Il razionalismo critico

 

 

 

Il razionalismo critico

 

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Il razionalismo critico

 

               Il razionalismo critico

            Come problema pedagogico

                          Banfi,bertin

            E il senso della pedagogia

CAPITOLO 1

I PRINCIPI DEL RAZIONALISMO CRITICO IN A.BANFI

Durante i quasi 40 anni dell’egemonia idealistica in campo filosofico(Per idealismo si intende in filosofia una visione del mondo secondo cui tutto ciò che è reale è già contenuto preliminarmente (a priori) nella nostra mente. In senso lato, il termine abbraccia quelle filosofie, come ad esempio il platonismo, che privilegiano la dimensione ideale rispetto a quella materiale, affermando che l'unico vero carattere della realtà sia di ordine spirituale),si delinearono in Italia ache altre posizioni di pensiero.Tra queste posizioni nn idealistiche un posto centrale è occupato dal RAZIONALISMO CRITICO di Antonio Banfi. Antonio Banfi, giovanissimo nei primi anni del secolo scorso, aveva cominciato a sperimentare, sul piano della propria formazione intellettuale, i limiti e le chiusure di un mondo culturale che gli appariva dominato da “astrattezza, disorganicità e provincialismo”.Alle origini della riflessione banfiana sta un preciso rapporto cn il trascendentalismo di Kant e con la filosofia della vita di Simmel.Attrav Kant,Banfi concepisce la filosofia come conoscenza antimetafisica,critica e fenomenologica,rivolta a fissare le condizioni  strutturali che rendono possibile e organizzano le varie forme dell’esperienza*1.L’influenza di Simmel è invece accertabile in Banfi nella sua interpretazione della realtà come universo dinamico e vitale,articolato da infinite forme culturali.Qst forme agiscono nella concreta realtà umana e storica,assumendo una grande varietà di aspetti e significati.La  funzione  della filosofia consiste nell’analizzare i vari campi  della cultura,sia i loro presupposti e le loro strutture fondative,sia la loro ricca fenomenologia.L’altro grande maestro di Banfi fu Husserl dalla quale trasse un programma di descrizione fenomenologica dell’esperienza.*2

Nel pensiero di Banfi sono presenti anche altre 2 componenti essenziali:l’hegelismo e il marxismo.Secondo Banfi Hegel fu il primo tra i grandi maestri che lo guidò sulla via del pensiero speculativo,di esso B,valorizza il rapporto dialettico tra ragione e realtà(La realtà è per Hegel movimento, divenire, processo, sviluppo. Non è staticità o astrazione ma un soggetto vivo, concreto, attuale, che si manifesta nel mondo sia naturale che storico. La realtà è lo SPIRITO INFINITO, detto anche ASSOLUTO ovvero IDEA ovvero RAGIONE.La sua tesi fu che anche nella storia dell’uomo, anche nell’apparente guazzabuglio delle vicende umane, si manifesta una razionalità analoga a quella presente nella natura. La ragione, a differenza di quanto affermava Kant, non è semplicemente uno strumento della mente umana, bensì un principio metafisico, che diviene e si sviluppa nel mondo. La razionalità dunque non è pura astrazione, è presente nel mondo come insieme delle leggi che lo regolano ),la riflessione sull’esperienza vista come compito primario della filosofia,la concezione dell’esperienza stessa.Infine,x quel che riguarda il marxismo,Banfi sottolinea la sua validità sia come teoria della rivoluzione sociale,sia come principio di rinnovamento etico e culturale.Infatti il marxismo potenzia l’atteggiamento critico del pensiero e diviene la forma più ricca della coscienza storica e dell’attività intellettuale.

E’ tra il 1922 e il 1943 che Banfi ha organizzato la propria posizione filosofica.Essa assume l’aspetto di un razionalismo etico che integra esperienza e ragione in una prospettiva nn dogmatica.Tale razionalismo critico si esprime in una concezione della ragione come principio fondante e unificante e in un’analisi fenomenologica della cultura,indagata nei suoi diversi piani e momenti e nelle loro condizioni di possibilità.  Dunque, nella società italiana, nella cultura di anni pesantemente

condizionati dal regime fascista prima e dalla tragedia della guerra dopo,Banfi imposta la sua prospettiva e il suo insegnamento universitario su due fondamentali assi portanti:

- dal punto di vista teoretico, propone una teoria della ragione critica e antidogmatica,tesa a “fondare la possibilità di una sistematica del sapere e di una fenomenologia della cultura, aperta al movimento stesso del sapere e della cultura e avversa ad ogni mutilazione arbitraria di entrambi per opera di ideologie e dogmatismi”

- dal punto di vista etico rivendica un umanesimo libero e profondo;

l’indipendenza delle coscienze da motivi superetici, in genere religiosi, e l’attenuazione delle tonalità sentimentali; prospetta una coscienza del mondo morale come mondo della libertà della persona e dell’universalità del sistema sociale insieme, e auspica il diffondersi di una certezza: “che il problema morale non è posto per il singolo né deve essere risolto dal singolo, ma è posto per l’umanità e risolto nell’umanità”

L’insegnamento universitario di Banfi produsse una vera e propria scuola,che sviluppatosi oltre le posizioni del maestro e anche in direzioni diverse rispetto al suo razionalismo critico,alimenterà il dibattito filosofico italiano fino agli anni ’70.Di qst scuola,tra gli esponenti più significativi c’èGiovanni Maria Bertin,che ha proseguito le riflessioni pedagogiche di Banfi e Dino Formaggio,che ne ha approfondito le riflessioni sull’arte e l’stetica.

Come abbiamo già detto,il razionalismo critico banfiano si muove attorno 2 problemi fondamentali:il rapporto esperienza-ragione e la nozione di” idea di ragione”.Esperienza e ragione sn autonome x Banfi eppure  intrecciate:la ragione esiste e opera solo nell’esperienza,mentre l’esperienza diviene significante solo in rapporto con le strutture ideali della razionalità. Se l’esperienza pone i dati in quanto tali,la ragione è il principio regolativo. Essa svolge il suo compito attraverso 3 momenti:

  • Dialettica,che si sviluppa attraverso il linguaggio,gli elementi intuitivi della conoscenza,
  • Eidetica, che fissa le varie idee come leggi di organizzazione e sviluppo dell’esperienza,
  • Fenomenologia,che determina il rapporto tra l’idea e le varie sfere dell’esperienza e della conoscenza.

Questa concezione fu approfondita dopo il 1945, attraverso il rapporto con il marxismo. Tale concezione converge  con il marxismo storico,nel richiamare la storicità della filosofia. La filosofia è quindi l’idea della libertà della storia,è storicità. La filosofia è visione del problema della vita, è conoscenza teoretica che coglie la legge di sviluppo della realtà,di formazione e di risoluzione delle sue forme determinate. Anche la storia della filosofia illumina il processo infinito di riconoscimento del reale,di attuazione della verità,è storia della lotta contro l’errore,storia della ragione contro i suoi limiti.

La storia è il costituirsi,l’obbiettarsi,il normalizzarsi del piano dell’esperienza;razionalismo critico e storicismo marxista sn dunque due aspetti,connessi,della stessa autocoscienza storica.

Secondo Banfi tutta l'esperienza è problematica e quindi nell'impossibilità di conseguire principi certi e definitivi per i nostri comportamenti occorre organizzarci in una serie di sistemi aperti e progressivi in cui far confluire i nostri atti sempre disponibili a confrontare e modificare i progetti e i valori umani in base a ciò che l'esperienza ci offre nella sua mutevolezza e ricchezza. Come ha insegnato Marx il pensiero nasce dalla realtà, la teoria dalla prassi, dall'esperienza sempre diversa della vita, ed è dunque nostro compito filosofico e morale, prescindendo da ogni pretesa metafisica, adeguare i nostri atteggiamenti all'esperienza.[1

Oltre la filosofia,le discipline che vengono indagate da Banfi sono:la pedagogia,l’etica,la religione,la scienza,l’estetica e la storiografia.

 

 

CAPITOLO 2

I NODI PEDAGOGICI IN A.BANFI

La pedagogia si occupa del  processo di formazione e di sviluppo della personalità spirituale,che si compie nel rapporto tra l’esperienza e l’anima individuale e della cultura. L’educazione si configura come tensione tra individualità e esperienza sociale,è caratterizzata da un necessario legame cn la storicità,,dalla valorizzazione della dialettica io-mondo nell’ambito dei processi formativi.

La pedagogia è una disciplina critica.Mette in discussione aspetti laddove sono presenti apparenti certezze.Sul piano epistemologico è debole rispetto ad altre discipline xchè i suoi oggetti di studio(sentimenti,emozioni,ecc..) nn sono oggetti,osservabili,misurabili e quindi nn concreti.

A differenza delle correnti idealistiche e metafisiche,i bambini nascono anche senza il mondo delle idee di Platone e la Metafisica di Aristotele.La vita si svolge da sé e cn sé porta domande,tutti i giorno e soprattutto nel campo educativo e auto-educativo.

“Non è il pensiero che insegna a vivere alla vita,ma la vita che insegna al pensiero a pensare”(A.Banfi).

Si tratta di comprendere che siamo immersi in un processo scientifico-culturale che porta cn sé il carico e la responsabilità della complessità.Infine,la dimensione pedagogica,con la quale ci confrontiamo tutti i gg ci costringe ad operare (interventi educativi,ricerche,indagini,ecc..) certamente all’interno di un progetto,ma sempre accompagnati dalla problematicità della crescita,della formazione di quel bambino,di qll persona,di quel gruppo,di noi stessi(le difficoltà delle relazioni genitori-figli,gli svantaggi sociali,i conflitti culturali,ecc..possono risultare elementi problematici rilevanti x l’agire pedagogico).E per governare qst problematicità è necessaria un’assunzione di responsabilità pedagogica senza la quale si svuota di significato qualunque obbiettivo o strategia.

 

Nella pedagogia si potrebbero contrapporre due modelli pedagogici, uno basato sull'individuo (con riferimento a Immanuel Kant e Rousseau) ed uno sulla società (con riferimento a Émile Durkheim),di cui ne venne influenzato Banfi,soprattutto dal modello di Kant e Husserl.

I due modelli di pedagogia non possono essere giudicati in modo univoco, poiché in ognuno si possono trovare elementi positivi ed elementi negativi.

  • *1 La teoria kantiana(a cui si rifà Banfi) è basata su una forte spinta positiva nei confronti dell'uomo: la fiducia nell'essere umano porta il pensatore a vederlo come artefice di un miglioramento della sfera sociale. L'educare il fanciullo evitandogli completamente ogni rapporto con la realtà lo porterà ad una formazione tale da riuscire a cambiare in meglio la società che lo ospita.

Esiste anche un piano orientativo teoretico-morale che articola la teoria pedagogica di Banfi

  • *2 La prospettica fenomenologica husserliana(anche qst si configura come un punto di riferimento di Banfi): vede l'educando nel "qui e ora" calato nel suo contesto di vita, e considera l'agire educativo in senso ecologico, esaminando i vari fattori che modificano lo sviluppo generale dell'educando, dando poco peso agli eventi pregressi che hanno segnato la sua vita tendendo a portare l'educando ad un rinnovamento della sua personalità e del suo agire rispetto ai modelli passati.

Capitolo 3

I principi del problematicismo razionalista in G.M.Bertin

Bertin si muove costantemente all’interno della contem-poraneità (e dunque orienta il suo pensiero in direzione fenomenologica).

Bertin qualifica il pensiero pedagogico come «problematicismo razionalista». Il termine “problematicismo” identifica la condizione dell’uomo nel mondo, l’aggettivo “razionalista” specifica la possibilità, almeno ideale della risoluzione dei problemi che l’esistenza pone. All’interno di questo quadro, la scientificità della pedagogia consiste nella possibilità di ritrovare al suo interno gli elementi costitutivi per la sua autonoma fondazione. Questi elementi sono: la relazionalità: il processo educativo è il risultato della costituzione reciproca dell’elemento soggettivo e di quello oggettivo; l’antinomicità: i poli dialettici(oggetto-soggetto) dell’esperienza educativa sono irriducibili l’uno altro; la problematicità: io e mondo, soggetto e oggetto fanno valere istanze opposte,ciò significa che ogni esperienza, come relazione di io e mondo, è sempre parziale, unilaterale, passibile di arresti dogmatici, e cioè è segnata dalla problematicità, la  razionalità: la relazione di io e mondo pone le condizioni per un’integrazione razionale dei due poli del processo educativo.

Il  sistema di pensiero di Bertin è costruito sulla fede nella ragione. E dunque è di stampo fenomenologico.

Nell’ambito del razionalismo critico,sostiene la tesi della problematicità dell’esperienza educativa,da 2  punti di vista.

L’esperienz educativa,luogo ove si realizza la tensione antinomica dell’ex-sistere,il campo dello scontro/incontro tra io e mondo,del soggetto e dell’oggetto,ha natura infinitamente problematica.Dununciandone la parzialità e la limitatezza,evidenzia la problematicità di ogni esperienza educativa che va risolta mediante un’attività razionalizzatrice.

La dimensione di problematicità è colta da Bertin anche nel processo stesso di costituzione della pedagogia come scienza,in virtù della incertezza dei risultati dell’azione educativa,esposta alle interferenze e alle influenze dell’educazione indiretta,della difficoltà del controllo di detti risultati,della tendenza delle scienze ausiliarie(filosofia,psicologia e sociologia) a negarle autonomia e ad inglobarla.

Bertin rifiuta la scelta riduzionista di una ragione scientifica che,operando un lettura riduttiva della realtà(considera le asserzioni verificabili) esclude aspetti fondamentali dell’agire umano quali la religiosità,impegno etico,il gusto estetico.

CAPITOLO 4

FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE E PEDAGOGIA

Bertin  riprende alcune tematiche sviluppate dal maestro Banfi e le discute sistematicamente.Si domanda:”tra una filosofia in crisi che risolve tt nell’analisi del linguaggio e una pedagogia sempre più appoggiata alle scienze,esiste ancora una funzione della filosofia dell’educazione?”.Secondo Bertin bisogna distinguere la filosofia dell’educazione dalla pedagogia:la filosofia dell’educazione è mirata all’analisi dell’esperienza educativa capace di coglierne le differenti forme strutturali,indipendentemente da presupposti e valutazioni particolari;la pedagogia è orientata ad un’impostazione educativa concreta e determinata.E come ritenava Banfi,senza l’impostazione di piani normativi pedagogici nn è possibile che la filosofia dell’educazione assolva l’istanza di una comprensione dell’esperienza educativa.

(RIEPILOGO di tutto)

Il rapporto teoria-prassi rappresenta uno dei nodi cruciali dell’epistemologia pedagogica. Si tratta, indubbiamente, di un rapporto da concepire in chiave di unità dialettica: la teoria, senza prassi, è vuota; così come la prassi, senza teoria, è cieca.

In altre parole, una teoria senza relazione con i problemi delle pratiche educative finisce per risultare astratta ed inefficace; ma, al tempo stesso, una prassi che si esaurisce nel far fronte in maniera immediata a tali problemi, senza lumi teorici, rischia di vagare nel buio, di andare per tentativi.

L’unità tra teoria e prassi implica la transizione dal paradigma della conoscenza contemplativa a quello della conoscenza attiva: si passa da una forma di sapere che è tipica di uno spettatore disinteressato delle cose dell’educazione,alla forma di sapere che è propria dell’attore, di colui che è impegnato attivamente a far fronte ai problemi educativi (Dewey, 1948, 84).

L’unità dialettica teoria-prassi appare, dunque, come un criterio regolativo fondamentale dell’epistemologia pedagogica, come pure del lavoro educativo sul campo. Tale unità indica per altro una pura esigenza razionale, che come tale non è necessariamente e direttamente in atto nel corpo del lavoro teorico e pratico della pedagogia. Difatti, nonostante la necessità di tale unità sia coralmente sostenuta dai pedagogisti come dagli educatori, la sua realizzazione risulta sempre problematica, e approda non di rado a versioni parziali ed inadeguate.

Si registra così una persistente scarsa capacità di incidere sulle reali pratiche educative da parte della teoria.

A cosa sono dovute le diffi coltà di realizzare concretamente, nel lavoro educativo, l’unità teoria-prassi? La scarsa preparazione teorica degli educatori e degli insegnanti costituisce indubbiamente uno dei fattori che incide su questo stato di cose, come pure un’ancora diff usa scarsa attenzione per le pratiche educative da parte dei pedagogisti accademici. Tuttavia, se ci si ferma a questi motivi, si rischia di non cogliere le difficoltà “strutturali” del concreto rapporto teoria-prassi in ambito pedagogico.

Ritengo che un importante passo in avanti nell’impostare concretamente la questione teoria-prassi sia stato compiuto da Bruner, con la sua ipotesi della pedagogia popolare.

Bruner (1997, 58 e ss.) ha ipotizzato che, nella propria attività didattica, gli insegnanti siano guidati da una “pedagogia popolare”, intesa come insieme di “teorie ingenue” sul funzionamento della mente del bambino, sul suo sviluppo, sull’apprendimento, ecc. Non sarebbero, perciò, tanto le teorie pedagogiche a guidare l’insegnante nella sua pratica quotidiana, quanto un insieme di assunti impliciti ed intuitivi, in parte di senso comune e in parte assimilati dal docente durante la sua formazione iniziale e l’interazione con gli altri docenti.

L’ipotesi di Bruner solleva seri dubbi sulla possibilità di una guida diretta dalla teoria alla pratica. Tra queste due componenti si colloca il diaframma della “pedagogia popolare”, la cui rilevanza diviene fondamentale perché, come scrive Bruner: «qualsiasi innovazione che voi, come “vero” teorico di pedagogia, potete voler introdurre, dovrà scontrarsi, sostituire o modificare in qualche modo le teorie popolari che già guidano insegnanti e allievi» (Ibidem, 59).

In altre parole, secondo l’idea dello studioso americano, la prassi quotidiana è guidata prevalentemente dalle concezioni del senso comune; la teoria pedagogica può incidere su tale prassi solo in maniera indiretta, operando trasformazioni nelle “teorie popolari” possedute dagli insegnanti, e riesce ad essere efficace solo nella misura in cui riesce a sostituirsi ad esse.

Si tratta di una prospettiva di grande interesse, che ridefinisce il lavoro della  pedagogia teorica: modificare il senso comune degli insegnanti.

Al di là di questo, il discorso di Bruner ha una rilevanza “strutturale”, poiché ipotizza che nei fatti (nella mente dell’educatore) il rapporto tra teoria e prassi non sia diretto,  ma filtrato da una struttura intermedia: la pedagogia popolare. Per rendere produttivo il nesso teoria-prassi potrebbe essere necessario prevedere una qualche struttura di mediazione del loro rapporto.

Questa idea di un rapporto mediato tra teoria e prassi trova un’analogia strutturale, in ambito teorico, nella posizione del problematicismo pedagogico.

Infatti, nel quadro di questo paradigma, il rapporto tra teoria pedagogica e prassi educativa è mediato dal “modello educativo”.

In altre parole, secondo il problematicismo, la teoria non tratta direttamente della prassi, ma di modelli educativi; e sono questi ultimi ad esercitare una funzione guida verso la prassi. L’interposizione di questa struttura intermedia tra teoria e prassi non innesca, per altro, alcun regresso all’infi nito (non diventa, cioè, necessaria un’ulteriore struttura intermedia tra teoria e modello, e così via); il modello educativo ha una confi gurazione a doppia faccia: da un lato ha una portata normativa verso la prassi, dall’altro reca in sé una teoria implicita che è suscettibile d’analisi in sede teorica (o meta-teorica).

In questo contributo, intendo dare un’interpretazione della prospettiva del Problematicismo, allo scopo di suggerire un’ipotesi di lavoro per la concreta

composizione tra teoria pedagogica e prassi educativa.

Il problematicismo e i modelli educativi

Banfi , nel dare rilievo alle “categorie” come concetti fondamentali di una pedagogia normativa (Banfi , 1961, 31) in quanto declinate sul “dover essere”, ne aveva rilevato pure l’astrattezza rispetto alla concreta esperienza educativa1.

Allo scopo di superare questa astrattezza delle categorie, Bertin ha esteso l’analisi fenomenologica a concetti caratterizzati da un contenuto educativo maggiormente concreto (Bertin, 1961, 156)2, precisandone la signifi catività

tanto in sede teoretica quanto pragmatica (Idem, 1975, 93)3, nonché la loro intrinseca problematicità.

Il concetto pedagogico acquista un significato univoco soltanto nel quadro di un dato modello educativo. Altrimenti, esso ha un carattere polivalente, e il suo senso si confi gura come un problema. Pertanto, considerare un concetto dal punto di vista pedagogico non vuol dire fissarne l’essere in sé, ma svolgere la fenomenologia dei suoi possibili significati.

Dare rilievo a concetti caratterizzati da una maggiore concretezza educativa non basta però a superare l’astrattezza dell’analisi fenomenologica, vuoi perché tali concetti risultano polivalenti e dunque incapaci di indirizzare con chiarezza la prassi, vuoi perché l’organizzazione della vita educativa non è guidata da un singolo concetto, bensì da complessi concettuali che comprendono i diversi aspetti dell’esperienza educativa.

Pertanto, è necessario portare l’analisi fenomenologica al livello dei “modelli”

(e delle loro “strutture”) o dei “sistemi” educativi. Iniziamo dal signifi cato

secondo cui Bertin usa questi termini. Per “modello” egli intende: «lo schema

concettuale secondo cui possono essere connessi ed ordinati i vari aspetti della

vita educativa in rapporto ad un principio teleologico che ne assicuri coerenza

ed organicità» (Ibidem, 77-78). In altre parole, un “modello” rappresenta uno

schema di connessione tra una fi nalità, che costituisce una peculiare interpretazione

della problematica educativa, e un insieme di pratiche educative, che

acquistano senso e legittimità in relazione ad essa. Sul piano pragmatico, un

modello corrisponde ad una scelta educativa determinata (Ibidem, 77), e possiede

una precisa valenza normativa: è capace di ispirare e guidare la concreta

organizzazione dell’esperienza educativa.

In questo quadro, il termine “struttura” sta ad indicare: «l’insieme degli

aspetti in cui il modello assume, o può assumere, concretezza e realtà in rapporto

a situazioni possibili o storicamente e socialmente defi nite... [e dunque]

gli elementi che caratterizzano per la loro relativa invarianza il modello stesso»

(Ibidem, 78). Mentre, per “sistema” educativo, Bertin intende la forma dell’attuazione

storico-sociale dei modelli educativi: «con una struttura variabile dipendente

dai fattori che li condizionano concretamente (razziali, economici,

sociopolitici, linguistici, ecc.), e non solo dallo sviluppo del principio ideale»

(Ibidem, 121). In altri termini, ogni sistema educativo realizzato sul piano storico

è formato da un modello, che costituisce una certa scelta educativa, e dalle

strutture determinate che danno ad esso attuazione concreta. Di conseguenza,

il medesimo modello educativo può conoscere attuazioni storiche diff erenti

entro sistemi educativi diversi, in ragione della diversa fi sionomia che acquistano

gli elementi della sua struttura nell’ambito di ciascuno di tali sistemi.

Questa reinterpretazione della fenomenologia educativa è cruciale per superarne

l’astrattezza, conferendole un più concreto raccordo con l’esperienza

educativa e una maggiore valenza teorico-pratica.

Analizziamo, però, meglio il concetto di “modello”. Bertin distingue tra

un’accezione descrittivo-esplicativa (modello come rappresentazione stilizzata

di un certo fenomeno) e un’accezione normativo-costruttiva (modello come

schema-guida per la realizzazione di qualcosa), e asserisce di rifarsi essenzialmente

a quest’ultima (Ibidem, 122)4. Il “modello” educativo rappresenta

uno “schema” che salda in una medesima confi gurazione concettuale la componente

teleologica (una fi nalità da perseguire) con quella pratica (i concreti

modi di fare educazione). Esso riveste essenzialmente una funzione “normaTeoria,

prassi e “modello” in pedagogia 69

EDUCATION SCIENCES & SOCIETY

tiva”: guida e giustifi ca la pratica alla luce di una fi nalità. Banfi aveva a suo

tempo precisato che l’aspetto normativo della rifl essione pragmatica è legato

all’individuazione di una “fi nalità” assunta idealmente come universale.

Dal punto di vista descrittivo, il modello è specifi cabile secondo la sua

“struttura” (gli elementi concreti, materiali ed empirici, da cui è formato), ma

il suo signifi cato pedagogico diventa intelligibile alla luce della fi nalità formativa

che ne informa e ne giustifi ca la struttura stessa. La “struttura” del

modello ne rappresenta anche gli aspetti invarianti, che gli conferiscono un

carattere “tipico” al di là delle diff erenze tra le sue realizzazioni storiche in

sistemi educativi veri e propri. I “sistemi” educativi sono perciò le forme di

organizzazione storico-sociale dell’educazione, e ciascuno di essi è legato ad

un modello ideale. Tale legame è quello tipico di una relazione trascendentale:

immanenza del modello al sistema e trascendenza del primo verso gli aspetti

storicamente determinati del secondo. Il “modello” educativo adempie così

ad una duplice funzione teorico-pratica: ermeneutica e normativa. Sul piano

ermeneutico, tale nozione permette d’interpretare il signifi cato pedagogico di

un dato sistema educativo; sul piano normativo, consente di prefi gurare l’organizzazione

e la realizzazione di concreti sistemi educativi.

Il costrutto del “modello” rappresenta così il principio-cardine per una fenomenologia

dell’educazione confi gurata in senso teorico-pratico, come una

sistematica aperta di modelli educativi.

Tuttavia, in questo modo si pone il problema dell’elaborazione dello schema

concettuale del modello. Nel pensiero di Bertin possiamo reperire due

distinte modalità di elaborazione. La prima modalità è teorico-deduttiva, la

seconda è di carattere storico-induttivo.

La modalità teoretico-deduttiva è di natura speculativa: parte da “posizioni

ideali” dell’esperienza formativa, considerate come puramente possibili (indipendentemente,

cioè, dalla loro eff ettiva attuazione storica). In tale prospettiva,

i modelli derivano dalle antinomie educative, costituendosi come proiezioni

normative dei poli antinomici. In questo modo, sono defi niti due modelli educativi

opposti, basati su fi nalità educative in aperto contrasto, e che si pongono

agli estremi di una data sistematica fenomenologica, comprendendola nel suo

complesso. Nel quadro di tale sistematica, vengono ordinati i modelli che rifl

ettono variamente le istanze di composizione dell’antinomia, fi ssando così le

posizioni esemplari della fenomenologia in questione. Per esempio, a partire

dall’antinomia tra istanze educative egocentriche ed eterocentriche, Bertin individua,

in qualità di modelli polari, i modelli individualisti, che identifi cano la

fi nalità formativa nel momento dell’individualità, e i modelli collettivisti, volti

al superamento dell’individualità per la collettività. Situa poi in posizione in70

Massimo Baldacci

FORMAZIONE E SOCIETÀ

termedia i modelli di superamento dell’antinomia: quelli di superamento in

funzione dell’individualità (il suo potenziamento si risolve a vantaggio della

collettività); e quelli di superamento in funzione della collettività (il suo sviluppo

si risolve a vantaggio dei singoli individui). Il principio di costruzione

fenomenologica è, perciò, evidente: i modelli educativi sono pensati e signifi

cati in funzione dell’antinomia. Ovviamente, le posizioni esemplari individuate

possono avere corrispettivi nella storia delle idee pedagogiche (che sono

anzi un’importante fonte di identifi cazione delle antinomie) o in quella dei

concreti sistemi educativi (che attestano la rilevanza di certe prospettive anche

sul piano storico-sociale); le strutture della fenomenologia appartengono

però alla sfera del possibile, non dell’esistente o dell’esistito.

Nell’altra strategia, di marca storico-induttiva, la fenomenologia lavora

con i materiali della storia, secondo una duplice possibilità. Per un verso, può

riferirsi alla storia delle idee pedagogiche, rintracciando affi nità che permettono

di raccogliere diverse dottrine entro uno stesso “modello” ideale. Per un

altro verso, può lavorare sulla storia dei sistemi educativi, individuando orientamenti

similari rispetto ad una data problematica educativa (per esempio,

quella politica: il modello educativo liberale, quello comunista, quello fascista,

ecc.).

In relazione ai sistemi educativi, si deve sottolineare l’affinità (rilevata

dallo stesso Bertin) tra la nozione di modello e quella weberiana di “tipo

ideale”. Quest’ultimo è costituito da un “quadro concettuale” prodotto tramite

l’accentuazione di determinati elementi della realtà ritenuti caratterizzanti (è

simile ad una “caricatura”), cosicché la sua validità non va commisurata alla

sua corrispondenza empirica, ma solo alla sua fecondità nella ricerca (Weber,

1922, 59 e ss.). Per esempio, quando si parla di modello educativo fascista, si

usa il termine modello con un senso prossimo a quello di “tipo ideale”.

In conclusione, sia che coincida con una posizione ideale puramente possibile,

ricavata per via speculativa, sia che corrisponda al nucleo ideologico di

un insieme di concreti sistemi educativi, realizzati storicamente, il concetto

di modello educativo rappresenta un fondamentale progresso metodologico

per la fenomenologia dell’educazione, e per un eff ettivo raccordo tra teoria e

prassi in pedagogia.

Muovendo dal chiarimento del concetto di modello educativo, si può cogliere

la peculiare forma di intermediazione tra teoria e prassi che esercita e la

problematicità che lo caratterizza.

Secondo Bertin, il compito della fi losofi a dell’educazione (che qui possiamo

considerare come il grado più elevato dell’attività teorica) non è solo

quello di addurre argomentazioni capaci di legittimare una certa scelta eduTeoria,

prassi e “modello” in pedagogia 71

EDUCATION SCIENCES & SOCIETY

cativa, ma di defi nire le alternative stesse entro cui si può esercitare tale scelta,

presentando tali alternative nella forma tipica di modelli educativi5. La fenomenologia

educativa assume pertanto la forma di una sistematica aperta di

modelli educativi, ed è la rilessione teorica entro questa trama di modelli che,

favorendo la consapevolezza delle loro inevitabili unilateralità, porta ad un

atteggiamento critico verso tali modelli e rende razionale la scelta.

L’attività teorica che prepara uno dei momenti cruciali della prassi, la scelta

del modello da assumere come guida per l’azione educativa entro una certa

situazione storico-sociale, consiste dunque in una rifl essione di carattere

critico e dialettico entro il ventaglio dei possibili modelli educativi. Ciò non

signifi ca che non si possano avere forme di cristallizzazione dogmatica dei

modelli, ma questa concerne prevalentemente la loro attuazione storica in

sistemi educativi (per esempio: il modello di educazione fascista del ventennio

mussoliniano).

La teoria implicita in un modello educativo

In questo quadro occorre comprendere bene la peculiare forma di intermediazione

tra teoria e prassi esercitata dal modello. Se da un lato il modello

possiede una portata normativa capace di guidare la prassi, e legata alla fi nalità

educativa che pone a proprio baricentro, dall’altro esso reca in sé una concezione

educativa nel cui quadro acquista senso e legittimità tale fi nalità. Sono

tale concezione e tale fi nalità a divenire oggetto prioritario d’analisi teorica.

Occorre, perciò, distinguere tra la fi losofi a dell’educazione situata sul piano

trascendentale e la fi losofi a (o teoria) implicita in ogni particolare modello

e/o sistema educativo. Con questo aspetto teorico-fi losofi co incorporato in

una struttura pedagogica, Bertin intende: «[la] concezione generale della vita

e della realtà presupposta in ogni presa di posizione educativa, per cui la pedagogia

marxista, ad esempio, segue un modello diff erente da quello seguito dalla

pedagogia libertaria; risultando entrambe, comunque, vincolate dalla natura

della scelta eff ettuata, ad una precisa determinazione di obiettivi educativi e di

mezzi adeguati per realizzarli» (Bertin, 1982, 214).

Si tratta, pertanto, di una componente teorico-fi losofi ca non formalizzata

in maniera precisa, ma che si presenta in buona misura come un insieme di

presupposti impliciti in un modello pedagogico ideale o in un sistema educativo

concreto. Secondo Bertin, questi presupposti svolgerebbero una funzione

“vincolante” (o, aggiungiamo, quantomeno “orientativa”) nella scelta di obiettivi

e metodi d’intervento.

72 Massimo Baldacci

FORMAZIONE E SOCIETÀ

In ogni modello educativo è dunque presente un “nucleo fi losofi co” implicito

che fi ssa alcuni presupposti generali del modello stesso, legittima la

fi nalità fondamentale che caratterizza il modello stesso, e fornisce le risorse

euristiche per la selezione di obiettivi e di mezzi educativi. In questo modo,

risulta ulteriormente chiarita la capacità di direzione del modello rispetto alla

prassi.

Circa il rapporto tra teoria e modello, si deve invece chiarire il ruolo della

fi losofi a dell’educazione rispetto a questi assunti teorici impliciti nei modelli

o nei sistemi educativi6.

In rapporto ai presupposti teorici impliciti nel modello, il ruolo della teoria

trascendentale (della fi losofi a dell’educazione) appare analitico e critico

al tempo stesso. Sul piano analitico si tratta di rendere espliciti gli assunti

incorporati nel modello educativo. Sul piano critico, occorre invece controllare

la congruità di tali assunti rispetto al criterio della razionalità e di denunciare,

conseguentemente, gli elementi dogmatici, i presupposti indimostrati e le

unilateralità eventualmente presenti in tali assunti.

La teoria pedagogica provvede perciò all’analisi e alla critica dei fondamenti

fi losofi ci impliciti nei modelli educativi, con uno scopo eminentemente

antidogmatico: impedire cristallizzazioni, chiusure ed involuzioni dei modelli

stessi.

Si precisa, perciò, il rapporto mediato tra teoria e prassi proprio della prospettiva

problematicista. La teoria non analizza direttamente la prassi educativa,

ma le forme secondo cui tale prassi acquista organicità ed intelligibilità:

i modelli educativi. La prassi, dal canto suo, non si riferisce direttamente alla

teoria per darsi senso e direzioni operative, ma si ispira ad un modello educativo

capace di fornirle lo schema generale di organizzazione dell’esperienza

educativa, la fi nalità che informa tale schema e la concezione fi losofi ca che

legittima tale fi nalità. Il modello rappresenta la concreta struttura d’intermediazione

tra teoria e pratica; esso ha un duplice volto: da una parte si rivolge

alla pratica per guidarla, dall’altra alla teoria per sottomettersi alla sua analisi

critica.

Si tratta di un’impostazione capace di sposare la fecondità teorica con l’effi

cacia pratica, ma qual è il suo fondamento?

Modello come “schema” pedagogico

Nel quadro della prospettiva problematicista, l’interposizione del modello

tra il piano della teoria e quello della prassi sembra volta a risolvere un problema analogo a quello kantiano dello schematismo trascendentale.

Nell’impostazione di Kant, lo “schematismo” è l’attività attraverso cui l’intelletto

fornisce “schemi” ai concetti, ossia: regole per determinare l’intuizione

(empirica o pura) secondo un dato concetto. Nel caso dei concetti puri

dell’intelletto (le “categorie”), si hanno gli schemi “trascendentali”. Lo schema

costituisce la struttura intermedia che rende omogeneo il piano empirico e

quello categoriale, e rende dunque possibile la trasposizione dei dati sensibili

secondo un ordine razionale.

Notoriamente, tale soluzione si presenta problematica, a causa dell’intrinseca

diffi coltà di conciliare il variare e la mutevolezza temporale dell’esperienza

sensibile con la fi ssità e l’atemporalità delle categorie kantiane. Tale problema

è però cruciale per il criticismo kantiano (Paci, 1975, 9-11), poiché risulta

legato alla relazione soggetto-oggetto e all’interpretazione del conoscere in

funzione di tale relazione, anziché del solo oggetto assunto come essere-in-sé

(il realismo), o della spontaneità creatrice del solo soggetto (l’idealismo).

Nella prospettiva problematicista si tratta di risolvere il problema della

connessione tra la molteplicità e la mutevolezza delle concrete forme della

prassi educativa e l’astratta generalità di una fenomenologia delle categorie teoriche

della pedagogia. Ma il problema, in questo caso, non sembra affl iggere

tanto la capacità interpretativa della teoria, quanto la sua effi cacia nel dirigere

la prassi.

Infatti, le categorie teoriche della pedagogia possiedono un’adeguata capacità

ermeneutica per sussumere e interpretare l’esperienza educativa, ma

quando si tratta di guidarla risultano eccessivamente astratte e sono capaci

di fornire soltanto orientamenti molto generali. Come si è visto, è possibile

portare l’attenzione su concetti pedagogici caratterizzati da un contenuto

educativo maggiormente concreto, ma tali concetti sono intrinsecamente polivalenti,

e dunque radicalmente problematici. Un corretto approccio al concetto

pedagogico preso in sé e per sé non può che svolgerlo nella fenomenologia

delle sue possibili signifi cazioni; ma in questo modo, non assumendo un senso

univocamente determinato, la sua capacità di guidare concretamente la prassi

educativa ne risulta largamente indebolita.

Come si è detto, un concetto pedagogico acquista un signifi cato univoco

soltanto nel quadro di un dato modello educativo. Entro tale quadro, perciò,

il concetto non riveste soltanto la funzione ermeneutica di sussumere e dare

signifi cato unitario ad un insieme altrimenti eterogeneo di esperienze educative,

ma assume anche la capacità di indirizzare concretamente la prassi.

All’interno di uno specifi co modello educativo i concetti pedagogici risultano

univocamente determinati e si organizzano secondo uno schema che connette

e dà ordine ai diversi aspetti della prassi educativa in funzione di una fi nalità

che assicura loro un senso unitario.

In questa maniera, da un lato, il modello assicura la trasposizione delle

diversificate forme della prassi educativa secondo un ordine coerente e, dall’altro,

risulta capace di esercitare una guida effettiva nei confronti di tale prassi,

rimanendo nel contempo disponibile per l’analisi critica in sede teoretica.

Quella del problematicismo sembra, perciò, un’ipotesi capace di realizzare

un’effettiva connessione tra teoria e prassi, dando adeguato risalto sia all’interpretazione

teorica dell’esperienza educativa sia all’esigenza della sua guida

razionale. Per rimanere coerenti col problematicismo, occorre però fare di

tale ipotesi un uso non dogmatico, bensì critico: bisogna considerarla soltanto

un’ipotesi di lavoro.

 

 

Fonte: http://www.riassuntisdf.altervista.org/?page_id=415

http://www.riassuntisdf.altervista.org/wp-content/uploads/2012/10/Il-razionalismo-critico-2.docx

Autore del testo: G. Caruso

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