Elementi di sociologia

 

 

 

Elementi di sociologia

 

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        ELEMENTI DI SOCIOLOGIA

 

CAPITOLO 1

Sapere sociologico comune: ognuno, per il fatto di nascere e vivere in una società, ha un sapere su come si svolgono i rapporti sociali indispensabile per sopravvivere nella rete delle relazioni in termini di aspettative e comportamenti. Questo sapere ha dei limiti: è legato alla nostra esperienza diretta circoscritta, al presente e all’esperienza altrui talvolta deformata.
Sociologia scienza sociale formula interrogativi sulla base di una riflessione teorica e cerca risposte sulla base di informazioni raccolte sistematicamente, senza poter fornire certezze assolute, ma solo relative esposte a critiche e revisioni.
Sociologia (Σ) è lo studio scientifico della società e nasce contemporaneamente alla nascita dello stato nazionale moderno (XIX° secolo) affiancandosi ad una serie di scienze sociali quali l’economia, le scienze politiche, l’antropologia, la psicologia sociale, la filosofia.
La Σ si differenzia da tutte queste mediante :

  • Soluzione gerarchica (Comte) in cui le viene assegnato il posto più elevato perché è il risultato finale dell’evoluzione delle conoscenze umane, dalla fisica alle scienze sociali, producendo la sintesi più ampia.
  • Soluzione residuale (Runciman) in cui le viene affidato lo studio di tutto ciò che non è o non è ancora oggetto di altre scienze sociali specializzate.
  • Soluzione analitica o formale (Simmel) in cui al centro è lo studio delle forme pure di relazione e non l’infinita varietà dei fenomeni sociali; diventa la grammatica e la geometria della società.

Σ definizione tautologica: insieme delle ricerche di coloro che si riconoscono e sono riconosciuti da altri come sociologi, con confini operativi sfumati e mutevoli nel tempo.
Origini. La Σ nasce, come tutte le scienze sociali per l’avvento di tre rivoluzioni: scientifica(estensione allo studio dell’uomo, della società e della cultura gli stessi principi del metodo scientifico applicato alla natura), industriale (analisi delle modificazioni indotte dallo sviluppo di società basate su modelli di interrelazione fondati su elementi di tipo economico), francese (studio dei nuovi rapporti tra individui e gruppi sociali dopo la caduta di un ordinamento politico assolutista).
Paradigmi scientifici di Kuhn: assunti di base di natura teorica e metodologica su cui una comunità di scienziati sviluppa un consenso accettato dai suoi membri, con la possibilità che da una pluralità di paradigmi in competizione uno tenda a prevalere.
- Paradigma dell’ordine. L’ordine sociale, prima degli eventi rivoluzionari, appariva assicurato dalla credenza in un potere trascendente religioso o naturale al di fuori della società. Ora invece era in meccanismi o processi interni all’organismo sociale, che fossero semplicemente lo stato (Hobbes, patto di soggezione tra individui) o il mercato (Smith, mano invisibile che regola gli scambi) oppure veri organismi in cui le parti siano interconnesse da una rete di relazioni di dipendenza. Spencer e Comte vedono nelle società un equilibrio dinamico tra le sue parti in competizione tra loro in vista di un ottimale adattamento a un ambiente in trasformazione con meccanismi di differenziazione e di divisione del lavoro. Questa (Simmel) fa in modo che compiti e funzioni siano svolti da organi specializzati all’interno della società; ogni individuo diventa diversificato e necessita di interazioni con gli altri per garantirsi la sopravvivenza. Per Durkheim il vincolo di solidarietà delle società moderne (dove prevale la divisione del lavoro) è interno, organico, fondato su interdipendenze tra funzioni individuali e di gruppo. Per Tonnies invece organica è una società in cui i rapporti sono di intimità e condivisione di valori, mentre la società moderna è una costruzione artificiale e convenzionale composta da individui isolati che perseguono ognuno il proprio interesse rapportandosi solo per scopi utilitaristici.
- Paradigma del conflitto. Marx dice che i rapporti sociali fondamentali si instaurano nella sfera della produzione di beni e servizi generando interessi antagonistici fra i componenti delle classi contrapposte. Weber estende il conflitto dalla lotta di classe, ovvero dalla sfera economica, a vari aspetti sociali, quali la politica, il diritto, la religione, il prestigio: per lui il conflitto è la condizione fisiologica della società, non solo non la disgrega, ma crea strutture istituzionali (gli ordinamenti sociali) che esprimono i rapporti di forza consolidati che regolano i conflitti stessi. Il conflitto genera sia ordine che mutamento: l’ordine è l’assetto temporaneo, il mutamento è la genesi di nuove istituzioni. La società è l’insieme dei conflitti e delle istituzioni che si intrecciano su piani e in sfere diverse.
- Paradigma della struttura. I comportamenti umani si spiegano riconducendoli alle coordinate sociali in cui si manifestano. Ognuno nasce in un mondo sociale preformato di cui assume i valori e le regole seguendo un percorso largamente prevedibile. Durkheim teorizza che la società venga prima degli individui e che i fatti sociali si spieghino solo con altri fatti sociali e non con la personalità degli individui. Esistono sempre spiegazioni strutturali ai comportamenti degli individui. E’ la società che  seleziona e forma gli individui a ricoprire ruoli e posizioni sociali.
- Paradigma dell’azione. Weber sostiene che per spiegare i fenomeni sociali bisogna sempre ricondurli ad atteggiamenti e comportamenti individuali di cui bisogna cogliere il significato per l’attore. Principi del paradigma dell’azione sono due: l’individualismo metodologico (i fattori macroscopici vanno ricondotti ad azioni individuali, non si possono imputare azioni ad entità astratte o ad attori collettivi) e le motivazioni dell’attore (ognuno ha un senso intenzionato, una capacità di compiere scelte e dare senso alle proprie azioni nell’ambito dei vincoli contestuali). Il massimo grado di comprensione di un’azione si ha nel caso di azioni razionali, distinte per razionalità strumentale o teleologica e razionalità di valore o assiologica (conforme a scelte valutative operate dall’attore come criterio assoluto di orientamento). L’uomo non è un essere razionale, ma è capace di agire razionalmente, avvicinandosi o discostandosi dal modello dell’azione razionale in base a proprie scelte valutative e motivazionali.
Compatibilità tra paradigmi di struttura e azione: il primo vede nella società l’elemento della costrizione e gli individui come esseri che devono adattarsi alle circostanze imposte; il secondo concede spazio all’attore, che può scegliere diversi corsi di azione, pur vincolati. Le strutture sociali sono aggregati di azioni consolidate nel tempo, modificabili da altre azioni. Esistono effetti non intenzionali, desiderabili o no, che producono strutture istituzionali non volute intenzionalmente, ma che costituiscono un vincolo alle azioni degli individui. I due paradigmi dunque sarebbero incompatibili solo se estremizzati (condizionamento deterministico dei comportamenti umani da parte della struttura sociale o individuo attore svincolato dall’esterno).
Teoria: corpus di concetti generalizzati, logicamente interdipendenti, dotati di un riferimento empirico. Molte teorie sono così astratte da non consentire traduzioni empiriche osservabili e misurabili, se non per singole proposizioni da essa ricavate. Una teoria è empiricamente rilevante se da essa si possono ricavare congetture passibili di confutazione. Il campo della Σ deve quindi orientarsi verso teorie di medio raggio, il cui ambito di applicazione si limiti a fenomeni specifici entro coordinate spazio-temporali definite.
Le ricerche possono essere descrittive (su opinioni o atteggiamenti, con minima rilevanza teorica) o esplicative (verifica di un’ipotesi teorica tra variabili dipendenti e indipendenti) spesso in relazione o successione. La teoria alimenta la ricerca, la quale retroagisce sulla teoria ponendole nuovi interrogativi. La teoria senza ricerca empirica è vuota, la ricerca senza teoria è cieca.

 

CAPITOLO 2  LA FORMAZIONE DELLA SOCIETA’ MODERNA

La storia ha vissuto secoli in cui il mutamento sociale è stato insensibile (società statica) e altri in cui invece questo è stato vertiginoso (società dinamica), in realtà è proprio la velocità di mutamento a variare rendendosi percepibile.
Capitalismo. Marx ha una concezione materialistica e dinamica della società, confronta i bisogni degli uomini e i rapporti tra di loro nella sfera della produzione. I modi di produzione che si succedono nella storia sono quello schiavistico, quello feudale e quello capitalistico; in quest’ultimo i detentori del capitale dominano le forze produttive salariate, cosa che durerà fino a quando il conflitto di classe porterà alla transizione verso un modo successivo, ovvero il comunismo. Secondo Sombart il capitalismo è: un determinato sistema economico con le seguenti caratteristiche: è un’organizzazione economica di scambio (economia monetaria) in cui collaborano, uniti dal mercato (del lavoro e delle merci), due gruppi di popolazione, i proprietari e i lavoratori, dominata dal principio del profitto (finalizzato al reinvestimento) e dal razionalismo economico (mediante tecnologie e procedure contabili).
Agricoltura. In epoca feudale è agita da famiglie contadine dedite al lavoro e da signori fondiari che ne godono la rendita; è estensiva, poco produttiva e poco innovativa. In epoca moderna è invece caratterizza da capitalisti agrari motivati ad introdurre innovazioni e a migliorare la produttività e da salariati nullatenenti estromessi dal possesso della terra.
Commercio. Nasce in epoca feudale stante la sempre maggiore circolazione dei beni e la maggiore richiesta di manufatti e prepara il capitalismo industriale creandone le condizioni in maniera importante, come in Inghilterra tramite il lavoro domestico, o in modo meno visibile, come in Italia. Mercanti e banchieri, accumulando ingenti fortune, si trasformano lentamente in imprenditori ed industriali.
Artigianato. Le corporazioni organizzavano il lavoro artigiano in modo da soddisfare i bisogni di un mercato stabile; quando la domanda di beni si fa più vivace alcuni artigiani ne superano i limiti espandendo la propria attività grazie all’aiuto delle tecnologie e al ricorso a lavoro salariato inaugurando un vero spirito capitalistico.
Imprenditoria. Gli imprenditori sono uomini nuovi provenienti da strati sociali diversi che vogliono fare cose nuove in modi nuovi per espandere il proprio giro d’affari e la propria impresa, mossi dalla molla dell’accumulazione di profitto (poco consona ai ceti aristocratici ed ecclesiastici tradizionali). Il vero capitalismo (non quello speculativo dei banchieri e dei mercanti) è dell’imprenditore razionale orientato al guadagno d’impresa, continuativo e rinnovato per essere reinvestito. Weber dice che alla base dello spirito capitalistico sta una sorta di ascesi mondana di origine calvinista (dogma della predestinazione) per cui l’uomo con le sue azioni non può modificare le decisioni di un Dio onnipotente e deve quindi impegnarsi in attività produttive assidue lontane da ozi e lussi per arrivare alla salvezza eterna. Sono le virtù borghesi di operosità e risparmio nobilitate dal lavoro a formare una nuova classe dominante.
NASCITA DELLO STATO MODERNO. Lo stato feudale aveva una dimensione localistica con relativa debolezza dei poteri centrali e endemica situazione di guerra sfociante in una militarizzazione delle attività e delle spese. Gradatamente si è instaurato un potere sovrano più forte con la legittimazione dell’uso esclusivo della violenza e la nascita di uno stato moderno come regno (con l’eccezione delle città-stato di impronta mercantile). Il processo di pacificazione/unificazione di vaste aree vede la creazione di grandi eserciti, di apparati burocratici e di meccanismi capillari di monopolio fiscale. Lo stato avoca a sé il diritto di battere moneta, di amministrare la giustizia fondando il nucleo centrale del concetto di sovranità in cui il potere da assoluto diventa legittimo (stato di diritto) in cui chi obbedisce lo fa perché convinto che chi comanda abbia il titolo per farlo.
Lo stato di diritto è un’organizzazione politica in cui tutti gli organi dello stato ed ogni loro atto sono vincolati al rispetto della legge; la sovranità popolare si esprime attraverso un parlamento su base elettiva in cui vige il principio della separazione dei poteri.
Le trasformazioni di carattere economico e politico alle origini della società moderna sono causa e conseguenza di altre trasformazioni culturali, le più importanti sono l’individualismo e il razionalismo.
Individualismo è il valore dominante della libertà di autorealizzazione dell’individuo garantito soltanto dall’avvento della società moderna, anche se presente in nuce nell’antichità del pensiero occidentale. L’uomo viene apprezzato per le caratteristiche che lo distinguono dagli altri rendendolo un esemplare unico dotato di uno status acquisito (diverso dallo status ascritto presente alla nascita) in base ai suoi meriti e alle sue capacità. Costui è padrone della sua esistenza, è libero di scegliere il proprio destino, è responsabile delle sue scelte di fronte agli altri e alla sua coscienza; in campo religioso può vivere un rapporto immediato con la divinità, in campo economico può disporre della sua proprietà, in campo politico può esprimere opinioni, associarsi e partecipare alla gestione del potere di governo. Alla base del valore dell’individuo stanno i valori di eguaglianza e libertà, col solo vincolo del rispetto della libertà altrui: alla base dell’individualismo moderno sono i concetti di diritto naturale (originari della specie umana e non concessi da qualcuno) e di contratto sociale (patto stabilito tra uomini liberi che si associano per dar vita a uno stato).
Razionalismo. La ragione diventa solo in epoca moderna un valore sociale dominante: l’uomo è dotato della facoltà di perseguire la ricerca della verità sostituendo alla fede la ragione mediante il processo di razionalizzazione (trasformazione degli ordini sociali) e la razionalità (attributo specifico dell’azione umana). Weber ha centrato i suoi studi sul processo di razionalizzazione; questo ha investito globalmente i sistemi di credenze, le strutture familiari, gli ordinamenti giuridici, politici ed economici. Solo in Occidente il sistema di credenze trascendente ha permesso un approccio alla realtà naturale vista come oggettiva e manipolabile dalla volontà umana grazie alla scienza. Il concetto di razionalità postula che l’uomo è dotato della capacità di agire in modo coerente coi valori che ha scelto e di agire nel modo più efficiente ed efficace per realizzare i fini che si è prefissato.

CAPITOLO 3    LA TRAMA DEL TESSUTO SOCIALE

 

Azione sociale: agire riferito secondo il suo senso al comportamento di altri individui e orientato nel suo corso in base a questo. La società è fatta di individui che si influenzano reciprocamente agendo l’uno per, con e contro l’altro; per agire si deve intendere un fare con un riferimento cruciale al senso, al significato intenzionale che l’attore dà al proprio comportamento.
Con riferimento al senso Weber sviluppa una tipologia formale dell’azione sociale distinta in:
- Azioni razionali rispetto allo scopo: chi agisce valuta razionalmente i mezzi rispetto agli scopi che si propone, le conseguenze che possono derivarne e paragona i diversi scopi possibili e i loro rapporti.
- Azioni razionali rispetto al valore: chi agisce compie ciò che ritiene consono al dovere, alla dignità, a un principio svincolato dalle sue conseguenze, con una scelta consapevole e una valutazione di congruenza col valore in questione.
- Azioni determinate affettivamente: manifestazioni  emozionali svincolate dalle conseguenze prevedibili, ma senza riferimento consapevole con l’affermazione di un valore, nascono piuttosto dall’espressione di un bisogno interno.
- Azioni tradizionali:semplici espressioni di abitudini acquisite ripetute senza pensare se esistano alternative e sul loro vero valore.
L’uomo, fino a prova contraria, si comporta in modo razionale in base alle sue risorse materiali e culturali.
Teorema di Thomas: una situazione definita dagli attori come reale, diventa reale nelle sue conseguenze.
Considerando due o più attori le unità elementari dell’azione sociale sono le interazioni e le relazioni sociali.
Relazione sociale: rapporto stabilito tra più attori sociali che orientano reciprocamente le proprie azioni. Possono essere stabili e profonde o superficiali e transitorie, spesso sono cooperative, volte a raggiungere fini compatibili, talvolta sono conflittuali, se vedono volontà diverse.
Interazione sociale: processo secondo il quale più persone in relazione tra loro agiscono in sequenza, reagendo alle azioni degli altri; con l’interazione si realizza, si riproduce e si cambia nel tempo il contenuto di una relazione.
Gruppo sociale: insieme di persone fra loro in interazione con continuità secondo schemi relativamente stabili, che si definiscono -  e sono definiti come tali da altri – membri del gruppo. Non sono gruppi né le categorie sociali (giovani, immigrati) né le classi sociali (borghesi, operai), anche se questa appartenenza può essere la base per la formazione di un gruppo.
Esistono proprietà formali che riguardano l’interazione stabile e continuativa di più persone, quale che sia il contenuto di tale interazione. Questa può essere diretta, vis a vi, tipica di piccoli gruppi in cui la presenza fisica permette una comunicazione veloce ed elastica, oppure indiretta, più precisa, ma più lenta, fredda e rigida.
Diade è un gruppo di due persone che scompare se uno manca, è molto coinvolgente e non permette impersonalità o stratagemmi.
Triade è un gruppo di tre persone in cui il terzo può essere un mediatore (che porta ad un accordo), un tertium gaudens (che approfitta delle divergenze altrui), un divisore (che intenzionalmente fa sorgere divergenze a proprio vantaggio).
Gruppi formali: insiemi che prevedono regole precise sui requisiti e procedure per l’ammissione e la permanenza.
Gruppo di riferimento: insieme al quale una persona non partecipa, ma di cui condivide fini e regole e a cui ambisce di partecipare.
Ruolo: insieme dei comportamenti prevedibili e attesi che in un gruppo tipicamente ci si aspetta da una persona che del gruppo fa parte. Specifico è un ruolo che riguarda un insieme di comportamenti limitato e precisato; diffuso un ruolo in cui i comportamenti attesi sono un insieme più ampio e meno definito.
Gruppo totalitario: insieme che impegna il comportamento di tutti o quasi i ruoli di un individuo; gruppo segmentale è invece quello che impegna solo uno o alcuni dei ruoli.
Gruppo primario: insieme di piccole dimensioni, con ruoli diffusi, contenuti affettivi molto personalizzati (famiglia).
Gruppo secondario: insieme di grandi dimensioni, con ruoli specifici, relazioni più fredde e specializzate (azienda).
Il ruolo è uno schema di comportamento che si impara e si tende a seguire; è uno schema per l’interazione, ma il contenuto di un’interazione non si può spiegare completamente nella definizione di un ruolo. Un ruolo è sempre interpretato da chi interagisce, c’è uno spazio discrezionale per comportamenti informali non previsti.
Norme sociali: regole di comportamento che ci si aspetta che siano seguite in determinate situazioni; possono essere giuridiche, emanate da autorità ufficiali e garantite dal potere giudiziario, sociali (spesso implicite) che possono generare reazioni positive o sanzioni più o meno forti secondo il loro valore, tecniche procedure semplici senza sanzioni, deontologiche legate a gruppi ristretti come gli ordini professionali.
Valori: sono orientamenti più astratti da cui discendono le norme stesse, riguardano i fini ultimi dell’azione relativi a ciò che riteniamo giusto, desiderabile, appropriato; indicano un dover essere al di là dell’essere, una tensione verso uno stato di cose ideale.
Valore universale è un valore condiviso tra gruppi diversi, cosa che non garantisce che venga interpretato in maniera conflittuale.
Valori e norme sono vincoli alla libertà, ma definiscono il campo delle opzioni tra le quali gli individui sono liberi di scegliere; l’assenza di norme o anomia porta alla perdita di punti di riferimento e induce disgregazione sociale con comportamenti sregolati.
Istituzioni: modelli di comportamento che in una determinata società sono dotati di cogenza normativa; ogni modello di comportamento può essere istituzionalizzato, se sorretto da un sistema di regole, e il suo grado può cambiare nel tempo.
La cultura, di cui norme, valori e istituzioni costituiscono il nucleo centrale, comprende gli artefatti, i beni, i processi tecnici, le idee, le abitudini e i valori che vengono trasmessi socialmente. E’ l’insieme di informazioni trasmesse mediante processi di apprendimento attraverso la comunicazione e il linguaggio.
Potere: energia sociale di cui un attore dispone nel condizionare l’azione di un altro, è un fenomeno di relazione per ambiti di comportamento più o meno estesi. Per Weber è la possibilità di trovare obbedienza a un comando che abbia un determinato contenuto, a ogni rapporto di potere corrisponde un interesse all’obbedienza da parte del più debole, in quanto comportarsi in modo diverso sarebbe troppo costoso. Fa parte del potere in senso lato la possibilità di condizionare il comportamento altrui anche in assenza di azioni dirette o di comandi.
Potere legittimo o autorità: relazione in cui sono previsti diritti di dare ordini e doveri di ubbidire considerati legittimi da entrambi gli attori; relazioni di autorità sono presenti in tutti i gruppi secondari, ma anche in quelli primari. Se i soggetti cercano di cambiare i criteri di legittimazione si aprono conflitti funzionali al mantenimento di una relazione o tendenti a disgregarla.
Proprietà formali del conflitto:

  • il conflitto contribuisce a mantenere e stabilire i confini del gruppo: attraverso il conflitto i soggetti acquistano consapevolezza della loro identità e particolarità;
  • gruppi totalitari limitano i conflitti, ma se questi esplodono tendono a disgregare il gruppo, come è nella famiglia e nelle diadi;
  • conflitti con altri gruppi aumentano la coesione interna, anche a costo di far diventare intollerante un gruppo verso i devianti talora trasformati in capri espiatori;
  • il conflitto può generare nuovi tipi di interazione tra gli antagonisti: attraverso il conflitto i gruppi si confrontano e si conoscono, cosicché possono nascere regole e rapporti più cooperativi. Gruppi che tollerano conflitti al proprio interno modificando le forme di interazione hanno più possibilità di adattamento e persistenza; gruppi rigidi si disgregano all’esplosione dei conflitti stessi.

Comportamento collettivo: insieme di individui sottoposti ad uno stesso stimolo che reagiscono e interagiscono tra loro senza riferimento a ruoli definiti e stabilizzati (nel gruppo invece l’interazione è continua e si basa su aspettative di ruolo stabilizzate). Ne sono esempi:

  • Panico reazione collettiva spontanea, di solito fuga, con perdita di controllo delle reazioni, comportamenti irrazionali ed egoistici a fronte di un pericolo reale o solo immaginario;
  • Folla, insieme di persone riunite in un luogo che reagisce a uno stimolo sviluppando umori e atteggiamenti comuni, talora seguiti da forme di azione collettiva, violente, ma anche pacifiche e gioiose. Folla espressiva (concerto rock) è quella che esprime un sentimento in comune con comportamenti inconsueti come sfogo di tensioni sociali; folla attiva è quella in cui i sentimenti degli individui sono orientati verso l’esterno, su persone o cose definite, che diventano l’obiettivo di azioni conflittuali (dissenso politico).

Nei comportamenti collettivi la personalità sociale individuale di ruolo tende a essere sospesa, cosa da cui derivano i comportamenti disordinati, imprevedibili e irrazionali, spontanei o imitativi, che si colgono in queste occasioni.
Reti: insieme delle relazioni delle persone e dei rapporti esistenti tra queste. Sono a maglie tanto più strette quanto più si conoscono tra di loro le persone che un individuo conosce. I legami variano per intensità, durata, frequenza e contenuto. Differenza col gruppo è che le persone coinvolte in una rete possono non conoscersi tra loro e neanche sapere di farne parte. Particolare è il caso di chi appartiene a due reti collegate fra loro solo attraverso la sua persona (ragazzo tra famiglia e pari).
Gruppi organizzati: gruppi progettati per raggiungere determinati scopi limitati e basati su regolamenti chiaramente stabiliti (gruppi secondari formali), sono attori artificiali che perseguono obiettivi che le persone da sole non potrebbero raggiungere: sono le associazioni in cui si condividono i fini facendoli propri come ideali o interessi, e le organizzazioni in cui partecipare è spesso un lavoro remunerato (aziende, ospedali, ministeri) strumentale.
Associazioni: gruppi di attività volontaria dai fini più diversi: religiosi, culturali, sportivi, politici, ricreativi in cui l’adesione tende ad aumentare proporzionalmente al reddito e all’istruzione delle persone. Talora generano organizzazioni al loro interno.
Organizzazioni: la forma moderna di organizzazione è la burocrazia intesa come modello moderno di organizzazione pubblica distinta da:

  • divisione stabile e specializzata dei compiti con regole standardizzate e ripetute per procedimenti simili;
  • struttura gerarchica con suddivisione del potere a cascata;
  • competenza specializzata per ogni posizione con adeguata preparazione preventiva;
  • remunerazione in denaro pagata dall’organizzazione e non dai clienti della stessa, senza possibilità di cedere la posizione occupata.

E’ un’organizzazione razionale che si può applicare universalmente a tutti i compiti e che vede potere e controllo esercitati sulla base della conoscenza e competenza; ciononostante spesso le organizzazioni burocratiche non sono né efficaci (capacità di un’azione di raggiungere i risultati che si propone) né efficienti (dispendio di risorse impegnate per ottenere i risultati). Questo perché una organizzazione perfettamente razionalizzata è impossibile in quanto non c’è mai una soluzione unica e perfetta per ogni problema: questa incertezza porta all’esistenza di un potere discrezionale nelle mani di chi svolge il compito, potere utilizzato per contrattare una posizione di maggior favore.
Teoria delle configurazioni organizzative di Mintzberg (83): per ottenere una maggiore efficienza il modo di coordinamento cambia con le dimensioni dell’organizzazione, del tipo di tecnologia impiegata e della prevedibilità dell’ambiente. Tipi di configurazione possibili:

  • struttura semplice: il vertice accentra tutte le funzioni di direzione e di controllo (azienda artigiana);
  • burocrazia meccanica: coordinamento attraverso standardizzazione dei compiti e gerarchia, efficiente se l’ambiente è stabile;
  • burocrazia funzionale: coordinamento di dipendenti formati fuori dall’organizzazione con discrezionalità nello svolgimento del lavoro;
  • struttura divisionale: coordinamento ottenuto con obiettivi compatibili tra divisioni indipendenti nelle loro scelte in ambienti e tecnologie diverse;
  • adhocrazia: gruppi di lavoro con compiti specifici formati da persone che si conoscono bene e che si fidano delle altrui competenze, senza strutture gerarchiche e regole precisate (compiti di alta specializzazione capaci di inventarsi procedure e regole nuove).

Nelle organizzazioni non esiste un unico modo migliore (one best way) per progettare un’organizzazione; anche al suo interno le parti diverse tendono a organizzarsi in modo diverso: efficiente sarà l’organizzazione che saprà ricomporre integrandole le forme diverse.
L’idea weberiana di burocrazia come organizzazione razionale si basa sulla definizione di azione razionale rispetto allo scopo (valutazione dei mezzi, delle conseguenze e delle alternative) e sull’imposizione di azioni razionali ai suoi attori. Simon invece teorizza una razionalità relativa, in quanto è impossibile avere una conoscenza completa e una previsione di tutte le conseguenze che discendono da una scelta, così come non si può considerare tutte le alternative. La razionalità limitata non mira a ottenere i migliori risultati possibili in astratto, ma risultati soddisfacenti possibili semplificando la realtà in modelli limitati agli aspetti rilevanti.
La razionalità limitata è la sola razionalità possibile e concretamente perseguibile in normali condizioni di incertezza. Distinguiamo:

  • razionalità sinottica (weberiana) che tiene conto di tutti i dati rilevanti, predisponendo mezzi necessari ai fini in relazione ad obiettivi definiti e chiari, da attuare senza più cambiare i programmi.
  • Razionalità incrementale è il caso normale dell’incertezza ambientale in cui vengono definiti degli obiettivi di massima soggetti ad aggiustamenti successivi con la possibilità di trovare in itinere mezzi e soluzioni prima non visibili.

Mannheim distingue invece tra razionalità funzionale e sostanziale:

  • Funzionale è quella di chi si adatta a ordini ricevuti eseguendoli senza errori o a procedure e  obiettivi stabiliti senza discuterli.
  • Sostanziale  è quella di chi cerca di comprendere come certi aspetti di una situazione siano collegati tra di loro interrogandosi sul loro significato e valutandoli secondo il proprio metodo di giudizio.

Lo sviluppo delle organizzazione promuove la sfera delle attività funzionalmente razionali, ma non quelle sostanzialmente razionali, spingendo al conformismo e all’incapacità di pensare in modo autonomo.

CAPITOLO 4     CULTURA LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE

La cultura comprende gli artefatti, i beni, i processi tecnici, i valori, e le abitudini trasmessi socialmente attraverso il linguaggio. Oggi prevale una ipotesi monogenetica alla base di tutte le lingue parlate nel mondo per cui il linguaggio è innato ed è una caratteristica del patrimonio genetico, una grammatica universale innata fatta di regole che permettono di collegare il numero limitato di fonemi utilizzati dall’uomo.
Il linguaggio ha insieme una funzione cognitiva e una comunicativa; le operazioni fondamentali del pensiero si traducono tutte in strutture del linguaggio: pensare una cosa significa nominarla, classificare significa raggruppare i significanti in classi omogenee, quantificare significa numerarla, individuare uno stato o un’azione significa assegnarle un predicato etc.
Il linguaggio ha anche funzione comunicativa tramite la catena: emittente, che traduce ciò che vuole comunicare in segni costituenti un messaggio, un canale, un codice che deve essere condiviso e un ricevente che decifra il messaggio. Il concetto di condivisione del codice indica che il linguaggio è una convenzione sociale e che ha carattere normativo in cui sono definite le regole condivise dalla comunità.
Le lingue sono fenomeni sociali dinamici che variano nello spazio e mutano nel tempo, anche se le strutture grammaticali e sintattiche sono quelle che assicurano maggiore stabilità. Difficilmente due lingue convivono nello stesso territorio, una prende sempre il sopravvento con vari gradi di contaminazione; le maggiori variazioni sono comunque visibili a seconda della stratificazione sociale, sia per gli aspetti fonetici che per quelli lessicali. Si possono inoltre distinguere un linguaggio differenziato per genere, per provenienza rurale o urbana, per categoria professionale: ogni barriera sociale è una barriera linguistica.
La situazione sociale in cui avviene la comunicazione permette un uso flessibile del proprio repertorio linguistico, secondo l’interlocutore, l’ambiente e le necessità comunicative: il linguaggio privato che si ha in famiglia o tra amici (meno attento alla forma e alla correttezza) è diverso da quello pubblico (più formale e impersonale). Ancora maggiore è la differenza tra forma orale, pregna di elementi metacomunicativi non verbali, e quella scritta, più rigida e intenzionale, anche se non sempre priva di momenti poco chiari.
La comunicazione sociale segue sempre le regole del contesto in cui avviene l’interazione e della posizione sociale relativa dei comunicanti con i gradi vari di asimmetria sottolineati da espressioni di deferenza  e da rispetto del turno di parola.
Le comunicazioni di massa raggiungono in modo rapido e simultaneo una grande pluralità di individui. Ma cos’è la massa? Non è un aggregato di persone di grandi dimensioni come le classi, i popoli e le nazioni, definite da caratteristiche socioeconomiche o da comunanze culturali o territoriali, è un elemento visto spesso in termini negativi, come qualcosa di amorfo, manipolabile, passivo. Si preferisce quindi un concetto più neutro come quello di pubblico o di audience, comunque anonimo e influenzabile.
I messaggi che ci vengono trasmessi dai mass-media nascono come fatti che vengono trasformati in notizie solo quando assumono una determinata rilevanza; anche nella trasmissione vi sono valutazioni interpretative che li connotano con un grado diverso di importanza. Il destinatario opererà poi un’ulteriore selezione scegliendo il mezzo tramite cui li riceve e il grado di attenzione che vorrà dedicargli.
Bisogna dunque abbandonare l’idea che i messaggi dei media siano ricevuti in modo uniforme da tutti gli individui e che quindi producano effetti sovrapponibili sul loro comportamento. Per descrivere un atto comunicativo occorre chiedersi chi è l’emittente, che cosa vuole dire, come lo dice , attraverso quale canale, verso chi è diretto il messaggio e infine quali comportamenti evoca nei destinatari.
Gli effetti si sono visti variare secondo le classiche dimensioni socio-demografiche (sesso, età, scolarità, professione), ma anche secondo le reti di relazioni in cui sono inseriti gli individui: la comunicazione circola attraverso le reti sociali che possono rafforzare o indebolire i messaggi frapponendosi tra emittente e destinatario (flusso di comunicazione a due stadi).

 

CAPITOLO 5     CONTROLLO SOCIALE, DEVIANZA E CRIMINALITA’

 

Controllo sociale: insieme dei metodi usati per fare in modo che i membri di un gruppo rispettino le norme e le aspettative di questo gruppo. Si realizza attraverso due processi: uno interno, la socializzazione, e uno esterno, il ricorso a premi e punizioni.
La socializzazione è il processo attraverso il quale ogni società per assicurare la propria continuità cerca di trasmettere la sua cultura, l’insieme di valori, norme, atteggiamenti, aspettative, conoscenze, linguaggi di cui dispone; si distingue una socializzazione primaria che avviene nei primi anni di vita del bambino e che trasmette le competenze di base (linguaggio, affettività, relazioni) e quella secondaria che si ha con l’ingresso nella scuola ed è mirata verso competenze specifiche necessarie per lo svolgimento dei ruoli sociali. Le norme vengono interiorizzate e trasformate in norme morali che guidano la condotta perché vissute come giuste e naturali.
Se il processo non ha successo entra in azione il processo esterno di controllo sociale col ricorso a punizioni e ricompense intese come reazioni alle violazioni delle norme, per scoraggiarle o per prevenirle.
Devianza: ogni atto o comportamento (anche solo verbale) che viola le norme di una collettività e che di conseguenza va incontro a qualche forma di sanzione; non è una proprietà di certi atti o comportamenti, ma una qualità che deriva dalle risposte, dalle definizioni e dai significati attribuiti a questi dai membri di una collettività (un atto non urta la coscienza perchè è criminale, ma è criminale perché urta la coscienza, Durkheim).
Un atto è quindi deviante solo in riferimento al contesto socioculturale in cui ha luogo, inoltre può essere considerato deviante in una situazione, ma non in un’altra del tutto diversa. Per trasformarsi in reato un atto deviante deve infrangere una norma del codice penale che ne preveda una pena di grado commisurato. Lo studio della devianza di solito arriva a cogliere solo questi atti definiti reati compiuti contro la persona, molti dei quali restano comunque sconosciuti o perché senza vittime o perché non segnalati alle autorità.
Teorie della criminalità. Spiegazioni biologiche. Cercano di spiegare i comportamenti devianti in base a caratteristiche biologiche e fisiche fino a considerare il criminale come un essere anormale, inferiore, un delinquente nato; in realtà non vi è alcuna conferma che i tratti biologici (se non forse la trisomia XYY) possano agire aumentando la probabilità che una persona commetta reati.
Teoria della tensione. Durkheim pensava che certe forme di devianza derivassero dall’anomia o mancanza di norme sociali che regolino e limitino i comportamenti individuali. Merton sostiene che la devianza è sì provocata da situazioni di anomia, ma che queste nascono da una tensione tra la struttura culturale (che definisce le mete e i mezzi per raggiungerle) e la struttura sociale (che dispone delle effettive opportunità necessarie per arrivare a tali mete con quei mezzi). Per adattarsi ai valori culturali proposti nella situazione prodotta dal contrasto fra le mete e i mezzi per raggiungerle gli individui possono scegliere tra cinque forme di comportamento:
- conformità: accettazione sia delle mete che dei mezzi; tutti gli altri quattro comportamenti sono devianti.
- innovazione: adesione alle mete, ma rifiuto dei mezzi normativamente prescritti (furti, inganni, imbrogli).
- ritualismo: abbandono delle mete, ma adesione ai mezzi (non fare il passo più lungo della gamba).
- rinuncia: abbandono sia dei fini che dei mezzi (etilismo, tossicodipendenza, mendicità).
- ribellione: rifiuto di mete e mezzi con sostituzione con altre mete e mezzi.
Teoria del controllo sociale. Pone come presupposto che l’uomo non sia un animale morale (come previsto nella teoria della tensione), ma che sia invece moralmente debole, pertanto sarebbe la conformità e non la devianza lo stato “patologico” da spiegare. Una persona compie un reato quando il vincolo che lo lega alla società è tanto debole da arrivare a spezzarsi (Hirschi). I controlli sociali che impediscono di violare le norme sono di tipo esterno (sorveglianza) o interno, distinto in diretto (imbarazzo o vergogna) e in indiretto (attaccamento emotivo per gli altri e desiderio di mantenere la loro stima).
Teoria della subcultura. Il contrasto tra struttura sociale e culturale perché insorga la devianza non è sempre sufficiente, spesso questa si apprende dall’ambiente in cui si vive, ambiente dotato di norme e valori trasmessi diversi da quelli della società nei confronti della quale si pone come una subcultura. Nel suo ambito il soggetto non viola alcuna norma, anzi si adegua a quelle che apprende (non sono né ereditate né inventate dall’attore) e che impara a mettere in atto.
Teoria dell’etichettamento. Sostiene che per capire la devianza bisogna tenere conto non solo della violazione, ma anche della creazione e dell’applicazione delle norme. Il reato è il prodotto delle interazioni tra coloro che creano e fanno applicare le norme e quelli che le infrangono. Fra costoro non vi sarebbero differenze né di bisogni né di valori (a tutti succede di violare norme di vario grado), ma un conto è commettere un atto deviante, altro è suscitare una reazione sociale, venire definito deviante e come tale etichettato. Lemert distingue una devianza primaria che si riferisce a violazioni delle norme di rilievo marginale e che vengono dimenticate (il soggetto non si sente deviante e non viene definito tale) e una devianza secondaria in cui l’atto deviante suscita una reazione di condanna da parte degli altri con etichettatura e riorganizzazione della propria personalità sulla base delle conseguenze prodotte dal suo atto.
Teoria della scelta razionale. Vede i reati non come violazioni provocate da fattori biologici, sociali o psicologici, ma come risultanti di azioni intenzionali adottate attivamente dagli individui. Chi decide di compiere un reato è un essere razionale che sa scegliere liberamente se violare o meno una norma in base ai suoi interessi e priorità (guadagno, piacere, prestigio, potere). Chi trasgredisce va incontro a vari tipi di costo: esterno pubblico (sanzioni amministrative o penali), esterno privato (costi di attaccamento per sanzioni informali di altri significativi), interni (coscienza delle norme interiorizzate che fa provare colpa e vergogna).
Forme di criminalità. Attività predatoria comune: insieme di azioni illecite condotte con la forza o con l’inganno per impadronirsi dei beni mobili altrui che comportano un contatto fisico diretto fra chi compie l’azione e la vittima.
Omicidio, doloso (non voluto, ma causato da negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza delle leggi) o colposo (volontà di uccidere); è in calo continuo coerentemente con la civilizzazione, con la sola eccezione dei periodi postbellici in cui si verifica un brusco aumento degli omicidi per fenomeni di disorganizzazione sociale, per fattori di natura economica e per la legittimazione della violenza vissuta in periodi di guerra. Più difficile è da spiegare l’aumento verificatosi dagli anni 50 ad oggi in tutto il mondo occidentale.
Reati dei colletti bianchi. Sono reati commessi da persone altrimenti rispettabili e di elevata condizione sociale nel corso della loro occupazione. Sono solitamente reati di occupazione (commessi durante il lavoro per proprio vantaggio come appropriazione indebita, insider trading, corruzione, concussione) e di organizzazione (compiuti per conto di un’organizzazione pubblica o privata come frodi, occultamento di notizie o materiali pericolosi, mancato rispetto delle norme di sicurezza).
Criminalità organizzata: insieme di imprese che forniscono beni e servizi illeciti e che si infiltrano nelle attività economiche lecite. Spesso tali imprese hanno attività sia economiche che politiche, necessitano di protezioni, di capitali e di forza lavoro militarizzata. Il ricorso alla violenza di tali imprese non è mai gratuito, ma viene utilizzato solo quando gli altri mezzi sono stati inefficaci.
Caratteristiche sociodemografiche di compie reati. Classe sociale: scarsa relazione tra reati e classe sociale, ma la relazione tra classe sociale e tendenza a violare una norma è tanto più forte quanto più grave è il reato. Genere: maschile nel 90% nei reati gravi, equivalenza in reati meno seri, soprattutto commerciali e di taccheggio. Età: la curva del tasso di età per reati come rapina e furto sale rapidamente durante preadolescenza e adolescenza, raggiunge il massimo intorno alla maggiore età e poi scende bruscamente.
Sanzioni: informali sono quelle spontanee e poco organizzate provenienti da familiari o amici, formali sono quelle comminate da organismi o gruppi specializzati ed investiti della potestà di emetterle. Tipo di sanzioni: faida, vendetta da parte della vittima; sanzioni pecuniarie, pene corporali, reclusione, pena capitale.

 

CAPITOLO 7  STRATIFICAZIONI, CLASSI SOCIALI E MOBILITA’

Stratificazione sociale: sistema delle disuguaglianze sociali di una società sotto l’aspetto distributivo delle ricompense materiali e simboliche e relazionale riguardo ai rapporti di potere esistenti tra di essi.
Strato è un insieme di individui che godono della stessa quantità di risorse o che occupano la stessa posizione nei rapporti di potere.
Lenski ha teorizzato le condizioni che favoriscono le disuguaglianze sociali: esse erano minime nelle società dedite a caccia e raccolta, sono diventate ampie nelle società orticole, più estese in quelle agricole per poi diminuire in quelle industriali. In pratica la disuguaglianza aumenta con l’aumentare del surplus produttivo economico e con l’aumentare della concentrazione del potere politico.
Teorie della stratificazione. Teoria funzionalista. La principale necessità funzionale che spiega la presenza universale della stratificazione è l’esigenza di collocare e motivare gli individui nella struttura sociale. L’esistenza delle disuguaglianze è inevitabile e necessaria al buon funzionamento della società. Non tutte le posizioni hanno la medesima importanza funzionale, alcune sono più rilevanti e richiedono capacità speciali, appannaggio di poche e limitate persone; la conversione delle capacità in competenze poi richiede un periodo di addestramento con dei costi e dei sacrifici da parte di chi vi si sottopone, sforzi questi che vanno ricompensati materialmente e moralmente.
Teorie del conflitto. Viene qui negata la funzione vitale della stratificazione a favore di una situazione di conflitto continuo tra classi.
- Marx introduce nel 1848 il concetto di classe sociale senza lasciarne una definizione formale. La base delle classi è sempre economica, il suo asse portante si trova nei rapporti di produzione e nelle relazioni di proprietà. Nella società borghese il capitale industriale è la forma più importante di proprietà ed è detenuta dai borghesi, mentre i proletari non hanno che la loro forza lavoro. Le classi di Marx sono raggruppamenti omogenei di persone che hanno gli stessi livelli di istruzione, consumo, valori, credenze, abitudini, concezione della vita. La coscienza di classe emerge solo quando la classe si trasforma da classe in sé a classe per sé, prendendo coscienza di condividere interessi.
- Weber ha elaborato una teoria della stratificazione a più dimensioni individuando le fonti delle disuguaglianze in tre sfere: l’economia (interessi materiali comuni → classi sociali), la cultura (interessi ideali comuni → ceti ) e la politica (partiti o gruppi di potere per il controllo dell’apparato di dominio). Anche per Weber la definizione di classe è legata al possesso o alla mancanza di possesso, ma il criterio di fondo per l’appartenenza è la situazione di mercato: a) del lavoro, in cui si contrapponevano classe operaia e imprenditori; b) del credito, con debitori e creditori; c) delle merci, con consumatori e venditori. Weber distingue poi classi possidenti e classi acquisitive, privilegiate positivamente o negativamente: le possidenti privilegiate positive sono i redditieri che hanno miniere, navi, impianti, terre, le possidenti privilegiate negative sono i nullatenenti, in mezzo stanno le classi medie con limitate competenze professionali e piccole proprietà. Le classi acquisitive privilegiate positive sono gli imprenditori e i professionisti di alto livello, le acquisitive privilegiate negative sono i lavoratori.
I ceti entrano nella sfera della cultura e sono comunità con lo stesso stile di vita e un forte senso di appartenenza e si distinguono per il diverso grado di prestigio di cui godono; ogni ceto esige una condotta di vita particolare adeguata alla valutazione del gruppo (onor di ceto).
Le relazioni tra classi e ceti sono complesse: alcuni ceti nascono in seno alle classi, altri le trascendono; le classi sono più eterogenee e hanno origine dalla divisione del lavoro, i ceti sono di origine etnica, religiosa o culturale e tendono a fenomeni di chiusura sociale.
- Lenski e i sociologi americani propongono il principio dello squilibrio di status per una spiegazione pluridimensionale della stratificazione sociale. In ogni società esiste una pluralità di gerarchie (di reddito, di potere, di istruzione, di prestigio) ed ognuno occupa una posizione in queste classifiche: si ha equilibrio se la persona si trova in ranghi equivalenti nelle diverse gerarchie e di squilibrio nel caso opposto (nobile decaduto, industriale analfabeta, laureato spazzino). Lo squilibrio però necessita anche di contrasto con le aspettative della società ed è causa di frustrazioni e tensioni sociali che possono provocare isolamento sociale, disturbi psicosomatici o radicalizzazione.
La società moderna è caratterizzata dall’eguaglianza di diritto per tutti i suoi membri, ma questa non è un’eguaglianza fattuale.
Classificazione di Sylos Labini: è centrata sul tipo di reddito e vede tre grandi categorie di reddito: la rendita dei proprietari fondiari, il profitto dei capitalisti e il salario dei lavoratori; a queste si affiancano i redditi misti da lavoro e capitale (lavoratori autonomi), gli stipendi degli impiegati e i redditi dei lavoratori saltuari. Da queste categorie derivano cinque classi sociali, suddivise poi in sottoclassi:

  • Borghesia, formata da grandi proprietari, imprenditori, alti dirigenti e professionisti.
  • Piccola borghesia relativamente autonoma, composta da lavoratori autonomi dei tre grandi settori di attività.
  • Classe media impiegatizia, impiegati pubblici e privati.
  • Classe operaia, braccianti e operai dell’industria e del terziario.
  • Sottoproletariato, composto da coloro che sono disoccupati, quindi fuori dalla sfera della produzione.

Classificazione di Goldthorpe: si basa su due criteri: la situazione di lavoro e la situazione di mercato, la prima si riferisce alla posizione nella gerarchia organizzativa degli individui in quanto inseriti in una posizione occupazionale; la seconda è il complesso di vantaggi e svantaggi, materiali e simbolici, di cui godono i titolari dei vari ruoli lavorativi (livello di reddito, possibilità di carriera, stabilità del posto). In base alle relazioni di lavoro gli occupati si distinguono in tre grandi categorie: imprenditori, che acquistano il lavoro altrui e lo controllano, lavoratori autonomi senza dipendenti, che non comprano e non vendono lavoro, lavoratoti dipendenti, che vendono il proprio lavoro.
Tenendo conto della situazione di mercato e del settore di attività economica si giunge ad uno schema a sette classi:
I – grandi imprenditori, professionisti e dirigenti di alto livello con redditi elevati, carriera, autonomia decisionale e autorità.
II – professionisti e dirigenti di livello inferiore
III – impiegati e addetti alle vendite
IV - piccola borghesia urbana e agricola con notevole autonomia di lavoro e differenti livelli di reddito e di sicurezza
V – tecnici di livello più basso con reddito decente e discreta sicurezza di lavoro
VI – operai specializzati di tutti i settori
VII – operai non specializzati di tutti i settori.
L’evoluzione della stratificazione delle classi sociali ha vissuto un’impennata negli ultimi due secoli con il declino delle classi agricole a favore della classe operaia a sua volta contrattasi per lo sviluppo del sistema terziario e della classe media impiegatizia: questa, come le altre vende il proprio lavoro, ma non ha contatto con le cose, bensì con le persone e i simboli, ed ha bisogno di un periodo di qualificazione.
I processi di proletarizzazione e di deproletarizzazione portano, i primi, al passaggio dalla piccola borghesia al proletariato, dall’autonomia alla dipendenza, i secondi, vanno nel senso opposto.
Negli ultimi anni si assiste alla divaricazione sociale, con un aumento del dislivello tra una classe di dirigenti e professionisti e una diMacjobs” con bassissimo livello di qualificazione, soprattutto nei servizi al consumatore, occupato da figure marginali del mercato.
Al di sotto e al di fuori degli schemi di classificazione vi sono i disoccupati, una sottoclasse costituita da persone in stato permanente di povertà e dipendenza dall’assistenza pubblica. Fra questi ve n’è una quota culturalista (ragazze madri, espulsi dalla forza lavoro, delinquenti) figlia del welfare state e della rassegnazione che ingenera; e una quota strutturalista che nasce da una debolezza di fondo dell’economia che non fornisce più un numero sufficiente di posti di lavoro poco qualificati.
Distribuzione dei redditi. Reddito è quello che gli individui ricavano da salari, profitti, rendite, distinto dal patrimonio che è costituito da tutti i beni mobili e immobili posseduti. Il coefficiente di Gini misura le disuguaglianze nella distribuzione delle risorse economiche: se è uguale a 0 sta ad indicare che ogni famiglia riceve esattamente lo stesso ammontare di reddito di tutte le altre (massima uguaglianza), sennò misura lo scarto percentuale. Tale scarto varia molto di nazione in nazione, con minimi in Giappone e paesi scandinavi e massimi negli USA.
L’elevata corrispondenza (inversamente proporzionale) tra classe sociale e tasso di mortalità evidenziata nel secolo scorso non si è modificata con il miglioramento del welfare e delle condizioni sociali e sanitarie: la ragione è che persistono nelle classi inferiori stili di vita e occupazioni più rischiose e che in quelle elevate è diminuito ancor più il tasso di mortalità.
Mobilità sociale: passaggio di un individuo da uno strato, ceto, classe sociale ad un altro. Si distinguono al suo interno la mobilità:

  • Orizzontale, passaggio da una posizione sociale all’altra dello stesso livello.
  • Verticale, spostamento ad una posizione più alta o più bassa nel sistema di stratificazione.
  • Di lungo raggio, spostamento verticale tra classi distanti tra loro.
  • Di breve raggio, spostamento verticale tra classi contigue.
  • Intergenerazionale, spostamento in confronto alla posizione della famiglia di origine.
  • Intragenerazionale (di carriera), spostamento di un individuo nel corso della propria esistenza.
  • Assoluta, numero complessivo di persone che si spostano da una classe all’altra.
  • Relativa (fluidità sociale), grado di eguaglianza delle possibilità di mobilità dei membri delle varie classi; è tanto maggiore quanto meno la classe di origine esercita influenza sui destino sociali degli individui.
  • Individuale, comprende tutte le forme esaminate finora.
  • Collettiva, esprime i movimenti di interi gruppi  rispetto a tutti gli altri gruppi sociali.

In Italia la mobilità sociale assoluta è stata molto forte negli ultimi decenni, per la contrazione della classe agricola e l’aumento di quella impiegatizia; si arriva fino al 59% della popolazione, con fenomeni generalmente a breve raggio. Negli altri paesi occidentali tali fenomeni hanno avuto ritmi e tempi diversi secondo l’entità del processo di industrializzazione, ma non vi è comunque una tendenza costante all’aumento o alla diminuzione di mobilità parallelo allo sviluppo economico.
Nei paesi occidentali vi è invece una forte mobilità intergenerazionale, anche se non vi è automaticamente un aumento della fluidità, quanto piuttosto un aumento delle dimensioni  e dell’ampiezza di tali classi.

 

CAPITOLO 9   RAZZE, ETNIE E NAZIONI

 

Razza è un insieme di esseri umani che condividono alcune caratteristiche somatiche ereditate geneticamente; dal punto di vista sociologico il concetto assume rilevanza in quanto le differenze somatiche sono state associate a differenze di ordine morale, intellettuale e comportamentale per giustificare forme di disuguaglianza, oppressione e dominio. Le credenze razziste nascono nel secolo XIX° fondandosi su un determinismo biologico per cui il comportamento deriva da fattori naturali e non ambientali. Esse discriminano l’accesso all’esercizio di diritti e a determinate opportunità e posizioni sociali.
Antisemitismo. Gli ebrei, semiti come gli arabi, primo popolo a sviluppare la scrittura e ad avere un culto monoteista, hanno sempre avuto – a dispetto della dispersione territoriale – una forte identità collettiva a difesa dell’ortodossia religiosa. La loro segregazione inizia per l’esclusione dal  possesso della terra e dai mestieri corporativi, per cui si specializzarono nell’unico mestiere proibito ai cristiani: l’usura. Diventati il capro espiatorio delle situazioni di crisi legate ai processi di trasformazione sociale subiscono il tentativo di genocidio operato dal regime nazista e vedono rafforzarsi il movimento sionista che ha poi portato alla creazione dello stato di Israele.
Il paradosso americano: i valori egualitari sanciti dalla costituzione degli USA e il trattamento discriminatorio nei confronti della minoranza nera sono gli elementi di un contrasto secolare. Discriminazione e pregiudizio portano a un circolo vizioso per cui la vittima matura sentimenti di inferiorità e comportamenti che vanno a rafforzare i pregiudizi che li hanno generati. Gli USA poi sono una nazione di immigrati, un crogiolo di razze e culture diverse variamente integrate incapaci di liberarsi da pregiudizi e stereotipi verso la popolazione nera, specie da parte degli strati più bassi dei bianchi. La lotta contro il razzismo si è avvalsa di effetti legislativi che hanno rimosso ostacoli all’integrazione e di azioni positive che coinsentono di riservare agli esponenti delle minoranze una quota garantita di posti in scuole, amministrazioni, appalti pubblici. L’eguaglianza di diritto non corrisponde però all’eguaglianza di fatto, pertanto i neri restano ancora al gradino più basso della stratificazione sociale, con servizi educativi e sanitari infimi e alti livelli di disoccupazione.
L’Europa si è trasformata da area di emigrazione ad area di immigrazione, prima dalle ex-colonie, poi da paesi vicini fino a fondare le premesse per una società multietnica e multirazziale in cui prevalgano i fenomeni di assimilazione socio-culturale.
Etnia è un concetto che rimanda a differenze di ordine culturale (miti, simboli, memorie, valori) che si trasmettono tra generazioni attraverso i meccanismi di trasmissione culturale. Vi è un gruppo etnico quando vi  è una cultura condivisa con caratteri distintivi rispetto a quelle delle popolazioni contigue, quando si sviluppa una solidarietà particolare tra i suoi componenti, quando costoro si definiscono – e vengono definiti- come appartenenti, quando si è prodotto il mito di una discendenza comune, quando si crea una comunità che condivide memorie comuni legate a un territorio che si identifica come proprio per diritto storico, anche se si vive altrove.
Gli elementi che costituiscono un’etnia si modificano nel tempo per l’intervento di fattori endogeni, come la presenza di un’elite letterata che ne cura la trasmissione delle tradizioni, e di fattori esogeni, come il contatto con culture etniche vicine e differenziate.
Nazione è un concetto che si intreccia variamente con quello di etnia. Talvolta la nazione è una collettività che si richiama a una discendenza comune, con vincoli di lingua, valori, costumi e tradizioni che si organizza in forma di stato sovrano su un dato territorio: la nazione si fonda sull’etnia ed entrambe precedono lo stato nazione (Es. Francia, Inghilterra, Olanda). In altri casi la nazione designa una collettività di individui con diritti e doveri comuni nell’ambito di uno stato territoriale senza comunità di etnia, quindi lo stato precede la formazione della nazione (disgregazione di stati dinastici o di confederazioni come l’URSS). Un terzo caso è quello di Germania e Italia, nati dall’unificazione di stati regionali sotto la spinta egemonica di uno di essi; la nazione preesiste debolmente allo stato.
Altri casi particolari riguardano stati multietnici e multinazionali come gli USA e l’Australia privi di popolazione dominante omogenea, ma con solidi sentimenti di appartenenza.

CAPITOLO 14   POLITICA E AMMINISTRAZIONE

 

Politica in senso ampio si riferisce a fini, obiettivi, scelte operate da un’associazione o da un’organizzazione; in senso ristretto è una sfera particolare della società in cui si trova lo stato con la sua organizzazione, i partiti, i movimenti sociali che tendono a governare la vita sociale.
Non vi è alcuna funzione che non sia stata esercitata una volta, né alcuna esercitata sempre (Weber). La principale è l’esercizio del potere:

  • Economico, per cui chi possiede un certo bene materiale o risorsa finanziaria può indurre chi non li possiede ad accettare una determinata condotta (es. svolgere un lavoro).
  • Ideologico, capacità di influenzare i comportamenti altrui grazie all’autorità delle proprie idee (politiche, religiose etc.)
  • Politico, utilizzo di una risorsa peculiare: il controllo degli strumenti attraverso i quali si esercita la forza fisica.

Lo stato detiene il monopolio dell’uso legittimo della forza, il potere riconosciuto come legittimo si trasforma in autorità: lo stato sottrae a qualsiasi altro gruppo l’uso della forza, che può usare per ottenere ubbidienza (leggi, decreti, sentenze).
I limiti sono fissati dalla stessa politica, cercano di impedire che siano accumulati nelle stesse mani il potere politico, economico e culturale differenziandone all’interno dello stato l’esercizio delle varie funzioni.
Inventori della politica furono le città stato (polis) dell’antica Grecia per organizzare le relazioni di tipo economico e sociale tra i cittadini. Veniva usata la parola e non la forza per prendere decisioni, la libertà veniva garantita mantenendo l’individualità e l’autonomia nelle scelte, i rapporti erano egualitari.
Stato: organizzazione politica molto complessa che governa, controlla e organizza una società stabilita in un certo territorio. Caratteristiche:

  • Differenziazione, non è la società, ma ciò che la organizza nel suo insieme. Regola in generale e in astratto i comportamenti dei cittadini, riconosce il loro diritto a perseguire fini privati e di interesse generale, associandosi liberamente in ambiti e attività non politiche (economia, religione).
  • Sovranità: controllo politico di una società governandola e organizzandola in un certo territorio, senza dipendere da alcun altro ente.
  • Centralizzazione: omogeneizzazione e centralizzazione delle regole con sottrazione di autonomia agli enti periferici.
  • Nazionalità. Popolo è un aggregato di persone dotate di una dimensione politica (cittadini sottomessi allo stesso potere regolativo, come titolari di diritti e di doveri). Cittadinanza è l’insieme di diritti e di doveri che definiscono la condizione di appartenenza ad uno stato. Distingue tre fasi di sviluppo: civile, riguardante i diritti necessari alla libertà individuale (le libertà personali di parola, pensiero, fede, possesso, giustizia), politica, possibilità di eleggere ed essere eletti e partecipare all’esercizio del potere, sociale, diritto di accedere a certi standard di consumi, salute, istruzione. Altra dimensione della nazionalità è quella culturale e riguarda le comuni radici storiche, religiose, di costumi, li lingua, etniche. Un’identità nazionale può basarsi su una o sull’altra dimensione in vario grado generando molte variabili tra nazione ethnos e nazione demos.
  • Legittimazione democratica: regime politico basato sul consenso popolare e sul controllo dei governanti da parte dei governati. Si ha se le istituzioni politiche sono congegnate in modo da garantire libertà di associazione, di espressione, di voto, di eleggibilità, di alternativa di informazione, di controllo.

Si possono distinguere tre tipi di potere legittimo a seconda della pretesa di legittimità (Weber):

  • Potere tradizionale, basato sulla credenza del carattere sacro delle tradizioni che valgono da tempo immemorabile e sanciscono il diritto a esercitare il potere da parte di un signore.
  • Potere carismatico, basato sulla credenza del carattere straordinario di un capo dotato di virtù o capacità singolari.
  • Potere razionale, basato sulla credenza che  un certo sistema di norme statuite è valido, è un ordinamento impersonale.

Una persona inserita in una relazione quando avverte una difficoltà nella sua condizione ha due possibilità di reazione: interrompere la relazione (exit) oppure far valere il suo punto di vista (voice), solo nei regimi totalitari non vi sono queste due opportunità (Hirschmann).
Exit è il meccanismo più tipico dell’economia come fenomeno del mercato di libera concorrenza, invece voice è più tipico delle relazioni politiche, esprime partecipazione, trasmette informazioni su cosa funziona o non in una relazione, valuta i vantaggi che si possono ottenere con azioni collettive correggendo situazioni non ottimali.
Il singolo è un attore razionale e deve spesso scegliere se adottare una o l’altra di queste due opzioni; l’azione singola però viene percepita spesso come ininfluente in caso di manifestazioni collettive, nasce così la figura del free rider che non sia ssume i costi dell’azione collettiva, ma ne gode i vantaggi.
La politica tutela gli interessi di chi si impegna in un’azione collettiva e si costituisce in un’identità collettiva; è un valore che sancisce l’appartenenza a un gruppo e produce lealtà nei confronti della linea scelta per l’azione collettiva, a contrasto dell’exit.
Partecipazione politica: coinvolgimento dell’individuo nel sistema politico a vari livelli di attività, dal disinteressa alla titolarità di una carica. Votare è la forma di partecipazione politica più diffusa e più bassa, ai gradini successivi stanno l’interesse generico alla politica, la partecipazione ad associazioni e organizzazioni politiche di base, l’adesione a gruppi di interesse o di pressione (sindacato, unione industriale), la titolarità di cariche politiche.
Tipi di voto: voto d’opinione si ha quando la scelta viene operata tramite il confronto tra programmi diversi, confrontando il proprio interesse e quello dell’intera comunità; presuppone buona conoscenza dei programmi, vasta informazione, discussione politica (voto mobile).
Voto di appartenenza, testimonia e ribadisce un’appartenenza, a prescindere dalla valutazione specifica degli obiettivi proposti dal programma, accettati in blocco e senza discussione (voto altamente stabile). Voto di scambio, è una transazione in cui il votante avanza una richiesta personale da soddisfare ad un candidato che abbia la risorsa e la possibilità di accontentarlo quando eletto (voto altamente mobile).
Le due attività principali dei partiti sono: la formazione, l’aggregazione e la trasmissione della domanda politica ottenuta raccogliendo i problemi, gli interessi e i bisogni di una società; l’organizzazione della delega politica per cui i membri di una società si identificano con determinati partiti e ne investono di rappresentatività i candidati.
Linee di frattura o cleavages sono le spaccature che si creano nella società e che i partiti devono integrare aggregando e rappresentando nelle istituzioni i valori e gli interessi di differenti gruppi sociali. Se ne distinguono quattro tipi più un quinto più recente:

  • Centro-periferia relativa all’esistenza di diverse etnie e culture con basi locali diverse.
  • Stato-chiesa riferita a problemi come il controllo dell’educazione di massa.
  • Città-campagna ovvero interessi industriali e interessi agricoli.
  • Capitale-lavoro ovvero il conflitto socioeconomico avvenuto con l’affermarsi del capitalismo industriale (asse sinistra – destra).
  • Materialismo-postmaterialismo che individua valori relativi alla qualità della vita in società evolute e che affrontano temi nuovi come l’ambientalismo o la partecipazione diretta.

I partiti, che si creano su una o più linee di frattura, nascono nell’Inghilterra dell’800 con l’allargamento del suffragio come partiti di notabili, poi nascono i veri partiti di massa, con partecipazione attiva, militanza volontaria, forte identità. Oggi si affermano i partiti elettorali, privi di grandi strutture burocratiche, ma attivi in occasione di eventi elettorali per elettorati variegati senza riferimenti a una classe specifica.

 

CAPITOLO 15           POPOLAZIONE E ORGANIZZAZIONE SOCIALE NELLO SPAZIO

Lo sviluppo della popolazione mondiale ha visto per quasi due millenni un tasso di accrescimento medio dello 0,06%, destinato a decuplicarsi dalla seconda metà del ‘700 per raggiungere il suo massimo nel quinquennio 1965-70 col 2,04% ed assestarsi intorno all’1,5%. Malthus attribuiva la ragione di ciò al fatto che lo sviluppo della popolazione avviene a un ritmo più rapido (progressione geometrica) rispetto ai mezzi di sussistenza (progressione aritmetica). Per equilibrare la situazione occorrono dei meccanismi frenanti repressivi, come epidemie, guerre, carestie e da meccanismi frenanti preventivi come la riduzione della nuzialità (o suo ritardo) e della natalità.
Teoria della transizione demografica: la popolazione europea è passata nel ‘700 da un equilibrio basato su alti livelli di mortalità e fecondità ad uno con livelli molti più bassi in quattro sottoperiodi differenti: 1periodo della società a regime demografico primitivo, con popolazione di tipo storico stazionario, durato millenni. 2periodo dell’esplosione demografica caratterizzato da declino della mortalità con livello di fecondità immutato. 3periodo del declino della fecondità (molto diverso tra le grandi nazioni) provocato dalla diffusione del controllo volontario delle nascite. 4periodo della stagnazione demografica in cui mortalità e fecondità sono a livelli molto bassi e simili.
Il declino della fecondità dipende dalla riduzione del tasso di nuzialità e dal controllo volontario delle nascite, indotto dall’aumento del costo relativo dell’allevamento dei figli. In generale (formula di Caldwell) il livello di fecondità di una società dipende dalla direzione e dall’ampiezza dei flussi di ricchezza scambiati tra genitori e figli o dal saldo netto tra questi due flussi ( figli poco costosi diventano una risorsa quando portano lavoro e soldi alla famiglia e viceversa). A contribuire al declino sono anche il processo di secolarizzazione e il maggiore coinvolgimento dei padri  nella vita familiare.
Epifenomeno della stagnazione demografica è l’invecchiamento della popolazione, passato nel ventesimo secolo dal 5% al 17% di ultrasessantenni, non tanto per l’allungamento della vita media, quanto per il calo della natalità. Nel 2010 in Europa vi saranno più ultrasessantenni che under-20 con un elevato indice di dipendenza.
L’aumento di popolazione nel tempo porta anche ad una sua concentrazione nello spazio, in grandi o grandissime città, vere società locali che forniscono risorse e stabiliscono regole per l’interazione individuale nei suoi aspetti economici, politici e culturali. Le società locali si strutturano intorno a due assi: uno orizzontale, per cui i diversi aspetti della società sono in una relazione specifica e significativa; e uno verticale per cui ogni aspetto è in diretta connessione con la cultura nazionale e globale, apprendendo e rielaborando i modelli che provengono dall’esterno.
La città è l’elemento base della società spaziale moderna, Wirth la vede come un insediamento relativamente vasto, denso e duraturo di persone socialmente eterogenee. Per Weber invece la città è una società locale completa, strutturata solo quando si dà i propri ordinamenti, senza dipendere da poteri politici superiori (cosa storicamente assai rara). Le prime città della storia nacquero ove vi erano le condizioni per uno sviluppo di un’agricoltura stanziale progredita, dopodiché  si evolvevano parallelamente al dislocarsi dei centri di potere e al nascere di grandi centri legati allo sviluppo capitalistico e industriale. Oggi più che di città si può parlare di conurbazioni, in cui l’identità amministrativa si dissolve. Il comune come soggetto politico di governo si sostituisce al governo centrale (regionale o nazionale) solo se questo non può garantire un livello migliore di interventi amministrativi a livello di infrastrutture, servizi e sviluppo della società locale.
La nuova economia tende alla globalizzazione dei mercati, dei prodotti, dei beni e dei servizi, cosa che permette di ottimizzare costi e risorse, ma che toglie potere ed influenza agli organismi politici nazionali sul controllo dei cicli economici, anche perché una parallela globalizzazione politica non ha ottenuto risultati soddisfacenti.

 

Fonte: http://azpsicologia.altervista.org/Appunti/Sociologia%20generale/Elementi%20di%20Sociologia%20generale.doc

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