Riassunto psicologia dell educazione

 

 

 

Riassunto psicologia dell educazione

 

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Riassunto PSICOLOGIA DELL’EDUCAZIONE ( Carugati – Selleri)

 

CAPITOLO 1
Ambienti di comportamento

 

La nozione di ambienti di comportamento è stata proposta da Barker, il quale sottolinea come ogni comportamento sia il frutto delle influenze di un contesto particolare e delle regole e consuetudini implicite, che si condividono in ogni situazione. Anche in questo caso il concetto va a rafforzare le tesi per cui la dimensione sociale dei comportamenti umani è di certo molto importante.

Le due Psicologie di Wundt

Wundt, il padre della Psicologia scientifica, già nel 1879 aveva indicato due aspetti distinti all’interno della psicologia, ciascuno definito in base alle caratteristiche riconosciute proprie della mente umana, e ognuno orientato alla ricerca di proprie leggi e metodologie di indagine. Egli afferma che è insensato applicare i metodi delle scienze naturali al complesso comportamento dell’uomo, perchè le attività umane sono strettamente legate alle condizioni storiche e culturali in cui le comunità si sviluppano; egli parla quindi di “due psicologie”:

  • la prima psicologia: che si deve occupare dello studio della mente individuale e delle funzioni elementari, quelle cioè che non sono ulteriormente scomponibili e che costituiscono l’unità di misura e di azione della psiche umana (es. sensazione e percezione). Secondo Wundt queste funzioni sono indagabili attraverso l’introspezione ma, essendo oggetto di studio da parte della psico generale, esse sono spesso oggetto di esperimenti empirici.
  • la seconda psicologia (psico dei popoli): deve indagare il ruolo della cultura nella costruzione delle abilità cognitive e lo sviluppo delle funzioni psicologiche superiori (es. ragionamento, linguaggio, apprendimento), che non sono però scindibili dall’agire umano collettivo. Lo studio di queste funzioni deve tener conto che esse non sono concettualizzabili, quindi non sono studiabili empiricamente come fenomeni individuali perchè si estendono oltre la consapevolezza del singolo, in quanto presuppongono attività congiunta di più individui. Quindi nessun test individuale o introspezione potrà mai rendere conto dello sviluppo del pensiero umano o del linguaggio.

Cole, nel 1996, documenta però che i paradigmi scientifici che hanno dominato i decenni successivi hanno seguito principalmente le massime derivanti dalla prima psicologia, trascurando le indicazioni di Wundt in relazione alla necessità di considerare la dimensione collettiva dell’agire umano nello studio dei processi psicologici superiori. Infatti la maggior parte degli sperimentatori, essendo più preoccupata a far conseguire autorità accademica e scientifica alla psicologia, cercava di costruire esperimenti che mantenessero quel rigore scientifico, adottato da Wundt nello studio delle funzioni elementari, estendendolo anche allo studio delle tematiche della seconda psicologia. In questo quadro possiamo intuire come i modelli psicologici, che spiegano l’agire e il pensare umano, siano caratterizzati sempre ed esclusivamente da modelli individualisti, che scelgono l’individuo come unità di analisi, trascurando invece gli effetti della cultura, che essendo molteplice, variegata e complessa, poco si presta ad essere indagata con il rigore metodologico che tanto veniva enfatizzato.

 

Alcuni significati del termine cultura

È assai complicato definire il termine cultura perché non possiamo prescindere da esso e dalla sua influenza, anche nel semplice atto di darne una definizione. E’ attraverso il contatto con altre culture, palesemente diverse dalla nostra, che percepiamo certe dinamiche sociali; anche quando si è in condizioni di marginalità sociale riusciamo a renderci conto delle norme che regolano il nostro sistema sociale. Questo termine è di certo centrale in molte discipline ma dalla psicologia è utilizzato con grande parsimonia; si deve a Cole il suo “utilizzo” in psicologia. Cole fece riferimento alle attività quotidiane, le quali sono possibili soltanto attraverso la mediazione di oggetti e persone, che agiscono, operano e vengono utilizzati in un certo modo; la specificità di queste modalità costituisce la cultura. Egli rende centrale in psicologia il concetto di mediazione ed elabora la nozione di artefatto, che è ogni aspetto materiale utilizzato all’interno di una attività umana con una modalità e un obiettivo specifico, condiviso e a volte anche derivante dal corso della storia umana. Gli artefatti quindi sono da considerarsi mediatori delle attività e delle interazioni sociali durante la vita quotidiana; possono essere culturali/concettuali (es. linguaggio) oppure materiali: i primi permettono di fare o far fare qualunque cosa, i secondi possono indurre o produrre solo comportamenti.
Cole teorizza tre livelli di artefatti:

  1. utensili e strumenti di lavoro, anche sofisticati (es. computer);
  2. rappresentazioni degli artefatti di primo livello e modelli d’azione in cui sono utilizzati;
  3. mondo concettuale nel quale artefatti, norme e convenzioni costituiscono sistemi di credenze e modalità di rappresentazioni delle attività umane.

Questa classificazione permette di definire gli artefatti come strumenti, attraverso i quali una cultura può essere descritta e caratterizzata, e che permettono ai suoi membri di operare e dare significato alla vita quotidiana. Quindi artefatti come strumento principale della mediazione culturale; da cui: cultura come l’insieme organizzato di artefatti, così come sono prodotti, utilizzati e dotati di significato nel corso delle attività umane che gli individui producono congiuntamente.
Diversità, conflitti, condivisioni, riorganizzazioni degli artefatti sono da considerarsi caratteristiche peculiari dei processi di costruzione, conservazione e trasformazione della cultura.

 

Posizioni teoriche sul rapporto tra fenomeni socioculturali e processi psicologici individuali

Nonostante il tentativo di Wundt per una psicologia che mantenesse un legame tra funzioni psicologiche elementari e funzioni psicologiche superiori, il risultato fu che si studiarono le seconde con gli stessi metodi con cui si studiavano i processi sensoriali e percettivi. Durante il XX sec però alcuni autori si opposero a questa preminenza e sostennero l’importanza di studiare le attività quotidiane per comprendere il funzionamento delle attività mentali superiori; fu data importanza a concetti quali Climi di gruppo o Ambienti di comportamento, per evidenziare la dimensione collettiva dell’uomo. In particolare si sviluppò un filone di ricerche che faceva uso delle osservazioni delle attività umane quotidiane come strumento di indagine delle attività mentali. Il linguaggio, l’abilità a costruire strumenti e le funzioni superiori furono indicati come le forme distintive dell’attività umana; siccome pensiero, linguaggio, apprendimento e produzione di strumenti sono coinvolti nella costruzione e riproduzione della cultura, pensiero e cultura dovevano essere interconnessi.
Tra gli autori che possiamo citare all’interno di questo vasto orientamento teorico ci furono:

  • Judd (1926): il linguaggio, i numeri, l’alfabeto e l’arte sono strumenti che costituiscono il capitale culturale, arricchito e trasmesso nel corso dei secoli; sosteneva che la seconda psicologia non può basarsi solo sulle proprietà della mente individuale, ma deve usare strumenti di altre discipline (es. antropologia, linguistica, ecc.).
  • Mead (1934): considera lo sviluppo della Mente e del Sè come il risultato della trasformazione della conversazione di gesti in conversazione vocale e, in seguito, della trasformazione del linguaggio in pensiero simbolico. ’interiorizzazione della conservazione dei gesti che vede partecipi gli essere viventi. Dalle sue teorie nasce l’Interazionismo simbolico.
  • Altri: Gestalt con ricerche su pensiero produttivo; Durkheim sul primato della vita sociale nella produzione del pensiero; Piaget sulle relazioni tra organizzazione culturale degli adulti e sviluppo cognitivo; Cattaneo con la psicologia delle menti associate, per cui esse collaborano alla comune intelligenza con metodi ed effetti che sarebbero impossibili individualmente.
  • Vygotskij, Leont’ev e Lurija (1918): fondatori della scuola storico-culturale russa, prendono in esame i rapporti tra sviluppo e apprendimento, le caratteristiche cognitive di soggetti con handicap, l’acquisizione di abilità cognitive in adulti analfabeti.

Altre tre linee di ricerca si sono sviluppate attraverso lo studio delle differenze tra soggetti di culture diverse:

    1. riguarda la sensazione e la percezione (funzioni psicologiche elementari di Wundt),
    2. riguarda lo studio della memoria,
    3. riguarda l’intelligenza (funzione superiore per eccellenza).

Mentre delle prime due si è occupato estesamente Cole, della terza si sono occupati soprattutto:

  • Binet e Simon (1905): interpellati dal Ministero dell’Educazione francese per ideare uno strumento che permettesse di identificare già all’ingresso della scuola quei bambini poco dotati, che avrebbero avuto difficoltà di apprendimento. I due ricercatori cercarono di misurare le abilità dei bambini utilizzando compiti richiesti nella vita quotidiana e nelle attività scolastiche. Si trattava generalmente di compiti che richiedevano immagazzinamento, recupero, utilizzo di informazioni, ma anche abilità di controllo dell’attenzione e organizzazione strategica del comportamento. I due autori si accorsero subito che era impossibile identificare un campione adeguato di abilità, perchè ogni alunno aveva avuto esperienze diverse prima di entrare a scuola e ogni insegnante avanzava richieste diverse in rapporto all’età degli alunni. Alla fine costruirono il prototipo dei test di intelligenza, caratterizzato dalla logica di raccogliere campioni di attività richieste dalla cultura francese di inizio ‘900. La loro prudenza metodologica però non fu rispettata e i test via via prodotti divennero a tutti gli effetti strumenti di misura di attitudini o abilità generali nella risoluzione dei problemi, piuttosto che semplici strumenti per specifici sistemi scolastici. Nonostante il loro esplicito monito il loro test venne esteso anche ad altre realtà e lo si considerò predittivo di abilità molto più generali anche in ricerche interculturali. (Vedi anche pag 23)

 

Rapporto fra differenze culturali e abilità cognitive

Intorno agli anni ’60 ONU e UNESCO proposero una campagna di intervento per avviare processi di sviluppo sociale, politico, economico e psicologico nei paesi ex colonie; si pensava infatti che i bassi livelli di sviluppo fossero associati all’ignoranza e che questa fosse di ostacolo per i cambiamenti che avrebbero portato miglioramento sociale. Fu deciso quindi di offrire a questi paesi una educazione “moderna” attraverso:

  • educazione di base: alfabetizzazione per offrire strumenti migliori per un maggior controllo della vita quotidiana e degli eventi;
  • educazione formale: avrebbe consentito alle popolazioni di uscire dalle piccole comunità locali per elaborare culture più ricche e articolate.

Le ricerche interculturali di quei tempi ebbero proprio lo scopo di documentare l’influenza di nuovi sistemi educativi sull’evoluzione dei paesi in via di sviluppo; vi era la convinzione che l’educazione avrebbe dovuto influenzare in modo positivo il cambiamento economico e lo sviluppo cognitivo delle popolazioni. La realtà fu molto diversa: nelle scuole la maggior parte degli alunni aveva risultati scarsi, e anche nei vari test a cui le popolazioni furono sottoposte le cose non andavano meglio; questi risultati non coincidevano con le abilità dimostrate dalla popolazione nelle attività quotidiane.
Non si tenne conto delle diversità culturali che avevano influenza nei processi educativi e di apprendimento; infatti le differenze cognitive sono determinate da differenze culturali e tali differenze non necessariamente significano inferiorità (vedi Wundt). All’epoca era ancora viva la concezione secondo cui i popoli primitivi fossero inferiori dal punto di vista cognitivo rispetto ai popoli sviluppati; questo perché li si analizzavano con strumenti che esulavano dalle loro attività pratiche quotidiane. Di fronte a questi insuccessi la psicologia si è rifugiata negli anni ‘70 nel cognitivismo puro e sull’equazione mente-computer.

 

 

 

Relazione fra Script, schema e artefatti culturali

Cole, nel cercare un punto d’incontro tra le due psicologie, propone una ridefinizione dei concetti chiave della psicologia cognitiva, script e schema, con lo scopo di collegarli con il concetto di artefatto culturale. Secondo la teoria dello script il pensiero è da considerarsi dipendente dal contesto in cui opera. Uno schema è una organizzazione di conoscenze, collegate fra loro in un determinato modo che vengono a costituire un insieme ben strutturato. Gli script sono schemi di eventi che contengono informazioni sulle persone che vi partecipano, sui ruoli sociali, sulle sequenze e regole di azioni. D’Andrade (1995) parla di schemi culturali per indicare forme organizzate di significati, che sono caratteristici dei diversi gruppi sociali; in quanto condivisi da un gruppo sono definiti modelli culturali, perchè hanno la funzione di dare senso all’esperienzae di guidare le azioni nei diversi ambiti. Quindi l’acquisizione degli script è centrale per l’acquisizione della cultura; inoltre essi sono parti delle narrazioni che gli individui fanno delle loro attività quotidiane. Gli schemi e gli script sono quindi costruiti durante l’apprendimento della cultura e possono essere considerati simili agli artefatti di terzo livello. Quindi cultura come insieme di artefatti, costruiti e modificati nel corso della vita delle persone, che permettono di partecipare alla vita della società e di darle significati condivisi.

 

 Intersoggettività

Il termine intersoggettività ci aiuta a comprendere il legame tra il comportamento e/o il pensiero e le circostanze che lo accolgono, costitute generalmente da una situazione in cui più partner interagiscono con l’obiettivo di negoziare significati, regole, norme di comportamento e di relazioni. È stata introdotta la metafora del tessere una tela: per rappresentare il tipo di relazioni che si instaurano tra due partner impegnati in un’attività congiunta. Le fibre sono intrecciate ma distinte, e compongono un tessuto unico; non si può parlare di interno/esterno o superiore/inferiore ma solo di esistenza (di un contesto). Ciò che costituisce la tela che collega i partecipanti sono la costruzione e condivisione di scopi e interessi. L’intersoggettività indica quindi questo contesto di negoziazione, condivisione, collaborazione e costruzione di significati.

 

CAPITOLO 2

 

Che cosa si intende per istruzione programmata ?

Tra il 1910 e 1921 Thorndike sostiene che molti risultati della psicologia possono essere applicati all’educazione; in merito a questo pubblica tre volumi rispettivamente su: natura dell’uomo, apprendimento, differenze individuali. Nello stesso periodo si affermano diverse versioni delle teorie dell’apprendimento associazionista e comportamentista. Boscolo identifica nel periodo tra le due guerre un momento in cui si affermano due settori di ricerca, entrambi con l’obiettivo di individuare in quali circostanze l’apprendimento risulta efficace e conveniente:

  • l’istruzione programmata: individua le condizioni che permettono di produrre risposte cognitive e comportamenti corretti.
  • l’addestramento militare: si focalizza sull’analisi delle prestazioni soprattutto in relazione ad abilità percettivo-motorie.

Questo ambito di ricerche è il primo tentativo di studio tra “uomo e macchina”, delle relazioni tra operazioni necessarie e abilità da far acquisire. Da questo ambito hanno origine gli studi sulle caratteristiche delle prestazioni esperte, sul ruolo del feedback rispetto ai rinforzi e l’analisi dei comportamenti necessari ad eseguire un compito.

 

Cosa significa “apprendere” nella prospettiva cognitivista ?

A questa segue una seconda fase di impronta cognitivista che considera l’uomo come elaboratore di informazioni; secondo questo approccio la qualità dell’esecuzione di un compito dipende da tre fattori, sui quali si fonda un apprendimento efficace:

  1. capacità della memoria di lavoro,
  2. scelta della strategia di esecuzione,
  3. efficienza nell’utilizzo della strategia prescelta.

Una caratteristica importante di questa prospettiva è l’assenza di una qualsiasi concettualizzazione del contesto; vi è una sostanziale indifferenza verso le condizioni storico-culturali, i contesti della vita quotidiana e le componenti affettive ed emotive (cognizione fredda). Le teorie cognitiviste (anche più recenti, così come il costruttivismo in solitudine di Piaget) sono solamente di tipo intraindividuale perchè evitano di considerare lo sviluppo, l’apprendimento e l’insegnamento come costruzione di significati atraverso le interazioni sociali.

Che cosa si intende per attività mediate culturalmente ?

Siamo nell’ambito della seconda psicologia dell’educazione e dell’approccio storico-culturale della scuola russa, che riprende le tesi di Wundt. Vygotskij (1934) sostiene infatti che i processi psicologici umani devono essere studiati attraverso le attività pratiche della vita quotidiana, attività che sono mediate dalla cultura (e dai suoi artefatti) e che si sviluppano nel corso del suo sviluppo storico. Questa tesi contiene tre concetti chiave:

  1. attività pratiche: sono le attività quotidiane nel corso delle quali gli individui si appropriano degli artefatti culturali;
  2. attività mediate culturalmente: gli artefatti sono i mediatori della cultura e nel corso della storia umana appaiono in stretto rapporto con la nascita delle funzioni superiori (che insieme a comportamenti specifici regolano le interazioni con gli altri);
  3. sviluppo storico: diventare un essere culturale significa appropriarsi della cultura delle generazioni precedenti ma anche produrre nuovi artefatti per le generazioni future.

Cultura quindi come insieme di artefatti costruiti, utilizzati e accumulati nel corso della storia dei gruppi sociali; non è un percorso individuale ma sociale.
Legge generale dello sviluppo culturale di Vygotskij: ogni funzione psichica si presenta due volte nel corso dello sviluppo culturale degli uomini e si può osservare nello sviluppo dei bambini: inizialmente compare sul piano sociale, come risultato di un’attività tra persone, in seguito viene interiorizzata e padroneggiata a livello individuale. Le relazioni sociali sono all’origine delle funzioni psicologiche superiori e delle relazioni tra le diverse funzioni.

Illustrare la nozione di ZOPED

È uno dei concetti centrali della riflessione di Vygotskji. E’ la distanza tra il livello di sviluppo attuale, definito dal tipo di abilità mostrata da un soggetto che affronta individualmente un compito, e il livello di sviluppo di cui un soggetto dà prova quando affronta un compito dello stesso tipo, con l’assistenza di un adulto o un coetaneo più esperto. Trae origine proprio dalle condizioni sociali in cui si sviluppano le funzioni superiori, dalle condizioni reali in cui i bambini crescono e soprattutto dal ruolo degli adulti in quanto esperti della cultura. Le funzioni mentali del bambino devono essere studiate proprio dove si sviluppano, cioè nelle attività di interazione e non nel singolo bambino (come avviene per i test intellettivi).
La ZOPED interviene anche nella relazione tra insegnamento e sviluppo delle funzioni superiori, perchè definisce i limiti cognitivi superiori e inferiori entro i quali l’insegnamento può avere efficacia. L’insegnamento è utile quando si colloca oltre il livello di sviluppo presente, conducendo il bambino a fare attività per superare i suoi limiti. Nella ZOPED quindi insegnamento e apprendimento dipendono dalle interazioni sociali mediate dal linguaggio e le pratiche discorsive, che avvengono durante queste interazioni, sono fondamentali per lo sviluppo delle funzioni intellettive superiori. Oltre al linguaggio Vygotskij riconosce anche l’importanza della mediazione svolta dalle attività pratiche che intercorrono durante l’interazione adulto-bambino. Queste attività di mediazione ha due caratteristiche:

  1. sviluppo della consepevolezza e del controllo volontario della conoscenza; risultato importante nell’insegnamento che si concretizza nella costruzione di concetti scientifici (sono sistematici e appresi in un contesto formale), che Vygotskij distingue dai concetti di vita quotidiana (appresi durante situazioni informali);
  2. linguaggio come strumento principale per la scolarizzazione e lo sviluppo di concetti scientifici.

Cosa sono le “funzioni mentali superiori” in Vygotskij ?

Per Vygotskij le funzioni psichiche superiori sono da considerare interazioni sociali interiorizzate, avviene cioè una trasposizione dei contenuti dall’esterno all’interno dell’individuo; gli artefatti sono patrimonio della cultura ma anche dei singoli individui.
Vygotskij usa la nozione di interiorizzazione per descrivere queste tre fasi:

  1. in questa fase iniziale gli artefatti vengono utilizzati dagli adulti per accudire i bambini, essi sono esterni ai bambini;
  2. fase di costruzione di schemi mezzo-fine: il bambino diventa capace di usare strumenti per ottenere un risultato;
  3. il bambino costruisce il significato dello strumento: grazie all’aiuto dell’adulto e all’acquisizione delle forme di comunicazione (prelinguistica e linguistica) è in grado di governare il suo rapporto con il mondo esterno; il bambino fa proprio il mondo degli stimoli esterni, trasformandoli in artefatti utilizzabili autonomamente.

Descrivere le principali critiche mosse alla prospettiva di Vygotskij

Tre le critiche principali mosse alla prospettiva di Vygotskij riguardano:

  1. l’assunto della superiorità dei concetti scientifici rispetto a quelli quotidiani; Habermas (1970) critica questa egemonia della razionalità, presente soprattutto nei contesti occidentali, a discapito delle attività pratiche.
  2. il primato della cognizione rispetto ad aspetti affettivi e motivazionali; questa critica sembra più che altro legata al momento (attorno agli anni ’60) in cui negli USA venne tradotta l’opera di Vygotskij, che coincideva con l’inizio del cognitivismo e della mente come elaboratore. In realtà Vigotskij sosteneva che il pensiero ha origine nella consapevolezza motivante, concetto che include bisogni, predisposizioni individuali, interessi, impulsi,affetti, emozioni.
  3. il punto finale e ottimale dello sviluppo; non si può escludere infatti che ci possano essere le condizioni per cui lo sviluppo viene limitato o distorto. Engestrom (1996) offre la critica più articolata, sostenendo che le classiche teorie dello sviluppo e dell’apprendimento non sono in grado di spiegare un percorso di vita che ha come scopo quello di resistere alle istituzioni, o dei comportamenti che possono produrre contrasti, tensioni, timori. La sua critica riguarda:
    1. lo sviluppo è stato spesso inteso come progressivo padroneggiamento di abilità, ignorando i processi di rielaborazione di vecchi modi di pensare. Comportamenti di ribellione e di devianza minorile possono essere intesi come tentativi di opposizione a una oppressione psicologica, o a ricerca di uno sviluppo diverso da quello imposto dalla società. Anche per Lewin, ad es., i comportamenti regressivi svolgono una funzione positiva di rottura col passato.
    2. le teorie sullo sviluppo si sono spesso focalizzate sull’individuo, ignorando l’aspetto collettivo che l’apprendimento può avere e i possibili conflitti che possono scaturire dalle interazioni sociali. Sviluppo infatti significa anche affrontare e risolvere gli aspetti contraddittori del mondo. Confrontandosi con culture diverse si possono avere delle zone di contatto (Kramsch,1993) per cui queste esperienze possono diventare occasione di sviluppo e apprendimento per tutti i partecipanti.
    3. la mediazione culturale fornita dagli artefatti è si importante, ma bisogna tener conto anche delle novità, delle scoperte di nuovi strumenti, come opportunità di sviluppo che segue percorsi diversi da quelli previsti dall’apprendimento.

Strumenti della ZOPED

L’insegnamento è efficace se si colloca nella ZOPED di ogni alunno, anticipando il livello di potenziale sviluppo e offrire l’opportunità di attivare le funzioni cognitive in via di costruzione. Gli strumenti con cui può essere costruita e utilizzata una ZOPED sono diversi:

  • Metodo della doppia stimolazione: elaborato da V. per studiare la formazione di strumenti cognitivi quando i soggetti sono impegnati in attività concrete (1. compito “difficile” da soli, 2. offerta di input per la soluzione, 3. analisi comportamenti).
  • Osservazione di comportamenti: un partner offre ad un soggetto un comportamento da osservare ed eventualmente imitare (Rogoff: partecipazione guidata). A differenza dell’apprendimento per modellamento o per osservazione diretta, qui non viè un effetto immediato su chi osserva.
  • Utilizzo della Contingenza: modalità di governo delle produzioni dei comportamenti attraverso ad es. premi o punizioni. Non paragonabile all’apprendimento per condizionamento operante perchè la contingenza non può essere usata per ottenere nuovi comportamenti; attraverso premi o incoraggiamenti si può rafforzare l’attività nella ZOPED e prevenire il calo di impegno.
  • Offerta di informazioni sull’attività (feedback): è uno degli strumenti più diffusi ed efficaci e può assumere forme diverse.
  • Istruzioni sul compito: molto diffuso nella vita quotidiana, riguarda le situazioni in cui ai bambini viene chiesto di fare qualcosa; lo scopo si raggiunge solo se vi sono obiettivi condivisi, altrimenti l’effetto sarà quello di ottenere comportamenti di opposizione.
  • Porre domande: utilizzo di domande/risposte come strumenti per indirizzare il lavoro comune; le domande richiedono un’attività interpretativa dei contesti molto sofisticata.
  • Strutturazione cognitiva: strumento con il quale vengono rese disponibili modalità adulte di organizzazione del pensiero e dell’azione, Si hanno strutture di spiegazioni (ad es. quelle degli insegnanti, servono ad organizzare le relazioni tra info precedenti e quelle nuove) e strutture di organizzazione delle attività cognitive (offrono strumenti per organizzare le conoscenze apprese, es. come memorizzare, ricordare, ecc.).
  • Scaffolding: Wood, Bruner e Ross si riferivano soprattutto alle attività delle madri con bambini piccoli, esse guidano l’attenzione verso aspetti rilevanti dell’attività e sostengono lo sforzo del bambino nel produrre azioni. Diverse componenti o funzioni: coinvolgimento nell’attività, riduzione della difficoltà, mantenimento dell’attività verso lo scopo, segnalazione caratteristiche specifiche dell’attività, controllo frustrazione. Nessuna delle strategie da sola assicura l’esecuzione completa del compito. Tutor: estensione concettualmente coerente con quella di scaffolding. Le istruzioni e i suggerimenti dell’adulto possono variare su un continuum a 5 livelli, ognuno dei quali referito al controllo e alla distribuzione di responsabilità tra tutor e allievo.

Cosa si intende per apprendimento cooperativo ?

E’ una proposta didattica che trae origine dalle caratteristiche delle situazioni di conflitto nello sviluppo e a scuola. I conflitti sono l’esistenza di attività incompatibili e sono di 4 tipi:

  • di sviluppo,
  • concettuali (incompatibilità di idee possedute),
  • controversie intellettuali (idee incompatibili con quelle di un altra persona),
  • di interesse.

Ci sono programmi di formazione che propongono di sviluppare la responsabilità e l’autoregolazione degli alunni attraverso l’insegnamento di procedure di negoziazione. Tre fasi:

  1. gli alunni sono sensibilizzati sulla natura dei conflitti (cosa vogliono le persone),
  2. vengono insegnate le procedure di negoziazione per cercare un accordo o un compromesso,
  3. si impara a diventare mediatore, in quanto la mediazione è l’intervento di una terza persona neutra che aiuta a risolvere il conflitto. Attraverso la cooperazione tra le parti il mediatore cerca di mettere fine alle divergenze con un accordo finale che sia accettato da tutti.

L’attività di scaffolding e di sostegno alla ZOPEd può anche essere svolta da un pari, che spesso trae maggior profitto rispetto all’alunno che viene aiutato.

Descrivere la nozione di partecipazione periferica legittima

La nozione di ZOPED è stata usata con successo anche per gli adulti in ambito formativo e lavorativo. Lave e Wenger (1991) sostengono che gli individui, vivendo in una specifica comunità con pratiche proprie, si appropriano progressivamente del linguaggio e dei rituali che vi sono in questa comunità diventandone in questo modo protagonisti attivi. Questa è la caratteristica principale dell’apprendimento situato, con cui si intende una prospettiva in cui la conoscenza ha un carattere relazionale e i significati sono negoziati tra i soggetti coinvolti.

 

 

CAPITOLO 3

Che cosa s’intende per macrogenesi e microgenesi delle strutture cognitive ?

La questione delle genesi delle funzioni psicologiche superiori, e del loro ruolo in relazione ai processi di apprendimento, è stata affrontata nel corso degli anni da diversi ricercatori con diversi punti di vista. Secondo la posizione piagetiana le forme del pensiero sono logicamente organizzate secondo una gerarchia, da forme sensomotorie a forme logico-formali, che costituiscono nell’insieme l’architettura della conoscenza umana. L’apprendimento quindi è strettamente dipendente dai diversi livelli di organizzazione del pensiero. Tuttavia alcune ricerche negli anni 60 hanno messo in discussione il modello piagetiano pur restando inalterata la sequenza dei periodi di sviluppo del pensiero (periodo sensomotorio, preoperatorio, operatorio concreto e formale). Questo programma di ricerca evidenzia la differenza tra macrogenesi e microgenesi delle strutture cognitive, tra strutture e procedure di soluzione dei problemi, tra costruzione di grandi categorie di pensiero e meccanismi specifici. La nozione di macrogenesi viene usata per descrivere le proprietà e la costruzione delle quattro forme di pensiero piagetiane (soggetto epistemico); la nozione di microgenesi invece si riferisce alla costruzione di procedure specifiche per la soluzione dei problemi.
La costruzione delle grandi categorie di pensiero segue la logica generale dello sviluppo e quindi esse non possono essere nè insegnate nè apprese; invece le procedure di soluzione dei problemi possono essere insegnate e apprese.

Descrivere la conversazione di gesti del pensiero di Mead

Mead (1934) può considerarsi il precursore da cui ha origine l’Interazionismo Simbolico; pur provenendo da un contesto culturale diverso, sostiene la tesi sull’origine sociale delle attività mentali. Mead parte dalla nozione di conversazione di gesti, sostenendo che le azioni reciproche tra due individui forniscono una base per la costruzione del pensiero simbolico, prima ancora che la coscienza di sè o il pensiero siano manifesti.
Secondo Mead la genesi delle attività cognitive è da rintracciarsi nell’interiorizzazione della conversazione tramite gesti (verbali e non); i gesti interiorizzati costituiscono dei simboli significativi perchè assumono lo stesso significato per tutti gli individui di una comunità.
Lo sviluppo quindi inteso come frutto di una costruzione di strumenti cognitivi, sociali e morali che si realizza attraverso le relazioni con gli Altri fisicamente presenti (Altro significativo) ma anche Altri che ci hanno preceduto nella storia (Altro generalizzato).

Illustrare i livelli di analisi proposti da Doise

L’interazione nella prospettiva di Vygotskij e Mead è costituita da tre poli: il soggetto, l’oggetto e un terzo (per Mead l’Altro) che fornisce la mediazione dell’oggetto; è una prospettiva tripolare di concepire l’interazione umana. La concezione secondo cui lo sviluppo delle funzioni psicologiche superiori avviene tramite le relazioni sociali prende il nome di prospettiva sociocostruttivista. All’interno di questa prospettiva le nozioni di conflitto, imitazione, cooperazione e competizione risultano fondamentali, in quanto tutte queste nozioni implicano che l’individuo sia sensibile alle dinamiche che caratterizzano le interazioni (non è necessario che uno dei partner possegga la risposta corretta). Secondo questa teoria le interazioni sociali sono all’origine delle abilità individuali, e il possedere abilità di una certa complessità permette all’individuo di partecipare a interazioni sociali più complesse, che permettono a loro volta di costruire abilità di complessità maggiore (causalità a spirale). Questa prospettiva ha avviato un programma di ricerca, che ha analizzato le dinamiche che permettono di capire come gli individui costruiscano gli strumenti cognitivi grazie alle interazioni sociali, e come la cultura influenza la costruzione di questi strumenti. Doise identifica quattro livelli di analisi, ciascuno definito da specifiche caratteristiche:

  • livello intraindividuale: definito dal funzionamento del pensiero individuale; i soggetti vengono considerati come processatori di informazioni.
  • livello interindividuale: definito dalle interazioni e relazioni tra partner, e dalle influenze che esse producono.
  • livello posizionale: definito dallo status sociale che i partecipanti ad una interazione occupano nel sistema sociale.
  • livello relativo alle norme e rappresentazioni sociali: definito dalle concezioni generali su sviluppo, apprendimento insegnamento, come sono presenti nella culture, e dalle norme sociali che regolano contesti e comportamenti.

A partire da questi quattro livelli è possibile disporre di uno strumento concettuale e metodologico per elaborare ricerche sulle articolazioni tra tra i diversi livelli, per studiare gli effetti di specifiche dinamiche sociali sul funzionamento cognitivo (interaz. diretta, rappresentaz. di norme sociali, ecc.). I risultati hanno permesso di individuare che i soggetti:

    • arrivano a padroneggiare a livello individuale strumenti cognitivi nuovi, coordinando le azioni con i partner;
    • riescono a costruire una modalità più elaborata per risolvere i compiti;
    • riescono a costruire una regola generale da usare per altri compiti.

Definire le caratteristiche del conflitto sociocognitivo

Le ricerche sopra descritte hanno avuto come ipotesi di partenza quella che considera le relazioni interpersonali come fonti di progresso attraverso i conflitti di comunicazione. Infatti le risposte che vengono costruite insieme, confrontando i diversi punti di vista, risultano più elaborate e corrette. La dinamica di costruzione di queste risposte viene indicata come teoria del conflitto sociocognitivo, per sottolineare la funzione chiave della comunicazione interpersonale e del conflitto. A volte il conflitto non viene risolto perchè diventa un conflitto sulla relazione interpersonale, che lega i partner in una disputa su chi ha ragione perdendo di vista l’obiettivo comune di trovare una soluzione corretta; però i soggetti in questa situazione non progrediscono.
Difficoltà legate all’attivazione del conflitto sociocognitivo:

  • far percepire ai soggetti più giovani (in fase egocentrica) la differenza tra le diverse risposte, cercando di decentrarsi per cogliere il problema da diversi punti di vista;
  • il conflitto viene risolto attraverso l’elaborazione di soluzioni cognitive migliori solo se esso non viene risolto attraverso modalità relazionali quali compiacenza, conformismo ecc. (regolazione del conflitto).

La durata delle interazioni è un fattore importante per consentire ai partner di valutare le risposte e modificare i propri punti di vista iniziali.

Definire le caratteristiche del contratto didattico

Le interazioni sociali, che portano allo sviluppo di funzioni psicologiche superiori, sono da considerarsi pratiche sociali che impegnano i partner nelle seguenti attività:

  • attività di costruzione di significati,
  • attività di costruzione di una relazione,
  • attività di costruzione di immagini sociali e personali di sè,
  • attività di ordine cognitivo (possibile grazie all’uso di artefatti).

Nel mondo della scuola le interazioni tra insegnanti e alunni sono governate da regole implicite ed esplicite che costituiscono il contratto didattico, che ha lo scopo di organizzare le interazioni per orientare le azioni in base alle caratteristiche della specifica situazione.
Le principali norme che caratterizzano il contratto didattico sono le seguenti:

  • la relazione fra insegnanti e alunni è asimmetrica, per cui essi non hanno gli stessi doveri e gli stessi diritti;
  • gli alunni si aspettano che agli interrogativi posti da insegnanti o sperimentatori sia possibile dare una risposta;
  • gli alunni si aspettano che l’insegnante formuli la domanda in modoa da suggerire la risposta corretta;
  • gli alunni si aspettano che i dati di un problema siano necessari, sufficienti e pertinenti per formulare la soluzione.

La nozione di contratto didattico implica che, per capire cosa accade durante una interrogazione, sia necessario mettere in relazione i comportamenti cognitivi di un soggetto con il contesto in cui essi sono attivati; questo perchè i partner ricostruiscono e interpretano la situazione a seconda sia dei propri scopi e delle proprie attese, sia degli scopi e attese dell’altro.

Cosa sono gli schemi pragmatici ?

Questo concetto deriva dalla ricerca che si occupa di indagare l’influenza delle pratiche sociali quotidiane in famiglia sulla costruzione di strumenti cognitivi in età prescolastica. Infatti, fin da piccoli i bambini partecipano ad attività quotidiane attraverso la strutturazione dei comportamenti fatta dagli adulti. Queste attività di scaffolding diventano abitudini e, con la regolarità, diventano routine. Le routine hanno una doppia finalità: regolano i comportamenti sociali e costituiscono schemi di eventi, che organizzano una situazione dal punto di vista cognitivo. Le routine suggeriscono le risposte da fornire in relazione alle norme sociali presenti nella cultura di appartenenza e propongono le sequenze di azioni, o le modalità di ragionamento, che devono essere eseguite per raggiungere lo scopo. L’insieme costituito dalla rappresentazione della situazione e dalle modalità di soluzione è definito schema pragmatico, che trae origine da routine sociali contestualizzate.
Vi sono anche schemi che governano la vita di tutti i giorni, sono gli schemi pragmatici di ragionamento: forme organizzate di conoscenza con un certo livello di astrazione ma prodotte attraverso acquisizione e padroneggiamento di regole della vita quotidiana.

Caratteristiche della teoria dell’elaborazione del conflitto

La teoria dell’elaborazione del conflitto è uno sviluppo della teoria del conflitto sociocognitivo, che approfondisce alcune dinamiche legate all’apprendimento; nei compiti di apprendimento usati vi sono due soggetti e un’unica risposta corretta che entrambi ignorano. Il conflitto che inevitabilmente si crea tra i partner produce una doppia dinamica: incertezza sulla propria soluzione e il fatto che uno ha ragione e l’altro no. L’incertezza derivante dalla ricerca della soluzione corretta è aumentata dall’incertezza derivante dalle abilità di ciascun partner. Un conflitto in questi termini implica due questioni: una epistemologica legata alla conoscenza, e l’altra relazionale, legata allo status dei soggetti. In situazioni non minacciose prevale il tema epistemologico; i partner valutano ogni soluzione proposta concentrandosi sul compito (regolazione epistemica del conflitto). In situazioni in cui vengono minacciate le competenze dei partner prevale invece il tema relazionale; ogni partner cerca di dimostrare quanto è competente difendendo la propria soluzione e svalutando quella dell’altro (conflitto di competenze). Quando invece uno dei due partner percepisce che l’altro è più competente può esserci un’accettazione della risposta dell’altro per compiacenza, proteggendo così la propria competenza. In entrambi i casi la soluzione del conflitto si basa sul confronto sociale tra i partner (regolazione relazionale del conflitto). La regolazione epistemica del conflitto produce risposte più accurate e progresso a lungo termine dei partner.
Esiste anche uno studio dei comportamenti orientati verso un risultato che evidenzia come gli obiettivi che i soggetti si prefiggono, nel corso di attività cognitive, influenzano le modalità di soluzione di un compito; vengono individuate due categorie di obiettivi:

  • obiettivi di abilità: il soggetto si concentra sul compito, l’attenzione è posta sulla soluzione; favoriscono l’apprendimento quando un compito è difficile; il conflitto ha un effetto positivo perchè produce una regolazione epistemica.
  •  obiettivi di prestazione: il soggetto si concentra su se stesso, sul fare bella figura (e in misura minore sul compito); in caso di compito difficile l’apprendimento viene rallentato; il conflitto ha effetti negativi perchè attiva incertezza e aumenta la paura di insuccesso, viene attivata una regolazione relazionale del conflitto.

 


 

PRIMA GENERAZIONE

SECONDA GENERAZIONE

TERZA GENERAZIONE

Tipo di compiti

Compiti piagetiani classici tipici del periodo operatorio (conservazione dei numeri, delle quantità ) e formale (proporzionalità e combinazione di criteri), nonché del periodo del ragionamento inferenziale.

Utilizzano compiti diversi da quelli piagetiani, principalmente compiti di ricerca del problem solving. (esempio applicazione di criteri a certe situazioni che poi danno vita a delle regole intercategoriali e intracategoriali che governano l’attività dei soggetti)

Sceneggiatura di interazioni: situazioni di sperimentazione e didattiche.

Problemi assurdi

Principali risultati

- i soggetti arrivano alla costruzione di strumenti cognitivi che non padroneggiano a livello individuale attraverso la coordinazione delle proprie attività con quelle di un partner
- i soggetti sono in grado di trasferirle a situazioni simili, hanno appreso una procedura
- le interazioni sociali diventano cognitivamente utili quando producono conflitto di comunicazione che viene risolto in modo adeguato.
- l’apprendimento può essere favorito attraverso una connotazione sociale delle situazioni (si può sfruttare a scopo didattico le norme e le relazioni sociali che caratterizzano i contesti specifici).Es. giustizia distributiva

° Per produrre soluzioni cognitivamente migliori occorre che i ragazzi collaborino e interagiscano.

° Viene evidenziato un grado diverso di capacità di verbalizzazione delle regole intercategoriali e intracategoriali.

° Inoltre si nota che l’interazione che produce miglioramento non deve necessariamente essere conflittuale.

° L’acquisizione di concetti scientifici avviene meglio in condizioni di interazioni sociali, cooperative e non conflittuali.

Obiettivo: descrivere le caratteristiche che determinano l’efficacia delle situazioni di interazione.
I soggetti nell’interagire non costruiscono solo delle soluzioni ad un compito, ma negoziano e cooperano per la costruzione del significato del compito stesso.
Nelle pratiche di interazione i partner sono impeganti nelle seguenti attività:
-costruzione di significati sul compito e sulla situazione
-costruzione di una relazione tra i partner
-costruzione di immagini sociali e personali di se e degli altri.
Contratto didattico: norme che regolano le interazioni nella scuola.
Contratto sperimentale: norme che regolano le relazioni tra ricercatore e soggetto sperimentale

Citazione di ricerche

DOISE-HANSELMAN
compiti di conservazione di quantità discontinue; 4 situazioni sperimentali in cui combinano le seguenti variabili: assenza/presenza di connotazione sociale, assenza/presenza controsuggerimenti. I miglioramenti si verifica nella condizione di presenza della connotazione sociale.

GILLY-ROUX:
esperimento sulle formiche che attraversano la strada. Occorre lavorare sia con regole intercategoriali, sia con regole intracategoriali
4 condizioni sperimentali :
-sperimentatore spiega e fa esercizi di dimostrazione
-i bambini da un esempio traggono da soli le regole
-2 bambini operano guardandosi l’un l’altro
-i bambini lavorano cooperando (condizione che si dimostra più efficace)

DRUYAN-LEVIN:
esperimento sull’acquisizione di concetti scientifici (velocità lineare e angolare): discussioni in gruppo; 3 condizini sperimentali:
-gruppi di 4 (condizione migliore per apprendimento),
-individualmente con questionario a scelta multipla,
-individualmente.

PONCIONI
La presenza dell’insegnate incide sulle soluzioni ? Compiti proposti da una maestra e da uan psicologa; 2 situazioni:
-bambini di 1a elem.
-bambini grandi dell’asilo; In 1° elem. risultati migliori se c’è la maestra, all’asilo meglio se c’è la psicol.

SALJO-WYNDHAMN
Utilizzo del tariffario per l’affrancatura delle poste svedesi.
Maggiore il livello di bravura in matematica, minore il successo nel compito.
Gli alunni più bravi si producevano in calcoli assurdi invece di leggere solo la tabella xchè “si era a scuola, con il profssore” (ruolo del contesto).


CAPITOLO 4

Quali sono gli effetti della scolarizzazione di massa ?

L’obiettivo principale dell’educazione di massa è stato quello di attenuare le differenze sociali, offrendo a tutti la possibilità di frequentare la scuola per diventare cittadini resposabili. Infatti uno degli effetti del processo di apprendimento dei saperi e delle pratiche sociali, messo in atto nella scuola, è quello di formare un alunno disciplinato (che impara senza capire) in un alunno “razionale”, che ragioni, capisca e faccia propria la cultura e le regole che ne fanno parte. La scolarizzazione di massa deriva quindi dalla consapevolezza di ogni società del bisogno di preparare i propri cittadini ad essere parte attiva della vita sociale.
L’alfabetizzazione quindi ha come obiettivi:

  • la formazione di cittadini in grado di interagire in modo coerente con la società con cui sono inseriti e con le sue regole,
  • la formazione di persone adatte a ricoprire ruoli sempre più specializzati e oggettivati, e legittima la selezione per cui solo i più capaci possono raggiungere posizioni sociali elevate (prospettiva funzionalista);
  • di mettere in competizione i diversi gruppi sociali, che non competono ad armi pari perchè anche nella scuola viene riprodotto un sistema sociale basato sulle disuguaglianze (prospettiva del conflitto);
  • di mantenere un controllo sociale e di legittimare le differenze; poichè nelle scuole poste in quartieri diversi verrebbero trasmessi valori specifici al contesto (prospettiva neomarxista).

Bisogna aggiungere l’ipotesi del capitale culturale, cioè le idee e le conoscenze che le famiglie trasmettono ai propri figli senza la mediazione del sistema scolastico. Secondo Bourdieu i ragazzi provenienti da classi sociale privilegiate acquisiscono già in famiglia i valori, le idee e gli strumenti che a scuola vengono valorizzati (es. ricerca su internet), vivendo una continuità tra i due contesti; invece i ragazzi di estrazione sociale inferiore si trovano a vivere discontinuità tra i due contesti.
I sistemi scolastici possono quindi essere considerati come:

  • strumento di selezione;
  • strumento di integrazione multiculturale;
  • risorsa di sviluppo e crescita personale;
  • risorsa per garantire ad ogni alunno le abilità di base.

Descrivere i modelli di mobilità sociale

Si può accennare all’esistenza di diversi tipi di mobilità sociale all’interno delle società; a seconda delle modalità di organizzare i percorsi degli individui troviamo diversi sistemi scolastici:

  • mobilità di contesto: gli individui competono tra loro sulla base di opportunità concesse a tutti, la differenziazione avviene solo su base meritocratica (USA);
  • mobilità incentivata: gli individui più dotati vengono individuati fin dall’inizio, essi ricevono una migliore educazione per diventare la futura classe dirigente (Italia fino agli anni 70 e Inghilterra).

In Italia il sistema scolastico è stato a mobilità incentivata fino agli anni ’70, nel ’67 è stato liberalizzato e si è trasformato in un sistema a mobilità di contesto.

Su quali aspetti l’autonomia assegnata alle scuole italiane consente di prendere decisioni ?

La struttura organizzativa del sistema scolastico ha una influenza diretta sul suo funzionamento. In Italia le scuole dipendono dal ministero dell’Istruzione che definisce e coordina le linee generali valide in tutta la nazione. Recentemente c’è stato un decentramento di competenze dal ministero agli enti locali, e alle singole scuole è stata attribuita autonomia didattica e amministrativa diventando unità educative autonome che possono prendere decisioni riguardo:

  • scelte curricolari: offerta formativa diversificata pur rispettando le direttive ministeriali (POF);
  • scelte organizzative;
  • gestione del personale.

Questo significa che il dirigente scolastico assomiglia sempre di più ad un imprenditore che deve gestire un’organizzazione inserita all’interno di un libero mercato. L’autonomia scolastica però ha come cornice il sistema di gestione collegiale, formato da organi consultivi e deliberativi, che garantisce il funzionamento democratico del sistema scolastico.
Le scuole oggi assomigliano a organizzazioni burocratiche, però con molte limitazioni (un dirigente scolastico non può licenziare); sarebbe meglio parlare di organizzazione a legami deboli, per cui ogni settore della scuola è strettamente legato agli altri ma ha margini di gioco per funzionare in modo flessibile (monte ore vs contenuti).

Cosa si intende con la nozione di Garbage can ?

È una modalità di presa di decisione all’interno delle organizzazione scolastiche, in cui i processi mancano di coerenza, continuità, in cui domina la confusione, il continuo rimandare, l’estemporaneità. Si rovista (cestino dei rifiuti) tra problemi e soluzioni precedenti senza saper programmare le tempistiche in modo realistico per l’attivazione delle decisioni prese.

Cosa descrive la sequenza IRE ?

Interrogazione, Risposta, Evaluation (valutazione). È la sequenza linguistica che caratterizza il linguaggio della scuola e che lo differenzia dalle modalità linguistiche e relazionali della vita familiare e quotidiana.

Illustrare alcuni effetti prodotti dalla scolarizzazione

Sono state svolte ricerche interculturali, considerando anche società dove la scolarizzazione non è diffusa su larga scala; i risultati hanno portato a sostenere che la scolarizzazione non modifica in modo profondo i processi cognitivi, se c’è una influenza questa riguarda strategie specifiche di trattamento dell’informazione o contesti scolastici. Nello specifico:

  • Abilità linguistiche: per quanto riguarda l’organizzazione del significato delle parole la scolarizzazione, oltre a costruire conoscenze, sensibilizza sui significati categoriali e astratti delle parole; questo non vuol dire però che soggetti analfabeti non acquisiscano il significato letterale delle parole, essi usano solo un tipo di conoscenze diverse, più “pratiche”.
  • Abilità di decodifica: la scuola insegna a parlare e scrivere secondo regole precise per ottenere un livello di padronanza della lingua e non agire così per routine o imitazione; insegna che esiste una precisa relazione tra simboli scritti (lettere e numeri) e suoni della lingua.
  • Abilità di memoria: la scuola aiuta a sviluppare strategie utili per ricordare, migliorando le abilità in relazione a compiti astratti; la scuola invece non migliora le abilità di memoria in generale, perchè in compiti di vita quotidiana le risposte di soggetti scolarizzati e non, sono praticamente simili.
  • Abilità metacognitive: la scolarizzazione sembra influenzare il riflettere e parlare dei propri processi di pensiero, descrivendo attività mentali e la logica a sostegno delle risposte.

Qual’è l’utilità delle reti d’informazione in una comunità scolastica?

 

Ogni scuola è parte integrante di una comunità sociale con precise caratteristiche (idee, status sociale delle famiglie, ecc.). Un fattore importante delle comunità sociali sono le reti sociali di informazione che si realizzano tra i genitori quando parlano della scuola dei figli.
Essi, incontrandosi in situazioni extrascolastiche e informali, forniscono indicazioni pratiche e utili per scegliere una determinata scuola, comprendere le scelte educative e per aiutare i figli. Le ricerche dimostrano che gli alunni di classi sociali medio alte hanno maggiori informazioni riguardanti la scuola futura; invece le reti di informazioni dei genitori di estrazione bassa sono limitate all’interno della stessa famiglia, questi genitori faticano a socializzare con altri genitori della scuola e quindi non ottengono quelle informazioni che potrebbero favorire il futuro scolastico dei figli.

Cosa sono nel sistema scolastico italiano gli istituti comprensivi ?

Per ottenere autonomia didattica e amministrativa gli istituti scolastici sono stati dimensionati calcolando almeno 500 alunni per ogni unità (problema per scuole primarie e secondarie di I grado) In base a questa riorganizzazione sono state create delle unità scolastiche “verticali”: gli istituti comprensivi, in cui sono confluite le scuole dell’infanzia, le primarie e le secondarie di I grado.; gli insegnanti di queste scuole fanno ora capo ad un unico dirigente scolastico.

Illustrare alcune ricerche sull’attività decisionale nelle scuole

Con l’autonomia scolastica i dirigenti devono porre attenzione ai processi decisionali individuali e di gruppo, perchè essi ora sono equiparati ai “datori di lavoro” con tutti gli obblighi e doveri che questo comporta.
Non ci sono ricerche in ambito italiano sull’argomento, per cui si fa riferimento a contesti stranieri.
Negli USA il tema delle decisioni è stato studiato in rapporto ai miglioramenti delle condizioni di apprendimento, misurando i risultati degli alunni. E’ stato avviato il progetto Scholl Based Decision-Making che mirava ad una condivisione delle finalità del lavoro didattico tra dirigenti e insegnanti; è stata effettuata una ricerca longitudinale di 4 anni in 20 scuole e sono stati individuati tre modelli di funzionamento:

  • modello dell’equilibrio: scuole piccole con cospicui finanziamenti, studenti con punteggi elevati, famiglie vicine alla scuola; contesti in cui il dirigente non assume mai una posizione autoritaria perchè l’attività è svolta in comune attraverso la condivisione degli scopi;
  • modello centrato sugli insegnanti: il dirigente esercita un forte controllo, gli insegnanti rivendicano un ruolo maggiore attraverso opposizioni esplicite al dirigente, i genitori sono in situazioni conflittuali e diradano la presenza;
  • modello centrato sul dirigente scolastico: la scuola è gestita come nel passato, le soluzioni del dirigente sono sempre approvate dal consiglio, gli insegnanti non si oppongono mai, le informazioni non girano e i genitori si adeguano alla maggioranza senza far sentire il loro parere.

I risultati del progetto si sono visti negli insegnanti (aumento dell’assunzione di responsabilità individuale), negli alti livelli di partecipazioni alle decisioni e nel miglioramento dell’attività didattica (risultati migliori ottenuti dagli studenti nei test finali).
Da questo progetto si può affermare che una buona qualità delle decisioni e legata alla realizzazione di una cultura comune fatta di scopi condivisi; questa collaborazione genera maggiore disponibilità nei confronti dei cambiamenti, migliorando quindi la qualità dell’istruzione e della scuola. Per essere positivi però i cambiamenti devono riguardare non solo temi generali, ma anche aspetti della vita quotidiana e prevederne gli effetti.
Due considerazioni sui processi decisionali: 1. non devono essere vissuti come attività di routine (di fatto non si decide) o come occasioni di conflitti (decisioni non condivise); 2. non devono essere di tipo “manageriale” perchè le scelte devono essere condivise da tutti.
In Gran Bretagna è stato realizzato il progetto Education Refrom Act; che ha chiesto agli insegnanti un cambiamento di prospettiva e di ruolo, la loro resistenza è stata superata coinvolgendoli già nelle decisioni legate all’attività di classe. Come membri di una organizzazione gli insegnanti definiscono il loro lavoro in accordo con gli atteggiamenti e i comportamenti del contesto scolastico, però le percezioni degli individui circa il programma (cosa), il metodo (come) e la valutazione (quanto) sono influenzate dall’organizzazione della scuola stessa.

Descrivere l’approccio dell’effectiveness (efficacia nel quotidiano) allo studio delle scuole

Lo studio sulle scuole efficaci trae origine dalla constatazione che le scuole non sempre sono luoghi di lavoro e apprendimento, in cui si raggiungono gli obiettivi di insegnanti, genitori e alunni. Per studiare l’efficacia delle scuole si devono considerare i rapporti tra caratteristiche delle scuole, processi di insegnamento e risultati degli alunni. Due temi importanti legati all’insegnamento: la qualità dell’istruzione (misure di ingresso di un alunno vs misure di uscita) e pari opportunità educative offerte a tutti gli alunni.

Descrivere l’approccio dell’improvement (miglioramento nel tempo) allo studio delle scuole

Sono state studiate le pratiche messe in atto dalle scuole per migliorare le condizioni organizzative, di lavoro e di apprendimento. La scuola viene studiata come una organizzazione che apprende e che realizza i cambiamenti più idonei per gli alunni; importanti fattori sono le capacità di cooperazione fra gli individui e l’attenzione alle richieste della scocietà. La scuola resta cmq una organizzazione inserita in una situazione di libero mercato. Ogni scuola ha infatti una propria cultura (tradizionale, del benessere, del far crescere, della sopravvivenza) che influenza i risultati del lavoro dei docenti e degli alunni.

 

 

CAPITOLO 5

Che cosa si intende per conoscenza nella prospettiva cognitivista

La conoscenza riguarda, come espresso dalla parola stessa, l’acquisizione di qualunque aspetto della realtà; è una base di dati e dei rapporti logici che li legano. Boscolo parla di conoscenza tacita (di cui non siamo coscienti) e conoscenza esplicita (di cui siamo consapevoli); fra le due vi è un rapporto dinamico per cui i contenuti dell’una possono passare nell’altra. Una distinzione ulteriore riguarda il fatto di essere dichiarativa (so definire un triangolo), procedurale (so calcolare l’area), condizionale (posso applicare entrambe le conoscenze). La conoscenza metacognitiva è il risultato di un crescendo, progressivamente migliore dal punto di vista qualitativo, che porta all’acquisizione di nozioni sempre più complesse, spesso anche trasferibili tra diversi ambiti disciplinari.

Illustrare la nozione di conoscenze istituzionalizzate

Le conoscenze istituzionalizzate sono quelle conoscenze che vengono proposte dai sistemi scolastici e che devono essere apprese da tutti gli studenti. Le conoscenze in ambito scolastico sono il risultato di scelte effettuate in determinati momenti storici e sottoposte al vaglio degli organismi di controllo (parlamento). Le conoscenze da insegnare vengono scelte dall’ampia base dati che è la cultura, utilizzando specifici criteri da parte della comunità scientifica e della società, per entrare a far parte di tutti quei saperi e abilità di base che un cittadino deve possedere. Sono istituzionalizzate in quanto inserite all’interno di un contesto socialmente determinato e legate a variabili di tipo economico, storico, culturale e religioso.
In Italia nel 2004 sono state riviste le Indicazioni nazionali della Scuola Primaria, in cui vengono fissati gli obiettivi per ogni classe; viene specificato che tali obiettivi sono parte di un progetto generale che mira alla formazione degli studenti come persone, quindi servono per indicare solo i livelli essenziali di prestazione, saranno le scuole e gli insegnanti che attraverso la libertà didattica caleranno questi obiettivi nella realtà delle classi con la responsabilità di rendere conto delle scelte effettuate.

Cosa s’intende per trasposizione didattica ?

L’insieme delle scelte fatte a livello nazionale costituiscono un intervento di primo livello che la società compie nella determinazione delle conoscenze da presentare nelle classi. Esiste un secondo livello di intervento, attuato all’interno delle classi da parte degli insegnanti. Essi infatti hanno il compito di articolare obiettivi e contenuti dell’attività didattica in relazione alle caratteristiche delle singole classi. Questo processo delicato prende il nome di trasposizione didattica, per sottolineare la trasformazione che un insieme di contenuti subisce quando entra a far parte di un programma concreto di insegnamento. Gli oggetti del sapere, contenuti nei programmi ministeriali, devono essere quindi organizzati in oggetti di insegnamento. Gli oggetti dell’insegnamento possono essere studiati attraverso l’analisi della documentazione didattica utilizzata all’interno delle classi. Da non dimenticare che i programmi e i contenuti delle lezioni sono parte del contratto didattico esattamente come lo sono gli alunni e gli insegnanti.

Descrivere le caratteristiche di un modulo didattico all’interno della scuola elementare

In ogni classe il contratto didattico si articola in contratto di insegnamento, che obbliga e responsalizza l’insegnante; contratto di apprendimento, che obbliga e responsalizza l’alunno; contratto di contenuto, che vincola entrambi sugli oggetti del sapere insegnato e appreso. In ogni classe è possibile identificare molti microcontratti didattici, in relazione al numero degli insegnanti e delle materie; questi microcontratti fanno hanno la funzione di mediazione che permette ai partner di condividere il significato del lavoro comune e le regole generali adeguandole al contesto. Il contratto didattico di ogni classe si inserisce all’interno di un sistema normativo e organizzativo più ampio relativo all’intero istituto scolastico; tuttavia ogni classe mantiene le sue specificità, una propria cultura e soprattutto il concetto di classe varia da un sistema scolastico all’altro.
Per quanto riguarda la situazione italiana negli anni ‘90 si sono avuti cambiamenti significativi a livello di scuola elementare, la cui attività è ora organizzata in Moduli Didattici. Ogni modulo ha delle regole fondamentali circa le ore di lezione e la loro partizione tra gli ambiti disciplinari. I moduli possono essere orizzontali o verticali, a seconda se si ha un team di docenti che seguono classi dello stesso livello o in progressione. L’organizzazione modulare porta ad un frazionamento dell’orario che riduce la possibilità di lavoro tra più classi (richiede riorganizzazione dell’orario di molti insegnanti); quindi la classe funziona sempre di più come unità autonoma nonostante venga riconosciuta da più parti la necessità di un lavoro che superi la struttura rigida della classe.
Ogni docente è responsabile di una disciplina o di un ambito didattico ma, data la formazione ancora generica dei docenti delle scuole elementari, non sempre la materia che gli viene assegnata risulta pertinente al suo tipo di formazione. È inevitabile che spesso le esigenze organizzative vengono ad avere il sopravvento su quelle dell’insegnamento e dell’apprendimento. Risulta quindi molto importante anche l’attività di collaborazione tra i vari docenti che compongono i team, in quanto hanno il dovere di programmare in modo coordinato obiettivi del Modulo didattico evitando i conflitti.

Illustrare la nozione di cultura dei pari

E’ possibile elencare delle caratteristiche del contesto di ogni classe: multidimensionalità degli eventi (palesi e non), simultaneità, immediatezza, imprevedibilità, pubblicità, storicità. IL nucleo del contesto di classe è formato dalle interazioni faccia a faccia; tra gli alunni, che interagiscono molto tra loro (favorisce il processo di socializzazione), e tra loro e gli insegnanti, queste sono interazioni asimmetriche e a volte “false”, come nel caso di interrogazioni (rare quelle vere e informali).
Nell’illustrare l’importanza del contesto classe non si può fare a meno di illustrare l’influenza, non solo da parte del team docenti, ma anche dei pari. La cultura dei pari, illustrata da Corsaro, ha un valore molto importante all’interno del rapporto fra bambini e cultura adulta. Dai lavori di Corsaro emergono tre temi importanti nei quali leggere i significati che la frequanza assume per gli studenti:

  • importanza di partecipare alla vita sociale,
  • affrontare insieme gli aspetti della vita più difficili da capire o accettare,
  • affrontare le regole della vita sociale e l’autorità degli adulti, usando strategie più o meno esplicite per opporsi alla scuola e alla famiglia per guadagnare nel contempo maggiore autonomia.

Come si produce l’autoregolazione dei comportamenti ?

Insegnare significa assistere la prestazione attraverso la ZOPED, vi è apprendimento quando l’assistenza viene data al momento opportuno. Le abilità degli studenti si sviluppano attraverso la reciproca influenza dell’alunno e dei suo pari. Anche nella scuola le funzioni psicologiche superiori si attivano prima a livello interindividuale e poi a livello personale. L’alunno, attraverso la funzione di regolazione svolta dai partner, diventa capace di impegnarsi in azioni e attività di comunicazione autoregolate e indipendenti da altri. Quindi l’’acquisizione delle abilità individuali è la trasformazione del rapporto tra regolazioni sociali (guidate da altri) e autoregolazione. Man mano che progredisce l’alunno ha sempre meno bisogno di assistenza durante la prestazione; in questo diventare autonomi svolgono una funzione positiva i compagni.
Gallimore e Tharpe individuano tre fasi principali che vanno dall’assistenza fornita dai più esperti, all’autoregolazione, fino alla fase in cui un’attività diventa automatica e non richiede nè controllo consapevole nè un aiuto esterno.

Quali sono le caratteristiche degli insegnanti efficaci ?

Un insegnante efficace ha soprattutto assunto la responsabilità dell’apprendimento dei propri alunni e cerca in tutti i modi di raggiungere questo obiettivo; un insegnate efficiente organizza nel modo migliore l’attività didattica ma se non si assume la responsabilità in prima persona può solo favorire l’efficacia e non garantirla. Le caratteristiche sono:

  • trasposizione didattica del curricolo: articolazione delle esigenze curricolari con quelle organizzative della scuola, obiettivi chiari e adeguati al livello degli alunni, strumenti di valutazione idonei e precisi, creazione di attività congiunte che aiutino i soggetti all’apprendimento;
  • organizzazione delle esperienze didattiche: lavori di gruppo, strategie cooperative, esposizione orale chiara, esercizi di consolidamento di quanto spiegato, forniscono proposte didattiche ben organizzate, si accertano della comprensione degli alunni, propongono compiti ed esercizi diversi;
  • strategie nella conduzione della classe: gestione della classe per un clima sereno, autorevolezza nella trasmissione delle regole di comportamento e di modalità relazionali;

Gli insegnanti efficaci sono consapevoli che il loro lavoro riguarda la didattica, la conduzione della classe, interventi disciplinari e la socializzazione degli studenti; inoltre instaurano buoni rapporti con colleghi e genitori. Essi sono disponibili e aiutano gli studenti ad acquisire strumenti di autoregolazione, offrono indicazioni invece di critiche, incoraggiano i ragazzi ad assumersi le responsabilità.

Cosa si intende con la metafora del “mestiere dell’alunno” ?

È una metafora molto utilizzata per descrivere il processo attraverso il quale i bambini, entrando a far parte dell’istituzione scolastica, ne interiorizzano le norme, i valori, l’organizzazione. La rappresentazione del mestiere di alunno è già presente nella scuola dell’infanzia e si fonda sulla diversità del rapporto con lettura e scrittura che i genitori usano con i figli; sono state individuate due modalità: 1. si colloca nelle attese e negli obiettivi della famiglia, sono attività valorizzate e svolte in modo partecipativo (arricchimento); 2. è di tipo strumentale, finalizzata solo all’apprendimento delle tecniche di lettura e scrittura (dovere).
Quindi risulta importante la famiglia, la quale anticipa ai bambini una rappresentazione diversificata della scuola e delle attività che si svolgono all’interno.

Quali sono gli approcci allo studio della comprensione dei concetti matematici ?

Tre sono i filoni principali, ognuno di essi riguarda:

  1. Sviluppo cognitivo: di derivazione piagetiana, studia il rapporto tra lo sviluppo cognitivo e il processo di apprendimento dei concetti matematici subordinando il secondo al primo. Lo sviluppo delle operazioni (strutture) logiche viene considerato parte del patrimonio universale, indipendentememte dalla scolarizzazione o dall’insegnamento di nozioni matematiche.
  2. Attività degli alunni: descrive le attività compiute dagli alunni durante la risoluzione di compiti di matematica (es. studio della velocità di esecuzione, del tipo di errori…); di concezione individualista dell’apprendimento, le interpretazione delle prestazioni degli alunni sono riferite a diversi livelli di padroneggiamento di abilità cognitive.
  3. Apprendimento della matematica: di ispirazione vygotskijana, studia i fenomeni connessi con l’apprendimento della matematica; la tesi è che questo apprendimento dipenda dagli strumenti cognitivi acquisiti nell’interazione con soggetti più esperti, in altre parole viene data importanza alla cultura intesa come contesto più ampio dell’apprendimento (es. sistema di numerazione diverso da cultura a cultura)

Illustrare le ricerche sulla matematica della strada

Diversi autori hanno distinto la matematica usata nella vita quotidiana (matematica della strada) da quella insegnata (matematica della scuola). Essi studiano da più di vent’anni bambini e adulti delle favelas brasiliane, fanno acquisti presso di loro, contrattano sul prezzo, pagano con tagli superiori rispetto al pattuito, in tutti i casi vengono applicate tutte le operazioni matematiche; se però agli stessi soggetti vengono sottoposti problemi formulati in modo scolastico le soluzioni sono sbagliate.
Una delle conclusioni cui arrivano questi autori è che esistono barriere tra le abilità matematiche messe in atto al di fuori del contesto educativo rispetto a situazioni scolastiche. Ci si chiede come mai i soggetti non trasferiscono da un contesto all’altro (informale vs formale) le abilità che possiedono, anche perchè quanto osservato per la matematica non è valido per la lettura.

 

 

CAPITOLO 6

Cosa s’intende con il termine demoralizzazione ?

Con il termine demoralizzazione s’intende la perdita dei valori morali da parte delle persone e in questo specifico da parte degli alunni nelle scuole, i quali assumono sempre più atteggiamenti aggressivi, fanno uso di turpiloquio, manifestano sempre di più malattie psicosomatiche, sono eccessivamente caratterizzati da materialismo e attaccamento agli oggetti.
Damon (1996) nota come l’atmosfera morale delle scuole sia in forte degrado anche a causa dei cambiamente nell’ethos dell’insegnamento, cioè nelle implicazioni di tipo deontologico legate al mestiere di insegnante (si considerano dipendenti, con conseguente perdita della responsabilità); inoltre c’è perdita di autorevolezza dell’insegnante, che si basa appunto su imparzialità, sincerità e responsabilità. Questa la situazione negli USA; in Italia invece viene descritta una trasformazione culturale delle famiglie, che passano da famiglie etiche (centrate sull’importanza dei valori e dei comportamenti) a famiglie affettive (centrate sull’importanza della relazione). Questa trasformazione implica genitori che si fanno obbedire per amore e non per paura delle punizioni, che cercano di essere amici dei figli piuttosto che trasmettere ideali; sono famiglie che hanno posto al centro la costruzione di buone relazioni per costruire vincoli e non trasmettere regole e valori. Si è dimenticato che l’educazione ha un valore etico, non è una trasmissione di conoscenze ma soprattutto un costruire insieme un sistema di valori e norme che rispecchiano quelle della società. Non impartendo queste regole la vita, al di fuori del nucleo familiare, diventa difficile da gestire ed è fonte di angoscia, che viene affrontata con forme di aggressività e di disagio.

Descrivere i tre assunti principali della Teoria morale di Piaget

Una rilettura delle opere di Piaget ha portato negli anni ’70 alla definizione di tre assunti principali:

  1. l’orientamento morale dell’individuo si sviluppa nei rapporti con la famiglia e gli amici;
  2. è di natura interattiva, quindi comprende la discussione e la negoziazione degli eventi;
  3. la conoscenza morale, affettiva e cognitiva è il risultato della partecipazione a eventi sociali.

La posizione piagetiana è stata assunta da molti autori, in relazione al fatto che il contesto dello sviluppo e dell’apprendimento non può essere considerato una variabile individuale; la moralità consiste nel rispetto reciproco, che nasce dalla cooperazione:
Rispetto (permette) à Cooperazione (interviene) à Ragionamento (favorisce) à Negoziazione
In termini morali la cooperazione è un impegno reciproco ad aiutarsi a vicenda.

Illustrare la prospettiva di Kohlberg

Secondo la teoria cognitiva di Kohlberg (1984) l’evoluzione della conoscenza morale procede lungo un percorso con una sequenza di stadi ben definita:

  1. Livello pre-convenzionale: o egocentrico, in cui il bambino giudica secondo una prospettiva relativistica che dà importanza alle conseguenze di pensieri e azioni più che alle norme comuni, egli fa riferimento principalmente a se stesso perché non è ancora capace di decentrare il suo punto di vista.
  2. Livello convenzionale: in cui il bambino utilizza determinate regole, senza tuttavia padroneggiarle fino in fondo e a volte senza comprenderle, soltanto perché gli vengono imposte dagli adulti e dall’esterno; in questa fase spesso il rispetto delle regole assume anche una rigidità eccessiva.
  3. Livello post-convenzionale: o morale, in cui il bambino è in grado di decidere sulla base di principi e di giudicare un’azione prescindendo dalle sue conseguenze, facendo riferimento ad un codice deontologico che vede l’obbligo morale determinato da principi e valori universali.

Il passaggio tra i diversi stadi è permesso dall’acquisizione di abilità cognitive sempre maggiori e attraverso rappresentazioni delle situazioni sociali sempre più complesse. Kohlberg, per studiare questi giudizi, utilizza il metodo del dilemma morale, che è stato criticato in quanto presuppone la padronanza di abilità linguistiche (il bambino si riferisce a se stesso, l’adulto al sistema sociale), la capacità di costruzione di interazioni sociali e una forte connotazione culturale (a cui i dilemmi fanno riferimento).

Illustrare la prospettiva di Turiel

Turiel (1983) usa un approccio sociointerazionista e sostiene che i tre stadi di Kohlberg possono essere sostituiti da tre ambiti di esperienza (personale, convenzionale e morale), riconoscibili anche dai soggetti più giovani. In questi soggetti sviluppo morale e comprensione delle regole seguono percorsi diversi perchè fin da bambini si distingue tra obbligo morale e regola convenzionale. La comprensione degli obblighi morali è legata alle esperienze sociali legate alla giustizia, equità e il benessere altrui; la comprensione delle norme invece è legata ad eventi regolati socialmente (es. come vestirsi in base al sesso) e alle conoscenze tratte dal contesto sociale in cui si vive (fin da piccoli impariamo cosa è giusto e cosa non lo è). Entrambi comunque non sono solo il risultato di sviluppate capacità cognitive individuali, ma anche il risultato di apprendimenti sociali su cosa sia legittimo.

Cosa s’intende con le nozioni di norma morale e regola convenzionale ?

Si parla di norma morale quando si giudica un comportamento non sulla base delle conseguenze che può avere per il singolo o per la comunità, ma in riferimento a principi generali che rigurdano l’Uomo, la Giustizia, la Libertà.
Una regola convenzionale invece è una norma che riguarda la società in cui si vive, è legata alla cultura di appartenenza e può variare da una società all’altra.

Perché ogni scuola può essere intesa come una Comunità Morale ?

Shweder, studiando alcune comunità, sottolinea come i mebri di queste comunità realizzano la loro cultura attraverso la prassi quotidiana; essi costruiscono i concetti e i principi dalle interazioni con gli altri. E’ una definizione di cultura come di una comunità morale, fondata su principi che si concretizzano nei discorsi e nei comportamenti quotidiani. Da questo punto di vista anche la scuola può essere vista come una comunità morale.
Le comunità scolastiche sono caratterizzate dalla tensione degli alunni tra appartenere alla comunità scolastica (rispetto delle regole) e ricerca di autonomia, indipendenza dagli adulti (rottura delle stesse regole). Tuttavia dallo studio delle interazioni degli alunni con i docenti è stato dimostrato come questi ultimi, oltre che seguire finalità prettamente didattiche, riescono ad insegnare agli alunni anche regole e norme che guidano le attività collettive. L’educazione morale quindi è in gran parte mediata dalle relazioni sociali. Inoltre nelle scuole sono importanti anche le relazioni con i coetanei, le riflessioni sui concetti di amicizia e le esperienze di cooperazione e fiducia reciproca. L’educazione morale degli alunni all’interno del contesto classe è possbile attraverso quegli strumenti che prendono il nome di routine organizzative.
Integrando l’approccio costruttivista con le nozioni di cultura e di morale, Kohlberg e Higgins definiscono cosa sia una comunità giusta: è una comunità in cui gli obiettivi collettivi sono indirizzati allo sviluppo di azioni più responsabili tra i singoli membri; perchè un comportamento responsabile è importante non solo sul piano personale ma anche per acquisire il senso di comunità che si fonda sulla comprensione e condivisione delle norme del gruppo di appartenenza. La comunità giusta può essere presa come metafora per capire meglio quando si parla di clima di classe e di senso di appartenenza ad una certa scuola.

Descrivere alcune routine organizzative e conversazionali

Le routine conversazionali (o educative) sono i processi interattivi che seguono regole sociali, attraverso esse si acquisiscono le condotte generali da tenere ; toccano i rapporti tra individuo, società e valori sociali condivisi perchè è il risultato di una negoziazione tra la sfera individuale e le richieste dell’istituzione, chiama in causa i diritti e i doveri di tutti i membri. Questi concetti derivano dai lavori di Corsaro nelle scuole materne; secondo l’autore i bambini imparano le tecniche di socializzazione dalle esperienze quotidiane di routine e lo stesso vale per i concetti e contenuti di norme morali. Il fatto che le azioni vengano eseguite sempre allo stesso modo e con le stesse regole, aiuta i piccoli a interpretare e riprodurre la cultura degli adulti, in quanto diventano una specie di canovaccio conosciuto e riconoscibile nel tempo.
Esempi di routine educative sono le routine organizzative, derivanti dall’approccio etnometodologico sul funzionamento delle organizzazioni. Secondo questo approccio le attività abituali di ogni sistema organizzativo costituiscono routine dalle quali i partecipanti traggono informazioni sul funzionamento generale dell’organizzazione, sulle aspettative e sui comportamenti da tenere. Nella scuola le routine organizzative hanno lo scopo di regolare la condotta verbale e non verbale degli alunni (es. prendere spunto dal comportamento del singolo per ribadire alla classe una regola generale); lo scopo principale è quello di richiamare le norme generali che regolano la condotta degli studenti (effetto onda: anche se indirizzate al singolo sono un richiamo per tutta la classe). Alcune routine sono:

  • routine del contributo ignorato,
  • routine dell’assegnazione del turno
  • routine della partecipazione

Alcune routine sono comuni a tutte le classi, altre invece sono legate alle norme del contratto didattico vigente in una singola classe. L’osservazione delle routine ci permette di rintracciare il rispetto delle regole, la coerenza, la richiesta di impegno e partecipazione, che sono gli elementi che accompagnano l’insegnamento. In questo modo l’ordine, le buone maniere, il rispetto reciproco, la gentilezza, lo spirito di cooperazione diventano gli argomenti attraverso i quali si articola il curricolo morale della scuola.

Illustrare le categorie di interventi morali emerse nel lavoro sulla vita morale delle scuole

Jackson e colleghi hanno condotto negli USA una ricerca di due anni in 18 classi (primarie e secondarie) di scuole pubbliche e private; essi hanno studiato come nei contesti educativi le riflessioni morali siano una costante nella vita quotidiana delle classi. Da questa ricerca sono emerse cinque categorie di interventi riferiti a condotte morali:

  1. interventi che riguardano direttamente materie come educazione civica e morale,
  2. modalità di espressione di giudizi di valore su personaggi storici e avvenimenti,
  3. discorsi effettuati durante cerimonie istituzionali,
  4. abitudine di affiggere sui muri regolamenti o inviti “morali” (rispetto della natura ecc.),
  5. -commenti espliciti sui comportamenti degli alunni.

Gli autori individuano altre tre categorie, meno esplicite delle precedenti, che fanno da corollario alle interazioni quotidiane:

  1. regole in uso nella classe e il modo in cui vengono ricordate dai docenti,
  2. rapporti di onestà fra insegnanti e alunni,
  3. espressioni non verbali che accompagnano gli interventi degli insegnanti.

Cosa s’intende con la nozione “reputazione” ?

Gli individui imparano a conoscersi anche attraverso i discorsi che li riguardano e che comprendono giudizi su vizi e virtù; è una specie di rappresentazione condivisa, sono l’insieme delle informazioni su una persona. I soggetti non possono fare altro che gestire la propria reputazione, che può modificarsi o durare nel tempo in quanto essa è una conseguenza delle nostre azioni e non la causa.
Nella scuola la reputazione di cui godono certe materie o alcuni insegnanti è un fattore che può determinare l’apprendimento; anche gli studenti possono avere una reputazione da mantenere e questa può non coincidere con i criteri e i valori della scuola e della comunità (spesso è causa di mancato apprendimento). Tale elemento risulta quindi importante nei contesti educativi dove ha sempre meno senso parlare di educazione in termini strettamente individuali.

Cosa s’intende con la nozione “rispetto” ?

Si è visto come nella teoria piagetiana il rispetto reciproco consente la cooperazione tra gli individui. E’ anche un aspetto della nozione di morale, perchè il rispetto delle regole sociali è uno strumento di “comunicazione morale” con gli altri; sempre secondo Piaget lo sviluppo del giudizio morale è un processo di comprensione delle regole sociali; per Bandura invece il comportamento morale dei bambini è solo conformismo alle norme di comportamento degli adulti e un comportamento immorale è visto come mancato rispetto delle regole sociali.
Si può parlare anche del curricolo nascosto, formato dai valori che si acquisiscono fuori dalla scuola, che non sono obiettivi dell’insegnamento, ma a cui la scuola fa riferimento. Il rispetto di tali valori determina l’appartenenza ad una comunità, questo spesso nei ragazzi genera conflitto con la loro richiesta di autonomia. La mancanza del rispetto delle regole e la rottura del contratto didattico, possono portare a trasgressioni

Descivere cosa s’intende per fenomeno bullismo
Fenomeni di violenza, intimidazione, estorsione, offese verbali caratterizzate da intenzionalità, ripetizione, affermazione della supremazia, rivolte sempre alla stessa vittima. Intervengono fattori individuali e non e spesso gli insegnanti non ne sanno cogliere gli indici di rischio, banalizzandone le manifestazioni. In realtà questo tipo di violenza non va mai banalizzata perché sono proprio gli insegnanti che risultano uno dei fattori più importanti alla formazione dei bravi cittadini anche dal punto di vista morale.

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 7

Cosa rappresenta la sigla Q.I. ?

Binet e Simon, confrontando età mentale con l’età cronologica dei soggetti, individuarono uno strumento di misura, precursore dei test sviluppatisi successivamente fino alla versione attuale di Stern. Essi però furono cauti nel fornire spiegazioni degli insuccessi scolastici, affermando che l’intelligenza naturale deve essere distinta dall’esperienza culturale.
Il QI è un concetto elaborato da Stern, nella revisione dello strumento di misurazione delle abilità cognitive, predittive di un buon risultato scolastico, ideato da Simon e Binet. Il QI è il risultato del rapporto tra età mentale ed età cronologica, ottenuto valutando la capacità degli alunni di risolvere determinate prove (associate a specifiche età), il risultato viene poi moltiplicato per cento. In questo modo avendo un QI pari a cento è facile intuire che siamo in una condizione di Età Mentale e Cronologica che coincidono. Comunque i vari test atti a valutare il futuro successo scolastico non si sono rivelati predittivi, in quanto si è arrivati alla conclusione che l’intelligenza è una caratteristica di ordine generale e i compiti scolastici sono comunque diversi dai compiti che si incontrano in altri contesti (intelligenza scolastica vs intelligenza quotidiana e intelligenza accademica vs pratica).
Tuttavia spesso si utilizza il concetto di QI in modo asettico, senza tenere conto dei fattori situazionali che lo influenzano, considerandolo indice di una molteplicità di abilità cognitive universali nello spazio e nel tempo.

Descrivere le differenze tra valutazione formativa e sommativa

Qualunque sia la definizione di intelligenza, in ogni sistema scolastico è necessario misurare i risultati degli alunni per valutare il loro futuro. Nei diversi sistemi scolastici esistono differenze notevoli rispetto all’importanza attribuita ai risultati individuali o all’impegno nello studio (scuola americana à differenze individuali, scuol giapponese à impegno e sforzo degli alunni). Valutare significa raccogliere informazioni allo scopo di accertare se gli obiettivi di un corso di studi sono stati raggiunti. Distinguiamo tra:

  • Valutazione sommativa: fornisce un bilancio sullo stato delle conoscenze e consente di prendere decisioni (promozione, bocciatura..); produce giudizi sulle prestazioni scolastiche attraverso attività (compiti, interrogazioni) che sono parte integrante del contratto didattico; risultato finale del percorso didattico.
  • Valutazione formativa: aiuta l’alunno a raggiungere l’obiettivo di apprendimento prefissato; punto di partenza per organizzare un percorso didattico che favorisca l’alunno negli apprendimenti successivi.

Un voto può essere collocato nella prima o seconda definizione in base alle considerazioni da parte dell’insegnate.
Entrambe le valutazioni possono essere utili sia agli insegnanti, per una programmazione più efficace dell’intervento educativo, sia agli studenti, ai fini di una autovalutazione inerente i propri processi di apprendimento, autovalutazione che risulterebbe troppo difficile senza un feedback da parte dell’insegnante
Le due modalità di valutazione dovrebbero essere in perfetto equilibrio e sintonia, ma troppo spesso nelle scuole prevale la valutazione formativa su quella sommativi, nel migliore dei quasi quest’ultima viene sfruttata soltanto per favorire il lavoro degli insegnanti piuttosto che quello degli alunni.

Illustrare i tre livelli di informazioni individuati da Gilly nello studio delle rappresentazioni degli alunni

La nostra prospettiva considera l’atto della valutazione come inserito all’interno della pratica dell’esprimere giudizi all’interno di un contesto sociale. Esistono molti studi che cercano di determinare le dinamiche di questo specifico e complesso processo di valutazione a cui sono chiamati gli insegnanti come professionisti dell’educazione. Alcuni studi dimostrano come diversi team di insegnanti attribuiscano diverse valutazioni, anche molto contrastanti, alle stesse prove o agli stessi individui; altre ricerche mirano a dimostrare come gli effetti di sovrastima o sottostima di prove derivi dalle diverse condizioni o dalle diverse modalità di presentazione delle informazioni. Infine abbiamo la ricerca di Gilly che collega l’atto del valutare a delle rappresentazioni di più ampia scala legate alla cultura di appartenenza. Egli infatti teorizza tre diversi livelli da cui l’individuo trae le informazioni e origina la sue valutazioni:

  • livello dei valori e delle norme sociali: comprende i valori più generali della società e del contesto;
  • livello degli atteggiamenti inerenti al sistema scolastico: riguarda i comportamenti legati al ruolo;
  • livello delle esperienze quotidiane: relativo alle specifiche pratiche quotidiane, situazioni didattiche, ma anche comportamento degli alunni nello stabilire relazioni reciproche.

Secondo Gilly quindi l’atto del valutare è influenzato oltre che da esigenze si tipo istituzionale anche da aspettative che l’insegnante ha in base a certe dimensioni che lui considera professionalmente e a volte personalmente importanti. Queste dimensioni che guidano l’attività di rilevazione delle informazioni e il conseguente atto di valutazione vengono chiamata da Gilly: fattore di impressione generale; che è connesso con gli aspetti più macroscopici della funzione di insegnante (dare un’adeguata istruzione) ed è caratterizzato da giudizi basati su pochi elementi (perseveranza, metodo di studio..). La percezione degli alunni in modo positivo o negativo ha origine proprio dall’opinione posseduta su queste caratteristiche  (oltre a desiderabilità socioprofessionale, simpatia..).

Illustrare i modelli d’alunno emersi nella ricerca sulle rappresentazioni sociali dell’intelligenza

Mugny e Carugati studiando insegnanti di scuole elementari hanno dimostrato come questi condividono modelli di alunni sulla base dei risultati che questi ottengono in determinate materie scolastiche:
es. il bambino che ha un buon risultato nella materia della lingua viene considerato un bambino con buone capacità logiche, espressive e con ottime doti relazionali, mentre un bambino che eccede nell’aria del disegno, ma che non ottiene buoni risultati in quelle che potremmo definire le materie forti del curricolo viene considerato indisciplinato. Inoltre confrontando i modelli di alunno emersi da insegnanti e da futuri insegnanti è emerso che proprio questi si manifestano più cauti nello stabilire correlazioni tra tratti individuali e risultati ottenuti in alcune discipline scolastiche. Infatti la valutazione è un’attività sociocognitiva, governata dalle idee del valutatore; si tratta del risultato dovuto a una influenza reciproca tra richieste istituzionali, caratteristiche della situazione e caratteristiche dell’alunno. Mentre i successi sono valutabili tramite il confronto tra i punteggi iniziali e finali (comunque di compiti non paragonabili), per valutare gli insuccessi si scivola verso le caratteristiche individuali, passando dalla valutazione di compiti cognitivi a spiegazioni in termini di caratteristiche personali.

Cosa s’intende per attribuzione causale e posizione sociale ?

L’attribuzione causale deriva dagli studi fatti da Heider che presentò a dei soggetti alcune figure in movimento; questi furono d’accordo nell’attribuire ad alcuni di questi oggetti una causalità nel provocare il movimento degli altri. Questo perché nel nostro modo di percepire la realtà circostante, cercando di dare senso alle informazioni e di organizzarle in modo logico e coerente, siamo portati a ricercare le cause degli effetti per poterle controllare. L’uomo cerca di costruirsi una rappresentazione della condotta dell’altro, localizzando la causa di un comportamento o di una caratteristica nella persona (fattori interni à motivazione, doti), nell’ambiente (fattori esterni à famiglia, tipi di compiti) o in ambedue. In base a questo è possibile individuare dinamiche di attribuzione di causalità e di responsabilità, che caratterizzano l’attività valutativa degli insegnanti.
Queste dinamiche di attribuzione di causalità e di responsabilità influenzano sia l’attività valutativa degli insegnanti, sia i discorsi degli alunni, che parlano spesso di successo/insuccesso scolastico dei propri compagni.
Un’insegnante è una persona che svolge un’attività professionale in cui è pressato a produrre inferenze sui comportamenti degli alunni. Sono stati individuati due fattori che modulano l’attribuzione causali:

  • posizione sociale di osservatori e attori: attribuzione a caratteristiche disposizionali interne se l’attore è un uomo , attribuzione  a caratteristiche esterne se si tratta di una donna;
  • appartenenza a un gruppo ideologico: tendenza a sinistra à attribuzioni situazionali, destra à giudizi disposizionali.

 

Cosa s’intende per errore fondamentale ?

Spesso non solo nelle attività valutative degli insegnanti, ma anche nella vita quotidiana, il fenomeno di sovrastima dei fattori individuali, nella determinazione dei fenomeni, prende il nome di Errore fondamentale. Tuttavia il pensiero, che utilizza questa strategia, non compie un percorso illogico, esso infatti opera all’interno di un sistema di credenze che fa uso di rappresentazioni basate sul concetto di individualismo, tipico della cultura occidentale. Le spiegazioni attraverso le cause impersonali, non direttamente manipolabili e controllabili non vengono accettate facilmente dalla cultura occidentale.

Illustrare l’approccio della norma dell’internalità

La norma dell’internalità fa riferimento al concetto di errore fondamentale; tuttavia in questo caso siamo di fronte a una situazione di attribuzione dei fenomeni a noi stessi. La norma di internalità può essere considerata come un artefatto cognitivo che aiuta l’individuo a gestire in modo positivo o negativo le relazioni, specialmente quelle caratterizzate da asimmetria di ruoli.
Il contesto scolastico si presta molto allo sviluppo di questa norma, tanto che alcune ricerche anche se sono state smentite da altre, dimostrano che c’è una correlazione significativa tra anni scolastici frequentati e utilizzo della norma di internalità.
L’approccio allo studio di questo concetto ha utilizzato principalmente tre tipi di paradigmi sperimentali che prendono il nome di

  • paradigma dell’autopresentazione: utilizzato da Duboise nello studio di ragazzi da 11 a 16 anni, ha dimostrato che la desiderabilità sociale si esprime attraverso l’utilizzo di questa norma già in età precoce in funzione delle condizioni nelle quali gli alunni operano, e viene utilizzata allo scopo di ottenere giudizi sociali favorevoli da parte degli adulti.
  • paradigma dei giudici: il successo scolastico di soggetti “interni” può essere compreso attraverso la nozione di norme di internalità; non è il tratto individuale ma il giudizio più favorevole accordato agli alunni.
  • paradigma dell’identificazione: ha dimostrato che alunni delle elementari sono già in grado di guidare il giudizio degli altri verso loro stessi a piacimento.

Cosa si indica con consapevolezza normativa ?

La consapevolezza dei processi di attribuzione è collegata alla nozione di consapevolezza normativa intesa come:

  • conoscenza del carattere normativo o contronormativo di comportamenti o giudizi sociali;
  • conoscenza della conformità o meno dei medesimi comportamenti in rapporto all’idea che abbiamo del ruolo.

Con questo termine si indica il concetto di consapevolezza della norma di internalità e il suo utilizzo più o meno cosciente da parte degli individui.
L’esistenza di una consapevolezza del valore normativo dell’internalità è già presente in bambini di 11 anni, i quali risultano consapevoli di poter influenzare negli altri una immagine di sé positiva o negativa, attribuendosi giudizi interni oppure esterni.

Differenziazione categoriale: soggetti appartenenti a due categorie sociali differenti e asimmetriche tendono ad accentuare le differenze, attribuendo alla propria categoria caratteristiche positive e all’altra categoria caratteristiche negative.

Psicologizzazione: tendenza a prendere in considerazione e a privilegiare le caratteristiche individuali (intelligenza, personalità) per descrivere qualcuno, spiegare o prevederne il comportamento. Essa può avere come conseguenza l’errore fondamentale.

Indagine PISA: risultati principali

Programme for International Student Assessment: indagine internazionale promossa dall’OCSE per accertare conoscenze e capacità dei 15enni secolarizzati, ha periodicità triennale e monitora i sistemi dell’istruzione con l’obiettivo di verificare l’acquisizione di competenze giudicate essenziali per svolgere un ruolo consapevole e attivo nella società; accerta la conoscenza nell’area della lettura, matematica e delle scienze. Questa indagine consente di individuare fattori e politiche scolastiche. Il progetto mira ad evidenziare scelte politiche gestionali che contribuiscono a promuovere uguali opportunità per tutti gli studenti, accrescendo l’efficacia dei processi formativi
Secondo le prime conclusioni, gli alunni e le scuole ottengono successi in contesti con alto coinvolgimento nelle relazioni tra insegnanti e alunni, impegno elevato degli insegnanti, impegno e interesse degli alunni, regole disciplinari chiare e accettate da tutti. Anche l’impegno delle comunità locali, la disponibilità di risorse e la scelta di organizzare le classi con livelli iniziali di abilità diversi, si sono dimostrati fattori importanti di successo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 8

Discutere per sommi capi la contrapposizione natura-cultura

E’ ormai ampiamente riconosciuto che i test, sia quelli del QI sia quelli più prettamente scolastici, creino disaccordo sull’oggetto della misurazione, e che non possano prescindere dalla cultura di riferimento di chi li realizza. La differenza nei risultati non può essere spiegata solo in termini di fattori genetici o ambientali; si tratta dell’influenza congiunta di entrambi.
La recente pubblicazione della mappa del genoma umano ha riportato alla luce il dibattito storico sul rapporto tra natura-cultura, questione complessa da risolvere. Sono stati compiuti parecchi studi, utilizzando anche il paradigma sperimentale dei gemelli, che miravano a rilevare quanto l’influenza ambientale fosse importante nel determinare caratteristiche oggettivamente misurabili (es altezza). Le cose variano molto quando si prendono in considerazione concetti come l’intelligenza che, come abbiamo detto, risulta nella sua misurazione strettamente legata alla cultura di chi costruisce il test e agli obiettivi per cui il test è stato costruito. Alcuni studi tuttavia dimostrano come bambini cresciuti in ambienti familiari più o meno stimolanti possiedono abilità intellettive più avanzate. Più volte si è tentato di costruire test depurati dalla cultura, ma i risultati sono sempre stati deludenti; tutti i test di intelligenza si fondano su un insieme di artefatti culturali, contenuti cognitivi e linguistici, specifici di ogni cultura.

Cosa s’intende per handicap sociale

Isola Martha’s (Vynegard): una persona su 155 soffre di sordità; la comunità ha imparato nel tempo ad integrarli nel loro sistema, in quanto da sempre il bisogno di manodopera era talmente alto che necessitava anche della loro cooperazione. In questi ultimi anni la vita del’isola ha subito degli sconvolgimenti, stanno cambiando gli abitanti, stanno arrivando parecchi turisti e spesso le persone con disturbi uditivi non sono più integrate nella Comunità come una volta (la gente non conosce più il linguaggio dei segni). In questo caso il deficit, che inizialmente era ben integrato nella comunità, diventa un handicap sociale in quanto gli individui rischiano di rimanere isolati dalla vita di comunità e richiedono assistenza istituzionalizzata; la società ha perso la capacità di plasmarsi anche in relazione alle loro esigenze.

Descrivere l’approccio della deprivazone culturale

Adottando l’approccio della deprivazione culturale si parte dal presupposto che le differenze tra le culture possano essere misurate con gli stessi indicatori di sviluppo; lo stesso insieme di compiti può misurare le capacità di tutti gli individui appartenenti a diversi gruppi sociali. Coloro che raggiungono bassi livelli sono presi come esempio per indicare cosa un certo gruppo non ha sviluppato. In questa condizione l’handicap di un soggetto viene inteso come una “mancanza.
Con l’approccio delle differenze culturali in cui si considera lo sviluppo in sintonia con le diverse richieste della propria cultura, ci si focalizza sui compiti quotidiani intesi come strumenti culturali e, nel rispetto per la diversità, l’handicap viene inteso come “differenza. Il contesto è il luogo dove i soggetti mettono in atto le proprie competenze; viene sancito il rispetto per la diversità.
Con l’approccio della cultura come produttore di incapacità la cultura stessa, aiutata dalle istituzioni, è uno strumento per la distribuzione dei ruoli sociali, i quali vengono assegnati in base alle conoscenze acquisite e agli obiettivi didattici raggiunti ,con i diversi titoli di studio. Le culture quindi sono la condizione stessa alla base di una società che ha bisogno di differenziare.

Illustrare la nozione di insuccesso scolastico

In questi ultimi anni il quadro degli insuccessi scolastici sembra non essere affatto positivo; esso è dovuto sia a fattori relativi all’individuo, sia a fattori esterni, che ci portano a fare un’analisi dei contesti in cui avviene l’apprendimento e in cui viene valutato.
Spesso non esiste un insuccesso o un handicap in sè, ma soltanto il mancato padroneggiamento di determinate conoscenze e abilità. La nozione di insuccesso scolastico non si presenta come una nozione scientifica e non può essere utilizzata come tale.
L’insuccesso è un problema sociale contro cui occorre lottare e che preoccupa gli ambienti educativi e politici da sempre (progetto Head Start). Secondo un’ipotesi l’insuccesso scolastico è la manifestazione più evidente della contraddizione fra oralità e cultura; la prima caratterizzata da un rapporto concreto e pratico con il mondo, la seconda caratterizzata da un rapporto convenzionale con il mondo.
Tuttavia gli ambiti dell’oralità pratica e le forme scritturali scolastiche, nella nostra società, non sono mai separati. L’insuccesso scolastico dei bambini nell’apprendimento del linguaggio dipende anche dalla struttura sociale delle comunità in cui sono inseriti e dal loro nucleo familiare, nonché da motivi e modalità quotidiani di utilizzo di scrittura e lettura (Scopi di lettura: uso strumentale, scopi ricreativi, acquisizione notizie, conferma conoscenze già possedute. Scopi della scrittura: aiutare la memoria a ricordare, lasciare traccia dei messaggi orali, motivi finanziari, diffusione di annunci e notizie al pubblico, ragione sociali e ricreative). Cambia il valore assegnato dalle diverse culture a questi strumenti e la comunità potrebbe costituire un fattore di rischio.

Illustrare le differenze fra minoranze volontarie, autonome, involontarie

Esistono vari tipi di minoranze, determinate dalle diverse storie e non dalle razze:

  • volontarie: sono quelle che si hanno in seguito a grandi flussi di migrazione,
  • autonome: sono quelle che da tempo vivono in un certo territorio circoscritto,
  • involontarie: quelle deportate forzatamente.

L’Italia è interessata maggiormente dal fenomeno delle minoranze volontarie; di cui bisogna sempre considerare tre concetti:

  • Contesto di riferimento: modalità di una persona o gruppo di interpretare una situazione; due riferimenti di contesto quello originario, relativo alla posizione sociale che vi occupavano e quello attuale, che dipende dall’accoglienza ricevuta.
  • Modelli culturali: permettono la comprensione dei fenomeni del mondo in cui vivono.
  • Aspetti strumentali, relazionali, simbolici: modalità di gestione delle opportunità e delle differenze culturali attraverso la costruzione di una propria micro-cultura specifica (della minoranza stessa).

 
Descrivere la differenza tra marginalità e integrazione

Esistono tre modalità di processo di adattamento della minoranza volontaria, attraverso le quali si integrano all’interno della nuova cultura che li accoglie:

  • Strumentale: i membri della minoranza producono teorie sulla mobilità sociale e cercano di sfruttare le occasioni per raggiungere l’obiettivo.
  • Relazionale: attribuzione di fiducia nei confronti del gruppo dominante.
  • Simbolico: acquisizione dei simboli della nuova società (il linguaggio è indice della volontà di integrazione).

Integrarsi significa diventare parte di una nuova cultura ed esistono diversi livelli di integrazione, individuali e collettivi:

  • Collettivi: i cambiamenti sono di natura ambientale, biologica, economica, culturale e sociale
  • Individuali: si riferiscono essenzialmente ai cambiamenti che avvengono nell’intimo dell’identità individuale.

Gli individui possono trovarsi in una condizione di:

  • Marginalità, in cui sia i legami con la tradizione sia i legami con la nuova cultura non sono rilevanti.
  • Integrazione: parziale conservazione della tradizione e maggior partecipazione alla vita della società in cui si vive.
  • Separazione: essere marginalmente integrati, ancorati alla propria tradizione senza interessi verso la cultura locale.
  • Assimilazione: sostituendo alla propria identità culturale un modello preso a prestito dalla cultura del paese ospitante.

Cosa s’intende per ipercorrettismo

Non conoscendo ancora le regole grammaticali di un linguaggio, il bambino piccolo commette degli ipercorrettismi, cioè personalizza delle norme grammaticali. Nel contesto della stessa cultura gli ipercorrettismi dei bambini seguono tre fasi:

  1. nella scuola materna l’errore non viene evidenziato dall’adulto, che apprezza solo la capacità espositiva;
  2. nella scuola elementare il bambino viene invitato alla correzione dell’errore;
  3. nella scuola media l’errore è visto come una grave mancanza di apprendimento delle basi di un linguaggio.

Nei bambini stranieri, che commettono ipercorrettismi nell’imparare una nuova lingua (indipendentemente dall’età), si tende a saltare la prima fase; questo perché nelle scuole è raro incontrare una didattica dell’errore (situazione educativa in cui l’errore viene valorizzato, indistintamente per tutti gli alunni, come costruzione di nuove conoscenze). Se l’errore non scompare in tempi brevi, anche per i bambini stranieri si passa alla terza fase, in cui l’errore rappresenta un apprendimento non raggiunto.

Cosa sono le ZEP e il sistema di tracking

I sistemi scolastici hanno individuato vari modi per affrontare il problema delle differenze tra alunni, ogni sistema è uno strumento culturale legato a ideologie e valori di ogni società.
Alcuni esempi:

  • ZEP: stratagemma del sistema educativo francese per affrontare il problema delle diversità degli alunni. Si tratta di zone in cui sono maggiori gli sforzi per un miglioramento delle condizioni socio-economiche in alcuni quartieri. Nascono con lo scopo di arginare il fenomeno dell’insuccesso scolastico dovuto alle disuguaglianze sociali.
  • Tracking: sistema educativo statunitense, per cui gli studenti con uguali capacità vengono inseriti nello stesso percorso formativo; l’idea di partenza è che, riducendo l’eterogeneità degli studenti all’interno di una classe, si favorisca l’apprendimento proporzionato alle capacità di ciascuno.

Cosa s’intende per successi paradossali ?

Successi di famiglie svantaggiate culturalmente, di famiglie appartenti a minoranze, che hanno avuto però il tempo di integrarsi (immigrati di seconda generazione). Questi successi sono spiegati da:

  • Livelli culturali elevati dei genitori (anche se discordanti con la nuova posizione sociale);
  • Strategia famigliare nei confronti del nuovo paese, quando si raggiunge una stabilità di integrazione che avvantaggia soprattutto le seconde generazioni.

Fonte: http://appunti.buzzionline.eu/downloads/educazione0506manuale.doc

sito web: http://appunti.buzzionline.eu/
Autrice: Elena

 

 

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