impostazione positivista, che procedeva elencando pedissequamente le peculiarità di questa classe, facendovi rientrare uno straordinario numero di individui. Il loro modo di ragionare procedeva per analogia, giochi di parole ed immagini poetiche, un vasto campionario della loro irrazionalità sarebbe dovuto al fanatismo 'economico' (che aveva preso il posto di quello religioso), di carattere socialista ed anarchico. Ma, oltre all'elemento epilettico ed al fattore ambientale, il Lombroso riteneva che l'eziologia del delitto non potesse essere ridotta a questi due termini, lasciando da parte in fattore genetico ed embriogenetico. Perciò introdusse anche l'elemento ereditario, distinguendo l'eredità diretta, dei fattori criminaloidi, vale a dire quella derivata direttamente dai genitori, e quella indiretta,derivante invece dalla famiglia degenere, che influivano sulla formazione del criminale come il clima sui delitti; infatti secondo il Lombroso i mesi caldi favorivano i delitti di sangue mentre i cambiamenti di tempo e l'avvicinarsi delle tempeste predisponevano agli attacchi epilettici. Tra i delinquenti nati (epilettici, pazzi morali irriducibili) ed i delinquenti pazzi (dipsomani, isterici ed allucinati) si collocano quindi i criminaloidi, cui non mancano istinti inibitori e sono riducibili quantitativamente quelli egoistici. Socialmente parlando, il Lombroso riteneva che attività quali il commercio, la politica e la vita militare li facilitassero nel delitto, che la paura della pena avesse il potere di frenarli, mentre, una volta in carcere, venissero irreversibilmente trasformati in rei d'abitudine.

 

I caratteri atavici

Al centro della nuova scuola antropologica stavano le concezioni del Lombroso a proposito dell'uomo delinquente, distinto dall'alienato non delinquente concepito dapprima come un superstite selvaggio. Oltre al delinquente nato c'erano, per il Lombroso, il mattoide ed il delinquente di occasione. Antropologicamente il delinquente appariva come un primitivo più prossimo ai primati infraumani, capace di compiere azioni un tempo ritenute oneste, ma considerate delitti dalla società contemporanea con la quale si trova a contatto. I caratteri che manifestano l'atavismo e la degenerazione sarebbero esplicitati fisicamente dalla presenza di caratteristiche quali le grandi mandibole, i canini forti, gli incisivi mediani molto sviluppati a discapito dei laterali, i denti soprannumerari o in doppia fila (come nei serpenti), gli zigomi sporgenti, le prominenti arcate sopracciliari, l'apertura degli arti superiori di lunghezza superiore alla statura dell'individuo, i piedi prensili, la borsa guanciale, il naso schiacciato, il prognatismo, le ossa del cranio in soprannumero (come negli Incas, nei Peruviani e nei Papua) ed altre anomalie fisiche e scheletriche nonché caratteri funzionali diversi da quelli dell'uomo evoluto; ad esempio una minore sensibilità al dolore, una più rapida guaribilità, maggiore accuratezza visiva e dicromatopsia ed anche tatuaggi ed accentuata pigrizia. Nei cosiddetti 'normali' non sarebbero riscontrabili cotante anomalie funzionali e costituzionali, come provato dalla comparazione tra 340 grandi criminali e 711 soldati. La convinzione del Lombroso era quella che finanche l'utilizzazione dei ritrovati della civiltà fosse per il delinquente mezzo di appagamento di istinti egoistici, antisociali ed impulsivi. Dal punto di vista strutturalistico l'analisi condotta comportava le conclusioni che, essendo considerato delitto presso i selvaggi ed i primitivi il gesto che infrange l'usanza', se nell'uso fossero passate azioni per noi criminose non vi potesse esser modo di qualificare come 'delinquente' chi le commettesse, in quanto ormai parte dell'usanza della comunità. Per il Lombroso il delinquente nato si identifica col delinquente epilettico, nonché col pazzo morale e fornisce, come variazione antropologica, il delinquente alienato. Il delinquente è caratterizzato dall'assenza del senso morale (insensibilità, cinismo, apatia) e dell'imprevidenza. Il delinquente di abitudine ha sue proprie caratteristiche attenuatamene patologiche, perciò assimilabile a delinquente per passione, che agisce in seguito ad un offuscamento momentaneo del senso morale e, tuttavia, non è mai recidivo. A differenza di quest'ultimo il delinquente d'occasione ha congenito uno scarso senso morale e può diventare con ogni probabilità recidivo. Cause esterne del delitto erano, per il Lombroso, le condizioni sociali, le influenze climatiche, la mancanza di un'educazione morale e sociale, la miseria, i difetti di legislazione. Vi erano tuttavia anche cause innate, interne all'individuo od acquisite dallo stesso nel corso della propria vita, quali ad esempio le lesioni del capo, le malattie che aggrediscono l'asse cerebro-spinale, ma anche l'alcoolismo, e tutte quelle patologie che si manifestano dal punto di vista psichico come caratteri di arresto dello sviluppo e disordini nell'intelligenza e nell'affettività più propriamente.

 

La patologia femminile

Sono da menzionare anche le analisi compiute dal Lombroso riguardo alle patologie femminili, completando il richiamo all'evoluzione nell'affermazione che la donna avrebbe minori 'stigmate degenerative', perché le sue caratteristiche psichiche e fisiche tendono a variare in misura minore che negli individui maschi. La minore frequenza del tipo criminale della criminalità-nata nel soggetto femminile non era tuttavia abbastanza per impedire la creazione di un'immagine poco morale della donna. Accanto alle constatazioni più propriamente fisiologiche questa volta si trovarono a confrontare anche fatti e credenze di costume sociale: ad esempio il fatto che l'equivalente femminile degli atavismi maschili potessero essere più che il delitto, azioni quali la prostituzione, parallelo femminile del furto nell'uomo. Così il passo dai problemi fisio-antropologici a quelli sociali ed etici era molto breve e potrà aiutarci nella riflessione il considerare la posizione del Lombroso: preminentemente scienziato, incline all'emancipazione femminile nel combattere le coercizioni crudeli di sempre che accrescevano la condizione di sottomissione della donna. L'analisi partiva, statisticamente, dal rapporto di ciascun campione con una tipologia di donna definita 'normale' (come gli scarti dei valori statistici dalla media aritmetica). L'anatomia e la biologia della donna erano strumenti di conferma della sua inferiorità di statura e peso dopo la pubertà, rispetto al maschio; molteplici furono le osservazioni sui vari organi, sul sangue e sul suo contenuto in globuli rossi (inferiori nella donna), sul cranio e sul peso del cervello. L'analisi psicologica invece è dominata da un atteggiamento strutturalista; secondo i più la donna sopportava meglio le disgrazie, era più irritabile e sovente dominata dall'amore materno, anche indiretto. Secondo il Lombroso caratteristiche proprie del genere femminile erano il misoneismo, l'intelligenza automatica ed intuitiva, l'iracondia e la coscienza giuridica nonché la propensione 'ciarliera'. La definizione della degenerazione femminile e delle forme patologiche di interesse ai fini dell'opera fondava il proprio agire sulle ricerche anatomo-patologiche, considerate di maggiore utilità rispetto all'antropometria cranica; le anomalie patologiche degne di nota erano: apofisi ingrossate, bozze temporali, parietali ed occipitali molto sviluppate, fronti sfuggenti o strette, fossette occipitali, platicefalia, prognatismi, sclerosi craniche, zigomi sporgenti, ossa wormiane. Molti studi condotti sulle 'prostitute' rilevarono la presenza di patologie quali asimmetria cranica, troncocefalia, idrocefalia e soprattutto altre anomalie del cranio e dei denti. Le criminali-nate erano, secondo il Lombroso, in minor numero ma spesso di maggior efferatezza dei criminali-nati(maschi), alcuni elementi poco presenti nell'eziologia dei delitti maschili (ad esempio la premeditazione) sarebbero invece presenti in modo evidente nei gesti scellerati delle donne, portando alla predominanza del delitto passionale egoistico e del suicidio.Quantunque da un'attenta osservazione dei dati statistici rilevati possano sembrare affrettate, le conclusioni del Lombroso su questo tema vanno tenute comunque in considerazione, se non altro per il fatto che hanno dato inizio all'analisi di queste tematiche (ponendo l'accento anche sull'aspetto più biologicamente sessuale) in un periodo in cui questa classe di problemi incominciava appena ad essere considerata scientificamente dal punto di vista medico ed anatomo-fisiologico.

 

I delinquenti ed il fattore epilettico

Già in tempi relativamente precedenti alle elaborazioni del Lombroso, studiosi quali il Maudsley asserivano che la criminalità è una varietà di neurosi e che i delinquenti fossero degenerati ereditarii. Le cause della degenerazione potevano essere ricondotte in primis all'alcool ed alla pellagra ma anche elementi quali industrie, professioni, miserie, non andrebbero scartati. Il Lombroso proseguì sulla strada già intrapresa dall'Antonini, che sosteneva che tutte le degenerazioni sarebbero osservabili per alterazioni fisiche, intellettuali e/o etiche. Nella formulazione più propriamente 'definitiva' dell'uomo delinquente mancavano però ancora due elementi; vale a dire il fattore epilettico e la varietà politica. Il primo di questi due elementi testimonia evidentemente l'affievolirsi dell'elemento storico ed il sopravvento della visione strutturalistica tipico dell'ultima fase del positivismo, elemento suggerito a Lombroso da due suoi casi. Il primo era quello di un nobile, le cui 'stranezze sadiche' furono considerate dal Lombroso come equivalenti all'accesso epilettico, il secondo era quello della strage compiuta tra i commilitoni dal soldato calabrese Misdea, che inoltre, al risveglio dopo il fatto delittuoso non mostrava né completa incoscienza (come i malati di epilessia), né alcun rimorso (comportandosi dunque come i delinquenti nati). Le discussioni riguardo l'influenza del fattore epilettico sul gesto delinquenziale fervevano già dal decennio precedente a questi due casi, quando l'analisi più propriamente scientifica del fenomeno dell'epilessia aveva condotto ad innovative quanto inquietanti scoperte, sia per l'immensità dell'orizzonte medico e patologico, sia per gli opinabili metodi di sperimentazione. L'epilessia appariva agli studiosi come la spiegazione dell'arresto di sviluppo riscontrabile nei delinquenti e della pazzia morale nel suo scatenarsi accessuale. L'attenzione era concentrata sulle anomalie ataviche, sulla sclerosi cronica, sulla submicrocefalia, sulle asimmetrie, sullo strabismo, sull'omodontia ed inoltre sull'eccessiva agilità, sull'ottusità sensoriale e sulla ristrettezza del campo visivo. Secondo quanto si credeva allora l'epilessia (nella sua forma di attacco convulsivo, improvviso, reiterato, accompagnato da incoscienza) era provocata da irritazione del midollo spinale o dei lobi laterali dell'encefalo. La delinquenza era quindi paragonata ad una trasformazione dell'epilessia, classificando così la delinquenza stessa tra le forme di epilessia, provocata dall'eccitazione dei lobi frontali della zona motoria. Essendo questa un'affezione congenita della corteccia cerebrale il compimento di certi delitti coincideva col manifestarsi di certi altri tipi di epilessia, anche con caratteristiche diverse tra loro. Le forme più oscure di delinquenza andavano allora ricondotte ad un'epilessia psichica. Si diceva 'prolungando l'accesso psichico all'infinito si ottiene il pazzo morale, il delitto diventa per lui un bisogno'. A tale proposito il Roncoroni trovò un'anomalia istologica dello strato granulare profondo, inversione degli strati piramidali e delle piccole cellule. La conclusione logica era che il delinquente non era che un malato. Il Lombroso studiò la fisionomia di 410 epilettici e vi trovò in 1/4 dei casi la convivenza dei caratteri degenerativi attribuiti ai delinquenti. Da queste convinzioni deriva la teoria che gli accessi degli affetti da epilessia sarebbero paragonabili a quelli dei pazzi morali. La molteplicità ed indipendenza dei centri corticali motivava la varietà delle epilessie, legate alla diminuita azione direttrice dei centri superiori ed all'aumento dell'eccitabilità dei centri sottoposti.

 

Il Delitto Politico

Sono testimoniate le ricerche compiute da un assistente del Lombroso, Virgilio Rossi, riguardo i rapporti esistenti tra rivoluzioni, clima, razze, stagioni ed ambiente geografico, elementi da cui muove l'elaborazione teorica riguardante il concetto stesso di 'delitto politico' ad opera del Lombroso, che non si limita a definirlo, esplicitandone le probabili cause. Il delitto politico era considerato dal Lombroso come una 'forza' all'interno del corso storico; quest'ultimo, come ogni evento in natura, segue una legge d'inerzia che tende a far persistere le cose nel modo in cui si trovano in un determinato momento: avviene un delitto politico quando a questo procedere naturale si oppongono altre forze dovute al dinamismo storico, che segnano un brusco cambiamento dal passato. Il delitto politico è un gesto che attenta alla compagine di regole stabilite, alle tradizioni storiche e sociali esistenti, urta bruscamente contro la legge d'inerzia e si opera sempre per ideali grandiosi contro un'istituzione che impedisce l'ulteriore progresso di un popolo. Occorre però distinguere tra 'rivoluzione' e 'rivolta', in quanto la prima è espressione storica dell'evoluzione contro una causa di oppressione atroce, la seconda è l'opera di una minoranza che eccede in filoneismo o misoneismo (a seconda dei casi) al fine di imporre delle idee non volute dalla maggioranza. Il Lombroso considerava però che entrambe queste manifestazioni avessero una causa comune: i climi, le razze, le religioni, la miseria, potevano fornire talora i motivi di una rivoluzione, talaltra quelli di una rivolta. Secondo il Lombroso i mesi estivi favorivano le rivoluzioni e le rivolte, le montagne sarebbero state 'habitat' di conservatori e controrivoluzionari, mentre invece le colline ospiterebbero geni e rivoluzioni, i popoli agricoli sarebbero misoneici, quelli industriali filoneici, la lotta di classe sarebbe il maggiore fattore di rivolta. Non andava sottovalutato nemmeno il fattore psicopatico, in quanto l'imitazione ha un ruolo non poco importante nella riuscita di una rivoluzione o di una rivolta. Fattori quali la miseria rafforzerebbero i misoneisti in un paese povero, ed i filoneisti in un paese ricco, contrariamente a quanto si potrebbe pensare. Delinquenti politici erano quindi quegli uomini che abbraccian la bandiera del progresso. Dopo che il Lombroso ebbe letto L'idiota di Dostoevskij (genio epilettico) gli fu confermata la tesi dell'esistenza di un nesso tra epilessia, genio e pazzia. Le opere che nacquero da queste analisi sono: Genio e Follia, Genio e Degenerazione (1901), Nuovi studi sul Genio (1902), dove sono approfondite le notizie su personalità storiche quali il Manzoni, Cristoforo Colombo, Cesare Beccaria, Tolstoj, Petrarca ed altri.

 

La psicologia collettiva

Il Sighele, considerato uno dei fondatori della psicologia collettiva in Italia, riconobbe i meriti del Lombroso in questo settore. Infatti il Lombroso anticipò, per certi elementi, la vera e propria psicologia collettiva: secondo lui l'aggregato non riproduceva sempre pedissequamente i caratteri degli individui che lo compongono (tesi invece sostenuta dallo Spencer), ma talvolta li modificava, snaturandoli in modo peggiore o migliore del loro stato naturale; un esempio addotto come probante era quello che in un gruppo di persone 'onorate' solitamente non si osserva la somma delle loro virtù, bensì la loro sottrazione. Secondo il Sighele le opere più rappresentative del Lombroso per quanto riguarda la psicologia collettiva sono Il delitto politico e le Rivoluzioni e La Delinquenza nella Rivoluzione Francese, dove vengono considerati accuratamente i rapporti tra follia e criminalità, la follia endemica ed epidemica nel contesto delle rivolte e delle rivoluzioni, i criminali politici per suggestione epidemica delle masse, l'anima collettiva e l'influenza che ha su di essa il fenomeno dell'imitazione, del contagio morale e della suggestione, l'obiettivo nobile che si ritiene perseguibile unicamente e doverosamente attraverso i reati, in linea con la convinzione che la psicologia delle scienze, come quella delle leggi e delle istituzioni in genere fosse un ramo di una psicologia delle menti associate, quasi una struttura sovrapposta alla più diretta psicologia delle menti individuali.

 

Il fattore antropologico

L'influenza dell'antropologia positivista

È innegabile il ruolo preminente occupato, almeno all'inizio, dal fattore antropologico nell'elaborazione della metodologia del Lombroso. Occorre inoltre considerare il contesto all'interno del quale si è sviluppata tutta la sua teoria, vale a dire quello positivistico, che promulgava la predominanza dell'intelletto e della ragione, della misurabilità e dell'approccio scientifico come l'unico dotato di innegabile realismo e veridicità in opposizione a tutto ciò che lo aveva preceduto. In questo ambito risultano giustificati gli interessi del Lombroso per materie quali la razziologia, l'antropometria, l'etnologia e la morfologia umana, tutte materie, tra l'altro, riconducibili al più vasto ambito dell'antropologia generale, che essa stessa, sotto influenza positivistica, vede accentuata la sua connotazione biologica e somatica, rispetto a quella filosofica e culturale, in realtà parimenti importante. I documenti a cui rifarsi per comprendere appieno quale fosse il clima antropologico che ha influenzato il Lombroso possono essere l'Antropologium di Magnus Hundt (scritto risalente al 1501, molto rivalutato in epoca positivista),L'unità della specie umana del Quatrefages (che può essere considerato un compendio delle tesi previamente esposte da personalità quali Louis Agassiz e Broca), nonché il materiale ricavato dal Morton, da Gliddon e da Nott (ad esempio Types of mankind del 1854, oppure Indigenous Races of the Earth del 1858, ed infine Essai sur l'inégalité des races humaines del Gobineau, 1855). Va tuttavia considerato testo chiave dell'influenza antropologica il saggio di Charles Darwin On the Origin of species, giustamente ritenuto pietra miliare della nuova era antropologica e biologica. C'è da dire inoltre che l'interpretazione positivistica del Lombroso accantona il travaglio filosofico dello storicismo del Vico circa il graduale passaggio dal cosiddetto 'stato ferino' a quello umano, preferendo orientarsi verso un'ipotesi scientificamente monogenista, insistendo anche su Linneo (1735), che inseriva tra gli antropomorfi anche creature quali l'Homo Sapiens, l'Homo Nocturnus e L'Homo Caudatus, ammettendo un principio di mutamento, con la sparizione delle specie antiche e la nascita di nuove, che per certi versi è rintracciabile anche nello stesso Darwin. In questo modo il Lombroso iniziò a colmare il vuoto che rimaneva tra lo studio della mente umana e lo studio del corpo, interessandosi ai fattori linguistici e più scientificamente umani dei soggetti esaminati. Erano già stati pubblicati dal Morton nel 1839 i suoi studi sui crani americani ed egiziani,nonché quelli del Davis per i crani britannici, dal momento che la craniometria aveva assunto una certa qual importanza, dopo il suo sviluppo nel Settecento, quando la concentrazione era focalizzata sulla posizione del foro occipitale e sulle differenze tra il cranio umano e quello antropoide, ed in seguito quando si stabilì attraverso misurazioni comparate come le razze formino una scala gerarchica il cui gradino inferiore si collega a quelle antropomorfe. Il Lombroso, dal canto suo, attribuiva grande importanza all'opera di Paul Broca del 1860, che pubblicò le sue norme per indagini antropologiche, giacché gli ideali di operosità ed attività antropologica e di ricerca del Lombroso affermavano che il metodo positivo rappresentasse una tappa fondamentale nel sapere, in quanto fondato sulla misura, per lui sinonimo di obiettività e possibilità di valutazione intersoggettiva comune, unità di metodo e, per certi versi, maggiore certezza di risultati (sempre rispetto alle metodologie di ricerca passate).

 

Divulgazioni e deformazioni delle teorie

A cavallo tra Ottocento e Novecento si può riscontrare un'integrazione tra i concetti di 'Uomo Delinquente' e 'Uomo Genio', con un ulteriormente accresciuto peso accordato alla tesi dell'epilessia, la cui analisi antropologica si andava estendendo ad un campione molto vasto, anche grazie all'operato di quelli che si potevano ormai definire 'seguaci' del Lombroso. Bisogna dire che sul piano naturalistico le elaborazioni lombrosiane hanno sempre mantenuto la loro coerenza, perché costantemente riferite agli iniziali lavori zoologici compiuti ed esaminati dal Nostro (anche attraverso lo studio del Roux e del Mečnikov) che lo portavano alla conclusione che cervello ed intelligenza siano inversamente proporzionali a stomaco, muscoli ed ossa, vale a dire quanto più si sviluppano i primi, tanto più vengono trascurati i secondi, e viceversa. Di conseguenza la genialità comporterebbe una certa qual degenerazione, individuata dal Lombroso proprio nella sua caratteristica epilettoide, testimoniata sia da analogie nelle caratteristiche somatiche e psicologiche sia da genii che sicuramente soffrirono di epilessia, sia dall'incoscienza del momento creativo, nonché da certe somiglianze tra le caratteristiche delle personalità esaminate. Tuttavia questo procedimento per analogie e comparazioni si rivelò fallace nel momento in cui i suoi seguaci tentarono di indagare in modo indipendente, al fine di dare riscontro sperimentale alle loro teorie. Ne può essere un esempio l'ampliamento dell'intuizione del Moreau con la paradossale applicazione del Nordeau di quelle teorie all'arte (sostenendo, quest'ultimo che le direzioni della moda nell'arte e nella letteratura fossero dovute alla degenerazione dei loro autori, e che gli ammiratori si appassionassero per manifestazioni derivanti da pazzia morale), oppure i tentativi di spiegazione fisiologica della genialità nel Flechsig, nel Gallerani, ma anche la teoria biologica di Morselli e Venturi (che consideravano i genii come variazioni divergenti in senso progressivo, e le teorie sociologiche di autori quali Galton e J.M.Baldwin. Quelli che più si mantennero vicini alla metodica lombrosiana furono il Roncoroni (un tempo collaboratore nel Lombroso), l'Arndt ed il Myers, che individuarono relazioni specifiche tra genio e paranoia; il Sergi ed il Simons concentrarono le loro attenzioni su 'input' lombrosiani riguardo alla precocità del genio, alla genialità della donna ed alla longevità dei genii (Thayer), nonché a manifestazioni quali i sogni del genio (Morselli). Il fenomeno della genialità, sfuggendo ad un'analisi sistematicamente scientifica, richiedeva un approccio di 'svisceramento antropologico' che tentava di suddividere le fasi della creazione geniale (come ad esempio nel Del Greco). In quel periodo la fama del Lombroso era divenuta notevole a livello del grosso pubblico borghese cui non dispiacevano neppure taluni aspetti del suo socialismo conservatore; i quotidiani ospitavano articoli di grandi e noti studiosi; negli Stati Uniti nacque una serie di saggi su vari periodici (quali Open Door e Popular Science Monthly), ma anche in Russia e in Germania (Zukunft e Freie Welt), che deviarono poi la loro attenzione sull'analisi dell'estrinsecazione simbolica di sentimenti e stati d'animo attraverso gesti come il bacio, il saluto ed altri gesti di plauso, tappe fondamentali di quella che sarà la successiva evoluzione superorganica.

 

Il Metodo

Il fattore antropologico, messo in primo piano dall'opera del Darwin, contribuiva a saldare la cultura italiana a quella europea all'interno del fervore positivistico, tramite il dilaceramento, nel decennio decisivo del Risorgimento, tra Chiesa e Stato, dovuto alla troppa attenzione posta al piano scientifico, ed alla carenza di analisi sul piano spirituale. Per quanto riguarda il Lombroso sappiamo che non si discostò dal clima della sua epoca, vale a dire che aderì al credo ed alla visione scientifica positivista, concentrandosi sull'antropologia che, a suo avviso, aveva ereditato e raggiunto lo scopo della filosofia, attraverso la ricerca nelle misure e nell'empiricità, quelle conclusioni per tanto tempo ricercate nelle combinazioni astratte spesso influenzate dalle tradizioni; per il Lombroso l'antropologia costituiva il fondamento del positivismo evoluzionistico erigendosi, sempre a suo avviso, come una sintesi di: anatomia, geologia, archeologia, linguistica, storia e statistica. Risulta coerente con questa piattaforma ideologica la conclusione,condivisa del Lombroso, che il medico avesse delle applicazioni del tutto ovvie, giacché, abituandosi ad introdurre i fattori numerici e le misure nella sua attività clinica e di ricerca nello studio della psiche, si apre alla medicina legale ed alla psichiatria un campo inesplorato, fatto di indagini in cui sostituire alle precedenti fraseologie fondate su una 'irrisoria sperimentazione' lo studio della craniometria, del peso del corpo, restituendo, dunque, il medico a sé medesimo. Dal punto di vista spiritualistico, evidentemente sopraffatto sul terreno ideologico e culturale, a causa della presunzione di indipendenza della cultura positivista, soltanto il Rosmini manteneva il baluardo della necessità di utilizzare l'antropologia ai fini dell'indagine filosofica e morale, dai più considerata nemica. Il Lombroso, dal canto suo, formulò un discorso sulle razze originale ed abbastanza aggiornato per gli standard dell'epoca, ma che ebbe scarso seguito, a causa della limitatezza della borghesia progressista, nonché per l'onestà scientifica e lo spirito critico che gli impedirono di formulare tesi eccessivamente rigide e nette a riguardo. Va però sottolineato il fatto che l'antropologia fu per lui più che un metodo una vera e propria episteme, in cui convergevano senso storico ed esigenze strutturalistiche, fiducia nella statistica e sperimentazione, visione evolutiva e materialistica, fede nel progresso e nel miglioramento dell'umanità (toccando anche temi proposti dal Cattaneo).

 

L'uso della statistica

La convinzione dei realisti circa l'esistenza dei fatti indipendentemente dalla loro interpretazione, contribuiva massimamente a formare il metodo sperimentale delle scienze biologiche, che consisteva nell'analisi dei fatti, alla stregua di qualsiasi altro fatto storico, come evento o serie di eventi. La sperimentazione vera e propria della singolarità di ogni evento si attuava come riscoperta di eventi analoghi a quello considerato o in catene casuali rinvenute parzialmente nella natura, quindi non prodotte sperimentalmente dall'uomo; questo perché era preminente la concezione dinamica della natura come storia (che rimanda alle teorie del Vico, di cui sappiamo il Lombroso sempre fu grande ammiratore). L'analisi storica o genetica, costituente il metodo allora definito 'storico' si annullava però quando lo studioso andava a ricercare le eziologie o le catene genetiche comuni, volendo trascendere l'elemento storico e temporale, anziché insistere sulle peculiarità individuali del presente. Gli individui si trasformavano allora in classi, strutture, astrazioni, appariva palesemente il ripetersi delle vicende con un ritmo che ricorda l'anaciclosi polibiana, e che, in quel tempo, rassicurava sull'esistenza di un sapere sicuro al punto di essere operativo e dimostrabile sulla base dello schema intuito con la sperimentazione, derivata alle tecniche mediche dalle scienze biologiche, a conferma delle loro convinzioni realistiche. Il divenire e la dialettica venivano così assimilati a lotta per l'esistenza ed evoluzione, gli antichi valori venivano travasati nella fede nella scienza, riempiendo la pedagogia di medicina e d'igiene anziché di sapere e buon senso. L'enciclopedismo conferiva alle individualità biologiche oggetto d'analisi non solo carattere di individui empirici, ma di più grandi organismi, generi e specie e famiglie, concepiti come realtà effettivamente esistenti. A tale proposito la statistica, attraverso la quantificazione dell'omogeneità o analogia tra gli individui, sembrava essere il migliore degli ausili al fine dell'analisi scientifica e della creazione di una fisionomia organica delle astrazioni dei dati sperimentali. Fondamentale fu la teoria di Adolphe Quételet che, dal 1835, accostava al concetto di specie quello più propriamente statistico di "uomo medio", elaborato in una serie di lavori statistici ed antropometrici da cui si evince che le variazioni relative ai caratteri quantitativi sono in realtà variazioni in difetto od in eccesso rispetto ad un valore rappresentato dalla media aritmetica di tutti quelli trovati; dunque le deviazioni dalle medie, se riferite ad un numero significativo di individui, erano paragonabili a quelle che si presentavano nelle misurazioni compiute in ambito fisico per le misure di precisione. Questi elementi vennero tenuti a modello dal Lombroso nel corso delle sue indagini, infatti egli cercò di applicarli alla realtà italiana ed a quei settori che maggiormente lo interessavano (i.e. il cretinesimo e le alienzazioni), riconvergendo inevitabilmente in quella che è la legge dell'errore formulata dal Gauss.

 

Tipi di delinquenza e rimedi sociali

La scuola penale positiva e quella lombrosiana avevano, dopo la diffusione delle loro ricerche, stabilito una sorta di terminologia; i "delinquenti d'occasione" erano quelli che trasgredivano la legge per caso, i "delinquenti d'abitudine" erano invece quelli occasionali recidivi, i "rei latenti" quelli cui ancora non si era presentata l'occasione di delinquere, sebbene per circostanze o predisposizione potessero più facilmente esserne trasportati; socialmente si era considerato che a questa tipologia appartenessero soggetti quali prostitute, marinai, artigiani, soldati e professionisti. I "delinquenti per passione" invece delinquevano per una certa qual causa altruistica, al fine di sottrarre dal pericolo una persona amata, assolutamente senza premeditazione, spesso ripiegando nel suicidio rendendo circolare il gesto delittuoso. L'istruzione, secondo il Lombroso, diminuiva i reati di sangue ed accresceva invece quelli di truffa e sessuali; la religione, secondo il Lombroso, era aliena da qualunque influenza sul gesto scellerato, sebbene questa convinzione sia da imputare alla superficialità della riflessione del Nostro sul fatto religioso in senso assoluto, blindato precocemente nell'intelletto positivista e sperimentalista, forse anche per reazione a certi comportamenti del padre. Anche alcune malattie provocate dalla povertà avrebbero avuto un'influenza sul gesto criminale, ad esempio patologie quali la pellagra, l'alcoolismo, la scrofola e lo scorbuto. Secondo il Lombroso la donna era propensa a compiere meno omicidio e truffa che aborto ed infanticidio, i celibi e gli sposati senza prole delinquerebbero più facilmente. Per il Lombroso le prigioni potevano essere considerate come "università del delitto", capaci soltanto di impaurire coloro che difficilmente delinquono. Secondo il Lombroso la legge del perdono avrebbe potuto dare buoni risultati ingenerando timore ed evitando di sottoporre il reo alla degenerazione del carcere. Le carceri dovrebbero trasformarsi in manicomi criminali, inseguendo l'obiettivo, promulgato dal Lombroso, di allontanare dalla società il pericolo dei criminali nati e dei pazzi morali (le due specie ritenute maggiormente pericolose); i riformatori dovrebbero essere simili a famiglie (esperimento che si tentò a Torino), il divorzio avrebbe rimediato all'adulterio e l'abolizione del lavoro notturno avrebbe contribuito alla diminuzione degli stupri; si prospettavano anche iniziative per ridurre l'alcoolismo nella popolazione. L'attenzione del Lombroso in questo settore era fondamentalmente rivolta alla cosiddetta "profilassi del delitto", attraverso la lotta contro quelle che lui definiva le tre grandi superstizioni del suo tempo, le più ostacolanti e pericolose. La prima era quella della "volontarietà dell'atto criminoso", la seconda quella della "pena dosimetrica" e la terza quella dell'unicità geografica della legge penale, insistendo sulla necessità di un insegnamento superiore di criminologia, che avrebbe inevitabilmente contaminato anche lo studio superiore del diritto penale. Fondamentale era per il Lombroso conoscere le cause interne all'individuo e quelle esterne del delitto, tramite l'approfondimento della sociogeografia. Nell'analisi dei criteri e dei mezzi di repressione andavano enumerate, secondo il nostro, anche le influenze dettate dall'antropologia, dalla psicologia e dallo studio delle scienze ausiliari. Un programma simile sarà accennato dal Cattaneo in una riforma radicale delle leggi penali e del processo come procedura, riconoscendo l'individualità antropologica del delinquente al fine di assegnarlo al regime di detenzione più appropriato alla sua condizione. Secondo il Lombroso, la formalità del processo ne soffocava la sostanza e la materia, occultando la realtà con pregiudizi e presunzioni. Infine poiché, secondo il Nostro, nei delinquenti abbondavano audacia ed amore del nuovo, questi potevano essere reintegrati nel contesto sociale in situazioni quali l'attività militare (ad esempio contro i briganti).

 

Opere

 

Le prime elaborazioni teoriche sul caso del Cardano

"Sulla pazzia del Cardano" fu una delle sue prime opere: in essa prendono corpo le radici delle sue teorie, che nascono da quella "simpatia che ci fa care le sventure altrui", come la definisce il Lombroso stesso intendendo con questa perifrasi l'interesse per i morbi in genere.
Così il Lombroso si accostò alla teoria del personaggio domandandosi se il genio del dotto possa in qualche modo confondersi con la follia, problema già discusso da Forbes Winslow. In quest'opera il Lombroso si definisce "biografo e storico di un ingegno celebre", e procede minuziosamente nell'elencare i sintomi che accompagnavano la vita del personaggio, partendo dall'infanzia (sogni ricorrenti, allucinazioni, manie di persecuzione, ecc.) considerando il personaggio dal punto di vista biologico, più che antropologico, come fosse "eredità fusa di uno stupendo apparato nervoso suscettibilissimo e reso sempre più vibrante dalle scosse della scienza e della gloria". Lo studio del Lombroso in questo senso aveva già acquisito una metodologia, avendo egli deciso di partire nella sua analisi cronologica dalle vicende parentali ed anche più estesamente genealogiche ereditarie e proseguendo poi nella conclusione che gli studi del Cardano apparivano ad un occhio attento come sintomi di quell'impulso nervoso, ma colorati dall'intuito del genio. Importante è la parte centrale, che verte più prettamente sui nessi tra pazzia e sogno, avviando ad individuare in episodi autobiografici del personaggio la conferma di alcune leggi importanti per la storia psichiatrica.

 

Fonte: http://www.autistici.org/castalia/download/schemi,%20appunti%20e%20dispense/Storia%20della%20medicina%20-%20Dispensa.doc
Sito web: http://www.autistici.org/

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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