Psicologia appunti

 


 

Psicologia appunti

 

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SILO

 

APPUNTI DI PSICOLOGIA

Psicologia 1, 2. 3 e 4


Silo
Appunti di Psicologia
Titolo originale Apuntes de Psicología

 

© Silo 2006
© Multimage 2008 per l'edizione italiana

Traduzione: Fiamma Lolli
Impaginazione: Cecilia Fernandez

La riproduzione è consentita citando la fonte
Fonte: http://www.humanistmovement.net/file/downloads_hm/Apuntes_it.rtf

 

ISBN 88-86762-62-3

Multimage, Associazione Editoriale 
http://www.multimage.org

 


Introduzione

 

Questi Appunti di Psicologia del pensatore latinoamericano Mario Rodrìguez Cobos, Silo, sono la raccolta delle conferenze tenute nel 1975 nell’isola greca di Corfù, nel 1976 e 1978 a Las Palmas de Gran Canaria in Spagna e nel 2006 nel Parco de La Reja in Argentina.
Psicologia 1 studia lo psichismo in generale come funzione della vita, in relazione all’ambiente e nella sua espressione umana. Si passa poi ad esporre le caratteristiche degli “apparati” dello psichismo nei sensi, nella memoria e nella coscienza, nonché la teoria degli impulsi e del comportamento.
In Psicologia 2 si studiano le tre vie dell’esperienza umana, vale a dire sensazione, immagine e ricordo, per proseguire immediatamente con le risposte che lo psichismo dà agli stimoli esterni al corpo ed a quelli dell’intracorpo. I livelli di lavoro della coscienza ed i meccanismi del comportamento sono rivisti alla luce della teoria dello spazio di rappresentazione.
Psicologia 3 affronta il sistema di Operativa capace di intervenire nella produzione e nella trasformazione degli impulsi. Uno schema semplificato del lavoro integrato dello psichismo contribuisce alla comprensione dei temi di Operativa. Infine si stabiliscono distinzioni tra coscienza e ”io”, confrontando gli stati di reversibilità con gli stati alterati della coscienza.
In Psicologia 2 si studia sommariamente lo sdoppiamento degli impulsi; poi si passa a trattare le differenze tra la coscienza, l’attenzione e l’”io”; ci si occupa anche della spazialità e della temporalità dei fenomeni della coscienza per finire col definire e studiare le strutture della coscienza. Strutture come quella della “coscienza ispirata” si ritrovano nei diversi aspetti del fare umano: la filosofia, la scienza, l’arte, la mistica. Infine abbiamo uno studio dei livelli profondi delle strutture della coscienza ed è con questo finale che si conclude questa psicologia che era partita dall’analisi degli impulsi più elementari per finire sintetizzando le strutture della coscienza più complesse.
Questi scritti, insieme a Psicologia dell’Immagine (prima parte del libro Contributi al Pensiero) e alle Esperienze Guidate (ambedue i testi fanno parte del Volume I delle Opere Complete dell’Autore) possono considerarsi come gli scritti di base di una Psicologia del Nuovo Umanesimo.
In questo senso si sono già pubblicati Autoliberazione di Luis Ammann e Morfologia di José Caballero e sicuramente in un prossimo futuro vedremo altri scritti che possano ampliare questi testi di base.
E non ci sarebbe nulla di strano se alcuni psicologi sviluppassero in pratica una nuova psicoterapia basata su queste descrizioni dello psichismo umano.

I curatori


PSICOLOGIA 1

Stesura a cura dei partecipanti alle conferenze tenute dall’autore a Corfù, Grecia, nel Novembre del 1975. La “Appendice - Basi fisiologiche dello psichismo”  è stata aggiunta in seguito, alla fine dello stesso anno.


Lo psichismo

Come funzione della vita.

Fin dall’inizio la vita si è manifestata in numerose forme. Molte specie, non essendosi adattate ad ambiente e circostanze nuove, sono scomparse. Gli esseri viventi hanno bisogni che trovano soddisfazione nel loro ambiente, il che, nell’ambiente naturale, si traduce in movimento e cambiamento continui. La relazione è instabile e squilibrata, provocando nell’organismo risposte che tendono a compensare tale squilibrio e poter così mantenere la struttura che, altrimenti, scomparirebbe bruscamente. Vediamo dunque la natura vivente dispiegarsi con un’ampia varietà di forme in un ambiente dalle caratteristiche numerose, diverse e mutevoli, con alla base semplici meccanismi di compensazione rispetto ad uno squilibrio che mette in pericolo la permanenza della struttura.
Nell’organismo, affinché questo possa sopravvivere, l’adattamento al cambiamento esterno implica anche un cambiamento interno. Quando tale cambiamento interno non si produce, gli esseri viventi iniziano a scomparire e la vita sceglie altre forme per continuare ad espandersi in modo crescente. In ambito vitale, il meccanismo di risposta come compensazione dello squilibrio è sempre presente, con maggiore o minor complessità secondo lo sviluppo di ciascuna specie. Questo compito di compensazione rispetto all’ambiente esterno, nonché rispetto alle carenze interne, va inteso come adattamento (e, nello specifico, come adattamento crescente) ed è l’unica maniera per assicurare la permanenza all’interno della dinamica dell’instabilità in movimento.
In particolare, la vita animale si sviluppa secondo funzioni di nutrimento, riproduzione e locomozione (naturalmente queste funzioni sono presenti anche nella vita vegetale e persino negli esseri unicellulari), ma chiaramente negli animali queste funzioni mettono costantemente in relazione l’organismo con il suo ambiente, mantenendo la stabilità interna della struttura, il che si esprime in forma più specializzata come tendenza vegetativa, come “istinto” di conservazione e riproduzione. Il primo mantiene la struttura individuale, il secondo quella della specie. In questa preparazione degli organismi a conservarsi come individui e perpetuarsi come specie si esprime l’inerzia (diremmo la “memoria”), che tende ad assicurare la permanenza e la continuità, nonostante le variazioni.
Negli animali, le funzioni di nutrizione e riproduzione per potersi sviluppare avranno bisogno della locomozione, che permette di muoversi nello spazio per conseguire alimenti; anche internamente c’è una mobilità, un trasporto di sostanze che saranno assimilate dagli organismi. La riproduzione è interna negli individui, esterna nella loro moltiplicazione. La prima si verifica come generazione e rigenerazione di tessuti, la seconda come riproduzione di individui all’interno della stessa specie. Entrambe ricorrono alla locomozione per adempiere al proprio compito.
La tendenza a ricercare fonti di rifornimento di cibo nell’ambiente e a fuggire o nascondersi in presenza di pericoli dà agli esseri viventi direzione e mobilità. Queste tendenze particolari di ciascuna specie formano un complesso di tropismi; il tropismo più semplice consiste nel rispondere a uno stimolo. Questa minima operazione, vale a dire la risposta a un elemento estraneo all’organismo, che provoca uno squilibrio nella struttura, al fine di compensarne e ristabilirne la stabilità, si manifesta in maniera ogni volta differente e complessa. Tutte le operazioni lasciano “impronte” che, in caso di nuove risposte, serviranno come indicazioni preferenziali (in un tempo 2 si agirà in base alle condizioni presentatesi in un tempo 1). Questa possibilità di registrazione è di fondamentale importanza per la permanenza della struttura, dati un ambiente esterno mutevole e uno interno variabile.
L’organismo tende all’ambiente per adattarsi ad esso e sopravvivere, ma per farlo dovrà vincere varie resistenze. L’ambiente offre possibilità ma anche inconvenienti e, per superare le difficoltà e vincere le resistenze, bisogna investire energia, cioè compiere un lavoro che richiede energia. Tale energia disponibile sarà occupata nel lavoro di vincere le resistenze ambientali e, fino a che le difficoltà non saranno superate e il lavoro non sarà terminato, non ci sarà nuova energia disponibile. Le registrazioni di impronte (memoria) permetteranno di rispondere in base a esperienze precedenti, il che libererà energia, rendendola disponibile per nuovi passi evolutivi. Senza disponibilità energetica non è possibile compiere attività sempre più complesse di adattamento crescente. D’altra parte, le condizioni ambientali si presentano all’organismo in sviluppo come alternative di scelta e le impronte contribuiscono a permettere di decidere rispetto alle diverse alternative di adattamento. Inoltre, tale adattamento si dà cercando, tra le varie alternative, quella che implica la minor resistenza e il minor sforzo. Lo sforzo minore è quello che implica un minor dispendio di energia, perciò, contemporaneamente a vincere le resistenze, bisognerà farlo con il minimo di energia possibile, affinché l’energia libera disponibile possa essere investita in nuovi passi dell’evoluzione. In ciascun momento evolutivo c’è una trasformazione, tanto dell’ambiente quanto dell’essere vivente. Abbiamo qui un interessante paradosso: per conservare la propria unità, la struttura dovrà trasformare l’ambiente e nello stesso tempo trasformare se stessa.
Sarebbe sbagliato pensare che le strutture viventi cambino e trasformino solo l’ambiente, giacché tale ambiente cresce in complessità e non è possibile adattarvisi mantenendo l’individualità esattamente come è stata creata all’inizio. È questo il caso dell’uomo, il cui ambiente, col passare del tempo, smette di essere unicamente naturale per diventare anche sociale e tecnico. Le complesse relazioni esistenti tra gruppi sociali e l’esperienza sociale e storica accumulata generano un ambiente e un contesto nel quale sarà necessaria la trasformazione interna dell’uomo. In questo circolo virtuoso in cui la vita mostra di organizzarsi con funzioni, tropismi e memoria per compensare un ambiente variabile e così adattarvisi in modo crescente vediamo come sia necessaria anche una coordinazione (sia pur minima) fra tali fattori, affinché ci si possa orientare in modo opportuno alle condizioni più favorevoli allo sviluppo. Nel momento in cui nasce questa minima coordinazione ecco che sorge lo psichismo, come funzione della vita in adattamento crescente, vale a dire in evoluzione.
La funzione dello psichismo consiste nel coordinare tutte le operazioni di compensazione dell’instabilità dell’essere vivente rispetto al suo ambiente. Senza coordinazione gli organismi risponderebbero parzialmente, senza completare le diverse componenti, senza mantenere le relazioni necessarie e, in definitiva, senza conservare la struttura nel processo dinamico di adattamento.

 

In relazione con l’ambiente.

Questo psichismo, che coordina le funzioni vitali, si avvale dei sensi e della memoria per percepire le variazioni dell’ambiente. Questi sensi, inizialmente molto semplici e diventati, col passare del tempo, sempre più complessi (come ogni parte degli organismi), forniscono continuamente informazioni sull’ambiente, strutturate in orientamento adattativo. L’ambiente da parte sua è estremamente vario e, per lo sviluppo dell’organismo, sono necessarie determinate condizioni ambientali minime. Laddove tali condizioni fisiche sono presenti sorge la vita; una volta nati i primi organismi, le condizioni si trasformano in modo sempre più favorevole alla vita stessa. All’inizio, però, gli organismi hanno bisogno per svilupparsi di condizioni ambientali ottimali. Le variazioni nella troposfera si comunicano a tutti gli organismi. Sullo sviluppo della vita influiscono condizioni quali il ciclo quotidiano e quello stagionale, così come la temperatura generale, le radiazioni e la luce solare. Altrettanto influente è la composizione della Terra che, nella sua ricchezza, offre materia prima che sarà poi fonte d’energia e lavoro per gli esseri viventi. Anche gli incidenti che possono prodursi in tutto il pianeta costituiscono circostanze decisive allo sviluppo organico. Glaciazioni, inabissamenti, fenomeni sismici ed eruzioni vulcaniche fino all’erosione di vento e acqua, sono tutti fattori determinanti. La vita sarà diversa nei deserti o sulle vette più alte, ai poli o in riva al mare. Da quando la vita ha fatto la sua comparsa sulla superficie terrestre, proveniente dai mari, un gran numero di organismi e specie diverse ha continuato ad apparire e scomparire. Molti individui incontrano difficoltà insuperabili, e perciò periscono; la stessa cosa succede ad intere specie, che non sono state in grado di auto-trasformarsi né di trasformare le nuove situazioni che sorgevano via via nel processo evolutivo. Eppure la vita, comprendendo al suo interno grandi numeri, grande diversità e infinite possibilità, si fa continuamente strada.
Quando, in uno stesso spazio, compaiono specie diverse, tra loro sorgono diverse relazioni, senza contare quelle che esistono all’interno della stessa specie. Esistono relazioni simbiotiche, di associazione, parassite, saprofite, ecc. Tutte queste possibili relazioni possono essere semplificate in tre grandi generi: relazioni di dominio, relazioni di scambio e relazioni di distruzione. Gli organismi tra loro mantengono queste relazioni, gli uni sopravvivendo, gli altri scomparendo.
Si tratta di organismi in cui le funzioni si regolano in base a uno psichismo che dispone dei sensi per percepire l’ambiente interno e quello esterno e della memoria che non è solo quella genetica di trasmissione dei caratteri della specie (gli istinti di riproduzione e conservazione) ma che comprende anche le registrazioni individuali di nuovi riflessi che, di fronte a varie alternative, permettono di prendere decisioni. La memoria adempie anche ad un’altra funzione: il registro del tempo, permettendo di dare continuità rispetto al suo trascorrere. Il primo circuito di riflesso immediato (stimolo-risposta) ammette variazioni nella sua complessità, specializzando così i sistemi nervoso e ormonale. D’altra parte, la possibilità di acquisire nuovi riflessi dà origine all’apprendimento e all’addomesticamento, specializzando nel contempo meccanismi multipli di risposta; osserveremo così un comportamento variabile, una condotta variabile nell’ambiente e nel mondo.
In natura, dopo molti tentativi, iniziarono a svilupparsi i mammiferi, in forme differenti e innumerevoli; tali mammiferi si diversificarono in vario modo, fino ad arrivare, in epoca recente, agli ominidi, con i quali iniziò lo sviluppo specifico dello psichismo.

Nell’essere umano.

Un salto notevole si produsse quando tra gli ominidi iniziò la codificazione dei segni (suoni e gesti); i segni codificati si sono poi fissati con maggior permanenza (segni e simboli impressi in memoria). Tali segni migliorano la comunicazione che mette in relazione sia gli individui tra loro sia questioni d’importanza vitale per gli individui stessi, riferite all’ambiente in cui vivono. La memoria si amplia; non è solo trasmissione genetica e memoria individuale, perché grazie alla codificazione di segnali i dati possono essere immagazzinati e trasmettersi segnicamente, crescendo così l’informazione e l’esperienza sociale.
Successivamente si assiste a un secondo salto di livello: i dati di memoria si rendono indipendenti dall’apparato genetico e dall’individuo e appare così la memoria diffusa, che dai primi segni su muri e tavolette d’argilla è andata crescendo fino a prendere la forma di alfabeti che rendono possibili testi, biblioteche, centri d’insegnamento e così via. L’aspetto più rilevante, in quest’ottica, è che lo psichismo esce da se stesso e si plasma nel mondo.
Parallelamente è cresciuta la locomozione, grazie all’ingegno che da un lato ha elaborato macchinari non esistenti in natura e dall’altro ha addomesticato vegetali e animali, permettendone lo spostamento attraverso acque, praterie, montagne e boschi: dalle popolazioni nomadi fino alla locomozione e alla comunicazione che al giorno d’oggi ha raggiunto un notevole sviluppo.
Con la coltivazione dei vegetali, operata dai primi agricoltori, la nutrizione, dalla primitiva fase di raccolta, caccia e pesca, si è perfezionata e continua a svilupparsi con l’addomesticamento degli animali, con progressivi sistemi d’immagazzinamento, conservazione e sintesi di nuovi alimenti e, conseguentemente, con la loro distribuzione.
La riproduzione organizza i primi gruppi sociali (orde, tribù e famiglie) che si stanziano in luoghi stabili dando luogo a popolazioni rudimentali che, più tardi, raggiungono forme d’organizzazione sociale complessa, cui partecipano contemporaneamente, in uno stesso momento storico e geografico, diverse generazioni. La riproduzione subisce importanti trasformazioni, fino al momento attuale, in cui già s’intravedono tecniche di produzione, modificazione, conservazione e mutazione di embrioni e geni.
Lo psichismo è diventato sempre più complesso, riflettendo tutte le tappe già precedentemente compiute. Anche gli apparati di risposta si sono specializzati, come per esempio i centri neuro-ormonali che, da un’originale funzione neurovegetativa, si sono sviluppati fino a un intelletto di crescente complessità. La coscienza, secondo il grado di lavoro interno ed esterno, ha raggiunto livelli che, da un sonno profondo, sono passati al dormiveglia e infine a uno stato di veglia ogni volta più lucida.
Lo psichismo sembra essere il coordinatore della struttura essere vivente/ambiente; vale a dire, della struttura coscienza/mondo. Il risultato di tale coordinazione è l’equilibrio instabile nel quale tale struttura lavora ed elabora. L’informazione esterna arriva all’apparato specializzato che lavorerà alle diverse fasi della captazione. Questi apparati sono i sensi esterni. L’informazione dell’ambiente interno, dell’intracorpo, arriverà agli apparati di captazione che sono i sensi interni. Le impronte di tale informazione, interna ed esterna, così come le impronte delle stesse operazioni della coscienza nei suoi differenti livelli di lavoro, vanno a depositarsi nell’apparato della memoria. Così lo psichismo andrà a coordinare dati sensoriali e registrazioni della memoria.

D’altra parte, lo psichismo in questa fase del suo sviluppo dispone di apparati di risposta al mondo, risposte molto elaborate e di vario tipo (come le risposte intellettuali, emotive o motorie). Tali apparati sono i centri. Nel centro vegetativo troviamo le basi organiche delle funzioni vitali di metabolismo, riproduzione e locomozione (sebbene quest’ultima si sia sviluppata nel centro motorio), così come gli istinti di conservazione e riproduzione. Lo psichismo andrà a coordinare tali apparati come pure le funzioni e gli istinti vitali.
Inoltre, nell’essere umano è presente un sistema di relazioni con l’ambiente, sistema che non può essere considerato un apparato localizzabile neurofisiologicamente e che chiameremo “comportamento”. Un caso particolare del comportamento psicologico nella relazione interpersonale e sociale è quello della “personalità”. La struttura della personalità serve all’adattamento, dovendo adattarsi continuamente a situazioni diverse e variabili presenti nell’ambiente interpersonale; questa accertata capacità di adeguamento esige una complessa dinamica situazionale che ancora una volta dovrà essere coordinata dallo psichismo, mantenendo l’unità della struttura completa.
D’altra parte ancora, il processo biologico che una persona attraversa, dalla nascita all’infanzia passando per l’adolescenza, la giovinezza, la maturità e la vecchiaia, modifica in modo molto marcato la struttura interna, che a sua volta attraversa fasi vitali contrassegnate da bisogni e relazioni ambientali differenti (inizialmente c’è la dipendenza dall’ambiente, si passa poi ad occuparvi un posto e ad espandervisi tendendo a conservare la posizione e, finalmente, c’è un allontanamento). Anche questo processo avrà bisogno di una coordinazione precisa.
Per poter addivenire a una visione integrata dell’attività dello psichismo umano ne presenteremo le diverse funzioni, che potremmo arrivare a localizzare fisiologicamente. Prenderemo anche in considerazione il sistema di impulsi capace di generare, trasferire e trasformare l’informazione da un apparato all’altro.

 

Apparati dello psichismo

Con apparato intendiamo le specializzazioni sensoriali e di memoria che operano in modo integrato nella coscienza per mezzo di impulsi. Questi, a loro volta, subiscono numerose trasformazioni secondo l’ambito psichico in cui agiscono.

Sensi.

I sensi hanno la funzione di ricevere e somministrare dati alla coscienza e alla memoria, essendo organizzati in maniera differente secondo le necessità e le tendenze dello psichismo.
L’apparato dei sensi trova origine in un tatto primitivo che si è specializzato progressivamente. Si può operare una differenza tra sensi esterni, che captano informazioni dall’ambiente esterno, e sensi interni, che li captano dall’interno del corpo. Conseguentemente al tipo d’attività possono essere classificati come: sensi chimici (gusto e olfatto); sensi meccanici (il tatto propriamente detto e i sensi interni di cenestesia e cinestesia) e sensi fisici (udito e vista). Nei sensi interni, quello cenestesico fornisce l’informazione dell’intracorpo; si tratta di ricettori chimici, termici, della pressione (o chemiocettori, termocettori, barocettori) e altri. Anche la captazione del dolore ha un ruolo importante. Il lavoro di tali centri è captato cenestesicamente, così come i vari livelli del lavoro della coscienza. In stato  di veglia l’informazione cenestesica mantiene i registri al minimo giacché questo è il momento dei sensi esterni e tutto lo psichismo si sta muovendo in relazione con il mondo esterno. Quando lo stato di veglia diminuisce di potenza, la cenestesia aumenta l’emissione d’impulsi, dei quali abbiamo un registro deformato, agendo come materia prima per le traduzioni che avverranno nel dormiveglia e in sonno. Il senso cinestesico somministra dati del movimento e della postura corporale, dell’equilibrio e dello squilibrio fisico.

Caratteristiche comuni dei sensi

  1. Al proprio interno tutti i sensi effettuano, ciascuno secondo le proprie attitudini, attività d’astrazione e strutturazione degli stimoli. La percezione è prodotta dal dato più l’attività del senso.
  2. Tutti i sensi sono in continuo movimento, “scansionando” fasce sensoriali.
  3. Tutti i sensi lavorano a partire dalla propria memoria, che permette il riconoscimento dello stimolo.
  4. Tutti i sensi lavorano in “fasce” in base al tono particolare che gli è proprio e che dovrà essere alterato dallo stimolo: perciò è necessario che lo stimolo compaia all’interno di soglie sensoriali (una soglia minima, sotto la quale non si percepisce, e una soglia di tolleranza massima che, se sorpassata, produce irritazione sensoriale o saturazione). Nel caso in cui esista un “rumore di fondo” (che provenga dal senso stesso o da altri sensi, dalla coscienza o dalla memoria), lo stimolo dovrà crescere d’intensità per essere registrabile, senza però oltrepassare la soglia massima, affinché non scattino saturazione e blocco sensoriale. Qualora ciò si verifichi, perché il segnale arrivi al senso sarà imprescindibile far scomparire il rumore di fondo.
  5. Tutti i sensi lavorano tra queste soglie e limiti di tolleranza, che possono variare secondo l’educazione e le necessità metaboliche (è qui che si trova la radice filogenetica dell’esistenza sensoriale). Questa caratteristica di variabilità è importante per distinguere gli errori sensoriali.
  6. Tutti i sensi traducono le percezioni a uno stesso sistema d’impulsi elettrochimici, che poi si distribuiranno per via nervosa al cervello.
  7. Tutti i sensi hanno localizzazioni nervose terminali (precise o diffuse), sempre connesse al sistema nervoso centrale e periferico (o autonomo), da dove opera l’apparato di coordinazione.
  8. Tutti i sensi sono vincolati all’apparato della memoria generale dell’organismo.
  9. Tutti i sensi presentano registri propri, dati dalla variazione del tono nel momento in cui compare lo stimolo e dal fatto stesso di percepire.
  10. Nella percezione, tutti i sensi possono commettere errori. Tali errori possono dipendere dal blocco del senso (per irritazione sensoriale, ad esempio) o per disfunzione o deficienza del senso (miopia, sordità, ecc.), nonché per mancato intervento di uno o più tra gli altri sensi che contribuiscono a stabilire i parametri della percezione (per esempio ci sembra che qualcosa o qualcuno sia lontano e invece, quando lo si vede, è vicino). Ci sono poi errori di creazione artificiale, dati da condizioni meccaniche: come quando, esercitando pressione sui globi oculari, ci sembra di “vedere luci”, o quando, con una temperatura esterna similare a quella della pelle, abbiamo la sensazione che il corpo si espanda. In genere a questi errori dei sensi si dà il nome di “illusioni”.

 

Memoria.

 La memoria ha la funzione di imprimere e ritenere dati provenienti dai sensi e/o dalla coscienza; inoltre, quando è necessario, somministra dati al coordinatore (è l’atto del ricordare). A maggior quantità di dati di memoria corrisponde un maggior numero di opzioni nelle risposte. Nelle risposte basate su precedenti si risparmia energia, che resta dunque più ampiamente disponibile. Il lavoro della memoria dà alla coscienza riferimenti utili al suo dislocarsi e permanere nel tempo. I rudimenti della memoria compaiono nell’inerzia propria dell’attività di ogni senso, estendendosi come memoria generale a tutto lo psichismo. L’atomo minimo teorico di memoria è la reminiscenza, ma la cosa che si può registrare è che nella memoria si ricevono, elaborano ed ordinano dati provenienti dai sensi e dal coordinatore, sotto forma di memorizzazioni strutturate. L’ordinamento avviene per fasce o zone tematiche, e secondo una cronologia propria. Da ciò si deduce che l’atomo reale sarebbe: dato + attività dell’apparato.

Forme di memorizzazione

I dati sono impressi in memoria in forme diverse: in base a uno shock, vale a dire uno stimolo che impressiona fortemente; in base a un’immissione simultanea, attraverso sensi diversi; in base alla presentazione di uno stesso dato in maniere diverse; e, infine, in base a una ripetizione. Il dato è ben impresso sia in contesto sia quando risalta per carenza o unità del contesto. La qualità della memorizzazione aumenta quando gli stimoli sono distinguibili e ciò si produce, in assenza di rumore di fondo, grazie alla nitidezza dei segnali. Quando la reiterazione porta alla saturazione abbiamo un blocco, mentre, quando c’è assuefazione, abbiamo una diminuzione nella memorizzazione dello stimolo. In assenza di stimoli esterni, il primo stimolo che compare viene impresso con forza; c’è più disponibilità a memorizzare anche quando la memoria non fornisce informazioni al coordinatore. Saranno ben impressi in memoria i dati che sono in relazione con la fascia tematica nella quale sta lavorando il coordinatore quando si ricevono.

Ricordo e oblio

Il ricordo o, più precisamente, l’evocazione sorge quando la memoria consegna alla coscienza dati già impressi. Tale evocazione è prodotta intenzionalmente dalla coscienza, il che la distingue da un altro tipo di rammemorazione che s’impone alla coscienza, come quando certi ricordi la invadono coincidendo a volte con ricerche o con contraddizioni psicologiche che appaiono senza che il coordinatore sia partecipe. Ci sono diversi gradi di evocazione, a seconda che il dato sia stato registrato con maggiore o minor intensità; quando i dati superano lievemente la soglia di registro, l’evocazione sarà anch’essa lieve (è questo il caso in cui addirittura non si ricorda il dato, però lo si riconosce quando si torna a percepirlo). A partire da queste soglie minime di evocazione compaiono gradazioni più intense fino ad arrivare al ricordo automatico, o riconoscimento veloce, come – per esempio – nel caso del linguaggio. Il riconoscimento si produce quando, nel ricevere un dato e confrontandolo con altri anteriori, il dato appare come già memorizzato ed è dunque riconosciuto. Senza riconoscimento, lo psichismo sperimenterebbe continuamente la condizione di trovarsi di fronte ai fenomeni per la prima volta, nonostante il loro ripetersi. L’oblio è l’impossibilità di accedere a dati già  memorizzati dalla coscienza e deriva da un blocco della reminiscenza che impedisce all’informazione di ricomparire. Esiste d’altro canto una sorta di oblio funzionale che, grazie a meccanismi di interregolazione che agiscono inibendo un apparato quando un altro è in funzione, impedisce la continua riapparizione dei ricordi. È così che, quando il coordinatore sta percependo, o coordinando risposte, o evocando una fascia specifica, non c’è un ricordo continuo. La gradazione dell’intensità della memorizzazione e dell’evocazione sono vincolati ai campi di presenza e compresenza del coordinatore.

Livelli di memoria

Dalla permanenza e durata della memorizzazione sorgono livelli differenti. Nell’acquisizione della memoria individuale, le prime impronte restano come substrato per le successive, delineando l’ambito in cui le nuove memorizzazioni saranno confrontate con le prime. D’altra parte le memorizzazioni nuove sono ricevute in base alla disponibilità energetica e di lavoro lasciata dalle prime, che costituiranno le basi per il riconoscimento. Esiste un primo livello di substrato, o memoria antica, che continua ad arricchirsi col passare del tempo. C’è poi un secondo livello, o memoria mediata, che nasce all’interno della dinamica del lavoro psichico, con memorizzazioni recenti che, a volte, passano al livello della memoria antica. C’è infine un terzo livello, o memoria immediata, che corrisponde alle memorizzazioni del momento. È questo un livello di lavoro costantemente aperto all’arrivo di informazioni, all’interno del quale vengono operate selezioni tra dati; alcuni verranno scartati, altri immagazzinati.

Memoria e apprendimento

Nella memorizzazione e nel ricordo dell’impronta mnemica l’emozione riveste un ruolo molto importante. È evidente che si memorizza e si evoca meglio in climi amabili e piacevoli, e questa caratteristica è decisiva nelle attività di apprendimento e insegnamento, in cui i dati sono in rapporto diretto con un contesto situazionale emotivo.

Circuito di memoria

Le vie d’ingresso degli impulsi mnemici sono i sensi interni, quelli esterni e le attività del coordinatore. Per queste vie passano gli impulsi costitutivi dell’informazione registrabile, che poi va a depositarsi nella memoria. Da parte loro gli stimoli che arrivano seguono una doppia via, una verso il coordinatore e un’altra verso la memoria. È sufficiente  che gli stimoli oltrepassino leggermente le soglie sensoriali perché siano registrabili ed è sufficiente una minima attività ai distinti livelli della coscienza perché si dia la memorizzazione.

Relazione tra memoria e coordinatore

Nel circuito tra sensi e coordinatore la memoria ha una funzione di connessione, come un ponte, compensando a volte la mancanza di dati sensoriali, o per evocazione o per ricordo involontario (come se si trattasse di “metabolizzare” riserve). Nel caso del sonno profondo, in cui non c’è ingresso di dati esterni, alla coscienza arrivano i dati cenestesici, combinati con dati di memoria. Così i dati mnemici non compaiono per evocazione intenzionale, ma ad ogni modo il coordinatore sta realizzando un lavoro, sta ordinando dati, sta analizzando, sta compiendo operazioni cui la memoria partecipa. A livello di sonno profondo c’è un riordinamento della materia prima della veglia (immediata, recente o antica), che è arrivata disordinatamente alla memoria. A livello di veglia, il coordinatore può rivolgersi alla memoria mediante evocazione (meccanismi di reversibilità), dando forma nella coscienza ad oggetti che, in quel momento, non entrano attraverso ai sensi, sebbene l’abbiano fatto in precedenza. Da ciò che abbiamo detto discende che la memoria può sia somministrare dati a richiesta del coordinatore sia stimolarlo senza la sua partecipazione; come quando, ad esempio, mancano stimoli sensoriali.

Errori di memoria

Il più frequente è il falso riconoscimento, che nasce quando un nuovo dato non viene messo correttamente in relazione con un dato precedente. Una variante (o ricordo equivoco) consiste nel sostituire un dato non presente nella memoria con un altro. Le amnesie consistono nell’impossibilità totale di evocare dati o sequenze complete di dati, al contrario dell’ipermnesia, ovvero della sovrabbondanza di ricordi. Va detto che ogni memorizzazione è comunque associata ad altre contigue, vale a dire che non esiste alcun ricordo isolato, ma il coordinatore seleziona tra i ricordi quelli che gli sono necessari; ecco qui un altro errore, che si dà quando ricordi contigui assumono una posizione centrale. Sulla condotta possono influire direttamente dati di memoria che non passano attraverso il coordinatore e che danno origine a comportamenti inadeguati alla situazione, indipendentemente dal fatto che si possa avere registro di tali condotte inadeguate. Un altro caso di errore è il “déja vu”, ovvero la sensazione di aver già vissuto una situazione in realtà completamente nuova.

Coscienza

La coscienza può essere definita come il sistema di coordinazione e registro messo in atto dallo psichismo umano. Di conseguenza non si considera cosciente alcun fenomeno che non sia registrato, né tanto meno alcuna operazione dello psichismo in cui non rientrino compiti di coordinazione. Ciò è possibile perché le possibilità di registro e coordinazione hanno uno spettro molto ampio e la maggiore difficoltà è quella di individuare le soglie, i limiti di registro e coordinazione. Questo ci porta a una considerazione immediata: in genere si vincola la “coscienza” all’”attività di veglia”, escludendo dalla coscienza tutto il resto, il che ha fatto sorgere concezioni prive di fondamento, come quella dell’”incoscio”. Ciò è accaduto sia perché non sono stati studiati a sufficienza i differenti livelli di lavoro della coscienza sia perché non è stata analizzata la struttura di presenza e compresenza, con cui il meccanismo dell’attenzione lavora. Esistono poi altre concezioni in cui la coscienza è vista come passiva; eppure essa lavora attivamente, strutturando e coordinando necessità e tendenze dello psichismo con apporti sensoriali e di memoria, il tutto mentre orienta le variazioni costanti della relazione tra corpo e psichismo, vale a dire tra struttura psicofisica e mondo.
Riteniamo meccanismi fondamentali quelli preposti alla reversibilità, che permettono alla coscienza di orientarsi, per mezzo dell’attenzione, verso la fonte d’informazione sensoriale (appercezione) e mnemica (evocazione). Quando l’attenzione è diretta all’evocazione può, inoltre, scoprire o far emergere fenomeni che, nel momento in cui furono registrati, non vennero avvertiti: tale riconoscimento è considerato come appercezione nell’evocazione. La messa in atto di meccanismi di reversibilità è direttamente in rapporto con il livello di lavoro della coscienza; a misura in cui si scende di livello nella coscienza il lavoro di tali meccanismi diminuisce, e viceversa.

Struttura della coscienza.

La sua struttura minima è la relazione atto-oggetto, legata da meccanismi d’intenzionalità della coscienza. Questa connessione tra atti e oggetti è permanente, anche in presenza di atti finalizzati alla ricerca di oggetti che, in quel momento, non si sanno definire: è questa situazione a dare dinamica alla coscienza. Gli oggetti della coscienza (percezioni, ricordi, rappresentazioni, astrazioni, ecc.) appaiono come correlati intenzionali degli atti della coscienza; l’intenzionalità è sempre lanciata verso il futuro, il che si registra come tensione di ricerca, ma anche nel passato, cioè nell’evocazione. Perciò i tempi della coscienza si incrociano nel momento presente. La coscienza prefigura e ricorda, ma nel momento della implesion lavora al presente. Quando si è alla ricerca di un ricordo, l’oggetto evocato, quando appare, “si rende presente”; finché ciò non accade, la coscienza non ha completato il suo atto. L’azione di completamento è registrata come distensione; quando gli atti incontrano il loro oggetto, rimane energia libera che viene utilizzata dalla coscienza per nuovi compiti. Le operazioni qui descritte sono caratteristiche del livello di veglia, giacché in altri livelli (come, per esempio, nel sonno) la struttura del tempo è differente. Il tempo psicologico dipende perciò dal livello di lavoro dello psichismo; il tempo di lavoro del coordinatore in stato di veglia è il presente, dal quale si possono effettuare numerosi giochi temporali di protensioni e ritenzioni che però continueranno a incontrarsi, sempre, nel momento presente. L’efficacia dei meccanismi di reversibilità e il tempo presente sono caratteristiche della veglia.

Attenzione, presenza e compresenza

L’attenzione è un’attitudine della coscienza che permette di osservare i fenomeni interni ed esterni. Così, quando uno stimolo supera la soglia, desta l’interesse della coscienza, collocandosi in un campo centrale di presenza al quale si rivolge l’attenzione. La stessa cosa succede quando è la coscienza a rivolgersi, per proprio interesse, a un determinato stimolo o dato. Quando l’attenzione lavora accade che alcuni oggetti appaiano centrali e altri periferici, in modo compresente. Queste presenza e compresenza dell’attenzione si dà tanto con gli oggetti esterni quanto con quelli interni. Nel momento in cui la propria attenzione è rivolta a un oggetto si fa presente un aspetto evidente e ciò che non è evidente opera in modo compresente. “Si dispone di” quella parte, anche se non vi si presta attenzione; ciò accade perché la coscienza lavora con più elementi di quelli a cui ha bisogno di prestare attenzione, cioè va oltre l’oggetto osservato. La coscienza dirige atti verso gli oggetti, ma con la compresenza di altri atti che non hanno relazione con il tema o l’oggetto cui l’attenzione è rivolta nel momento. Lo stesso fenomeno si sperimenta ai vari livelli di coscienza; alla veglia, per esempio, sono compresenti gli insogni, mentre nei sogni possono esserci atti eminentemente vigilici, come il ragionamento. Ecco allora che la presenza si dà in un campo di compresenza: nella conoscenza, per esempio, quando è necessario concentrarsi su un tema specifico, la massa d’informazioni compresente è importante. La conoscenza è compresa in quest’orizzonte di compresenza, perciò, nel momento in cui lo si amplia, si amplia anche la capacità di stabilire relazioni. Presenza e compresenza configurano l’immagine del mondo che ciascun individuo possiede. Oltre a concetti e idee la coscienza si avvale di elementi compresenti, senza pensarli, come le opinioni, credenze, supposizioni, tutte cose cui raramente si presta attenzione. Quando questo substrato, su cui si conta, varia o decade è l’immagine del mondo a cambiare e trasformarsi.

Astrazione e associazione

La capacità di astrazione della coscienza aumenta a livello di veglia e diminuisce ai livelli inferiori, nei quali aumentano invece i meccanismi associativi. In stato di veglia lavorano tanto i meccanismi di astrazione quanto quelli di associazione che ne stanno alla base; conseguenza dei primi è l’”ideazione”, dei secondi l’”immaginazione”. L’ideazione consiste nella formulazione di astrazioni che possiamo definire “concetti”; si tratta di riduzioni degli oggetti ai loro caratteri essenziali (per esempio, da un campo si può astrarre la sua forma triangolare e calcolarne l’area geometrica). La concettualizzazione non lavora con elementi isolati bensì con insiemi di elementi, ed è a partire da tali concettualizzazioni che si possono stabilire classificazioni (è il caso dell’astrazione “albero” che, a sua volta, comprende diversi tipi di albero e perciò avremo classificazioni in categorie, classi, generi, ecc.). Ne consegue che l’ideazione avviene in base a concettualizzazioni e classificazioni, grazie ai meccanismi astrattivi della coscienza.
L’immaginazione nasce con il lavoro dei meccanismi di associazione: per contrasto (bianco-nero), per contiguità (ponte-fiume) e per similitudine (rosso-sangue). Possiamo distinguere due tipi d’immaginazione, una divagatoria e un’altra plastica o diretta. La prima si caratterizza per la libera associazione, senza guida, in cui le immagini si liberano e s’impongono alla coscienza (come sogni e divagazioni, per esempio). In quella plastica o diretta c’è invece una certa libertà operativa, fermo restando un orientamento rispetto a un piano d’inventiva in cui si vuole dare forma a qualcosa che ancora non esiste. A seconda che gli impulsi che arrivano alla coscienza siano elaborati dall’uno o l’altro dei meccanismi segnalati (astrazione, classificazione, divagazione o immaginazione diretta) si otterranno traduzioni diverse, dando forma a molteplici rappresentazioni.

Livelli di coscienza.

La coscienza può essere completamente immersa nel sonno, in dormiveglia o sveglia, ma anche in fasi intermedie o di transizione. Esistono gradazioni tra livelli di coscienza, non ci sono tagli netti tra l’uno e l’altro. Parlare di livelli significa parlare di operazioni differenti e del registro di tali operazioni. È grazie a tale registro che possiamo distinguere tra diversi livelli di coscienza, e non si può conservare il registro dei livelli come se questi fossero ambiti vuoti.

Caratteristiche dei livelli

Possiamo affermare che i differenti livelli di coscienza adempiano la funzione di compensare in modo strutturato il mondo (intendendo per “mondo” la massa di percezioni, rappresentazioni, ecc., che hanno origine negli stimoli dell’ambiente esterno e interno). Non si tratta semplicemente del fatto che si danno risposte bensì che le risposte date sono compensatorie e strutturali. Tali risposte sono compensazioni tese a ristabilire l’equilibrio, all’interno di quella relazione instabile che è la relazione coscienza-mondo o psichismo-ambiente. Quando l’energia impiegata nel lavoro legato al funzionamento vegetativo si rende libera i livelli salgono, perché ricevono l’energia che li rifornisce.

Sonno profondo

A questo livello il lavoro dei  sensi esterni è minimo e non c’è altra informazione dell’ambiente esterno se non quella che oltrepassa la soglia posta dal sonno stesso. Il lavoro del senso cenestesico è predominante e apporta impulsi che sono poi tradotti e trasformati dal lavoro dei meccanismi associativi, dando luogo all’insorgere d’immagini oniriche. A questo livello, le caratteristiche sostantive delle immagini risiedono nel loro grande potere di suggestionabilità. Il tempo psicologico e lo spazio risultano modificati rispetto alla veglia e la struttura atto-oggetto appare frequentemente priva di corrispondenza fra i suoi elementi. Allo stesso modo, “climi” emotivi e immagini tendono a diventare indipendenti gli uni dalle altre: tipica è la scomparsa dei meccanismi critici e autocritici che, a partire da questo livello, aumentano il proprio lavoro a mano a mano che aumenta il livello di coscienza. L’inerzia dei livelli e il preciso ambito formale che essi determinano fanno sì che la mobilità ed il passaggio dall’uno all’altro avvengano a poco a poco (è il caso dell’entrata e dell’uscita dal sonno, che avvengono passando per il dormiveglia). Il tono di tale livello è analogo a quello degli altri: si può passare da uno stato attivo ad un altro passivo, così come possono presentarsi stati d’alterazione. Il sonno passivo è privo d’immagini, quello attivo invece è con immagini.

Dormiveglia

A questo livello, che precede la veglia, i sensi esterni cominciano ad inviare informazione alla coscienza, informazione non completamente strutturata perché c’è anche l’interferenza dell’attività di insogno e la presenza di sensazioni interne. I contenuti del sogno, quando continuano a comparire, perdono il loro potere suggestivo, il che è dovuto alla semi-percezione della veglia che fornisce nuovi parametri. La suggestionabilità continua ad agire, soprattutto in caso di alcune immagini molto vivide (dette “ipnagogiche”) e ricche di forza. D’altra parte il sistema di insogni ricorrenti, che può rarefarsi in stato di veglia e svanire del tutto nel sonno, riappare; è in questo livello che il nucleo dell’insogno e gli insogni secondari sono più facilmente registrabili, se non altro nei climi e tensioni di base. In genere il modo di “insognare” proprio di questo livello è trasferito per inerzia allo stato di veglia, fornendo così la materia prima per la divagazione (per quanto in essa siano presenti anche elementi di percezione tipici della veglia). In questo contesto il coordinatore può già eseguire alcune operazioni; ricordiamo come questo livello sia estremamente instabile e, perciò, di facile squilibrio ed alterazione. Sempre qui troviamo gli stati di dormiveglia attiva e passiva; il primo offre un passaggio facile al sonno, l’altro alla veglia. Sarà bene fare anche un’altra distinzione: esistono un dormiveglia attivo per alterazione ed un altro più calmo ed attento. Il dormiveglia alterato è la base delle tensioni e dei climi che, con forza ed insistenza, possono arrivare allo stato di veglia generando “rumori” e modificando la condotta, rendendola inadeguata alla situazione ambientale. Climi e tensioni tipiche dello stato di veglia possono essere “trascinati” nel dormiveglia attivo alterato; i diversi stati, attivi e passivi, sono dati dal tono e dall’intensità energetica propri di ciascun livello. Sono i toni a dare intensità graduale sia ai climi emotivi sia alle tensioni.

 veglia

Qui i sensi esterni apportano una maggiore quantità d’informazione, regolando per inibizione i sensi interni e rendendo possibile per il coordinatore orientarsi verso il mondo nel lavoro di compensazione dell’ambiente che svolge lo psichismo. Entrano qui in gioco i meccanismi di astrazione e quelli critici ed autocritici, raggiungendo alti gradi di manifestazione e di intervento nei compiti di coordinazione e registro. I meccanismi di reversibilità, di cui si aveva nei livelli precedenti minima manifestazione, possono qui dispiegarsi pienamente, permettendo così al coordinatore di equilibrare gli ambienti interno ed esterno. Il potere di suggestione nei contenuti della veglia diminuisce a mano a mano che aumentano i punti di riferimento. C’è un tono di veglia attiva che può essere attenta, con un ricorso massimo all’appercezione, oppure un tono di veglia alterata; in quest’ultimo caso compaiono la divagazione silenziosa e gli insogni, più o meno ricorrenti.

Relazioni tra livelli

La relazione tra i livelli, in generale, produce alterazioni reciproche. Possiamo citare quattro fattori che incidono su tale relazione: inerzia, rumore, effetto “rimbalzo” e  “trascinamento”.

Inerzia

Ogni livello di coscienza tende a mantenere il proprio livello di lavoro mantenendo anche la sua attività, dopo aver terminato il proprio ciclo. Ciò porta a far sì che il passaggio da un livello all’altro avvenga con lentezza, con il primo che diminuisce nello stesso momento in cui sorge il successivo (come nel caso di contenuti del dormiveglia che s’impongono in veglia). I casi che si citano  di seguito sono conseguenze di questa inerzia, tipica di ogni livello, a mantenere ed estendere il proprio tipo di articolazione caratteristica.

Rumore

L’inerzia del livello precedente compare come rumore di fondo nel lavoro del livello successivo; contenuti dell’infraveglia irrompono interferendo nel lavoro della veglia e viceversa. Tra i rumori possiamo distinguere: climi emotivi, tensioni e contenuti non corrispondenti al lavoro del coordinatore in quel momento. Facciamo un esempio: se si deve compiere un lavoro intellettuale, esso dovrà accompagnarsi ad una determinata emozione (il gusto di compierlo), il lavoro stesso produrrà una certa tensione ed evocherà contenuti opportuni alle operazioni in atto; se il clima invece fosse di tipo differente, le tensioni non provenissero dal lavoro e i contenuti fossero allegorici, è ovvio che tutto ciò interferirebbe nell’attività introducendovi rumore, il che a sua volta finirebbe per alterare la coordinazione e consumare l’energia disponibile.

Effetto rimbalzo

Questo fenomeno nasce in risposta a un livello nel quale, superando le difese dell’inerzia, siano stati introdotti i contenuti di un livello differente. Contenuti propri del livello invaso riappariranno più tardi nel livello in cui s’è prodotta l’introduzione.

Trascinamento

Contenuti, climi e toni propri di un livello si trasferiscono e permangono in un altro livello come trascinamento. Questo sarà più rilevante nel caso di climi, tensioni o contenuti fissati nello psichismo che vengano trascinati per lungo tempo e che si ripresentino a diversi livelli. Data l’importanza psicologica che questi fattori possono rivestire nell’adattamento crescente e nell’evoluzione dello psichismo, li si può prendere in particolare considerazione.

Toni, climi, tensioni e contenuti

I toni sono considerati dal punto di vista dell’intensità energetica. Le operazioni a ciascun livello possono essere effettuate con maggiore o minor intensità (con maggiore o minor tono). Esistono vissuti che possono manifestarsi con maggiore o minor intensità secondo il tono predominante e, a volte, essere alterati da questo, trasformandosi in fattore di rumore.

I climi sono stati d’animo che, per la loro variabilità, compaiono a intermittenza e, per un certo tempo, possono oscurare la coscienza, impregnando tutte le attività del coordinatore. A volte i climi corrispondono alle operazioni effettuate e, accompagnano concomitantemente il coordinatore senza perturbarlo, anzi facilitandone il lavoro; qualora ciò non accada, provocano rumore. Tali climi possono fissarsi nello psichismo e perturbarne la struttura completa, impedendo mobilità e facilità spostamento dei climi opportuni. I climi fissati circolano tra i differenti livelli e dalla veglia possono così passare al sonno, proseguire lì e ritornare alla veglia per lungo tempo, sottraendo al coordinatore libertà operativa. Un altro tipo di clima è quello situazionale, che quando appare rallenta le risposte adeguate ad una determinata situazione.

Le tensioni hanno una radice più fisica, più corporea; entra qui in gioco il sistema muscolare, poiché è nella muscolatura che si conserva il registro più diretto di tali tensioni. Il vincolo con lo psichismo non è sempre diretto, perché il rilassamento muscolare non accompagna direttamente un rilassamento mentale, anzi: mentre il corpo è già riuscito a rilassarsi, infatti, la coscienza può continuare a presentare tensioni e alterazione. Questa differenza tra tensioni psichiche e fisiche permette distinzioni operative più precise. Le tensioni psichiche sono vincolate ad aspettative eccessive con le quali lo psichismo è spinto ad una ricerca, una ”attesa di qualcosa” che provoca forti tensioni.

I contenuti mentali compaiono come oggetti formali della coscienza; sono forme compensatorie, organizzate dalla coscienza per rispondere al mondo. È qui che appare o no la corrispondenza tra attività o necessità dello psichismo e i contenuti che appaiono nel coordinatore. Se si sta effettuando un’operazione matematica sarà opportuno ricorrere a una rappresentazione numerica, mentre una figura allegorica sarebbe assolutamente inopportuna, rappresentando inoltre un rumore e un’occasione di distrazione. Tutti i fattori di rumore provocano, oltre a un rallentamento del lavoro, disorientamento e dispersione d’energia. I contenuti della coscienza possiedono un significato di grande importanza per il coordinatore, quando agiscono nel loro livello di formazione, ma non appena lasciano il livello formale che gli è proprio ostacolano i compiti di coordinazione.
Di grande utilità risultano anche i registri degli stati di calma in veglia, giacché riescono a ristabilire la normalità del flusso di coscienza. Nel caso in cui i climi si fissino esiste una modalità operativa per trasferire tali climi dalle immagini corrispondenti ad altre di minor importanza per la coscienza. In questo modo i climi possono perdere fissità e diminuire così la perturbazione della veglia. In sintesi: i quattro tipi di vissuto menzionati finora sono fattori favorevoli se e quando sono appropriati alle operazioni del coordinatore; sono invece sfavorevoli se non corrispondono a tali operazioni, traducendosi perciò in fattori di rumore e distrazione che alterano lo psichismo.

Errori del coordinatore

Bisogna distinguere tra errori propri della coscienza ed errori di relazione tra coscienza, sensi e memoria. Definiamo genericamente questi ultimi come “disfunzioni”. L’errore tipico del coordinatore è l’allucinazione. Essa si produce quando fenomeni non direttamente provenienti dai sensi vengono esperiti come se operassero con tutte le caratteristiche della percezione sensoriale nel mondo esterno. Si tratta di configurazioni prodotte dalla coscienza in base alla memoria. Tali allucinazioni possono insorgere in situazioni di estrema stanchezza, per carenza di sostanze necessarie al metabolismo cerebrale, per anossia, per carenza di stimoli (come nelle situazioni di deprivazione sensoriale), per azione di droghe, nel delirium tremens proprio dell’alcolismo e, infine, in caso di pericolo di morte. Spesso le allucinazioni si danno in casi di debilitazione fisica e di “coscienza emozionata”, casi cioè in cui il coordinatore perde la propria facoltà di collocazione temporale. Tra le disfunzioni dei sensi possiamo menzionare l’incapacità di mettere in relazione dati provenienti da differenti vie sensoriali (sono i casi conosciuti come “disintegrazione eidetica”), mentre le disfunzioni della memoria si registrano come dimenticanze o blocchi.

Circuito integrato tra sensi, memoria e coordinatore

Le connessioni tra sensi, memoria e coscienza rivelano aspetti di grande importanza nel funzionamento dello psichismo. Tali circuiti di connessione lavorano autoregolandosi perfettamente. Così nel momento in cui il coordinatore opera un’appercezione della percezione, l’evocazione ne è inibita e, inversamente, l’appercezione della memoria inibisce la percezione; similmente l’ingresso di stimoli interni è frenato nel momento in cui intervengono quelli esterni, e viceversa. L’autoregolazione maggiore è evidente nei cambi del livello di lavoro, in cui all’aumentare del sonno (vale a dire al diminuire della veglia) i meccanismi di reversibilità si bloccano, mentre si liberano completamente i meccanismi associativi; da parte loro, nel momento stesso in cui iniziano il proprio lavoro, i meccanismi critici inibiscono quelli associativi e lo stato di veglia aumenta. Anche tra i sensi esiste un’interregolazione automatica: quando la vista si acutizza diminuiscono tatto, olfatto e udito e la stessa cosa vale per tutti i sensi (ad esempio si usa chiudere gli occhi per udire meglio).

 

Impulsi

Gli impulsi che arrivano al coordinatore, provenienti dai sensi e dalla memoria, sono trasformati in rappresentazioni, strutture di percezione ed evocazione che vengono elaborate al fine di trovare risposte efficaci nel lavoro di ricerca dell’equilibrio tra ambiente interno ed esterno. Così, per esempio, mentre un insogno è un’elaborazione-risposta all’ambiente interno, uno spostamento motorio è un movimento-risposta all’ambiente esterno, o nel caso delle rappresentazioni, un’ideazione portata a livelli segnici è un altro tipo di rappresentazione-risposta all’ambiente esterno. D’altro canto, qualsiasi rappresentazione si collochi nel campo di presenza del coordinatore suscita catene associative tra l’oggetto e la sua compresenza. Così, mentre l’oggetto è colto con grande precisione nel campo della presenza, in quello della compresenza compaiono relazioni tra altri oggetti, non presenti ma ad esso vincolati. Si avverte qui l’importanza dei campi di presenza e compresenza nella traduzione di impulsi, come nel caso della traduzione allegorica in cui molta materia prima proviene da dati arrivati alla compresenza dello stato di veglia.
Uno studio degli impulsi è molto importante, visto il lavoro particolare che il coordinatore realizza con le rappresentazioni. Le vie possibili sono due: quella astrattiva, che opera riducendo la molteplicità fenomenica ai suoi caratteri essenziali, e quella associativa, che struttura le rappresentazioni sulla base di similitudine, contiguità e contrasto.
Sulla base di queste vie di astrazione e di associazione si strutturano forme, ovvero nessi tra la coscienza che le costituisce e i fenomeni del mondo oggettuale cui sono riferite.

Morfologia degli impulsi.

A questo livello di esposizione intenderemo le “forme” come fenomeni di percezione o rappresentazione. La morfologia degli impulsi studia le forme come strutture tradotte e trasformate dall’apparato psicofisico nel loro lavoro di risposta agli stimoli.
Possiamo avere varie forme di uno stesso oggetto secondo i canali di sensazione usati, secondo la prospettiva relativa a tale oggetto e secondo il tipo di strutturazione operata dalla coscienza. Ciascun livello di coscienza pone il proprio ambito formale; ogni livello procede come struttura dall’ambito caratteristico, legato a forme altrettanto caratteristiche. Le forme che emergono nella coscienza sono reali compensazioni strutturatrici di fronte allo stimolo. La forma è l’oggetto dell’atto di compensazione strutturatrice. Lo stimolo si tramuta in forma quando la coscienza lo struttura partendo dal proprio livello di lavoro; accade così che un medesimo stimolo si traduca in forme differenti secondo le risposte strutturatrici dei differenti livelli di coscienza. Tali differenti livelli svolgono la funzione di compensare strutturalmente il mondo.
Il colore ha una grande importanza psicologica; però, anche se serve alla ponderazione delle forme, non modifica la sua essenza.
Per comprendere origine e significato delle forme bisogna distinguere tra sensazione, percezione e rappresentazione.

Funzioni della rappresentazione interna

  1. Fissare la percezione come memoria;
  2. Trasformare ciò che si è percepito secondo le necessità della coscienza.
  3. Tradurre gli impulsi interni a livelli percettibili.

 

Funzioni della rappresentazione esterna

  1. Astrarre l’essenziale al fine di ordinare (simbolo).
  2. Esprimere convenzionalmente astrazioni al fine di poter operare nel mondo (segno).
  3. Concretizzare l’astratto al fine di ricordare (allegoria).

 

Caratteristiche di segno, allegoria e simbolo

Il segno è convenzionale, operativo, associativo, a volte figurativo a volte no. L’allegoria è centrifuga, moltiplicatrice, associativa, epocale e figurativa. Il simbolo è centripeto, sintetico, non associativo, non epocale e non figurativo.

Simbolica.

Il simbolo come atto visuale

Il simbolo come percezione visiva nello spazio ci porta a riflettere sul movimento dell’occhio. La visione di un punto privo di riferimenti permette all’occhio di muoversi in tutte le direzioni. La linea orizzontale porta l’occhio in quella direzione senza sforzo. La linea verticale provoca tensione, fatica e assopimento.
La comprensione del simbolo (inizialmente una configurazione e un movimento visuali) permette di prendere seriamente in considerazione l’azione che, partendo dal mondo esterno, esso compie sullo psichismo (quando il simbolo si presenta come percezione derivante da un oggetto culturale) e permette di indagare il lavoro della rappresentazione (sia che l’immagine si esprima come simbolo in una produzione personale interna sia che si proietti in una produzione culturale esterna).

Il simbolo come risultato della trasformazione di ciò che si è percepito

Qui sorge la funzione compensatoria del simbolo come referente e ordinatore dello spazio. Il simbolo contribuisce a determinare il centro del campo aperto e a rallentare il tempo. I monumenti-simbolo danno unità psicologica e politica ai popoli. C’e anche il simbolo che corrisponde alle produzioni non collettive, in cui si osserva la funzione compensatoria della coscienza di fronte ai dati della realtà.

Il simbolo come traduzione degli impulsi interni

Nel sogno e nella produzione artistica il simbolismo generalmente risponde a impulsi cenestesici tradotti a livello di rappresentazione visuale. Un altro caso di manifestazione simbolica come traduzione degli impulsi interni è quella di alcune posture conosciute in oriente come mudra. Alcuni atteggiamenti corporali generali ed il loro significato sono conosciuti in tutto il mondo; è il caso del corpo eretto con le braccia aperte, che esprime simbolicamente situazioni mentali completamente opposte a quelle espresse da un corpo racchiuso in sé stesso, come nella posizione fetale.

Segnica.

Il segno adempie la funzione di esprimere convenzionalmente astrazioni al fine di operare nel mondo, unificando in uno stesso livello di linguaggio fenomeni di natura diversa. Espressione e significato sono una struttura: quando il significato di un’espressione è sconosciuto, il segno perde valore operativo. Le espressioni equivoche o multivoche sono quelle che ammettono vari significati; la loro comprensione è ricavabile dal contesto. È il contesto che uniforma il livello di linguaggio, ma i contesti in genere si collocano al di fuori dell’ambito di un livello di linguaggio dato. Nascono così espressioni sincategorematiche od occasionali. Prendiamo il caso di qualcuno che senta bussare alla porta e che chieda “chi è?”; ebbene, diverse persone risponderanno “io”, e si capirà ogni volta di chi si tratta  per la voce, l’ora, l’eventuale attesa di una visita, ecc., cioè per contesti esterni al livello di linguaggio usato, nel quale si dirà sempre e comunque: “io”. Quanto al segno in sé, esso può essere espressione d’un significato, o adempiere la funzione, se ha carattere associativo, di segnalare un’altra identità.

Differenze tra segni e categorie segniche

Le connessioni tra segni sono formalizzazioni di relazioni e sono, a loro volta, segni. In genere, quando i segni perdono il loro significato per traslato culturale, li si considera simboli.

La funzione segnica di simboli ed allegorie

Un simbolo si converte in segno quando gli si dà valore convenzionale e lo si considera in senso operativo. Anche le allegorie adempiono funzioni segniche.

Allegorica.

Le allegorie sono narrazioni plasticamente trasformate, in cui la diversità è unificata o moltiplicata per allusione, ma in cui inoltre si concretizza ciò che è astratto. Il carattere moltiplicativo dell’allegoria ha a che vedere con il processo associativo della coscienza.

Leggi associative dell’allegoria

Quando la coscienza cerca la somiglianza ad un oggetto dato è guidata dalla similitudine; quando cerca un oggetto preciso ovvero che è, è stato o sarà in contatto con un oggetto dato, allora è guidata dalla contiguità. Se infine quel che cerca è in opposizione o relazione dialettica con l’oggetto dato, allora è guidata dal contrasto.

L’aspetto situazionale dell’allegoria

L’ambito allegorico è dinamico e riporta situazioni riferite alla mente individuale (sogni, racconti, arte, patologia, mistica), allo psichismo collettivo (racconti, arte, folklore, miti e religioni) e all’uomo di  diverse epoche  rispetto alla natura e alla storia.

funzioni e tipi di allegorie

Raccontano situazioni compensando le difficoltà di completa comprensione. Avvicinarsi allegoricamente alle situazioni permette di operare in modo indiretto su situazioni reali.

Il “clima” dell’allegoria e il sistema d’ideazione

Nell’ambito allegorico il fattore emotivo non è dipendente dalla rappresentazione. Il clima fa parte del sistema d’ideazione ed è ciò che ne rivela il significato per la coscienza. L’allegoria non rispetta il tempo lineare né la strutturazione dello spazio dello stato di veglia.

Il sistema di tensione e l’allegoria come scarica

Il riso, il pianto, l’atto amoroso e il confronto aggressivo sono mezzi per scaricare le tensioni interne. Determinate allegorie adempiono la funzione di provocare tale scarica.

Composizione dell’allegoria

Contenitori (custodiscono, proteggono o rinchiudono quel che c’è al loro interno); contenuti (ciò che è incluso in un ambito); connettive (entità che facilitano o impediscono la connessione tra contenuti, tra e ambiti o tra ambiti e contenuti); attributi (manifesti quando spiccano, taciti quando restano nascosti). Nell’allegoria spiccano i livelli (importanze, gerarchie), la consistenza (qualità e significato della qualità di un oggetto) e i momenti di processo (età). Le allegorie si presentano alla coscienza con dinamica e grande capacità di trasformismo, inversione, espansione o riduzione.
Per poter interpretare appieno un sistema allegorico sarà bene seguire un piano di lavoro che inizi separando le componenti simbolica e segnica. Successivamente si dovrà cercare di comprendere la funzione assolta da ciascuno degli elementi presi in considerazione nonché l’origine della materia prima allegorica (capire cioè se si tratta di oggetti culturali, di ricordi alla rinfusa, di insogni o di immagini oniriche).

 

Comportamento

Abbiamo visto lo psichismo come coordinatore delle relazioni tra ambienti differenti, quello interno del corpo e quello esterno o ambientale. Da entrambi gli ambienti lo psichismo ottiene informazioni per mezzo dei sensi, immagazzinando esperienza grazie alla memoria e procede all’adeguamento grazie ai centri. Chiamiamo questo “adeguamento” tra ambienti col nome di “comportamento”, considerandolo come un caso particolare di espressione dello psichismo. I suoi meccanismi di base sono gli istinti di conservazione (individuale e della specie) e le tendenze intenzionali.
Il comportamento si struttura in base a qualità innate proprie della struttura biologica cui l’individuo appartiene e a qualità acquisite codificate in base ad esperienze di riuscita o di errore, con i loro registri di piacere o dispiacere. Le qualità innate pongono la condizione biologica al coordinatore, che dispone di esse e non può prescinderne senza danno. Tale base biologica ha un’inerzia che si esprime conservando e raggiungendo condizioni ideali alla sua espansione. Le qualità acquisite sorgono dall’apprendimento individuale nel dislocamento della struttura psicofisica nello spazio e nel tempo; l’apprendimento modifica il comportamento in relazione alle esperienze di riuscita ed errore. Questi tentativi costituiscono indicazioni per il miglior adattamento dell’individuo, il migliore adattamento si ottiene con le minori resistenze dell’ambiente, il minore sforzo nel lavoro e il minor dispendio energetico. Questa forma di adattamento rende possibile un plus energetico (energia libera) che può essere utilizzato in nuovi passi di adattamento crescente.
In qualsiasi processo di adattamento la struttura psicofisica si orienta in base agli indicatori di piacere e dispiacere. Il dispiacere funziona da segnale di ciò che è pericoloso per la vita, tossico, repressivo o, più in generale, pregiudizievole per la struttura psicofisica. Il piacere, mentre stimola e motiva lo psichismo, traccia le direttrici ottimali da seguire. D’altra parte il comportamento trova limiti nelle possibilità dello psichismo, in quelle del corpo ed in quelle presentate di volta in volta dalle circostanze. I limiti dello psichismo si ampliano progressivamente in base alle qualità acquisite, quelli corporei invece non possono espandersi nella stessa misura, senza contare che, con l’età, le limitazioni aumentano. Ciò non significa che il corpo non possieda tutte le facoltà per agire efficacemente nell’ambiente ma che il corpo pone limiti e condizioni che lo psichismo non può ignorare senza arrecare danno a se stesso. Nelle relazioni tra psichismo, corpo ed ambiente il corpo effettuerà le proprie operazioni oggettuali con maggiore o minor successo: nel primo caso si avrà adattamento, nel secondo disadattamento.

I centri come specializzazioni delle risposte relazionali.

Nella struttura umana il semplice meccanismo originale di stimolo-risposta appare altamente complesso, essendo caratteristica di tale struttura la “risposta differita”, che si differenzia dalla “risposta riflessa” per via dell’intervento dei circuiti di coordinazione e per la possibilità di canalizzare la risposta grazie ai diversi centri d’attività neuro-endocrina. I centri lavorano in modo strutturale tra loro e con registri propri, oltre al registro generale che il coordinatore ha grazie all’informazione che gli arriva dai sensi interni nel momento di agire nell’ambiente, nonché grazie alle connessioni tra centro e coordinatore stesso.

Il centro vegetativo

Ogni essere vivente, in base al “progetto” del proprio corpo, dei propri codici genetici, assimila sostanze dall’ambiente esterno e produce l’energia psicofisica necessaria per la conservazione e lo sviluppo della vita. Nell’essere umano l’energia è distribuita dal centro vegetativo, che dalle proprie numerose localizzazioni nervose e ghiandolari impartisce istruzioni ed è, dunque, il centro fondamentale dello psichismo. Da esso partono gli istinti di conservazione individuale e della specie, che regolano il sonno, la fame e l’attività sessuale. Fondamentalmente i segnali che forniscono istruzioni (informazioni) a questo centro si registrano cenestesicamente, ma anche i segnali provenienti dai sensi esterni hanno la capacità di mobilizzarlo o inibirlo.

Il centro sessuale

E’ il collettore e distributore energetico che opera per concentrazione e diffusione alternate, mobilitando l’energia psicofisica in forma localizzata o diffusa. Il suo lavoro è volontario e involontario. Della tensione di questo centro si ha un registro cenestesico, così come della distribuzione d’energia al resto dei centri. La diminuzione della tensione si produce grazie alle scariche proprie di questo centro e a quelle che attraversano gli altri centri; esso può connettere anche le tensioni del corpo e degli altri centri. La struttura vegetativo-sessuale è la base filogenetica a partire dalla quale gli altri centri si sono organizzati nel processo evolutivo di adattamento.

Il centro motorio

Agisce come regolatore dei riflessi esterni, condizionati e incondizionati, nonché delle abitudini motorie. Permette inoltre il dislocamento del corpo nello spazio e lavora con tensioni e rilassamenti muscolari attivati da segnali nervosi e chimici.

Il centro emotivo

Opera come regolatore e sintetizzatore di risposte situazionali, mediante un lavoro di adesione o rifiuto. Quando il centro emotivo dà risposte eccessive si producono blocchi parziali che generano alterazioni nella sincronizzazione degli altri centri.

Il centro intellettuale

Risponde in base a meccanismi d’astrazione, classificazione ed associazione, lavorando per selezione o confusione in una gamma che dalle idee arriva alle differenti forme dell’immaginazione, diretta o divagatoria, potendo elaborare diverse forme simboliche, segniche o allegoriche. Quando le risposte scorrette di questo centro ne travalicano l’ambito si produce confusione nel resto della struttura e, di conseguenza, nel comportamento.

Strutturalità del lavoro dei centri

Nei dettami delle risposte all’ambiente esiste una velocità differente, giacché essa è proporzionale alla complessità del centro. Mentre l’intelletto elabora una risposta lenta, l’emozione e la motricità lo fanno con velocità maggiore ed il centro vegetativo (in alcune delle sue espressioni, come il riflesso corto) mostra la maggior velocità della risposta. Il lavoro dei centri è strutturale, come si può verificare dalle concomitanze che si producono negli altri centri quando uno di essi sta agendo come principale. Esemplificando: l’attività intellettuale è accompagnata da un tono emotivo (“piacere di studiare”) che aiuta a mantenere l’interesse mentre il livello di lavoro della motricità si riduce al minimo. Se si tratta di ricomposizione vegetativa (ad esempio, per malattia), tutta l’energia è occupata in questo lavoro e l’attività degli altri centri si riduce al minimo.
I centri possono lavorare in modo non sincronizzato, dando luogo ad errori nella risposta. Del lavoro strutturale dei centri si ha registro cenestesico e percezione psicologica; perciò, nelle esperienze di grande conflitto interno, il lavoro dei centri è esperito come contraddizione tra ciò che si pensa, ciò che si sente e ciò che si fa.

Caratterologia

Le molteplici tendenze delle persone, le loro differenti conformazioni fisiche e la diversità delle azioni con le quali rispondono al mondo rendono molto difficile il compito di stabilire classificazioni di carattere in base a tratti comuni. Uno studio di questo tipo dovrebbe prendere in considerazione il fatto che la situazione degli  individui nell’ambiente è dinamica e variabile, che nel corso della vita si acquisisce esperienza e che si possono verificare incidenti che producono trasformazioni profonde del comportamento. Una “caratterologia” possibile dovrebbe occuparsi della combinazione tra ciò che è innato e ciò che è acquisito. Le disposizione innate, anch’esse suscettibili di cambiamento, si riflettono in attitudini psichiche e forme corporee più o meno tipiche. D’altra parte questa tipicità è il risultato del lavoro predominante di alcuni centri rispetto ad altri, con la loro velocità di risonanza e la direzione della loro energia caratteristica, ma anche questo sarà modificabile secondo la struttura della situazione. Vale a dire che si potrebbe stabilire anche una tipologia situazionale, giacché negli stessi tipi di base scopriamo risposte differenti. Al tipo di base si aggiungono le forme culturali proprie dell’epoca, la situazione sociale, il genere di compiti quotidiani e così via; tutto ciò configura quel che chiamiamo “personalità”.

Cicli dello psichismo.

Lo psichismo umano, di notevole complessità, ha tra i suoi predecessori altre forme organiche, condizionate dai macrocicli della natura come le stagioni e il passaggio dal giorno alla notte. Numerose variazioni modificano le condizioni interne ed esterne dello psichismo; abbiamo variazioni di temperatura e di luminosità, così come variazioni climatiche all’interno d’ogni stagione. Tutti gli organismi sono determinati, in maniera maggiore o minore, dai cicli naturali. L’essere umano è meno condizionato dalla ciclicità organica delle altre specie e il suo psichismo riesce a modificarsi, raggiungendo un’indipendenza sempre maggiore. Un esempio chiarissimo è l’attività sessuale che, a differenza di altre specie, è sempre più indipendente dai cicli stagionali.
Nei meccanismi di coscienza esistono ritmi diversi, come dimostrano le scariche bioelettriche registrate dall’elettroencefalografo. I centri hanno un ritmo particolare ed i livelli di coscienza ne evidenziano i cicli di lavoro. Quando la veglia ha terminato la propria fase di lavoro quotidiano la sua attività si “abbassa” e si inizia ad entrare nella fase di sonno; da parte sua, il sonno compensa la fase di lavoro della veglia. Nella meccanica dei diversi livelli di coscienza operano i cicli del metabolismo e, più in generale, i ritmi vegetativi.
Il ciclo maggiore dell’essere umano è dato dal tempo vitale, che le diverse tappe esistenziali portano a compimento; nascita, infanzia, adolescenza, giovinezza, prima e seconda maturità, anzianità, vecchiaia e morte. In ogni tappa avvengono trasformazioni dello psichismo, secondo le necessità organiche, secondo gli interessi, le possibilità offerte dall’ambiente e così via; infine, i cicli e i ritmi psicosomatici mostrano modificazioni rilevanti secondo i cambiamenti di direzione che si producono nei momenti in cui le varie tappe vitali iniziano e finiscono.


  Questa frase spiega perché, alla fine di questo testo, sia stata aggiunta l’Appendice sulle basi fisiologiche dello psichismo. Testualmente l’autore ha detto: “Per poter addivenire a una visione integrata del lavoro dello psichismo umano ne presenteremo le diverse funzioni ricorrendo alla metafora degli “apparati” che potremmo arrivare a localizzare fisiologicamente.”

  Un’applicazione di questi studi sugli apparati dello psichismo - coscienza, impulsi e comportamento - è presente in Luis A. Ammann, Autoliberazione, Multimage, Firenze 2002.

  L’autore utilizza questa parola nel testo originale.

Il tema degli impulsi è affrontato in J. Caballero, Morfología (símbolos, signos y alegorías), Ed. Antares, Madrid 1997.

 

Le risposte al mondo come compensazioni strutturatici.

Di fronte al mondo, la coscienza tende a compensarlo in modo strutturato grazie a un complesso sistema di risposte. Alcune risposte (espresse attraverso i centri) arrivano al mondo oggettuale direttamente, ma altre restano nella coscienza ed arrivano al mondo indirettamente tramite alcune manifestazioni del comportamento. Queste compensazioni della coscienza tendono ad equilibrare l’ambiente interno rispetto all’esterno. Tale vincolo si stabilisce in base alle esigenze che nascono nell’individuo quando sente l’urgenza di rispondere ad un mondo complesso (naturale, umano, sociale, culturale, tecnico e così via). Ecco allora nascere il “nucleo dell’insogno” come risposta compensatoria più rilevante e gli “insogni secondari” come risposte particolari a tali esigenze. Gli insogni sono visualizzabili come immagini; non così il loro nucleo, percepito piuttosto come un clima allusivo che continua a conformarsi col tempo, acquisendo progressivamente il potere di direzione delle tendenze e delle aspirazioni personali. Nella fase di esaurimento dal nucleo dell’insogno, quando questo cessa di dirigere lo psichismo, si possono osservare le forme e le immagini che esso ha adottato. Perciò è più facile registrare il nucleo all’inizio o alla fine del suo processo, e non nella sua tappa intermedia, che è quella nella quale  più dirige l’attività psichica. Abbiamo qui un paradosso: l’essere umano non percepisce quel che più ne determina il comportamento, perché il nucleo opera come trasfondo che risponde in modo totalizzante alle molteplici esigenze della vita quotidiana.
Il nucleo dell’insogno guida le aspirazioni, gli ideali e le illusioni che, ad ogni tappa della vita, cambiano. Dopo questi cambiamenti o variazioni nel nucleo l’esistenza si orienta in altre direzioni e, parallelamente, si producono cambiamenti nella personalità. Tale nucleo si esaurisce da solo, come si esauriscono gli insogni propri di un’epoca che informano l’attività di tutta una società. Mentre, da una parte, il nucleo offre una risposta generale alle esigenze dell’ambiente, dall’altra compensa le deficienze e le carenze fondamentali della personalità, imprimendo al comportamento una determinata direzione. Tale direzione può essere valutata diversamente, a seconda che si incammini o no sulla strada dell’adattamento crescente. Gli insogni e il nucleo imprimono alla coscienza una suggestionabilità che produce quel caratteristico blocco della critica e dell’autocritica proprio dei livelli dell’infraveglia; perciò qualsiasi attacco od opposizione alla suggestione del nucleo dell’insogno è inutile, perché il nucleo finirà sempre per rafforzare le proprie compulsioni. La possibilità di produrre un cambiamento di direzione verso una linea evolutiva risiede nella realizzazione di modificazioni graduali. Il nucleo può regredire o fissarsi; nel primo caso lo psichismo tornerà a fasi precedenti, aumentando così la discordanza tra processi e situazione ambientale, nel secondo, quando cioè il nucleo si fissa, l’individuo perderà i propri legami con l’ambiente, generando un comportamento non adatto alla dinamica degli eventi.
Il nucleo dell’insogno spinge l’essere umano a perseguire illusioni che non si avverano, producendo stati dolorosi (dis-illusioni), o che si avverano solo in parte, producendo situazioni piacevoli. Scopriamo così che alla radice della sofferenza psicologica ci sono gli insogni e il loro nucleo. È nei grandi fallimenti, quando le aspettative svaniscono e le illusioni si dissolvono, che nasce la possibilità di una nuova direzione di vita. In queste situazioni il “nodo di dolore”, il nodo biografico che la coscienza ha sofferto per troppo tempo, viene allo scoperto.

Personalità

I sistemi di risposta (perché non esistono risposte isolate) organizzano una personalità, mediatrice nei confronti dell’ambiente, che per raggiungere una dinamica migliore articola ruoli differenti come sistemi codificati di risposta.
La personalità adempie una funzione precisa, ossia quella di cercare la minor resistenza all’ambiente. Quest’organizzazione dei ruoli che presentano minori difficoltà nella relazione ambientale si codifica con l’apprendimento per riuscita ed errore. L’accumulazione di comportamento ordina un sistema di ruoli legati a situazioni, in cui alcuni sono manifesti, mentre altri si nascondono. Questo caso è estremamente esemplificativo del sistema d’adattamento. Col passare del tempo si organizzano quelli che potremmo chiamare “circoli di personalità”, che hanno diversi livelli di profondità e si articolano secondo le indicazioni degli insogni e degli ambienti frequentati più spesso. Ecco dunque che, in questo gioco di ruoli tesi ad offrire la minor resistenza nei confronti dell’ambiente, essi possono adattarsi o no ad un consenso convenzionalmente accettato, fornendo risposte rispettivamente tipiche o atipiche. Le risposte tipiche non sono codificate solo dall’individuo ma anche da gruppi sociali allargati, cosicché, quando in tali gruppi nasce una risposta differente da quella abituale, essa può risultare sconcertante. Ciò può accadere soprattutto in situazioni nuove, per le quali non esiste una risposta codificata. In questi casi la risposta può essere opportuna o inopportuna. Compaiono così le risposte atipiche, prive di rapporto con la situazione, di cui si può analizzare il grado di inadeguatezza. Le risposte tipiche, per quanto possano essere adeguate ad un ambiente privo di eccessivi cambiamenti, non lo sono rispetto ad un ambiente mutevole che, nella sua dinamica, modifica costumi, valori, ecc. A volte la tipicità delle risposte è un blocco per l’adattamento al cambiamento. Ci sono poi altre manifestazioni atipiche che agiscono come catarsi di tensioni o come catarsi di climi che rendono manifeste  emozioni negative. Entrambe le risposte atipiche nascono come conseguenza della pressione degli impulsi interni, che si esprimono in situazioni non necessariamente adatte. In questo caso le tensioni e i climi operano come rumore situazionale, irrompendo bruscamente nell’ambiente. Dal punto di vista dell’adatamento crescente, i tipi di comportamento che c’interessano sono quelli che dispongono di numerose opzioni di risposta, situazione che permetterà un risparmio di energia utilizzabile per nuovi passi dell’adattamento. Avremo pertanto risposte di adattamento crescente così come risposte di adattamento decrescente, e ciò dovrà succedere tanto nelle risposte atipiche quanto in quelle tipiche, ciascuna coi suoi differenti livelli di opportunità. Ecco dunque che un particolare comportamento può adempiere o no una funzione adattativa.
Possiamo considerare i cambiamenti di comportamento come significativi o circostanziali. Un cambiamento sarà significativo se il nuovo orientamento va verso la linea evolutiva, circostanziale quando consista solo in una sostituzione dei ruoli o dell’ideologia, in un ampliamento dei circoli della personalità, nell’apogeo ovvero nella decadenza degli insogni, ecc. Niente di tutto ciò è indicatore di un rilevante cambiamento interno. Un cambiamento significativo del comportamento, da un punto di vista più generale, si ha quando un’istanza psichica si esaurisce perché i contenuti vigenti nell’istanza (con le loro tematiche e argomentazioni caratteristiche) svaniscono progressivamente fino ad esaurirsi. Lo psichismo allora si orienta verso un’istanza nuova come risposta articolata all’interno della sua relazione con il mondo.
Il comportamento è un indicatore dei cambiamenti che c’interessano. Molte decisioni di cambiamento, o progetti di cambiamento,  rimangono chiusi nello psichismo, ed è per questo che non indicano modificazioni, mentre quando producono autentici cambiamenti del comportamento è perché s’è verificata qualche modificazione nella struttura coscienza-mondo.


 

APPENDICE

Basi fisiologiche dello psichismo.

  • Sensi

 

I sensi sono i limiti del sistema neuroendocrino, adatti ad inviare segnali informativi relativi all’ambiente esterno e interno ai centri d’elaborazione, coordinazione e risposta. La specializzazione informativa è realizzata dalle cellule (o insiemi di cellule) convertitrici dell’energia ambientale, che hanno la proprietà di trasformare gli impulsi eterogenei provenienti dall’esterno in impulsi omogenei comuni a qualsiasi tipo di senso. La forma d’energia che arriva ai recettori è varia: meccanica (come pressione o contatto), elettromagnetica (come luce o calore), chimica (come odore, sapore, contenuto d’ossigeno e anidride carbonica nel sangue). Queste forme d’energia eterogenea subiscono già, in ciascun recettore sensoriale, una prima elaborazione, convertendosi in impulso nervoso e arrivando ai centri d’informazione come “bit” (segnali) che differiscono l’uno dall’altro in quanto a frequenza di segnale e silenzio. Le cellule recettrici sono numerose per classe e attività trasformatrice; al momento se ne riconoscono circa 30 tipi differenti, strutturati in modo particolare, che danno luogo a ciò che chiamiamo “sensi”.
Le variabili energetiche dell’ambiente, nonostante ciò, sono molto più numerose dei sensi adatti a recepirle, come nel caso della vista, ricettrice di solo 1/70 delle componenti dello spettro elettromagnetico accettato e riconosciuto come luce visibile. Questo esempio dimostra come i recettori siano specializzazioni della captazione fenomenica ristretta: da ciò derivano immense fasce di silenzio per l’apparato percettivo. Troviamo qui altri sei casi (udito, olfatto, gusto, tatto, cinestesia e cenestesia) dai quali, se sommiamo le insufficienze di ciascun senso, deriva un’immensa fascia di silenzio percettivo. Bisogna considerare i recettori relativamente alla distanza della fonte d’emissione (telecezione, esterocezione, interocezione, ecc.), alla distribuzione dei recettori nel corpo, alle vie sensoriali attraverso le quali si dislocano gli impulsi omogenei ed ai centri d’elaborazione e coordinazione cui questi impulsi arrivano. Una volta lì si differenziano nuovamente, dando luogo al “vissuto dell'informazione” che permette all’apparato di operare distinzioni percettive, per lavorare successivamente con strutture d’interpretazione e strutture di risposta adeguate alla “porzione” di mondo captato. Chiamiamo  “area recettiva” la forma particolare d’energia cui un recettore è più sensibile. Esemplificando: lo stimolo adeguato alle cellule recettrici dell’occhio è la luce; la pressione è captata specificatamente da un altro tipo di recettori, ma la pressione sul globo oculare stimolerà anche i recettori luminosi. Ne risulta che esistono campi specifici per ciascun tipo di recettore ed altri non specifici che, in determinate condizioni, possono ampliare o ridurre considerevolmente la propria soglia. È necessario distinguere, inoltre, tra l’area, che si riferisce alla qualità del fenomeno, e le soglie, riferite alla sua quantità o intensità. Tali soglie lavorano in base a captazioni minime e con livelli massimi variabili di tolleranza. Ogni senso è stato organizzato tenendo in conto:

  1. Organo: include una minima descrizione anatomo-fisiologica dell’organo o dei recettori, secondo il caso;
  2. Meccanica: descrive, in maniera semplificata, i possibili modi in cui i recettori operano nel trasformare l’energia proveniente dall’ambiente in impulso nervoso;
  3. Via nervosa e localizzazione: indica brevemente il cammino seguito da tali impulsi fino al punto di destinazione nella zona corrispondente della corteccia cerebrale.

Quanto fin qui spiegato vale per i sensi esterni; quanto a quelli interni (cinestesia e cenestesia), avremo piccole variazioni nell’esposizione, dovute alle particolarità che si presenteranno.

  • Vista

 

Organo. Gli occhi sono organi complessi sensibili alla luce che, per via della loro ubicazione, permettono all’essere umano una visione tridimensionale degli oggetti. Naturalmente la visione tridimensionale è integrata ad un sistema d’interpretazione percettiva molto più complesso dell’organo stesso. Forniti di muscoli retti e obliqui, hanno un’ampiezza di movimento inferiore ai 180°. Da molto tempo l’occhio è descritto, metaforicamente, come una macchina fotografica: un sistema di “lenti” (cornea e cristallino), che mette a fuoco le immagini su uno strato fotosensibile (retina) situato sul fondo dell’occhio; palpebre e iride contribuiscono a proteggere il sistema e a regolarne (come fa, nel secondo caso, il diaframma fotografico) l’intensità luminosa che arriva ai recettori.

Meccanica. Si conviene che la retina sia una delicata pellicola, composta da vari strati di cellule nervose attraverso le quali passa la luce fino a raggiungere i fotorecettori. Questi ultimi sono stati classificati in due tipi principali:

  • corpi spessi o “coni”, concentrati soprattutto nel centro della retina (fovea) che si ritiene informino relativamente ai colori e che lavorano meglio in piena luce;
  • corpi fini chiamati “bastoncelli”, concentrati soprattutto nella periferia retinica, più numerosi dei coni e sensibili alla penombra, che si ritiene informino relativamente ai chiaroscuri.

Coni e bastoncelli contengono pigmenti che, nell’assorbire vari tipi di luce si ritiene risultino alterati a livello di struttura molecolare. Tale alterazione sarebbe legata all’impulso nervoso inviato al cervello.

Via nervosa e localizzazione. L’impulso esterno, una volta trasformato in impulso nervoso, viaggia attraverso il nervo ottico e, dopo aver percorso tappe intermedie, passa alla corteccia occipitale di entrambi gli emisferi cerebrali.

  • Udito

 

 Organo. Le onde sonore, penetrando nei condotti nell’orecchio esterno, colpiscono la membrana del timpano che ritrasmette le vibrazioni a tre ossicini localizzati nell’orecchio medio. Questi a loro volta, come fossero leve, amplificano le vibrazioni ricevute da 10 fino a 15 volte, ritrasmettendole ai liquidi della coclea in cui sono convertite in impulsi nervosi (orecchio interno).

Meccanica. La coclea, o chiocciola, è divisa internamente, per il senso della lunghezza, da due membrane che formano tre canali o scale contenenti tre liquidi diversi. La vibrazione, trasmessa dai tre ossicini sotto forma di pressione di varia intensità, provocando differenti flessioni nelle membrane attiverà le cellule recettrici (cellule ciliate) ubicate su una delle membrane (esattamente su quella basilare). Sarebbe quest’attivazione a dare origine a differenze di potenziale elettrico ed alla stimolazione delle terminazioni nervose, che conducono l’impulso alla localizzazione cerebrale.

Via nervosa e localizzazione. Le terminazioni delle fibre nervose distribuite nella membrana basilare formano la diramazione uditiva del nervo acustico che conduce gli impulsi nervosi alla parte superiore del lobo temporale, dopo aver attraversato tappe intermedie che includono il bulbo rachideo e il talamo.

  • Olfatto

 

Organo. La membrana olfattoria, di circa 5 cm2 di superficie, si trova ubicata nella parte superiore della cavità nasale. Le molecole produttrici degli odori sono trasportate dall’aria che arriva attraverso le fosse nasali o faringee, dissolvendosi nelle secrezioni delle cellule di sostegno della membrana. In queste cellule sono distribuiti da 10 a 20 milioni di recettori, ciascuno dei quali è un neurone.

Meccanica. I neuroni recettori terminano nella parte superficiale della mucosa con terminazioni espanse (bottoni olfattivi) da cui si protendono ciglia lunghe circa due micron. Il modo in cui le molecole odorifere reagiscono con i recettori è tuttora sconosciuto, per quanto esistano numerose ipotesi. L’impulso nervoso generato è trasmesso dai recettori, che terminano nel bulbo olfattorio situato su ogni fossa nasale.

Via nervosa e localizzazione. In ciascuno dei bulbi olfattori le terminazioni dei neuroni formano glomeruli da cui escono tre fasci di fibre nervose che terminano, rispettivamente, nel bulbo olfattorio opposto, nel sistema limbico e nell’area olfattoria della corteccia limbica (allocortex).

  • Gusto

 

Organo. Gli organi del gusto, o bottoni gustativi, sono piccoli corpi formati da cellule di sostegno e cellule ciliari (recettrici), situate essenzialmente sulle pareti delle papille gustative, sulla superficie dorsale della lingua.

Meccanica. I recettori del gusto (cellule ciliari) sono chemiorecettori che rispondono alle sostanze disciolte nei liquidi della bocca. Ancora non si sa come le molecole in soluzione interagiscano con le molecole recettrici per produrre l’impulso nervoso, per quanto esistano varie ipotesi al riguardo. Le sensazioni gustative che si registrano in differenti aree della lingua sono quattro: salato e dolce sulla punta, acido ai lati e amaro nella parte posteriore. I bottoni gustativi di ciascuna di queste aree non sembrano differenziarsi quanto a struttura cellulare, ma alcuni di essi, a seconda dell’area in cui si trovano, sembrano rispondere solo agli stimoli amari, altri a quelli salati, ecc.

Via nervosa e localizzazione. Gli impulsi nervosi partono dai bottoni gustativi e, attraverso tre vie nervose che passano per il bulbo rachideo e il talamo, arrivano all’area di proiezione gustativa della corteccia cerebrale, alla base della circonvoluzione post-rolandica.

  • Tatto

 

Organo. I recettori di questo senso sono distribuiti in diverse aree della cute. La loro concentrazione è maggiore in alcune zone del corpo e minore in altre, determinando così differenti gradi di sensibilità. Tali recettori sono specializzazioni nervose che sarebbero, appunto, specializzate in maniera diversa al fine di distinguere le variazioni di temperatura, pressione, tatto e dolore.

Meccanica. Alla variazione degli stimoli s’accompagna una variazione nella frequenza degli impulsi nervosi che i recettori inviano continuamente attraverso le fibre nervose. Questa variazione nella frequenza degli impulsi è il risultato di un processo elettrochimico, ancora poco chiaro, scatenato dallo stimolo.

Via nervosa e localizzazione. Le fibre provenienti dai recettori risalgono tramite i fasci midollari fino al talamo e da lì raggiungono la corteccia sensitiva somatica (circonvoluzione postrolandica).

  • Cinestesia

 

Organo. Il senso cinestesico capta posture e movimenti corporei per mezzo di recettori specializzati che sarebbero in grado di discriminare tra variazioni di tono muscolare (fusi neuromuscolari), posizione articolare (recettori articolari), tensione tendinea e accelerazione lineare e angolare della testa e del corpo, compresi i fenomeni prodotti dalla gravità (recettori situati nei canali semicircolari, nel sacculo e nell’utricolo dell’orecchio interno).

Meccanica. Quando si produce o reprime un movimento, i recettori (propriocettori) registrano variazioni nel proprio tono. Mediante un oscuro sistema elettrochimico, tali recettori convertono lo stimolo primario in variazione di impulsi trasmessi come informazione.

Via nervosa e localizzazione. I nervi sensitivi trasmettono gli impulsi per via spinale al cervelletto e alla corteccia; alcune diramazioni nervose arrivano allo strato sensitivo e altre all’area di localizzazione motoria della corteccia cerebrale.

  • Cenestesia

 

Meccanica. Alcune variazioni dell’ambiente interno sono recepite da un insieme di recettori nervosi denominati “interocettori”. L’informazione psichica che restituiscono, normalmente, è registrata in modo distorto (deformazione e traduzione degli impulsi). Si ritiene che questi organuli (recettori) siano in rapporto con i punti di coordinazione vegetativa automatica (ipotalamo, talamo e bulbo rachideo), intervenendo fondamentalmente nelle ottimizzazioni respiratorie, cardiovascolari e di temperatura, incitando il corpo in generale a soddisfare i propri bisogni per mezzo di traduzioni di “fame” (differenza artero-venosa del glucosio sanguigno), “sete” (pressione osmotica del plasma) e “dolore”. Il dolore, sia quello viscerale sia quello somatico profondo, dà inizio alla contrazione riflessa dei muscoli scheletrici più vicini e tali contrazioni, a loro volta, generano dolore, innescando un circolo vizioso. D’altra parte, spesso, l’eccitazione delle viscere produce dolore, non nelle viscere stesse bensì in qualsiasi altra struttura che si possa trovare anche a distanza. Questo dolore “riferito” ha numerose varianti, o forme d’irradiazione. Anche le variazioni nell’economia del sesso sono registrate cenestesicamente.

Via nervosa e localizzazione. Le fibre nervose sensitive raggiungono il sistema nervoso centrale per vie simpatiche e parasimpatiche. La zona corticale di ricezione comprende praticamente tutto l’archicortex (corteccia limbica) e parte del paleocortex, mantenendo connessioni specializzate con altre aree. La teoria della convergenza si occupa di spiegare il caso del “dolore riferito” citato poc’anzi: esiste una convergenza delle fibre viscerali e somatiche afferenti che agiscono sugli stessi neuroni spinotalamici. Per quanto il dolore somatico sia più comune ed abbia già “inciso” la via succitata, gli impulsi provenienti da aree viscerali sono “proiettati” su aree somatiche. In sintesi, si tratterà di un errore d’interpretazione del segnale.

    • Memoria

 

Nel campo della memoria la ricerca fisiologica ha compiuto importanti progressi, ma attualmente, nel 1975, le sperimentazioni non sono ancora totalmente in rapporto l’una con l’altra. Perciò le spiegazioni psicologiche non possono essere inserite in un panorama soddisfacente. Tra i risultati significativi possiamo annoverare quelli ottenuti grazie all’elettroencefalografia, all’applicazione di elettrodi nel cervello, all’osservazione dell’ippocampo e ai lavori di riflessologia. Ma la natura stessa della reminiscenza stabile continua ad essere sconosciuta. Più notevoli i progressi nel campo della genetica: la scoperta del ruolo del DNA, che partecipa della memoria genetica, è attualmente oggetto di ricerca relativamente a determinati amminoacidi fondamentali che intervengono nel fenomeno. A grandi linee, e allo stato attuale delle ricerche, possiamo stabilire una classificazione della memoria: c’è quella ereditata o genetica (per trasmissione di caratteri all’interno della stessa specie, da progenitore a discendente) e quella individuale o acquisita. Nella prima il codice genetico, oltre a mantenere gli individui all’interno della stessa specie, regola i cambiamenti organici delle differenti tappe vitali degli individui. La memoria acquisita, da parte sua, si colloca a vari strati di profondità, dalla più antica a una più recente fino a quella immediata, secondo il passare del tempo. Non siamo in grado di aggiungere molto, se non che la sua localizzazione cerebrale non è chiara.

Area. L’area d’impressione è identica a quella dei sensi (a cambiamento di tono sensoriale corrisponde un’informazione che verrà registrata) e a quella dell’attività della coscienza ai suoi vari livelli. Si conviene che tutto ciò che arrivi alla coscienza o che questa produca si memorizzi, anche se non tutto è rievocabile. Teoricamente, l’impressione in memoria solamente non avviene nel caso di sogno profondo passivo (privo d’immagini), caratterizzato da una cenestesia minima.

Localizzazioni nervose. Si conviene che non esista una localizzazione precisa bensì diffusa in tutto il sistema nervoso, nel quale parliamo di livelli “bassi ed alti” di ubicazione delle impronte mnemoniche. Con i primi s’intendono il midollo ed il sistema limbico, con i secondi la corteccia nelle sue varie aree di associazione: frontale, temporale ed occipito-parietale. La stimolazione delle aree temporali permette di inferire che i ricordi non siano immagazzinati in tali aree ma che, in questo lobo, funzionino “chiavi” di liberazione della memoria, in qualsiasi parte del sistema nervoso sia situata, che lavorano normalmente per somiglianza tra ricordo e impulso sensoriale o flussi di pensiero. D’altra parte sembra che le aree di linguaggio, visione e scrittura effettuino impressioni specifiche così come uno specifico lavoro. Sperimentalmente sarebbero state provate l’imprescindibilità della corteccia per la memoria e l’importanza dell’ippocampo per l’”impressione”. Si sa che, nel caso un emisfero subisca un danno (del quale restano impronte) l’altro proceda a rigenerare la memoria, sia pur non completamente. Si suppone perciò che la memoria sia diffusa e che si diffonda attraverso l’encefalo e il tronco encefalico.

  • Livelli della memoria

 

Dall’informazione ereditata può derivare un livello di memoria genetica, dall’informazione acquisita una memoria acquisita che, a sua volta, ha tre livelli, secondo il momento e la durata dell’impressione, vale a dire: memoria immediata, memoria recente e memoria remota. L’eredità ha una base biochimica nei cromosomi cellulari, che trasmettono caratteri genetici dai progenitori ai discendenti; del “codice genetico” sono responsabili 22 amminoacidi fondamentali. La memoria immediata è facilmente suscettibile di cancellazione, non così quella recente; quanto a quella remota, si conserva anche in caso di gravi danni al cervello. In esperienze controllate da elettroencefalografi si è osservato che l’ippocampo è implicato nella memoria recente, l’ipotalamo nella conservazione e nella ritenzione della memoria e i tessuti ippocampali dei lobi temporali nella memoria duratura. D’altra parte la terapia clinica riporta casi d’amnesia quali l’amnesia anterograda (oblio successivo ad uno shock), quella retrograda (oblio precedente allo shock) nonché la combinazione retroanterograda (oblio prima, durante e dopo lo shock). In ogni caso la memoria remota ne è raramente colpita, se non altro nei suoi tratti generali. Il recupero della memoria è graduale; dapprima si hanno immagini isolate che a mano a mano si completano fino a che non compaiono, finalmente, elementi di riconoscimento permanente. La natura dell’engramma stabile è completamente sconosciuta, ma la sua resistenza ad elettroshock e commozioni cerebrali fa presumere che la sua base risieda in un cambiamento biochimico nel nucleo cellulare, nel R.N.A. L’uso di droghe che facilitano la rammemorazione o l’impressione quali caffeina, nicotina e amfetamina, o che inibiscono la memoria, come la puromicina, ne dimostrano l’alterazione chimica. L’elettrografia cerebrale, infine, recupera le onde elettriche del lavoro cellulare, evidenziando così la base elettrochimica del fenomeno.

  • Meccanismi della memoria

 

Determinate connessioni neuronali spiegherebbero per riverbero i livelli immediati e recenti: il rafforzamento dell’impressione, l’associazione laterale e l’oblio. Ciò perché gli assoni discendenti delle cellule piramidali maggiori emettono collaterali che retroalimentano i dendriti originali con neuroni d’associazione. I collaterali ricorrenti, inoltre, si connettono con i neuroni vicini che associano altra informazione e con un neurone inibitorio che ritorna al neurone originale. Queste fibre profonde ricevono fibre talamiche specifiche e non specifiche che terminano nel primo e quarto strato della corteccia.
Ci sono indizi della partecipazione dell’ippocampo alla memoria recente e al cifrato della memoria, perciò è possibile che esso racchiuda un “compendio” che si distribuirebbe lungo la connessione anatomica del circuito chiuso che, con talamo e amigdala, include le aree frontali della corteccia. L’informazione potrebbe arrivare qui seguendo una distribuzione corticale e il suo immagazzinamento definitivo, tenendo conto che il lobo frontale è ritenuto importante relativamente ai compiti d’astrazione nonché al comportamento emotivo. Nell’informazione, perciò, ci sarebbero un “raccoglitore”, vari “distributori” e un “magazzino”. Da parte sua il talamo si collega alla formazione reticolare, per la quale passano vie non specifiche e specifiche (o vie classiche) che portano l’informazione a diffondersi nella corteccia. Sarebbe questo il circuito sensoriale diretto, o memoria, che sarebbe strettamente legato ai livelli di lavoro del sistema nervoso e potrebbe spiegare la migliore impressione in memoria  nello stato di veglia. La diffusione che potrebbe avvenire attraverso il talamo (sistema reticolare attivatore) sarebbe dunque una via indiretta di base limbica, che fornirebbe il substrato emotivo a tutta l’attività mnemonica. L’ipotesi relativa alla diffusione specifica che la sostanza reticolare potrebbe mettere in atto spiegherebbe una distribuzione estremamente variata degli stimoli. L’interconnessione tra i lobi spiegherebbe poi le combinazioni che è possibile effettuare (per esempio, frontale con occipitale e temporale e, siccome nel lobo temporale vista e tatto sono in rapporto, il fenomeno della stereognosia sarebbe alla base di un tipo di rammemorazione, così come la traduzione degli impulsi). Un punto problematico è il cifrato e la discriminazione del dato: alla memoria arriva l’immagine o questa si forma lì e poi vi si imprime? Attualmente è difficile rispondere a questa domanda. Il “circuito interno” fa sì che si pensi e si ricordino i propri pensieri, o che si ricordino immagini dei sogni e degli insogni. Questi impulsi sarebbero originati, per esempio, nel neocortex ed entrerebbero in rapporto con altre aree corticali per trasmissione di assoni (sostanza bianca); o forse ad intervenire sono il talamo e la sostanza reticolare. Come vedremo più avanti (livelli di coscienza) la partecipazione di quest’ultima è fondamentale per attivare e mantenere lo stato di veglia, livello indispensabile per l’apprendimento complesso.

  • La reversibilità in memoria

 

Per quanto riguarda la reversibilità dei meccanismi, non è ancora molto chiara, mentre lo è la necessità del livello di veglia; qui abbiamo una sincronizzazione tra il grado più ampio di percezione esterna, che diminuisce a mano a mano che si entra nel sonno, nel quale aumenta la percezione interna con immaginazione trasformatrice di impulsi e dati di memoria spontanea e involontaria: l’evocazione, perciò, può avvenire solo in stato di veglia. Si potrebbe supporre che un dato, nell’arrivare al suo punto d’immagazzinamento, nel momento in cui verrebbe impresso, provocherebbe un ricordo, il che spiegherebbe il riconoscimento automatico (vale a dire il riconoscere immediatamente, per condizionamento progressivo, tutti gli oggetti abituali). L’evocazione, infine, lavorerebbe per “vie preferenziali”, quelle cioè in cui si genera l’impronta.

  • Memoria e apprendimento

 

Si sa che per operare apprendimenti semplici è sufficiente il midollo, mentre nei più complessi entra in gioco il subcorticale e, per grandi aree di immagazzinamento, la corteccia. Per apprendimento s’intende il condizionamento, nel senso che, in determinate condizioni ripetitive, l’animale o l’uomo risponde come se lo si stia condizionando o gli si stia insegnando qualche cosa. Nell’uomo ciò non è così semplice per via dei suoi complessi meccanismi di discernimento e comprensione, ma in ogni caso apprendere qualche cosa esige una reiterazione dell’impronta mnemonica affinché questa diventi una risposta. Nei processi di memoria e apprendimento si assiste a casi differenti, come la decifrazione di segnali per ritenere il concetto o l’associazione con immagini simili, contigue o contrastanti o il semplice riflesso motorio ripetuto ed associato ad altri; per ciascuna di queste forme si danno numerose combinazioni. La meccanica di base è: mettere in rapporto un riflesso incondizionato (ad esempio la fame) ad uno stimolo condizionante (ad esempio, la luce), in modo tale che, in rapporto ad uno stimolo artificiale, si ha una risposta condizionata. In questo lavoro semplice, che può diventare però più complesso, è sostanziale la brevità o la reiterazione del condizionamento, l’insistenza, che porta alla saturazione o al blocco. Quando i riflessi sono diretti a qualche cosa di specifico si parla di “riflessi discriminati”, quando si condizionano a una risposta veloce di “riflesso immediato” e, a risposta lenta, di “riflesso ritardato”.
Si sa che il condizionamento è più efficace in presenza d’una ricompensa o di un’alternativa premio-punizione, gradito-sgradito. Esiste un “riflesso elusivo” che porta ad evitare le situazioni sgradevoli ed uno stato di allerta o vigilanza che può essere considerato come “riflesso d’orientamento”. Quando il condizionamento è dedicato non solo a rispondere ma anche ad operare nel mondo si parla di “riflesso operante”. In generale, l’abitudine agli stimoli contraddittori porta ad una diminuzione della risposta riflessa. Originariamente, per i riflessi, si pensò alla base corticale, ma presto si vide che ad agire era gran parte della struttura subcorticale, talamica e infratalamica (osservazioni risultanti da elettroencefalogrammi). Le esperienze con l’elettroencefalografo dimostrarono anche come, in presenza di un oggetto sconosciuto, si captavano risposte evocate secondarie. Ciò permise di inferire con evidenza, anche nella memoria, l’attività costante e strutturante della coscienza. La relazione tra apprendimento e veglia è fondamentale per le impressioni complesse ma variabile in altri aspetti; un ricordo, per esempio, può svegliare di soprassalto il dormiente, oppure uno stimolo automaticamente riconoscibile in stato di veglia non lo è nel dormiveglia. I dati sensoriali bruschi possono svegliare chi dorme, ma la stessa cosa può avvenire per la scomparsa degli stimoli abituali o per la distinzione tra tutti gli altri di uno stimolo particolare. Tali relazioni variabili hanno fatto pensare ad un possibile “analizzatore” d’informazione situato nell’ambito della corteccia, in grado di compiere tutte le distinzioni del caso. Questo analizzatore sarebbe un fattore di fondamentale importanza nella coordinazione dello psichismo.

  • Livelli di coscienza

 

L’apparato responsabile della dinamica dei livelli è l’encefalo, che compie il proprio lavoro grazie a diversi componenti: spiegheremo ora i più importanti.

Via sensitiva (classica). Fascio nervoso che ascende lungo il tronco portando impulsi sensoriali direttamente al cortex. Nel suo percorso ascendente estende ramificazioni al cervelletto ed alla F.R.A., che elaborano tale informazione distribuendola nel sub-cortex prima di inviarla, via talamo, anche al cortex.

Tronco encefalico. Connette il midollo spinale (raccoglitore di impulsi da tutto l’organismo) all’encefalo. A sua volta è connesso col cervelletto. Anatomicamente contiene la Formazione reticolare e, funzionalmente, i centri regolatori delle funzioni vegetative quali pulsazioni, respirazione e digestione.

Formazione reticolare attivatrice o F.R.A. Non costituisce un’unità anatomica; è piuttosto una massa di tessuti formata da una sottile rete di fibre e neuroni di strutture molto distinte tra di loro, ubicata longitudinalmente nel centro del tronco e nel mesencefalo. Tutte le fibre provenienti dai sensi passano per la F.R.A. che, a sua volta, si connette con tutte le varie parti del sub-cortex (via ipotalamo) e con il cortex (via talamo); in essa si analizza e valuta l’informazione sensoriale. Unitamente agli altri centri subcorticali trasmette impulsi “aspecifici” (sensoriali) che modificano la reattività della corteccia. Per quanto ci interessa sembra essere il centro di gravità del circuito alternato dei livelli di coscienza.

Ipotalamo. Situato in cima al tronco, è un nucleo nervoso endocrino connesso al cortex mediante il talamo e, tramite numerosi capillari sanguigni e fibre nervose, all’ipofisi. Con quest’ultima, forma una struttura d’interstimolazione neuro-ormonale, attraverso la quale, insieme al sistema ormonale nel suo complesso, integra e coordina diverse funzioni vegetative autonome. Per proprio conto l’ipotalamo coordina l’informazione (specialmente quella cenestesica) tra le differenti zone encefaliche.

Ipofisi. Ghiandola endocrina composta da un lobo anteriore ed una parte intermedia (entrambe di tessuto ghiandolare) più un lobo posteriore (di tessuto nervoso), ciascuno con funzioni differenti. Stimolata e regolata da ormoni ipotalamici, l’ipofisi è connessa all’encefalo ed al sistema nervoso in generale per mezzo dell’ipotalamo (feedback); per altra via, vale a dire quella sanguigna, regola e controlla l’intero sistema ormonale; più specificamente, stimola la tiroide, le gonadi, le surrenali e funzioni quali, tra le altre, la crescita, la diuresi e la pressione dei vasi.

Talamo. Trasmette al cortex l’informazione proveniente dal sub-cortex; centro di controllo e integrazione d’impulsi e rilevatore di tensione.

Sistema limbico. Antico sistema di regioni nervose ubicate nel sub-cortex in cui risiedono funzioni emozionali e funzioni vitali quali la nutrizione, la funzione vegetativa in generale e, in parte, quella sessuale. Questa struttura di funzioni emotivo-vegetative spiega la psicosomatica. Oltre ad altre strutture di grande importanza include l’ipotalamo.

Corteccia o cortex. Strato encefalico più esterno, di 2 mm di spessore, o materia grigia (corpi neuronali). Controlla centro limbico, sensazione e movimento in generale (localizzazione motoria) ed è alla base delle “funzioni superiori o pensanti” (intellettuali) date da localizzazioni multirelazionate di controllo e coordinazione della risposta, in base al recupero dell’informazione sensoriale attuale e della memoria.
Ilsub-cortex comprende il sistema limbico, l’ipotalamo, il talamo e il mesencefalo. La sostanza bianca è una massa di fibre connettive (assoni) tra la sub-corteccia e la corteccia (sostanza grigia).

  • Funzionamento dei livelli di coscienza

 

Il sistema nervoso riceve l’informazione relativa ai cambiamenti degli ambienti esterno e interno tramite gli organi di senso. Prima di questi cambiamenti opera aggiustamenti grazie ai meccanismi generatori di risposte che includono cambiamenti nella secrezione ormonale e si esprimono grazie all’azione dei centri.
Le differenti vie sensitive portano impulsi, mediante catene neuronali, dagli organi di senso a punti particolari d’interpretazione e coordinazione nella corteccia cerebrale. Oltre a questi sistemi conduttori esiste un altro sistema d’ingresso, la formazione reticolare attivatrice (F.R.A.), che trasmette e modula gli impulsi provenienti da tutti i sensi (conduttrice aspecifica), ubicata lungo l’asse centrale del tronco encefalico. Questa modulazione degli impulsi sensoriali è in stretto rapporto col nostro tema: i livelli di coscienza. La prima evidenza del fatto che l’encefalo (massa cerebrale) regolasse la generazione degli impulsi sensoriali, o la loro trasmissione attraverso vie specifiche, fu l’osservazione che la stimolazione della F.R.A. inibiva la trasmissione in vari nuclei e vie nervose sensoriali. Ciò dimostrò l’esistenza di meccanismi encefalici in grado di aumentare o diminuire il volume dell’apporto sensoriale, producendo effetti sulle sue vie o sugli organi dei sensi stessi. Ulteriori effetti sull’apporto sensoriale furono osservati in esperimenti di stimolazione elettrica della F.R.A. in cui si liberava adrenalina, il che portava ad un abbassamento della soglia dei recettori e ad un aumento della capacità di trasmissione nervosa (nelle sinapsi), meccanismo presente anche negli stati d’allerta o d’emergenza.
Nello stesso tempo esperimenti più complessi evidenziarono una seconda funzione della F.R.A.; si osservò che la sua attività manteneva lo stato di veglia, mentre la sua inibizione o distruzione produceva indicatori di sogno e coma. Una volta definita l’azione regolatrice e modulatrice della F.R.A. sull’apporto e la distribuzione degli impulsi sensoriali nell’encefalo, è chiaro anche il suo ruolo centrale nel mantenimento o nell’inibizione dell’attività cerebrale (corticale) caratteristica del livello di veglia.
A tutto ciò infine si assomma un’azione simile della F.R.A. sugli impulsi di risposta provenienti al corpo dall’encefalo, impulsi che passano anch’essi per la F.R.A., subendone l’azione “facilitatrice” o “repressiva”, a seconda del livello. In questo modo si chiarisce ancor di più la sua partecipazione nel mantenimento dell’inerzia di ogni livello ed il “rimbalzo” degli stimoli che lo modificherebbero.
Ne risulta che la F.R.A. si configura come il centro di gravità nella regolazione dei differenti livelli di coscienza che, a loro volta, corrispondono a gradi d’integrazione crescente delle funzioni del sistema nervoso centrale, che coordinano e regolano il sistema sensoriale, quello autonomo e tutti gli altri sistemi organici, compreso quello ghiandolare. Tali funzioni si trovano nell’encefalo, rappresentate da strutture di crescente complessità che, dalle primitive localizzazioni vegetative autonome, passano alla localizzazione emozionale limbica fino ad arrivare a quella intellettuale, nella corteccia. Ciascuna frazione o livello integrato corrisponde ad un nuovo livello di coscienza.
Come sappiamo tali livelli possono essere, in principio, di sonno, dormiveglia o veglia. Grazie all’elettroencefalogramma possiamo ottenere una registrazione dell’attività elettrica che ciascuno genera, denominandole rispettivamente “delta”, “teta”, “alfa” e “beta”, secondo la loro intensità e ampiezza. Tali stati sono soggetti a cicli quotidiani (che dipendono, in grande misura, dalla luce) ed a bioritmi vegetativi; inoltre variano con l’età. In sintesi, secondo l’informazione sensoriale relativa all’ambiente, lo stato interno dell’organismo ed il potenziamento ormonale, abbiamo differenti livelli di attività ed integrazione delle funzioni reticolari, per poter mantenere uno stato di veglia all’erta; delle funzioni del circuito limbico-mesencefalico, che intervengono nel mantenimento degli equilibri vegetativi (omeostatici) e nella regolazione del comportamento istintivo ed emozionale; e, infine, della corteccia, a carico delle suddette funzioni superiori del sistema nervoso, quali l’apprendimento ed il linguaggio.
Neurofisiologicamente, i livelli di coscienza corrispondono a differenti livelli di lavoro del sistema nervoso centrale, i quali sono dati dall’integrazione delle funzioni nervose, ogni volta più complesse, che coordinano e regolano i sistemi nervosi periferico e autonomo e gli altri sistemi organici unitamente al sistema ghiandolare. Nella dinamica dei livelli di coscienza, questo fattore intermedio d’ampiezza del lavoro del sistema nervoso si coniuga con un fattore esterno, dato dalle caratteristiche degli impulsi sensoriali e con un fattore interno sintetico, dato dalla “capacità di trasmissione” nervosa. L’attività elettrica del cervello (riflesso del suo livello di lavoro) va da 1 ciclo/secondo (stato delta) nel caso del sonno fino a una frequenza massima non determinata, considerando in questo caso un limite funzionale di 30 ciclo/secondi (stato beta), che corrisponde alla veglia attiva.

Area di lavoro. Ciascun livello di lavoro (stati teta, delta, alfa e beta) corrisponde al predominio, o alla maggior percentuale presente, di un tipo di frequenza (onda) e microvoltaggio sugli altri. Infine questi livelli, in generale, sono soggetti ai cicli quotidiani tipici del sonno, del dormiveglia e della veglia. Va sottolineato che, con l’età, l’onda dominante in riposo varia per accelerazione, fino a raggiungere nell’adulto il grado massimo, alfa.

  • Vie afferenti

 

Uno stimolo sensoriale genera impulsi che arrivano alla corteccia tramite l’insieme di F.R.A. e vie sensoriali. Gli impulsi che viaggiano nella F.R.A. procedono lentamente (per via delle sue numerose diramazioni sinaptiche) fino a raggiungere ampie zone della corteccia, mentre quelli che percorrono le vie sensoriali si propagano con grande rapidità (da 2 a 4 sinapsi solamente) fino alle aree primarie specifiche del cortex. Gli stimoli che producono il risveglio nella corteccia (di sincronizzazione) producono spesso un’ipersincronia nel sistema limbico (specificamente nell’ippocampo). Bisogna anche aggiungere che la diminuzione degli stimoli sensoriali esterni (oscurità, silenzio) predispone al sonno, che i sistemi di tensioni e climi lo ostacolano (ad esempio, per presenza di adrenalina) e che la bassa tonicità (per via, ad esempio, di stanchezza) lo induce. In ogni caso gli stimoli nel loro agire devono essere considerati (dal punto di vista dei livelli di coscienza) quantitativamente e qualitativamente. Sono considerate caratteristiche dell’impulso afferente sensitivo la sua natura o specificità (recettore), la sua frequenza, la durata, l’estensione ed il suo potenziale d’azione. Naturalmente, gli impulsi sensoriali che risalgono le vie specifiche raggiungono anche, nel suo tratto ascendente, la F.R.A., che li modula e regola secondo lo stato d’attività in cui si trovino. D’altra parte, per via sanguigna, l’informazione chimica generale arriva sia alla F.R.A. sia alle altre strutture nervose e ghiandolari dell’encefalo.

a)Sonno. Quando la F.R.A. è inibita (in concomitanza ad un tono vegetativo generale basso, a una scarsa attività di trasmissione neuronale e ad impulsi di bassa intensità e/o qualità) risponde a sua volta inibendo le strutture encefaliche, specialmente la corteccia. Inoltre la F.R.A. compie un’azione di soppressione o inibizione degli impulsi sensoriali ascendenti (e a volte degli stessi organi di senso), determinando così un predominio dell’informazione interna (cenestesica) su quella esterna (proveniente dall’ambiente).

Sonno passivo. A questo livello l’attività di soppressione esercitata dalla F.R.A. blocca le funzioni corticali e limbiche e diminuisce quella delle altre strutture subcorticali, riducendo il lavoro encefalico alle sue funzioni più primitive. Ciò corrisponde ad un livello di sogno privo d’immagini, con un predominio elettroencefalografico della fase delta, di bassa frequenza. In poche parole, questo livello integra il circuito tronco-limbico in cui gli impulsi non eccitano la corteccia.

Sonno attivo. A intervalli regolari e distanziati si attiva il circuito talamo-corticale, che si unisce al precedente producendo brevi periodi di sonno con sogni che generano fusi di attività (de-sincronizzazioni) nelle onde delta e che, esternamente, si riconoscono per i movimenti oculari rapidi (R.E.M)

b) Dormiveglia. Livello progressivo intermedio in cui la F.R.A. si attiva disinibendo le strutture subcorticali e integrando gradualmente il sistema limbico e la corteccia, effetto rafforzato dalla retroalimentazione ipotalamo-corticale che si stabilisce. Simultaneamente, [la F.R.A.] sblocca le vie sensoriali specifiche generando un equilibrio instabile tra informazione esterna ed interna ed incrementando il lavoro encefalico, a partire dal momento di passaggio o “risveglio”. Il tracciato elettroencefalografico è ad alta frequenza e basso voltaggio e prende il nome di Teta. Tutte le strutture encefaliche sono integrate ma il suo livello d’attività non è completo e la capacità di trasmissione nervosa (sinaptica) è ancora relativa.

c) Veglia. La F.R.A. integra e “facilita” gli impulsi sensoriali e d’associazione, mantenendo lo stato d’eccitazione della corteccia che predomina sulle funzioni subcorticali così come gli impulsi dei sensi esterni predominano su quelli interni. La capacità di trasmissione è notevolmente aumentata e l’attività subcorticale, seppure attenuata, continua; ciò in parte spiegherebbe la ragione di numerosi eventi psicologici come gli insogni ed il nucleo di insogno.

  • Trasformazione degli impulsi

 

L’encefalo presenta diversi livelli che ordineremo come segue.

    • Centro di gravità del circuito. La F.R.A., che modula e regola l’apporto degli impulsi sensoriali e d’associazione, la eccitabilità della corteccia e gli impulsi efferenti di risposta in modo aspecifico.

 

    • Coordinatore di stimoli. La corteccia, che opera fondamentalmente come localizzazione delle funzioni motorie e intellettuali, e la sub-corteccia, che agisce come localizzazione delle funzioni vegetative (istintiva) ed emotive (comportamentali), trasformano gli impulsi complessi specifici e li relazionano, elaborando impulsi generatori di risposta, anch’essi specifici e complessi.
    • Elaboratori di stimoli. Tronco encefalico, cervelletto e mesencefalo sono nuclei nervosi di confluenza degli impulsi che producono una prima elaborazione semplice, elaborando risposte autonome riflesse, anch’esse semplici. Le altre strutture nervose sembrano, fondamentalmente, vie connettive conduttrici di impulsi; esse sono il tronco e il mesencefalo (nelle loro parti fibrose), il talamo e la sostanza bianca. Le vie specifiche permettono, a livello corticale, la percezione sensoriale discriminatoria (funzione intellettuale propriamente detta), mentre le funzioni della F.R.A. sono in rapporto ai livelli di coscienza, tra i quali il “risveglio”, senza le quali tale discriminazione sensoriale, nonché la produzione di risposte efficaci, sarebbero assolutamente impossibili.

 

  • Vie efferenti

Anche gli impulsi provenienti dai differenti punti encefalici passano per la F.R.A., nel tratto discendente che li regola e modula secondo lo stato d’attività in cui esso si trovi. Altre vie efferenti saranno date dall’ipofisi, dal torrente sanguigno nonché dalle fibre dell’ipotalamo come valvola di collegamento tra encefalo, sistema ghiandolare ed organismo in generale per portare a termine le risposte ordinate in modo coordinato.

  • Sonno. In entrambi i tipi di sonno (passivo ed attivo) gli impulsi efferenti sono inibiti o soppressi dalla F.R.A., specialmente qualora compromettano funzioni (ad esempio, motorie) che modificherebbero il livello. L’encefalo, dalla sub-corteccia, mette in latenza le funzioni vegetative e quelle fondamentali, mantenendole al ritmo minimo che corrisponde al momento di rigenerazione e recupero energetico dovuto.

 

  • Dormiveglia. La variazione efferente più rilevante, in questo caso, è quella corrispondente al momento del risveglio, in cui l’encefalo invia stimoli che attivano con forza tutte le funzioni organiche, aumentando il flusso nervoso in circolo. Vi partecipano due meccanismi chimici fondamentali, vale a dire il rilascio abbondante di adrenalina (che, in retroalimentazione, attiva tutto l’encefalo nella sua capacità di trasmissione nervosa e in particolare la F.R.A.) e il cambiamento della proporzione sodio-potassio.
  • Veglia. L’ “accensione della corteccia” prodotta a questo livello dalla F.R.A., la sua azione facilitatrice e l’integrazione di tutte le funzioni del sistema nervoso centrale liberano stimoli encefalici efferenti che, per le vie descritte, manterranno tutte le funzioni proprie di questo stato, esprimendosi nel modo già noto in tutti i centri. Prendiamo in considerazione un caso specifico: se si concentra l’attenzione su un particolare oggetto, scattano alcuni di questi meccanismi modulatori della F.R.A., col risultato che, in parte, il restringimento del campo di presenza sarà dovuto, in questo caso, al fatto che alcuni tra gli stimoli in entrata si “spengono” prima di raggiungere la corteccia. Ci sono molti altri casi analoghi di controllo centrale encefalico del contributo sensorio (ad esempio, la cinestesia); anche nel sistema d’allerta esistono aree corticali che (trasformando e coordinando gli impulsi di memoria) emettono impulsi di risposta che provocano il risveglio, disinibendo la F.R.A. ma senza produrre alcun movimento.

 

    • Aspetto chimico della meccanica dei livelli (neuro-ormonale)

Il sistema endocrino regola e coordina le diverse funzioni dell’organismo per mezzo degli ormoni che le ghiandole riversano nel torrente sanguigno. La partecipazione ghiandolare al fenomeno dei livelli di coscienza è regolata dall’ipotalamo (neuro-ghiandola), localizzazione encefalica del centro vegetativo. Esso agisce indirettamente tramite l’ipofisi; ma, in stati come quello d’allerta o d’emergenza, ne prescinde, inviando impulsi efferenti direttamente alle ghiandole impegnate nell’elaborazione delle risposte richieste dalla situazione dell’ambiente. Il caso più significativo è rappresentato dal doppio circuito di sicurezza stabilito con le ghiandole surrenali nella secrezione d’adrenalina; in tale circuito la tiroide (tiroxina) e le gonadi appaiono secondarie. La relazione col sistema ormonale ci interessa in quanto la sua partecipazione all’attività encefalica è determinante rispetto ai livelli di coscienza. Prendiamo dunque in esame le sostanze che intervengono direttamente sulle differenti strutture encefaliche e/o la capacità di trasmissione d’impulsi delle fibre connettive. Analizzando tali sostanze rispetto alla loro azione di mediatrici sinaptiche ed al loro grado di concentrazione nelle differenti strutture encefaliche addiveniamo ad un altro punto di vista. Nella dinamica dei livelli di coscienza i retroalimentatori chimici di maggior importanza sembrano essere le modificazioni nell’equilibrio sodio-potassio, il livello degli zuccheri nel sangue (insulina), il metabolismo del calcio e le secrezioni tiroidea e paratiroidea, tra le altre. La diminuzione della concentrazione di glucosio, calcio, potassio e l’esaurimento della presenza di adrenalina sono tutti in stretto rapporto con evidenti squilibri all’interno di ciascun livello e, in casi estremi, producono stress, mentale ed emotivo. Al contrario il loro metabolismo equilibrato corrisponde anche ad un’adeguata integrazione del lavoro di ciascun livello. D’altra parte, e come aspetti secondari, notiamo che a qualsiasi aumento della pressione sanguigna corrisponde una maggior eccitabilità della formazione reticolare e, conseguentemente, della sua funzione attivatrice. Simultaneamente agiscono anche l’aumento di livello (attivazione reticolare ed encefalica generale) e la quantità d’ossigeno, che arriva al suo massimo al momento del risveglio.

  • Centri

 

Le “chiavi di controllo” di tipo nervoso si trovano principalmente in quello che chiamiamo sistema cerebro-spinale, composto dalla massa encefalica e dal midollo spinale; né si esclude l’intervento endocrino, che in connessioni come quella ipotalamo-ipofisi determinano una relazione intima tra entrambi i sistemi. Nonostante ciò, in questo lavoro l’accento è sull’azione del sistema nervoso. Se vediamo i sensi come aventi la caratteristica generale di “convogliare” l’informazione relativa a un ambiente (sia esso esterno o interno), ecco che i centri risultano essere sistemi di risposta strutturati, anche se di fronte ad un determinato stimolo uno di essi predomina sugli altri. Così la stretta connessione emotivo-vegetativo-sessuale farà sì che, per quanto uno di essi agisca in modo predominante, anche gli altri saranno impegnati. L’aspetto endocrino agirà soprattutto nei sistemi di risposta lenta, conservando la propria attività in modo inerziale e mantenendo inoltre un livello costante d’attività che scatterà aumentando o diminuendo, secondo il caso, il tipo di risposta richiesto e sempre in rapporto al sistema nervoso. Quest’ultimo avrà caratteristiche di risposta veloce e tenderà a rompere l’equilibrio o a ristabilirlo velocemente. Riferendoci dunque ai “centri di controllo”, possiamo dividerli per localizzazione in tre gruppi; quelli di localizzazione puramente corticale, quelli di localizzazione subcorticale e quelli misti. Individuiamo dunque il centro intellettuale nella corteccia, quelli vegetativo ed emotivo nella porzione subcorticale e quelli motorio e sessuale in entrambe. L’ordine d’esposizione sarà perciò il seguente: centro vegetativo, sessuale, motorio, emotivo ed intellettuale.

  • Centro vegetativo

 

Area.  Dal punto di vista della sua attività, elenchiamo: regolazione della temperatura e del riflesso di sete e fame; reazioni di difesa e rigenerazione; regolazione del sistema digestivo, respiratorio e circolatorio; attività metabolica delle funzioni di locomozione e riproduzione.

Organo. Principalmente l’ipotalamo, che si compone di vari nuclei ed è ubicato nel tronco encefalico, al di sotto del talamo. Molto vicino, un po’ più in basso, c’è l’ipofisi, ghiandola con la quale è direttamente connesso.

Vie afferenti. Trasformazione. Vie efferenti.

a) Vie afferenti. L’ipotalamo riceve da: la formazione reticolare, l’ippocampo, l’amigdala, il talamo, il nucleo lenticolare, il bulbo olfattivo e le fibre nervose con impulsi sensori.

b) Trasformazione. Come esempio prendiamo la ritensione idrica: quando l’ipotalamo registra, attraverso gli osmocettori e i chemiocettori, un aumento della concentrazione di NaCl nel sangue, produce un aumento dell’ormone antidiuretico (ADH) prodotto dai nuclei sopraottici ipotalamici ed immagazzinato dalla neuroipofisi. Quando questo ormone si libera nel torrente circolatorio si producono reazioni nel rene che contribuiscono alla ritenzione idrica. Altro esempio: quando nel torrente sanguigno la concentrazione di cortisolo e corticosterone diminuisce, l’ipotalamo stimola il rilascio dell’ACTH dell’adenoipofisi; a sua volta, l’ACTH stimola la ghiandola surrenale al rilascio di quei glucocorticoidi.

c)  Vie efferenti. Di concerto con l’ipofisi e attraverso di essa, dal torrente sanguigno alla tiroide, la corteccia surrenale e le gonadi; per via nervosa alla midollare del surrene e attraverso le fibre ipotalamo-reticolari alla formazione reticolare del tegmento e, da lì, ai nuclei motori del bulbo ed ai neuroni motori midollari; all’ipofisi dai nuclei sopraottici.

Sintesi. Consideriamo il centro vegetativo, fondamentalmente, come un regolatore delle funzioni vitali che opera con meccanismi d’equilibrio e servoregolazione.

  • Centro sessuale

 

Area.  Per quanto riguarda la sua attività, riferiremo il centro sessuale all’atto sessuale in sé definendolo come “carica e scarica”.

Organo. I punti di maggior importanza sono le gonadi, il centro spinale, la struttura ipotalamo-ipofisi e la localizzazione corticale del lobo occipitale.

Vie afferenti. Trasformazione. Vie efferenti.

  • Vie d’origine tattile diffusa, che comprendono le zone erogene ed il tatto in generale;
  • Vie anch’esse tattili ma di carattere concentrato e ristrette all’apparato genitale;
  • Via che comprende stimoli di tipo senso-percettivi, mnemonici e d’associazione cortico-subcorticali-cenestesici. In parte le prime due conformano il riflesso corto spinale, percorrendo inoltre il midollo e passando per il talamo e la formazione reticolare per arrivare alla corteccia.

Vie afferenti di tipo endocrino: hanno a che vedere con la produzione ed il mantenimento di un livello costante, anche se ciclico, di secrezione degli ormoni sessuali, che rilasciano a seconda dell’opportunità. Qui la struttura ipotalamo-ipofisi-gonadi (cui partecipano altre ghiandole) come elementi secretori principali.

Trasformazione. Di carattere complesso, vi intervengono:

  • un riflesso midollare corto;
  • l’attività di motoneuroni midollari che creano riflessi più lunghi, combinati con il precedente;
  • gli incroci nervosi a livello subcorticale;
  • le proiezioni corticali e le loro interconnessioni.

Vie efferenti. Qui possiamo prendere in considerazione due possibilità;

  • l’atto sessuale in sé;
  • il momento in cui si produce la fecondazione, cui segue il processo di gestazione.

Prendiamo in considerazione il primo caso. Provenienti dall’interconnessione cortico-subcorticale discendono, attraverso il midollo, fasci del sistema autonomo che vanno ad eccitare l’apparato genitale, facilitando la rialimentazione stimolo-trasformazione-eccitazione, dando simultaneamente origine ad un incremento dell’attività fino a raggiungere una soglia di tolleranza in cui si produce la scarica.

Sintesi. Ubichiamo il centro sessuale operando sui meccanismi della funzione riproduttiva. Questa attività è, nell’individuo, l’espressione dell’istinto di conservazione della specie con i suoi meccanismi: atto sessuale, fecondazione, gestazione e parto.

  • Centro motorio

 

Area.  È la mobilità dell’individuo nello spazio, che consiste in movimenti volontari e involontari attuati dal sistema osseo e da quello muscolare coordinati dal, e insieme al, sistema nervoso.

Organo. Il centro motorio che coordina queste attività si trova a livello di:

  • corteccia, nella regione pre-frontale della corteccia, centro dei movimenti volontari;
  • midollo spinale, agendo come centro dei movimenti involontari, archi riflessi corti e connessione tra i recettori e la corteccia;
  • cervelletto, che coordina i movimenti (equilibrio).

Vie afferenti. Trasformazione. Vie efferenti.

In un primo livello studiamo il sistema del riflesso corto. Vie afferenti: dal recettore, tramite la fibra sensitiva, al ganglio pre-spinale che agisce ritenendo, al midollo in cui si opera la prima trasformazione. Via efferente: dal midollo al ganglio post-spinale e, tramite il motoneurone, all’effettore. Nel secondo livello, troviamo: dal recettore per via afferente al midollo, da qui tramite le fibre neuromotorie (fasci piramidali ed extrapiramidali) alla corteccia passando per il cervelletto. Nelle localizzazioni corticali avviene la seconda trasformazione che, per le vie efferenti, va all’ipotalamo connesso con l’ipofisi, al midollo e da qui all’effettore, in questo caso i muscoli.

Sintesi. Il centro motorio è un trasformatore di stimoli sensoriali elettrico-nervosi che dà risposte di mobilità all’individuo affinché esso si adatti all’ambiente ed alla sopravvivenza.

  • Centro emotivo

 

Area. Corrisponde a ciò che abitualmente riconosciamo come sentimenti, stati d’animo, passioni (con le loro implicazioni motorie) e intuizioni. Intervengono qui il “gusto” o il “disgusto” che possono accompagnare qualsiasi attività.

Organo. L’attività principale la collochiamo nel sistema limbico, che si situa nel diencefalo o rinencefalo e che è composto da: il setto (nuclei settali dell’ipotalamo), i nuclei anteriori del talamo, la circonvoluzione dell’ippocampo, la parte anteriore dell’ippocampo e l’amigdala.

Vie afferenti. Trasformazione. Vie efferenti.

Vie afferenti. Le principali vie afferenti sono: la via olfattiva, che si collega direttamente all’amigdala, e le fibre sensorie, che raggiungono il sistema limbico attraverso la formazione reticolare. All’amigdala arrivano anche fibre provenienti dalla corteccia, dal lobo frontale e temporale e dall’ippocampo. Una delle diramazioni del bulbo olfattorio raggiunge anche il setto.

Trasformazione. Gli stimoli afferenti (impulsi) producono modificazioni elettrochimiche nel sistema limbico, che, come risposta, generano un’immediata modificazione viscero-somatica (in relazione strutturale con l’ipotalamo), includendo le aree corticali. L’attività del sistema limbico integra, a sua volta, un’espressione strutturale emotivo-vegetativo-sessuale.

Vie efferenti. Queste modificazioni si esprimono non solo internamente, a livello elettrochimico ed ormonale, bensì anche modificando l’attività comportamentale del soggetto. Un elemento che esprime chiaramente tutto ciò è quello motorio. Dal sistema limbico, inoltre, si proiettano fibre che, attraverso l’ipotalamo, sono inviate ai centri autonomi bulbari e alla formazione reticolare del tronco encefalico; da qui, tramite i motoneuroni somatici, s’innervano gli organi corrispondenti e pure i muscoli.

Sintesi. Possiamo definire l’attività del centro emotivo come “sintetica”, poiché comprende non solo la propria area specifica, con caratteristiche neuro-ormonali particolari, ma anche elementi di ordine vegetativo e sessuale. La sua localizzazione e connessione (talamo-ipotalamo-formazione reticolare) ci permette di comprenderne sia l’attività diffusa anche in casi dalle caratteristiche “non emotive” sia l’azione prolungata, al di là dell’impulso iniziale.

  • Centro intellettuale

 

Area. Le attività d’apprendimento in generale, la relazione di dati, l’elaborazione di risposte (al di là della risposta reattiva), la relazione di stimoli di origine diversa.

Organo. Localizziamo questo centro nella corteccia cerebrale, costituita dalla materia grigia. Abitualmente lo si divide in tre strati, dall’interno verso l’esterno: archicortex (è lo strato filogeneticamente più antico); paleocortex (lo strato intermedio); neocortex (lo strato più recente). A sua volta, superficialmente, si suddivide in corrispondenza con i quattro lobi cerebrali: frontale, nella parte anteriore; parietale, nella parte media superiore; temporale, in quella media inferiore; occipitale, nella parte posteriore.

Vie afferenti. Trasformazione. Vie efferenti.

Vie afferenti. Le principali vie afferenti sono quelle che compongono le vie sensitive e sono afferenti di ciò che definiamo come corteccia sensoria, che predomina nel lobo parietale ed occipitale e, in grado minore, in quelli temporale e frontale. Sono afferenti: il talamo, l’ippocampo, l’ipotalamo, la formazione reticolare ed il cervelletto.

Trasformazione. Possiamo avere un’idea di questo punto esaminando le interconnessioni corticali. A grandi linee nel lobo parietale troviamo una delle funzioni complesse, con il caso della stereognosi (riconoscimento tattile, prescindendo dalla visione), in cui si richiede un’adeguata ricezione dello stimolo (trasmissione); quest’informazione è sintetizzata e comparata con similari impronte mnemoniche sensoriali precedenti, per poter così conoscere l’oggetto dato.

Vie efferenti. Oltre alle connessioni intercorticali, le vie efferenti in generale si dirigono alla sub-corteccia e, principalmente, al nucleo caudato; al ponte e al cervelletto; al mesencefalo; al talamo; alla formazione reticolare ed ai corpi mammillari (ipotalamo).

Sintesi. Notiamo in questo centro una specializzazione massima nell’uomo rispetto al resto dei mammiferi e delle altre specie. La sua funzione principale d’associazione ed elaborazione, unita alla caratteristica di differire la risposta nei confronti di uno stimolo, sembrano darci un’idea generale di quest’ultimo centro.

 

 

 

PSICOLOGIA 2

Questo è un riassunto realizzato dai partecipanti agli incontri di chiarimento tenuti da Silo a Las Palmas, Canarie, a metà agosto del 1976. Troverete qui vari passaggi che riportano lo stile colloquiale degli incontri, il che rappresenta una gran differenza rispetto a Psicologia 1. D’altra parte, in questo lavoro, si riprende la tematica di quegli appunti, rimettendoli a fuoco alla luce delle teorie degli impulsi e dello spazio di rappresentazione.


Le tre vie dell’esperienza umana: sensazione, immagine e ricordo.

L’esperienza personale nasce dalla sensazione, dall’immaginazione e dal ricordo. Tutti naturalmente possiamo riconoscere sensazioni illusorie, immagini illusorie e ricordi illusori. Persino l’io si articola grazie alla sensazione, all’immagine e al ricordo, e quando l’io percepisce se stesso lavora anch’esso con queste vie, siano esse vere o illusorie. Le stesse vie si riconoscono in ogni possibile operazione della mente; in queste vie chiunque ammetterà l’esistenza d’errori, l’esistenza d’illusioni, però l’illusione dell’io, per quanto essa sia provabile e dimostrabile, è più difficile da ammettere.
Le tre vie della sofferenza e ciò che registra la sofferenza sono per noi temi di particolare interesse. Esamineremo perciò le sensazioni, l’immagine e il ricordo nonché ciò che registra e opera con questo materiale, che chiamiamo “coscienza” (o “coordinatore”) e che, a volte, è identificato con l’io. Studieremo le tre vie per le quali la sofferenza arriva e studieremo anche la coscienza che registra tale sofferenza.
Per via della sensazione, dell’immaginazione e del ricordo si sperimenta dolore. Esiste “qualcosa” che sperimenta questo dolore; questo “qualcosa” che lo sperimenta è identificato come un’entità che, apparentemente, possiede unità. Quest’unità che registra il dolore è data, fondamentalmente, da una sorta di memoria. L’esperienza del dolore è raffrontata ad esperienze anteriori; senza memoria non c’è raffronto, non c’è comparazione d’esperienze.
Le sensazioni dolorose sono raffrontate a sensazioni dolorose precedenti, ma c’è qualcosa di più: anche le sensazioni dolorose sono proiettate, sono considerate in un tempo che non è quello attuale, in un tempo futuro. Se si ricordano le sensazioni dolorose o se s’immaginano le sensazioni dolorose, anche di questo ricordare e di questo immaginare si avrà una sensazione. La memoria non potrebbe provocare dolore, l’immaginazione non potrebbe provocare dolore se non si avesse una sensazione anche dalla memoria e dall’immaginazione. Non solo per la via della sensazione primaria diretta si ha un registro, bensì anche per via della memoria si ha un registro, si ha una sensazione. E per via dell’immaginazione si ha una sensazione. La sensazione allora invade il campo della memoria, invade il campo dell’immaginazione. La sensazione copre tutte le possibilità di questa struttura che sperimenta il dolore. Tutto lavora con la sensazione e con qualcosa che sperimenta, qualcosa che registra questa sensazione. La si chiami più dettagliatamente sensazione propriamente detta, la si chiami memoria, la si chiami immaginazione, alla base c’è sempre la sensazione; l’individuazione di uno stimolo è alla base e il qualcosa che registra tale stimolo è nell’altro punto, all’altra estremità di questa relazione.
Tra uno stimolo e qualcosa che registra tale stimolo si è già configurata questa prima struttura; sembra che tale struttura si muova, cercando di evitare quegli stimoli dolorosi. Stimoli che arrivano e vengono individuati; stimoli che vengono immagazzinati; nuove situazioni che si presentano e azioni di questa struttura tese ad evitare tali nuovi stimoli che sono rapportati a dati precedenti. Stimolo che arriva ad un punto che riceve tale stimolo e, da quel punto, risposta allo stimolo. Se lo stimolo che arriva a quel punto è doloroso la risposta tenderà a modificare lo stimolo; se lo stimolo che arriva a quel punto non è doloroso, al contrario, è sperimentato come piacevole, la risposta tende a far permanere tale stimolo. È come se il dolore volesse l’attimo e il piacere volesse l’eternità. È come se in questo tema del dolore e del piacere esistesse un problema di tempi per il punto che li registra. Che si tratti di stimoli dolorosi o piacevoli, tali stimoli s’immagazzinano, si custodiscono in quell’apparato regolatore di tempo che chiamiamo “memoria”. Agli stimoli che arrivano attribuiamo il nome di “sensazioni”; ma tali stimoli non arrivano solo da ciò che potremmo chiamare “mondo esterno” al centro di registrazione, bensì arrivano dallo stesso “mondo interno” all’apparato di registrazione. Abbiamo già visto come si possa immaginare ciò che è doloroso, come si possa immaginare ciò che è piacevole; e questo ricordare e immaginare non è legato alla sensazione esterna tanto strettamente quanto le altre sensazioni primarie dirette.
Lo schema è semplice: uno stimolo che arriva, una risposta che si da. Ma non semplifichiamo tanto da considerare gli stimoli che arrivano come pertinenti esclusivamente al mondo esterno di tale struttura. Se esistono stimoli anche nel mondo interno di tale struttura, allora devono esserci anche risposte nel mondo interno di tale struttura. La sensazione in generale ha a che vedere con il registro, con ciò che arriva alla struttura. L’immaginazione, invece, ha a che vedere con ciò che tale struttura fa per avvicinarsi allo stimolo, nel caso esso sia piacevole, o per allontanarsene, nel caso esso sia uno stimolo doloroso. In quest’immagine è già definita l’attività nei confronti degli stimoli che arrivano alla struttura in questione. A suo tempo vedremo nei particolari la funzione svolta dall’immagine.
La memoria, nella misura in cui apporta dati piacevoli o dolorosi, mette in moto anche l’immaginazione e quest’immaginazione mette in moto la struttura in una direzione o nell’altra. Stiamo parlando di uno stimolo che arriva, di una struttura che riceve tale stimolo e di una risposta che tale struttura dà. Si tratta di uno schema molto semplice: stimolo-apparato di ricezione-centro di risposta.
Il centro di risposta fa si che di fronte allo stimolo la struttura si metta in moto, non in qualsiasi direzione bensì in una direzione più meno precisa; per rispondere a tali stimoli identifichiamo differenti attività, differenti direzioni, differenti possibilità di risposta. Distinguiamo perciò differenti possibili centri che danno risposte possibili a differenti tipi di stimolazione. Naturalmente tutti questi centri di risposta sono messi in moto fondamentalmente dal dolore e dal piacere, ma nell’attività le risposte si manifestano in modo differente a seconda che ad agire sia un centro o l’altro. Questo mondo di stimoli in arrivo lo chiameremo “mondo della sensazione”; ciò che si esprime verso il mondo della sensazione lo chiameremo “risposta” (ciò che risponde al mondo della sensazione sarà chiamato “centro di risposta”). Poiché le risposte sono numerose e differenziate, e ogni sistema di risposta ha il suo proprio grado, distingueremo diversi centri di risposta.
Tutta questa struttura, che comprende il registro della sensazione e la risposta a tali sensazioni che arrivano, tutta questa struttura che si manifesta la chiameremo “comportamento”. Osserviamo ora che questo comportamento non si manifesta in maniera costante, anzi, subisce numerose variazioni secondo lo stato in cui si trovi tale struttura, secondo il momento in cui tale struttura si trovi. Ci sono momenti in cui la struttura in questione percepisce con più nitidezza lo stimolo doloroso; ci sono momenti in cui sembra non percepirlo per nulla; ci sono momenti in cui tale struttura sembra essere sconnessa da tali sensazioni come non avesse registro delle sensazioni dolorose. Il fatto di registrare con maggiore o minore intensità le sensazioni che arrivano, il fatto di elaborare risposte con maggiore o minore intensità rispetto agli stimoli che arrivano, tutto ciò dipende dallo stato generale della struttura. Chiameremo tale stato genericamente ”livello di lavoro” di quella struttura; questo livello a seconda che si trovi in un momento o in un altro del suo processo, permette che si diano risposte più accelerate, più intense, meno accelerate, per nulla intense.
Passiamo a rivedere i nostri schemi.
Quando si sostiene che l’essere umano fa determinate cose per soddisfare le proprie necessità non si è spiegato molto. L’essere umano fa determinate cose per evitare il dolore. Quel che accade è che se tali necessità non sono soddisfatte provocano dolore; ma ciò non vuol dire che qualcuno sia mosso dall’idea astratta di soddisfare le proprie necessità, semmai si è mossi dal registro del dolore. In genere queste cose sono abbastanza confuse e sembra che le necessità primarie, se non sono soddisfate, siano quelle che provocano il maggior dolore. La sensazione di fame, come altri tipi di sensazione, è talmente dolorosa che, se non è soddisfatta, finisce per provocare una tensione ogni volta più grande. Per esempio, se si fa violenza ad una parte del corpo di un essere umano o se la si ustiona, l’essere umano sperimenterà dolore e, sicuramente, cercherà di dare risposte a questo dolore affinché esso finisca. Fare qualcosa per evitare che la sensazione dolorosa s’intensifichi è una necessità tanto grande quanto quella di alimentarsi, quanto quella di mangiare. In questo caso l’essere umano cercherà di fuggire da ciò che metta in pericolo la struttura del suo corpo. A volte capita che si abbiano registri dolorosi di fame senza avere fame. Si pensa alla fame che si potrebbe avere, si pensa alla fame che potrebbe avere un altro e la fame che un altro potrebbe avere ci da un registro doloroso: ma di che registro doloroso si tratta, forse di un registro doloroso fisico? Non esattamente. Si può ricordare la fame, si può parlare del dolore della fame, ma non si registra il dolore della fame, si registra un altro tipo di dolore. E questo registro che si ha del dolore può muoverci immensamente.
Per via dell’immagine, per via del ricordo, si può anche sperimentare una gamma importante di dolori così come di piaceri. Si sa che alimentandosi, soddisfacendo le proprie necessità immediate, si produrrà una particolare distensione nella propria struttura. E si sa come sia rilevante ripetere questa distensione ogni volta che tale tensione aumenti: ci si affeziona così a determinate forme d’alimentazione, abituandosi a certe esperienze che rilassano la tensione.
Lo studio dei centri permette di differenziare le attività portate a termine dall’essere umano che cerca, prioritariamente, di soddisfare le proprie necessità. D’altra parte, i livelli di coscienza spiegano la variazione di quelle attività a seconda che tutta la struttura stia agendo in stato di veglia, di dormiveglia o di sonno.
Osserviamo dunque in questa struttura un comportamento che è la forma in cui tale struttura si esprime di fronte agli stimoli secondo il determinato livello di coscienza che stia operando.

 

La specializzazione delle risposte di fronte agli stimoli esterni e interni. I centri.

Nell’idea di “centro” si include il lavoro di diversi punti fisici, a volte molto distanti gli uni dagli altri. Vale a dire che un centro di risposta risulta da una relazione tra diversi punti del corpo. Se parliamo del centro del movimento ci rendiamo conto che non è ubicato in un punto fisico preciso bensì corrisponde all’azione di molti punti corporei. La stessa cosa accade per operazioni più complesse delle semplici operazioni di risposta del corpo. Quando si parla delle emozioni nell’essere umano si può dare l’impressione che esista un punto dal quale si gestiscano tutte le emozioni. Ma non è così. Esistono numerosi punti che, lavorando coordinatamente, provocano la risposta che chiamiamo “emotiva”.
Dunque, gli apparati che controllano il passaggio degli impulsi verso il mondo della risposta sono quelli che conosciamo come “centri”. Il meccanismo di stimolo e risposta riflessa si fa sempre più complesso, fino a che la risposta non è differita e intervengono circuiti di coordinazione in grado di canalizzare le risposte precisamente, grazie a differenti centri. Perciò la risposta differita ha già percorso numerosi tragitti prima di compiersi nel mondo esterno.
Differenziamo lo stimolo che dai sensi può arrivare alla coscienza dall’impulso che può arrivare dalla memoria. Nel secondo caso si verificano numerose operazioni e, concordemente al livello del segnale elaborato nella coscienza, si seleziona l’uscita da un centro o da un altro. Facciamo un esempio: se colpiamo una parte della gamba, il ginocchio, la gamba si muoverà senza alcun bisogno che questo stimolo passi per i complicati meccanismi della coscienza che elaborano infine il segnale sotto forma d’immagine, immagine che cerca il livello corrispondente nel sistema di rappresentazione e che, da lì, agisce sul centro adeguato per girare la risposta al mondo. È certo che nella risposta riflessa, quasi simultaneamente ad essa, si configura un’immagine; però lo stimolo è passato nettamente dall’apparato di ricezione al centro. Ora, prendendo in considerazione il segnale che si è sdoppiato come immagine, possiamo seguirne la trasformazione fino al suo arrivo sotto forma d’impulso alla memoria, dove si archivia per poi tornare al meccanismo di coordinazione in cui si elabora una nuova immagine; inoltre, per quanto lo stimolo sia già scomparso (nel momento in cui si è verificata la risposta riflessa), si può continuare ad inviare informazione dalla memoria mantenendo un’immagine che, a sua volta, rafforza l’attività del centro d’uscita.
I centri lavorano essendo strutturati l’uno con l’altro e con registri propri (oltre al registro generale che il coordinatore ha) attraverso l’informazione che arriva dai sensi interni nel momento di agire nell’ambiente nonché attraverso le connessioni tra centri e coordinatore. Si ha anche coscienza di ciò che accade nell’attività dei centri, in quanto i centri nell’elaborare una risposta danno anch’essi un segnale interno all’apparato di sensazione. Quindi i centri possono continuare ad inviare segnali di risposta; possono trattenere questo segnale di risposta; il segnale in questione, che arriva ai centri, può spostarsi e cercare un altro canale, e così via, grazie al fatto che nella stessa uscita c’è un ritorno del segnale verso un apparato interno che registra ciò che sta succedendo con la risposta. Perciò, se lancio la mano in una direzione, la mia mano potrebbe andare più lontano, non arrivare all’oggetto o commettere numerosi errori, se di questo movimento non si avesse anche una sensazione interna, così come ho continuamente sensazioni tramite gli altri sensi che registrano le diverse operazioni. Ora, se dovessi spingere delicatamente questo libro che ho davanti a me, sul tavolo, dovrei regolare l’impulso della mia mano perché, se mi sbagliassi, il libro potrebbe cadere al suolo. In più la resistenza offerta dal libro mi indica quanta pressione devo esercitare e questo lo so grazie alla risposta. Vale a dire che l’azione motoria che sviluppo sul libro incontra una determinata resistenza di cui ho una sensazione interna; grazie a questa sensazione interna procedo a regolare l’attività. Ecco come si arriva ad avere la sensazione dell’attività dei centri di risposta.
Il centro vegetativo è la base dello psichismo in cui si attivano gli istinti di conservazione, individuale e di specie, e che, eccitati da segnali corrispondenti a dolore o piacere, si muovono in difesa o in espansione della struttura complessiva. Di tali istinti non ho registro se non grazie a determinati segnali. Tali istinti si manifestano fortemente nel momento in cui si espone a rischio una parte o la totalità della struttura. Anche il centro vegetativo si mette in moto per immagini, ma immagini di registro cenestesico, e queste immagini sono provocate dallo stato di sonno o di fatica, per esempio. Si ha un registro cenestesico di questo stato, si ha un registro cenestesico di ciò che in seguito si convertirà in sensazione di fame; si ha un registro del riflesso del sesso. Il registro cenestesico aumenta in caso di malattia, ma anche in caso d’assenza di sensazioni esterne. Questo centro dà risposte compensatorie, equilibratrici, a quegli impulsi cenestesici che arrivano da differenti parti della struttura. Anche qualora il segnale sensoriale arrivi al centro vegetativo e questo dia una risposta, tale segnale può agire anche sulla memoria e dalla memoria arrivare al coordinatore e si può avere coscienza di quei segnali: ma non è la coscienza di quei segnali ad innescare la risposta del centro vegetativo.
Il centro sessuale è il collettore e distributore energetico principale che opera per concentrazione e diffusione alternate, ed ha l’attitudine di mettere in moto l’energia in forma localizzata o in forma diffusa; il suo lavoro è sia volontario sia involontario. Succede un po’ come con il centro vegetativo, del quale a sua volta è una specializzazione, la specializzazione più immediata. In questo centro la tensione origina forti registri cenestesici e da qui l’energia si distribuisce agli altri centri. La diminuzione della tensione nel centro sessuale si produce per mezzo di scariche proprie di questo centro, per scariche attraverso gli altri centri e per trasmissione di segnale alla coscienza, che la converte in immagine. Il centro sessuale può anche agire da collettore delle tensioni del corpo e degli altri centri giacché è fortemente legato all’apparato vegetativo, il quale capta i segnali di tutti gli impulsi cenestesici. La struttura vegetativo-sessuale è la base a partire dalla quale si organizzano tutti centri e, per tanto, tutto il sistema di risposte. Ciò avviene perché tali centri sono direttamente connessi agli istinti di conservazione individuale e di conservazione di specie. È questa base istintiva che alimenta il funzionamento di tutti gli altri sistemi di risposta; in caso di errori in questa base di risposte sulla quale tutti gli altri apparati di risposta poggiano si registreranno perturbazioni in tutta la catena di risposte.
Il centro motorio agisce come regolatore dei riflessi esterni e delle abitudini di movimento; permette lo spostamento del corpo nello spazio, lavorando con tensioni e rilassamenti.
Il centro emotivo è il regolatore e sintetizzatore di risposte situazionali attraverso un lavoro di adesione o rifiuto. Dal lavoro del centro emotivo si registra la particolare attitudine dello psichismo a sperimentare le sensazioni dell’avvicinarsi a ciò che è piacevole o dell’allontanarsi da ciò che è doloroso, senza che il corpo, per questo, necessariamente agisca. Può succedere che non esista un riferimento oggettuale esterno e che, tuttavia, si sperimenti l’emozione del rifiuto o lo stato di adesione, perché oggetti della propria rappresentazione potrebbero (per via dell’insorgere di immagini) provocare attivazioni del centro emotivo. Esemplificando: non ci sarebbe bisogno di fuggire, giacché non esiste pericolo oggettuale, eppure si sta fuggendo dal “pericolo” della propria rappresentazione.
Il centro intellettuale risponde a impulsi dei meccanismi di coscienza conosciuti come astrazione, classificazione, associazione e così via e lavora per selezione o confusione di immagini, in una gamma che va dalle idee ai differenti tipi d’immaginazione, diretta o divagatoria, potendo elaborare forme di risposta quali immagini simboliche, segniche e allegoriche. Per quanto esse sembrino astratte e “immateriali” se ne ha un registro sensoriale interno e le si può ricordare, seguirne la trasformazione in una sequenza e registrare sensazioni di riuscita odi errore.
Esistono differenze di velocità nel dettare le risposte all’ambiente; tale velocità è proporzionale alla complessità del centro. Mentre l’intelletto elabora una risposta lenta, l’emozione e la motricità lo fanno più velocemente, e la velocità interna del funzionamento vegetativo e del sesso è notevolmente maggiore della velocità degli altri centri.
Il funzionamento dei centri è strutturale. Ciò si registra per via delle concomitanze negli altri centri quando uno di essi sta agendo come primario. Il lavoro intellettuale è accompagnato di un tono emotivo, per esempio un certo piacere dato dallo studio che si sta realizzando e che aiuta a mantenersi in attività, laddove, in questo caso, la motricità si riduce al minimo. È così che, quando il centro di risposta intellettuale lavora, è l’emotività a mantenere la carica ma a scapito del centro contiguo, vale a dire quello motorio che tende a immobilizzarsi a mano a mano che si accentua l’interesse intellettuale. Se si trattasse della ricomposizione vegetativa conseguente a una malattia il soggetto sperimenterebbe fatica o debolezza e tutta l’energia andrebbe alla guarigione del corpo. Il centro in questione lavorerebbe appieno per dare risposte interne equilibratrici, mentre l’attività degli altri centri si ridurrebbe al minimo.
I centri possono lavorare in disfunzione, il che dà luogo anche a errori di risposta. Le contraddizioni nel lavoro tra i centri insorgono quando le risposte non si organizzano in modo strutturato e i centri lanciano attività in direzioni opposte l’una all’altra.
Questi centri, che separeremo per meglio comprenderli, in realtà lavorano in struttura; tra essi circola energia psicofisica o, più semplicemente, energia nervosa. In generale, quando in alcuni centri l’attività aumenta diminuisce in altri: è come si lavorassimo sempre con una carica determinata e dunque, con questa stessa quantità di carica, qualora alcuni lavorino di più, gli altri dovranno lavorare meno. Se una persona corre il centro motorio lavora al massimo livello, ma il centro vegetativo deve regolare le funzioni interne. L’emotività inoltre può essere la ragione di questa corsa, di questa persona che corre e può anche darsi che il corridore stia compiendo operazioni intellettuali. Facciamo un esempio: la persona che corre sta fuggendo da qualcuno che lo insegue e, mentre corre, cerca di capire come svignarsela con più facilità, sta cioè cercando il modo di scappare da quella cosa minacciosa che lo segue. Abbiamo dunque molte cose che si potrebbero fare mentre si corre. La più rilevante, in questo caso, è l’attività motoria. Nell’intelletto l’energia diminuisce ogni volta che il centro motorio si attiva. Nel nostro esempio è abbastanza difficile correre mentre si è inseguiti e contemporaneamente fare calcoli matematici. Certo nell’intelletto accade qualcosa quando il centro motorio si mette in moto, ma ciò non vuol dire che la sua attività scompaia. Questa energia è praticamente annullata nel sesso, mentre agisce nell’emotività, ma in modo variabile a seconda dell’incitazione che ha fatto scattare la corsa. Se una persona effettua complesse operazioni matematiche il suo centro vegetativo tenderà ad entrare in stato di quiete; o il centro vegetativo entra in stato di quiete o si smette di compiere operazioni intellettuali.
Tutte queste considerazioni hanno un’importanza pratica perché spiegano come la super-attività di un centro diminuisca l’attività degli altri centri e in particolar modo di quelli che chiamiamo centri contigui.
Parlando di centro intellettuale, centro emotivo, centro motorio, centro sessuale e centro vegetativo abbiamo stabilito un ordine, all’interno del quale consideriamo contigui i centri situati lateralmente rispetto ad un centro dato. Dicevamo che la super-attività di un centro diminuisce l’attività degli altri, particolarmente quella dei centri contigui. Quest’ultimo dato permette di comprendere, per esempio, come i blocchi emotivi o le sovraccariche sessuali possano modificarsi a partire da una determinata attività del centro motorio. Tale centro motorio agisce “catarticamente” (è la prima volta che usiamo questa parola, che d’ora in poi useremo spesso), scaricando tensioni. Ciò spiega anche come l’attività negativa del centro emotivo, per esempio la depressione (che non è una sovraccarica bensì l’opposto) faccia diminuire la carica intellettuale e faccia diminuire pure quella motoria, mentre una carica positiva nello stesso centro, per esempio l’entusiasmo (a differenza della depressione), può far traboccare il centro emotivo e produrre una sovraccarica in quelli contigui: sovraccarica intellettuale e sovraccarica motoria.
È chiaro che quando un centro “straripa” e dà energia anche ad altri, lo fa a spese di qualche altro centro, perché l’economia energetica dell’insieme è più o meno costante. Ecco dunque che improvvisamente un centro trabocca, “si riempie d’entusiasmo” ed inizia a trasmettere energia ai centri ad esso contigui; ma in tutto ciò c’è chi perde qualcosa. Alla fine il centro cui si sta succhiando tutta l’energia, energia di cui usufruiscono gli altri centri, finisce per scaricarsi e questa scarica inizia ad invadere gli altri centri finché tutti si sono scaricati. In questo senso se dovessimo individuare un centro che dia energia alla “macchina” nel suo complesso, indicheremmo il centro vegetativo.
Il centro sessuale è un collettore importante dell’energia psicofisica, che valuta l’attività di tutti gli altri centri influendo su di essi il modo tacito o manifesto. Per tanto sarà implicato persino nelle superiori attività della coscienza, nelle attività più astratte, facendo sì che tale coscienza si muova in una o in un'altra direzione astratta, ma provando per tali direzioni un particolare gusto o un particolare disgusto.
Indipendentemente dagli stimoli che arrivano dal mondo esterno i centri lavorano con una ciclicità caratteristica. Quando gli stimoli arrivano il ritmo che normalmente ha un centro ne risulta modificato, ma poi riprende il suo livello di lavoro con il ritmo che gli è proprio. Questi cicli e ritmi sono differenti e producono determinate ripetizioni caratteristiche. Riconosciamo i cicli respiratori, i cicli circolatori, i cicli digestivi; appartengono allo stesso centro, ma il centro vegetativo non ha un solo ritmo, accade invece che in tale centro si verifichino differenti attività, e che ogni una di esse abbia un ritmo differente. Questi tipi di ritmo, così come quelli che abbiamo già nominato, sono noti come cicli corti. Esistono anche cicli quotidiani e altri di maggiore ampiezza, come i cicli di tappa  biologica. Il lavoro quotidiano, per esempio, è organizzato in base all’età; sarebbe inadeguato affidare a un bambino di cinque anni, o a un signore di ottanta, attività proprie di persone giovani e adulte.
Dobbiamo infine aggiungere che l’attività dei centri si registra in determinati punti del corpo, anche se questi punti non sono i centri. Il registro del centro vegetativo, per esempio, è un registro corporeo interno, diffuso; quando uno sente il proprio corpo lo sperimenta in modo diffuso e non solo in una parte o zona precisa. Il registro del sesso si sperimenta nel plesso sessuale. Il registro de alcuni emozioni si verifica nel plesso cardiaco e nella zona respiratoria. Il lavoro intellettuale si sperimenta nella testa (come si dice, “si pensa con la testa”). Né si deve confondere ciò che mette in moto le attività con il registro di tale attività. Ciò che mette in moto le attività è da noi chiamato “centro” e ha una propria base neuroendocrina diffusa, mentre il registro delle attività dei centri si sperimenta in via preferenziale in alcuni punti localizzati del corpo.

 

Livelli di lavoro della coscienza. Insogni e nucleo d’insogno.

Tornando allo schema proposto precedentemente si trattava solo di una struttura, di un sistema di stimoli e di un centro che dava una risposta a tali stimoli. Il centro in questione in seguito si specializzava in differenti fasce che erano fasce di attività di risposta nei confronti degli stimoli. Abbiamo perciò individuato centri differenti, ma sapendo che questi centri variavano nella risposta non solo per variazioni di stimoli ma anche per lo stato in cui essi stessi si trovavano. A tale stato in cui in un determinato momento si trovavano i centri abbiamo dato il nome di livello di lavoro. Tale livello di lavoro, pertanto, procedeva a modulare l’attività del centro per quanto attiene alle risposte; se il livello di lavoro era alto, la risposta diretta al mondo era più efficace, più evidente, se il livello di lavoro era basso, la risposta diretta al mondo non era altrettanto efficace.
In questa struttura troviamo il livello di veglia, che favorisce l’attività diretta al mondo esterno. Da un’altra parte troviamo il sonno come un livello che, apparentemente, blocca la risposta diretta al mondo esterno, anche quando gli stimoli sembrano arrivare pienamente a chi dorme. C’è poi un livello intermedio, quello del dormiveglia, per il quale si passa nel connettersi e sconnettersi dal mondo esterno.
Parliamo dei livelli di lavoro e ci riferiamo a essi come la mobilità interna che la struttura della coscienza ha per rispondere agli stimoli. Questi livelli hanno una propria dinamica e non li si può considerare come semplici saracinesche che si aprano o chiudano. In realtà, mentre si sta lavorando ad un livello, negli altri livelli continua ad esserci mobilità, con energia più ridotta. Vale a dire che se ci troviamo, per esempio, nel livello di veglia, il livello di sonno continua a lavorare ma con attività ridotta. Stando così le cose esistono forti pressioni degli altri livelli nei confronti del livello che si esprime in quel determinato momento. I fenomeni propri della veglia influenzati da fenomeni degli altri livelli sono dunque numerosi, così come sono numerosi quelli propri del sonno influenzati dall’attività degli altri livelli. Questo fatto di concepire i livelli non come compartimenti stagni bensì come un insieme di potenziali di lavoro che si trovano in una dinamica simultanea è molto importante per comprendere i fenomeni che chiameremo di “rimbalzo” di contenuti, di “pressione” di contenuti, ecc.
Così come esistono localizzazioni neuroendocrine che regolano le attività di risposta dell’essere umano (e che abbiamo inglobato nella designazione di “centri”), così pure esistono localizzazioni che regolano i livelli di lavoro della coscienza. Effettivamente determinati punti inviano segnali affinché si realizzi l’attività di veglia, di dormiveglia o di sonno. A loro volta questi punti che inviano segnali ricevono istruzioni da differenti parti del corpo prima di mettersi a impartire ordini, dal che deriva un circuito chiuso. In altre parole: quando il corpo necessita di riposo notturno somministra dati a determinati punti che cominciano a trasmettere segnali finché il livello di coscienza non si abbassa. Non vogliamo ora entrare in alcuna complicazione fisiologica o psicofisiologica del caso bensì mantenerci in termini molto generali. Quando nel corpo si vanno accumulando determinate sostanze, o quando il lavoro quotidiano ha provocato al corpo uno stato di fatica, tali sostanze e tale fatica accumulate trasmettono segnali, somministrano segnali a un punto che li raccoglie, e questo punto che raccoglie tali segnali inizia a sua volta ad emettere messaggi provocando l’abbassamento del livello di coscienza che continua a scendere finché al soggetto non viene sonno entrando così in quello stato di sonno con il quale inizia la fase riparatrice del circuito. Naturalmente con questo “abbassamento” del livello di coscienza non si tratta solo di riparare il corpo: l’abbassamento del livello di coscienza fa sì che si producano numerosi fenomeni complessi, non solo di riparazione. Ma, per cominciare, possiamo vederla così. A sua volta, quando il riposo ha portato a termine il suo effetto riparatore, questi punti iniziano a inviare segnali al punto di controllo che, a sua volta, emetterà segnali fino a provocare il risveglio. Anche stimoli esterni o forti stimoli interni possono innescare il fenomeno e produrre un innalzamento di livello anche qualora il sonno non abbia portato a termine il suo effetto riparatore. Ciò è molto evidente. Il nostro soggetto si sta “riparando”, sta riposando, ma una detonazione molto vicina ne provoca il risveglio. Quindi i cicli si manifestano e i ritmi si esprimono in quei livelli con una ritmica propria ma, quando interviene un fenomeno che spezza i limiti della soglia, da quel centro di controllo interno si produce lo “sparo” e inizia il risveglio, al di fuori del ritmo.
Nel livello di veglia troviamo il miglior dispiegamento delle attività umane. I meccanismi razionali lavorano appieno e si ha direzione e controllo sulle attività della mente e del corpo nel mondo esterno.
Nel livello di sonno, invece, i meccanismi razionali sono molto diminuiti nell’attività e il controllo sulle attività della mente o del corpo è praticamente nullo. In certi momenti il sonno è nettamente vegetativo e privo di immagini, in certi momenti è come se il centro vegetativo predominasse in modo totale, assoluto, sul sonno e lavorasse solo quella struttura fornendo risposte a stimoli interni. Qui non ci sono immagini che affollino lo schermo della coscienza; si è in uno stato tale che arrivano dati interni e internamente si “risponde” a tali dati; tutto ciò, col suo automatismo caratteristico, lo fa il centro vegetativo. Poi però inizia un ciclo di sonno con insogni, con immagini, che più avanti torneranno a interrompersi iniziando un altro periodo privo di immagini. Questo succede ogni notte; ecco dunque che anche nel livello di sonno, sonno profondo, troviamo uno stato pienamente vegetativo, privo di immagini, e uno stato in cui le immagini appaiono. Tutto ciò ha i suoi cicli e ritmi.
Naturalmente tracciamo una differenza tra livelli e stati. Le immagini del sogno sono molto veloci, hanno una forte carica affettiva e suggestionano fortemente la coscienza. Il materiale di queste immagini è preso dalla vita quotidiana anche se è articolato a capriccio. Più avanti vedremo come questo essere articolato “a capriccio” non sia proprio così, giacché, nella produzione onirica, arrivando al tema delle conformazioni allegoriche e di altro tipo vedremo come tutto ciò obbedisca a un insieme di leggi piuttosto precise, ma per ora diciamo che le cose si articolano “a capriccio”. Il sonno serve a riparare il corpo e ad ordinare tutta la massa di informazione ricevuta durante il giorno, inoltre ha la funzione di scaricare numerose tensioni fisiche e psichiche.
Nel dormiveglia si mescolano fenomeni degli altri due livelli. Dal sonno si passa al dormiveglia cui si arriva prima del risveglio completo, mentre dalla veglia piena, in stato di affaticamento, si passa al dormiveglia iniziando così a mescolare i livelli. Il livello di dormiveglia è prodigo di fantasticherie e di lunghe catene di immagini che assolvono la funzione di scaricare le tensioni interne.
L’insogno in veglia non è un livello bensì uno stato, nel quale le immagini proprie del livello di sonno o dormiveglia si aprono la strada esercitando pressione sulla coscienza. Questi insogni agiscono, si manifestano in stato di veglia per via della pressione degli altri livelli. Ciò accade allo scopo di alleviare le tensioni. Ma anche gli insogni in stato di veglia servono a compensare difficoltà di situazione o necessità che il soggetto sperimenta. Ciò, in ultima analisi, è legato al problema del dolore e si tratta dell’indicatore interno e del registro interno che il soggetto ha quando non può esprimersi nel mondo ed appaiono allora le immagine compensatorie. Quando parliamo di fantasticheria o insogno in stato di veglia non ci riferiamo al livello di dormiveglia, giacché il soggetto può continuare a realizzare le sue attività quotidiane meccanicamente, per così dire “sognando ad occhi aperti”. Il soggetto non è sceso al dormiveglia né al sonno profondo; egli continua con le sue attività quotidiane, tuttavia gli insogni iniziano a ronzare.
Osserviamo che la mente si trasferisce da un oggetto all’altro, istante dopo istante. È molto difficile mantenere un’idea, un pensiero, senza che si infiltrino elementi estranei, vale a dire altre immagini, altre idee, altri pensieri. A questi contenuti erratici della coscienza diamo il nome di “insogni”. Tali insogni o divagazioni dipendono dalle pressioni degli altri livelli, così come da stimoli esterni quali rumori, odori, forme, colori e così via, nonché da stimoli corporei quali tensione, calore, fame, sete, molestia e così via. Tutti questi stimoli, interni ed esterni, tutte queste pressioni che stano agendo negli altri livelli, si manifestano formando immagini ed esercitando pressione sul livello di veglia. Gli insogni sono instabili e mutevoli e costituiscono impedimenti al lavoro dell’attenzione.
Chiamiamo “insogni secondari” quelli che vengono lanciati quotidianamente e che hanno carattere situazionale, vale a dire passeggero. Un individuo che si trovi in una determinata situazione è sottoposto a un insieme di pressione esterne; sorgono così in risposta insogni secondari e, quando la situazione cambia, sorgono altre risposte, altri insogni secondari. Consideriamo tali insogni secondari o situazionali perché vengono lanciati in risposta, in compensazione di situazioni più o meno precise.
Esistono però altri insogni di maggior persistenza o ripetizione che, sebbene variando, denotano un identico clima mentale, un’identica “atmosfera” mentale. Le immagini che sono sorte per una sola volta in una determinata situazione e che poi sono scomparse sono estremamente diverse da queste altre immagini che, anche se cambiamo situazione, compaiono ripetitivamente. Questi insogni, che non sono secondari, possono anch’essi cambiare, a modo loro: possiedono però una permanenza, fosse pure solo nel clima mentale; hanno un sapore analogo. Facendo una digressione, osserviamo come le parole che stiamo usando siano nettamente sensoriali. Parliamo di “clima”, come se la percezione di tale fenomeno fosse tattile. Parliamo di “sapore”, come se si potesse degustare un insogno. Torneremo più avanti su queste peculiarità.
A volte questi stessi insogni appaiono nelle fantasticherie del dormiveglia nonché nel sonno notturno. Lo studio degli insogni secondari e di quelli negli altri livelli serve a determinare un certo nucleo fisso di divagazione, che è un forte orientatore delle tendenze psichiche. In altri termini, si può dire che le tendenze vitali di una persona, al di là delle condizioni imposte dalle circostanze, sono lanciate a raggiungere quell’immagine, quell’insogno fisso che le guida. Tale nucleo fisso si va a manifestare come immagine; tale immagine ha la proprietà di orientare il corpo, di orientare le attività in una determinata direzione. L’immagine punta in una determinata direzione verso la quale si dirige tutta la struttura.
Il nucleo di insogno orienta numerose tendenze della vita umana in una direzione non chiaramente avvertita dallo stato di veglia; molte delle ragioni che una persona potrebbe addurre rispetto ad alcune delle sue attività sono, in realtà, mosse dal nucleo in questione e non dalle “ragioni” o, per meglio dire, sono funzioni di tale nucleo. Conseguentemente, i cambiamenti nel nucleo provocano cambiamenti nell’orientamento di alcune tendenze personali. La stessa persona continua a cercare il modo per soddisfare i propri bisogni, ma è sempre questo nucleo che continua a valutare la direzione da prendere. In altri casi il nucleo rimane fisso, rimane attaccato a un periodo della vita, sebbene le attività generali si modifichino. Questo nucleo di insogno non lo si visualizza, ma lo si sperimenta come clima mentale. Le immagini guidano le attività della mente e possiamo registrarle, però questo nucleo di insogno non è un’immagine; questo nucleo di insogno è ciò che va a determinare immagini compensatorie. Pertanto il nucleo di insogno non è un’immagine, bensì quel clima mentale che si sperimenta. Il nucleo motiva la produzione di determinate immagini che, di conseguenza, portano ad un’attività.
Un esempio di nucleo negativo può essere un senso di colpa permanente. Prendiamo una persona che abbia un senso di colpa permanente: non ha fatto alcunché di riprovevole, o forse si: il punto è che sperimenta questo stato di colpa, si sente colpevole. Questa persona non ha alcuna immagine però sperimenta quello speciale stato di coscienza. Facciamo un altro esempio, prendiamo il senso tragico del futuro. Tutto ciò che succederà andrà male. Perché? Non si sa. Oppure prendiamo il senso continuo di oppressione. Il soggetto si sente oppresso, dice che “non va d’accordo con se stesso” e gli sembra che le cose gli crollino addosso. Ciò nonostante non bisogna credere che tutti i nuclei siano negativi.


Si riferisce alle spiegazioni date a Corfù nel 1975 e pubblicate come Psicologia 1.

Vedi Appendice - Basi fisiologiche dello psichismo in Psicologia 1.

 

I nuclei continuano a persistere per anni e compaiono gli insogni compensatori di tali nuclei. Per molto tempo questi nuclei continuano ad operare, dando luogo alla nascita di insogni compensatori. Così, per esempio, se il nucleo che esercita continuamente la sua pressione rassomiglia al senso d’abbandono, se il soggetto si sente abbandonato, se il soggetto si sente privo d’aiuto, se sperimenta questo senso di mancanza d’aiuto e d’abbandono, ebbene, è molto probabile che sorgano insogni compensatori di acquisizione, di impossessamento, e che queste immagini guidino le attività del soggetto. Sicuramente ciò accade non solamente in ambito individuale ma anche in ambito sociale nonché in determinati periodi storici. Chiaramente, in epoche di sommovimenti storici, queste immagini di smisurato impossessamento aumentano perché aumentano i climi d’abbandono, i climi di spossessamento, aumenta la mancanza di punti di riferimento interni.
Gli insogni secondari danno risposte compensatorie a stimoli, siano essi stimoli dati da situazioni o da pressioni interne, perché la loro funzione è di scaricare le tensioni prodotte da queste difficoltà interne. Pertanto, gli insogni secondari sono estremamente variabili ma al loro interno si osservano alcune costanti. Possiamo notare che questi insogni girano intorno a un clima particolare. Questi insogni variano a seconda della situazione, esprimendosi in modo differente ma avendo qualche cosa in comune; e ciò che hanno in comune ci fa notare la presenza di un clima particolare, che ha a che vedere con ciascuno di essi. Tale clima comune tipico degli insogni secondari denuncia la grande persistenza del nucleo, nucleo che non gira a seconda della situazione bensì permane fisso nelle situazioni più diverse.
In uno degli esempi appena fatti il soggetto si trova in una situazione estremamente sgradevole e pensa che tutto gli andrà male. Immaginiamo che si sposti e si trovi in una situazione per lui invece estremamente piacevole; egli continuerà a pensare che tutto gli andrà male, perché, anche cambiando situazione il clima precedente continuerà ad esercitare la sua pressione e a lanciare immagini. Quando il nucleo di insogno inizia a manifestarsi come immagine fissa, tale nucleo comincia a variare, poiché la sua tensione di base si orienta già nel senso della scarica. Per spiegarci meglio possiamo ricorrere a una metafora: quando il sole è in alto non lo si vede, lo si vede quando è all’orizzonte, all’alba e al tramonto. Con il nucleo di insogno succede lo stesso: non lo si vede in piena attività, nemmeno quando la sua pressione è più forte, bensì lo si vede quando si è appena originato o quando declina. Il nucleo può durare anni o tutta la vita, o modificarsi accidentalmente. Il nucleo cambia anche quando c’è una variazione di tappa vitale. Se tale nucleo, se tale clima fisso è insorto è perché è in rapporto a determinate tensioni, perciò quando la tappa vitale cambia tali tensioni si modificano notevolmente. L’orientamento della vita inizia a cambiare e la condotta sperimenta modificazioni importanti. L’orientamento della vita cambia perché sono cambiati quegli insogni che indicano la direzione verso gli oggetti, gli insogni che indicano la direzione sono cambiati perché è cambiato il clima che li determina, i climi sono cambiati perché è cambiato il sistema di tensioni interne e, infine, il sistema di tensioni è cambiato perché è la tappa fisica del soggetto, o perché si è verificato un evento che ha provocato un cambiamento anche nel sistema di tensioni.
In alcuni casi, i centri che abbiamo esaminato danno ordini ad altri centri. I centri volontari, come quello intellettuale, danno ordini alle parti volontarie degli altri centri ma non a quelle involontarie né, tanto meno, ai centri istintivi, specialmente al centro vegetativo nel suo lavoro interno. Il centro intellettuale non gli dà ordini e, se gliene dà, non ottiene risposta: la pressione sanguigna non cambia perché gliel’ha ordinato l’intelletto, né cambiano la circolazione o i toni profondi. Avviene piuttosto il contrario. Le pressioni interne che danno luogo alla nascita del nucleo di insogno sono legate al funzionamento dei centri istintivi, perciò tali nuclei variano al variare di tappa fisiologica, così come gli incidenti fisici gravi provocano effetti analoghi. Perciò non è che i nuclei in questione cambino per via degli ordini ricevuti dal centro intellettuale, per esempio, bensì i nuclei cambiano quando cambia l’attività vegetativa; ne consegue che modificare volontariamente tali nuclei è molto difficile. I nuclei in questione cambiano al cambiare delle tappe fisiologiche. Abbiamo detto, inoltre, che anche gli shock emotivi possono formare o modificare un nucleo di pressione interna, giacché la parte involontaria del centro emotivo, come spiegato, invia segnali a tutti i centri, modificandone l’azione. Se lo shock emotivo è intenso può modificare il funzionamento del centro vegetativo per molto tempo. Gli esempi sono infiniti. Tale shock emotivo può innescare, a partire da quel momento, un nuovo nucleo di pressione, con la comparsa di una conseguente compensazione. Anche gli insogni secondari dovranno mostrare l’insorgenza di un nuovo tema permanente, nonostante la loro variabilità, e le ricerche o le intenzioni vitali del soggetto si orienteranno in altro modo, variando così anche il suo comportamento nel mondo. Il soggetto ha ricevuto un forte shock e, a partire da tale shock, ha cambiato la propria vita. A partire da tale shock le sue attività e le sue ricerche vitali sono cambiate. Questi shock emotivi possono agire con forza tale da provocare, tra l’altro, serie alterazioni in alcuni punti del centro vegetativo, giacché il centro emotivo, nella sua parte involontaria, agisce sul centro vegetativo e lo modifica. Gli shock che arrivano a tali livelli di profondità emotiva possono provocare serie alterazioni in alcuni punti del centro vegetativo, con la comparsa di disfunzioni e somatizzazioni. Somatizzazioni di origine emotiva, vale a dire malattie causate da incidenti emotivi.

Riassumendo: abbiamo parlato dei livelli di coscienza, dicendo che esistono punti corporei dai quali tali livelli vengono gestiti, così come esistono altri punti corporei che gestiscono i centri. Questi punti corporei captano segnali e a loro volta ne inviano affinché il livello di lavoro di quella struttura si elevi o si abbassi.
Abbiamo detto poi che, nel livello di veglia, le attività intellettuali si dispiegano enormemente, mentre nel livello di sonno le stesse attività si riducono sensibilmente, anche se le immagini aumentano la loro potenza; nel livello di dormiveglia, infine, tutto ciò è mescolato.
Ancora, abbiamo operato una differenza tra livelli di coscienza e stati nei quali si può trovare un determinato livello. Abbiamo detto che gli insogni che compaiono nel livello di veglia sono prodotti da tensioni situazionali o dalle pressioni degli altri livelli. Perciò gli insogni che compaiono nel livello di veglia non sono indicativi dei livelli, bensì riflettono stati.
Abbiamo parlato anche del fatto che questi insogni situazionali hanno un determinato tipo di relazione tra loro; relazione che non dipende dall’immagine ma dal clima. Tale relazione di clima che gli insogni secondari hanno tra loro ci permette di parlare di un nucleo di insogno. Tale nucleo di insogno ha una gran persistenza e risponde a tensioni profonde. Il nucleo varia con difficoltà nel corso del tempo, ma ci sono determinati shock emotivi profondi che possono “bombardarlo” e anche le variazioni di tappa vitale ne provocano modificazioni.
È il nucleo di insogno ad orientare le tendenze della vita umana. Gli insogni secondari forniscono risposte compensatorie a stimoli situazionali e sono invasi dal clima del nucleo di insogno. Le pressioni interne che danno luogo alla nascita nel nucleo di insogno sono legate al funzionamento dei centri istintivi, così che i nuclei in questione sono fortemente legati al centro vegetativo ed al centro sessuale. Sono questi ultimi a motivare, in realtà, l’insorgenza del nucleo di insogno.

 

Comportamento. Paesaggio di formazione.

Lo studio dei centri, dei livelli di coscienza e del comportamento in generale, deve permetterci di articolare una sintesi elementare del funzionamento della struttura psichica umana, deve permetterci di comprendere, sempre a livello elementare, quei meccanismi di base che guidano le attività dell’essere umano a seconda della sofferenza o del piacere, e deve permetterci di comprendere non solo la captazione reale che questa struttura umana opera nei confronti della realtà circostante bensì anche la captazione illusoria che questa struttura opera nei confronti della realtà circostante e della sua propria realtà. Questi sono i punti che ci interessano. Il nostro filo conduttore è lanciato in direzione della comprensione della sofferenza, del piacere e dei dati psicologici che potrebbero essere autentici o illusori.
Entriamo nel tema del comportamento.
Lo studio del funzionamento dei centri e la scoperta dei loro cicli e ritmi ci permette di comprendere le velocità e i tipi di reazione nei confronti del mondo nel suo aspetto più macchinale. D’altra parte, l’esame degli insogni e del nucleo di insogno ci mette in contatto con forze che inibiscono o fanno scattare determinati comportamenti assunti nei confronti del mondo. Però, oltre all’aspetto meccanico psichico e corporeo, oltre l’aspetto meccanico del comportamento, riconosciamo fattori d’ordine sociale, d’ordine ambientale e di accumulazione d’esperienza nel corso della vita, che agiscono nella formazione di tale comportamento con forza pari a quella dei fattori meccanici. Ciò accade perché, a parte le stimolazioni che potrebbero arrivare alla struttura psichica (ed alle quali essa risponde immediatamente), esistono altre stimolazioni, non occasionali, che permangono nella struttura e continuano ad inviare segnali con relativa persistenza. Stiamo parlando del fenomeno di ritenzione degli istanti in cui si producono i fenomeni. Tali fenomeni non si limitano a prodursi e scomparire definitivamente; ogni fenomeno che si produca, che modifichi la postura della struttura, inoltre, è infatti immagazzinato all’interno di questa, in modo tale che la memoria sulla quale tale struttura fa affidamento (memoria non solo degli stimoli ma anche delle risposte agli stimoli nonché memoria dei livelli che hanno agito nel momento in cui si sono verificati gli stimoli e le loro risposte) esercita una pressione, un’influenza decisiva sui nuovi eventi che si verifichino nello psichismo. Perciò, per ogni fenomeno che si produca, non ci riferiremo a una situazione primaria, bensì ci riferiremo al fenomeno e a tutto ciò che è accaduto prima del fenomeno stesso. Quando parliamo del comportamento ci riferiamo a quel fattore di somma importanza che è la ritenzione temporale.
Un fattore importante di formazione della condotta è la biografia personale, ovverosia tutto ciò che è accaduto al soggetto nel corso della sua vita. Ciò ha un peso sulla struttura umana tanto quanto l’evento che si produce in quel preciso momento. In quest’ottica, in un determinato comportamento nei confronti del mondo sta pesando tanto lo stimolo che si produce in quel preciso istante quanto tutto ciò che fa parte del processo precedente di quella struttura. Normalmente, si tende a pensare che si tratti di un sistema semplice di stimolo e risposta, ma se parliamo di stimolo, anche tutto ciò che è avvenuto precedentemente è uno stimolo attuale. In questo senso la memoria è un sistema di stimoli che agiscono dal passato. La memoria non è semplicemente qualche cosa che si è accumulato nella struttura in questione, bensì è un fatto vivo, vigente e che agisce con la stessa intensità degli stimoli presenti al momento. Questi eventi potranno o meno essere evocati in un determinato livello di coscienza ma, siano evocati o no, la loro azione è inevitabile in ognuno degli istanti in cui la struttura riceve stimoli dal mondo e adotta comportamenti nei confronti di esso. Sembra dunque importante tenere in conto ciò che è biografico, storico nella vita umana e considerarlo agente in quanto presente, non semplicemente per accumulo; non è come se si trattasse di un bacino idrico che lascia uscire l’acqua solo nel momento in cui ci si ricorda degli avvenimenti passati. Che ci si ricordi o meno di quegli avvenimenti, essi restano i formatori del comportamento.
Parlare di biografia è la stessa cosa che parlare di storia personale; ma questa storia personale, per come la intendiamo, è una storia viva e agente. È questa storia personale che ci porta a considerare un secondo aspetto, che di fronte a determinate situazioni appare come un codice. Vale a dire, gli eventi provenienti da un ambiente suscitano non una risposta bensì un sistema strutturato di risposte e questo sistema di risposta serve in momenti successivi per mettere in atto comportamenti analoghi.
Questi codici di situazione, in altre parole queste condotte fisse che l’essere umano acquisisce (probabilmente per risparmiare energia nonché, sempre probabilmente, per proteggere la propria integrità) sono l’insieme dei ruoli.
I ruoli sono abitudini fisse di comportamento che si formano progressivamente tramite il confronto con i differenti ambienti in cui a una persona tocca vivere; un ruolo per il lavoro, un ruolo per la famiglia, un ruolo per le amicizie e così via. Questi ruoli non agiscono solo quando scatta il confronto con un determinato ambiente, al contrario, agiscono in ogni singolo istante, anche se non ci troviamo di fronte a una certa situazione. Questi ruoli si manifestano, si mettono in evidenza quando lo stimolo della situazione entra in una determinata fascia del comportamento umano.
Distinguiamo i ruoli familiari, quelli lavorativi, i diversi ruoli di situazione che una persona può aver fissato, può aver impresso in memoria. È dunque chiaro che, quando questa persona entra nel suo posto di lavoro il suo comportamento si adegua, assumendo il ruolo proprio del lavoro, diverso da quello che assume nei confronti della famiglia. Ma anche nel ruolo assunto in una situazione data esistono varie componenti, proprie di un ruolo assunto quando ci si confronta con altre situazioni. È come se numerosi ruoli appartenenti ad altre situazioni filtrassero nella situazione che si è “incisa” per rispondere a quell’ambiente. A volte questi altri ruoli filtrano non solo come azione, non si manifestano con tutte le loro caratteristiche solo come azione quanto come inibizione. Per esempio, una persona ha “inciso” il proprio ruolo di lavoro, ha “inciso” il suo ruolo in famiglia e ha inciso anche numerosi altri ruoli; ma il suo ruolo familiare è inibitorio, mentre quello di lavoro non ha alcun motivo di manifestarsi in modo inibitorio; succede allora che, nella relazione di lavoro, compaiono queste infiltrazioni proprie della relazione familiare e nascono fenomeni inibitori che non erano stati incisi nel ruolo di lavoro. Questo accade spessissimo, producendosi così una sorta di travaso di dati inibitori, o attivatori di ruoli, che corrispondono a distinte fasce di confronto con il mondo.
Come abbiamo parlato di un lavoro dei centri di tipo dinamico e strutturale e non abbiamo parlato di questi centri come se fossero compartimenti stagni e isolati, come abbiamo parlato di un lavoro di livelli estremamente dinamico, strutturale, in cui tali livelli agiscono reciprocamente, così ora stiamo parlando, anche nel comportamento, di una struttura (in questo caso di ruoli) in cui quel che succede è qualcosa di più che, di fronte a un determinato stimolo, tirar fuori una “scheda computerizzata”.
Nella struttura umana si può notare una dinamica continua. Facendo alcuni esempi, vediamo che le persone molto giovani non hanno ancora formato questo strato protettore di ruoli. Questi giovani nel momento in cui si confrontano col mondo sono privi di protezione, perché non hanno ancora impresso in memoria determinati codici, se non, forse, il codice basico di relazione familiare e qualcun altro; a mano a mano che l’età aumenta e che l’ambiente esige una gran quantità di comportamenti questi strati di ruoli vanno ampliandosi. Almeno, questo è ciò che dovrebbe succedere. In realtà ciò non accade completamente perché esistono numerosi fenomeni che impediscono questa acquisizione di sicurezza nella gestione del rapporto con l’ambiente. Si verificano errori di ruolo. È questo il caso di un individuo che, in un luogo, si comporta con il ruolo di altri situazioni. Per esempio, si comporta sul lavoro con i ruoli della famiglia. Ecco che si rapporterà con il suo capo nel modo in cui si rapporta con suo fratello; logicamente, ciò comporta numerosi problemi e scontri. Un errore di ruolo può darsi anche quando la situazione è nuova e il soggetto non riesca ad adattarvisi.
Lo studio della storia personale, lo studio della biografia, e lo studio di questi codici di comportamento, di questi ruoli di comportamento, chiariscono alcuni aspetti e gettano luce su alcune inibizioni che si manifestano altri campi. Per esempio nel lavoro dei centri così come nella strutturazione degli insogni. Di modo che anche l’azione di questi centri e livelli di lavoro è modificata da questa continua codificazione, da questa storia personale, da questa biografia.
Possiamo rendere un po’ più preciso il nostro studio sul comportamento introducendo alcuni concetti che risulteranno semplici e operativi. Chiamiamo perciò “paesaggio di formazione” l’insieme di memorizzazioni che configurano il substrato biografico sul quale abitudini e tratti fondamentali della personalità si sedimentano. La formazione di questo paesaggio comincia all’atto della nascita. Le memorizzazioni strutturate di base non influiscono solo su un sistema di ricordi ma anche sui toni affettivi, sul modo caratteristico di pensare, la maniera tipica in cui si agisce e, in definitiva, sul modo in cui si sperimenta il mondo e vi si agisce.
La strutturazione che conformiamo progressivamente del mondo che ci circonda è fortemente influenzata dalla base di ricordi che comprende oggetti tangibili ma anche intangibili, quali i valori, le motivazioni sociali e le relazioni interpersonali. Possiamo considerare la nostra infanzia come la tappa della vita in cui il paesaggio di formazione si articolò appieno. Ricordiamo la famiglia quando il suo andamento era differente da oggi; è cambiata anche la nostra concezione dell’amicizia, della solidarietà tra compagni di scuola o di lavoro e, in generale, delle relazioni interpersonali. Gli strati sociali, all’epoca della nostra infanzia, avevano una definizione differente e sono cambiati anche ciò che si doveva o non si doveva fare (la normativa dell’epoca) e gli ideali personali e di gruppo. In altre parole: sono cambiati gli oggetti intangibili che costituivano il nostro paesaggio di formazione. Tuttavia il paesaggio di formazione continua ad esprimersi, nella nostra condotta, come un modo d’essere e di muoversi tra le persone e le cose. Anche questo paesaggio è un tono affettivo generale nonché una “sensibilità” di un’epoca che non concorda con quella attuale.
Dobbiamo considerare lo “sguardo” proprio e quello degli altri come fattori determinanti importanti nel nostro paesaggio di formazione. I fattori che hanno agito su di noi per produrre un comportamento personale nel corso del tempo, una codifica in base alla quale diamo risposte e ci adattiamo all’ambiente, sono numerosi. Il nostro sguardo sul mondo e lo sguardo degli altri su noi stessi agivano come riadattamenti della condotta, ed è grazie a tutto ciò che si è formato un comportamento. Oggi possiamo contare su un enorme sistema di codici coniato in quella tappa di formazione e lo sperimentiamo come un “retroterra” biografico al quale corrisponde la nostra condotta, che applichiamo però ad un mondo che invece è cambiato.

Numerose condotte formano parte del nostro comportamento tipico attuale. Possiamo considerare queste condotte come ”tattiche” che utilizziamo per muoverci nel mondo. Molte di queste tattiche finora sono risultate adeguate, ma ce ne sono altre che riconosciamo non più operative quando non addirittura generatrici di conflitto. Tutto ciò non è assolutamente irrilevante nel momento in cui giudichiamo la nostra vista rispetto al tema dell’adattamento crescente. A questo punto siamo in condizioni di capire le radici di numerose compulsioni associate a condotte iniziate nel paesaggio di formazione, ma la modificazione di condotte legate a valori e ad una determinata sensibilità può difficilmente realizzarsi senza toccare la struttura di relazione globale col mondo in cui si vive attualmente.

 

Il sistema di rilevazione, registro e operazione. Sensi, immaginazione, memoria, coscienza.

Le tre vie esperienziali che abbiamo menzionato all’inizio (la sensazione, l’immagine e il ricordo) dovranno essere studiate con più attenzione.
Senza sensazione non c’è dolore, non c’è piacere. Bisogna che l’immaginazione sia registrata. Senza questo registro non possiamo parlare d’immaginazione. Se registriamo il lavoro dell’immaginazione è perché essa arriva al punto di registro come sensazione. Anche il dolore si fa strada attraverso la memoria. Il registro di questo dolore che si fa strada dalla memoria è possibile grazie al fatto che la memoria si esprime come sensazione. Che si tratti d’immaginazione o di memoria, tutto è rilevato come sensazione. Il dolore non è nell’immaginazione, il dolore non è nella memoria, il dolore è nella sensazione cui si riduce ogni impulso. Si ha memoria di qualcosa perché si registra quel fatto; si immagina qualcosa perché si registra quel fatto. Perciò è quel registro, quella sensazione a darci informazione su ciò che si memorizza, su ciò che si immagina. È chiaro che per non confondere le cose dobbiamo operare una distinzione tra la sensazione propriamente detta (quella che proviene dai sensi) e altre sensazioni (che non provengono dai sensi), come quelle che provengono dalla memoria o dall’immaginazione. Queste ultime due non le chiameremo sensazione per non confondere la descrizione.
Ma, se riduciamo le cose ai loro elementi ultimi, possiamo verificare come un’immagine e un dato mnemonico arrivino a qualcosa che li registra come sensazione. Diciamo che si registra l’attività dei sensi, che si registra l’attività della memoria, che si registra l’attività dell’immaginazione. Nel dire “registro” operiamo distinzioni tra l’arrivo per una via e l’arrivo per un’altra e notiamo che esiste “qualcosa” che registra. Senza questo “qualcosa” che registra non possiamo parlare di ciò che è registrato, e ciò che registra deve avere anch’esso una sua costituzione. Sicuramente anche di esso avremo una sensazione. Stiamo parlando del registro dell’entità che registra; chiamiamo quest’entità “coscienza”.
Quest’apparato che registra è in movimento come sono mobili anche le attività che esso registra: tuttavia ha una certa unità. A volte quest’apparato è identificato con l’io; ma l’io, a differenza della coscienza, non sembra essere costituito fin dall’inizio bensì si costituisce nel divenire dell’essere umano. D’altra parte, non si può parlare dell’io se non se ne stabiliscono i limiti e sembra che essi siano dati dalla sensazione del corpo. L’io deve costituirsi nell’essere umano nella misura in cui si costituisce l’insieme delle sensazioni del corpo; certamente la memoria è nel corpo, l’immaginazione è nel corpo, i sensi sono nel corpo e l’apparato di registro di tutto ciò è nel corpo e alle sensazioni del corpo è legato.
Poiché le sensazioni del corpo operano fin dalla nascita (e addirittura prima), sin dall’inizio comincia a costituirsi questa sensazione generale del corpo che alcuni identificano con l’io: ma in realtà si sta parlando della coscienza come apparato di registro. Diciamo che nella primissima infanzia, quasi al momento della nascita, l’io non funziona. Non si nasce con un io. L’identificazione con il proprio io si realizza a mano a mano che le sensazioni del corpo si codificano grazie all’apparato di memoria. Non c’è io senza memoria e la memoria non può funzionare se non ci sono dati. Tali dati iniziano ad organizzarsi via via che si sviluppa l’esperienza. Stiamo affermando che un bambino non ha un io. Un bambino può percepire un noi ma non sa se il proprio corpo inizia o termina in un oggetto. Un bambino non sa se lui è io o se sua madre è io. Questo io si articolerà per accumulazione d’esperienza.
Abbiamo affermato che tutti i fenomeni e processi psichici sono nel corpo: ma dov’è il corpo? Il corpo, per l’ io che si è costituito, è fuori di lui e dentro di lui. Quali sono i limiti del corpo? I limiti del corpo hanno a che vedere con la sensazione. Ma, se la sensazione si estendesse più in là del corpo, quali sarebbero in questo caso i limiti del corpo? Questo ha una certa importanza perché, se come limite del corpo individuiamo il tatto esterno per esempio, il corpo termina dove termina il tatto esterno. Il corpo inizia lì dove si registrano sensazioni sulla pelle. Ma potrebbe succedere di non avere questo limite tattile, può darsi che la temperatura della pelle sia allo stesso livello termico dell’ambiente che la circonda; in questo caso non sapremmo esattamente quali siano i limiti del corpo, cioè fino a dove il corpo arriva. Conosciamo molte illusioni sensoriali e sappiamo che quando una persona si distende in modo rilassato e la temperatura ambientale è molto vicina alla temperatura della pelle si sperimenta la sensazione che il corpo diventi più grande; ciò non accade perché sta succedendo un fenomeno straordinario, al contrario, l’illusione di grandezza del corpo è data dall’assenza di limiti del corpo, assenza data dal fatto che la temperatura della pelle è la stessa dell’ambiente. Ecco dunque che la sensazione del proprio corpo si costituisce secondo il limite che si stabilisca per le sensazioni.
Abbiamo affermato che una delle vie del dolore è la via della sensazione e, nel parlare di sensazione, ci stiamo riferendo a ciò che si percepisce mediante determinati apparati di cui il corpo dispone. Vediamo. Ho la sensazione di un oggetto esterno. Però ho anche la sensazione di un dolore interno. Dov’è la sensazione di questo dolore interno? Sicuramente la registro nell’apparato di cui parlavamo all’inizio. Ma dov’è la sensazione? La sensazione sembra essere all’interno del mio corpo. E, quando vedo l’oggetto esterno, dov’è la sensazione? Anche in questo caso la sensazione è all’interno del mio corpo. E allora, che cosa fa sì che l’oggetto che è all’interno e quello che è all’esterno siano distinti? Sicuramente non è la sensazione, giacché sia la sensazione di ciò che succede all’esterno sia quella di ciò che succede all’interno è registrata al mio interno. Non posso registrare una sensazione esterna al mio corpo dall’esterno del mio corpo. Pur tuttavia sostengo che un oggetto che percepisco è all’esterno. Com’è possibile che io dica di un oggetto che percepisco che “sta fuori” e di un altro che “sta dentro” se in ogni caso il registro è sempre dentro? Deve esserci qualche funzionamento particolare della struttura che permetta di stabilire queste distinzioni.
Ricordo un lavoro che stavo effettuando: dove registro il ricordo di quest’evento? Lo registro al mio interno. Immagino un lavoro che effettuerò immediatamente o che effettuerò nel futuro: dove registro quello che farò? Lo registro al mio interno, sicuramente. Ma gli eventi che compaiono sul mio schermo di rappresentazione appaiono come “esterni”. Sto ricordando, percependo o immaginando attività che sembrano avvenire fuori. La rappresentazione interna che ho di tutto ciò mi si presenta come se avvenisse nel mondo esterno.
Se ora osservo dove registro queste immagini (siano esse proprie dell’immaginazione o della memoria) vedo che le registro in una sorta di “schermo”, in una sorta di “spazio” di rappresentazione: e questo spazio di rappresentazione è al mio interno. Se chiudo gli occhi e ricordo qualcosa osservo che ciò che ricordo appare su una specie di schermo, in uno spazio di rappresentazione. E dunque, che cosa sto facendo con tutto ciò che succede all'interno rispetto agli oggetti e agli eventi che succedono all’esterno? Sicuramente sto facendo qualcosa di diverso da ciò che succede all’esterno. Posso affermare che lo “rifletto”, posso affermare che lo “traduco”, posso dire ciò che voglio ma, in ogni caso, sto compiendo operazioni al mio interno che hanno qualche cosa a che vedere con fenomeni che non gli sono propri. Come tutta questa macchina funzioni sarà oggetto di studio approfondito.
In cosa possono differenziarsi una sensazione che attribuisco ad un oggetto appartenente al mondo esterno e una sensazione che attribuisco ad un oggetto del mondo interno? Alle sensazioni in se stesse o a determinati limiti che il corpo pone a tali mondi?
Dobbiamo riconoscere che esiste una certa relazione tra le sensazioni che ho del mondo esterno, i ricordi che ho del mondo esterno e l’immaginazione che ho del mondo esterno. Non possiamo affermare con leggerezza che tutto ciò sia illusione. Non è illusione, per la semplice ragione che, se penso ad un oggetto e poi mi muovo verso quell’oggetto e ho la sensazione di quell’oggetto, c’è qualcosa che concorda tra ciò che ho ricordato dell’oggetto, ciò che ho immaginato circa l’oggetto e ciò che ora dell’oggetto percepisco. È evidente che posso memorizzare l’oggetto in questione e poi aprire gli occhi e trovare l’oggetto davanti a me. Potranno variare più o meno le forme, i colori e le distanze, ma posso trovare tutto ciò davanti a me. Non solo: posso dire a qualcun altro che lì c’è un oggetto e questo qualcuno potrà rappresentarsi o trovare l’oggetto. Vale a dire che, deformata o no, qualche cosa concorda. È altrettanto chiaro che potrei, per esempio, essere daltonico, e percepire quell’oggetto, che è di un colore, come se fosse di un altro. Ecco dunque che, come c’è accordo tra tutte le varie funzioni, così può esistere anche un accordo tra illusioni. Per noi è importante capire come sia possibile che funzioni tanto eterogenee concordino, perché in un modo o nell’altro, di fatto, concordano e ciò avviene grazie a quell’apparato coordinatore ed elaboratore di tutti i vari e differenti dati. È evidente che tali segnali sono coordinati tra loro e che esiste una coscienza che li coordina. Tra le funzioni della coscienza appare l’io che registro come punto di decisione delle mie attività nel mondo esterno e di determinate attività che regolo volontariamente nel mio mondo interno. L’io è nel corpo, ma come sta nel corpo questo io? Sta nel corpo come una localizzazione fisica o s’è invece andato costituendo grazie ad una massa d’esperienza, una somma d’esperienza? O forse ancora questo io è una struttura articolata in base a segnali differenti che arrivano ad un punto determinato? Può darsi che questo io che coordina inizi a coordinare quando abbia a disposizione su una massa informativa critica, perché se questa massa non s’è ancora formata l’io non appare e il corpo stesso è confuso.
Studiamo ora punto per punto il tema delle sensazioni che si registrano all’esterno del corpo e all’interno del corpo.
Abbiamo uno schema in cui appare la struttura cui arrivano gli impulsi e dalla quale provengono le risposte. Gli impulsi che arrivano giungono ad un determinato apparato che li capta, e quest’apparato captatore d’impulsi è l’apparato dei sensi. Tale apparato censisce i dati del mondo esterno nonché di quello interno. I dati arrivano a quest’apparato ma inoltre percepisco che tali dati possono essere riattualizzati anche qualora non stiano arrivando in quel preciso momento. Dico perciò che i dati in questione, che arrivano a quel punto di registro, arrivano anche e simultaneamente ad un apparato che li immagazzina. Tali dati sono immagazzinati. Che si tratti di dati relativi all’ambiente esterno o che si tratti di dati relativi all’ambiente interno, tali dati in arrivo sono immagazzinati. Lì dove possiedo il registro di tali dati ho simultaneamente subito la registrazione degli stessi, il che mi pone in condizione di risalire, ora, a dati precedenti. Tutto ciò succede in presenza di sensi che hanno differenti localizzazioni fisiche e che si trovano in continuo movimento ma che hanno anche rapporti l’uno con l’altro e che non sono assolutamente divisi in compartimenti stagni. Ecco dunque che quando uno di essi capta qualcosa gli altri sensi subiscono modificazioni: se si percepisce attraverso o grazie agli occhi ciò avviene perché il senso legato all’occhio è in movimento (non semplicemente in movimento fisico, esterno, muscolare, atto a localizzare la fonte di luce), in azione. L’occhio non entra in attività solamente nel ricevere la luce. Il senso legato all’occhio è in movimento, è in attività e, quando gli arriva un impulso, in esso si produce una variazione. Tutti gli altri sensi sono anch’essi in attività, e quando l’occhio percepisce un fenomeno esterno ad esso anche negli altri sensi si produce una variazione del loro movimento.
Ciò che sta accadendo ai sensi esterni sta accadendo anche ai sensi interni. I sensi interni sono anch’essi in attività, cosicché può benissimo succedere che qualcuno con l’occhio stia percependo un oggetto e nel frattempo, internamente, stia percependo un mal di stomaco. Questo percepire l’oggetto con l’occhio e simultaneamente il mal di stomaco con i sensi interni fa sì che tale informazione arrivi simultaneamente alla memoria. Facciamo un esempio: arrivo in una città e tutto inizia ad andarmi male. Quando poi ricorderò quella città, che cosa ne dirò? Dirò che “è una città maledetta”. E perché dirò che è una città maledetta? Perché in quella città tutto mi è andato storto. Ma da che cosa deriva il fatto che “tutto mi è andato storto”? Dipende solo dalle percezioni che ho avuto o da una quantità di situazioni in cui mi sono trovato, una quantità di registri d’altra natura che non sono quelli percettivi esterni? Non c’è dubbio che siano intervenuti altri registri, altre sensazioni interne. Sicuramente questo succede con tutto, non solo con quella città sgradevole. Sembra proprio che quando io registro qualcosa lo imprima in memoria e che se lo registro simultaneamente ai dati d’altri sensi lo imprima in memoria in modo ugualmente simultaneo. Sembra che si ricevano continuamente informazioni da tutti i sensi e che si stia continuamente incidendo tutta quest’informazione, e sembra anche che quest’informazione proveniente da un senso sia poi condizionata ed agganciata all’informazione proveniente da un altro senso.
A volte, quando l’olfatto capta determinate fragranze, la memoria evoca situazioni visive complete: ma che cosa ha a che vedere l’olfatto con tutte queste sensazioni visive? È ovvio che i sensi sono tutti incatenati l’uno all’altro. A volte quando un senso entra in azione gli altri sensi abbassano il proprio livello d’attività. Quando tutti i sensi sono sottoposti ad una sorta di bombardamento sorge un problema per il registro, ma quando si concentra l’attenzione (vedremo presto che cosa s’intenda con “attenzione”) su un senso ecco che gli altri sensi tendono ad acquietarsi. È come se tutti i sensi impegnati a “scansionare” stessero facendo rumore e stessero allertando quell’io. Come se tutti i sensi fossero a caccia. Allora, quando un segnale arriva a un senso, tutti gli altri tendono ad acquietarsi. I sensi, anche qualora non percepiscano alcun dato esterno, sono in movimento e producono un rumore che gli è proprio, fornendo informazioni su se stessi. C’è un rumore di fondo che s’abbassa nella misura in cui i sensi si specializzano in una determinata fascia di percezione.
E la memoria che cosa fa? Prende dati dai sensi e prende dati anche dalle operazioni di quell’apparato di registro. Io ricordo, per esempio, le operazioni mentali che ho compiuto: innanzi tutto possiedo la sensazione delle operazioni mentali stesse, posso parlare delle mie operazioni mentali perché ne conservo la sensazione. Conservo la sensazione delle mie operazioni e si tratta di sensazioni interne, sensazioni quali il mal di stomaco. Stiamo prendendo determinate precauzioni e stiamo mettendo in discussione determinate posizioni che circolano qua e là, posizioni che affermano che le operazioni mentali non abbiano a che vedere con il corpo, perché il corpo ha a che vedere con le operazioni dell’apparato digestivo o con quel che gli occhi percepiscono, e quando si parla di cose dello “spirito”, ebbene, queste cose non vanno messe in rapporto col corpo (?). Stiamo discutendo con chi suppone che esista uno spirito che non abbia a che vedere col corpo. Ma, se c’è uno spirito che non ha a che vedere con il corpo ed è questo a portare a termine tali operazioni, allora chi è che registra queste operazioni? E dove si registrano queste operazioni? E poi, come le si evoca? Se si parla di uno spirito è perché ho un registro di tale spirito, è perché qualche cosa può essere impressionato da tale spirito. E, se non ho sensazione di tale spirito, allora non posso parlarne.
Altri pensano che l’apparato psichico sia una somma di sensazioni, come se non esistessero altri apparati complicati e delicati che coordinassero tali sensazioni, che le facessero funzionare in struttura. Anche con questi, a suo tempo, abbiamo discusso, con coloro i quali credevano che le attività della mente fossero una semplice somma di sensazioni. È molto diverso affermare che ho sensazioni del lavoro dei sensi, della memoria e dell’immaginazione e affermare che esse siano una sensazione. Esistono distinzioni ed esistono funzioni estremamente diverse svolte dagli apparati di senso e dagli apparati di rappresentazione. Ecco dunque che questo pensiero rozzo, sensualista, non è esattamente quello che condividiamo. Né condividiamo l’altro pensiero, peraltro radicato, che parla dello “spirito” come se esistesse un’entità che nulla avesse a che spartire con i registri o con le sensazioni. C’è chi parla della mente, del dolore della mente, perché il dolore del corpo non ha nulla a che vedere con loro. Ma questo dolore della mente, come lo si sperimenta? Si sperimenta nello spirito, dicono, così come è nello spirito che si sperimentano le sensazioni artistiche. Ma chi è questo cavaliere (lo “spirito”) che porta a termine tante operazioni fuori del corpo, e come faccio io ad avere i dati relativi a questo cavaliere?
Per “apparati” intendiamo la struttura dei sensi, la struttura della memoria e la struttura della coscienza con i differenti relativi livelli. Questi apparati lavorano in modo integrato e la connessione esistente tra loro si effettua mediante impulsi che, a loro volta, subiscono distribuzioni, traduzioni e trasformazioni.

  • Sensi

 

L’apparato dei sensi ha origine nel tatto primitivo che progressivamente si è specializzato. I sensi chimici (gusto e olfatto) lavorano con particelle che producono determinate trasformazioni chimiche e come risultato consegnano il dato. C’è poi il senso meccanico (tatto), che funziona per pressione e temperatura. I sensi interni, cenestesia e cinestesia, a volte funzionano chimicamente e a volte meccanicamente. Si possiede il registro di ciò che accade nell’intracorpo anche per pressione, temperatura e trasformazioni e reazioni chimiche. Consideriamo i sensi dell’udito e della vista come sensi fisici; l’udito funziona per percussione mentre la vista riceve fisicamente un’azione vibratoria.
Nei sensi interni quello cenestesico fornisce l’informazione dell’intracorpo. Sappiamo che esistono numerosi organuli numerosi piccoli organi dell’intracorpo, che prelevano dati chimici, dati termici, dati relativi alla pressione. Anche la captazione del dolore gioca un ruolo importante. Quasi tutti i sensi, quando arrivano a un certo punto di tolleranza, ci danno un registro di dolore. Si potrebbe pensare che esista un piccolo apparato specializzato nella captazione del dolore, ma la realtà è che tutti i sensi, quando raggiungono un certo punto di tolleranza, ci provocano sensazioni dolorose. Sono queste sensazioni a mettere immediatamente in moto un’attività della struttura tesa a provocare il rifiuto, l’eliminazione di queste sensazioni intollerabili. Così che la sensazione che si capta in uno dei sensi è immediatamente legata all’attività di rifiuto di ciò che è doloroso: il lavoro dei centri è captato cenestesicamente, internamente, così come accade per i diversi livelli di lavoro della coscienza. Si può anche sperimentare la sensazione del sonno, la sensazione della stanchezza. La cenestesia è un senso estremamente importante, cui non si è prestata la dovuta attenzione: è il senso interno, specializzato in seguito tra cinestesia e cenestesia. Quando il livello di lavoro dello stato di veglia si abbassa, quando si abbassa il livello di coscienza, questo senso interno aumenta la propria emissione di impulsi.
Siccome i sensi lavorano in dinamica e in struttura, ne consegue che sono tutti in ricerca, che sono tutti intenti a scansionare generando nell’informazione un rumore di fondo. Ma quando una persona dorme e chiude le palpebre non per questo il contatto con il mondo esterno scompare completamente: solo che il rumore di fondo diminuisce considerevolmente e cresce l’informazione dei sensi interni, in misura direttamente proporzionale al diminuire dell’informazione proveniente dal mondo esterno. Non possiamo affermare con esattezza se sono gli impulsi interni che aumentano quando scende il livello di coscienza o se accade che quando diminuisce il livello della coscienza diminuisce anche il lavoro dei sensi esterni, ma quel che risulta comunque evidente è il lavoro dei sensi interni. Quando il livello di coscienza scende gli impulsi del mondo interno si manifestano con maggior intensità.
Questi sensi interni non sono localizzati nel volto, come quasi tutti gli altri, né sono localizzati precisamente né li si può individuare con precisione. Essi pervadono tutto e somministrano i loro dati senza che da parte nostra ci sia alcun atto di volontà. Si può, per esempio, chiudere gli occhi e far sì che la percezione che stava per arrivare agli occhi sparisca o si può orientare lo sguardo in una direzione o in un’altra, mentre con i sensi interni non si può fare la stessa cosa. Si può prestare maggior attenzione a determinate sensazioni interne, ma non possiamo intervenire sugli apparati sensoriali interni in questione né li possiamo chiudere. Ecco dunque che, da una parte, sono caratterizzati dall’assenza di una localizzazione precisa e dall’altra sono privi di movimento, non li si può cioè orientare come accade invece per gli altri sensi. Tra i sensi interni distinguiamo il senso cinestesico, del quale abbiamo detto che fornisce dati relativi ai movimenti, alle posture corporee, all’equilibrio e al disequilibrio fisico.
Abbiamo quindi questo insieme di apparati in dinamica che ci forniscono dati relativi al mondo esterno e al mondo interno. Le impronte di questa informazione, interna ed esterna, insieme alle impronte delle stesse operazioni della coscienza nei suoi differenti livelli di lavoro, vanno a depositarsi nell’apparato della memoria.
La struttura psichica (la coscienza) procede a coordinare i dati dei sensi e quelli impressi in memoria.
Come abbiamo già spiegato il dato non si limita ad arrivare ad un apparato che lo percepisce e che è inattivo, al contrario: il dato arriva ad un apparato che è in movimento. Questo dato, che arriva all’apparato che è in movimento, configura la percezione, cosicché la sensazione è sì un atomo teorico, ma in realtà quel che accade è il dato che arriva ad un senso che è in movimento, configurato e strutturato. A tutto ciò attribuiamo il nome di “percezione”, ossia alla sensazione più l’attività del senso. Il registro, dunque, è una strutturazione che il senso compie con il dato, non semplicemente il dato.

Caratteristiche comuni a tutti i sensi

a) Tutti compiono attività d’astrazione e strutturazione degli stimoli, ciascuno secondo le proprie attitudini. Stiamo affermando che il senso elimina molti dati che gli arrivano e ne configura altri che non gli arrivano. Prendendo in esame alcuni esempi relativi alla percezione dell’occhio della rana, ricorderete come quest’animaletto avesse la percezione di un altro essere vivente di fronte a sé unicamente quando gli appariva una determinata forma (curva e bombata) purché tale forma, inoltre, fosse in movimento: se non era quella la forma, ma era in movimento, o viceversa, nell’apparato di captazione di quell’animaletto non si produceva alcun registro. Se ricorderete questo capirete a che cosa ci si stia riferendo quando si parla dell’astrazione operata dal senso e, ancora, della strutturazione che il senso compie. È da questa strutturazione di dati diversi che nasce la percezione.

b) Tutti i sensi sono in continua attività. Sono come radar che scansionano fasce differenti, cosa di cui pure esistono prove sperimentali.

  • Tutti lavorano in una fascia, con un tono particolare che deve essere alterato dallo stimolo. Vale a dire che ciascun senso è in movimento in un determinato tono. Quando nasce la percezione è perché il tono di quel senso è stato portato ad un cambiamento. Ricorderete gli esperimenti compiuti sul nervo ottico della rana, che aveva una frequenza sempre pari a un impulso per secondo e che, quando gli arrivava uno stimolo nervoso, iniziava a raggiungere una frequenza molto più veloce. Il senso era in movimento. Perché si produca la percezione è necessario che lo stimolo compaia all’interno di soglie sensoriali. Il senso sta pulsando, ma se lo stimolo che gli arriva non ha sufficiente energia non è percepito. Se supera la soglia di tolleranza non è percepito come sensazione o percezione di quel determinato senso bensì come dolore. Tali soglie possiedono mobilità; le soglie inoltre si espandono o si restringono. Ecco dunque che, normalmente, quando determinate attività interna, quale quella dell’attenzione, si riferiscono a un senso, la loro soglia tende ad espandersi e le soglie degli altri sensi tendono a contrarsi. Quando i sensi interni sono in piena attività, ampliando le proprie fasce di percezione, i sensi esterni tendono a ridurre le proprie fasce. Quando l’attenzione è messa sui sensi esterni ecco che le fasce, le soglie di percezione interna tendono a contrarsi. Perciò, affinché ci sia percezione, è necessario che lo stimolo compia all’interno di soglie sensoriali: una soglia minima, al di sotto della quale non si percepisce, e una soglia di tolleranza massima, che qualora sia superata produce irritazione sensoriale o saturazione, in altre parole ciò che definiamo genericamente come “dolore”. Nel caso in cui ci sia un rumore di fondo proveniente dallo stesso senso o da altri sensi; oppure se il rumore di fondo proviene dalla memoria, che mentre percepisce genera e fornisce dati; o che il rumore di fondo derivi dal fatto che la coscienza, più in generale, sta emettendo dati, lo stimolo per essere registrato dovrà aumentare d’intensità, senza oltrepassare la soglia massima perché non si generino saturazione e blocco sensoriale. Quando una persona sta divagando, sognando ad occhi aperti e le sue immagini invadono il campo della coscienza, lo stimolo che compare dovrà aumentare la propria attività per poter essere captato. Ad ogni modo, quando si sta divagando o sognando ad occhi aperti, l’attività cinestesica interna aumenta, perciò si abbassano le frange di percezione esterna. È necessario dunque che aumentiamo l’attività del mondo esterno ed esclamare, per esempio, “svegliati, amico!”. Quando si oltrepassa la soglia massima, o si ha un blocco sensoriale, è imprescindibile far scomparire il rumore di fondo affinché il segnale arrivi al senso. Un altro caso è quello stabilito dalla legge di diminuzione dello stimolo costante per adattamento della soglia: è come con i vestiti che indossiamo, all’inizio ci danno un registro di sensazione tattile, ma con il passare del tempo non li sentiamo più. Non solo perché ci siamo distratti dal problema dei vestiti e siamo occupati da altro, non è solo per questo; il punto è che lo stimolo costante diminuisce d’intensità. A mano a mano che passa il tempo, per la percezione lo stimolo costante diminuisce. Perciò, quando uno stimolo è all’interno della soglia ma diventa costante, la soglia si adatta ad esso per definirne un limite e impedirgli di continuare ad avere accesso al registro, perturbando così altre attività dell’apparato. Per concludere: abbiamo numerosi stimoli, ma quando tali stimoli si fanno costanti le soglie dei sensi si adattano affinché il rumore di fondo scompaia. In caso contrario il nostro bombardamento di percezioni sarebbe costante e saremmo sommersi da un tale rumore di fondo che non potremmo quasi distinguere tra le nuove percezioni in arrivo. La percezione dunque si verifica tra fasce e soglie di tolleranza minime e massime, soglie che sono in continua mobilità. In presenza di stimoli costanti che compaiano all’interno delle fasce in questione le fasce si adattano, affinché la percezione di quello stimolo diminuisca. Chiamiamo questo fenomeno legge di diminuzione dello stimolo costante per adattamento della soglia.

 

  • Tutti i sensi lavorano tra soglie e limiti  di tolleranza che possono variare secondo l’educazione e secondo le necessità metaboliche (in realtà è lì che si trova la radice dell’esistenza sensoriale). Le caratteristiche di variabilità sono importanti per distinguere gli errori sensoriali.
  • Tutti i sensi traducono le percezioni in uno stesso sistema di impulsi. Sono tali impulsi ad essere distribuiti in modi differenti. Ora non vogliamo addentrarci nella questione fisiologica, ma notiamo come tutti i sensi traducano le percezioni in uno stesso sistema d’impulsi. A ciò diamo nome di omogeneità degli impulsi dei vari sensi. Ecco dunque che da una parte vedo, dall’altra odo, dall’altra ancora gusto, ma tutto questo udire, gustare, vedere e così via, tutto è tradotto in uno stesso sistema d’impulso omogeneo. Si lavora con lo stesso tipo d’impulso. I suoni non vagano all’interno della testa, né lo fanno le immagini visive né le sensazioni gustative e olfattive.

 

  • Tutti i sensi hanno localizzazioni fisiche, localizzazioni fisiche terminali, precise o diffuse, connesse a un sistema che le coordina. Tutti i sensi hanno localizzazioni terminali nervose, precise o diffuse, sempre connesse al sistema nervoso centrale e al sistema periferico o autonomo, da cui opera l’apparato di coordinazione.
  • Tutti i sensi sono vincolati all’apparato della memoria generale dell’organismo.

 

  • Tutti i sensi presentano registri propri, dati dalla variazione del tono nel momento in cui si presenta lo stimolo.

Tutti i sensi possono commettere errori nella percezione nel dato: tali errori possono provenire da un blocco del senso, per esempio per irritazione sensoriale. Irritiamo un senso, arriviamo alla soglia di tolleranza e la percezione che abbiamo del dato che irrita il senso è una percezione fortemente modificata, che nulla ha a che vedere con l’oggetto. Ecco allora che gli errori cui accennavamo possono provenire dal blocco del senso per irritazione sensoriale, ma anche per mancanza o deficienza del senso: non c’è chi non conosca la miopia, la sordità e così via. Si può anche dare il caso del mancato intervento di un altro senso, o più d’uno, che aiutano a fornire parametri, che aiutano a fornire riferimenti alla percezione. Per esempio: sentiamo un suono apparentemente lontano, ma poi, nel vedere l’oggetto in questione, lo iniziamo ad ascoltare in altro modo, diversamente. È questo un caso, molto frequente, di illusione uditiva. Si crede che l’oggetto sia lontano, ma solamente quando lo si vede, quando lo si localizza visivamente, la percezione si riadatta. Come già sappiamo tutti i sensi lavorano in struttura, perciò normalmente si continua a ricevere dati, a ricevere informazioni dai vari sensi, con cui si configurano le percezioni relative al mondo che ci circonda. Perciò, quando i parametri mancano e abbiamo solamente un dato sensoriale, si produce l’illusione nella percezione. Esistono anche errori della sensazione o della percezione causati da agenti meccanici: è questo il caso di quando, per aver esercitato una pressione sui globi oculari, vediamo luce. In quasi tutti i sensi troviamo esempi di illusioni prodotte da un’azione meccanica.

  • Immaginazione

 

È molto difficile stabilire la differenza tra lo stimolo che, provenendo da un senso, arriva ad un apparato di registro e l’immagine che suscita, l’immagine che tale stimolo ridesta. È abbastanza difficile distinguere tra l’impulso del senso e l’immagine che corrisponde a tale impulso. Non possiamo dire che l’immagine e l’impulso del senso siano la stessa cosa; né possiamo distinguere, psicologicamente, le velocità dell’impulso interno e la velocità propria dell’immagine. È come se l’immagine e l’impulso fossero la stessa cosa, quando in realtà non lo sono.
Nel considerare l’immagine è necessario prendere alcune precauzioni. In primo luogo dobbiamo riconoscere che le immagini non solo corrispondono agli stimoli sensoriali ma che sono suscitate anche dalla memoria, in secondo luogo dobbiamo stare all’erta nei confronti di quell’interpretazione ingenua che fa apparire l’immagine come corrispondente solo al senso della vista.
Secondo alcuni tra i primissimi studiosi in questo campo, l’immagine ha adempiuto una funzione di secondo grado nell’economia dello psichismo. Secondo tali studiosi un’immagine è una sorta di percezione degradata, una percezione di seconda classe. In altre parole, se una persona guarda un oggetto e poi chiude gli occhi ed evoca l’oggetto in questione, noterà come l’evocazione dell’oggetto sia di qualità inferiore alla percezione. Con l’occhio percepisce l’oggetto meglio e più chiaramente che non evocandolo. Il ricordo, per lo più, è come intriso di una quantità di elementi estranei che influiscono nella confusione prodotta rispetto all’oggetto. Dunque la rappresentazione che ci si fa dell’oggetto, rispetto a come esso si presenta, sembra essere una degradazione, una sorta di caduta della percezione. Una volta arrivati a questa conclusione, i primi studiosi archiviarono l’immagine nell’inventario dei fenomeni secondari dello psichismo. Non raggiunsero nemmeno una grande chiarezza rispetto al fatto che le immagini non corrispondevano solo al senso della vista, dato che ogni senso produce immagini corrispondenti. Infine, si credette che l’immagine avesse a che vedere unicamente con la memoria, senza essere strettamente legata al senso.
In realtà l’immagine adempie parecchie funzioni. Abbiamo bisogno di comprendere la funzione dell’immagine per poter poi capire come essa, entrando in movimento, agisca sui centri e trasporti l’energia da un punto a un altro, producendo trasformazioni di somma importanza per l’economia dello psichismo. Per il momento, se i sensi compaiono per fornire informazioni sui fenomeni del mondo esterno o interno, le immagini che accompagnano le percezioni dei sensi non servono semplicemente a ripetere i dati dell’informazione ricevuta bensì per mettere in moto attività relative allo stimolo che arriva. Osserviamo tutto ciò in un esempio quotidiano: sono a casa mia e suona il campanello. Il campanello, per me che lo percepisco, è uno stimolo, perciò mi alzo rapidamente dalla seggiola su cui siedo e vado ad aprire la porta. Il giorno dopo il campanello suona di nuovo; si tratta dello stesso stimolo, ma invece di saltare sulla seggiola e andare ad aprire la porta resto seduto. Nel primo caso stavo aspettando che il postino mi consegnasse una lettera, nel secondo sapevo che si trattava del vicino che veniva a chiedermi in prestito una pentola. Se in mia presenza, o in mia compresenza, c’era un dato o un altro, ecco che lo stimolo, secondo il caso, si limita a mettere in moto una determinata immagine. Nel primo caso lo stimolo ha messo in moto l’immagine del postino che stavo aspettando. È evidente, io ero occupato e in quel preciso momento non stavo aspettando il postino: certamente ero preso da altro, ma quando è arrivato lo stimolo l’insieme di immagini sulle quali io, in un certo senso, contavo si è messo in moto e, nel momento in cui le immagini si sono messe in moto, sono saltato in piedi e ho raggiunto la porta. Nel secondo caso, invece, ero preso da un altro sistema di idee e quando il campanello ha suonato non è scattata l’immagine del postino bensì quella del vicino, anche perché avevo già ricevuto la lettera che il giorno prima stavo ancora aspettando. Ecco perché, davanti all’insorgere di una seconda immagine, il mio corpo si è mosso in altro modo o non si è mosso per nulla.
Perciò quest’antica idea, ossia che tutto funziona unicamente in base a stimoli e risposte corrispondenti a tali stimoli, non è vera. Anche quando lo stimolo arriva in un circuito elementare, in un arco reattivo corto come quello del riflesso, e la risposta nasce del tutto involontariamente, immediatamente si genera un’immagine, che a sua volta produrrà un effetto. Ecco dunque che alla sensazione si accompagnerà sempre l’insorgere di un’immagine e che a mettere in moto le attività in realtà non è la percezione, bensì l’immagine.
Vediamo ora come quest’immagine possieda proprietà già studiate quando abbiamo parlato della “tonicità muscolare”, in cui i muscoli assumono un determinato tono di attività a seconda delle immagini visive. Le immagini visive vanno in una determinata direzione e i muscoli si predispongono in quella direzione. È forse lo stimolo a muovere i muscoli? Assolutamente no. È l’immagine a muoverli. Dobbiamo riconoscere che determinate immagini non attivano solo la nostra muscolatura esterna ma anche quella interna, innescando numerosi fenomeni fisiologici. L'immagine mette in movimento fenomeni interni, il che genera un’attività verso il mondo esterno, dal quale ci sono arrivate le sensazioni.
I sensi interni devono ricevere anche informazioni rispetto a quel che succede nelle attività della mia coscienza, perché se non avessi informazioni su ciò che accade nelle attività della mia coscienza non potrei dare continuità ai suoi processi. Perciò i sensi interni stanno captando non solo dati viscerali, dati dell’intracorpo, ma anche ciò che accade alle mie attività ed alle operazioni della mia coscienza.
L’”apparato” formatore di immagini funziona a diversi livelli di lavoro, contribuendo a modificare non solo l’attività della coscienza, del coordinatore, ma anche quella degli stessi apparati d’informazione della memoria e dell’attività dei centri.
Naturalmente ai sensi interni arrivano dati relativi al funzionamento della coscienza. A sua volta la coscienza può anche agire in modo da orientare i sensi in una direzione o in un’altra e far sì che si concentri l’attenzione su una determinata fascia sensoriale a scapito di un’altra. Queste, in realtà, sono funzioni della coscienza più che dei sensi. Dovremo studiare tutto ciò quando affronteremo il tema della strutturazione effettuata dalla coscienza, ma, in ogni caso, sarà bene notare come i sensi siano messi in moto dall’attività dei fenomeni che arrivano fino a loro, così come sono mossi dalla direzione impressa dall’apparato coordinatore. Quando i sensi non si limitano solo a ricevere impressioni del mondo esterno o interno ma sono indirizzati intenzionalmente ci troviamo in presenza del fenomeno di reversibilità. È molto diverso sentire un rumore, prodotto senza la partecipazione della mia volontà, e andare a cercare un determinato rumore. Quando, con i miei sensi, sto cercando una determinata cosa, sto dirigendo l’attività del senso a partire dai meccanismi del coordinatore; inoltre, a parte dal dirigere i sensi, è molto diverso se mi limito a percepire un dato o se ho coscienza della percezione di tale dato. Sento il campanello e la cosa per me non significa un granché. Ma quando sento il campanello e l’atto di ascoltarlo è da me stesso reso cosciente, nel senso che lo isolo da una massa indifferenziata di stimoli e gli presto attenzione, ecco allora che non sto più lavorando con la percezione di uno stimolo indifferenziato bensì con l’appercezione di quello stimolo. C’è dunque un lavoro che non si limita a captare e poi percepire bensì arriva ad un livello in cui pongo attenzione alla percezione: chiamo questo lavoro “appercezione”. Di più: posso instradare tutti i miei sensi in direzione dell’appercezione. Notate come trovarsi in un atteggiamento percettivo sia molto differente dal limitarsi a permanere in una massa di percezioni. In tale atteggiamento tutti gli stimoli che arrivano sono registrati con attenzione. Posso trovarmi in un atteggiamento annoiato e gli stimoli mi arriveranno comunque, o posso trovarmi in un atteggiamento attento all’arrivo degli stimoli, come un cacciatore che attende il balzo della lepre. Posso essere estremamente attento, in attesa che sorgano determinati stimoli, e anche se gli stimoli non arrivano sarò in atteggiamento appercettivo. Prendere in considerazione il meccanismo di reversibilità sarà dunque importante per capire il problema dei livelli di lavoro della coscienza e definire alcuni fenomeni illusori.
Stiamo tentando di mettere in rilievo, tra le altre cose, come i sensi non stiano solo portando informazioni relative al mondo esterno, dato che essi lavorano in modo molto complesso e che sono diretti, in alcune delle loro parti, dall’attività della coscienza. I sensi non subiscono solamente l’influenza dei fenomeni relativi al mondo esterno o dei fenomeni viscerali interni; anche l’attività della coscienza influisce sul lavoro dei sensi. Se così non fosse non si spiegherebbe come certe perturbazioni della coscienza modifichino il registro che abbiamo del mondo esterno. Facciamo un esempio: dieci persone diverse possono, di uno stesso oggetto, avere una percezione diversa (nonostante siano disposte alla stessa distanza, nelle stesse condizioni di luce e così via), perché esistono determinati oggetti che si prestano facilmente a che la coscienza proietti su di essi il proprio lavoro. In realtà la coscienza non proietta il proprio lavoro sugli oggetti: la coscienza proietta il proprio lavoro sui sensi, modificando così il sistema di percezione. La coscienza può proiettare le proprie immagini sull’apparato di ricezione, l’apparato di ricezione può devolvere questa stimolazione interna e così si può avere il registro dell’arrivo del fenomeno dall’esterno. Se così è, allora determinati funzionamenti della coscienza possono modificare la strutturazione compiuta dai sensi sui dati del mondo esterno.

  • Memoria

 

Nemmeno la memoria lavora in modo isolato, così come non lo fanno i sensi né alcun altro componente dello psichismo; anche la memoria lavora in struttura. La memoria, come abbiamo chiarito a suo tempo, ha la funzione di registrare e ritenere dati provenienti dai sensi, dati provenienti dalla coscienza; non solo, ha anche la funzione di somministrare dati alla coscienza quando la coscienza ha bisogno di tali dati. Il lavoro della memoria dà alla coscienza il riferimento della sua ubicazione temporale tra i vari fenomeni. Senza quest’apparato di memoria la coscienza incontrerebbe gravi problemi ad ubicare i fenomeni nel tempo, non sapendo se un dato fenomeno è avvenuto prima o dopo e non potendo così articolare il mondo in una successione temporale.
È grazie all’esistenza di differenti frange di memoria, nonché grazie all’esistenza di soglie della memoria, che la coscienza può ubicarsi nel tempo. Sicuramente è anche grazie alla memoria che la coscienza può ubicarsi nello spazio, giacché non è assolutamente possibile che lo spazio mentale si trovi svincolato dai tempi della coscienza, tempi che sono somministrati dai fenomeni provenienti dalla memoria. Ecco allora che le due categorie di tempo e spazio funzionano nella coscienza grazie alla somministrazione di dati compiuta dalla memoria. Vediamo tutto ciò più in particolare.
Come si parla di atomo teorico di sensazione, così si può parlare di atomo teorico di reminiscenza: ma tutto ciò è appunto teorico, perché nei fenomeni che si sperimentano esso non esiste. Ciò che si può registrare è che nella memoria si ricevono, si elaborano e si ordinano dati provenienti dai sensi e dalla coscienza, sotto forma di registrazioni strutturate. La memoria riceve dati dai sensi, riceve dati dalle operazioni della coscienza, ma oltre a ciò ordina questi dati e li struttura; compie un lavoro molto complesso di compilazione e ordinamento dei dati. Quando il livello della coscienza si abbassa, la memoria procede ad ordinare tutti i dati che erano stati archiviati ad un altro livello della coscienza. Ad un livello la memoria sta lavorando, registrando, archiviando tutti i dati quotidiani, i dati del giorno a mano a mano che arrivano, e ad un altro livello di lavoro la memoria inizia a catalogare ed ordinare quei dati che sono arrivati durante la veglia.
Nel sonno, che è un altro livello di coscienza, ci troviamo nello stato in cui la memoria procede ad elaborare i dati; l’ordinamento effettuato dalla memoria dei dati che si sono ricevuti non è lo stesso ordinamento che si effettua nel momento in cui si ricevono i dati.

È così: in questo momento sto ricevendo informazioni dai sensi, e l’informazione che ricevo va ad archiviarsi nella memoria. Ma quando il mio livello di coscienza si abbassa e comincio a sognare, succede che trovo anche i dati del mondo quotidiano, i dati del mondo della veglia. Mi appare così tutta la materia prima che ho ricevuto e registrato durante il giorno, ma questa materia prima non si articola nello stesso modo nel mio sistema di rappresentazione interna. Ciò che durante il giorno aveva una certa sequenza, quando si abbassa il livello di coscienza segue un altro ordine. Quello che allora successe alla fine qui succede all’inizio; elementi recenti della mia memoria si legano ad altri elementi molto antichi e quella che si produce è una strutturazione interna della materia prima ricevuta durante il giorno e dei dati precedenti appartenenti a aree differenti della memoria corrispondenti ad una memoria antica, ad una memoria più o meno mediata. La memoria è un “apparato” che svolge diverse funzioni a seconda del livello di lavoro in cui si trovi la struttura della coscienza.

            I dati sono registrati dalla memoria in vari modi:

1) Un forte stimolo si imprime nella memoria con forza.

  • Si imprime con forza anche ciò che entra simultaneamente attraverso sensi differenti;

3) L’impressione in memoria avviene anche qualora uno stesso dato relativo ad un fenomeno si presenti in maniere diverse. Se presento un oggetto lo memorizzo in un modo, se lo presento in un’altra maniera lo memorizzo in un altro modo. La mia coscienza lo sta strutturando, lo sta articolando; ma, a parte ciò, ho avuto un’impressione A e un’impressione B. La memorizzazione avviene per via di una ripetizione e, inoltre, perché si stanno imprimendo in memoria i dati che la coscienza sta strutturando relativi all’oggetto in questione;
4) La memorizzazione avviene anche per ripetizione propriamente detta;
5) I dati si imprimono nella memoria meglio in un contesto che individualmente;
6) La memorizzazione è migliore anche quando emergono o risaltano per assenza di contesto. Quel che risalta, quel che non può essere, predispone ad una maggiore attenzione e, di conseguenza, l’impressione in memoria avviene con maggior forza;
7) La qualità dell’impressione aumenta quando gli stimoli sono distinguibili, e ciò si produce in assenza di rumore di fondo, per nitidezza dei segnali.

      Quando, per reiterazione, c’è saturazione, si produce un blocco. Gli esperti di pubblicità hanno esagerato un po’ la legge di ripetizione. Un dato s’incorpora per ripetizione ma, sempre per ripetizione, si produce fatica nei sensi. Inoltre vale per la memoria ciò che vale per i sensi in generale, cioè si torna alla legge dello stimolo che decresce nella misura in cui lo stimolo permane. Se manteniamo un continuo gocciolio d’acqua, questa ripetizione del gocciolio d’acqua non arriva ad essere impressa in memoria come gocciolio d’acqua: quel che si ottiene è che si chiuda la soglia di memorizzazione, così come si chiude la soglia di percezione, e quindi il dato smette di influire. Quando una campagna pubblicitaria diventa eccessivamente ripetitiva e insiste oltre ogni misura basandosi su questa legge della memorizzazione per ripetizione, produce saturazione in memoria e il dato non entra più, producendo irritazione sensoriale e saturazione nella memoria. Con alcuni animaletti si lavora su questa reiterazione dello stimolo che, invece di incidersi con forza e generare una risposta corrispondente e adeguata allo stimolo in questione, fa sì che l’animaletto si addormenti.
In assenza di stimoli esterni, il primo stimolo che compare è impresso in memoria con forza. Anche quando la memoria non sta somministrando informazione alla coscienza c’è più disponibilità per memorizzare e la memoria libera informazione, in forma compensatoria, quando non stanno arrivando dati alla coscienza. Immaginiamo un esempio. Una persona si rinchiude in una grotta in cui non arrivano stimoli del mondo esterno. Non arriva luce, non arriva suono, non ci sono raffiche di vento che impressionino la sua sensibilità tattile… c’è una sensazione di temperatura più o meno costante. I dati esterni si riducono e la memoria allora inizia a liberare i dati che ha immagazzinato. Ecco un curioso funzionamento della memoria. Si rinchiuda una persona in un carcere, o la si metta in una caverna, ed ecco che, siccome i sensi esterni non stanno lavorando e non esistono dati esterni, la memoria provvederà a fornire dati al coordinatore. Se eliminiamo i dati sensoriali esterni, immediatamente la memoria inizierà comunque a compensare somministrando informazione. La memoria si comporta così perché, comunque sia, la coscienza ha bisogno di tutti quei dati per ubicarsi nel tempo e nello spazio e, quando la coscienza non ha dati di riferimento che la stimolino, perde la propria strutturalità. E l’io, quell’io che era sorto per somma di stimoli e somma di attività degli apparati, si trova nella condizione di non avere stimoli né dati provenienti dagli apparati. L’io perde la propria strutturalità e sperimenta la sensazione di disintegrarsi, di perdere coesione interna. Fa allora appello al riferimento offerto dai dati, per quanto essi provengano solamente dalla memoria, e questo mantiene la precaria unità dell’io.
Il ricordo o, ad essere più precisi, l’evocazione sorge quando la memoria affida alla coscienza dati già memorizzati. Tale evocazione è prodotta intenzionalmente dalla coscienza, il che la distingue da un altro tipo di rammemorazione che alla coscienza s’impone.
Facendo un’analogia, affinché tutti questi meccanismi risultino più o meno simmetrici a ciò che accadeva con i sensi e la coscienza: quando gli stimoli della memoria arrivano alla coscienza parliamo di “rammemorazione”; quando la coscienza andava in direzione degli stimoli abbiamo parlato di “appercezione”; infine, quando la coscienza va in direzione dei dati della memoria, vale a dire, quando cerca il dato che le interessa, allora parliamo di “evocazione”. Si evoca quando l’attenzione si dirige verso una determinata area di ricordi immagazzinati.
Sappiamo che alla coscienza arrivano sia dati dei sensi esterni sia dati dei sensi interni e che quest’informazione arriva simultaneamente alla coscienza. Ciò vuol dire che, quando evoco, quando vado a cercare il dato esterno nella memoria, molto frequentemente il dato che estraggo dalla memoria è mescolato agli altri dati che, a suo tempo, accompagnarono la percezione: in altre parole, se ora sto ricevendo un’informazione esterna ed essa arriva alla memoria, sto ricevendo anche un’informazione interna che va ugualmente in memoria. Quando evoco ciò che è accaduto, alla coscienza non si presenta solamente il dato esterno ma anche quello interno, che ha accompagnato il momento in questione. Ciò è di grandissima importanza.
Si esamini quel che succede quando ricordo. Osservo l’oggetto, chiudo le palpebre, ricordo l’oggetto. Se la mia educazione visiva è buona, normale o cattiva, la riproduzione di quell’impressione sarà più o meno fedele. È solo l’oggetto che ricordo? O ricordo anche alcune altre cose? Pensateci bene. Non stiamo parlando delle catene di idee, delle associazioni che il ricordo di quell’oggetto suscita, per quanto esse esistano: ricordo l’oggetto e insieme sorgono varie altre cose. Andiamo al ricordo dell’oggetto. Osservo l’oggetto, chiudo le palpebre e dalla memoria si riproduce l’oggetto, m’appare un’immagine dell’oggetto. Ma quest’immagine dell’oggetto che m’appare, oltre ad avere altre componenti visive giacché sto lavorando con l’occhio, per me, nel mio registro interno, è composta da toni muscolari, da un determinato sapore, da un determinato clima che nulla ha a che vedere con la percezione. Perciò di quell’oggetto non sto ricordando solamente la memorizzazione che l’oggetto stesso mi propone bensì anche la memorizzazione del mio stato nel momento in cui si è prodotta. Naturalmente tutto ciò ha conseguenze rilevanti, perché, se stessimo parlando semplicemente di un “archivista” di dati sensoriali, tutto sarebbe più facile; ma l’informazione che sto ricevendo dal mondo esterno risulta essere associata allo stato in cui si trovava la struttura nel momento della memorizzazione. Ma andiamo più in là: diciamo che può esistere un’evocazione e che i dati immagazzinati in memoria possono arrivare alla coscienza grazie al fatto che i dati relativi ai fenomeni sono impressi in memoria insieme ai dati della struttura. Perché, se ci pensate con attenzione, l’evocazione non lavora cercando immagini bensì cercando stati e le immagini che corrispondono ad una sensazione o ad un’altra non si identificano grazie all’immagine in sé ma grazie allo stato che le corrisponde. Osservate quel che fate nel momento in cui ricordate: poniamo che ora vogliate ricordare la vostra casa. Come fate per ricordarla? Esaminate attentamente quel che fate. Non sperimentate una sorta di sensazione interna? E questa sensazione, prima che sorga l’immagine della vostra casa, questa sensazione interna, è una sensazione di immagini? No, è una sensazione cenestesica. E questa sensazione cenestesica sta cercando, tra i differenti stati interni, il clima generale che corrisponde alle impressioni in memoria delle immagini visive della vostra casa.
Che cosa fate, invece, quando evocate un’immagine orrida? La cercate tra le diverse maschere mostruose fino a trovare quella giusta o la cercate nel clima che corrisponde a quel livello particolare della memoria che v’impressiona perché orrido? No, non cercate tra le immagini: cercate tra masse di stimoli interni che accompagnano le memorizzazioni in questione. Quando infine l’immagine è evocata dalla coscienza, si è nella disposizione in cui l’immagine può effettuare operazioni, provocare scariche, mettere in moto i muscoli, mobilitare un apparato allo scopo di farlo lavorare sull’immagine in questione, nel qual caso appariranno operazioni intellettuali, o mettere in moto emozioni e così via. Quando l’immagine si proietta sullo schermo di rappresentazione, ecco che si è nella disposizione giusta per agire: ma il sistema di evocazione non lavora tra le immagini, lavora cercando tra gli stati. Sapendo tutto questo e passando alla fisiologia, diremo allora che nei neuroni non si imprimono immagini visive, che all’interno dei neuroni non restano le immagini piccole, microscopiche, ma che, piuttosto, esistono flussi di corrente elettrochimici che non sono immagini e che, quando si produce il fenomeno dell’evocazione, non si va alla ricerca di tali immagini microscopiche fino a trovarle bensì si cercano i livelli elettrochimici che danno il registro corrispondente al livello all’interno del quale, successivamente, si articola l’immagine. Dunque non si evoca tramite immagini ma tramite gli stati che accompagnarono la percezione sensoriale di quel momento.
Facciamo un esempio che utilizziamo sempre: esco da un posto e ad un certo punto mi accorgo di aver dimenticato qualcosa. Che cosa registrate in questo caso, un’immagine o piuttosto registrate una sensazione curiosa? Un’immagine no, sicuramente, perché altrimenti sapreste che cosa avete dimenticato. Avete il registro di una sensazione curiosa, legata a qualcosa che avete dimenticato. E che cosa fate a quel punto? Iniziate a cercare immagini, ve ne appare una e dite “Questa no”, ve ne appare un’altra e dite “Nemmeno questa”. Dunque lavorate scartando immagini. Ora, chi vi guida in questa ricerca? Vi guida l’immagine? No, non vi guida l’immagine, vi guida lo stato che fa sorgere le diverse immagini e, quando sorge un’immagine scorretta, vi dite “No, non è questo l’oggetto che ho dimenticato, perché l’ho con me”. E così continuate, facendovi guidare dagli stati interni finché, finalmente, si produce l’individuazione dell’oggetto e sperimentate la sensazione del ritrovamento ed esclamate: “Ecco cos’è che avevo dimenticato!” in tutto questo lavoro avete continuato a cercare tra stati, tali stati hanno proiettato immagini e voi avete infine prodotto il riconoscimento. Lo stato corrispondente all’atto di cercare un oggetto è molto diverso da quello corrispondente all’atto di trovare (implesion) l’oggetto. I registri che si hanno sono molto diversi, ma in tutti i casi stiamo parlando di stati, accompagnati a gran velocità da immagini.
In un esempio fatto prima, quello della “città sgradevole” che ricordo, posso dire di riconoscerla non solo perché appaiono le sue immagini ma anche perché compare lo stato in cui mi trovavo nel momento in cui ho impresso nella memoria i dati relativi a quella città, che mi risulterà sgradevole o al contrario piacevole, o comunque avrà determinate caratteristiche, non per via dell’evocazione delle semplici immagini che ne ho bensì per via degli stati che mi suscitò nel momento in cui li memorizzai. Osservate una fotografia appartenente ad un’altra epoca: è una specie di cristallizzazione dei tempi passati. Nel vedere quella fotografia, essa immediatamente vi susciterà la felicità legata al momento che rappresenta, risvegliando in voi la sensazione nostalgica di qualche cosa che certamente è ancora presente ma che è andato perduto. C’è un parallelo, un raffronto tra ciò che è presente e ciò che si è perduto; tra lo stato associato alle memorizzazioni effettuate in quel momento e lo stato attuale, in cui sto memorizzando quel dato.
Abbiamo già detto come il ricordo, o più precisamente l’evocazione, sorga quando la memoria affida alla coscienza dati già memorizzati: quest’evocazione è prodotta intenzionalmente dalla coscienza, il che la distingue da un altro tipo di rammemorazione che alla coscienza s’impone. è come quando certi ricordi invadono la coscienza, coincidendo, a volte, con ricerche o con contraddizioni psicologiche che compaiono senza che la coscienza stessa vi prenda parte. C’è differenza tra questo ricercare un dato nella memoria e quel sorgere spontaneo dalla memoria di dati che invadono la coscienza con maggior o minore forza a seconda della carica che possiedono. Ci sono stati di memoria che arrivano alla coscienza, liberano immagini e poi queste immagini si impongono ossessivamente. È per via dell’immagine in sé, è per il ricordo in sé, o è per lo stato che accompagna tale immagine? Senza dubbio è per lo stato che accompagna l’immagine in questione, e quest’immagine ossessiva corrispondente ad una situazione vissuta molto tempo fa, quest’immagine che mi s’impone, ha una forte carica “climatica” (come spiegheremo più avanti). Perciò è associata ad uno stato, allo stato in cui quel fenomeno si impresse nella memoria.
Esistono gradi d’evocazione, differenti gradi d’evocazione, a seconda che il dato si sia registrato con maggiore o minor intensità. Quando i dati sfiorano leggermente la soglia di registro, anche l’evocazione sarà leggera. Si danno addirittura casi in cui non si ricorda ma, nel tornare a percepire il dato, lo si ri-conosce. Ed esistono dati che sono al lavoro alla soglia della percezione, che in questo caso per noi è anche la soglia della memoria. Ciò che è andato di moda in un determinato periodo, ciò che attiene all’azione “subliminale” o alla propaganda subliminale, ciò che sembrava essere un fenomeno interessante e che poi si è rivelato un fiasco, era un meccanismo semplice, abbastanza elementare, in cui si lanciava uno stimolo nella soglia di percezione. Il soggetto non arrivava a registrare il dato ma il dato comunque entrava. Sappiamo che il dato entrava sia perché in seguito tale dato appariva, per esempio, nei sogni del soggetto, sia perché il soggetto in un determinato stato avrebbe potuto rammemorare ciò che, a suo tempo, sembrava non aver percepito, non aver visto. Ecco allora che esiste una quantità di dati che colpiscono comunque la soglia di percezione, senza che in quel momento siano registrati dalla coscienza, ma entrando in ogni caso in memoria. Ora, se questi dati vanno in memoria saranno anche in rapporto con lo stato particolare che li accompagnava. Dirò di più: perché quei dati potessero funzionare in senso pubblicitario era necessario associare alla presentazione dell’oggetto subliminale una determinata emozione. Se si fosse voluto pubblicizzare una bevanda il punto non sarebbe stato solamente inserire la bevanda in un fotogramma ogni sedici del film pubblicitario (sappiamo, infatti, che se inseriamo un’immagine dell’oggetto ogni sedici fotogrammi del film vedremo il film ma non vedremo passare la presentazione subliminale, che sta lavorando esattamente al limite della fascia di percezione). Se avessimo scelto determinate sequenze del film (le sequenze contraddistinte dal maggior calore emotivo) e, in quelle sequenze, avessimo inserito il prodotto in questione, ecco che il soggetto, vale a dire lo spettatore, nell’evocare quella pellicola avrebbe subito con maggiore intensità il fenomeno memorizzato subliminalmente. Questa era l’idea, che funzionava in modo estremamente elementare: ma non sembra che la vendita dei prodotti pubblicizzati con questo sistema sia aumentata particolarmente: eppure c’è ancora gente che continua a credere nel “potere di quella terribile arma segreta”. Quello di cui ci stiamo occupando non è il problema della pubblicità subliminale: è il problema dell’immagine, o del fenomeno, che sfiora appena la soglia e si imprime in memoria, ma contemporaneamente si sta imprimendo nella memoria uno stato. A partire dalle soglie minime di evocazione appaiono gradazioni più o meno intense fino ad arrivare al ricordo automatico, che è di riconoscimento veloce. Prendiamo il caso del linguaggio. Quando si sta parlando e si ha una grande padronanza di una determinata lingua, perché la voce esca non è necessario ricordare le parole che si devono pronunciare. Questo succede nelle fasi di apprendimento, quando si sta imparando un altro idioma, ma non nel momento in cui quel sistema linguistico è diventato, per chi parla, automatico. Qui si sta lavorando con idee, qui si sta lavorando sulle emozioni e quindi la memoria somministra dati armonici agli stati che si suscitano, via via, in chi vuole sviluppare le proprie idee. Sarebbe davvero curioso se la memoria fosse semplicemente una memorizzazione di dati sensoriali! Per poter parlare dovremmo riprodurre tutto quel che si produsse nel momento in cui apprendemmo a parlare, o almeno dovremmo riprodurre tutto il sistema segnico. Ma, quando sto parlando, non vado in cerca del sistema segnico: vado in cerca delle mie idee, delle mie emozioni, e allora si liberano le articolazioni segniche, le immagini segniche che poi lancerò nel linguaggio. Ciò che sta agendo è il ricordo automatico, un ricordo di riconoscimento veloce. Ed il riconoscimento di un oggetto si produce quando quella percezione è raffrontata ai dati precedentemente percepiti.
Senza riconoscimento lo psichismo sperimenterebbe il trovarsi di fronte ai fenomeni sempre per la prima volta, nonostante il loro ripetersi. Il fenomeno sarebbe sempre lo stesso, non potrebbe esistere riconoscimento e perciò lo psichismo non potrebbe procedere, nonostante quello che pensano alcune correnti oggi di moda, che definiscono “interessante processo psicologico” il fatto che la coscienza lavori senza memoria. Ma se lavorassero senza memoria, questi predicatori non potrebbero nemmeno spiegare ad altri la loro teoria.
L’oblio, al contrario, è l’impossibilità di portare alla coscienza i dati già impressi nella memoria. È molto curioso come, a volte, si dimentichino intere parti di situazioni, di concetti o di fenomeni. In alcuni casi quel che un determinato clima potrebbe suscitare è cancellato e di conseguenza sono cancellati tutti i fenomeni impressi nella memoria e che hanno qualcosa a che a che vedere con quello stato. Si cancellano intere aree  perché potrebbero suscitare quell’immagine, associata ad atmosfere dolorose.
In generale l’oblio è l’impossibilità di portare alla coscienza dati già memorizzati. Ciò accade per via di un blocco nella reminiscenza che impedisce la ricomparsa dell’informazione: ma esistono anche dei tipi di oblio funzionale che impediscono il continuo riapparire di ricordi, grazie a meccanismi di interregolazione che operano inibendo un apparato mentre ne funziona un altro. Ciò significa che, fortunatamente, non si ricorda tutto in continuazione; che, fortunatamente, si può ricordare situando oggetti e fenomeni in momenti diversi, in tempi diversi. Fortunatamente non si ricorda di continuo perché, in quel caso, la ricezione dei dati dal mondo esterno sarebbe gravemente perturbata. In presenza del continuo rumore di fondo costituito dal ricordo avremmo, ovviamente, problemi nell’osservare i nuovi fenomeni, ed è chiaro che le nostre operazioni intellettuali sarebbero fortemente perturbate anche se fossimo sottoposti al bombardamento continuo della memoria. Vedremo poi anche come l’oblio, o l’amnesia, o il blocco, operino non per difetto bensì adempiendo una funzione importante all’interno dell’economia dello psichismo. Non è che la struttura sia stata costruita male, è che essa sta adempiendo funzioni precise anche quando commette errori.
Possiamo osservare diversi livelli di memoria. Nell’acquisizione della memoria individuale, nei primi istanti in cui s’inizia a percepire e subito s’inizia ad incidere, si forma una sorta di “substrato”, per dargli un nome: una sorta di antico substrato della memoria, un substrato profondo di memoria. Su questa base di memoria, che è la base dei dati con cui lavorerà la coscienza, si struttura il sistema di relazioni che, poi, la coscienza porta a termine: è la memoria più antica, dal punto di vista del fondamento delle operazioni che si effettuano. Su questa memoria più antica si vanno “depositando” tutte le memorizzazioni che si continuano a registrare nel corso della vita, e questo è un secondo livello di memoria. C’è poi un terzo livello di memoria, vale a dire la memoria immediata, quella dei dati immediati con cui lavoriamo. Normalmente, la memoria profonda resta archiviata con forza, senza che nel suo substrato si producano operazioni importanti, mentre nella memoria recente è necessario tutto un lavoro di ordinamento, classificazione e archiviazione dei dati. Inoltre tra questi livelli (il più recente, il più immediato e quello mediato) si stabiliscono varie specie di “differenze di potenziale”, potremmo dire, in cui i dati nuovi, mentre entrano, procedono anche a modificare la memoria mediata. Se volessimo, scolasticamente, operare una classificazione, potremmo parlare di memoria antica, memoria mediata e memoria immediata. Ed è la memoria immediata, piuttosto che agli altri tipi di memoria, alla quale affideremmo il maggior lavoro di classificazione. Per quanto non si lavori intensamente con i dati più antichi, essi sono fortemente radicati. È come se creassero un campo all’interno del quale cadono i nuovi dati; perciò abbiamo serie difficoltà a realizzare lavori con la memoria antica. Possiamo compiere operazioni con la memoria immediata o agire indirettamente sulla memoria mediata, ma ci costerà un’immensa fatica modificare le impronte profonde del substrato. Esse sono il trasfondo che è rimasto ed è tale trasfondo, impresso con forza nella memoria, che sta influendo sui nuovi potenziali che continuano ad arrivare all’archivista. Ecco allora che, in realtà, queste tensioni interne della memoria, queste specie di climi interni della memoria, stanno influendo sui nuovi dati.
In ogni memorizzazione come pure nel ricordare ciò che è memorizzato, il lavoro delle emozioni gioca un ruolo molto importante, cosicché le emozioni dolorose o gli stati dolorosi che accompagnano una memorizzazione ci daranno un registro differente da quello delle memorizzazioni che furono effettuate in stati emotivi di piacevolezza. Quindi, quando si evoca una determinata memorizzazione sensoriale esterna sorgeranno anche gli stati interni che l’accompagnarono. Se questo dato esterno è accompagnato da un sistema di emozioni di difesa, un sistema di emozioni dolorose, l’evocazione di ciò che fu impresso in memoria sarà intrisa da tutto il sistema doloroso di ideazione che accompagnò la memorizzazione del dato esterno, il che ha importantissime conseguenze.
Esiste anche una specie di memoria di tipo situazionale. Si imprime in memoria una persona in una determinata situazione: poco tempo dopo si rivede questa stessa persona ma in una situazione che nulla ha a che vedere con la precedente. Dunque, si incontra la persona e la si registra come conosciuta, però non la si riconosce appieno: le immagini non coincidono, perché quell’immagine della persona non coincide con la situazione in cui essa fu memorizzata. In realtà qualsiasi tipo di memorizzazione è situazionale e potremmo parlare di una specie di memoria situazionale in cui l’oggetto viene memorizzato attraverso il contesto. Poi, modificando il contesto in cui quell’oggetto si trova, ritroviamo nell’oggetto una sorta di sapore conosciuto ma non lo possiamo riconoscere perché sono variati i parametri di riferimento. Avremo perciò difficoltà nel riconoscimento, date dalla variazione del contesto in cui confrontiamo l’immagine nota e quella nuova. Nei meccanismi di evocazione, nella rammemorazione in generale, ci sono problemi, perché a volte non si sa come localizzare l’oggetto se non si trova tutto ciò che lo ha accompagnato. Ciò che abbiamo detto dell’evocazione, relativamente al fatto che non si cercano immagini bensì si cercano determinati toni, vale anche in questo caso.
Le vie d’entrata degli impulsi mnemici (ovvero gli impulsi della memoria) sono i sensi interni, i sensi esterni e le attività dell’apparato di coordinazione. Da parte loro gli stimoli che arrivano seguono un doppio percorso: una via va direttamente all’apparato di registro, un’altra all’apparato di memoria. Affinché gli stimoli siano registrabili è sufficiente che oltrepassino leggermente le soglie sensoriali, ed è sufficiente una minima attività ai differenti livelli di coscienza perché si produca l’impressione in memoria. D’altra parte la memoria, nel momento in cui si attualizza grazie alla traduzione dall’impulso all’immagine e dall’immagine al centro, si rafforza, perché a sua volta esiste un registro del funzionamento del centro. Quel che stiamo dicendo è che se un impulso di memoria arriva alla coscienza e, una volta nella coscienza, si traduce in immagine, quest’immagine agisce sui centri e sono questi a trasmettere il segnale all’esterno. Nel momento in cui questo segnale arriva all’esterno, l’attività del centro la si registra comunque nei sensi interni. Di conseguenza, come si impara veramente? Si impara davvero grazie al dato che arriva ai sensi e poi è archiviato in memoria o si impara quando si sta agendo? Entrambe le cose sono in parte vere.
Nell’educazione scolastica si è dato per scontato che l’apprendimento consistesse in una fonte che emette segnali e una fonte che li riceve, ma sembra che le cose non vadano proprio così. Sembra invece che si apprenda quando il dato lascia la memoria e arriva alla coscienza, traducendosi in immagine, mettendo in moto il centro e ripartendo come risposta (che si tratti di una risposta intellettuale, emotiva o motoria). Quando quest’impulso, convertito in immagine, mette in moto il centro e il centro agisce, di quest’azione del centro a sua volta si ha un registro interno. Nello stesso momento in cui si stabilisce tutta questa retroalimentazione, questo “feedback”, la memorizzazione si accentua. Detto in altre parole: si apprende facendo, non semplicemente registrando. Se lavorate con un bambino fornendogli spiegazioni e il bambino si limita ad essere in attitudine ricettiva la sua situazione di apprendimento sarà molto diversa da quella di un bambino cui, dopo avergli fornito le spiegazioni, sia chiesto di strutturare relazioni tra i dati ricevuti e spiegare con parole sue ciò che ha appreso. Come esiste un circuito tra chi insegna e chi apprende, così le operazioni proprie di chi apprende, le domande fatte da chi apprende a chi insegna, fanno sì che chi insegna debba a sua volta effettuare operazioni e stabilire relazioni cui forse non aveva addirittura pensato. Ecco dunque che all’interno di questo sistema relazionale apprendono tutti. Si tratta di un sistema relazionale che coinvolge entrambi gli interlocutori e in cui, chiaramente, lo schema di causa ed effetto non funziona: al suo posto funziona un continuo riaggiustamento nella struttura, nella quale il dato è esaminato da diversi punti di vista e in cui non esiste solo l’atteggiamento attivo di chi somministra il dato e quello passivo di chi lo riceve.
Nel circuito tra sensi e coordinatore la memoria agisce come una sorta di connettiva, come un ponte, compensando a volte la mancanza di dati sensoriali, sia che ciò avvenga per evocazione sia per ricordo involontario. Nel caso del sonno profondo, in cui non c’è immissione di dati esterni, alla coscienza arrivano dati cenestesici combinati con dati di memoria. In questo caso i dati mnemici non sembrano essere evocati intenzionalmente, ma ad ogni modo il coordinatore sta compiendo un lavoro, sta ordinando dati, sta analizzando, sta effettuando operazioni con la partecipazione della memoria; operazioni, tutte queste, che si realizzano persino nello stato di sonno profondo. È la coscienza a fare tutto ciò. Come ben sapete, noi non identifichiamo la coscienza con la veglia: la coscienza, per noi, è qualche cosa di molto più ampio, perciò parliamo di livelli di coscienza. Ebbene, la coscienza, nel suo livello di sonno, si dedica a questo lavoro meccanico di classificazione e ordinamento dei dati. Nel livello di sonno profondo c’è un riordinamento della materia prima vigilica, vale a dire della memoria recente. Per questa ragione i sogni di un determinato giorno hanno a che vedere preferenzialmente con la materia prima che si è ricevuta durante quel giorno: naturalmente qui si stabiliscono lunghe catene associative, e il dato di quel giorno, la materia prima di quel determinato giorno a sua volta si collega e si connette a dati precedenti, ma sostanzialmente è la materia prima del giorno in questione (cioè la memoria recente) che lavora alla formazione dell’insogno del sogno.
Il coordinatore può rivolgersi alla memoria mediante l’evocazione, evocazione che noi definiamo come “meccanismo di reversibilità” e che esige un’attività del coordinatore nella ricerca delle fonti. Esiste poi anche una gran quantità di errori di memoria. L’errore di memoria più generale è quello del falso riconoscimento, che sorge quando un nuovo dato è messo in relazione in modo sbagliato con uno precedente. La situazione in cui mi trovo in questo preciso momento è estremamente simile ad un’altra in cui mi sono trovato precedentemente, ma l’oggetto che vedo ora non è quello che vidi allora. Come esistono memorizzazoni di tipo situazionale, così ora sperimento la sensazione di avere già visto quell’oggetto; non è che lo abbia mai visto, è che riconosco situazioni analoghe a quella in cui mi trovo ora e che, in un altro momento, sono già successe. Allora colloco il nuovo oggetto all’interno di questa memoria situazionale ed esso mi appare come riconosciuto. A volte accade il contrario. Capita che un oggetto che riconosco suscita una situazione che non ho mai vissuto ma che mi pare di aver già vissuto. Una variante di questa situazione, variante detta del “ricordo equivoco”, è quella in cui si sostituisce un dato che non appare in memoria con un altro, come se si riempisse un vuoto d’informazione.
Genericamente si chiama amnesia un registro di totale impossibilità di evocare dati o sequenze complete di dati. Di tali amnesie, di tali oblii, esistono differenti classificazioni. Possono esistere amnesie non riferite solo ad un determinato oggetto, o ad altri concatenati col primo per contiguità, per contrasto o per similitudine, così come possono esistere amnesie in cui ciò che si cancella non è un determinato oggetto bensì una determinata situazione; ciò agisce a livelli differenti di memoria. Esemplifichiamo tutto ciò: non dimentico solamente ciò che è accaduto negli ultimi cinque giorni, ma dimentico alcune situazioni, appartenenti a differenti tappe della mia vita e in relazione l’una con l’altra. Dunque l’oblio non è solo lineare ed interno ad una area temporale bensì, a volte, è selettivo di una determinata situazione che si ripete in differenti tappe della vita. Tutta l’area in questione risulta cancellata, apparentemente, perché in realtà è molto difficile che qualche cosa si cancelli dalla memoria. Ciò che accade, normalmente, è che il dato non può essere evocato perché non si ha registro di quella sensazione, poiché la sensazione del registro corrispondente a quell’area ha subito l’influenza di altri tipi di sensazioni, tra le quali le sensazioni dolorose. Le sensazioni dolorose che accompagnano le memorizzazioni di determinati fenomeni sono quelle che tendono a scomparire nell’evocazione. Siccome queste sensazioni dolorose sono rifiutate da tutta la struttura ecco che è rifiutato anche tutto ciò che le accompagna. Fondamentalmente si tratta del meccanismo di dolore nell’imprimere un dato in memoria, il che, prima o poi, farà come evaporare il dato, farà scomparire il dato, se non altro nel suo aspetto evocativo. Comunque sia, ciò che fu impresso con dolore o è dimenticato oppure è evocato nuovamente alla coscienza, ma i contenuti collaterali che lo accompagnarono ne saranno stati trasformati. Esistono impressioni in memoria “a fuoco”, si potrebbe dire, che sono impressioni dolorose: ma in queste memorizzazioni dolorose, se le si esamina con attenzione, si vedrà come numerosi fenomeni che le accompagnano sono stati fortemente trasformati. Qualsiasi memorizzazione è associata ad altre contigue, perciò non esiste un ricordo isolato: perché è il coordinatore a selezionare, tra i ricordi, quelli che gli sono necessari.
Ritornando al problema della memorizzazione di ciò che è doloroso e di ciò che è piacevole, ci si chiede: che cosa succede quando uno stimolo sensoriale è memorizzato piacevolmente ma, per via di altre circostanze, ciò provoca un dolore morale o un dolore intellettuale? Supponiamo che una persona, per via della sua formazione morale, abbia problemi con determinati dati sensoriali di tipo piacevole: in questo caso avremo una mescolanza di piacere e dolore. Ne consegue che questa persona registrerà un piacere fisico, sì, ma che questo piacere fisico potrà creargli problemi di ordine morale. Dunque, come evocherà quel registro? La cosa più probabile è che nel futuro non vorrà nemmeno ricordare ciò che gli è successo: ma è altrettanto probabile che insorga una sorta di stato ossessivo legato a quella situazione. Ecco allora che avremo una brava persona in cui coesistono la repressione dell’evocazione dei registri del piacere e l’insorgere di registri del piacere che s’impongono alla sua coscienza.

  • Coscienza

 

Intendiamo la coscienza come il sistema di coordinazione e registro messo in opera dallo psichismo umano. Parliamo a volte di “coscienza”, a volte di “coordinatore” e a volte di “registratore”. Ciò che accade è che tale entità, sebbene sia sostanzialmente la stessa, svolge funzioni differenti, anche se non si tratta di entità differenti. Molto diverso il caso di ciò che chiamiamo “io”. Questo io non lo identifichiamo con coscienza. Consideriamo i livelli di coscienza come ambiti diversi del lavoro della coscienza e identifichiamo l’io con quello che osserva i processi psichici, non necessariamente vigilici, che si sviluppano mano a mano. In stato di veglia registro e compio numerose operazioni. Se qualcuno mi domanda: “Chi sei?” rispondo: “Io”, e aggiungo alla mia affermazione un documento d’identità, un numero, un nome o altre cose di questo genere. Ho l’impressione che quest’io registrerà dall’interno le stesse operazioni, osserverà le operazioni della coscienza. Abbiamo già sotto mano una distinzione tra le operazioni effettuate dalla coscienza e l’osservatore che fa riferimento a tali operazioni della coscienza; e, se faccio caso al modo in cui osservo le cose, mi rendo conto che le osservo “dall’interno”. Se poi osservo i miei stessi meccanismi vedo che tali meccanismi sono visti “dall’esterno”. Se ora abbasso il livello di coscienza e mi addormento, come mi vedo? Sto camminando per la strada, in sogno: vedo passare automobili, vedo passare gente, ma da dove vedo la gente che passa, le automobili che passano? Dal mio stesso interno (esattamente come ora vedo voi che mi ascoltate e so che siete fuori di me, e per questo vi vedo dall’interno di me)? È così che mi vedo? No, io mi vedo dall’esterno. Se osservo il modo in cui vedo dal livello del sogno, vedo me stesso che vede le automobili che passano, la gente che passa, e mi osservo dall’esterno. Mettetela in un altro modo, provate con la memoria. Ricordate ora una situazione della vostra infanzia. Bene. Che cosa vedete in quella scena? Vi vedete dall’interno, proprio come ora vedete le cose che vi circondano? Vedete dall’interno (essendo bambini) le cose che vi circondano? No, vi vedete dall’esterno. In questo senso, dov’è l’io? L’io è all’interno del sistema di strutturazione che opera la coscienza e percepisce le cose, oppure l’io è fuori? L’impressione che abbiamo è che in alcuni casi sia all’interno e in altri all’esterno, da un lato; ma dall’altro si vede come, nell’osservare le operazioni stesse della coscienza, l’osservatore sia separato da tali operazioni. In entrambi i casi l’io, che si trovi dentro o fuori, appare come separato. Quel che sappiamo sicuramente è che non è incluso nelle operazioni.
Ma allora, se tutti i registri che ho sono di separazione tra io e coscienza, com’è che identifico questo io con la coscienza? Se osservo tutti i registri dell’io che ho, vedrò che tutti questi registri sono di separazione tra ciò che chiamo “coscienza e operazioni della coscienza” e ciò che chiamo “io”.
Come si costituisce questo io? Perché sorge questo io, e perché commetto l’errore di associare l’io alla coscienza? Innanzitutto non consideriamo cosciente alcun fenomeno che non sia registrato, né tanto meno alcuna operazione dello psichismo in cui non ci siano compiti di coordinamento. Quando parliamo di registro, parliamo di registro a differenti livelli, perché non identifichiamo coscienza e veglia: la coscienza è qualcosa di molto più ampio. Siamo abituati a vincolare la coscienza all’attività vigilica, lasciando tutto il resto fuori dalla coscienza.
Quanto ai meccanismi fondamentali della coscienza, intendiamo come tali i meccanismi di reversibilità, ovverosia le facoltà che la coscienza ha di dirigersi, per mezzo dell’attenzione, alle proprie fonti d’informazione. Se ci si dirige verso la fonte sensoriale parliamo di “appercezione”; se ci si dirige verso la fonte della memoria, allora parliamo di “evocazione”. Certo può esistere anche l’”appercezione dell’evocazione”, quando si appercepisce un dato che è stato memorizzato alla soglia del registro: è il caso della memorizzazione subliminale, della quale nel momento in cui si verifica non ci si rende conto e che successivamente, tuttavia, potrà essere evocata.
Chiamo “percezione” il semplice registro del dato sensoriale. Ora ci troviamo tutti insieme e, se si sente un rumore, percepisco il rumore. Il mio interesse potrà dunque rivolgersi verso la fonte del rumore, ma il punto è che il dato si è imposto al mio registro: a tutto ciò do il nome di percezione. Naturalmente si tratta di un fenomeno estremamente complesso in cui è intervenuta la strutturazione e tutto il resto. Chiamo invece “appercezione” la ricerca del dato sensoriale. Riassumendo: percepisco quando il dato s’impone, appercepisco quando ricerco il dato. Chiamo “ricordo” quel che non viene dai sensi bensì dalla memoria per arrivare infine alla coscienza e chiamo “evocazione” quest’attività della coscienza che si mette in cerca dei dati della memoria. Ma ci sono anche altri casi che complicano il quadro: l’”appercezione nell’evocazione”, per esempio, in cui gli atti dei due apparati sembrano mescolarsi. È il caso in cui il dato è stato impresso in memoria nella soglia sensoriale in un momento in cui non avevo coscienza vigilica di ciò che accadeva a quel dato: ma il dato si è comunque registrato in memoria. Più tardi, perciò, con un lavoro di evocazione, tale dato si evidenzia. Esemplifichiamo. In strada vedo parecchie persone, io cammino tenendo lo sguardo automaticamente avanti a me e ad un tratto, ricordando ciò che mi è appena successo, esclamo: “Ma guarda, ho superato un amico e non l’ho salutato!” In questo caso sto lavorando con l’appercezione nell’evocazione. Vale a dire che sto facendo caso a quel che è successo nella mia memoria, sto evocando, e nell’evocare emerge ciò che era stato memorizzato ma di cui non mi ero reso sufficientemente conto nel momento in cui era successo. Ecco allora che, tra tutte le sensazioni di registro che ho ora, nel momento in cui evoco, ne seleziono una e la scelgo.
L’operatività dei meccanismi di reversibilità è in rapporto diretto con il livello di lavoro della coscienza e possiamo affermare che il lavoro di questi meccanismi diminuisce mano a mano che si scende nei livelli di coscienza, e viceversa. Tutto ciò, per noi, avrà una grande importanza pratica negli approfondimenti che faremo. Via via che il livello di lavoro della coscienza diminuisce, i meccanismi di reversibilità, diminuendo la loro attività, finiscono per bloccarsi, mentre, via via che saliamo di livello nel lavoro della coscienza, cresce l’attività della reversibilità (cioè del dirigersi della coscienza verso i propri meccanismi).
Esiste una strutturazione minima in base alla quale funzionano tutti i meccanismi della coscienza, ed è quella atto-oggetto. Come c’è un funzionamento stimoli-registri, così nella coscienza c’è quello atti-oggetti, legati da questo meccanismo di strutturalità della coscienza stessa, da questo meccanismo intenzionale della coscienza. Gli atti sono sempre in relazione ad oggetti, che si tratti di oggetti tangibili, intangibili o meramente psichici.
Sensi e memoria lavorano continuamente; altrettanto fa la coscienza, lanciando atti e muovendosi in direzione degli oggetti. Questo legame tra un atto e un oggetto non è permanente, giacché esistono atti lanciati alla ricerca del loro oggetto; è precisamente questa situazione a dare dinamica alla coscienza.
Alcuni psicologi hanno ritenuto che la caratteristica fondamentale della coscienza consistesse nel legame tra atto e oggetto; che non potesse esistere atto senza oggetto né oggetto senza atto. Naturalmente tali studiosi non esclusero la possibilità che l’oggetto cui si riferiva la coscienza potesse cambiare. Se così non fosse, la coscienza si vedrebbe in serie difficoltà per transitare da un oggetto all’altro, perché nel momento del transito l’atto si troverebbe senza lo stesso oggetto. Gli atti, però, possono lavorare alla ricerca degli oggetti, ed è grazie a questo che la coscienza può passare dagli uni agli altri. Bisogna ammettere che quegli psicologi scoprirono una grande verità, vale a dire che l’atto della coscienza è sempre riferito a un oggetto e che, quand’anche l’oggetto cambi, la coscienza continua a muoversi “in direzione di”. La coscienza, pertanto, è intenzionale, e si comporta come una struttura atto-oggetto. Gli oggetti della coscienza, perciò, si tratti di percezioni che arrivano alla coscienza, di ricordi, di rappresentazioni, di astrazioni e così via, sembrano essere, tutti, oggetti degli atti della coscienza. Ecco, dunque, che posso cercare un determinato ricordo ed esso sarà un oggetto, che posso cercare una determinata percezione ed essa sarà un oggetto, che posso operare un’astrazione ed essa sarà un oggetto. Ma le operazioni che compio sono di distinta natura ed esistono differenti tipi di atto.
Questa intenzionalità della coscienza (questo dirigersi degli atti della coscienza verso determinati oggetti) è sempre lanciata verso il futuro, verso cose che devono ancora apparire. Quest’attività di protensione al futuro dell’atto di coscienza è estremamente importante: l’intenzionalità è sempre lanciata verso il futuro, il che si registra come tensione di ricerca.
Se procedo a ricordare quel che è successo mezz’ora fa mi sto preparando a lanciare il mio atto di coscienza verso il futuro. In questo momento “ancora non” trovo quel che è successo dieci minuti fa, ma lo sto cercando; sicuramente nel prossimo futuro troverò quel che sto cercando e, finalmente, ora ho trovato quel che stavo cercando. Inevitabilmente la coscienza si muove nel futuro e così lavora, ritornando sugli avvenimenti passati. Inevitabilmente il tempo della coscienza è di protensione al futuro: anche nel caso del ricordo, va verso ciò che nella coscienza accadrà. Anche nelle persone orientate verso il passato, quelle che vivono nel passato e che vi rimangono inchiodate tanto che la loro dinamica di coscienza sembra essersi cristallizzata, anche in loro la dinamica di coscienza continua ad operare. In qualsiasi caso io produco registri di eventi passati; ma la direzione della mia coscienza è sempre verso la ricerca, è sempre in avanti, anche se sta cercando di ritrovare avvenimenti successi molto tempo fa. La strutturazione dei tempi della coscienza è differente a seconda che vari il livello di lavoro della coscienza. La successione del trascorrere si modifica secondo i livelli di coscienza, perciò le cose precedenti possono sembrare successive e le successive precedenti; si produce così quella particolare mescolanza tipica dei sogni.
Nella strutturazione che la coscienza effettua, secondo il livello di lavoro in cui sia impegnata, sono presenti due caratteristiche importanti: l’ordinamento dei tempi, da una parte, e la variazione della reversibilità dall’altra.

L’efficacia dei meccanismi di reversibilità e l’ordinamento degli oggetti nei tempi della coscienza sono caratteristiche nettamente vigiliche. Possiamo parlare di un'altra sorta di meccanismo, o di un’altra sorta di funzione della coscienza, quale l’attenzione, vale a dire un’attitudine della coscienza che permette di osservare i fenomeni interni ed esterni. Quando uno stimolo supera la soglia desta l’interesse della coscienza, situandosi in un campo centrale cui l’attenzione si dirige. Vale a dire che l’attenzione funziona in base ad interessi, in base a qualche cosa che, in qualche modo, impressiona la coscienza.
Sorge uno stimolo che passa la soglia e allora, non avendo altro da fare, la mia attenzione si dirige verso lo stimolo che la sollecita. Vale a dire che quest’attenzione è sempre guidata da interessi, che sono registri. L’oggetto può fermarsi in un campo centrale, nel qual caso mi dedico completamente ad esaminarlo e, se mi dedico completamente ad esaminare tale oggetto, gli oggetti che lo circondano perdono interesse, nel senso che la mia attenzione ingloba l’oggetto e, solo secondariamente, amplia il proprio raggio d’azione agli altri. Ma la mia attenzione è diretta verso un oggetto. Chiamo tutto ciò, ossia tutto ciò che appare nella mia attenzione in modo dominante, campo di presenza, mentre qualsiasi cosa non sembri strettamente legata a quest’oggetto si diluisce nella mia attenzione. E’ come se mi disinteressassi di altre cose che circondano l’oggetto. Mi rendo conto che questo graduale disinteresse per tali oggetti entra nel campo della compresenza, ma anche questa compresenza agisce e accompagna la presenza dell’oggetto centrale. Pertanto cerchiamo di non confondere i campi di presenza e compresenza con la vecchia rappresentazione del “fuoco attenzionale” che si supponeva facesse risaltare l’oggetto cui si dedicava la propria attenzione rendendo gradualmente indistinti gli altri oggetti che rimanevano in situazione d’inattività.
Questi campi di compresenza, per quanto sembrino essere fenomeni strettamente inerenti al meccanismo della coscienza, hanno a che vedere con la memoria. In un primo momento sto osservando un oggetto e quest’oggetto è circondato da altri. L’oggetto su cui mi concentro è il più importante, ma ce ne sono anche altri. Queste operazioni hanno a che vedere con l’attenzione e hanno a che vedere con la percezione. Se evoco l’oggetto centrale che ho precedentemente osservato, ecco che esso entrerà nel mio campo di presenza: ma ora posso anche evocare e situare nel mio campo di presenza gli oggetti che erano rimasti in secondo piano al momento della percezione, cosicché nell’evocazione posso spostare il mio campo di presenza alle compresenze. Ciò che era secondario può, nell’evocazione, diventare primario, e posso fare tutto ciò perché, ad ogni modo, è esistito un registro dell’oggetto presente e degli oggetti compresenti.
Queste compresenze della memoria adempiono funzioni molto importanti, perché mi permettono di collegare una quantità di oggetti, non presenti in una determinata fase di memorizzazione ma già memorizzati precedentemente. Ciò mi permette di dire: “Ah, questa cosa assomiglia a quella che ho visto prima! Ah, questa cosa somiglia a quell’altra! Ah, questo è diverso da quello! Ah, questo è in rapporto con quello!” E questo perché, mano a mano che percepisco, sta lavorando anche la memoria e, compresentemente, di fronte al dato che vedo, stanno lavorando numerosi dati. Questo lavoro di presenze e compresenze permette di strutturare i nuovi dati che arrivano, sia pure tramite le percezioni. Se non esistesse la pressione di questi dati di compresenza non potrei strutturare i dati nuovi che arrivano.
Diciamo perciò, molto semplicemente, che quando l’attenzione è al lavoro ci sono oggetti che appaiono centrali e oggetti che appaiono alla periferia; oggetti che appaiono compresentemente. Questa presenza e compresenza attenzionale si verifica tanto con gli oggetti esterni quanto con gli oggetti interni.
Nel prestare attenzione a un oggetto balza agli occhi un aspetto evidente, mentre quello non evidente opera in modo compresente. Quest’oggetto che sto vedendo è presente solo in ciò che riesco a percepirne, tutto il resto è “oscurato”: ma ciò che è oscurato agisce in modo compresente. Non immagino che sia solo una linea che ho davanti a me, o solo un piano o due piani che mi limito a percepire. Mi rendo conto che si tratta di un corpo. Tutto ciò sta lavorando compresentemente, e tutto ciò va al di là della percezione che ne ho. Ogni volta che percepisco, percepisco l’oggetto più ciò che l’accompagna. Questo lo fa la coscienza sulla percezione: e io percepisco sempre e strutturo sempre più di quel che percepisco. A volte lo faccio correttamente, a volte non tanto. Questo fatto, inferire relativamente a un oggetto più di ciò che se ne percepisce, è caratteristico della coscienza. La coscienza lavora con più cose di quelle cui le è necessario prestare attenzione, andando al di là dell’oggetto osservato. La stessa cosa si sperimenta ai differenti livelli di coscienza. Per esempio, in stato di veglia c’è compresenza d’insogno e nei sogni può essere compresente la veglia. Chi non ha avuto la sensazione di essere sveglio mentre stava dormendo? Chi non ha avuto la sensazione, nell’avvertire in stato di veglia la forza di una sequenza d’insogni, di essere più o meno addormentato? I livelli stanno lavorando compresentemente e, a volte, si ha registro di questo fenomeno. A volte affiorano alla veglia contenuti di diversi livelli e allora prendo coscienza della pressione di tali contenuti. La mia veglia è invasa da uno stato, il mio livello vigilico di coscienza è invaso da uno stato che non corrisponde al mondo della percezione, da oggetti che nulla hanno a che vedere con gli oggetti che percepisco quotidianamente. Gli stati che sorgono durante la mia veglia mi mettono alla presenza del fatto che, simultaneamente al livello di veglia, stanno operando altri livelli. Anche questa è compresenza del lavoro degli altri livelli, simultaneamente al lavoro di un determinato livello.
In questa coscienza singolare esistono anche alcuni meccanismi astrattivi ed associativi. Anche la capacità di astrarre della coscienza aumenta al livello vigilico. Diciamo che, in generale, in veglia la reversibilità aumenta, aumenta l’operatività dell’attenzione, aumenta l’ordine degli avvenimenti nel tempo e aumenta, infine, il lavoro di astrazione della coscienza. In dormiveglia ed in sogno tutti i meccanismi precedentemente descritti diminuiscono il proprio livello di lavoro e insieme diminuisce anche la capacità di astrazione. Mano a mano che si diminuisce di livello diminuisce la capacità di astrazione e si può astrarre meno. Quando si ha sonno si effettuano meno operazioni matematiche e pochissime quando si dorme: ma, mano a mano che si abbassa il livello di coscienza, la capacità associativa aumenta. Alla base dello stato di veglia c’è anche l’associazione, però la veglia è specializzata nei meccanismi astrattivi. Parlando dell’immaginazione, diremo che il suo lavoro si manifesta nel mettere in moto i meccanismi associativi. Abbiamo dimostrato l’esistenza di un’immaginazione spontanea, per così dire, semplicemente associativa, e un’immaginazione guidata. È molto diverso associare cose disordinatamente o mettere in relazione avvenimenti differenti così come fa, per esempio, un romanziere, che scrive “Capitolo primo”, “Capitolo secondo” e ordina così la propria immaginazione. L’immaginazione spontanea, disordinata ed associativa, è molto diversa dall’immaginazione che ordina tutte le associazioni che sono venute in mente; chiamiamo questa seconda “immaginazione guidata”. L’arte lavora molto con questo genere d’immaginazione.
Esistono importanti distinzioni tra le operazioni astrattive e le operazioni immaginative. Quelle astrattive hanno una logica maggiore e ordinano il mondo dei dati, mentre l’immaginazione non si occupa di ordinare bensì lavora con immagini che funzionano secondo associazioni e che vanno da uguale ad uguale, o da simile a simile. È questa una via che chiameremo di “similitudine”. Una similitudine è, per esempio, l’associazione “rosso-sangue”. Per “contiguità”, o prossimità, si può associare “ponte-fiume”, mentre per contrasto si possono associare “bianco-nero”, “alto-basso” e così via. L’immaginazione divagatoria si caratterizza per l’associazione libera, priva di guida, in cui le immagini si liberano e s’impongono alla coscienza soprattutto nei sogni e negli insogni. Nell’immaginazione guidata, invece, esiste una certa libertà operativa della coscienza nel suo livello di veglia, ipotizzando una direzione intorno ad un piano d’inventiva in cui ci interessi formalizzare qualcosa di ancora inesistente. Immaginiamo che qualcuno segua un piano, si dica “Voglio scrivere su questo argomento” e liberi l’immaginazione ma sempre seguendo, più o meno, il piano.
A seconda che gli impulsi che arrivano alla coscienza siano elaborati da uno o l’altro dei meccanismi segnalati, vale a dire dai meccanismi di astrazione o da quelli di associazione, si otterranno distinte traduzioni che si formalizzeranno in distinte rappresentazioni. Normalmente, i lavori astratti hanno poco a che vedere con l’immagine. Invece, quando si liberano i meccanismi associativi, la base del lavoro è l’immagine. Questo tema, l’immagine, ci porta ad affrontare problemi di somma importanza.

 

Spazio di rappresentazione.

Alcuni psicologi hanno creduto di vedere nell’immagine una brutta “copia” della percezione e, in definitiva, un errore della coscienza. Per noi l’immagine adempie numerose funzioni. Una delle più importanti funzioni dell’immagine è portare impulsi all’apparato di risposta. Ecco perciò che, quando sorge un’immagine, tende a mettersi in moto una risposta, mentre quando sorge un’astrazione non necessariamente si mette in moto una risposta. Quel che succede con “le cose che immagino” è che porto impulsi dalla rappresentazione all’apparato di risposta. Vediamo tutto ciò ricorrendo all’esempio della “tonicità muscolare”. Se immagino un oggetto a destra del mio corpo, poco a poco il mio corpo tenderà ad orientarsi in quella direzione. Se lo immagino a sinistra succederà lo stesso, ma nell’altra direzione. È più facile che la mano si muova in direzione dell’oggetto pensato, più difficile nella direzione opposta. L’immagine sta dunque predisponendo il lavoro del centro motorio in una direzione o in un’altra.
Sviluppiamo questo concetto. Una persona, in casa propria, sente fame: immediatamente va al frigorifero. Chiunque affermerebbe che la risposta scatta davanti allo stimolo. Com’è facile! Ma come accade che allo “stimolo-fame” corrisponda la “risposta-andare al frigorifero”? Perché, per fare un esempio, quando una persona ha fame non va al bagno? Come fa la persona in questione a far apparire il frigorifero e non far apparire il bagno? Sicuramente è successa una cosa molto veloce, che la persona non è nemmeno riuscita a visualizzare ma che ha agito. È veramente importante comprendere la funzione adempiuta dall’immagine, perché è quest’ultima a preparare il tono corporeo e a muovere infine il corpo in una determinata direzione. Quando diciamo che “l’immagine porta con sé cariche psichiche a livelli fisici” siamo molto lontani da ciò che pensavano gli psicologi che ritenevano l’immagine una percezione degradata. Facciamo un parallelo tra il lavoro delle immagini e quello dei globuli rossi. Questi globuli del sangue arrivano ai polmoni e si caricano d’ossigeno; da lì passano, immettendosi nel flusso sanguigno, a rilasciare l’ossigeno nei vari punti del corpo; nel farlo si caricano di gas impuri e tornano ai polmoni per liberarsi del nuovo carico assorbito. Analogamente queste connettive del lavoro psichico (le immagini) assumono cariche da una parte, le portano ad un’altra, le scaricano e tornano ad assumerne di nuove e, così facendo, compiono il trasferimento dell’energia psicofisica. Le immagini trasferiscono impulsi che a volte sono tensioni, a volte irritazioni, a volte ancora sono dati di percezione e a volte dati di memoria. Questi impulsi si traducono in immagini che, nel manifestarsi, si lanciano verso i centri di risposta. A questo punto i centri si mettono in moto difendendo il corpo e provocandone la fuga ovvero facendolo avvicinare alle fonti del piacere, ed è grazie a queste immagini che i registri di ciò che è piacevole e ciò che è doloroso possono trasformarsi in attività del corpo. Ma questo succede anche con ciò che è piacevole e con ciò che è doloroso nelle stesse attività della mente. Alcune immagini adempiono la funzione di scaricare tensioni nella rappresentazione grazie alla funzione d’evocazione di oggetti o situazioni piacevoli che siano utili all’economia dello psichismo. Tali immagini tendono sempre a farsi strada e, nel farlo, incontrano resistenze. Più precisamente ci sono certe immagini che s’impongono ossessivamente perché non riescono a farsi strada. Naturalmente esistono procedimenti per permettere all’immagine di farsi strada e manifestarsi verso il centro in questione, il che ci fa vedere chiaramente la funzione catartica dell’immagine. L’immagine poi si trasforma in parole, per esempio, e grazie alle parole alcune tensioni si scaricano o continuano a trasformarsi a mano a mano che si spostano verso i centri. Quanto al resto abbiamo non solo la funzione “catartica” (il trasferimento di carica dell’immagine) ma anche quella “transferenziale”, tipica dell’immagine nel momento in cui si distacca dal campo d’impulsi che la motivò.
Domandiamoci: com’è possibile che nel livello di sonno le immagini, che sono così potenti, non muovano il corpo? Esse dovrebbero, per tonicità, muovere il corpo più che in veglia. Se a mano a mano che scende il livello aumentano le immagini, allora durante il sogno, il corpo dovrebbe muoversi ancora di più. Tuttavia è normale che, durante il sogno, il corpo non si muova seguendo le immagini. Opera in questo caso un meccanismo di blocco che può essere rintracciato fisiologicamente; un meccanismo che, quando il livello della coscienza scende, agisce tagliando la connessione con il lavoro del centro motorio. Allora le immagini sorgono ma la scarica non avviene e il corpo non si muove.
Quando parliamo di immagini non stiamo parlando solamente delle immagini visive: ciascun senso produce il proprio genere d’immagine e, grazie a ciò, si può avere una rappresentazione dei fenomeni olfattivi, dei fenomeni gustativi, uditivi e così via. Normalmente, soprattutto all’interno di questo tipo di cultura e con questo tipo di educazione, le immagini sono associate a qualcosa di visivo. Ma potete provare, in voi per primi, di poter rappresentare odori o ricordare voci senza che ciò dipenda direttamente dalla rappresentazione visiva. Ciò che ricordate relativamente all’olfatto, o al suono, accade da “qualche parte” della rappresentazione.           Naturalmente operate una distinzione, relativamente all’ubicazione del fenomeno di rappresentazione uditiva, tra il suono che arriva dall’esterno e il suono che voi stessi rappresentate o immaginate. Quest’ultimo non solo è “dentro” (e ciò già gli delimita uno spazio di rappresentazione) ma, inoltre, questo “dentro” è situato in qualche “luogo”. Tale luogo non è necessariamente visto però è in ogni caso esperito e sentito. Poniamo che vi troviate, proprio ora, ad un concerto, con l’orchestra di fronte a voi. Chiudete gli occhi e fate molta attenzione a ciò che succede agli strumenti; ascoltate uno strumento alla vostra sinistra, poi un altro a destra. Se fate attenzione a ciò che fanno i vostri occhi vi accorgerete che quando ascoltate a sinistra essi si muovono verso sinistra, mentre quando ascoltate lo strumento di destra gli occhi si muovono verso destra. Così facendo non seguirete esattamente la musica quanto le fonti di emissione del suono, anche col movimento degli occhi. Da ciò potete inferire (come un ulteriore caso di tonicità) che laddove l’attenzione si dirige ad un fenomeno, quand’anche esso non sia visivo, gli occhi andranno in quella direzione. In questa maniera, sebbene l’occhio nulla abbia a che vedere con la musica, sebbene l’occhio nulla abbia a che vedere con il suono, ciò nondimeno esso segue nello spazio gli stimoli che via via arrivano all’orecchio. Non solo: si definisce un suono come “alto” o “basso”, perché (se osservate ciò che accade con la rappresentazione di quei suoni e osservate il registro del movimento dell’occhio) potete provare come l’occhio, a mano a mano che i suoni si fanno più acuti, tenda a muoversi verso l’alto, mentre, a mano a mano che i suoni diventano gravi, l’occhio tende a muoversi verso il basso. Apparentemente non esiste una connessione tra l’occhio e l’orecchio: ma, siccome tutti i sensi producono una propria rappresentazione e questa rappresentazione avviene in uno spazio mentale, tale spazio crea un ambito all’interno del quale trovano posto tutte le rappresentazioni provenienti da differenti fonti percettive. Questo spazio altro non è se non l’insieme delle rappresentazioni interne del sistema cenestesico stesso. Ne risulta che lo spazio mentale è una sorta di schermo che riproduce gli impulsi propri della cenestesia, perciò ogni fenomeno di percezione che arrivi all’apparato di coordinazione si situa in qualche punto dello schermo di rappresentazione. Questo spazio non si sviluppa unicamente su due piani perché ha pure profondità e volume, oltre a riprodurre, approssimativamente, il corpo stesso. Si tratta di un “corpo” di rappresentazione o, se vogliamo, di un “trasfondo referenziale spaziale”.
Se torniamo all’orchestra precedentemente portata ad esempio, forse ricorderete la musica e l’ubicazione “spaziale” in cui erano stati situati i differenti strumenti e i differenti suoni e potrete verificare anche come, nell’atto di ricordare, l’occhio si muova in cerca della fonte generatrice del “suono”, localizzando i “luoghi” donde tale “suono” proviene. Quando si ricordano suoni “lontani e di fronte” li si situa in una profondità dello spazio differente da quella legata ai ricordi dei suoni definiti come “vicini e di fronte”, e questa gradazione delle distanze interne è accompagnata da un adattamento dell’occhio, come se questo stesse effettivamente percependo fenomeni del mondo esterno. Questi termini, “lontano” e “vicino”, uniti alle posizioni “di fronte” e “alle spalle”, “destra” e “sinistra”, “sopra” e ”sotto” ci mostrano chiaramente la volumetria dello spazio di rappresentazione. Se tale spazio ha perlomeno tre dimensioni, allora qualsiasi fenomeno (sia tattile, gustativo od olfattivo) avrà la possibilità di situarsi in altezza, larghezza e profondità. È questa profondità dello spazio di rappresentazione a permetterci di situare i fenomeni relativamente al mondo interno oppure a quello esterno.
A questo punto è necessario precisare che la “barriera” che separa il mondo “interno” da quello “esterno” è il tatto, sdoppiato rispettivamente fra tatto interno ed esterno. Un’ubicazione rilevante della “barriera tattile” è esattamente nel viso: qui, in poco spazio, si trova concentrata la maggior parte dei sensi esterni.
Esiste, dunque, un sistema di gradazione nel sistema di rappresentazione che permette di ubicare i fenomeni a partire dalla fonte donde provengono e, inoltre, di distinguere in certa misura tra il mondo della cenestesia e il mondo dei sensi esterni. Grazie all’esistenza di questo spazio di rappresentazione, un sistema d’impulsi arriva alla coscienza e si traduce in immagine, tale immagine si traduce nuovamente provocando l’attività di un centro e quest’ultimo si attiva in direzione d’una determinata area e profondità di detto spazio. D’altra parte anche del lavoro del centro si ha una percezione che a sua volta genera un’immagine corrispondente e così, in un circuito di retroalimentazione, si va mettendo a punto l’attività.
Se la rappresentazione interna si situa a livello dei fenomeni cenestesici, le immagini che si convertono in risposte mettono in moto fenomeni ai livelli cenestesici. Se la rappresentazione si manifesta nelle gradazioni proprie delle attività esterne, allora queste metteranno in moto i centri in direzione dell’esterno. Naturalmente possono darsi numerosi errori nel situare un’immagine ad un determinato livello di rappresentazione; sarebbe perciò interessante avere a disposizione procedimenti che permettessero di spostare l’immagine (che è alla base della risposta) verso il punto adeguato dello spazio  di rappresentazione interno.
Lo spazio di rappresentazione assume differenti caratteristiche a seconda che stia agendo un livello di coscienza o un altro. È diverso quando un fenomeno sorge nello spazio di rappresentazione a livello di veglia o di sonno. Quando vedete voi stessi in un sogno vi situate in un certo punto dello spazio, differente da quello in cui vi situate nel ricordare un fenomeno. Nel primo caso vi vedrete inclusi, come immagine, all’interno di quello spazio, ma osservandovi da un punto di vista esterno (vale a dire che vi vedete da “fuori”). Nel secondo riconoscerete il fenomeno all’interno dello spazio di rappresentazione e lo osserverete a partire da voi stessi (vale a dire che il vostro punto di vista è “fuori”, come nel caso precedente, ma non vedendovi da un punto di vista esterno bensì vedendo l’oggetto a partire da voi stessi, proprio come se guardaste con i vostri occhi, riconoscendo l’oggetto incluso nello spazio di rappresentazione). Se assumete il punto di vista “esterno”, lo spazio interno sembrerà un contenitore e l’immagine di voi stessi sembrerà contenuta in quello spazio. In questo caso le conseguenze della traduzione in movimento dell’immagine saranno diverse dal caso in cui voi siate “esterni” e come punto di vista e come immagine (giacché, guardando a partire da voi stessi, voi sarete il contenitore e l’oggetto osservato sarà il contenuto).
La prima cosa accade nei sogni. Osservandovi all’interno dello spazio di rappresentazione che cosa mettete in moto? Mettete in moto l’immagine di voi stessi. Ma ciò è molto diverso se non state vedendo voi stessi bensì il fenomeno incluso in tale spazio. Perciò, sebbene esistano spiegazioni fisiologiche sulla disconnessione della motricità che scatta quando i livelli di coscienza scendono, esistono certamente registri psicologici che permettono di comprendere come, proprio nei sogni, la messa in moto d’immagini in direzione del mondo si paralizzi, perché il registro che il soggetto ha di stesso è osservato da un punto di vista esterno e, perciò, è incluso nello spazio interno. Dobbiamo sottolineare nuovamente che i registri cui abbiamo fatto riferimento, relativi alla propria immagine ed al punto d’osservazione, non devono essere necessariamente considerati come immagini visive. Nelle persone non vedenti dalla nascita, come esse stesse spiegano, non compaiono rappresentazioni visive; eppure ricordano, senza alcun dubbio molto bene, fenomeni uditivi, fenomeni gustativi e d‘altra natura. Non hanno bisogno d’immagini visive. Sia come sia, in queste persone le rappresentazioni degli altri sensi sembrano essere situate in termini di spazio.
A questo punto sarà bene fare alcune osservazioni sulla strutturazione della coscienza e dello spazio di rappresentazione, nonché su alcuni errori che intervengono nel suo funzionamento. A seconda che gli impulsi che arrivano alla coscienza siano elaborati da uno o dall’altro meccanismo d’astrazione, classificazione, divagazione o immaginazione guidata si otterranno differenti traduzioni che daranno forma a molteplici rappresentazioni. Quanto agli errori nel lavoro della coscienza, possiamo considerarli differenti dagli errori che avvengono nella relazione tra coscienza, sensi e memoria, errori che chiamiamo semplicemente “disfunzioni”. L’allucinazione, per esempio, non è una disfunzione bensì un errore del coordinatore: si genera quando compaiono rappresentazioni “proiettate” o percepite “all’esterno” della coscienza e le si sperimenta come oggetti o situazioni reali e situati nel mondo esterno, con caratteristiche proprie dei fenomeni che si percepiscono sensorialmente. In questo senso, tutti i fenomeni che si producono ai livelli di sogno e dormiveglia attivo sono fenomeni allucinatori, per via del registro di realtà fortemente suggestiva che si presenta all’osservatore il cui punto di vista è “fuori” dalla scena in modo simile a quello in cui lo è in stato di veglia.
Le allucinazioni (in stato di veglia) sono configurazioni operate dalla coscienza sulla base della memoria. In genere sorgono in situazioni di stanchezza estrema, per carenza di stimoli, durante determinate malattie ed in situazioni in cui si corre pericolo di morte. Sono frequenti in caso di debolezza fisica e di coscienza emozionata (caso che affronteremo più avanti), in cui il coordinatore perde la propria facoltà di situarsi nel tempo e nello spazio.
Tra le disfunzioni della coscienza relative ai sensi possiamo menzionare l’incapacità di mettere in rapporto dati così come il confondere i dati provenienti da una via con quelli provenienti da un’altra.
Le disfunzioni della coscienza relative alla memoria sono numerose e accadono a differenti livelli di coscienza. Si può affermare che i differenti livelli adempiano la funzione di compensare la massa d’informazioni fornendo, occasionalmente, risposte strutturanti o risposte compensatorie, il che ci porta a ritenere che un fenomeno, se cade nel campo di un livello di coscienza, tenda immediatamente ad essere strutturato e messo in relazione con altri. Anche da quel livello si genera immediatamente una risposta compensatoria. Si tratta di livelli sottoposti a squilibri successivi per via dell’irruzione di nuovi fenomeni.
Al livello di sonno profondo il lavoro dei sensi esterni è minimo. Dall’ambiente esterno non giunge altra informazione se non quella che supera la soglia stabilita dal sonno stesso. Il lavoro del senso cenestesico, qui predominante, apporta impulsi che sono poi tradotti e trasformati dal lavoro dei meccanismi associativi dando luogo alla nascita di immagini oniriche, le immagini del sogno. A questo livello le caratteristiche delle immagini sono il loro grande potere di suggestione e la loro grande capacità ipnotica. Il tempo psicologico e lo spazio ne risultano modificati rispetto alla veglia. La strutturazione atto-oggetto appare frequentemente priva di corrispondenza tra i suoi elementi. Si cerca un determinato oggetto e ne sorge un altro che completa la ricerca in un modo straordinario. Nella stessa maniera, in genere, climi e situazioni si rendono indipendenti gli uni dagli altri, cosicché gli atti di coscienza, ai differenti livelli, non coincidono con gli oggetti della coscienza come accade in stato di veglia. Inoltre le cariche che accompagnano le rappresentazioni del livello di sonno profondo si rendono indipendenti dagli oggetti con i quali, in stato di veglia, manterrebbero un legame più stretto. Tipica, nel sogno, la scomparsa di critica e autocritica, meccanismi che invece aumentano la propria attività a mano a mano che il livello di coscienza aumenta.
L’inerzia dei livelli e l’ambito in cui si situano i fenomeni fanno sì che la mobilità e il passaggio da un livello all’altro avvenga in maniera progressiva e più o meno lenta, in modo da avere una certa continuità. Così l’entrata e l’uscita dal sonno avverranno passando per il dormiveglia; il passaggio diretto dalla veglia al sonno, privo di registri minimi del passaggio per livelli intermedi, è un caso molto straordinario. Quando una persona esce dal livello di sonno svegliandosi con una sorta di alterazione è perché, in quello stato di veglia, sta operando l’inerzia della precedente fase di dormiveglia, che trascina con sé i contenuti del momento precedente.
Nel livello di dormiveglia che precede la veglia i sensi esterni cominciano ad inviare informazione alla coscienza, informazione non completamente strutturata perché sono presenti pure l’interferenza di attività di insogno e di forti registri cenestesici. I contenuti del sogno perdono potere di suggestione anche quando continuano a comparire, il che è dovuto ad una sorta di semi-percezione vigilica che già dà nuovi parametri, nuovi riferimenti. La capacità di suggestione continua ad agire, soprattutto nel caso di alcune immagini molto vivide cui diamo il nome di “immagini ipnagogiche”. D’altra parte, riappare il sistema di insogni intermittenti. È a questo livello che il nucleo di insogno e gli insogni secondari sono più facilmente registrabili, per lo meno nei loro climi e tensioni fondamentali. Il livello di dormiveglia ha caratteristiche differenti a seconda che agisca in pre-sonno (trascinando contenuti della veglia) o in post-sonno (trascinando contenuti onirici). Si può anche osservare il caso di uno stato alterato di coscienza che si verifica solamente in determinate condizioni. Il modo di insognare proprio di questo livello (stiamo parlando ancora del dormiveglia) in genere si trasferisce alla veglia per inerzia, fornendo la materia prima per la divagazione, sebbene anche in questa compaiano elementi di percezione vigilica. Sicuramente nel trasferimento da un livello all’altro lo spazio di rappresentazione si modifica, così come si modifica la collocazione che il soggetto opera di se stesso in questo spazio. In questo ambito il coordinatore può già effettuare alcune operazioni coerenti. Ricordiamo anche come questo livello sia estremamente instabile e, perciò, facilmente soggetto a squilibri e alterazioni. Sempre qui troviamo gli stati di dormiveglia passivo ed attivo. Quello passivo offre un facile passaggio al sonno, come se il soggetto si lasciasse semplicemente “cadere”, e corrisponde ad un sistema di progressivo rilassamento. Parliamo invece di dormiveglia attivo quando il dormiveglia si sta predisponendo in direzione della veglia. Questo stato può diventare “alterato” quando si passa ad una “falsa veglia” perché il sistema di relazioni si è connesso al mondo esterno, ma senza abbandonare il sistema d’ideazione del dormiveglia.
In stato di veglia i sensi esterni apportano un maggior flusso d’informazione che regola, per inibizione, i sensi interni e rende possibile che il coordinatore si orienti verso il mondo nel lavoro di compensazione dello psichismo. Entrano qui in gioco i meccanismi d’astrazione, i meccanismi di critica ed autocritica, che si manifestano e intervengono ai gradi più alti nei compiti di coordinamento e registrazione. I meccanismi di reversibilità, che ai livelli precedenti si manifestavano a livello minimo, possono qui operare ampiamente. La suggestione dei contenuti infravigilici diminuisce a mano a mano che cresce il sistema di riferimenti basato sui dati esterni. Esiste un tono di veglia attiva che può essere attenta, con un massimo controllo dell’appercezione, e un tono di veglia alterata. Anche la veglia passiva può essere attenta o alterata. In quest’ultimo caso appaiono la divagazione silenziosa e gli insogni più o meno fissi.
Esistono numerose relazioni tra livelli che producono alterazioni reciproche. Non è possibile che un livello agisca su un altro, che si dia un trasferimento di carica da un livello ad un altro, senza che tale livello ne risulti influenzato. Qualsiasi livello agisca su un altro ne è, a propria volta, influenzato. Possiamo nominare per lo meno quattro fattori che incidono nella relazione tra livelli. Uno lo chiameremo “inerzia”, l’altro “rumore”, l’altro ancora “rimbalzo” e l’ultimo “trascinamento”. Parliamo un po’ dell’inerzia. Ciascun livello di coscienza cerca di mantenere il proprio livello di lavoro, mantenendosi in attività fino a terminare il proprio ciclo. Abbiamo già parlato, a suo tempo, di come tutto ciò sia, in generale, sottoposto a cicli. È chiaro: lo stato di veglia cerca di mantenersi in stato di veglia per un ciclo completo e per un tempo più o meno adeguato. È questo il tempo in cui le persone realizzano le proprie attività quotidiane. Quando la fatica aumenta (non solamente quella muscolare quanto quella profonda) vorrà dire che il ciclo di veglia sta cadendo: ma, fino a quel momento, in piena veglia, quello stato tenterà di mantenersi.

I casi che stiamo per affrontare sono conseguenze dell’inerzia strutturale di ciascun livello, che tende a mantenere ed estendere il proprio tipo di articolazione caratteristica. Il caso del “rumore” si verifica quando l’inerzia del livello precedente compare come perturbazione di fondo nel lavoro del livello superiore. L’inerzia del dormiveglia compare come perturbazione di fondo dello stato di veglia cui il soggetto è pervenuto svegliandosi. Tra i rumori possiamo distinguere i climi emotivi, le tensioni e i contenuti non corrispondenti al lavoro che il coordinatore sta svolgendo in quel momento. L’”effetto rimbalzo” nasce come risposta di un livello in cui si siano introdotti contenuti d’un altro livello, superando o arrivando a toccare le difese dell’inerzia. Può perciò esistere un contenuto che si trasferisce e che, arrivando ad un determinato livello, trova forti resistenze, vale a dire le “difese del livello”. Diciamo allora che il contenuto “rimbalza”, cioè torna al suo campo originario. A volte contenuti, climi e toni propri di un livello si trasferiscono e permangono ad un altro livello come “trascinamenti”. Non è che permanga il livello di coscienza precedente; è che ciò che è stato visualizzato ad un livello permane, al cambiare del livello, come trascinamento. Coloro che si svegliano alterati dal sogno appena fatto sono già in pieno stato di veglia e mantengono le immagini del sogno o il clima in cui si è svolto il sogno; lo mantengono come trascinamento nello stato di veglia, e per un certo tempo.

L’autore utilizza questa parola nel testo originale.

Sul tema dello spazio di rappresentazione, vedi Psicologia dell’Immagine, in Silo, Opere Complete, Volume I, Multimage, Torino 2000.

 

Ci sono importanti casi di climi, tensioni o contenuti fissati nello psichismo che sono trascinati per lungo tempo e si presentano ai differenti livelli. Si tratta di casi di trascinamento non di un livello su un altro bensì di un contenuto fisso, che compare nei differenti livelli di coscienza e che può comparire con immagini differenti ma con lo stesso clima che gli è caratteristico. Stiamo parlando di trascinamento in senso molto generico.
Dobbiamo operare alcune distinzioni tra toni, climi, tensioni e contenuti. I “toni” vengono presi in esame relativamente all’intensità energetica. Le operazioni a ciascun livello possono essere effettuate con maggiore o minor intensità, con maggiore o minor tono e, a volte, un tono può trasformarsi in un fattore di rumore. Troppo volume in un’attività è sproporzionato rispetto al contesto delle altre attività. I climi, almeno nella lingua che parliamo da queste parti, sono sempre stati chiamati “stati d’animo”. I climi, per la loro variabilità, compaiono in maniera intermittente e per qualche tempo possono “coprire” la coscienza, influendo su tutte le sue attività. Dobbiamo differenziare questi stati d’animo, ricchi di una forte carica emotiva, dalle operazioni emotive che accompagnano tutto il funzionamento dello psichismo. Se lo stato d’animo, il sottofondo emotivo, è di disgusto in generale, qualsiasi oggetto capitasse in quel determinato campo assumerebbe le stesse caratteristiche di disgusto. I climi possono fissarsi nello psichismo e perturbare l’intera struttura, impedendo la mobilità e lo spostamento verso altri climi più opportuni. Tali climi fissati circolano attraverso i differenti livelli e così possono passare dalla veglia al sonno, proseguire in quest’ultimo, tornare alla veglia, ricominciare il giro e così per moltissimo tempo. Tutto ciò è molto diverso dal clima situazionale che compare in precise situazioni. Le “tensioni” hanno una radice più fisica, più corporea. Naturalmente tutto è corporeo, ma queste tensioni hanno una radice più “corporea” nel registro che se ne ha, giacché le percepiamo direttamente nella muscolatura. I climi, invece, si registrano in maniera diffusa. Il vincolo tra queste tensioni e lo psichismo non è sempre diretto, perché al rilassamento muscolare non s’accompagna direttamente un rilassamento mentale, al contrario: la coscienza può continuare a provare tensioni ed alterazioni anche quando il corpo è riuscito a rilassarsi. Tutto ciò è piuttosto importante se consideriamo i sistemi di scarica delle tensioni. In genere si crede che a una scarica fisica, muscolare, corrisponda sempre una distensione mentale, mentre a volte così non è. A volte si produce una curiosa contraddizione nel soggetto che sperimenta fisicamente questo scaricarsi delle tensioni e che, nonostante ciò, continua a registrare tensioni indefinite.
Dovremmo prendere in considerazione il modo in cui si integra il circuito esistente tra sensi, memoria, coordinatore, livelli e centri. Le connettive tra sensi, memoria, coscienza e centri rivelano aspetti importanti del funzionamento dello psichismo. Tali circuiti connettivi lavorano per interregolazione e sono appunto regolati uno con l’altro, adattandosi l’uno all’altro in dinamica continua, portando così ad un’autoregolazione completa di tutto lo psichismo. Quando il coordinatore compie un’appercezione della percezione, per esempio, l’evocazione risulta inibita. Il coordinatore in quel momento sta seguendo un oggetto di percezione e, fintanto che resterà concentrato su tale oggetto, i dati che la memoria somministra automaticamente restano bloccati. Certo si sosterrà che la memoria, in ogni caso, affinché il dato proveniente dalla percezione possa essere riconosciuto, somministra informazione: ma scompare l’evidenza delle operazioni effettuate dalla memoria, restando invece aperta la porta d’ingresso per la percezione, verso la quale si rivolge l’attenzione. Viceversa l’appercezione di memoria inibisce la percezione. Notate lo sguardo che si assume quando si evoca; chiunque tenderà a chiudere gli occhi e a diminuire l’attività dei sensi esterni. Fate ora caso, invece, a ciò che accade nelle menti perturbate, quando i processi che dovrebbero essere interregolati e compensati si mescolano. Ecco che, in questo caso, il soggetto sarà rapito in un mondo di evocazioni ed il suo sguardo diventerà fisso, vitreo, sbarrato, denunciando così una sorta di attività allucinatoria in cui quel che sta succedendo nel suo evocare è trasferito nel mondo oggettivo “coprendolo”, come se stesse ricevendo informazioni esterne.
Quando i sensi esterni sono in attività si frena l’entrata di stimoli interni, e viceversa. L’interregolazione maggiore compare nel momento in cui l’attività cambia di livello, quando, sprofondando nel sonno, si bloccano i meccanismi di reversibilità. Diminuisce il livello di coscienza, si bloccano i meccanismi di reversibilità; a quel punto si liberano, con forza, i meccanismi di associazione.
Anche tra i sensi esiste un’interregolazione automatica. Quando la vista allarga la propria soglia media il tatto, l’olfatto e l’udito diminuiscono; la stessa cosa accade tra gli altri sensi. Chiudiamo gli occhi per sentire meglio e così via.
Quanto allo spazio di rappresentazione, nel quale prendono vita immagini provenienti da sensi differenti, avvengono qui fenomeni molto interessanti. A mano a mano che il livello di coscienza scende lo spazio di rappresentazione aumenta di dimensione, diventa “volumetrico”. Ciò accade perché, a mano a mano che il livello di coscienza scende, il registro dei sensi esterni diminuisce e aumenta il registro cenestesico interno. Perciò: a mano a mano che si scende di livello, via via che aumenta il registro dei segnali di tutto l’intracorpo, aumenta anche la traduzione della configurazione volumetrica dello spazio mentale, che acquista dimensione ed ampiezza; mentre, a mano a mano che il livello di coscienza sale, i segnali provenienti dalla cenestesia si spengono, diminuiscono ed iniziano i raffronti tra dati provenienti dalle operazioni mentali e dati provenienti dai sensi esterni. Per riassumere: salita del livello di coscienza significa “appiattimento dello spazio di rappresentazione” e mancanza di registro delle altre configurazioni che si compiono a livelli più profondi.
Naturalmente lo spazio di rappresentazione agisce anche in pieno stato di veglia; ma, invece di assumere volume, questo spazio si “spiana”, marcando le differenze nella rappresentazione dei fenomeni interni e dei fenomeni esterni. Ad ogni modo, però, ha anche una sua profondità. Quando, in pieno stato di veglia, mi rappresento un fenomeno che sta alle mie spalle, lo rappresento in una sorta di spazio mentale che in questo caso include la parte posteriore della mia testa, sebbene lì non ci siano occhi. Siccome gli occhi e gli altri sensi esterni sono situati sulla superficie anteriore ed esterna del corpo, quando compare un tipo di rappresentazione come quella appena citata (vedere qualcosa che mi sta alle spalle) possiedo riferimenti utili a tracciare le differenze tra fenomeni di percezione, esterni, e fenomeni di rappresentazione, interni. Ciò non accade quando si scende di livello e si osserva il fenomeno in qualsiasi direzione, perché i registri cenestesici provengono da tutte le direzioni. Perciò posso vedere me stesso, come accade nei sogni, dall’esterno, come se stessi percependo dai registri che ho in diverse parti dello spazio di rappresentazione se osservo le rappresentazioni all’interno di uno spazio differente da quello vigilico (a livello del sogno), tali contenuti sembreranno esterni a chi osserva, giacché (come punto di vista) chi osserva si trova entro i limiti dello spazio di rappresentazione e funge da “contenitore” degli oggetti rappresentati. Succede però che la persona stessa (come rappresentazione) possa stare all’interno dello spazio in questione ed essere osservata dai limiti del contenitore. Naturalmente questo “se stesso” può essere rappresentato in maniere differenti: come immagine visiva o come somma di registri non visivi. A livello vigilico si osserva il mondo esterno come non incluso nello spazio di rappresentazione; “se stesso” sarà allora identificato con il punto di vista che appare nell’altro estremo della relazione, rimanendo escluso dal mondo da cui provengono le percezioni, tranne che nei casi di allucinazione in veglia, quando lo spazio di rappresentazione si modifica e i contenuti interni sono “proiettati” verso il mondo esterno e considerati, di conseguenza, alla stregua di percezioni provenienti dai sensi esterni. A sua volta, se questo accade, è perché i meccanismi di reversibilità si sono bloccati e il livello di coscienza s’è alterato.

 

Impulsi: traduzione e trasformazione.

  • Morfologia degli impulsi: segni, simboli e allegorie.

 

Gli impulsi provenienti dai sensi e dalla memoria che arrivano al coordinatore sono trasformati in rappresentazioni, in immagini. La coscienza elabora tali strutture di percezione e reminiscenza al fine di elaborare risposte efficaci nel suo lavoro di equilibrare gli ambienti esterno ed interno. Mentre un insogno è un’immagine-risposta all’ambiente interno della coscienza, uno spostamento motorio è un movimento-risposta all’ambiente esterno dello psichismo, e anche questo spostamento è operato attraverso immagini. Nel caso delle ideazioni intellettuali portate a livelli segnici, contiamo su un altro tipo di immagine-risposta, che adempie funzioni di comunicazione: è il caso del linguaggio. Ma sappiamo anche che esistono determinati segni ed idee pure, astratte, che tornano all’interno dello psichismo.
D’altra parte, qualsiasi rappresentazione sorga nel campo di presenza del coordinatore suscita catene associative tra l’oggetto presentato e la sua compresenza. Così, mentre l’oggetto è colto con molta precisione nel campo della presenza, in quello della compresenza compaiono relazioni con oggetti non presenti ma vincolati all’oggetto in questione e che giocano un ruolo fondamentale nella memoria.
Il tema degli impulsi è importante per la forma particolare che il coordinatore ha di elaborare le rappresentazioni, operando su due percorsi: per via astrattiva, riducendo la molteplicità fenomenica ai suoi caratteri essenziali, perché un’attività astrattiva esiste che si tratti dei fenomeni del mondo esterno o di quelli del mondo interno, oppure per attività associativa. Le rappresentazioni si strutturano per similitudine, contiguità, contrasto e altre forme, minori, stabilendo ordinamenti differenti secondo il livello in cui operano.
Partendo da queste due vie, astrazione ed associazione, la coscienza organizza immagini all’interno di uno spazio di rappresentazione. Tali immagini sono nessi tra la coscienza che le forma e i fenomeni del mondo oggettuale (interno ed esterno) cui sono riferiti. Tra il mondo oggettuale e la coscienza non esisterebbe comunicazione senza questi fenomeni che, partiti come impulsi da alcuni dei percorsi generatori di tali immagini, si vanno a situare nello spazio di rappresentazione al livello corrispondente ed effettuano un’emissione di segnale sul centro corrispondente affinché il segnale, trasformato, si manifesti nel mondo esterno od interno.
Prima di arrivare alla coscienza, prima di giungere a quegli apparati astrattivi ed associativi, gli impulsi si vedranno fortemente tradotti e trasformati secondo le condizioni sensoriali prima e, successivamente, secondo il lavoro dei livelli di coscienza. Stiamo affermando che gli impulsi partiti dall’apparato sensoriale ed arrivati alla coscienza, coscienza in cui aprono o la via astrattiva o quella associativa, che questi impulsi possono, già prima di arrivare alla coscienza, essere trasformati o tradotti e, nell’essere trasformati o tradotti, aprire le differenti vie con informazioni non esattamente corrispondenti al dato arrivato al senso. La stessa cosa accade con dati che, provenienti dalla memoria, aprono le vie associativa od astrattiva nella coscienza ma che, prima di arrivare ad essa, hanno subito traduzioni e trasformazioni.
Poniamo l’accento ancora una volta su come da ciascun senso scaturiscano impulsi che presto si tradurranno in immagini corrispondenti, sebbene tali immagini non siano visive (salvo, naturalmente, quelle proprie della vista). Tutti i sensi lanciano un’emissione sensoriale che si traduce in un’immagine corrispondente al senso: immagini uditive, immagini tattili, cenestesiche, eccetera. In questo modo gli impulsi cenestesici produrranno immagini, ma i fenomeni di traduzione e trasformazione complicheranno le cose, a tal punto che compariranno immagini corrispondenti ad un senso quando, in realtà, tali immagini sono il risultato d’impulsi di un altro senso. Ecco che, per esempio, un dato cenestesico interno arriva alla coscienza e apre una via associativa od astrattiva ma, nell’arrivare alla coscienza, questo dato appare o si configura come immagine visiva mentre, in realtà la sua fonte principale è stata cenestesica. La cenestesia non informa mediante dati visivi, ma tuttavia si è verificata una traduzione dell’impulso, giunto poi alla coscienza. Del dato, che inizialmente era cenestesico, compare ora una rappresentazione visiva, uditiva o d’altro tipo. Seguire l’impulso in questione è molto difficile, precisamente per via di queste trasformazioni che intervengono strada facendo. Tutto ciò ha impedito a chi si occupa di questi temi di comprendere quale sia il funzionamento dell’apparato psichico, come funzioni la mobilità di un impulso, come sia la sua trasformazione, come avvenga la sua traduzione e quale sia la sua espressione ultima, tanto lontana dalle condizioni che la originarono.
Il problema del dolore acquisisce un’altra valutazione se comprendiamo ciò che produce dolore in un determinato punto e che può essere illusoriamente trasformato e tradotto per poi sperimentare nuove deformazioni al momento dell’evocazione. Quanto alla sofferenza, che è altro dal dolore, valgono le medesime considerazioni, poiché gli impulsi, nel trasformarsi in immagini non corrispondenti, metteranno in moto risposte anch’esse non corrispondenti agli impulsi iniziali della sofferenza. Ecco dunque che il problema del dolore e quello della sofferenza, considerati semplicemente come sensazioni, hanno una propria meccanica ma, siccome gli impulsi arrivano alla rappresentazione deformati e trasformati, è necessario ricorrere al lavoro dell’immaginazione per comprenderli nella loro totalità. Di conseguenza non basta spiegare il dolore semplicemente come sensazione: è necessario comprendere come questa sensazione, dolorosa o sofferente, si trasforma e traduce grazie sia all’immaginazione sia ai dati che provengono dalla memoria. Per concludere, numerose sofferenze non esistono in alcun luogo se non nelle immagini tradotte e trasformate dalla mente.
Parliamo ora degli impulsi prodotti in modo caratteristico nella coscienza, dopo aver preso strade particolari da noi conosciute come astrattive ed associative. Questi impulsi nella coscienza potrebbero aprire altri canali, ma noi ci occuperemo solamente di questi due.
Gli impulsi, nell’arrivare alla coscienza, si strutturano in modo caratteristico: questa strutturazione dipende, tra l’altro, dal livello di lavoro in cui si trova la coscienza in quei momenti. Le immagini che in seguito si producono saranno state strutturate in modo caratteristico. A queste strutturazioni create dagli impulsi diamo, generale, il nome di “forma”. Se si pensa alle forme come entità separate dal processo psicologico si può arrivare a considerarle dotate di un’esistenza propria e a credere che le rappresentazioni vengano a riempire quelle forme. In realtà, le forme sono ambiti mentali di registro interno, che permettono di strutturare fenomeni differenti. Quando parliamo della “forma” di un fenomeno interno della coscienza stiamo facendo riferimento alla particolare struttura che tale fenomeno ha. Non parliamo di “forme” indipendenti bensì di come tali fenomeni si strutturano. Il linguaggio comune esprime tutto ciò in modo molto semplice: “Le cose sono organizzate in una forma speciale”, dice la gente. “Le cose si fanno in una determinata forma, in una determinata maniera.” A questo ci riferiamo quando parliamo di forma e, una volta che le immagini sono già partite dalle vie associative o astrattive, possiamo identificare le forme con tali immagini.
Possiamo, per esempio, parlare di forme come strutture di percezione. Ciascun senso ha la sua forma per strutturare i dati. La coscienza poi strutturerà quei dati con forme caratteristiche, corrispondenti alle differenti vie. Di un medesimo oggetto, per esempio, si possono avere forme differenti, secondo i canali di sensazione usati, secondo la prospettiva relativa all’oggetto in questione e secondo il tipo di strutturazione che la coscienza opera. Tutte le forme che si hanno di uno stesso oggetto possono farcelo sembrare quasi diverso da esso stesso, come se si trattasse di oggetti differenti, a seconda che l’oggetto in questione si percepito, per esempio, dall’udito o dall’occhio. Apparentemente si tratta di oggetti diversi, perché è diversa la strutturazione che si opera dei dati provenienti da quell’oggetto.
Nell’apprendimento c’è un problema particolare perché, a mano a mano che ci si avvicina ad ottenere un’immagine totale dell’oggetto, bisogna far corrispondere forme percettuali differenti. Ecco perciò che mi stupirò nell’ascoltare il suono di un oggetto che non coincide con l’immagine (uditiva) che mi sembrava dovesse corrispondergli. Ho tenuto quell’oggetto tra le mani, ne ho avvertito il peso, l’ ho osservato con la vista: ma, quando l’oggetto cade a terra, produce un suono che mai avrei immaginato. Come faccio, allora, per far sì che dati sensoriali (uditivi, tattili, olfattivi e così via) strutturati in maniera tanto differente possano corrispondere alla mia struttura di coscienza? Ciò è possibile perché tutto questo sistema di percezione, nella sua diversità, si struttura all’interno di una forma di percezione che è legata a registri interni. Quando riconosco un oggetto affermo che esso può dare segnali diversi, segni diversi che sono codificazioni del registro. Quando, di un oggetto, ho un registro codificato, e quando tale oggetto si presenta alla mia percezione, allora posso considerarlo completo, anche qualora io abbia solamente una fascia della sua totalità. I segni, in me, risvegliano registri codificati. Non solamente quelli del linguaggio sono segni: ascolto una parola e, considerandola da un punto di vista concettuale, posso affermare che essa è un’espressione dotata di significato. Eppure, considerandola dal punto di vista della struttura della coscienza, la parola che mi arriva è un impulso il cui registro, per me, è codificato. Ecco dunque che una parola mette in moto numerose attività della mia mente, perché libera il registro che ad essa corrisponde; un’altra parola metterà in moto altre attività e via di seguito. Succede, però, che queste espressioni che mi arrivano sono strutturate con una determinata forma. Molte parole articoleranno frasi, articoleranno discorsi, articoleranno sequenze ed anche queste sequenze, a volte, funzionano come segni codificati. Ora il punto non è che io consideri la parola “casa” un segno perché, in me, è codificata come segno: il punto è che tutta una sequenza di parole è codificata in modo strutturato, cosicché queste strutture, queste forme d’organizzazione del linguaggio, anch’esse in me sembrano essere codificate.
Ciascuno dei differenti livelli di coscienza pone il proprio ambito formale. Ciò significa che i differenti livelli di coscienza strutturano i dati che arrivano alla mia coscienza in modo differente, in forma differente. Ciascun livello procede come la struttura dell’ambito più generale ed è legato a forme caratteristiche. Le forme che emergono nella coscienza dipenderanno, in grande misura, da quel livello, che sta ponendo il proprio ambito strutturante. Lo stimolo si tradurrà in forma, vale a dire che lo stimolo si convertirà in immagine quando la coscienza lo strutturerà dal proprio livello di lavoro. È così che uno stesso stimolo si tradurrà in forme differenti, in immagini differenti, e queste immagini si possono trasferire nella coscienza.
Come il segno in me codificato compare nuovamente lo riconosco e, con una forma caratteristica, appare situato nel mio spazio di rappresentazione. La mia coscienza può tradurre perfettamente l’immagine proveniente da un senso in immagini provenienti da altri sensi, perché, agli effetti del riconoscimento, una sola caratteristica o fascia di percezione può essere sufficiente a strutturare l’insieme oggettuale. Può così accadere che un dato proveniente dalla vista venga tradotto internamente in un dato proveniente dall’udito. Cioè, nella coscienza potrebbe innescarsi la traduzione di un dato percettivo, come se questo dato fosse arrivato da un altro senso. Perciò, anche quando il segno in questione risveglia immagini differenti, esse corrisponderanno l’una all’altra relativamente alla loro collocazione nello spazio di rappresentazione nonché alla funzione che poi assolveranno come immagine nel momento in cui lanceranno il proprio segnale al centro corrispondente. Mettiamo il caso che io ascolti il crepitio del fuoco, molto vicino a me; che io veda il fuoco, molto vicino a me; che io senta l’odore del fuoco, molto vicino a me; in ognuno di questi casi le percezioni che mi arrivano da canali differenti si struttureranno in una rappresentazione globale caratteristica. Tali percezioni saranno tutte intercambiabili, tutte sostituibili l’una con l’altra. Sostituibili e, dunque, traducibili. Esse sono situate allo stesso livello di rappresentazione, pronte a lanciare lo stesso tipo di segnale di pericolo. Perciò che io oda, veda o senta l’odore del fuoco, comunque le percezioni iniziali possono essere tradotte. Lo spostamento dei dati percettivi esterni mette in moto il mio registro interno. Se osservo una linea nello spazio e il mio occhio segue tale linea in una determinata direzione, anche nel mio registro interno noterò questo spostamento. In questo modo ciò che accade con l’occhio accade nel mio spazio interno di rappresentazione. Perciò il tipo d’immagine che appare all’esterno non è affatto indifferente, in quanto l’immagine corrispondente seguirà determinati movimenti, collocandosi in diversi punti e a diverse profondità del mio spazio interno. Basterebbe dunque studiare ciò che fa l’occhio seguendo determinati fenomeni di percezione per comprendere quel che accade internamente nel mio sistema di registro.

Segni

Esiste ciò che convenzionalmente si chiama “simbolo” e ciò che si chiama “allegoria”, per quanto né l’una né l’altra di queste rappresentazioni sia stata definita con molta precisione. Internamente un simbolo è un’immagine che sorge dal canale astrattivo, un’allegoria è un’immagine che sorge dal canale associativo. Entrambe presentano differenze di strutturazione e, in generale, di forma. Le immagini partite dalla via astrattiva, riduttive e prive di caratteri secondari, sintetizzano un’ampia quantità di caratteristiche o astraggono l’essenziale di tutte le caratteristiche presenti, mentre le immagini corrispondenti alla via associativa sono immagini moltiplicative.
Esistono anche rappresentazioni che adempiono la funzione di codificare registri: a tali rappresentazioni diamo il nome di “segni”. In questo senso la parola, per esempio, è un segno codificato che suscita in me un tipo di registro e che, inoltre, risveglia una gamma di fenomeni e processi. Se diciamo “incendio” ad una qualunque persona probabilmente non percepirà altro che la parola “incendio”; eppure, poiché in lei quel registro è codificato, le si risveglierà dentro un complesso sistema di reazioni. Con ogni parola che si esclama, con ciascun segno che si lancia, si evoca tale codificazione e le codificazioni che le sono immediatamente vicine.
I segni, sicuramente, provengono da vie differenti. Per esempio, muovendo le braccia, gesticolando in un determinato modo, posso stabilire un sistema di relazioni segniche con un’altra persona e, se le gesticolo di fronte in un certo modo, essa riceverà il dato che avrà codificato internamente. Ma che cosa succede con la codificazione interna di quel dato? Succede che, in tale persona, esso suscita lo stesso processo che ha generato l’immagine nell’altra persona, quella che ha lanciato il segno, cosicché si produce un fenomeno di sdoppiamento in cui, finalmente, arriviamo allo stesso registro. Se non arrivassimo allo stesso registro non vi sarebbe alcuna possibilità di comunicazione tra le persone. Se una persona mi indica qualcosa con un gesto io, di quel gesto, devo avere lo stesso tipo di registro interno che tale persona ha; infatti, se così non fosse, non potrei comprendere il significato che tale operazione riveste per lei. È grazie ai registri codificati che si possono stabilire relazioni tra le persone. Si tratti di parole, si tratti di gesti, si tratti di sguardi, si tratti di posture corporee in generale, in qualsiasi caso stiamo parlando di segni che stabiliscono una comunicazione grazie al fatto che, di tali segni, si ha la stessa codificazione di registro. Basta un gesto per far partire un intero sistema complesso di registri codificati. Con un solo gesto si può, per esempio, inquietare molto qualcuno.
Possiamo parlare di una segnica e studiarla nell’ambito della comunicazione tra persone. Espressione e significato formano una struttura e sono inseparabili. Quando il significato di un’espressione è sconosciuto perde la sua operatività. Le espressioni che ammettono significati differenti si comprendono grazie al contesto. Un segno può essere l’espressione di un significato o segnalarlo per carattere associativo. I codici di segnaletica sono realizzati tramite segni che indicano oggetti, fenomeni o attività. È chiaro che tanto il simbolo quanto l’allegoria possono adempiere funzioni segniche. Nel primo caso un segnale con un triangolo capovolto posto lungo la strada può segnalare l’azione da compiere relativamente alla viabilità; nel secondo caso, un fulmine disegnato su un segnale appeso a un filo spinato può significare “Pericolo: corrente elettrica”.
Il nostro interesse è rivolto ai segni interni, o meglio a quei segni che stimolano registri codificati all’interno di ciascuno. Come il gesto è lanciato verso l’esterno come segno che l’altro interpreta, così anche numerosi segni, simboli ed allegorie possono essere posti nel mondo esterno e venire interpretati da altri.

Simboli

Un punto, nello spazio esterno, funziona nello stesso modo del punto nello spazio interno di rappresentazione. È provato che la percezione di un punto privo di riferimenti fa muovere gli occhi in ogni direzione, perché l’occhio è alla ricerca di parametri percettivi per inquadrarlo. La stessa cosa accade con un punto di rappresentazione. Davanti ad un punto immaginato si cercheranno parametri, riferimenti, fosse pure ai margini dello spazio di rappresentazione. Il punto sale, scende, si mette di lato da una parte o dall’altra e, per quanti sforzi si facciano per tenere fermo il punto, si noterà come l’”occhio interno” cerchi di trovare riferimenti interni allo spazio mentale. Ecco dunque che un punto privo di riferimenti porta gli occhi a muoversi in ogni direzione.
La linea orizzontale porta l’occhio nella propria direzione, la direzione orizzontale, senza sforzi particolari, mentre la linea verticale provoca un certo tipo di tensione. Nello spazio di rappresentazione, al fine di riuscire a collocare l’immagine in base ad “altezze” e “profondità”, si evidenziano maggiori difficoltà di quanto non accada in senso orizzontale. Internamente si potrebbe seguire un movimento “orizzontale” costante che terminerebbe tornando alla posizione originale, mentre sarebbe più difficile “salire” e tornare dal “basso”, in senso circolare, al punto d’origine. Perciò anche l’occhio può spostarsi con più facilità in senso orizzontale.
Due linee che s’incrociano portano l’occhio a dirigersi verso il centro e rimanere inquadrato.
La curva porta l’occhio a includere spazio, provocando la sensazione di limite tra ciò che si trova all’interno e ciò che si trova all’esterno della curva stessa e facendo scivolare l’occhio verso ciò che è compreso all’interno dell’arco.
L’incrocio di curve fissa l’occhio facendo emergere di nuovo il punto.
L’incrocio tra linea curva e linea retta fissa il punto centrale e rompe l’isolamento tra spazi inclusi e spazi esclusi dall’arco.
Le rette spezzate rompono l’inerzia dello spostamento dell’occhio e comportano un aumento di tensione dello sguardo. La stessa cosa accade con gli archi discontinui: se, nello spazio di rappresentazione, osservo una linea orizzontale e se si spezza questa linea orizzontale portandola verso il basso, l’inerzia comportata dal fenomeno si rompe, si “frena”, provocando così un aumento della tensione. Se facciamo la stessa cosa con la linea orizzontale, ma spezzandola verso l’alto invece che verso il basso, il fenomeno che si produce è d’altro tipo, ma in ogni caso si rompe l’inerzia.
La ripetizione di segmenti uguali di rette o di curve discontinue porta il movimento dell’occhio nuovamente in un sistema d’inerzia. Diminuisce così la tensione dell’atto del guardare e si produce distensione, vale a dire il piacere del ritmo che si registra grazie alle curve che si ripetono o alle rette spezzate in segmenti che si ripetono e che è stato tanto importante nell’arte della decorazione. L’effetto del ritmo si verifica con facilità anche nel caso dell’udito.
Quando rette e curve terminano collegandosi in un circuito sorge il simbolo dell’inquadramento e del campo. Nello spazio di rappresentazione l’inquadramento maggiore è data dai limiti di tale spazio interno ma, naturalmente, è variabile. In ogni caso, però, i suoi limiti sono la cornice maggiore. Ciò che accade all’interno di tale inquadramento è interno al campo di rappresentazione. Prendiamo, ad esempio, un quadrato e collochiamo un punto all’interno del suo campo: noteremo allora un sistema di tensioni differenti, a seconda se il punto sia vicino ad una retta discontinua (un angolo del quadrato) o sia invece equidistante da tutti gli angoli. Nel secondo caso si noterà una sorta d’equilibrio. Possiamo poi togliere quel punto dal quadrato e collocarlo al suo esterno: noteremo allora come l’occhio abbia la tendenza ad includerlo nel campo del quadrato. Sicuramente la stessa cosa accadrà nella rappresentazione interna.
Quando rette e curve si separano dal circuito sorge un simbolo d’espansione (qualora rette e curve vadano in direzione di un’apertura) oppure un simbolo di contrazione (qualora esse vadano in direzione di una chiusura).
Una figura geometrica elementare agisce come riferimento di centri manifesti. C’è differenza tra centro manifesto (dove si incrociano linee) e centro tacito (dove l’occhio si dirige senza direzione di linee). Dato un quadrato, nel punto d’incrocio delle sue diagonali (quand’anche tali linee non siano state disegnate) troveremo il centro tacito, che si renderà manifesto solo quando vi si collochi un punto. I centri manifesti, pertanto, sorgono quando si tagliano curve o rette e la visione si ferma lì. I centri taciti sono quelli che appaiono come se fossero stati indicati, che operano come se il fenomeno esistesse. Il fenomeno non esiste, ma esiste il registro del fermarsi dell’occhio.
Nel cerchio non esistono centri manifesti. Esiste solamente il centro tacito, che provoca il movimento dell’occhio verso tale centro.
Il punto è il centro manifesto per eccellenza. Poiché non esistono né cornice né centro tacito, questo centro può spostarsi in qualsiasi direzione.
Il vuoto è il centro tacito per eccellenza. Poiché non esistono né cornice né centro manifesto, questo centro provoca un movimento generale verso di sé.

Quando un simbolo ne include un altro nel proprio campo, il secondo è il centro manifesto. I centri manifesti attraggono l’occhio verso di essi. Un centro manifesto collocato nello spazio di rappresentazione attrae verso di sé tutte le tensioni dello psichismo.
Due centri di tensione provocano un vuoto nel centro tacito, spostando la visione verso entrambi i poli e poi verso il centro del vuoto, creando così tensioni intermittenti.
Nel campo del simbolo di inquadramento tutti i simboli sono in relazione; collocando uno dei simboli all’esterno dell’inquadramento si stabilisce una tensione tra questo e l’insieme di quelli inclusi all’interno. Con lo spazio di rappresentazione, in quanto inquadramento maggiore, succede la stessa cosa: tutte le immagini tendono ad essere incluse presentemente in tale spazio e le immagini compresenti tenderanno ad esprimersi in tale spazio. Altrettanto accade tra i livelli nella loro relazione di immagini. Nello spazio di rappresentazione potrebbe esistere una determinata immagine (per esempio un’immagine ossessiva) che potrebbe impedire l’accostarsi di altre rappresentazioni. Ciò accade, per lo più, qualora l’attenzione stia agendo su un contenuto impedendo l’interferenza di altri. Ma potrebbe anche esistere un grande vuoto, che permetterebbe di manifestare con facilità i contenuti profondi che arrivassero nel suo campo.
I simboli esterni all’inquadramento sono in relazione l’uno con l’altro, solo per il loro riferimento all’inquadramento.
I segni, le allegorie ed i simboli possono servirsi reciprocamente da inquadramento o fare da collegamento tra inquadramenti.
Le curve concentrano la visione verso il centro e le punte disperdono l’attenzione all’esterno del campo.
Il colore non modifica l’essenza del simbolo, anche se gli dà più o meno peso come fenomeno psicologico.
L’azione di forma del simbolo si verifica nella misura in cui si registri tale simbolo; vale a dire che se una persona si trova all’interno di una costruzione e non sa se essa sia cubica, sferica o piramidale, l’azione di forma non si verifica. Ma se tale persona sa, o crede di sapere (per esempio sperimentalmente, con gli occhi bendati), di trovarsi all’interno d’una costruzione piramidale, sperimenterà registri molto diversi da quelli che sperimenterebbe se credesse di trovarsi all’interno di una costruzione sferica. Il fenomeno dell’“azione della forma” non si verifica in base alla forma in sé bensì in base alla rappresentazione che a tale forma corrisponde. Questi simboli, che operano come contenitori, produrranno numerose tensioni in altri contenuti; ad alcuni daranno dinamica, altri li includeranno, altri ancora li escluderanno e così via. In definitiva si stabilirà un sistema di relazioni specifiche tra contenuti, a seconda del tipo di contenitori simbolici che si configurino.

Allegorie

Le allegorie sono agglomerati di contenuti diversi in una sola rappresentazione. Per via delle origini di ciascun elemento si usa definire le allegorie come rappresentazioni d’esseri “immaginari” o favolosi, come per esempio una sfinge. Queste immagini, sebbene fisse in una rappresentazione, adempiono una funzione “narrativa”. Se nominiamo “la Giustizia” per qualcuno potrebbe trattarsi solo di un’espressione priva di registro, oppure potrebbe rivestire vari significati che si presenterebbero secondo catene associative, ma potrebbe anche darsi il caso che questo qualcuno si rappresenti “la Giustizia” come una scena in cui diverse persone compiono attività giudiziarie, o ancora potrebbe apparirgli l’immagine di una signora con gli occhi bendati, una spada in una mano ed una bilancia nell’altra: quest’allegoria avrebbe sintetizzato i vari aspetti, presentando una sorta di narrazione in una sola immagine.
Le allegorie, nello spazio di rappresentazione, hanno una curiosa attitudine a muoversi, a modificarsi, a trasformarsi. Mentre i simboli sono immagini fisse le allegorie sono immagini che si trasformano, che mettono in moto una sequenza d’operazioni. È sufficiente che si liberi un’immagine di questa natura perché essa assuma vita propria e si metta a compiere operazioni in modo divagatorio; un simbolo invece, collocato in uno spazio di rappresentazione, va contro corrente rispetto alla dinamica della coscienza ed è un notevole sforzo cercare di mantenerlo senza divagazioni, che lo porterebbero a trasformarsi facendogli perdere le sue proprietà.

Si può portare fuori un’allegoria dalla dimensione interiore e situarla al di fuori, per esempio sotto forma di statua in una piazza. Le allegorie sono narrazioni trasformate in cui i diversi elementi si fissano o si moltiplicano per allusione, ma anche in cui si rende concreto ciò che è astratto. Il carattere moltiplicativo di ciò che è allegorico è chiaramente legato ai processi associativi.
Per comprendere l’allegorico sarà bene rivedere le caratteristiche dell’associazione d’idee. In un primo caso si afferma che a guidare la mente, quando questa cerca la somiglianza ad un oggetto dato, sia la similitudine; che a guidarla sia invece la contiguità quando la mente cerca ciò che è proprio di un oggetto dato o ciò che è, è stato o sarà in contatto con esso; che infine, quando cerca ciò che si oppone ad un oggetto dato o che è in relazione dialettica con esso, la guidi il contrasto.
Osserviamo come l’allegorico sia fortemente situazionale. E’ dinamico e mette in relazione situazioni riferite alla mente individuale come accade nei sogni, in alcune divagazioni personali, nella patologia e nella mistica. Ma ciò accade anche nello psichismo collettivo: è il caso del racconto, dell’arte, del folklore, del mito e della religione.
Le allegorie adempiono funzioni differenti. Raccontano situazioni, compensando  difficoltà di completa comprensione. Quando insorge un fenomeno e non lo si capisce perfettamente lo si allegorizza e, invece di farne una descrizione precisa, si racconta una storia. Se non si sa bene che cosa accade quando tuona è probabile che si ricorra ad un racconto in cui qualcuno corre nel cielo; parimenti, se non si capisce come funziona lo psichismo, ecco che, per spiegare ciò che accade all’interno di se stessi, si ricorre ai racconti o ai miti.
Prendendo le situazioni allegoricamente si può intervenire sulle situazioni reali in modo indiretto, o per lo meno questo è ciò che crede chi ricorre all’allegoria.
Nell’allegorico il fattore emotivo non è dipendente dalla rappresentazione. Nei sogni sorgono allegorie che, se corrispondessero esattamente alla vita quotidiana, provocherebbero esplosioni di emozioni tipiche. Tuttavia, nel sogno si generano esplosioni di emozioni che non hanno a che vedere con le rappresentazioni in atto.
Facciamo un esempio: la persona che sogna si vede legata ai binari del treno che, con un rumore assordante, si avvicina a forte velocità, ma, invece di cadere nella disperazione, inizia a ridere, a tal punto da svegliarsi stupita.
Si può allegorizzare uno stato interno e dire, per esempio: “È come se mi sentissi cadere dentro un tubo”. La sensazione interna che si sperimenta e si registra ha a che vedere con la disperazione, o con il vuoto e così via, ma tutto ciò lo si può allegorizzare come una “caduta dentro un tubo”.
Per capire un sistema allegorico è necessario prendere in considerazione il clima che accompagna l’allegoria, perché è tale clima che ne denuncia il significato; e, qualora non vi sia accordo tra immagine e clima, per comprendere i significati profondi dobbiamo orientarci in base a quest’ultimo, non in base all’immagine. Quando il clima è in perfetto legame con l’immagine corrispondente non c’è problema nel seguire l’immagine, che, di fatto, è più facile da seguire: ma, qualora vi fosse discordanza, propenderemmo sempre per il clima.
Le immagini allegoriche tendono a trasferire energia ai centri,  per effettuare la risposta,. Naturalmente esiste un sistema di tensioni e un sistema di scarica di tali tensioni, e l’allegorico opera queste “connessioni da globulo rosso” che trasportano cariche lungo il torrente, in questo caso lungo il circuito della coscienza. Quando avviene uno spostamento di queste cariche, dell’allegoria che agisce su un centro, si produce una manifestazione energetica. Tali manifestazioni energetiche si possono osservare con chiarezza nel riso, nel pianto, nell’atto d’amore, nel confronto aggressivo e così via. Sono questi i mezzi più adeguati all’alleggerimento della tensione interna e, quando sorgono queste allegorie, normalmente tendono ad adempiere tale funzione di scarica.
Considerando la composizione dell’allegorico si può fare una sorta d’inventario delle risorse che ha a disposizione. Potremo così parlare, per esempio, dei “contenitori”. I contenitori custodiscono, proteggono o racchiudono ciò che si trova al loro interno. I “contenuti”, invece, sono gli elementi che si trovano inclusi in un ambito. Le “connettive” sono entità che facilitano o impediscono la connessione tra contenuti, tra ambiti o tra ambiti e contenuti. Gli “attributi”, che possono essere manifesti o taciti (qualora siano nascosti), si riferiscono alle proprietà possedute dagli elementi allegorici o dall’allegoria nel suo complesso. Individuiamo poi i “livelli”, la “consistenza”, gli “elementi” e i “momenti di processo”. Questi momenti di processo si allegorizzano, per esempio, come età. Infine dobbiamo indicare i “trasformismi” e le “inversioni”.
Nel momento in cui c’interessiamo di un’allegoria, nel momento in cui cerchiamo di comprenderla, cerchiamo di stabilire determinate regole di interpretazione che ci aiutino a capire che cosa significhi quell’allegoria e quale funzione stia adempiendo nell’economia dello psichismo.

1. - Quando vogliamo dare un’interpretazione allegorica, per comprendere il sistema di tensioni in cui l’allegoria in questione si colloca riduciamo l’allegorico a simbolo. Il contenitore di un’allegoria è il simbolo, cosicché, se in un sistema allegorico appaiono varie persone che discutono in una piazza (quadrata od ovale, per esempio), questa sarà il contenitore maggiore (con il suo particolare sistema di tensioni armoniche alla conformazione simbolica) e al suo interno vi saranno le persone che discutono (i contenuti di questo simbolo). La riduzione simbolica considera la piazza come contenitore che impone il suo sistema di tensioni (per esempio tensione bifocale se la piazza è ovale) alla situazione in cui, conflittualmente, si sviluppano i contenuti (le persone che discutono).

2. - Cerchiamo di comprendere la materia prima dell’allegorico, vale a dire da quali canali proviene l’impulso principale: se proviene dai sensi (e se sì, da quale, o da quali); se proviene dalla memoria;  se proviene da una miscela di sensi e memoria, o da uno stato caratteristico di coscienza che tende a compiere queste articolazioni particolari.

3. - Cerchiamo di interpretare secondo leggi associative che seguono modelli comunemente accettati. Ecco dunque che, quando andiamo ad interpretare queste associazioni, dobbiamo chiedere a noi stessi che cosa significhi quell’allegoria, che cosa significhi per noi; e, se vogliamo interpretare un’allegoria che si trova nel mondo esterno, come per esempio un quadro, dovremmo chiedere a chi l’ha prodotta che cosa significhino per lui le allegorie in questione. Ma noi e chi ha prodotto l’allegoria potremmo essere separati da centinaia d’anni e, dati i significati propri della nostra epoca o della nostra cultura, difficilmente arriveremmo ad interpretare ciò che l’allegoria significava per l’economia dello psichismo di chi la produsse: ma potremmo arrivare ad intuire i significati propri di quell’epoca, o ad ottenere informazioni su di essi. Diciamo, perciò, che è sempre bene interpretare in base a leggi associative e secondo i modelli comunemente accettati. E, se si studia un’allegoria sociale, si deve indagarne il significato consultando le persone che sono o sono state agenti di tale sistema allegorico. Saranno tali persone a chiarirne il significato, non noi, giacché non siamo stati gli agenti di quel sistema allegorico e, pertanto, “infiltreremmo” i nostri contenuti (personali o culturali), deformando i significati. Esemplificando: qualcuno mi parla di un quadro che raffigura un’anziana. Se, nel domandare al mio interlocutore che cosa significhi per lui l’anziana del quadro, egli mi risponderà che significa “la bontà”, io lo dovrò accettare e non potrò darne un’altra interpretazione infiltrando i miei contenuti personali e d il mio sistema di tensioni. Se chiederò a qualcun altro di raccontarmi l’allegoria dell’anziana piena di bontà dovrò attenermi a ciò che mi sarà detto; in caso contrario io, in modo dittatoriale e illegittimo, ignorerei l’interpretazione altrui, preferendo spiegare tutto in base a quel che succede a me. Ne consegue che se chi ha prodotto l’allegoria mi parla della “bontà”, non ho motivo di interpretare tale “bontà” come un contenuto sessuale represso e deformato. Il mio interlocutore non vive in una società sessualmente repressa come la Vienna del secolo XIX e non partecipa dell’atmosfera neoclassica dei culterani che leggevano le tragedie di Sofocle: vive nel XX secolo, a Rio de Janeiro e, in ogni caso, partecipa di un’atmosfera culturale neopagana. Ecco allora che la soluzione migliore sarà quella di attenermi all’interpretazione dell’allegoria che ne dà l’autore, che vive e respira il clima culturale della città di Rio de Janeiro. Sappiamo bene dove siano andate a parare le interpretazioni di determinate correnti psicologiche ed antropologiche, che hanno sostituito i racconti e le interpretazioni delle persone direttamente coinvolte con le devozioni particolari del ricercatore.

4. – Cerchiamo di capire l’argomento. Distinguiamo tra argomenti e temi. Un argomento è il racconto, ma all’interno del racconto vi sono temi particolari. A volte i temi permangono e l’argomento varia, oppure cambiano i temi ma l’argomento rimane lo stesso. Ciò accade, per esempio, in un sogno od in una sequenza di sogni.

5. – Quando c’è coincidenza tra clima e immagine, si segue l’immagine.

6. – Quando clima e immagine non coincidono, il filo conduttore è il clima.

7. – Prendiamo in considerazione il nucleo d’insogno, che appare allegorizzato come immagine o come clima continuo (fissato), attraverso diverse allegorizzazioni e nel corso del tempo.

8. – Tutto ciò che svolge una funzione è quella stessa funzione e nessun’altra. Se in un sogno si uccide con una parola, quella parola è un’arma. Se con una parola si resuscita qualcuno o lo si cura, quella parola è uno strumento per resuscitare o curare, non altro.

9. – Si cerca di interpretare il colore, riconoscendo come nelle rappresentazioni allegoriche lo spazio di rappresentazione vada dallo scuro al chiaro in modo tale che, via via che le rappresentazioni salgono, lo stesso spazio si schiarisce mentre, a mano a mano che scendono, lo spazio si oscura. In tutti i piani dello spazio di rappresentazione possono apparire diversi colori e con diversa gradazione.

10. – Quando si comprende la composizione dei diversi elementi che configurano un sistema allegorico, quando si capisce la relazione tra i componenti e quando si può operare una sintesi relativa alla funzione che svolgono gli elementi e le loro relazioni, allora un livello d’interpretazione può considerarsi risolto. Naturalmente, se fosse necessario, si potrebbe approfondire con nuovi livelli d’interpretazione.

11. – Per comprendere il processo e lo svolgimento di un sistema allegorico bisogna riuscire ad avere, nel corso del tempo, varie sintesi interpretative. Ecco perciò che un’interpretazione completa in un determinato momento può non essere sufficiente se non si possono intravedere il processo o le tendenze verso le quali il sistema allegorico in esame potrebbe incamminarsi. A volte, nel corso del tempo, potrà essere necessario ricorrere a varie interpretazioni.

 

Operativa.

Lo spazio mentale che corrisponde esattamente al corpo è da me registrabile come somma di sensazioni cenestesiche.
Questo “secondo corpo” è un corpo di sensazione, di memoria e d’immaginazione. In sé non ha esistenza, sebbene di tanto in tanto alcuni abbiano preteso di attribuirgli un’entità separata dal corpo. È un “corpo” che si forma grazie alla somma delle sensazioni provenienti dal corpo fisico ma, a seconda che l’energia della rappresentazione vada verso un punto o un altro, mette in moto una parte del corpo o un’altra. Così, se un’immagine si concentra in un livello dello spazio di rappresentazione più interno o più esterno, ad un’altezza o ad un’altra, i centri del caso si mettono in moto, mobilitando energia verso il punto corporeo corrispondente.
Queste immagini che sorgono lo fanno, per esempio, grazie ad una determinata tensione corporea; andremo allora a cercare la tensione nel corpo, nel punto corrispondente.
Ma che cosa succede quando non c’è questa tensione nel corpo e, tuttavia, sullo schermo di rappresentazione appare un fenomeno di allegorizzazione? Può darsi che nel corpo tale tensione non sia presente, ma può anche darsi che un segnale, che partito dalla memoria agisce sulla coscienza e nella coscienza esplode come immagine, riveli come l’impulso della memoria abbia influito su qualche parte del corpo. In quel momento si è prodotta una contrazione che ha lanciato l’impulso, registrato nella coscienza e apparso sullo schermo come allegorizzazione, il che ci fa capire come il fenomeno stia lanciando il suo impulso da un punto del corpo. Questi fenomeni appartengono al passato, non sono presenti e non c’è una tensione permanente che stia agendo: e tuttavia questa tensione (che non è una tensione in sé, bensì un impulso impresso nella memoria) mette in moto una tensione con il registro cenestesico corrispondente per terminare infine con l’apparire come immagine. A seconda che nel sistema di registro si evochi un determinato “bit”, un determinato segnale, e tale segnale sia lanciato al meccanismo della coscienza, potranno concomitantemente apparire fenomeni di contrazioni del corpo, o fenomeni d’irritazione del corpo.
Sto indagando fenomeni che al momento attuale non esistono, fenomeni che posso registrare nel mio stesso copro a mano a mano che sono evocati ma che non esistono costantemente nel corpo bensì nella memoria e che, nel momento in cui sono evocati, si esprimono nel corpo. È così che questo spazio di rappresentazione assume il carattere d’intermediario tra gli uni e gli altri meccanismi, perché è formato dalla somma delle sensazioni cenestesiche. In esso si manifestano fenomeni trasformati di sensazioni esterne o interne e in esso si esprimono fenomeni già prodottisi molto tempo fa e che sono situati nella memoria. Ancora in esso compaiono fenomeni che nel corpo in quel momento non esistono ma che, essendo prodotti dal lavoro immaginario del coordinatore stesso, finiscono per agire sul corpo.
A questo punto sarà opportuno fare una revisione delle attività che si orientano verso la modifica di determinati comportamenti psichici.
L’insieme delle tecniche che chiamiamo “Operativa” ci permette di operare sui fenomeni, di modificare i fenomeni. Tra le tecniche di “Operativa” includiamo diverse tecniche: tecniche che definiamo di catarsi, tecniche che definiamo di trasferenze e diverse forme di autotrasferenze.
In tempi recenti si è tornati ad usare la parola “catarsi”. È comparso di nuovo un signore che si metteva in presenza di chi aveva problemi psichici e che di nuovo, come migliaia d’anni fa, gli diceva: “Amico, sciolga la lingua e mi spieghi i suoi problemi”. Ed ecco che la gente scioglieva la lingua, spiegava i propri problemi e si verificava una sorta di lavaggio interno (o di “vomito” interno). A questa tecnica si attribuiva il nome di “catarsi”.
Un’altra tecnica di Operativa fu chiamata anche “trasferenza”. Si prendeva una persona che aveva già operato la propria catarsi e che aveva alleviato le proprie tensioni per addentrarsi in un lavoro un po’ più complesso; questo lavoro consisteva nel far “transitare” la persona in questione attraverso differenti stati interni. Nel transitare attraverso tali stati la persona, che ormai non aveva più tensioni rilevanti, poteva muoversi nel proprio paesaggio interno spostando, “trasferendo”, problemi o difficoltà. Il soggetto, immaginariamente, trasferiva contenuti opprimenti verso altre immagini prive di carica affettiva e che non rappresentavano una difficoltà biografica.
Precedentemente abbiamo parlato dei registri delle tensioni insiti nel semplice fatto di fare attenzione. Sapete bene a che cosa mi riferisco. Potete fare attenzione con tensione o senza: è molto diverso. A volte potete sciogliere quella tensione e fare attenzione. Normalmente si crede che, quando si elimina la tensione nel fare attenzione, ci si sta disinteressando del tema: non è così. Tuttavia molto tempo fa avete associato una certa tensione muscolare con il fatto di fare attenzione, e credete d’essere attenti quando siete tesi: ma nulla ha a che vedere l’attenzione con tutto ciò.
E che cosa succede con le tensioni in generale, non solo con quelle legate all’attenzione? In genere ubichiamo le tensioni in diverse parti del corpo, specialmente nei muscoli. Stiamo parlando delle tensioni muscolari esterne. Tendo un muscolo volontariamente e ho un registro di questa tensione. Tendo volontariamente i muscoli facciali e ho un registro di questa tensione. Tendo vari muscoli del mio corpo e ho un registro di questa tensione. Prendo familiarità con questa tecnica di tensione artificiale. M’interessa molto riuscire ad ottenere la maggior quantità di registri possibile, tendendo i vari muscoli del mio corpo, e altrettanto m’interessa dissociare quelle tensioni precedentemente provocate. Ho osservato che nel tendere un punto se ne tendono altri; cerco allora di rilassare quel punto, ma a volte gli altri muscoli che hanno accompagnato la tensione non si rilassano. Se si lavora con determinate parti del corpo si scopre che, nel voler tendere un punto, si tendono quel punto ed altri, mentre, nel rilassare quel punto, quel punto si rilassa ma gli altri no.
Questo non accade soltanto in questi lavori volontari: questo accade nella vita quotidiana. Infatti, di fronte ad un problema con cui ci si confronta quotidianamente, un intero sistema di muscoli, per esempio, diventa teso: scompare il confronto con l’oggetto e i muscoli in questione si rilassano, ma non così gli altri che hanno accompagnato il momento della tensione. Ancora un po’ di tempo e finalmente tutto si rilassa: ma, a volte, passa un bel po’ di tempo e gli altri punti non si rilassano.
Chi di voi non riconosce tensioni muscolari più o meno permanenti? C’è chi registra queste tensioni nel collo, a volte, oppure in altre parti del corpo. In questo stesso istante, se solo ci fate caso, potrete scoprire tensioni indebite che stanno agendo in diverse parti del corpo. Potete registralo voi stessi e, come vedete, ciò che state registrando in varie parti del corpo non adempie alcuna funzione.

Ebbene: operiamo una distinzione tra tensioni muscolari esterne di tipo situazionale e tensioni muscolari esterne di tipo continuo. Nelle tensioni situazionali il soggetto tende determinate parti del proprio corpo e, nel momento in cui scompare la difficoltà (nel nostro esempio, il confronto) scompare anche la tensione. Queste tensioni situazionali sicuramente adempiono funzioni molto importanti e si capisce che non abbiamo intenzione di eliminarle. Ma ci sono le altre, quelle non situazionali, quelle continue, e queste tensioni continue hanno la circostanza aggravante che, se si produce un determinato fenomeno di confronto, per di più, aumentano. In seguito diminuiscono di nuovo, ma conservando un livello di tensione continua.
Posso, con determinati procedimenti, rilassare le tensioni continue, ma ciò non garantisce che al mio interno non permangano vari sistemi di tensione. Posso lavorare con tutta la muscolatura esterna, posso fare tutti gli esercizi che voglio eppure, internamente, le tensioni continuano ad agire. Ora, di che natura sono queste tensioni interne? A volte sono di tipo muscolare profondo e, a volte, registro queste tensioni come irritazioni profonde, come irritazioni viscerali che danno impulsi e che configurano un sistema di tensione.
Quando parliamo di queste tensioni profonde stiamo parlando di tensioni che non sono molto differenti da quelle esterne, ma che posseggono una componente emotiva importante. Potremmo considerare questi due fenomeni come gradazioni di un medesimo tipo di operazione. Parliamo adesso di queste tensioni interne colorate emotivamente e definiamole come climi, non molto differenti dalle tensioni in generale ma con una forte componente emotiva.
Che cosa succede con alcuni fenomeni come la  depressione e le tensioni? Una persona è preda della noia (e la noia è parente della depressione), una persona per la quale una cosa vale quanto un’altra, che non ha preferenze speciali: potremmo dire che questa persona non ha tensioni. Forse registra se stessa come priva di vitalità, ma dietro tutto ciò è molto probabile che esista una forte componente emotiva. Nella situazione in cui questa persona si trova notiamo come esistano forti correnti emotive di tipo negativo e pensiamo che, se tali correnti emotive compaiono, è perché, pur non esistendo tensione muscolare esterna, ci sono tensioni interne che possono essere sia tensioni muscolari interne sia, in altri casi, fenomeni d’irritazione interna. A volte accade che non esista un sistema di tensioni continuo o d’irritazione continuo, ma che per via del confronto con una situazione data s’inneschino fenomeni mnemici, fenomeni di memoria che provocano un’esplosione interna e che sorga allora quel registro di mancanza di vitalità o di noia, o d’oppressione interna, o una sensazione di essere rinchiusi o così via.
Normalmente possiamo intervenire volontariamente sulle tensioni muscolari esterne; sui climi, invece, non possiamo intervenire volontariamente, perché hanno un’altra caratteristica: seguono il soggetto anche qualora sia uscito dalla situazione che ha motivato il clima. Ricorderete i fenomeni di trascinamento, quelli che seguono il soggetto anche quando la situazione è passata. Questi climi seguono il soggetto a tal punto che egli può cambiare completamente la propria situazione e transitare attraverso situazioni differenti un anno dopo l’altro ma continuare ad essere perseguitato dallo stesso clima. Queste tensioni interne si traducono in modo diffuso e totalizzante. Questo punto spiega anche le caratteristiche dell’emozione in generale, che lavora totalizzando, sintetizzando: non lavora riferendosi al punto particolare di una tensione del corpo, né tanto meno si riferisce ad un punto di dolore nell’intracorpo, che può essere localizzato molto facilmente: piuttosto si riferisce ad uno stato d’invasione della coscienza. Si tratta dunque di impulsi cenestesici non puntuali, questo è chiaro.
Quando il meccanismo di traduzione degli impulsi apporta immagini che corrispondono a quel clima diffuso, parliamo di corrispondenza tra clima e tema (esiste cioè un tema che corrisponde a quel clima). È dunque molto probabile che la persona che sperimenta un determinato clima dica, per esempio, che si sente “rinchiusa”. Questo “sentirsi rinchiusi” è un tipo di rappresentazione visuale, che coincide con il registro emotivo; ci sono poi persone più esagerate che non dicono solo di “sentirsi rinchiusi” in generale, ma arrivano a dire di sentirsi rinchiusi in una cassa precisa e con precise caratteristiche. Tutto ciò, in stato di veglia, non gli è molto chiaro, ma non appena il loro livello di coscienza scende anche di poco ecco che appare la cassa in cui si trovano rinchiusi. Naturalmente quando i meccanismi di traduzione lavorano a pieno ritmo, quando i registri cenestesici sono più intensi e quando la via allegorica si mette in moto, è più facile individuare questi fenomeni.

A volte appaiono immagini che non corrispondono ai climi. Esistono infine casi in cui si registra il clima senza immagini. In realtà ci sono immagini cenestesiche in tutti i casi e collocare quest’immagine diffusa generale nello spazio di rappresentazione perturba le attività di tutti i centri, perché è da quello spazio di rappresentazione che le immagini lanciano la propria attività ai centri.
Il potenziale dei climi si abbassa per mezzo di scariche catartiche, per mezzo di abreazioni motorie che sono manifestazioni di quell’energia verso l’esterno del corpo; però, per quanto in queste occasioni si verifichi una diminuzione della tensione, non per questo se ne verifica lo spostamento né l’eliminazione.
Le tecniche che corrispondono alla trasformazione ed allo spostamento dei climi sono le tecniche transferenziali. Il loro obiettivo non è la diminuzione di una tensione interna bensì il trasferimento della carica da un’immagine ad un’altra immagine.
Non basta dire che i climi si generano unicamente grazie alla traduzione dei segnali delle contrazioni involontarie profonde e che tali contrazioni, captate tramite cenestesia, si trasformano in immagini diffuse che occupano lo spazio di rappresentazione. No, dire questo non è sufficiente. In primo luogo perché il registro può non essere puntuale bensì generale, come nel caso delle emozioni violente; e questi stati corrispondono a scariche che circolano in tutto l’organismo, senza riferirsi alla puntualità di una determinata tensione.
Quanto all’origine di questi fenomeni, essa può risiedere nei sensi interni oppure agire dalla memoria, o ancora agire dalla coscienza. Quando l’impulso corrisponde ad un fenomeno prettamente corporeo la cenestesia prende questo dato ed invia il segnale corrispondente che appare come immagine diffusa, vale a dire non visualizzabile (come immagine cenestesica, non come immagine visiva). La cenestesia allora invia il segnale corrispondente ed appare l’immagine diffusa, che in ogni caso si genera nello spazio di rappresentazione.
C’è chi afferma che quando si arrabbia “vede rosso”, o che il suo spazio di rappresentazione si modifica e l’oggetto che gli provoca la rabbia lo vede “più piccolo”; altri dicono di vederlo “più nitido” e così via. Non stiamo parlando dell’impulso localizzato bensì dello stato diffuso, emotivo, che in ogni caso è partito dal registro cenestesico e si è tradotto in immagine cenestesica non visualizzabile. A volte ci sono anche traduzioni visualizzabili, ma non è questo il caso. Tale “apparizione” dell’immagine non visualizzabile si dà nello spazio di rappresentazione e mette in moto, fondamentalmente, i centri istintivi. Di tutto quel che è successo si crea un registro in memoria: se, invece, il primo impulso proviene da sensi esterni ed alla fine del circuito d’impulso si mettono in moto anche in questo caso i centri istintivi, ciò si imprime in memoria associato alla situazione esterna. Questo dà luogo ad una memorizzazione in cui l’impulso esterno, l’impulso provenuto dall’esterno, resta ora legato ad uno stato corporeo interno.
Torniamo al primo caso, quello in cui l’impulso interno parte per disordine vegetativo, per esempio. Anche in questo caso esiste una memorizzazione situazionale associata, se i sensi esterni, da parte loro, stanno lavorando. Ma se ciò si verificasse quando i sensi esterni non lavorano o lavorano in modo molto leggero (come nel livello del sonno), allora la memorizzazione situazionale potrebbe riferirsi unicamente a dati di memoria, giacché in questo momento si produrrebbe, restando a sua volta in memoria alla fine del circuito, una strana associazione tra fenomeni di un tempo 2 (vale a dire, il registro cenestesico) e fenomeni di un tempo 1 (vale a dire il dato di memoria).
Abbiamo visto casi in cui la partenza dell’impulso è dall’intracorpo, e si associa a situazioni di percezione esterna, e casi in cui lo stesso impulso è invece associato a memoria, perché, in quel momento, i sensi esterni non stanno lavorando. Abbiamo poi visto anche il caso dell’impulso che parte da sensi esterni e termina col mettere in moto registri cenestesici interni, essendo possibile, a partire da quel momento, che la situazione esterna ed il registro interno rimangano impressi in memoria.
Da parte sua la memoria può inviare impulsi e, nel mettere in moto i registri, liberare catene associative di immagini (non solo visive ma di qualsiasi altro senso, cenestesia inclusa), che a loro volta risvegliano nuovi invii di dati; si configura così uno stato emotivo climatico che ora però si associa alla nuova situazione che si sta percependo grazie ai sensi esterni.
Infine, la coscienza stessa, nella sua elaborazione di immagini, può mettere in moto tutto ciò che abbiamo detto e a questo aggiungere la propria attività, cosicché nella memoria alla fine si imprimono situazioni esterne associate ad elementi immaginari. In tutti i modi, la concatenazione sensi-memoria-coscienza è indissolubile, non lineare e, naturalmente, strutturale.

Ecco dunque che se la prima “esplosione” è dolorosa e fisica, la configurazione finale può essere di sofferenza morale e presentare autentici registri cenestesici fortemente impressi nella memoria ma associati semplicemente all’immaginazione. Spesso il dolore fisico sfocia in sofferenza morale, articolata con elementi illusori ma registrabili, il che c’insegna come l’illusorio, pur senza possedere un’esistenza “reale”, sia registrabile grazie a diverse concomitanze che possiedono un’indubitabile realtà psichica. Dire che un fenomeno è “illusorio” non è una grande spiegazione, né lo è di più dire che le illusioni si registrano così come le percezioni chiamate “non illusorie”. Per la coscienza la sofferenza illusoria ha un suo registro reale. È qui, nella sofferenza illusoria, che la trasferenza ha le più grandi possibilità di lavoro. Differente quel che accade con gli impulsi dolorosi fondamentali, tradotti o trasformati, che si possono anche spogliare di altri componenti illusori senza che per questo scompaia il dolore fisico: ma non è questo il tema proprio della trasferenza.
La concatenazione automatica della sofferenza può essere dissociata, ed è a questo che punta, in modo principale, la trasferenza. Consideriamo la trasferenza uno dei tanti strumenti dell’Operativa, destinato fondamentalmente a disarticolare la sofferenza, a liberare la coscienza da contenuti oppressivi. Come la catarsi libera cariche e produce sollievi provvisori, anche se a volte necessari, così la trasferenza punta al trasferimento di queste cariche in modo permanente, per lo meno per quanto concerne un determinato problema specifico.
Vediamo ora alcuni aspetti del funzionamento compensatorio degli apparati dello psichismo. Le soglie dei diversi sensi variano in struttura e le soglie dei sensi interni variano in modo compensatorio rispetto alle soglie dei sensi esterni. Quando gli impulsi dei sensi esterni diminuiscono, i fenomeni della soglia cenestesica entrano nella percezione e iniziano ad emettere segnali. Stiamo dicendo che, quando diminuisce l’impulso esterno, gli altri fenomeni interni che stavano lavorando a livello di soglia, e che non registravamo, appaiono in modo registrabile. Per tanto, nella caduta di livello della coscienza, si può percepire l’insorgere di fenomeni dell’intracorpo che, in veglia, non apparivano. Nel momento in cui scompare il rumore dei sensi esterni questi diventano palesi. Nella caduta di livello appaiono gli impulsi interni che, imboccando canali associativi, danno segnali alla coscienza. Quando tale via associativa si risveglia i fenomeni di traduzione operano con grande forza.
Torniamo ai problemi legati ai fenomeni di traduzione e trasformazione d’impulsi. Di un oggetto che percepisco visivamente riconosco altre caratteristiche non visive, che posso percepire a seconda della situazione. Nel corso della mia esperienza di vita tali differenti percezioni di uno stesso oggetto mi si sono progressivamente associate in memoria: ho un registro articolato delle percezioni. Quel che ora stiamo prendendo in considerazione va al di là della strutturazione che la percezione compie rispetto ad un singolo senso: stiamo considerando la strutturazione che si realizza di fronte a un oggetto per via della somma dei dati di sensi differenti che progressivamente, nel corso del tempo, si sono incorporati alla memoria. Conto sull’articolazione di differenti caratteristiche di ogni oggetto, in modo tale che, prendendone una, escono fuori le altre caratteristiche associate. Questo è già il meccanismo fondamentale della traduzione degli impulsi. Ma che cos’è che si traduce? Facciamo un esempio. Un impulso uditivo risveglia registri mnemici, registri in cui gli impulsi visivi di quel momento erano associati ad impulsi uditivi. Adesso mi arriva solamente l’impulso esterno uditivo e, nel mio spazio di rappresentazione, compare il registro visivo. In stato di veglia ciò accade spesso, ed è grazie a questo meccanismo d’associazione dei sensi, a questa strutturazione dei sensi, che possiamo configurare fasce rilevanti del mondo esterno.
Come lo spazio di rappresentazione inizia ad articolarsi sin dalla prima infanzia, così anche il mondo oggettivo si articola sin dalla prima infanzia. In questa fase dell’apprendimento i bambini non sembrano articolare coerentemente i vari registri che hanno di un medesimo oggetto. Come abbiamo chiarito a suo tempo, i bambini non distinguono bene tra il proprio corpo e il corpo della madre. Inoltre non mettono bene in rapporto il tipo di stimolo che arriva ad un senso con la funzione che quell’oggetto può adempiere. Ancora, confondono l’apparato di registro, in tale maniera che a volte vediamo un bimbo portarsi all’udito, all’orecchio, un oggetto che vorrebbe mangiare e li vediamo anche fare altri tipi di scambio; non articolano tutto il complesso sistema della percezione, non lo articolano in modo più o meno coerente, né è articolato in modo coerente il loro spazio di rappresentazione. Un edificio lontano naturalmente sarà percepito di dimensioni più piccole di uno vicino, eppure allungano le mani per afferrarne i comignoli o, forse, una finestra per mangiarla. Ci sono bambini che lo fanno con la Luna che, naturalmente, non è raggiungibile da mano umana, o forse dovremmo dire che non lo era… La visione stereoscopica, che ci dà profondità permettendoci di articolare le differenti distanze nello spazio, nel bambino ha un lento processo di configurazione. Parallelamente lo spazio interno di rappresentazione acquista volume. È chiaro che non si nasce con la stessa articolazione oggettuale degli adulti; quel che avviene è che i dati portati dai sensi metteranno in grado l’apparato psichico di svolgere il proprio lavoro, sempre basandosi sulla memoria.
Stiamo studiando i primi fenomeni della traduzione d’impulsi. Per esempio, un fenomeno che incide su un senso scioglie una catena in cui appaiono le immagini corrispondenti ad altri sensi ma in rapporto con lo stesso oggetto. Che cosa succede in quegli strani casi d’associazione in cui le caratteristiche di un oggetto si trasferiscono su un altro oggetto? Ecco qui una traduzione assai più interessante. Prendiamo un signore che ascolti il suono di una campana e non evochi l’immagine di una campana bensì quella di un familiare. In questo caso non si sta mettendo in relazione l’oggetto che si ode con l’oggetto che si è visto in quel momento, con l’oggetto che si è udito in quel momento, no: in questo caso si sta associando quell’oggetto ad altri fenomeni, ad altre immagini che avevano accompagnato la memorizzazione di quel momento e che, però, non si riferivano all’oggetto in questione bensì ad un altro tipo d’oggetto. Primariamente, ad un determinato oggetto, si associano le sue differenti caratteristiche percettuali; ma andiamo oltre e parliamo di un oggetto cui non solo si associano le sue differenti caratteristiche ma anche tutti quei fenomeni che con l’oggetto sono stati in rapporto. Questi fenomeni chiamano in causa altri oggetti, altre persone, intere situazioni. Parliamo dunque del fenomeno della traduzione d’impulsi che non si riferisce solo alle caratteristiche di uno stesso oggetto ma anche a quelle di altri oggetti e strutture situazionali che si erano associate all’oggetto in questione. Sembra, dunque, che la strutturazione si effettui mettendo in relazione diverse percezioni di uno stesso oggetto e secondo il contesto situazionale.
Andiamo più in là. Quel che accade è che, siccome esiste l’impulso interno, il soggetto, qualora tale impulso interno abbia il sufficiente potenziale di segnale necessario ad arrivare alla soglia di registro, nel momento in cui percepisce il suono della campana prova una curiosa emozione. Non sta più traducendo impulsi, o associando impulsi tra le diverse caratteristiche di quell’oggetto e di altri che l’accompagnano, o tra intere strutture di percezione, no, il soggetto fa qualche cosa di più: sta traducendo tra strutture di percezione completa e strutture del registro che le aveva accompagnate in quel momento.
Se abbiamo visto come si possa tradurre l’impulso corrispondente ad un senso e trasferirlo ad un altro, allora perché non dovremmo essere in grado di tradurre anche gli impulsi che sono registrati dai sensi esterni e che per contiguità evocano impulsi che sono stati impressi in memoria dai sensi interni? Non è molto più difficile. Il punto è che il fenomeno mette un po’ di timore e ha caratteristiche sempre più vaghe a mano a mano che il livello di coscienza diminuisce: ma la sua meccanica non è particolarmente strana.
Ricordiamo che la memoria studiata per strati, come la memoria antica, la memoria mediata e quella recente, è sempre in movimento. La materia prima più prossima è quella del giorno in corso, in cui abbiamo i dati più freschi. Ma ci sono anche numerosi fenomeni associati che si riferiscono alla memoria antica e questi ci mettono in difficoltà, giacché il registro di un oggetto che può essere associato a fenomeni recenti è accompagnato, dal punto di vista della traduzione, a fenomeni di memoria antica. Questo è straordinario e succede in particolare con determinati tipi di senso. Il senso dell’olfatto, per via della sua strutturazione, è il più ricco in questo genere di produzioni. Il senso dell’olfatto, infatti, suole risvegliare catene associative molto ampie di tipo situazionale, molte delle quali estremamente antiche. Conoscete l’esempio: si percepisce la qualità di un determinato odore e appaiono immagini complete dell’infanzia. Ma come si risvegliano queste immagini? Forse ricordate quello stesso odore, semplicemente lo stesso odore, dopo più di vent’anni? No. Ricordate un’intera situazione passata, antica, che è saltata fuori grazie alla percezione attuale dello stesso odore.
La traduzione d’impulsi, che inizialmente è sembrata semplice e di facile ricerca, termina in maniera complessa. Aree diverse della memoria, strutturazioni apparentemente incoerenti della percezione, registri interni che si associano a fenomeni percepiti esternamente, produzioni immaginarie che a volte interferiscono col registro esterno e vi si associano, operazioni della memoria che, nel tradursi, imboccano le vie associative di un livello di coscienza, tutto ciò rende più difficile la comprensione dello schema generale.
Finora abbiamo esaminato come gli impulsi si associno e si traducano l’uno nell’altro: ma esistono anche fenomeni molto curiosi, vale a dire i fenomeni di trasformazione. L’immagine, che era strutturata in un modo, inizia ben presto ad assumere altre configurazioni. Questo processo, che avviene nelle vie associative e in cui gli impulsi associati che sorgono nello spazio di rappresentazione acquistano vita propria iniziando a deformarsi e trasformarsi, ci mostra una mobilità che si sovrappone ad un’altra mobilità. Questi sono i problemi che troviamo nelle tecniche di trasferenza. Dobbiamo dare stabilità a tutto questo, dobbiamo poter contare su qualche genere di leggi generali che ci permettano di operare in questo caos in movimento. Abbiamo bisogno di alcune leggi operative, qualche cosa che risponda sempre, nelle stesse condizioni, dando gli stessi risultati: il che esiste, perché, fortunatamente, il corpo ha una certa stabilità. È grazie al fatto che il corpo ha una certa permanenza che siamo in grado di operare; ma se questo accadesse nel mondo psichico, esclusivamente, non sarebbe possibile operare in alcun modo, non ci sarebbe alcun punto di riferimento.
Il riferimento oggettuale corporeo è ciò che ci permette di affermare che un dolore in una determinata zona del corpo, anche se si traduce in modi diversi, evoca diverse contiguità di immagini, crea miscele di memorie e tempi, ciò nonostante è un fenomeno che sarà individuato in una determinata zona dello spazio di rappresentazione. Grazie alla stabilità del corpo possiamo comprendere molti altri fenomeni curiosi e molte funzioni. Questo corpo è un vecchio amico, un buon compagno che ci fornisce punti di riferimento per muoverci nello psichismo. Non abbiamo altro modo.
Vediamo ora che cosa succede con lo spazio di rappresentazione e con i fenomeni che s’innescano a partire da esso.
Immagino una linea orizzontale davanti ai miei occhi. Poi chiudo gli occhi: dove l’immagino? Ebbene, l’immagino davanti e fuori. Immagino ora il mio stomaco: dove l’immagino? In basso e dentro. Adesso immagino quella linea nello stesso luogo in cui è lo stomaco e ciò mi crea un problema di ubicazione. Se poi immagino lo stomaco davanti a me e fuori di me, anche questo mi creerà un problema di ubicazione. Quando immagino lo stomaco in basso e dentro non solo immagino lo stomaco ma ho anche un registro cenestesico di esso e questo è un secondo componente della rappresentazione. Ora, posso anche immaginare lo stomaco davanti a me, verso l’alto e al di fuori di me, ma non ne ho lo stesso registro cenestesico; ne consegue che l’immagine, quando si situa nel luogo che le corrisponde, ha anche il componente cenestesico di registro che ci dà un importante riferimento. Se fate un piccolo sforzo, potete immaginare di avere lo stomaco verso l’alto e all’esterno di voi: ma come lo immaginate? Forse come un disegno, come l’avete visto nei libri. Se invece lo immaginate in basso e dentro, ebbene: come lo immaginate? Sempre come il disegno? Impossibile. Ne avete un’immagine visiva? Impossibile. Potreste averne associata una per via del fenomeno della traduzione, ma che cosa significa immaginarlo nello spazio di rappresentazione, in basso e dentro? Significa lavorare con altro tipo d’immagine, un’immagine cenestesica.
Ecco allora che, a seconda che si situi l’immagine in un punto o in un altro dello spazio di rappresentazione, a un determinato livello di profondità o ad un altro, non solo si avrà il registro di tale immagine ma si avrà anche la rappresentazione cenestesica corrispondente a tale spazio e tale profondità. Quando gli oggetti situati nello spazio di rappresentazione sono osservati “dal fondo” di tale spazio diciamo che stiamo lavorando con l’articolazione vigilica. Vale a dire che vediamo i fenomeni esterni a noi (o definiti “esterni” a noi) come se fossero fuori della nostra testa.
Ora posso immaginare oggetti lontani che siano fuori della mia testa. Da dove registro queste immagini? Dall’interno della mia testa, questa è la sensazione che ho. Tuttavia non sostengo che questi oggetti siano dentro la mia testa. Se adesso quest’oggetto che immagino fuori di me lo colloco immaginariamente dentro la mia testa avrò un registro cenestesico, oltre all’immagine che ho collocato all’interno della mia testa.
Secondo il livello di profondità interno allo spazio di rappresentazione arriveremo a possedere un tipo di registro esterno o un tipo di registro cenestesico. Ciò è piuttosto importante al fine di comprendere il fenomeno trasferenziale posteriore.
Posso immaginare, dal fondo di questa sorta di schermo, i fenomeni che sono fuori della mia testa e, pure, immaginando fenomeni che siano invece dentro la mia testa, avere una collocazione all’interno di questo spazio mentale. Posso fare uno sforzo ulteriore ed immaginare quest’oggetto interno alla mia testa come se lo vedessi contemporaneamente in diversi momenti e da diversi punti di vista. È possibile vedere l’oggetto da diversi punti di vista come se “colui che rappresenta” fosse intorno all’oggetto ma, normalmente, si rappresenta l’oggetto a partire  da un certo “fondo”.
Ci sono parecchi inconvenienti con lo spazio mentale situato verso la parte posteriore della testa, non invece con quello situato nella parte anteriore. Quasi tutti i sensi esterni sono ubicati nella zona anteriore della testa; è così che si percepisce il mondo e si articola lo spazio mentale che gli corrisponde. Partendo dalle orecchie e andando verso la parte posteriore, invece, rappresentazione e percezione diventano più difficili.
Alle vostre spalle ci sono le tende di questa sala, potete immaginarle senza vederle. Ma, quando nello spazio di rappresentazione si osservano le tende che sono in fondo, ci si può domandare: da dove vedete le tende? Le vedete dallo stesso schermo, solo che in esso si è prodotta una sorta d’inversione. Non siete dietro alle tende, siete nello stesso luogo d’osservazione interno e le tende ora vi sembrano fuori di voi, ma dietro. Questo ci crea qualche problema, ma in ogni caso continuiamo a stare nel trasfondo dello spazio di rappresentazione.
Questo spazio di rappresentazione crea alcuni problemi “topografici”. Immaginiamo adesso fenomeni che si diano lontano da questa sala, fuori di questa sala. Non posso certo sostenere che la mia coscienza sia fuori di questa sala: tuttavia includo questi oggetti nel mio spazio di rappresentazione. Ecco, questi oggetti sono situati all’interno del mio spazio di rappresentazione. Ma dov’è allora lo spazio di rappresentazione, se si riferisce ad oggetti che stanno fuori? Questo fenomeno illusorio è estremamente interessante, perché la rappresentazione degli oggetti può estendersi fuori dello spazio percettivo immediato dei miei sensi ma mai arrivare fuori del mio spazio di rappresentazione; ne consegue che il mio spazio di rappresentazione è assolutamente interno e mai esterno.
Chi non comprendesse appieno tutto ciò, chi lo fraintendesse, potrebbe credere che lo spazio di rappresentazione si estenda dal corpo verso l’esterno, mentre in realtà lo spazio di rappresentazione si estende verso l’interno del corpo. Questo “schermo” si configura grazie alla somma degli impulsi cenestesici che offrono continui riferimenti. Tale schermo è interno e non è che in questo schermo vi si proiettino i fenomeni che immagino fuori; in tutti i casi io li immagino dentro, anche se ai diversi livelli di profondità di questo schermo interno.
Quando affermiamo che le immagini che nascono in diversi punti dello spazio di rappresentazione agiscono sui centri resta chiaro che non potrebbero agire sui centri se lo schermo si trovasse all’esterno. Le immagini agiscono sui centri perché, anche qualora il soggetto creda che tali fenomeni si trovino all’esterno, questi impulsi vanno verso l’interno. A questo punto sarà bene chiarire che non sto minimamente negando l’esistenza dei fenomeni esterni; sto, questo sì, analizzando la loro configurazione, giacché tali fenomeni attraversano i filtri della mia percezione e si articolano nello schermo di rappresentazione.
A mano a mano che il livello di coscienza cade si modifica la strutturazione dello spazio di rappresentazione e quei fenomeni che prima erano visti da dentro credendoli fuori ora, con la caduta del livello di coscienza, sono visti fuori credendoli dentro oppure sono visti dentro credendoli fuori. Dov’è quel fondo dello schermo nel quale mi trovavo quando mi riferivo a fenomeni esterni immaginati, dov’è ora nei miei sogni, quando “io” stesso mi vedo esterno a “colui” che vede? Senza contare che mi vedo da sopra, da sotto, da lontano, da più vicino e così via. Ne consegue che ora i limiti dello spazio di rappresentazione acquistano veramente caratteristiche interne. Lo spazio di rappresentazione, alla caduta di livello della coscienza, si fa più interno, perché gli stimoli dei sensi esterni sono scomparsi ed il lavoro di quelli interni si è rafforzato. Nel momento in cui gli impulsi cenestesici si rafforzano lo spazio di rappresentazione interno ha acquisito pienezza; accade, ora, che questi fenomeni avvengano all’”interno” dello spazio di rappresentazione in quanto tale. Compaiono immagini in cui lo spazio di rappresentazione acquisisce caratteristiche più rilevanti, secondo la rilevazione compiuta dagli impulsi della cenestesia. Nei sogni lo spazio di rappresentazione presenta limiti simili a pareti o contenitori di vario tipo e, a volte, è raffigurato come la testa stessa all’interno della quale stanno avvenendo tutti gli altri fenomeni onirici. Quando il livello di coscienza cade, il maggiore dei contenitori è precisamente il limite dello spazio di rappresentazione.

I centri istintivi (quello vegetativo e quello sessuale) si mettono in moto con forza quando il livello di coscienza cade, anche se esistono alcune concomitanze di tipo emotivo, altre intellettuali e quasi nessuna concomitanza motoria. Quando il situarsi dei fenomeni avviene nello spazio di rappresentazione corrispondente al livello di coscienza basso, il maggior lancio  di immagini colpisce il centro vegetativo ed il sesso, che sono i centri più interni e lavorano con registri di sensazioni cenestesiche, mentre gli altri centri sono in genere molto legati ad impulsi che provengono dai sensi esterni. D’altra parte, immagini che nella vita quotidiana non mettono in moto cariche o scariche rilevanti per i centri menzionati, possono essere di grande potenza nella caduta del livello di coscienza. A loro volta, dal lavoro di questi centri, si configurano forti immagini interne, giacché del lavoro dei centri si ha una percezione che si converte in immagine. Questo fenomeno è reversibile e, come lo spazio di rappresentazione si configura per via degli impulsi cenestesici, così anche qualsiasi immagine che si situa in un determinato livello dello strato interno dello spazio di rappresentazione agisce sul livello corporeo che ad essa corrisponde.
Torniamo ad esaminare ciò che avevamo affermato sulle associazioni oggettuali dei diversi sensi, sulle traduzioni degli impulsi relative ad uno stesso oggetto, sulle associazioni oggettuali tra oggetti e situazioni e sulle traduzioni degli impulsi di un oggetto rispetto ad altri oggetti che lo circondano. Le associazioni oggettuali, riferite a situazioni esterne ed a situazioni interne (vale a dire ad impulsi cenestesici), sono registri complessi che progressivamente si imprimono nella memoria. Queste impressioni esistono sempre come sfondo di qualsiasi fenomeno di rappresentazione (vale a dire d’immagine) e sono legate a zone e profondità precise dello spazio di rappresentazione.
Possediamo già alcuni elementi necessari a comprendere ciò che accade nello spazio di rappresentazione con il transito delle immagini nei livelli del sogno e del dormiveglia, e abbiamo ormai capito i primi passi di quelle che chiameremo “tecniche di trasferenza”. Tali tecniche saranno efficaci, saranno in grado di raggiungere i loro obiettivi, se effettivamente i fenomeni che appaiono sullo schermo di rappresentazione ai livelli bassi della coscienza metteranno in moto, nel trasformarsi, varie parti del corpo, varie tensioni nel corpo, o se porteranno alla luce fenomeni mnemici che producono tensioni espresse da immagini corrispondenti. Agendo su queste immagini modifichiamo il sistema di associazioni che hanno motivato quelle tensioni.
Il nostro problema, in queste tecniche di trasferenza, sarà associare o dissociare climi e immagini: vale a dire separare i climi dai temi.
A volte ci si presentano situazioni nelle quali dobbiamo associare un’immagine ad un clima, perché senza tale immagine avremmo a disposizione solo immagini cenestesiche ma non visualizzabili; e, non essendo queste visualizzabili, non potremmo spostarle a diverse altezze e diversi livelli nello spazio di rappresentazione. Ci troveremmo dunque obbligati ad associare a determinati climi determinate immagini, per poi far muovere tali immagini nello spazio di rappresentazione e con ciò “trascinare” i climi. Se non procedessimo così il clima diffuso si distribuirebbe nello spazio di rappresentazione in modo tale che non potremmo agire con esso.
A volte invece, per un altro peculiare funzionamento dei fenomeni ai livelli di sonno, troviamo immagini visive cui aderiscono cariche che non corrispondono esattamente a tali immagini; cercheremo allora di dissociare queste cariche e trasferire al loro posto cariche corrispondenti.
Ecco allora che dovremo risolvere parecchi problemi nel trasferimento delle cariche, nel trasferimento di immagini, nello spostamento delle immagini e nella loro trasformazione.


PSICOLOGIA 3

 

Il presente scritto è un riassunto, realizzato dai partecipanti, delle spiegazioni date da Silo a Las Palmas de Canarias all’inizio dell’agosto 1978. 


Catarsi, trasferenza e autotrasferenza. L’azione nel mondo come forma trasferenziale.

Dobbiamo prendere in considerazione due circuiti di impulsi che finiscono per dare un registro interno. Un circuito corrisponde alla percezione, alla rappresentazione, alla nuova acquisizione della rappresentazione ed alla sensazione interna, mentre un altro circuito ci mostra che di qualsiasi azione intraprendo nel mondo ho pure una sensazione interna. È questa continua retroalimentazione che ci permette di apprendere facendo. Se in me non ci fosse una presa di retroalimentazione dei movimenti che sto compiendo non li potrei mai perfezionare: imparo a scrivere alla tastiera grazie alla ripetizione, vale a dire che registro le mie azioni tra riuscita ed errore, ma posso registrare atti solo se li compio.
Da ciò che faccio nasce un registro. Esiste un grande pregiudizio, che a volte è stato esteso al campo della pedagogia, secondo il quale le cose s’imparano semplicemente pensandole. Naturalmente si apprende qualcosa perché anche il pensiero produce una ricezione del dato: tuttavia, la meccanica dei centri ci dice che essi si mettono in moto quando arrivano loro immagini, e la messa in moto dei centri è una sovraccarica che lancia la sua attività al mondo. Di questo “lancio” di attività c’è una presa di retroalimentazione che va alla memoria e, per altra via, alla coscienza. Questa presa di retroalimentazione è ciò che ci permette di dire, per esempio, “ho sbagliato tasto”. È così che registro le sensazioni di riuscita e di errore, è così che perfeziono il registro di riuscita ed è qui che si fluidifica ed automatizza il modo corretto di scrivere a macchina, per esempio. Stiamo parlando di un secondo circuito che mi fornisce il registro dell’azione prodotta.
In altra occasione abbiamo esaminato le differenze esistenti tra gli atti detti “catartici” e quelli “trasferenziali”. I primi si riferivano, fondamentalmente, allo scaricarsi delle tensioni, mentre i secondi permettevano di trasferire cariche interne, integrare contenuti ed ampliare le possibilità di sviluppo dell’energia psichica. È risaputo che laddove esistono “isole” di contenuti mentali, di contenuti che non comunicano l’uno con l’altro, insorgono difficoltà per la coscienza. Se, per esempio, pensiamo in una direzione, sentiamo in un’altra e agiamo, infine, in una terza del tutto diversa, ecco che entra in azione un registro di “non incastro”, un registro che non è pieno. Sembra che unicamente quando tendiamo ponti tra i contenuti interni, il funzionamento psichico si integra e noi possiamo avanzare di alcuni passi.
Tra le tecniche di Operativa conosciamo le attività trasferenziali. Mettendo in moto determinate immagini e compiendo con tali immagini percorsi diretti ai punti di resistenza potremo vincere queste ultime e, nel vincerle, provochiamo distensioni e trasferiamo le cariche a nuovi contenuti. Tali cariche trasferite (trasformate in elaborazioni post-trasferenziali) permettono al soggetto d’integrare alcune regioni del suo paesaggio interno, del suo mondo interno. Conosciamo queste tecniche trasferenziali ed altre come quelle autotrasferenziali, in cui non è richiesta l’azione di una guida esterna perché ci si può guidare internamente da soli tramite determinate immagini precedentemente codificate.
Sappiamo come non solo il lavoro delle immagini, di cui abbiamo appena parlato, ma anche l’azione possa operare fenomeni trasferenziali e fenomeni autotrasferenziali. Un tipo di azione non sarà uguale all’altro. Ci saranno azioni che permetteranno di integrare contenuti interni e ce ne saranno altre tremendamente disintegratrici. Determinate azioni producono una tale carica di ansia, un pentimento e una scissione interna talmente grandi, un disagio tanto profondo che mai si vorrà tornare a ripeterle; ma, nonostante tutto ciò, quelle azioni sono diventate parte integrante del passato e, anche se non si tornasse a ripeterle, quelle azioni continuerebbero ad esercitare la loro pressione sul futuro senza trovare soluzione, senza permettere che la coscienza sposti, trasferisca o integri i propri contenuti permettendo al soggetto di esperire quella sensazione di crescita interna che è così stimolante e liberatoria.
È chiaro che l’azione che si effettua nel mondo non è indifferente. Esistono azioni delle quali si ha un registro d’unità ed altre che danno invece un registro di disintegrazione. Se studiamo il problema dell’azione nel mondo alla luce di ciò che sappiamo sui processi catartici e trasferenziali, il tema dell’integrazione e dello sviluppo dei contenuti della coscienza diventerà molto più chiaro. Torneremo su questo argomento dopo aver gettato uno sguardo allo schema generale della nostra psicologia.

Schema del lavoro integrato dello psichismo.

Presentiamo lo psichismo umano come una sorta di circuito integrato d’apparati e d’impulsi in cui alcuni apparati, chiamati “sensi esterni”, sono i recettori degli impulsi provenienti dal mondo esterno. Ci sono poi apparati che ricevono impulsi dal mondo interno, dall’intracorpo; a questi diamo il nome di “sensi interni”. Tali sensi interni, molto numerosi, sono di grande importanza per noi e dobbiamo sottolineare come la psicologia più ingenua li abbia fortemente sottovalutati. Osserviamo poi come esistano altri apparati, come quelli della memoria, che captano ogni segnale, che provenga dall’esterno o dall’interno del soggetto. Esistono anche altri apparati, vale a dire quelli che regolano i livelli di coscienza, e, infine, apparati di risposta. Tutti questi apparati, nel proprio lavoro, ricorrono alla direzione di un sistema centrale che chiamiamo “coscienza”. La coscienza mette in relazione e coordina il funzionamento dei vari apparati, ma se può farlo è grazie ad un sistema d’impulsi. Gli impulsi vanno e vengono da un apparato ad un altro: impulsi che percorrono il circuito a fortissima velocità, impulsi che traducono, si deformano e si trasformano, impulsi che, in ogni caso, danno luogo a produzioni altamente differenziate di fenomeni di coscienza.


Si riferisce al punto 8 di Psicologia 2.

 

I sensi, che rilevano ininterrottamente informazioni di ciò che avviene negli ambienti esterno ed interno, sono sempre in attività. Non c’è senso che sia in riposo: anche quando una persona dorme e tiene gli occhi chiusi, l’occhio sta rilevando infomazioni da quello schermo buio, l’udito riceve impulsi dal mondo esterno e così via in tutti i classici, scolastici cinque sensi. Ma anche i sensi interni stanno rilevando informazioni di ciò che accade nell’intracorpo. Ci sono sensi che captano dati relativi al pH sanguigno, all’alcalinità, alla salinità, all’acidità; sensi che captano dati relativi alla pressione arteriosa, al quantitativo di zuccheri nel sangue, alla temperatura. I termorecettori, i barocettori ed altri recettori ricevono continuamente informazioni su quel che avviene all’interno del corpo, mentre, simultaneamente, i sensi esterni captano altre informazioni su ciò che succede all’esterno del corpo.
Qualsiasi segnale ricevuto dagli interocettori passa per la memoria ed arriva alla coscienza: o meglio, tali segnali dell’intracorpo si sdoppiano e tutte le informazioni rilevate arrivano simultaneamente alla memoria ed alla coscienza (cioè ai diversi livelli della coscienza, che si regolano in base alla qualità ed all’intensità di tali impulsi). Ci sono impulsi molto deboli, subliminali, al limite della percezione, ma, d’altra parte, ci sono anche impulsi che diventano intollerabili perché raggiungono esattamente la soglia di tolleranza, oltre la quale gli stessi impulsi perdono la loro qualità di semplice percezione di un determinato senso per trasformarsi, da qualsiasi senso provengano, in una percezione omogenea e conferendo così una percezione dolorosa. Esistono poi altri impulsi che dovrebbero arrivare alla memoria, alla coscienza, e che tuttavia non vi arrivano perché c’è stata un’interruzione in un senso, esterno o interno. Succede pure che altri impulsi non arrivino alla coscienza non perché vi sia un’interruzione nel ricettore ma perché, purtroppo, qualche fenomeno ha prodotto un blocco in un determinato punto del circuito. Possiamo illustrare alcuni casi di cecità conosciuti come “somatizzazioni”: si controlla l’occhio, si controlla il nervo ottico, si controlla la localizzazione occipitale e così via e, nel circuito, tutto è a posto, ma ciò nonostante il soggetto resta cieco e lo è non a causa di un problema organico bensì di un problema psichico che gli si è presentato. Un’altra persona può essere diventata muta, o sorda, e tuttavia nel suo circuito, per quanto attiene a connessioni e localizzazioni, tutto funziona a meraviglia... eppure qualche cosa ha bloccato il percorso degli impulsi. La stessa cosa accade con gli impulsi provenienti dall’intracorpo e ciò, per quanto sia scarsamente riconosciuto, è comunque di grande importanza, perché avviene che esistano parecchie “anestesie”, per così dire, degli impulsi dell’intracorpo. Le anestesie più frequenti sono quelle che corrispondono agli impulsi del sesso, ed è per questa ragione che molte persone, a causa di qualche problema psichico, non rilevano correttamente i segnali che provengono da quel punto. Siccome si è prodotto un blocco e non si rilevano quei segnali, ciò che normalmente dovrebbe arrivare alla coscienza (che si tratti del suo campo attenzionale più manifesto o dei livelli subliminali) subisce gravi distorsioni o non arriva affatto. Quando un impulso, proveniente dai sensi esterni od interni, non arriva alla coscienza, quest’ultima inizia ad agire come se cercasse di ricomporre tale assenza, “chiedendo in prestito” impulsi alla memoria e compensando così la mancanza di stimolo di cui avrebbe bisogno per il proprio lavoro di elaborazione. Quando, a causa di qualche falla sensoriale esterna od interna o semplicemente a causa di un blocco, dal mondo esterno od interno qualche impulso non arriva, ecco che la memoria fa partire il suo “treno” d’impulsi, tentando di compensare. Qualora ciò non accada, la coscienza s’incarica di prendere registro di se stessa. È uno strano lavoro quello compiuto dalla coscienza: è come se ci si mettesse di fronte ad uno specchio con una telecamera e nello schermo si vedesse uno specchio dentro uno specchio e così via all’infinito, in un processo moltiplicativo delle immagini in cui la coscienza rielabora i propri contenuti e si tortura nel tentativo di trovare impulsi dove non ce ne sono. I fenomeni ossessivi assomigliano un po’ alla telecamera di fronte allo specchio. Come, in questo caso, la coscienza compensa prendendo impulsi da un altro punto, così anche quando gli impulsi dell’esterno o dell’intracorpo sono molto forti la coscienza si difende sconnettendo il senso, come se avesse delle valvole di sicurezza. Abbiamo già detto che i sensi sono in continuo movimento. Quando si dorme, per esempio, i sensi corrispondenti ai rumori esterni abbassano la propria soglia di percezione così che molte cose, che in stato di veglia sarebbero percepite, nel momento in cui la soglia si chiude non entrano, ma ciò nonostante si continuano a ricevere segnali e, normalmente, i sensi alzano ed abbassano la propria soglia percettiva secondo il rumore di fondo che, in quel momento, ci circonda. Questo è il normale lavoro dei sensi, è chiaro, ma quando i segnali sono irritanti ed i sensi non riescono ad eliminare l’impulso con l’abbassamento della soglia, la coscienza tende a sconnettere completamente il senso. Immaginiamo il caso di una persona sottoposta a forti irritazioni sensoriali esterne: se aumentano i rumori della città, se aumenta la stimolazione visiva, se aumenta tutta quella farraginosa quantità di notizie provenienti dal mondo esterno, allora in quella persona può verificarsi una sorta di reazione. Il soggetto tenderà a sconnettere i propri sensi esterni e a “cadere all’indentro”; inizierà a trovarsi alla mercé degli impulsi dell’intracorpo, a sconnettere il proprio mondo esterno in un processo di rarefazione della coscienza. Il fatto, però, non è così drammatico: si tratta di entrate in sé stessi nel tentativo di eludere il rumore esterno. In questo caso il soggetto, che desiderava diminuire il rumore sensoriale, si troverà, al contrario, addirittura di fronte all’amplificazione degli impulsi dell’intracorpo, perché come in ciascuno dei sensi esterni ed interni esiste una regolazione dei limiti, così anche il sistema dei sensi interni compensa il sistema dei sensi esterni. Potremmo dire che, in linea generale, quando il livello della coscienza si abbassa (andando verso il sonno), i sensi esterni abbassano le proprie soglie di percezione mentre aumentano le soglie di percezione dei sensi interni. Viceversa, quando il livello di coscienza sale (verso il risveglio), nel soggetto la soglia di percezione dei sensi interni inizia ad abbassarsi e quella della percezione esterna si apre. Succede però, come nell’esempio precedente, che anche in stato di veglia le soglie dei sensi esterni possono ridursi ed il soggetto può entrare in una situazione di “fuga” di fronte all’irritazione provocata dal mondo.
Proseguendo nella descrizione dei grandi blocchi di apparati, osserviamo le operazioni compiute dalla memoria nel ricevere gli impulsi. La memoria acquisisce continuamente dati ed è così che, sin dalla prima infanzia, s’è formato un substrato di base. In base a questo substrato si organizzeranno tutti dati di memoria che si continuino ad accumulare. Sembra che siano i primi momenti di vita quelli che determinano, in grande misura, i processi successivi. Ma la memoria antica diventa sempre più lontana dalla disponibilità vigilica della coscienza. Sul substrato si accumulano via via i dati più recenti, fino ad arrivare ai dati immediati del giorno in corso. Immaginate le difficoltà insite nel lavoro di recupero di contenuti di memoria molto antichi che stanno alla base della coscienza: è difficile arrivare fin là. Bisogna dunque inviare delle “sonde”. A volte però, paradossalmente, proprio le sonde che si inviano sono rispedite indietro da resistenze. Dovremo allora ricorrere a tecniche abbastanza complesse, affinché queste sonde possano riuscire a prelevare campioni di memoria con l’intenzione di rimettere a posto quei contenuti che, in alcuni casi sfortunati, erano male inseriti.
Esistono poi altri apparati, come i centri, che compiono un lavoro abbastanza più semplice. I centri lavorano con le immagini. Le immagini sono impulsi che, provenendo dalla coscienza, si lanciano sui centri corrispondenti, cosicché questi centri muovono il corpo in direzione del mondo. Conoscete il funzionamento dei centri intellettuale, emotivo, motorio, sessuale e vegetativo, e sapete che per mettere in moto uno qualsiasi di tali centri sarà necessario che si lancino immagini adatte. Potrebbe anche succedere che la carica, l’intensità del lancio sia insufficiente, ed in questo caso il centro in questione si muoverebbe debolmente, così come potrebbe succedere che la carica sia eccessiva: in questo caso, allora, nel centro si verificherebbe un movimento sproporzionato. D’altra parte, quei centri, che pure sono in continuo movimento e che lavorano in struttura, nel mettere in moto cariche in direzione del mondo assorbono energia dai centri contigui. Immaginiamo una persona che abbia alcuni problemi che si riflettono sulla sua motricità intellettiva, ma i cui problemi siano di natura affettiva: ecco che le immagini proprie della motricità dell’intelletto contribuiranno a far sì che i contenuti si riordinino, ma né rielaborare immagini sfrenate né rimuginare su immagini fantastiche risolverà il problema emotivo. Se la persona in questione, invece di abbandonarsi all’attività d’insogno, s’alzasse in piedi ed iniziasse a muovere il corpo lavorando sulla propria motricità, riassorbirebbe le cariche negative del centro emotivo e la sua situazione cambierebbe. Normalmente, però, si pretende di gestire tutti i centri dal centro intellettuale, il che porta a numerosi problemi perché i centri, come abbiamo studiato a suo tempo, vanno gestiti “dal basso” (cioè da dove ci sono più energia e velocità) e non “dall’alto” (da dove s’investe l’energia psichica in compiti intellettuali). Infine, tutti i centri lavorano in struttura e, nel lanciare la propria energia verso il mondo, tutti i centri succhiano energia dagli altri centri. A volte si sovraccarica un centro e, “traboccandone” il potenziale, esso energetizza gli altri centri. Questi “traboccamenti” non sono sempre negativi perché, sebbene in un tipo di traboccamento possa capitare di incollerirsi e di commettere azioni riprovevoli, in un altro tipo di traboccamento ci si può entusiasmare e rallegrarsi, e questa sovraccarica energetica del centro emotivo può finire per distribuirsi molto positivamente in tutti gli altri centri. A volte, invece, si produce una grande carenza, un gran vuoto, una grande “suzione” del centro emotivo. Il soggetto inizia allora a lavorare in negativo con il centro emotivo. Per dirlo con un’immagine, è come se nel centro emotivo si fosse generato un “buco nero” che concentra la materia, che contrae lo spazio e attrae tutto verso di sé. Ecco che il nostro soggetto si deprime: le sue idee si rabbuiano ed anche il suo potenziale motorio e persino quello vegetativo diminuiscono. Drammatizzando un po’, aggiungiamo che diminuiscono perfino le sue difese vegetative e che, quindi, una quantità di risposte che normalmente il suo organismo dà ora sono attenuate: adesso il suo organismo è più incline alla malattia.
Tutti gli apparati lavorano con maggiore o minor intensità secondo il livello di coscienza. Se il nostro soggetto è in stato vigilico, sé è sveglio, gli succederanno cose molto diverse da quelle che gli succederebbero se stesse dormendo. Chiaramente ci sono molti stati e livelli intermedi. Esiste, ad esempio, un livello intermedio di dormiveglia che deriva da una mescolanza tra la veglia ed il sonno e, anche all’interno del sonno, esistono livelli differenti. Un sonno paradossale, vale a dire un sonno con immagini, non è la stessa cosa di un sonno profondo, vegetativo. Nel sonno profondo, vegetativo, la coscienza non assume dati, per lo meno nel suo campo centrale; si tratta di un sonno simile alla morte che può durare abbastanza a lungo e se, nel risvegliarsi, non si sarà passati per il sonno paradossale si avrà la sensazione che il tempo si sia contratto. È come se il tempo non fosse passato, perché il tempo della coscienza è relativo all’esistenza dei fenomeni presenti in essa: perciò, non esistendo fenomeni, per la coscienza nemmeno il tempo esiste. In questo sonno in cui non ci sono immagini le cose vanno troppo in fretta: ma non è esattamente così, perché quando si va a dormire e si dorme alcune ore, quel che succede in realtà è che si sono alternate varie fasi dei cicli. Si è passati per il sonno paradossale, poi per il sonno profondo, poi di nuovo per quello paradossale, poi ancora per quello profondo e così via. Se svegliamo il soggetto quando è nella fase di sonno profondo privo d’immagini (come possiamo verificare dall’esterno tramite elettroencefalogramma o REM, Rapid Eye Movement, rapido movimento dei globi oculari), è probabile che non ricorderà nulla delle sequenze d’immagini apparse nella fase del sonno paradossale (durante la quale, dall’esterno, si può notare sotto le palpebre del soggetto il rapido movimento dei globi oculari), mentre se lo svegliamo nel momento in cui il suo sonno è affollato d’immagini è probabile che ricorderà ciò che ha sognato. D’altra parte a chi si risvegli sembrerà che il tempo si sia contratto, perché non ricorderà tutto ciò che è successo nei differenti cicli del sonno profondo. È nei livelli bassi della coscienza, come quelli del sonno paradossale, che gli impulsi dell’intracorpo operano con più scioltezza ed è sempre qui che anche la memoria lavora più attivamente. Quel che accade è che, quando si dorme, il circuito si ricompone: non solo approfitta del sonno per eliminare tossine ma anche per trasferire cariche, cariche di contenuti della coscienza, cariche di cose che, durante il giorno, non sono state ben assimilate. Il lavoro del sonno è intenso: il corpo è in quiete, ma la coscienza lavora intensamente. Riordina i contenuti, proiettando le sequenze “filmate” all’indietro e di nuovo in avanti, classificando ed ordinando in modo diverso i dati percettuali della giornata. Durante il giorno, infatti, s’accumula un disordine percettuale molto grande, perché gli stimoli sono vari e discordanti. Nei sogni, invece, si produce un ordine davvero straordinario e le cose vengono classificate in modo estremamente corretto. Naturalmente la nostra impressione è che sia vero esattamente il contrario, vale a dire che ciò che percepiamo durante il giorno sia molto ordinato e che nei sogni ci sia un gran disordine. In realtà le cose possono anche essere molto ordinate, ma le percezioni che abbiamo di tali cose sono in grandissima misura casuali e fortemente aleatorie, laddove i sogni, nella loro meccanica, procedono a rielaborare e ricollocare i dati nei loro “archivi”. Il sogno non solo esegue questo compito straordinario ma, inoltre, cerca di ricomporre situazioni psichiche ancora in attesa di soluzione. Il sogno cerca di lanciare cariche da una parte all’altra, cerca di produrre scariche catartiche, perché esistono ipertensioni. Nei sogni si risolvono molti problemi legati ai cariche e si producono profondi rilassamenti. Anche nei sogni, però, avvengono fenomeni trasferenziali di cariche che da determinati contenuti si disperdono ad altri e da questi ad altri ancora, in un libero processo di spostamento dell’energia. Molto spesso avrete provato, dopo un bel sogno, la sensazione che qualcosa sia “andato al posto giusto”, come se si fosse verificata una transferenza empirica, come se il sogno avesse operato un trasferimento. Ci sono però anche i sogni “pesanti”, da cui ci si risveglia con la sensazione che un determinato processo interno non sia stato ben digerito. Il sogno sta compiendo il tentativo di rielaborare i contenuti, ma non ci riesce: ecco allora che il soggetto lascia quel livello con una sensazione davvero brutta. Ciò nonostante, naturalmente, il sogno è sempre finalizzato alla ricomposizione dello psichismo.

 

La coscienza e l’io.

Che cosa fa la coscienza mentre i vari apparati lavorano instancabilmente? La coscienza ha a disposizione una sorta di “direttore” delle sue diverse funzioni ed attività, conosciuto come l’”io”. Consideriamolo così: in qualche modo riconosco me stesso, e ciò avviene grazie alla memoria. Il mio io si basa sulla memoria e sul riconoscimento di determinati impulsi interni. Ho contezza di me stesso perché riconosco alcuni dei miei impulsi interni, che sono sempre legati ad un tono affettivo caratteristico. Non solo mi riconosco come me stesso per via della mia biografia e dei miei dati di memoria: mi riconosco anche per via del mio particolare modo di sentire, per il mio particolare modo di comprendere. E dove sarebbe l’io se eliminassimo i sensi? L’io non è un’unità indivisibile, bensì è il risultato della somma e dalla strutturazione dei dati dei sensi e di quelli della memoria.
Un pensatore, alcune centinaia di anni fa, osservò d’essere in grado di pensare al proprio stesso pensiero: scoprì così un’interessante attività dell’io. Non si trattava di ricordare cose, né del fatto che i sensi fornissero informazioni. No, la cosa andava ben al di là: quel pensatore, nell’individuare il problema, cercò con grande attenzione di separare i dati dei sensi e i dati della memoria; cercò di operare una riduzione e di limitarsi al pensiero relativo all’atto del pensare, il che ebbe conseguenze immense sullo sviluppo della filosofia. Ora, però, stiamo cercando di capire il funzionamento psicologico dell’io. Ci chiediamo: “L’io può dunque funzionare anche se prescindiamo dai dati della memoria e da quelli dei sensi?” Esaminiamo il punto con attenzione. L’insieme di atti grazie ai quali la coscienza pensa sé stessa dipende da registri sensoriali interni; i sensi interni forniscono informazioni su ciò che accade nell’attività della coscienza. Questo registro dell’identità propria della coscienza deriva dai dati dei sensi e da quelli della memoria, cui s’aggiunge una configurazione peculiare conferita alla coscienza dall’illusione dell’identità e della permanenza, nonostante i continui cambiamenti che in essa si verificano. Questa configurazione illusoria d’identità e permanenza è l’io.
Commentiamo alcuni esperimenti realizzati in camera anecoica (o camera del silenzio). Una persona vi è entrata e s’è immersa in un liquido a circa 36 gradi di temperatura (vale a dire che è entrata in una vasca la cui temperatura è pari a quella corporea). L’ambiente è climatizzato per far sì che i punti del corpo emergenti dal liquido siano umidi ed alla stessa temperatura del liquido. È poi stato escluso qualsivoglia suono ambientale, ogni indizio olfattivo, luminoso e così via. Il soggetto comincia a galleggiare nell’oscurità più completa e, ben presto, inizia a sperimentare fenomeni straordinari: una mano sembra allungarsi smisuratamente e tutto il corpo ha perso i propri limiti. Ma, se si diminuisce leggermente la temperatura ambientale, succede qualche cosa di curioso: se diminuiamo di un paio di gradi la temperatura dell’ambiente esterno rispetto a quella del liquido il soggetto sente di “uscire” dalla testa e dal petto. In determinati momenti, il soggetto inizierà a sperimentare la sensazione che il proprio io non sia più nel suo corpo ma fuori di esso. Questa straordinaria rarefazione dell’ubicazione spaziale del suo io è dovuta, esattamente, alla modificazione degli impulsi percepiti dalla pelle in alcuni punti precisi (il volto ed il petto), mentre tutti gli altri punti sono totalmente indifferenziati. Se però si tornano ad uniformare la temperatura del liquido e quella dell’ambiente iniziano a prodursi altri fenomeni. Nel momento in cui mancano dati sensoriali esterni la memoria, per compensare tale assenza, inizia a scagliare sequenze di dati, tra i quali si può iniziare a ritrovare dati di memoria molto antichi. La cosa più straordinaria è che questi dati di memoria, a volte, non si presentano come succede normalmente quando si rievocano immagini della propria vita: no, essi appaiono “fuori” della testa. È come se quei ricordi “si vedessero là, fuori da sé stessi”, come fossero allucinazioni proiettate su uno schermo esterno. È chiaro: non si ha una grande nozione di dove termina il corpo, quindi non si hanno grandi riferimenti di dove sono situate le immagini. Le funzioni dell’io si sentono fortemente alterate: ricorrendo semplicemente all’eliminazione dei dati sensoriali esterni, si produce una sorta d’alterazione delle funzioni dell’io.

 

Reversibilità e fenomeni alterati della coscienza.

Nello schema che stiamo descrivendo nuovamente, l’apparato della coscienza lavora con meccanismi di reversibilità. Vale a dire che, così come percepisco un suono, cioè meccanicamente, involontariamente, così posso anche fare attenzione alla fonte dello stimolo, nel qual caso la mia coscienza tenderà a rivolgere la propria attività verso la fonte sensoriale. Percepire non è la stessa cosa che appercepire: l’appercezione, infatti, è l’attenzione più la percezione. Né ricordare, cioè il processo in base al quale quel che adesso mi passa per la testa arriva dalla mia memoria e la coscienza riceve passivamente il dato, è la stessa cosa che rammemorare, processo in cui la mia coscienza va alla fonte della memoria, lavorando in base a singolari procedimenti di selezione e scarto. Ne consegue che la coscienza dispone di meccanismi di reversibilità, che lavorano secondo lo stato di lucidità in cui la coscienza si trova in quel momento. Sappiamo come, diminuendo il livello, sia sempre più difficile risalire volontariamente alla fonte degli stimoli. Gli impulsi s’impongono, i ricordi s’impongono e tutto ciò, con gran forza di suggestione, controlla la coscienza mentre questa, indifesa, si limita a ricevere gli impulsi. Il livello di coscienza scende, diminuisce la critica, diminuisce l’autocritica e diminuisce la reversibilità, con tutte le conseguenze del caso. Tutto ciò non si dà soltanto nelle cadute di livello della coscienza ma anche nei suoi stati alterati. Chiaramente non dobbiamo confondere i livelli con gli stati. Possiamo, per esempio, essere nel livello vigilico di coscienza, ma essere in uno stato passivo, o in uno stato d’attenzione, o in uno alterato e così via. Ciascun livello di coscienza ammette distinti stati. Nel livello del sonno paradossale sono differenti gli stati di sonno tranquillo, sonno alterato e sonno sonnambòlico. La reversibilità può anche cadere, in qualcuno degli apparati della coscienza, per via di stati alterati e non perché si sia abbassato il livello.
Può succedere che una persona sia in stato di veglia e tuttavia, per via di una circostanza particolare, soffra di forti allucinazioni. Tale persona osserverebbe fenomeni che, per lei, apparterrebbero al mondo esterno, ma in realtà starebbe solo proiettando “esternamente” alcune delle proprie rappresentazioni interne e sarebbe fortemente suggestionato da quei contenuti, da quelle allucinazioni, allo stesso modo in cui una persona nel pieno del sogno è fortemente suggestionata dai suoi contenuti onirici. Il nostro soggetto, però, non sarebbe addormentato bensì sveglio. Anche a causa di una febbre molto alta o dell’azione di droghe o di alcool, senza aver perduto il livello di coscienza vigilico, potrebbe trovarsi in uno stato alterato di coscienza con la conseguente apparizione di fenomeni anormali.
Gli stati alterati non sono esattamente globali, ma possono influire su determinati aspetti della reversibilità. Possiamo affermare che chiunque, in piena veglia, può avere qualche apparato di reversibilità bloccato. Tutto funziona bene, le sue attività quotidiane sono normali, è una persona a posto. Tutto procede a meraviglia... tranne che per un punto: e, quando si tocca quel punto, il soggetto perde qualsiasi controllo. C’è un punto in cui la sua reversibilità è bloccata. Quando si tocca quel punto diminuisce il suo senso critico ed autocritico, diminuisce il controllo che egli ha su sé stesso e strani fenomeni interni si impossessano della sua coscienza. Ma ciò non è così drammatico e succede a noi tutti. Infatti, in maggiore o minor misura, tutti abbiamo i nostri problemi con l’uno o l’altro aspetto dei meccanismi di reversibilità. Non disponiamo di tutti i nostri meccanismi a piacimento. Può succedere, allora, che il nostro famoso io direttore d’orchestra non sia più tale quando sono colpiti alcuni aspetti della reversibilità, vale a dire nel momento in cui si verificano disfunzioni tra i differenti apparti dello psichismo. L’esempio della camera anecoica (o camera del silenzio) è molto interessante; in quell’esempio comprendiamo che il problema non è nella caduta del livello di coscienza bensì nella soppressione degli impulsi che dovrebbero arrivare alla coscienza. È così che la nozione stesa di io s’altera e si perde, e nel contempo si perdono anche fasce di reversibilità e di senso critico: compaiono allora allucinazioni compensatorie.
La camera anecoica (o camera del silenzio) ci mostra il caso della soppressione degli stimoli esterni, in cui raramente si verificano fenomeni interessanti se non sono stati eliminati tutti i riferimenti sensoriali. A volte capita la mancanza o l’insufficienza di impulsi provenienti dai sensi interni: a questi fenomeni diamo, genericamente, il nome di “anestesie”. Per via di qualche blocco, i segnali che dovrebbero arrivare non lo fanno. Il soggetto si rarefà, il suo io si distorce ed alcuni aspetti della sua reversibilità si bloccano. Avviene così che l’io possa risultare alterato per eccesso di stimoli o per carenza degli stessi: ma, in qualsiasi caso, se il nostro io direttore si disintegra, le attività di reversibilità scompaiono.
D’altra parte, l’io dirige le operazioni utilizzando uno “spazio”, e la direzione degli impulsi cambierà a seconda di come tale io si collochi in quello “spazio”. Parliamo di “spazio di rappresentazione” (differente dallo spazio di percezione). In tale spazio di rappresentazione, del quale l’io preleva sempre campioni, si situano impulsi ed immagini. A seconda che un’immagine si lanci ad una profondità o ad un livello dello spazio di rappresentazione, la risposta che ne deriva verso il mondo sarà diversa. Se, per muovere la mia mano, la immagino visivamente come se la vedessi da fuori, la immagino dirigersi verso un oggetto che intendo afferrare, non per questo la mia mano si muoverà davvero. Quest’immagine visiva esterna non corrisponde al tipo d’immagine che dev’essere lanciata affinché la mano si muova. Perché questo accada, infatti, è necessario che io utilizzi altri tipi d’immagine: un’immagine cenestesica (basata sulla sensazione interna) e un’immagine cinestesica (basata sul registro muscolare e della posizione che la mia mano assumerà nel muoversi). Potrebbe succedermi, d’un tratto, di sbagliare tipo e collocazione dell’immagine diretta al mondo. Potrei aver patito un determinato “trauma”, come si amava dire in altri tempi; in questo caso, nel volermi tirare sù dalla sedia sulla quale mi trovo, sbaglierei a situare l’immagine nello spazio di rappresentazione, oppure confonderei il tipo d’immagine. Che cosa mi starebbe succedendo? Starei inviando segnali, starei vedendo me stesso alzarmi dalla sedia, ma potrebbe succedere che non stia inviando le immagini cenestesiche e cinestesiche corrette, vale a dire quelle che muovono il mio corpo. Se sbagliassi tipo d’immagine, o se la collocassi nello spazio in modo sbagliato, il mio corpo potrebbe non rispondere e io resterei paralizzato. Viceversa può anche succedere che la persona paralizzata dal famoso “trauma”, e che non può collocare l’immagine in modo corretto, riceva il forte impatto emotivo di uno sciamano guaritore o di un’immagine religiosa e, come risultato di questo fenomeno di fede (di forte registro emotivo cenestesico), ritrovi la collocazione corretta o individui correttamente, per discriminazione, l’immagine (cinestesica) del caso. Il fatto che qualcuno, grazie a questi inconsueti stimoli esterni, metta fine alla propria paralisi e torni a camminare, risulterebbe decisamente eclatante. Potrebbe succedere, se si potesse riconnettere l’immagine correttamente. E così come esistono moltissime somatizzazioni possono esistere anche molte desomatizzazioni in base ai giochi di immagini di cui abbiamo parlato. Empiricamente ciò è accaduto molte volte e sono stati debitamente registrati molti casi, tra i più diversi.
Questo argomento delle immagini non è di poca importanza. Il nostro io lancia continuamente immagini e, ogni qualvolta un’immagine parte, si mette in moto un centro ed una risposta si dirige al mondo. Il centro mette in moto un’attività, sia essa verso il mondo esterno o verso l’intracorpo. Il centro vegetativo, per esempio, mette in moto attività di “lancio” diretta all’interno del corpo, non alla motricità esterna: ma la cosa interessante di questo meccanismo è che, una volta che il centro ha messo in moto un’attività, i sensi interni rilevano informazione dell’attività che è stata “lanciata” all’intracorpo o al mondo esterno. Ecco allora che, se muovo il braccio, ho la nozione di ciò che faccio, e la nozione che ho del mio movimento non è data da un’idea ma dai registri cenestesici propri dell’intracorpo nonché dai registri cinestesici di posizione ricevuti dai differenti tipi di interocettori. Succede che, a seconda di come muovo il braccio, ho un registro del mio movimento, grazie al quale posso progressivamente correggere i miei movimenti fino a raggiungere l’oggetto giusto. Posso correggerli con più facilità di quanto faccia un bambino, perché il bambino non ha ancora la memoria, l’esperienza motoria necessaria a realizzare movimenti così controllati. Posso correggere i miei movimenti perché, di qualsiasi movimento io compia, ricevo i segnali corrispondenti. Naturalmente tutto ciò accade molto rapidamente e da ciascun movimento che compio ricavo segnali di quel che avviene, in un continuo circuito di rialimentazione che permette di correggere nonché apprendere i vari movimenti. Quindi, da ogni azione che un centro mette in moto verso il mondo ho una presa di rialimentazione che torna al circuito, e questa presa di rialimentazione che torna al circuito mette a sua volta in moto le differenti funzioni degli altri apparati della coscienza. Sappiamo che esistono forme di memoria motoria; alcune persone, per esempio, studiano meglio camminando che restando sedute. Un altro esempio è quello di chi interrompe il dialogo che stava avendo con qualcuno con cui discuteva camminando perché ha dimenticato ciò che stava per dire, ma riesce a ritrovare il filo del discorso nel momento in cui torna nel punto in cui l’aveva perso. O ancora, per concludere, sapete bene come, nel caso abbiate dimenticato qualche cosa, per riprendere la sequenza perduta vi basterà tornare a ripetere i movimenti corporei precedenti al momento in cui è intervenuta la dimenticanza. Quel che succede in realtà è che interviene una complessa rialimentazione dell’azione in corso: si rilevano informazioni del registro interno, si reimmette nel circuito, va alla memoria, circola, si associa, si trasforma e si traduce.
Per molti, soprattutto per la psicologia classica, tutto termina quando si realizza un atto. Sembra invece che la cosa inizi proprio quando l’atto è realizzato, perché tale atto si reimmette e questa reimmissione risveglia una lunga catena di processi interni. È quel che facciamo con i nostri apparati, collegandoli tra loro grazie a complessi sistemi d’impulsi. Tali impulsi si deformano, si trasformano e si sostituiscono gli uni agli altri. È così che, come spiegato anche dagli esempi riportati a suo tempo, riconosco rapidamente la formica che mi cammina sul braccio: ma se, quando la stessa formica mi cammina sul braccio, sto dormendo, il riconoscimento non è altrettanto facile, perché l’impulso si deforma, si trasforma e, a volte, si traduce, suscitando numerose catene associative a seconda della linea mentale all’opera in quel momento. Complichiamo un po’ di più le cose: se il mio braccio è messo male me ne rendo conto e lo sposto, ma se sto dormendo e ho messo male il braccio, la somma degli impulsi che arrivano è assunta dalla coscienza, tradotta, deformata ed associata in modo singolare. Succede allora che immagino un esercito di vespe muovere all’attacco del mio braccio, che quest’immagine porterà la sua carica al braccio, che esso si muoverà in un atto di difesa (da cui deriverà un riaccomodamento) e io continuerò a dormire. Quelle immagini serviranno, precisamente, a far sì che il sonno prosegua. Queste traduzioni e deformazioni degli impulsi saranno al servizio dell’inerzia del livello; le immagini del sogno staranno servendo a difenderne il livello. Durante il sonno ci sono moltissimi stimoli interni che trasmettono segnali. Dunque, durante il sonno paradossale, questi impulsi compaiono come immagini. Immaginiamo, per esempio, che esista una profonda tensione viscerale: che cosa succederà? La stessa cosa del braccio, ma internamente. Quella profonda tensione viscerale invia un segnale e tale segnale si traduce in immagine. Ma facciamo un esempio più facile: un’irritazione viscerale invia il segnale che si traduce in immagine. Chi sogna ora si vede all’interno di un incendio e, se il segnale è troppo intenso, l’”incendio” finirà per rompere l’inerzia del livello e chi sogna si sveglierà e prenderà un digestivo o qualcosa del genere. Se però così non fosse, l’inerzia del livello proseguirebbe ed all’incendio si assocerebbero altri elementi che contribuirebbero a “diluire” via via la situazione, perché la stessa immagine può operare “lanciandosi” verso l’interno e dando luogo a distensioni. Nei sogni si ricevono continuamente impulsi provenienti da distinte tensioni interne, si traducono le immagini corrispondenti e queste immagini, che mettono in moto i centri, mettono in moto anche il centro vegetativo, che fornisce risposte di distensione interna. In questo modo le tensioni profonde trasmettono i propri segnali e le immagini rimbalzano all’interno, dando luogo a distensioni equivalenti alle tensioni che sono state trasmesse.
Immaginiamo che, quando il soggetto era bambino, abbia ricevuto un forte shock, restando fortemente impressionato da una determinata scena; molti dei suoi muscoli esterni si contrassero e così pure alcune zone muscolari più profonde e, ogni volta che ricorda quella scena, si verifica lo stesso tipo di contrazione. Ora, succede che quella scena sia associata (per similitudine, contiguità, contrasto e così via) ad altre immagini che, all’apparenza, nulla hanno a che vedere con tutto ciò: ecco che, nell’evocare queste immagini, tornano fuori quelle primigenie e si verificano le contrazioni. Infine, col passare del tempo, avviene che nella memoria più antica la prima immagine, quella che produceva la tensione, sia andata persa ed ora, inesplicabilmente, quelle stesse contrazioni tornano a prodursi nel momento in cui si riceve un impulso e si libera un’immagine. Di fronte a determinati oggetti, situazioni o persone, nel soggetto si ridestano forti contrazioni ed una strana paura, che non sembra essere in rapporto con quello che gli accadde nell’infanzia: una parte è stata cancellata e sono rimaste le altre immagini. Ogni volta che nei suoi sogni si liberano immagini che innescano quelle contrazioni e se ne prelevano campioni che tornano a tradursi in immagini, nella coscienza si sta portando a termine il tentativo di distendere e trasferire i carichi legati ad una situazione non risolta; si sta tentando, nel sogno, di risolvere le tensioni oppressive “lanciando” immagini ed, infine, si sta tentando di spostare le cariche di determinati contenuti ad altri di potenziale inferiore al fine di separare, o ridistribuire, la primitiva carica dolorosa.
Prendendo in considerazione il lavoro empirico catartico e trasferenziale che si effettua durante il sogno, le tecniche di Operativa possono seguire il processo di prelevare impulsi e “lanciare” immagini ai punti di resistenza. E’ ora necessario, però, fare alcune brevi digressioni relative alla classificazione delle tecniche di Operativa, ai procedimenti generali ed all’obiettivo di tali lavori.
Raggruppiamo le differenti tecniche di Operativa nel seguente modo. 1. - Tecniche catartiche: sondaggio catartico, catarsi di rialimentazione, catarsi di climi e catarsi d’immagini. 2. - Tecniche trasferenziali: esperienze guidate, trasferenza e trasferenza esplorativa. 3. - Tecniche autotrasferenziali.
Nelle trasfererenze si colloca il soggetto in un particolare livello e stato di coscienza, in un livello di dormiveglia attivo in cui il soggetto in questione percorre in lungo e in largo il proprio paesaggio interno, avanzando o retrocedendo, espandendosi o contraendosi e, così facendo, trovando resistenze in determinati punti. Per chi guida la trasferenza le resistenze che il soggetto incontra sono indicatori importanti di blocco, fissazione o contrazione. Chi guida provvederà a far sì che le immagini del soggetto arrivino dolcemente ad incontrare le resistenze e le superino e, quando si riesce a superare una resistenza, diciamo che si produce una distensione ovvero si produce un trasferimento di carica. A volte queste resistenze sono molto grandi e non possono essere affrontate di petto, perché si produrrebbero reazioni o rimbalzi ed il soggetto non se la sentirebbe di fare nuovi lavori se, nel tentare di vincere le proprie difficoltà, fosse incorso in un fallimento. Pertanto la guida, in presenza delle resistenze più forti, non avanza frontalmente, ma al contrario retrocede e “facendo un giro lungo” vi torna di nuovo, ma conciliando i contenuti interni invece di agire con violenza. La guida si orienterà tra le resistenze sempre grazie al procedimento delle immagini e lavorerà sul livello di dormiveglia del soggetto affinché questi possa organizzare un insieme d’allegorie conosciute e gestibili. Lavorando con allegorie a livello del dormiveglia attivo, la guida potrà mettere in moto immagini, vincere resistenze e liberare le sovraccariche.
L’obiettivo finale dei lavori di Operativa è quello d’integrare i contenuti separati, in modo tale da riuscire a superare quell’incoerenza vitale che si percepisce in sé stessi. Questi mosaici di contenuti che non s’incastrano bene l’uno con l’altro, questi sistemi d’ideazione nei quali si riconoscono tendenze contraddittorie, quei desideri che si vorrebbe non desiderare, quelle cose che sono successe e che non si vorrebbe davvero ripetere, quest’immensa complicazione dei contenuti non integrati, questa contraddizione continua è quel che ci si propone di superare con l’appoggio delle tecniche trasferenziali d’integrazione dei contenuti. Ora, conoscendo bene le tecniche trasferenziali, c’interessa dare un’occhiata ai diversi tipi di lavori autotrasferenziali, nei quali si prescinde da una guida esterna ricorrendo ad un sistema d’immagini codificato per orientare il proprio processo. Nelle autotrasferenze si recuperano contenuti biografici ancora non conciliati e si possono così elaborare paure e sofferenze immaginarie situate in un presente o in un futuro psicologici. Le sofferenze che, ciascuna coi suoi tempi e i suoi percorsi particolari, s’insinuano nella coscienza, possono essere modificate mediante l’utilizzo d’immagini autotrasferenziali, “lanciate” al livello e all’ambito adeguati dello spazio di rappresentazione.
Abbiamo orientato le nostre attività in direzione del superamento della sofferenza. Abbiamo del pari affermato che l’essere umano soffre per ciò che crede gli sia successo nel corso della vita, per ciò che crede gli succeda e per ciò che crede gli succederà. Sappiamo anche come questa sofferenza che l’essere umano prova in base a ciò che crede è una sofferenza reale, anche se non sia reale ciò che crede. Lavorando su sé stessi si potrà riuscire a toccare queste convinzioni dolorose, riorientando la direzione dell’energia psichica.

 

Il sistema di rappresentazione negli stati alterati della coscienza.

Spostandoci attraverso lo spazio di rappresentazione, ne raggiungiamo i limiti. A mano a mano che le rappresentazioni vanno verso il basso lo spazio tende ad oscurarsi; viceversa, quando tali rappresentazioni procedono verso l’alto esso si rischiara progressivamente. Tali differenze di luminosità tra “profondità” ed “altezze” hanno sicuramente a che vedere con l’informazione della memoria che, fin dalla prima infanzia, associa la registrazione di luminosità agli spazi più alti. Parimenti possiamo verificare come qualsiasi immagine visiva situata al livello degli occhi possieda una luminosità maggiore, mentre la sua definizione diminuisce a mano a mano che la si sposta al di fuori di quel livello. Logicamente il campo visivo si apre con più facilità di fronte agli occhi e verso l’alto (ossia verso la sommità del capo) che non di fronte e verso il basso (in direzione del tronco, delle gambe e dei piedi). Nonostante ciò, però, alcuni pittori provenienti da zone fredde e nebbiose raffigurano, nella parte bassa delle loro tele, un’illuminazione particolare che spesso accompagna campi innevati, mentre una particolare oscurità pervade gli spazi superiori, in genere coperti di nubi.
Tanto nelle profondità quanto nelle altezze compaiono oggetti più o meno luminosi, ma nel rappresentarli non si modifica il tono generale della luce che può esistere nei differenti livelli dello spazio di rappresentazione.
D’altra parte, ed unicamente in determinate condizioni d’alterazione della coscienza, si produce un curioso fenomeno che irrompe illuminando tutto lo spazio di rappresentazione. Tale fenomeno accompagna le forti commozioni psichiche che danno un registro emotivo cenestesico molto profondo. Questa luce, che illumina tutto lo spazio di rappresentazione, si manifesta in maniera tale che, quand’anche il soggetto salga o scenda, lo spazio permane illuminato: ciò avviene perché la luce non deriva da un oggetto particolarmente luminoso ma perché tutto l’”ambiente” ne sembra pervaso. È come se si regolasse il televisore sulla massima luminosità. In questo caso non si tratta di alcuni oggetti più illuminati di altri ma di una luminosità generale. All’interno di determinati processi trasferenziali, e dopo aver registrato tale fenomeno, alcuni soggetti emergono allo stato vigilico con un’apparente modifica nella percezione del mondo esterno. Ecco allora che gli oggetti, secondo la descrizione che ne viene generalmente data in questi casi, sembrano più brillanti, più nitidi e con più volume. Quando si verifica questo curioso fenomeno d’illuminazione dello spazio è successo qualcosa al sistema di strutturazione della coscienza, che adesso interpreta la percezione esterna abituale in modo diverso. Non è che si siano “depurate le porte della percezione”, è che si è modificata la rappresentazione che accompagna la percezione.
In modo empirico e per mezzo di differenti pratiche mistiche, i devoti di alcune religioni tentano di mettersi in contatto con un fenomeno che trascende la percezione e che sembra irrompere nella coscienza sotto forma di “luce”. Grazie a diversi procedimenti ascetici o rituali, tramite il digiuno, la preghiera o la ripetizione, si pretende di stabilire un contatto con una sorta di fonte di luce. Nei processi trasferenziali come in quelli autotrasferenziali, che ciò avvenga per accidente come nel primo caso o in modo guidato come nel secondo, si ha un’esperienza di questi curiosi avvenimenti psichici. Sappiamo come essi possano prodursi quando il soggetto ha subito una forte commozione psichica, vale a dire che il suo stato è, approssimativamente, uno stato di coscienza alterato. La letteratura religiosa universale pullula di racconti relativi a fenomeni di questo genere. E’ anche interessante notare come questa luce a volte “comunichi” o addirittura “dialoghi” con il soggetto, esattamente come sta succedendo negli ultimi tempi con le luci che si avvistano nel cielo e che, raggiungendo chi le osserva intimorito, affidano i loro “messaggi da altri mondi”.
Ci sono molti altri casi di variazioni di colore, qualità ed intensità luminica, come avviene con certi allucinogeni, ma questi casi nulla hanno a che vedere con ciò che abbiamo detto finora.

Stando a quel che riportano numerosi testi, alcune persone apparentemente morte e tornate alla vita hanno provato l’esperienza d’abbandonare il proprio corpo e dirigersi verso una luce sempre più viva, senza poter raccontare con chiarezza se erano stati loro ad andare verso la luce o se, al contrario, era stata la luce ad avvicinarsi. Comunque sia, i protagonisti si sono trovati di fronte ad una simile luce che possiede la proprietà di comunicare e addirittura di dare indicazioni. Per poter raccontare storie del genere, però, bisogna aver subito una scossa elettrica al cuore o qualcosa di simile, perciò poi i nostri eroi si sentono indietreggiare, allontanandosi dalla famosa luce con la quale erano sul punto di stabilire un interessante contatto.
Ci sono numerose spiegazioni per questi fenomeni: potrebbe trattarsi di anossia, d’accumulazione di biossido di carbonio o dell’alterazione di determinati enzimi cerebrali. Ma a noi, come sempre, non interessano tanto le spiegazioni, che cambiano da un giorno all’altro, quanto piuttosto il sistema di registro, la situazione affettiva che il soggetto subisce e quella sorta di grande “senso” che sembra irrompere quando meno la si aspetta. Chi crede di essere tornato dalla morte sperimenta un grande cambiamento per il fatto d’aver registrato un “contatto” con un fenomeno straordinario che si manifesta all’improvviso e di cui non si riesce a capire la natura, se si tratti cioè di un fenomeno di percezione o di rappresentazione, ma che ciò nonostante sembra di grande importanza, giacché ha la capacità di cambiare, da un momento all’altro, il senso della vita umana.
Si sa che, peraltro, gli stati alterati della coscienza possono verificarsi a differenti livelli e, naturalmente, a livello vigilico. Quando si monta in collera, in stato di veglia si produce uno stato alterato. Quando, all’improvviso, si provano euforia ed una grande allegria, anche allora si sta sfiorando uno stato alterato di coscienza. Quando si parla di “stato alterato”, però, in genere si pensa a uno stato infravigilico. Eppure gli stati alterati sono frequenti, hanno gradi differenti e differente qualità. Gli stati alterati implicano sempre il blocco della reversibilità, in uno o l’altro dei suoi aspetti. Anche in stato di veglia esistono stati alterati, come quelli prodotti dalla suggestionabilità. Tutti, in maggiore o minor misura, subiscono la suggestione degli oggetti mostrati dalla pubblicità o esaltati dai commentatori mediatici. Molti, in tutto il mondo, credono nella bontà degli articoli proposti ripetitivamente dalle varie campagne pubblicitarie. Tali articoli possono essere oggetti destinati al consumo, valori, punti di vista su vari argomenti e così via. La diminuzione della reversibilità negli stati alterati di coscienza è presente in ciascuno di noi ed in ogni momento. In casi di suscettibilità più profondi ci troviamo di fronte alla trance ipnotica. La trance ipnotica lavora a livello della coscienza vigilica, nonostante il fatto che il creatore del termine “ipnosi” avesse pensato che si trattasse di una sorta di sogno. Il soggetto ipnotizzato cammina, va, torna, fa tutto ad occhi aperti, effettua operazioni e, anche durante l’effetto post-ipnotico, continua ad agire in stato di veglia, ma obbedendo all’ordine che gli era stato impartito durante la sessione d’ipnosi. È, questo, uno stato alterato di coscienza molto forte.
Esistono poi gli stati alterati patologici, nei quali funzioni rilevanti della coscienza si dissociano, così come esistono anche stati non patologici, in cui le funzioni si possono scindere, dividere, provvisoriamente: è il caso di alcune sessioni spiritiche in cui una persona può conversare tranquillamente mentre la sua mano può mettersi a scrivere automaticamente, iniziando a trasmettere “messaggi” senza che la persona si renda conto di quel che le sta succedendo.
Con i casi di divisione delle funzioni e di scissioni della personalità si potrebbe compilare una lista molto lunga degli stati alterati. Molti di tali stati accompagnano fenomeni di difesa che si mettono in moto quando, di fronte ad un pericolo, si generano picchi adrenalinici; ciò produce serie modifiche nella normale economia della coscienza. Naturalmente, così come nell’alterazione della coscienza ci sono fenomeni molto utili, ce ne sono anche altri molto negativi.
Si possono produrre stati alterati di coscienza tramite azione chimica (gas, droghe ed alcool), tramite azione meccanica (movimenti circolari, respirazioni forzate, compressione delle arterie) e tramite soppressione sensoriale, nonché tramite procedimenti rituali e, infine, ponendosi in situazioni create da speciali condizioni di musica, danza o pratiche devozionali.
Esistono infine i cosiddetti “stati crepuscolari della coscienza”, in cui c’è un blocco della reversibilità generale ed un successivo registro di disintegrazione interna. Distinguiamo anche alcuni stati che possono avere carattere occasionale e che potremmo definire tranquillamente “stati superiori della coscienza”. Potremmo classificare questi ultimi come “estasi”, “rapimento” e “riconoscimento”. Gli stati d’estasi sono accompagnati, in genere, da leggere concomitanze motorie e da una certa agitazione generale. Quelli di rapimento danno piuttosto forti ed ineffabili registri emotivi. Quelli di riconoscimento possono essere caratterizzati come fenomeni intellettuali, nel senso che il soggetto crede, per un istante, di “capire tutto”, per un istante crede che non esistano differenze tra sé stesso ed il mondo, come se l’io fosse scomparso. A chi non è successo, almeno una volta, di provare di colpo e senza alcuna ragione un’allegria incontenibile, un’allegria improvvisa, crescente ed inspiegabile? A chi non è successo, senza cause evidenti, di rendersi conto all’improvviso del senso profondo, facendosi evidente che “così stanno le cose”?
Ma si può anche entrare in un curioso stato di coscienza alterata per via della “sospensione dell’io”. È, questa, una situazione che sembra davvero paradossale, perché per mettere a tacere l’io è necessario vigilare sulla sua attività in modo volontario, il che richiede un’azione importante di reversibilità che rafforza, di nuovo, quel che si vuole annullare. Il fatto è che tale sospensione la si può ottenere solo in base a percorsi indiretti, spostando progressivamente l’io dalla sua collocazione centrale di oggetto di meditazione. Questo io, somma di sensazione e di memoria, comincia di colpo a tacere, a destrutturarsi. Questo è possibile perché la memoria può smettere di fornire dati e la stessa cosa possono fare i sensi (per lo meno quelli esterni). La coscienza, allora, è in condizione di trovarsi senza la presenza dell’io, in una sorta di vuoto. In una situazione di questo genere si può sperimentare un’attività mentale molto diversa da quella abituale. Così come la coscienza si nutre degli impulsi che le arrivano dall’intracorpo, dall’esterno del corpo e dalla memoria, altrettanto si nutre degli impulsi di risposte che dà al mondo (esterno ed interno) e che rialimentano nuovamente l’ingresso al circuito. È per questa via secondaria che individuiamo i fenomeni che si producono quando la coscienza è in grado di internalizzarsi verso “il profondo” dello spazio di rappresentazione. “Il profondo” (chiamato anche, da alcune correnti psicologiche contemporanee, “il sé in sé”) non è esattamente un contenuto della coscienza. La coscienza può raggiungere “il profondo” grazie ad un lavoro particolare di internalizzazione. In questa internalizzazione irrompe ciò che sempre è nascosto, coperto dal “rumore” della coscienza. È nel “profondo” che s’incontrano le esperienze degli spazi e dei tempi sacri. In altre parole, è nel “profondo” che s’incontra la radice di tutta la mistica e di ogni sentimento religioso.

 


PSICOLOGIA 4

Conferenza tenuta da Silo nel Parco de La Reja, Buenos Aires, Maggio 2006


1. Impulsi e sdoppiamento degli impulsi.

In Psicologia III abbiamo affermato che il lavoro di un impulso in qualsiasi circuito finisce per fornire un registro interno al soggetto. Uno dei circuiti comprende la percezione, la rappresentazione, la ripresa della rappresentazione e la sensazione interna in generale. Un altro circuito ci mostra il percorso degli impulsi che terminano nelle azioni lanciate verso il mondo esterno e delle quali il soggetto ha anche una sensazione interna. Questa presa di rialimentazione è quella che permette di apprendere dalle proprie azioni, o perfezionando l’azione anteriore o scartando l’errore commesso. Tutto ciò è stato chiarito con l’esempio dell’apprendimento nell’uso di una tastiera.

D’altra parte, qualsiasi impulso – che termini nell’intracorpo o all’esterno del corpo – dà registri di collocazioni diverse nello spazio di rappresentazione; possiamo aggiungere che gli impulsi dell’intracorpo si collocano nel limite tattile-cenestesico, verso “dentro”, mentre gli impulsi che terminano in azioni nel mondo esterno si registrano nel limite tattile-cinestesico, verso “fuori” (dal corpo).Qualsiasi direzione abbia l’impulso, che dispone necessariamente di un correlato di informazione o sensazione interna, esso modificherà immancabilmente lo stato generale del circuito. Esaminando quest’attitudine trasformatrice degli impulsi possiamo prenderne in considerazione due tipi: 1. quelli in grado di liberare tensioni o provocare scariche di energia psicofisica, che chiameremo “catartici”, e 2. quelli che permettono di trasferire cariche interne, integrare contenuti e ampliare le possibilità di sviluppo dell’energia psicofisica, che chiameremo “trasferenziali”. Pertanto ogni impulso, indipendentemente dalla sua direzione, avrà un’attitudine prevalentemente catartica o prevalentemente trasferenziale. Inoltre in ogni impulso ci sarà una quota di gratificazione o malessere, di gradimento o “sgradimento”, che permetterà al soggetto di eseguire una selezione dei suoi atti di coscienza o delle sue azioni corporee.

Gli impulsi si “sdoppiano” grazie a diverse rialimentazioni come quelle che permettono di comparare i registri delle percezioni con i registri delle rappresentazioni e quelle che necessariamente accompagnano le “ritenzioni” o memorizzazioni delle stesse. Esistono altri sdoppiamenti che “mettono a fuoco” più o meno volontariamente le percezioni e le rappresentazioni. Tali sdoppiamenti sono stati definiti come “appercezioni”, vale a dire come selezioni e direzioni della coscienza verso le fonti di percezione e come “evocazioni”, vale a dire come selezioni e direzioni della coscienza verso le fonti di ritenzione. La direzione e selezione, volontaria e involontaria, della coscienza verso le sue diverse fonti costituisce la funzione genericamente chiamata “attenzione”.

2. La coscienza, l’attenzione e l’“io”.

Chiamiamo “coscienza” l’apparato che coordina e struttura le sensazioni, le immagini e i ricordi dello psichismo umano. D’altra parte non si può collocare la coscienza in un’area precisa del sistema nervoso centrale, o in qualche punto corticale o subcorticale e ad una certa profondità. Né è il caso di confondere punti di lavoro specializzato, come nel caso dei “centri”, con strutture di funzionamento che si verificano sistema nervoso nella sua totalità.

Per maggior chiarezza espositiva chiameremo “fenomeni coscienti” tutti quelli che si verificano nei differenti livelli e stati di veglia, dormiveglia e sonno, compresi quelli subliminali (che si verificano nel limite del registro del percepito, del rappresentato e del ricordato). Ovviamente, nel parlare di “subliminale ”, non ci stiamo riferendo a un preteso “subconscio “ o “inconscio”.

Spesso si confonde la coscienza con l’”io” mentre in realtà quest’ultimo non ha una base corporea, al contrario della prima che possiamo identificare come “apparato” di registro e di coordinazione dello psichismo umano. In una precedente occasione abbiamo chiarito: “[...] Questo registro dell’identità propria della coscienza deriva dai dati dei sensi e da quelli della memoria, cui s’aggiunge una configurazione peculiare che fornisce alla coscienza l’illusione della permanenza nonostante i continui cambiamenti che in essa si verificano. Tale configurazione illusoria di identità e permanenza è l’io”. Negli stati alterati di coscienza si nota spesso che questa si mantiene in stato di veglia mentre determinati impulsi che dovrebbero arrivare al suo registro sono stati bloccati; la nozione dell’io subisce allora un’alterazione o straniamento, si perde reversibilità, senso critico e, a volte, le immagini decontestualizzate assumono una “realtà” esterna allucinatoria. In tale situazione l’io è registrato come se si collocasse in zone ai limiti esterni dello spazio di rappresentazione e a una certa “distanza” dall’io abituale. Il soggetto può esperire - registrare e sentire – fenomeni provenienti dal mondo esterno mentre, a rigore, tali fenomeni sono non di percezione bensì di rappresentazione. A questi fenomeni, in cui la rappresentazione sostituisce la percezione, e che pertanto vengono situati in uno “spazio esterno” verso i cui limiti si sposta l’io, diamo abitualmente il nome di “proiezioni”.

3. Spazialità e temporalità dei fenomeni di coscienza.

Nella veglia attiva l’io si colloca nelle zone più esterne dello spazio di rappresentazione, “perso” nei limiti del tatto esterno; però, se esercito l’appercezione nei confronti di qualche cosa che vedo, il registro dell’io subisce uno spostamento. In quel momento posso dire a me stesso: “Vedo l’oggetto esterno a partire da me e mi registro dentro il mio corpo”. Sebbene sia connesso col mondo esterno per mezzo dei sensi, esiste una divisione degli spazi ed è in quello interno che mi colloco io. Se successivamente appercepisco la mia respirazione potrò dire a me stesso: “Esperisco a partire da me stesso il movimento dei polmoni: sono dentro il mio corpo ma non dentro i miei polmoni”. È chiaro che esperisco una distanza tra l’io e i polmoni: e non solo perché l’io lo registro nella testa, che è lontana dalla cassa toracica, bensì perché in tutti i casi di percezione interna (come nel caso di un mal di denti o di un mal di testa), i fenomeni saranno sempre a una certa “distanza” da me in quanto osservatore. Qui però non ci interessa questa “distanza” tra osservatore e osservato ma la “distanza” tra l’io e il mondo esterno e tra l’io e il mondo interno. Ovviamente possiamo notare sottilissime sfumature nella variabilità delle posizioni “spaziali” dell’io, ma quel che stiamo sottolineando sono le collocazioni diametrali dell’io in ciascuno dei casi presi in esame. E, in questa descrizione, possiamo dire che l’io si può collocare nell’interiorità dello spazio di rappresentazione ma nei limiti tattili cinestesici che danno nozione del mondo esterno e, al contrario, nei limiti tattili cenestesici che danno nozione del mondo interno. In ogni caso, possiamo usare l’immagine di una pellicola biconcava (il limite tra i due mondi), che si dilata o si contrae e così facendo mette a fuoco o sfuma il registro degli oggetti esterni o interni. L’attenzione si dirige, più o meno intenzionalmente, verso i sensi esterni o interni nella veglia e perde il controllo della propria direzione in dormiveglia, nel sonno e persino in veglia durante gli stati alterati, giacché in tutti quei livelli e stati influiscono sulla reversibilità fenomeni e registri che s’impongono alla coscienza. È più che evidente che nella costituzione dell’io intervengono non soltanto la memoria, la percezione e la rappresentazione bensì anche la posizione dell’attenzione nello spazio di rappresentazione. Non si sta parlando, per tanto, di un io sostanziale ma di un epifenomeno dell’ attività della coscienza.

Questo “io-attenzione “ sembra svolgere la funzione di coordinare le attività della coscienza con il suo corpo e con il mondo in generale. I registri del trascorrere e della posizione dei fenomeni mentali si embricano in questa coordinazione che si rende indipendente dalla coordinazione stessa. Così la metàfora dell’“io” finisce per acquisire identità e “sostanzialità” rendendosi indipendente dalla struttura delle funzioni della coscienza.

D’altra parte, nell’essere umano, i registri reiterati e i riconoscimenti dell’azione dell’attenzione si configurano molto presto, mano a mano che il bambino può dirigersi più o meno volontariamente verso il mondo esterno e verso l’intracorpo. Gradualmente, con l’acquisizione di padronanza del corpo e di determinate funzioni interne, si rafforza la presenza puntuale e una compresenza in cui il registro del proprio io si costituisce come elemento concentratore e come sottofondo di tutte le attività mentali. Siamo in presenza di quella grande illusione della coscienza alla quale diamo il nome di “Io”.

Dobbiamo ora considerare come si collochi l’io nei differenti livelli di coscienza. In veglia l’io occupa una posizione centrale data dalla disponibilità dell’attenzione e della reversibilità. Ciò varia sensibilmente nel dormiveglia, quando gli impulsi provenienti dai sensi esterni tendono a indebolirsi o a fluttuare tra il mondo esterno e una cenestesia generalizzata. Durante il sonno con immagini, l’io si interiorizza; infine, durante il sonno vegetativo il registro dell’io sfuma. Le trasformazioni degli impulsi negli insogni in stato di veglia appaiono nelle sequenze di associazioni libere con numerose traduzioni allegoriche, simboliche e segniche, che formano quello speciale linguaggio d’immagini della cenestesia. Naturalmente stiamo parlando delle sequenze immaginarie prive di controllo, proprie delle vie associative, non delle costruzioni immaginarie il cui sviluppo è più o meno premeditato, né delle traduzioni degli impulsi canalizzati nelle vie astrattive che pure si manifestano come immagini simboliche e segniche. Gli impulsi, trasformandosi in differenti livelli, provocano anche variazioni nel registro dell’io nella profondità o superficialità dello spazio di rappresentazione. In termini figurativi, possiamo vedere come i fenomeni psichici si registrino sempre tra coordinate “spaziali” x e y ma anche in relazionea z, dove “z” è la profondità del registro nello spazio di rappresentazione. Certamente il registro di qualsiasi fenomeno si esperisce nella tridimensionalità dello spazio di rappresentazione (quanto ad altezza in verticale, lateralità in orizzontale e profondità degli impulsi, a seconda che sia maggiore l’esteriorità o l’interiorità), cosa che possiamo provare nel momento in cui appercepiamo o rappresentiamo impulsi provenienti dal mondo esterno, dall’intracorpo o dalla memoria.

Senza complicarci la vita con descrizioni proprie della Fenomenologia, dobbiamo ora considerare alcuni argomenti nodali che essa ha esaurientemente indagato. Diremo perciò che in veglia i campi di presenza e compresenza permettono di situare i fenomeni in sucessione temporale e che la relazione tra fatti si stabilisce dal momento attuale, quello in cui mi trovo, con i momenti precedenti dai quali proviene il fluire della mia coscienza e con quelli successivi verso i quali tale fluire si proietta. In ogni caso, l’istante presente è la barriera della temporalità e, sebbene non possa darne ragione – perché nel pensarlo dispongo solo della ritenzione di quanto è successo nella dinamica della mia coscienza – la sua apparente “fissità” mi permette di muovermi “all’indietro”, verso i fenomeni che non sono più, o “in avanti”, verso i fenomeni che non sono ancora. È nell’orizzonte della temporalità della coscienza che si iscrive ogni avvenimento: e, nell’orizzonte ristretto che fissa la presenza di atti e oggetti, starà sempre operando un campo di compresenza nel quale tutti questi si connetteranno.

A differenza di quanto accade nel trascorrere del mondo fisico, i fatti della coscienza non rispettano la successione cronologica bensì tornano, persistono, si attualizzano, si modificano e si futurizzano, alterando l’istante presente; “istante presente” che si struttura tramite l’incrocio di ritenzione e protensione. Esemplificando: un avvenimento doloroso immaginato nel futuro può agire sul presente del soggetto deviando la tendenza del suo corpo a muoversi in direzione di un oggetto precedentemente desiderato. Così le leggi rispettate nella spazio-temporalità del mondo fisico subiscono una considerevole deviazione negli oggetti e negli atti mentali. Tale indipendenza dello psichismo, per “deviazione” dalle leggi fisiche, fa ricordare l’idea di “clinamen” che avrebbe prospettato Epicuro per introdurre la libertà in un mondo dominato dal meccanicismo.

Dando per intesa la strutturalità della coscienza nella relazione tra gli “apparati” e le differenti vie per le quali circola l’impulso, possiamo prendere in considerazione quest’ultimo nelle sue diverse trasformazioni come ”atomo” fondamentale dell’attività psichica. Tuttavia tale atomo non si presenta isolato bensì in “sequenze di impulsi”, in configurazioni che danno luogo alla percezione, al ricordo e alla rappresentazione. In questa maniera, l’inserzione dello psichico nella spazialità esterna inizia dagli impulsi che, convertiti in protensioni di immagini cinestesiche, si spostano verso l’esterno della tridimensionalità dello spazio di rappresentazione, muovendo il corpo. E’ chiaro che le immagini cenestesiche e quelle corrispondenti ai sensi esterni agiscono in modo ausiliario (come “segnali composti”), in ogni fenomeno in cui si selezioni e si regoli la direzione e l’intensità motrice. In definitiva, in questo fluire di impulsi relativi al tempo e allo spazio della coscienza, avvengono i primi eventi che finiranno per modificare il mondo.

Non è oziosa a questo punto una riflessione generale sui fatti in cui lo psichismo agisce a partire dalla propria esteriorità e verso di essa. Per cominciare osserviamo che gli oggetti materiali si presentano come spazialità alla captazione “tattile” dei sensi esterni che differenziano il corpuscolo, l’onda, la molecola, la pressione, la termicità, etc.; per concludere, diciamo che queste “impressioni”, o impulsi esterni allo psichismo, mettono in moto un sistema di interpretazione e di risposta che non può operare se non in uno spazio interno.

Stiamo dunque affermando nel modo più ampio che grazie alla variazione di impulsi tra “spazi” lo psichismo è penetrato dal mondo e lo penetra. Non stiamo parlando di circuiti chiusi tra stimolo e risposta bensì di un sistema aperto e in continua crescita che capta e agisce per accumulazione e protensione temporale. D’altra parte, questa “apertura” tra spazi non avviene per superare le barriere di una monade ma perché la coscienza, già in origine, si costituisce a partire dal mondo, nel mondo e per il mondo.

4. Strutture della coscienza.

I differenti modi in cui l’essere umano sta nel mondo, le differenti posizioni del suo sperimentare e fare, rispondono a strutturazioni complete della coscienza. La “coscienza infelice”, la “coscienza angosciata”, la “coscienza emozionata”, la “coscienza disgustata”, la “coscienza nauseata”, la “coscienza ispirata”, sono tutti casi rilevanti che sono stati convenientemente descritti. E’ pertinente notare in questa sede  che tali descrizioni si possono applicare alla persona, al gruppo e alla società. Per esempio, per descrivere una struttura di coscienza in panico si dovrà partire da una situazione collettiva, quale si può ritrovare alle origini (leggendarie e storiche) della parola “panico”, che designa uno speciale stato di coscienza. Col passare del tempo il termine “panico” è stato usato sempre più spesso per riferirsi a un’alterazione di coscienza individuale.

Ebbene, i casi sopra citati possono essere intesi individualmente o in un insieme (in relazione all’intersoggettività costitutiva della coscienza). Ogni qualvolta si daranno variazioni in tali strutturazioni globali si daranno variazioni anche nei fenomeni concomitanti, come nel caso dell’io. Ecco dunque che, in piena veglia ma in stati di coscienza differenti, registreremo l’io a differenti profondità dello spazio di rappresentazione.

Per capire quanto detto dovremo richiamarci alla differenza tra livelli di coscienza e stati di coscienza. I livelli classici di veglia, dormiveglia, sonno profondo paradossale e sonno profondo vegetativo, non presentano difficoltà di comprensione; però, in ciascuno di questi livelli abbiamo la possibilità di riconoscere posizioni variabili dei fenomeni psichici. Facciamo esempi estremi: diciamo che, quando l’io mantiene contatto sensoriale con il mondo esterno ma è perduto nelle proprie rappresentazioni o evocazioni, oppure considera  sé stesso ma senza alcun interesse minimamente rilevante nei confronti della propria azione nel mondo, siamo in presenza di una coscienza vigilica in stato di raccoglimento in se stessa. Esternamente il corpo agisce in una sorta di “irrealtà” che, portata alle ultime conseguenze, può arrivare alla disconnessione e all’immobilità. Si tratta di uno “slittamento” dell’io verso una presenza costante dei registri di evocazione, rappresentazione, o percezione tattile cenestesica e, per tanto, la distanza tra l’io e l’oggetto esterno si “allunga”. Nel caso opposto, l’io perduto nel mondo esterno si sposta verso i registri tattili cinestesici senza critica né reversibilità rispetto agli atti che compie. Ci troviamo di fronte a un caso di coscienza vigilica in stato di alterazione, come nel caso della cosiddetta “emozione violenta”. In questo caso, l’importanza assunta dall’oggetto esterno è decisiva e la distanza tra l’io e l’oggetto percepito si accorcia.

a. Strutture, stati e casi non abituali.

Chiamiamo “non abituali” i comportamenti che presentano anomalie rispetto a parametri dell’individuo o del gruppo che si prende in considerazione. Chiaramente, se gli abitanti di un paese o di un gruppo umano impazzissero, non tralasceremmo di comprendere tali casi tra i comportamenti “non abituali” solo perché riguardano numerosi rappresentanti. In ogni caso, il comportamento di quell’insieme umano andrà comparato con situazioni stabili in cui esso ha vissuto e nelle quali la reversibilità, il senso critico e il controllo dei propri atti ha caratteristiche prevedibili. D’altra parte ci sono casi “non abituali” passeggeri e altri che sembrano radicarsi o addirittura diffondersi col passare del tempo. Non ci interessa, ora, classificare tali comportamenti sociali dal punto di vista del Diritto, dell’Economia o della Psichiatria. Forse troveremmo altri spunti di riflessione su questi casi nell’Antropologia e nella Storia...

Se il nostro interesse per i comportamenti “non abituali” ci portasse nel campo del personale, o al massimo dell’interpersonale immediato, continuerebbero a essere validi i criteri di reversibilità, senso critico e controllo dei propri atti, in relazione a quella storia personale o interpersonale. Anche qui possiamo applicare quel che abbiamo accennato in precedenza relativamente ai casi “non abituali” passeggeri e a quelli che sembrano radicarsi o addirittura diffondersi nella loro anormalità col passare del tempo.

Pertanto portiamo il nostro studio sui comportamenti “non abituali” fuori dal campo della patologia per concentrarci, nella nostra Psicologia, su due grandi gruppi di stati e casi che chiameremo, l’uno, gruppo della “coscienza perturbata” e, l’altro, gruppo della “coscienza ispirata”.

b. La “coscienza perturbata”.

Esistono posizioni dell’io diametralmente opposte tra gli stati alterati, che vanno dall’attività quotidiana all’emozione violenta, e gli stati di raccoglimento in sé, che vanno dalla calma riflessiva fino alla disconnessione dal mondo esterno. Esistono, tuttavia, altri stati alterati, in cui le rappresentazioni si proiettano all’esterno così da rialimentare la coscienza come “percezioni” provenienti dal mondo esterno e altri, di raccoglimento in se stessi, in cui la percezione del mondo esterno si interiorizza per introiezione.

Abbiamo ascoltato e letto storie e ricerche, seriamente verificate, sulle allucinazioni di cui soffre chi si trovi in situazioni di difficoltà in alta montagna, nelle solitudini artiche, nel deserto e in alto mare. Lo stato fisico di fatica, anossia e sete; lo stato psichico di abbandono nella monotonia del silenzio e della solitudine; le condizioni ambientali termiche estreme, sono elementi che hanno portato all’insorgere di casi di alterazioni allucinatorie e molto più frequentemente a casi di alterazioni illusorie puntuali.

D’altra parte, dalla parte cioè del raccoglimento introiettivo in se stessi, la sensazione esterna arriva alla coscienza ma la rappresentazione corrispondente opera sconnessa dal contesto generale percettivo rialimentando la coscienza, che interpreta e registra il fenomeno come interiorità “significativa”, come rappresentazione che sembra “dirigersi” all’interiorità del soggetto in modo diretto. Facciamo un esempio: le luci colorate dei semafori di una grande città d’un tratto, agli occhi di un angosciato pedone, cominciano a “inviare” codici e chiavi misteriosi. Il soggetto, da questo momento, si considera l’unica persona in grado di “ricevere” e comprendere il significato di tali messaggi.

Gli stati alterati proiettati e gli stati di raccoglimento in sé introiettati corrispondono a perturbazioni transitorie o permanenti della coscienza vigilica che abbiamo qui menzionato come casi diametralmente opposti dell’ubicazione dell’io. Per il resto dobbiamo menzionare gli stati di alterazione e di raccoglimento in se stessi anche nel livello di  sonno con immagini e di  dormiveglia.

In Psicologia III avevamo passato in rassegna numerosi casi di perturbazioni transitorie della coscienza. Abbiamo accennato alla situazione di chi proietta le proprie rappresentazioni interne restandone fortemente suggestionato, simile a quella che si dà in pieno sonno quando si subisce la suggestione delle immagini oniriche. Si tratta di allucinazioni che si danno anche per intensi stati febbrili; per azione chimica (gas, stupefacenti e alcol); per azione meccanica  (giri, respirazioni forzate, compressione delle arterie); per soppressione dei sensi esterni (camera del silenzio) o per soppressione di quelli interni (assenza di gravità per gli astronauti).

Dobbiamo prendere in considerazione anche le perturbazioni accidentali quotidiane. Esse si manifestano nei cambiamenti improvvisi di umore, quali gli accessi d’ira e le esplosioni d’entusiasmo che, in maggiore o minore misura, ci permettono di sperimentare lo spostamento dell’io verso la periferia, mentre cade la reversibilità e lo stato si fa più alterato. Osserviamo che accade il contrario di fronte a un pericolo improvviso, davanti al quale il soggetto si contrae o fugge, cercando di mettere distanza tra sé e l’oggetto minaccioso. In ogni caso lo spostamento dell’io è verso l’interno. Nello stesso senso possiamo anche verificare determinati curiosi comportamenti infantili. In effetti i bambini usano di solito giocattoli mostruosi per “bloccare” o “combattere” altri mostri in agguato, o che si avvicinano nel cuore della notte... E, qualora tali tecnologie non diano risultati, resta sempre il rifugio delle lenzuola, sotto le quali il corpo si nasconde di fronte alle minacce più atroci. È chiaro, in questi casi, che l’io si raccoglie in sé stesso e introietta.

c. La “coscienza ispirata”.

La coscienza ispirata è una struttura globale, capace di intuizioni immediate della realtà. È atta, inoltre, ad organizzare insiemi di esperienza e a dare priorità a espressioni che di solito sono trasmesse attraverso la Filosofia, la Scienza, l’Arte e la Mistica.

Continuando in questa linea di ricerca, possiamo chiederci – e risponderci in termini un po’ scolastici: la coscienza ispirata è un stato di raccoglimento in se stessi o di alterazione? La coscienza ispirata è uno stato perturbato, una rottura della normalità, un’introiezione estrema o un’estrema proiezione? Senza dubbio la coscienza ispirata è più che uno stato: è una struttura globale che passa attraverso stati differenti e che si può manifestare a differenti livelli. Inoltre la coscienza ispirata perturba il funzionamento della coscienza abituale e spezza la meccanica dei livelli. Infine, è più che un’estrema introiezione o un’estrema proiezione giacché si serve alternativamente di queste, secondo il suo proposito. Questo è evidente quando la coscienza ispirata risponde a un’intenzione presente o, in alcuni casi, quando risponde a un’intenzione non presente ma che agisce compresentemente.

Nella Filosofia non si dà importanza ai sogni ispiratori, né alle ispirazioni improvvise, ma piuttosto all’intuizione diretta, quella cui ricorrono alcuni pensatori per afferrare le realtà immediate del pensiero senza l’intermediazione del ragionamento deduttivo o discorsivo. Non si tratta qui delle correnti “intuizioniste” in Logica e in Matematica: parliamo di pensatori che privilegiano l’intuizione diretta come nel caso di Platone con le idee, di Cartesio con il pensare chiaro e distinto, che evita l’inganno dei sensi, e di Husserl con le descrizioni delle noesi, nella “sospensione del giudizio” (epoché).

Nella storia della Scienza si trovano esempi di ispirazioni improvvise che cha hanno permesso di fare notevolissimi passi avanti. Il caso più conosciuto, pur se di dubbia autenticità, è quello della famosa “caduta della mela di Newton”. Qualora fosse davvero accaduto, dovremmo riconoscere che l’ispirazione improvvisa fu comunque motivata da una lenta ma intensa ricerca orientata verso il sistema cosmico e la gravità dei corpi. Come esempio potremmo citare un altro caso, quello accaduto al chimico Kekulé. Egli sognò, una notte, vari serpenti intrecciati da cui prese l’ispirazione per poi sviluppare le sue notazioni di chimica organica. Senza dubbio la sua preoccupazione costante - trovare la formula dei legami tra sostanze - continuò ad agire anche nel livello del sonno paradossale, per prendere la via della rappresentazione allegorica.

Nell’Arte ci sono molti esempi di sogni ispiratori. Pensiamo a Mary Shelley che aveva dichiarato ai suoi amici di sentire una “...vuota incapacità d’invenzione, che è la più grande disdetta dell’autore” e quella stessa notte vide in sogno l’essere orrendo che fu lo stimolo per il suo romanzo Frankenstein o il moderno Prometeo. Altrettanto accadde con il sogno di R. L. Stevenson da cui poi nacque il suo racconto fantastico Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde. Certamente le ispirazioni vigiliche di scrittori e poeti sono le più largamente conosciute nel campo delle arti. Eppure, per altre vie, abbiamo potuto conoscere le ispirazioni di pittori come Kandinsky che, in Dello spirituale nell’Arte, descrive la necessità interiore che si esprime come ispirazione nell’opera d’arte. Artisti plastici, letterati, musicisti, danzatori e attori hanno cercato l’ispirazione cercando di collocarsi in ambienti fisici e mentali non abituali. I differenti stili artistici, che corrispondono alle condizioni epocali, non sono semplicemente mode o modi di generare, captare e interpretare l’opera d’arte, bensì maniere di “disporsi” a ricevere, e dare, impatti sensoriali. È questa “disposizione“ a modulare la sensibilità individuale o collettiva; in altre parole, è la condizione del dialogo che permette di stabilire la comunicazione estetica.

Nella Mistica troviamo vasti campi  d’ispirazione. Va detto che quando parliamo di “mistica” in generale, ci riferiamo ai fenomeni psichici di “esperienza del sacro” nelle loro diverse profondità ed espressioni. Esiste una vasta letteratura che si occupa dei sogni, delle “visioni” del dormiveglia, e delle intuizioni vigiliche dei personaggi chiave di religioni, sette e gruppi mistici. Abbondano inoltre gli stati anormali e i casi straordinari di esperienza del sacro che possiamo definire come Estasi, ossia  situazioni mentali in cui il soggetto è profondamente assorto, abbagliato dentro di sé e sospeso; come Rapimento, per l’incontrollabile agitazione emotiva e motoria durante la quale il soggetto si sente trasportato, trascinato fuori di sé verso altri paesaggi mentali, altri tempi, altri spazi; e, infine, come Riconoscimento, in cui il soggetto crede di capire tutto in un istante. In questo passaggio stiamo esaminando la coscienza ispirata nella sua esperienza del sacro, che varia nel modo di porsi nei confronti del fenomeno straordinario, sebbene, per estensione, tali funzionamenti mentali siano stati attribuiti anche ai raptus del poeta o del musicista, casi in cui “il sacro ” può non essere presente.

Abbiamo parlato di strutture di coscienza che chiamiamo “coscienza ispirata” e le abbiamo mostrate nei grandi campi conosciuti come Filosofia, Scienza, Arte e Mistica. Però, nella vita quotidiana, la coscienza ispirata entra spesso in gioco anche nelle intuizioni o nelle ispirazioni della veglia, del dormiveglia e del sonno paradossale. Esempi quotidiani di tale ispirazione sono quelli del “presentimento”, dell’innamoramento, della comprensione improvvisa di situazioni complesse e della risoluzione istantanea di problemi che per molto tempo hanno afflitto il soggetto. Questi casi non garantiscono l’esattezza, la verità o la coincidenza del fenomeno rispetto al suo oggetto, ciò nonostante i registri di “certezza” che li accompagnano sono di grande importanza.

d. Fenomeni accidentali e fenomeni desiderati.

La coscienza può strutturarsi in forme differenti, variando sotto l’azione di stimoli puntuali (interni ed esterni) o in base a situazioni complesse che operano in modo non voluto, accidentale. La coscienza è “presa” in una situazione in cui la reversibilità e l’autocritica rimangono praticamente annullate. Nel caso di cui ci occupiamo, l’“ispirazione“ irrompe in meccanismi e livelli agendo, a volte, in modo meno evidente come “sottofondo” della coscienza. D’altra parte anche l’angoscia, la nausea, il disgusto e altre configurazioni possono manifestarsi improvvisamente o restare come sottofondo mentale più o meno prolungato. Esemplificando: quando, accidentalmente, sollevo una pietra e nel farlo scopro un brulichio di minuscoli insetti che potrebbero salirmi sulla mano, che potrebbero invadermi, provo repulsione nei confronti di questa vita informe che mi aggredisce. Registro anche una sorda avversione quando percepisco qualche cosa di appiccicoso, umido e tiepido che avanza verso di me. Ma la reazione immediata va ben oltre il riflesso motorio che risponde al pericolo: è un qualcosa che mi coinvolge visceralmente provocando un rifiuto che può arrivare fino a una reazione di disgusto, a un conato di vomito, a una salivazione eccessiva in bocca e allo straordinario registro che la distanza tra me e l’oggetto, o tra me e la situazione disgustosa, si è “accorciata”. Tale accorciamento dello spazio nella rappresentazione mette l’oggetto in un tipo di esistenza che gli permette di “toccarmi” e “introdursi” in me, suscitando il conato di vomito come rito di espulsione dal mio intracorpo. L’“accorciamento” è ben poco reale, come per altro la reazione di vomito che gli corrisponde. Ecco allora che la relazione tra l’oggetto disgustoso e la risposta del conato assumono caratteristiche proprie che esulano dagli oggetti reali in gioco. Si trasformano in un rituale in cui oggetto e atto formano una struttura peculiare, la struttura del disgusto. Questa configurazione accidentale della coscienza capita anche di fronte a un oggetto moralmente o esteticamente ripugnante, come nel caso di un romanzo infarcito di trovate artificiose, di giochi di parole, di tiepido sentimentalismo, sdolcinato e carico di vitalità diffusa. Tutto ciò finisce per provocare una difesa istintiva, tesa ad evitare l’“invasione” profonda del mio corpo. Queste strutture di coscienza pregiudicano la mia unità influendo negativamente non solo sulle mie idee, emozioni o reazioni motorie ma su tutta la mia  struttura somatica.


Per ampliare questo punto si può fare riferimento alla conferenza intitolata “L’enigma della percezione, in Discorsi, Opere Complete, Volume I, Multimage, Torino 2000.

Consultare Luis A. Ammann, Autoliberazione, Multimage, Firenze, 2002.(Seconda parte: Operativa).

Per comprendere questa tecnica ed utilizzarla vedi Esperienze Guidate e, in particolare, la relativa conferenza di presentazione di detto libro in Discorsi, Opere Complete, Volume I, Multimage, Torino 2000.

Il riferimento è alle spiegazioni fornite alle Canarie nel 1978, pubblicate sotto il titolo di Psicologia III in questo stesso volume.

Op.cit., Catarsi, trasferenza e autotrasferenza - L’azione nel mondo come forma trasferenziale.

Op. cit., La coscienza e l’io.

Vedi Spazio di rappresentazione in Psicologia II, in questo stesso volume.

Vedi Psicologia dell’immagine, in Silo, Contributi al Pensiero, Opere Complete vol I, traduzione di Salvatore Puledda,  Multimage, Torino 2000.

Nel “sonno paradossale” o con immagini, il registro dell’io si “allontana” del mondo esterno e si diluisce in immagini sconnesse fino a scomparire in una situazione che difficilmente il soggetto che sta sognando può governare. Quanto al sonno vegetativo profondo, il tracciato elettroencefalografico mostra una totale assenza di immagini. Non si verifica neanche il REM (Rapid Eyes Mouvement) e ciò coincide con una successiva amnesia relativamente agli avvenimenti psichici verificatisi nel più totale oblio dell’io. N.d.R.

Vedi la conferenza sulle Esperienze Guidate tenuta nell’Ateneo di Madrid nel 1989. In Silo, Discorsi di Silo, Presentazioni di libri, Esperienze guidate, Opere Complete,  Cit.

Per una miglior comprensione di questo passaggio, consultare  Edmund Husserl , Meditazioni Cartesiane (a cura di Filippo Costa), Seconda Meditazione, 19. Attualità e potenzialità della vita intenzionale, Bompiani, Milano 1988. Consultare anche: Martin Heidegger, Essere e Tempo, (traduzione di Pietro Chiodi),  Sezione seconda, Capitolo IV, Temporalità e quotidianità, 70. La temporalità della spazialità propria dell’Esserci, Torino, Utet 1986.

Sembra che Epicuro difese la Teoria di Democrito secondo la quale gli atomi si muovono formando il mondo fisico; ma, a fronte dell’obiezione di Aristotele, aggiunse che gli atomi subiscono deviazioni, inclinazioni che permettono loro di incontrarsi. La dottrina che corrisponde all’idea del “clinamen”, sembra essere stata formulata compiutamente trecento anni dopo Epicuro. Vedi Lucrezio, De rerum natura.

Da Pitagora in poi la monade era stata concepita come la prima unità o unità fondamentale da cui derivano i numeri. Nel corso del tempo, l’idea di monade ha subito notevoli modificazioni, finché, nel Rinascimento, con Giordano Bruno nel De monade, gli atomi costitutivi della realtà diventano viventi e animati. Nel XVIII secolo Leibniz, nei Principi della filosofia, o Monadologia – Principi razionali della natura e della grazia (introduzione, traduzione, note e apparati di Salvatore Cariati, Milano, Rusconi, 1997), caratterizzò le monadi come “atomi” senza inizio né fine che si combinano senza interpenetrarsi e che possiedono forza propria. Contemporaneamente, Kant nella sua Monadologia Fisica (1756), descrisse la monade come punto indivisibile, a differenza dello spazio che è divisible all’infinito.

Per “mondo” intendiamo la sintesi tra mondo interno ed esterno.

Nella Fenomenologia dello Spirito (traduzione di Enrico De Negri, Fabbri, Milano, 2004), Hegel chiama “alienazione” la “coscienza infelice”, che si registra come frattura della coscienza stessa nel momento in cui questa si trova separata e espoliata della realtà cui appartiene. Nel Il concetto dell'angoscia (traduzione e cura di Cornelio Fabro, Sansoni, Firenze, 1991) Kierkegaard studia la “coscienza angosciata” che si manifesta rispetto al suo oggetto che è il “nulla”. Molti “filosofi dell’esistenza” ricorrono al metodo fenomenologico per descrivere gli atti e gli oggetti di sintesi della coscienza. Sartre, in L'immaginazione: idee per una teoria delle emozioni (revisione, note e apparati di Nestore Pirillo, Bompiani, Milano 2004), descrive la “coscienza emozionata”. E Kolnai in Il disgusto (trad. it. In Agalma n. 9, 2005) descrive la “coscienza disgustata”.

Pan era una divinità pre-ellenica benefica per i campi, i pastori e le greggi. Una leggenda lo fa apparire nella battaglia di Maratona, seminando il “terror panico” tra i persiani e aiutando gli ateniesi, che a partire de quel momento estesero il suo culto in tutta la Grecia. L’aggettivo “panico” si riferisce a questa divinità in generale, ma “panico” si utilizzò per segnalare quello stato di coscienza che denota un pericolo imminente e che è collettivo e contagioso. Attualmente, la Psichiatria ha coniato il termine “sindrome da panico”, depotenziando il significato collettivo iniziale.

Psicologia III. Il sistema di rappresentazione negli stati alterati della coscienza, Op. Cit.

Platone e Aristotele conobbero la differenza tra pensiero intuitivo e discorsivo. Secondo Platone, che privilegiava il primo, le Idee del Buono e del Bello sono di contemplazione diretta e sono reali, mentre le cose buone o belle derivano da quelle Idee e non possiedono la stessa realtà immediata. In Cartesio riconosciamo il grande apporto del pensiero che pensa sé stesso senza intermediazioni, e in Husserl il contatto diretto con le noesi, gli atti del pensare, e con i noemi, gli oggetti legati intenzionalmente agli atti del pensare.

Isaac Newton, nel 1666 a Woolsthorpe, Gran Bretagna.

Già nel 1865, a Bonn (Germania), Augusto Kekulé stabilì la teoria della quadrivalenza del carbonio e la formula esagonale del benzene.

Mary Godwin. La storia sta nelle note che scrisse Polidori nel suo diario il 18 Giugno 1816 a Villa Diodati, nei pressi del lago Leman in Svizzera.

R.L.Balfour. Nelle Isole Samoa nel 1886.

Vassilij Kandisky, a Mosca nel 1911.

A questo proposito si veda Le condizioni del dialogo conferenza data da Silo all’Accademia delle Scienze di Mosca nel 1999. In Silo Opere Complete, Vol. I.

IV Brihadaranyaka Upanishad. “Quando lo spirito umano si è ritirato nel riposo, trattiene con sé i materiali di questo mondo in cui sono contenute le cose tutte, e allora crea e distrugge la propria gloria ed irradiazioe, poiché lo spirito brilla di luce ropria”

La Bibbia, Daniele, 10:7, Versione italiana Nuova Riveduta, “Soltanto io, Daniele, vidi la visione; gli uomini che erano con me non la videro, ma un gran terrore piombò su di loro e fuggirono a nascondersi”.

Avesta. Gatha. Yasna,  XLV, 2-3. "Proclamerò questo primo insegnamento al Mondo. Insegnamento che mi ha rivelato l’Onniscente Ahura Mazda. Sì ora parlerò dei due Spiriti dell’esistenza all’inizio del mondo, quando il virtuoso si è rivolto al malvagio: “ Nulla tra noi due cncorda: né il  pensiero, né l’insegnamento, né la volontà, né la fede, né le parole, né le azioni, né le concezioni del mondo, né le nostre anime stesse”.

Con”presa” si intende non diretta né gestita dal soggetto.

 

Credo che a questo punto sia opportuno fare una piccola digressione. È possibile prendere in considerazione configurazioni di coscienza avanzate nelle quali qualsiasi tipo di violenza provocherebbe ripugnanza, con le corrispondenti reazioni somatiche. Tale strutturazione di coscienza nonviolenta potrebbe arrivare a radicarsi nelle società come una profonda conquista culturale; essa andrebbe ben oltre le idee o le emozioni che si manifestano ancora debolmente nelle società attuali, per cominciare a far parte del tessuto psicosomatico e psicosociale dell’essere umano.

Ma torniamo al nostro argomento. Abbiamo identificato strutture di coscienza che si configurano accidentalmente. Abbiamo anche osservato come si diano configurazioni che rispondono a desideri o progetti di chi si “mette” in una particolare situazione mentale per far sorgere il fenomeno. Naturalmente ciò a volte funziona e a volte no, come accade col desiderio di ottenere un’ispirazione artistica o con il desiderio di innamorarsi. La coscienza ispirata, o ancora meglio, la coscienza disposta a raggiungere l’ispirazione, si palesa nella Filosofia, nella Scienza, nell’Arte nonché nella vita quotidiana con esempi variati e suggestivi. Tuttavia è soprattutto nella Mistica che la ricerca di ispirazione ha dato vita a pratiche e sistemi psicologici che hanno avuto, e hanno, diversi livelli di sviluppo.

Pensiamo alle tecniche di “trance” come a qualcosa che appartiene all’archeologia dell’ispirazione mistica: troviamo la trance nelle forme più antiche della magia e della religione. Per indurla, i popoli hanno fatto ricorso alla preparazione di bevande a base di vegetali più o meno tossici e all’aspirazione di fumi e vapori. Altre tecniche più elaborate, nel senso che permettono al soggetto di controllare e far progredire la propria esperienza mistica, si sono lentamente perfezionate nel corso del tempo. Le danze rituali, le cerimonie ripetitive ed estenuanti, i digiuni, le preghiere, gli esercizi di concentrazione e meditazione hanno avuto una notevole evoluzione.

e. Lo spostamento dell’io. La sospensione dell’io.

La sibilla di Cuma, non volendo che la terribile ispirazione si impossessi di lei, si dispera e grida, in preda a spasmi : “Ecco che arriva il dio, eccolo!”. Al dio Apollo costa poco scendere dal suo boschetto sacro fino all’antro profondo, dove si impossessa della profetessa. In questo caso, come in diverse culture, si entra in trance per interiorizzazione dell’io e per una esaltazione emotiva in cui è compresente l’immagine di un dio, di una forza o di uno spirito che s’impossessa della personalità umana e la soppianta. Nei casi di trance il soggetto si mette a disposizione di quell’ispirazione che gli permette di captare realtà ed esercitare poteri per lui sconosciuti nella vita quotidiana. Eppure leggiamo spesso che il soggetto oppone resistenza, o persino lotta con uno spirito o un dio al fine di evitare il rapimento con quelle convulsioni che ricordano quelle dell’epilessia: ma ciò fa parte di un rituale che afferma il potere di quell’entità che soggioga la normale volontà.

In America  centrale il culto del Voodoo haitiano ci permette di comprendere le tecniche di trance che si realizzano tramite danze stimolate da pozioni preparate con un pesce velenoso. In Brasile, la Macumba ci mostra altre varianti mistiche della trance raggiunte anch’esse attraverso la danza e aiutate da una bevanda alcolica e tabacco.

Non tutti i casi di trance sono così vistosi come quelli finora citati. Alcune tecniche indiane, quelle degli “yantra”, permettono di raggiungere la trance mediante l’interiorizzazione di triangoli sempre più piccoli interni a una figura geometrica complessa che, in alcuni casi, finiscono con un punto centrale. Anche con la tecnica dei “mantra” , grazie alla ripetizione di un suono profondo che il soggetto emette in continuazione, si arriva al raccoglimento in se stessi. In queste contemplazioni visive o auditive, molti praticanti occidentali non raggiungono i risultati sperati perché non si preparano affettivamente, limitandosi a ripetere figure o suoni senza interiorizzarli con la forza emotiva o devozionale necessaria affinché la rappresentazione cenestesica accompagni il progressivo centrarsi dell’attenzione. Questi  esercizi si ripetono tante volte quante ne siano necessarie fino a che il praticante sperimenti la sostituzione della sua personalità e l’ispirazione diventi piena.

Possiamo verificare questo spostamento dell’io, e la sua sostituzione con altre entità, nei culti menzionati e fino alle più recenti correnti dello Spiritismo. In queste ultime, il “médium” in trance è posseduto da una entità spirituale che sostituisce la sua abituale personalità.

Non è molto diverso ciò che accade nella trance ipnotica  quando il soggetto interiorizza profondamente le suggestioni dell’ipnotizzatore, potando la rappresentazione della voce nel “luogo” occupato normalmente dall’io abituale. Naturalmente, perché l’ipnotizzatore possa “impadronirsi” dell’ipnotizzato, il soggetto deve mettersi in uno stato ricettivo di “fede” e seguire, senza dubitare, le istruzioni impartite. Qui si mostra una caratteristica importante della coscienza. Stiamo dicendo che, mentre si esegue un’operazione vigilica attenta, appaiono insogni che, a volte, passano inavvertiti o finiscono per deviare la direzione degli atti mentali che si stavano portando a termine. Il campo di compresenza agisce sempre, anche quando gli oggetti di coscienza presenti si trovano esattamente al centro dell’attenzione. La gran quantità di atti automatici che si compiono in veglia dimostra tale attitudine della coscienza a realizzare simultaneamente lavori differenti. Certamente la dissociazione può raggiungere livelli patologici, ma può anche manifestarsi con forza in quasi tutti i fenomeni di ispirazione. D’altra parte, nella trance spiritista o nell’ipnosi lo spostamento dell’io può non essere completo; lo prova la cosiddetta “scrittura automatica”, che procede senza tentennamenti quand’anche l’attenzione del soggetto sia incentrata nel dialogo o in altra attività. Questa dissociazione la troviamo molto spesso nella “crittografia”, in cui la mano disegna mentre il soggetto è molto concentrato in una conversazione telefonica.

Avanzando verso lo stato di raccoglimento in se stessi, possiamo arrivare a un punto in cui gli automatismi vengono superati; non si tratta più di spostamento né di sostituzioni dell’io. Abbiamo l’esempio che ci viene dalla pratica della “preghiera del cuore”, eseguita dai monaci ortodossi del monte Athos. La raccomandazione di Evagrio Pontico è molto adeguata al fine di evitare le rappresentazioni (per lo meno quelle dei sensi esterni): “Non immaginare la divinità dentro di te quando preghi e non lasciare che la tua intelligenza accetti l’impressione di una qualsiasi forma; mantieniti immateriale e capirai”. A grandi linee, la preghiera funziona così: il praticante in ritiro silenzioso si concentra sul proprio cuore e, scegliendo una frase breve, inspira dolcemente portando, con l’aria, la frase fin dentro al cuore. Quando ha terminato l’inspirazione, “spinge” per farla arrivare ancor più dentro. Dopodiché espira molto dolcemente l’aria viziata senza perdere l’attenzione al cuore. I monaci ripetevano questa pratica molte volte al giorno, finché non si manifestavano alcuni indicatori di progresso come la “illuminazione “ (dello spazio di rappresentazione). Per essere precisi, dovremo riconoscere, in un determinato momento delle ripetizioni delle preghiere usate, il passaggio in uno stato di trance. Tale passaggio non è molto differente da quello che si verifica nel lavoro con gli yantra o coi mantra: ma, poiché nella pratica della “preghiera del cuore” non c’è l’intenzione di farsi “prendere” da entità che si sostituiscano alla propria personalità, il praticante finisce per superare lo stato di trance e per “sospendere” l’attività dell’io. In questo senso, anche nelle pratiche dello Yoga si possono attraversare differenti tipi e livelli di trance, ma bisogna tener conto di quel che ci dice Patanjali nel Sutra II del Libro I: “ lo Yoga aspira alla liberazione dalle perturbazioni della mente”. Questo sistema di pratiche va in direzione del superamento dell’io abituale, degli stati di trance e delle dissociazioni. Nello stato più avanzato di raccoglimento in se stessi, fuori da qualsivoglia trance e in piena veglia, si produce quella “sospensione dell’io” di cui abbiamo sufficienti indicatori. È evidente che, fin dall’inizio della pratica, il soggetto si orienta verso la scomparsa dei “rumori” della propria coscienza, attenuando percezioni esterne, rappresentazioni, ricordi e aspettative. Alcune pratiche dello Yoga permettono di calmare la mente e di collocare l’io, per un breve lasso di tempo, in uno stato di sospensione.

f. L’accesso ai livelli profondi.

Senza dubbio, la sostituzione dell’io operata da una forza, uno spirito, un dio o dalla personalità di uno sciamano o di un ipnotizzatore è stato qualcosa di usuale nella storia. E’ stato altrettanto conosciuto, ma forse meno usuale, il fatto di sospendere l’io evitando però qualsiasi forma di sostituzione, come abbiamo visto in alcuni tipi di Yoga e in alcune pratiche mistiche avanzate. Ebbene, se qualcuno potesse prima sospendere e poi far scomparire il proprio io, perderebbe qualsiasi controllo strutturale della temporalità e spazialità dei propri processi mentali; si troverebbe in una situazione precedente a quella in cui, da bambino, imparava a muovere i primi passi. Non potrebbe mettere in comunicazione tra loro, né coordinare, i propri meccanismi di coscienza; non potrebbe fare ricorso alla propria memoria; non potrebbe entrare in relazione con il mondo e non potrebbe avanzare nell’apprendimento. Non saremmo semplicemente in presenza di un io dissociato sotto alcuni aspetti, come potrebbe accadere in determinate malattie mentali, ma avremmo a che fare con qualcuno che si troverebbe in uno stato analogo a quello del sonno vegetativo. Ne consegue che sciocchezze come “sopprimere l’io” o “sopprimere l’ego” nella vita quotidiana, non sono possibili. Quel che è possibile, tuttavia, è arrivare a una situazione mentale di soppressione dell’io, non nella vita quotidiana bensì in determinate condizioni, il cui primo passo è la sospensione dell’io.

L’entrata negli stati profondi della coscienza avviene a partire dalla sospensione dell’io. A partire da questa sospensione cominciano già a prodursi registri significativi di “coscienza lucida” e di comprensione delle proprie limitazioni mentali, il che costituisce un grande passo avanti. In questo passaggio bisogna tener conto di alcune condizioni ineludibili: 1. che il praticante abbia ben chiaro il Proposito, ovvero ciò che desidera ottenere come obiettivo finale del proprio lavoro; 2. che disponga dell’energia psicofisica sufficiente a mantenere l’attenzione raccolta e concentrata nella sospensione dell’io e 3. che possa proseguire senza soluzione di continuità nell’approfondimento dello stato di sospensione finché non scompaiano i riferimenti spaziali e temporali.

Rispetto al Proposito, esso va considerato come la direzione di tutto il processo senza però che esso stia al centro dell’attenzione. Quel che stiamo dicendo è che il Proposito dev’essere “memorizzato” con forte connotazione affettiva, in modo da operare compresentemente mentre l’attenzione è occupata nella sospensione dell’io e nei passi successivi. Questa preparazione condiziona tutto il lavoro successivo. Quanto all’energia psicofisica necessaria a mantenere l’attenzione in un livello di concentrazione interessante, l’impulso principale proviene dall’interesse, che fa parte del Proposito. Nel momento in cui si rileva la mancanza di potenza e di permanenza, si dovrà riesaminare tutto il lavoro di preparazione del Proposito. Saranno necessarie una coscienza sgombra da stanchezza e una minima educazione a restringere il fuoco dell’attenzione su un unico oggetto. Continuare l’approfondimento della sospensione fino a raggiungere il registro di “vuoto” significa che nulla deve apparire come rappresentazione né come registro di sensazioni interne. Non può, né deve, esserci alcun registro di questa situazione mentale. Il ritorno alla situazione mentale di sospensione o alla veglia abituale si produce quando gli impulsi segnalano la posizione e le scomodità del corpo.

Nulla si può dire di questo “vuoto”. Al recupero dei significati ispiratori, dei sensi profondi che sono oltre i meccanismi e le configurazioni di coscienza, si procede a partire dal mio io quando esso riprende il proprio lavoro vigilico normale. Stiamo parlando di “traduzioni” di impulsi profondi, che arrivano al mio intracorpo durante il sonno profondo, o di impulsi che arrivano alla mia coscienza con un tipo di percezione differente da quelle conosciute nel momento del “ritorno” al normale stato di veglia. È un mondo di cui non possiamo parlare perché non abbiamo registri durante l’eliminazione dell’io; possiamo fare affidamento solo sulle “reminiscenze” di quel mondo, come ha spiegato Platone nei suoi miti.

 

Nella Psicologia ufficiale si considera la trance como “un stato di dissociazione della coscienza, caratterizzato dalla sospensione di ogni movimento volontario e dall’esistenza di certe attività automatiche” . Diccionario Enciclopédico de la Psique. B.Szekely. Ed.Claridad. Buenos Aires, 1975.

Il Soma (per gli indiani) e l’ Haoma (per gli iraniani) è stata la bevanda inebriante più antica. Negli Inni Vedici, 730, 2, si legge: “Tu sei il cantore, tu sei il poeta,  tu sei il dolce succo nato dalla pianta. Nell’ebbrezza tu elargisci ogni bene”

A Delfi la sacerdotessa di Apollo (Pizia o Pitonessa) si sedeva su un tripode collocato accanto alla fenditura di una  roccia da cui fuoriusciva un vapore intossicante e iniziava a profetizzare con parole incoerenti. Nei giorni precedenti, la Pizia aveva praticato il digiuno e la masticazione di foglie di alloro.

Virgilio, che ci dà una descrizione fantastica dell’aneddoto di Cuma, aveva sicuramente informazioni più che sufficienti sulle pratiche proprie delle sibille nel corso della storia della Grecia e di Roma. Ad ogni modo, nel Libro VI dell’Eneide, queste sono le parole della Sibilla: “È tempo di chiedere i Fati: il dio, ecco il dio! E a lei che così parlava, si tramutarono all'improvviso il volto e il colore e le composte chiome; il petto è ansante e il cuore selvaggio si gonfia di furore e sembra più grande e non ha voce mortale, perché ispirata dalla volontà ormai vicina del dio.” (Traduzione di Giuseppe Bonghi, in http://www.classicitaliani.it/dante1/eneide6a.htm).

Lo scimanismo e le tecniche dell’estasi, M. Eliade, Ed. Mediterranee, 1999. L’autore passa in rassegna, tra le altre materie, le diverse forme di trance sciamanica nell’Asia centrale e settentrionale, in Tibet e Cina, presso gli antichi indoeuropei, in America del Nord ed America del Sud, nel Sudest asiatico ed in Oceania.

Gli antichi chiamavano l’epilessia  la “malattia divina”. Nelle convulsioni di questo male credettero di vedere una lotta in cui il soggetto si difendeva dall’alterazione di cui era preda. Gli dei annunciavano il proprio arrivo dando al soggetto una “aura” che lo avvertiva. Si supponeva che dopo l’”attacco”,  il soggetto restasse ispirato potendo così profetizzare. Non invano si ritenne che Alessandro Magno, Giulio Cesare e persino Napoleone fossero stati colpiti dal “mal divino” poiché, dopo tutto, erano uomini di lotta.

Proveniente dal Togo e dal Benin.

R. Toussaint,  De la mort a la vie: essai sur le phenomène de la zombification en Haiti, .Ed. Ife. Ontario, 1993.

Originaria del popolo Yoruba di Togo, Benin e Nigeria, ha anche influenze senegalese e più in generale dell’Africa Occidentale.

E’ chiaro che a partire dal “magnetismo animale” di Mesmer e Pueysegur  fino ad arrivare all’ipnosi moderna, che inizia con J. Braid, si è via via eliminata quella pompa magna del tutto superflua.

La tradizione della “preghiera del cuore” risale al XIV secolo, nel Monte Athos in Grecia. Nel 1782 si estese fuori dai monasteri con la pubblicazione della Philocalie, del monaco greco Nicodemo l’Agiorita, pubblicata poco dopo in russo da Paisij Velitchkovsky.

Evagrio Pontico, dei “Padri del Deserto”, scrisse i suoi apoftegmi nel IV secolo. È considerato uno dei precursori delle pratiche del Monte Athos.

Gli Aforismi sullo Yoga o Yoga-Sutra, sistematizzati da Patanjali nel II secolo, sono il primo libro di Yoga giunto fino a noi íntegro nelle sue 195 brevi e magistrali sentenze.

Mircea Eliade,  Tecniche dello Yoga e Lo Yoga - Immortalità e libertà.

 

Silo
Appunti di Psicologia
Titolo originale Apuntes de Psicología

 

© Silo 2006
© Multimage 2008 per l'edizione italiana

Traduzione: Fiamma Lolli
Impaginazione: Cecilia Fernandez

La riproduzione è consentita citando la fonte

Fonte: http://www.humanistmovement.net/file/downloads_hm/Apuntes_it.rtf

 

ISBN 88-86762-62-3

Multimage, Associazione Editoriale 
http://www.multimage.org

 

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