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IL DHARMA

 

Dharma è un termine sanscrito che presso le religioni e le filosofie religiose dell'Asia meridionale riveste numerosi significati. Può essere tradotto come "Dovere", "Legge", "Legge cosmica", "Legge Naturale", oppure "il modo in cui le cose sono" o come equivalente del termine occidentale "Religione".

Il Sanatana Dharma non è una religione rivelata ma, secondo la stessa definizione del termine, è eterna, accompagna l'uomo nell'eterno ciclo. Si basa sull'autorità delle sacre scritture, i Veda, e comunque questa accettazione non fa dell'induismo una religione dogmatica o soggetta a qualsiasi autorevole personalità. Esso si basa essenzialmente sull'esperienza, sulla tradizione e l'obbedienza alle ingiunzioni vediche, sebbene essa non significhi schiavitù della ragione, ma al contrario stimoli la ricerca filosofica e spirituale, sotto la regia di una sovrana libertà.
L'enorme varietà dei punti di vista che troviamo è proprio dovuta a questa estrema capacità di ricerca; nel Sanatana Dharma quindi questa miriade di fedi, culture e filosofie, a volte anche distanti teologicamente tra loro, manifesta punti di convergenza comune, quali la reincarnazione, il Karma, la possibilità di liberazione, l'unicità di Dio, sebbene si esprima in una miriade di espressioni nello straordinario pantheon induista.
Da questi dati si possono dedurre tre caratteristiche fondamentali dell'induismo: è un insieme di culti, credo e tradizioni (è quindi un insieme di religioni); l'assenza assoluta di gerarchia; la totale assenza di proselitismo. Questi fattori fanno sì che l'induismo in Occidente non abbia una diffusione metodica e che si diffondano le tradizioni per una libera scelta di appartenenza ad un linguaggio spirituale. Il riconoscersi nell'induismo non implica nessuna conversione, ma diventa un'esigenza interiore nel momento in cui si comprende a fondo che quel tipo di tradizione usa un linguaggio spirituale che si sente come proprio.                                                                                           

 

Nella remota antichità, in India, un principe, fin da bambino, veniva affidato alle cure di un maestro perché innanzitutto lo istruisse sul Dharma, e questo tipo di istruzione doveva precedere tutte le altre, comprese quelle specifiche delle arti marziali, relative alla casta dei guerrieri a cui apparteneva, affinché le sue azioni potessero in seguito essere sempre illuminate dal giusto (Dharma) e per conseguenza portarlo verso la realizzazione e la felicità di se stesso e degli altri. La cultura spirituale indiana, suggerisce il risveglio della consapevolezza come via di realizzazione. È proprio per mancanza di consapevolezza che l'uomo oggi compie le sue azioni scorrette e poi come un bambino si lamenta dei mali di cui lui stesso è causa. Tutto deve partire da una comprensione delle fondamentali regole della natura che nella cultura indù prendono il nome di Dharma. Il Dharma è sia qualche cosa di fisso, stabile, saldo come nel Sanatana Dharma, letteralmente "la regola eterna", il vero nome spirituale del movimento che in occidente prende il nome di Induismo, sia la natura delle cose, ciò che le fa essere così come sono e non altrimenti. E' in base al Dharma, infatti, che i corpi celesti seguono il loro corso. Il Dharma è, dunque, una qualità della manifestazione così come la fragranza è un Dharma del fiore. Il Dharma tuttavia, analizzandolo da un punto di vista di maggior nostro interesse in questa relazione, è legge della natura e ordine sia del cosmo che della vita personale, poiché suggerisce le norme del comportamento individuale. Vivere seguendo il Dharma (il proprio Dharma lo si incontra nella coscienza purificata dall'ego), significa andare verso la propria vera natura e portare questa in armonia con il Sanatana Dharma (ordine cosmico, legge divina ed eterna), è l'essenza stessa della religione per un indù. Dal punto di vista pratico e a noi vicino il Dharma diventa come un codice di norme, come quello costituito dagli Yama dello Yoga, intese ad assicurare sia l'equilibrata relazione con gli altri e ciò che ci circonda, sia la propria salute spirituale. Gli Yama sono cinque:

  1. Ahimsa = non violenza, prima norma etica, prescrizione che si deve osservare e realizzare per poter proseguire lungo la via della realizzazione.
  2. Satya = veracità. Consiste nella coerenza di parole pensieri ed azioni.
  3. Asteya = astensione dal furto, dal prendere cioè ciò che non ci appartiene, ma anche sopprimere in sé addirittura il desiderio di tale appropriazione.
  4. Brahmacarya = controllo dell'istintualità, castità: primo passo dell'itinerario ascetico.
  5. Aparigraha = non avidità, non possesso.

Per un indù non tentare di seguire il Dharma significa essere nell'Avidya (parola sanscrita tradotta normalmente con ignoranza). Ma Avidya è non riconoscere la verità e quindi non riconoscere Dio e ciò porta a disastrose conseguenze come in tutta la cultura indù è testimoniato dagli antichissimi poemi epici che assumono grande importanza per chi è alla ricerca di norme comportamentali che si armonizzino con il divino. La spiritualità indiana suggerisce una vita profondamente responsabile dove le azioni siano appunto regolate dal Dharma: tiene conto cioè della grande regola di causa-effetto, anch'essa insita nella manifestazione. Le azioni corrette portano bene e felicità. Le azioni corrette sono quelle regolate dal Dharma.

 

Fonte: http://www.liceograssi.it/progetto_-dialogo_intereligioso/2012/per%20sezione%20(induismo)/1%20Dharma.doc

Autore del testo: Baglietto A.

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