Le crociate storia

 


 

Le crociate storia

 

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Le crociate storia

LA CRISTIANITÀ MEDIEVALE RINNOVATA

PREMESSA
Il possente movimento religioso che prese le mosse da Cluny e dal monachesimo si diffuse in breve tempo tanto largamente da abbracciare tutta la vita dell’Occidente cristiano. Non è tuttavia mai facile cogliere perfettamente il carattere cristiano di un’epoca. Molte e diverse furono, infatti, le sue manifestazioni: forme di pietà e di amore per il prossimo, spirito di sacrificio dei fedeli nel campo della carità e della vita ecclesiale, opere d’arte e di letteratura, intensa partecipazione ai doveri comunitari. Un’epoca va comunque misurata, più che sulle realizzazioni esterne visibile, sul grado di interiorità e di profondità con cui ha interpretato il messaggio evangelico. I laici, trascinati dal nuovo spirito di riforma, parteciparono al rinnovamento della vita ecclesiastica. Il possente impulso religioso trovò, infatti, la sua espressione, da un lato nel movimento delle Crociate e dall’altro nel movimento di povertà.

LE CROCIATE (1095-1291)

  • Il fondamento religioso del movimento delle Crociate è indiscutibile.
  • Le Crociate nacquero, infatti, dalla nuova coscienza comunitaria cristiana dell’Occidente, risvegliata dalla riforma gregoriana.
  • Ma oltre a questo motivo squisitamente religioso, nelle Crociate era anche presente una forte dose di impeto cavalleresco che talora si sfogò in forme di esaltazione bellica, indegne dello spirito cristiano, tanto da fare di esse gli avvenimenti più crudeli del medioevo.
  • Tra i loro presupposti bisogna annoverare la coscienza che l’Occidente cristiano aveva di possedere una missione da svolgere, le lotte in parte difensive e in parte offensive ai confini della cristianità (difesa dai Musulmani in Spagna e nell’impero romano d’Oriente, missione degli Slavi in Oriente), la forza del papato medievale e la pietà specifica della cavalleria occidentale che trovò in esse il fine che le si confaceva.
  • In qualità di “guerre sante”, esse contrastano vivamente con la missione nel senso del vangelo, tuttavia cedono sempre di più il passo proprio alla diffusione non violenta della fede a partire dal secolo XIII (S. Francesco).
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  • RADICI DELLE CROCIATE
  •       2.  L’idea delle Crociate non nacque affatto dal progetto di liberare la Terra Santa.
  • Le sue radici affondano in Europa, specialmente in Francia, e paradossalmente nel tentativo di stabilire la pace di Dio. Di per sé la guerra era di competenza del re, cui spettava salvaguardare la pace all’interno e all’esterno. Con la decadenza dell’autorità imperiale nella Francia meridionale, si moltiplicarono nei secoli IX e X le faide e i depredamenti del patrimonio ecclesiastico. Di conseguenza vescovi e sinodi promossero la pace di Dio. Per imporla si costituirono milizie della pace pronte a combattere (guerra alle guerre!). Un forte “sacerdotium” si assunse perciò i compiti di un debole “regnum”. Questa fu una delle cause che portarono all’idea della guerra santa.
  • Un’altra radice risale a S. Agostino, che disse lecita la guerra difensiva a protezione dei fedeli. Gregorio I propaganda la guerra anche come diffusione della fede e Carlo Magno ne fa più tardi uso. Di qui derivò poi la sacralizzazione della cavalleria: il cavaliere fu solennemente impegnato a difendere i beni dei poveri, delle vedove e della Chiesa. Malgrado le diverse obiezioni mosse da diverse parti, la disponibilità a combattere per la cristianità contro i nemici esterni, specialmente contro l’Islam, si diffuse sempre più, cosa cui contribuì anche l’alta considerazione di cui la lotta e la battaglia godevano di per sé tra i popoli germanici.
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  • PRECEDENTI STORICI
  • Contro intrusi pagani avevano già precedentemente combattuto principi della Chiesa, ad esempio contro i Vichinghi, i Saraceni (papa leone IV) e i Magiari (Ulrico di Augusta). Soprattutto la guerra contro gli Arabi in Spagna (reconquista) fu concepita come una guerra santa; essa fu condotta con nuovo vigore a partire dal 1050 e coronata dalla conquista di Toledo del 1085. Anche la cacciata dei Saraceni dalla Sicilia fu già una specie di Crociata. Il papato riformatore appoggiò le guerre sante all’interno e all’esterno: nel 1063 in Spagna, nel 1066 la spedizione normanna contro l’Inghilterra, la pataria milanese per la riforma ecclesiale interna. Gregorio VII meditò anche una Crociata contro l’Oriente, mediante la quale pensava di mettere fine con la forza allo scisma greco. Il suo successore Urbano II perfezionò coerentemente l’idea della Crociata, abbinando la guerra santa con il pellegrinaggio a Gerusalemme. Tali pellegrinaggi avevano una tradizione antichissima e continuarono anche quando gli Arabi, nel 637, conquistarono la città. Neppure la distruzione della chiesa del S. Sepolcro, perpetrata nel 1099 da Al Hakim “il pazzo” ne provocò un’interruzione significativa. Così al pellegrinaggio del 1064/65 parteciparono circa settemila pellegrini, guidati dall’arcivescovo Sigfrido di Magonza e con la partecipazione dei vescovi Gunther di Bamberga, Ottone di Ratisbona e del futuro vescovo Altman di Passau.
  • Ma la situazione politica in Oriente mutò radicalmente, quando nel 1071 Romano IV, imperatore romano d’Oriente, subì una sconfitta tremenda a Manzicerta, in Armenia, per opera dei Turchi Selgiuchidi.
  • Nel 1076 costoro conquistarono anche Gerusalemme e nel 1085 Antiochia, fino allora greca.
  • Il nuovo imperatore Alessio I Comneno si rivolse quindi ad Urbano II per chiedere l’appoggio dei cavalieri occidentali.
  • Nel novembre del 1095 si  riunì a Clermont un sinodo per la riforma. Alla sua conclusione il papa lanciò un appello per la liberazione del S. Sepolcro dal potere degli infedeli, appello che incontrò un’adesione spontanea. Numerosi cavalieri indossarono al grido “Deus lo volt”, il manto con la croce sul petto, che in seguito doveva diventare il simbolo dei Crociati. Scopo ufficiale era dunque la liberazione del S. Sepolcro che i Selgiuchidi avrebbero oltraggiato, tuttavia l’aiuto da portare ai greci e la loro riunificazione vi giocarono sicuramente un ruolo.
  • Un effetto collaterale consistette anche nel fatto che, in questo modo, il potenziale bellico della nobiltà occidentale veniva dirottato dalle faide interne alle guerre. Veniva formulata in tal modo l’idea, in sé contraddittoria, di un pellegrinaggio armato. Di conseguenza si sviluppò un nuovo rito di benedizione: accanto al bastone e alla bisaccia, antichi simboli del pellegrino, si benedisse ora anche la spada. Quanto fosse pronto il terreno per accogliere l’idea della Crociata, risulta dalle “Gesta Dei per Francos”, una relazione sulla prima Crociata, in cui leggiamo: «Quando giunse quel tempo in cui Gesù addita quotidianamente ai suoi fedeli, specie quando leggiamo nei vangeli: “chi vuol venire dietro me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”, un grande movimento percorse il paese dei Franchi, sicché chiunque desiderava seguire fervorosamente con cuore e animo puro Dio e portare la croce dietro di lui, non esitò ad intraprendere il più presto possibile il cammino verso il S. Sepolcro».
  • Questa pietà era radicata nelle tendenze del tempo. Gli ordini religiosi della riforma propagandavano la “vita apostolica”, volevano diventare “pauperes Christi”. Elementi a questo scopo erano la penitenza, che si esternava soprattutto in pellegrinaggi, la cura dei malati e dei poveri e la predicazione della “via salutis” come insegnamento catechistico impartito ai laici. Vita apostolica significava quindi vicinanza a Cristo, sequela di Cristo. La Crociata fu interpretata così come sequela quanto mai fedele di Cristo, della sua passione e morte, come una specie di martirio. I Crociati facevano penitenza per sé ma anche per quelli che erano rimasti in patria, i quali a loro volta li sostenevano con la preghiera e con donazioni in denaro e in beni naturali. Questa pietà assunse una forma particolare negli ORDINI CAVALLERESCHI.
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  • L’ORDINE DEI TEMPLARI fu fondato nel 1118 da otto cavalieri presso il tempio di Salomone con lo scopo di difendere con le armi i pellegrini che si recavano a Gerusalemme. Nel 1291 fu trasferito a Cipro. Nel 1311-12 fu travolto dalle macchinazioni del re francese Filippo il Bello e fu sciolto nel concilio di Vienne (1311-1312).
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  • L’ORDINE DEI GIOVANNITI O OSPEDALIERI fu fondato nel 1099 come confraternita all’ospedale S. Giovanni in Gerusalemme e poi fu trasformato in ordine. La sede fu trasferita a Cipro, poi a Rodi e infine a Malta (1530) e da quest’ultima sede ricevette il nome di “ORDINE DI MALTA”.
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  • L’ORDINE TEUTONICO  fondato da alcuni cittadini di Brema e di Lubecca negli anni 1189-90 come confraternita ospedaliera, fu nel 1198 trasformato in ordine cavalleresco. Si fondò lo Stato dell’ordine e nel 1525 Alberto di Brandeburgo lo trasformò in un principato protestante.
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  • GLI EVENTI
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  • PRIMA CROCIATA (1095-1099). Promossa da Urbano II e conclusa con la presa di Gerusalemme nell’estate del 1099 e la creazione di vari Stati cristiani d’Oriente basati sul sistema feudale europeo.
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  • SECONDA CROCIATA (1147-1149). Indetta da papa Eugenio III e predicata da Bernardo di Chiaravalle dopo la riconquista musulmana di Edessa. Comandata dall’imperatore Corrado III e dal re di Francia Luigi VII, si sciolse dopo il fallito attacco a Damasco. Quarant’anni dopo (1187) Saladino rioccupò Gerusalemme.
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  • TERZA CROCIATA (1189-1197). Comandanti: l’imperatore Federico Barbarossa, il re di Francia Filippo II Augusto, il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone. Scopo: riconquista di Gerusalemme.
  • Barbarossa annegò in un fiume dell’Asia Minore nel 1190, gli altri due sovrani litigarono e Filippo Augusto tornò in Francia. Riccardo concluse con Saladino un accordo che consentiva ai pellegrini cristiani di visitare la Città Santa.
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  • QUARTA CROCIATA (1202-1204). Promossa da papa Innocenzo III (1198-1216), fu monopolizzata da Venezia, che la deviò su Costantinopoli: i Crociati saccheggiarono la metropoli, abbattendo l’Impero bizantino e creando un “Impero latino” con Baldovino di Fiandra come imperatore. Questo Stato fu poi abbattuto nel 1261 dalla riscossa bizantina aiutata dai genovesi.
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  • LA CROCIATA DEI FANCIULLI. Si tentò allora quella Crociata dei fanciulli del 1212, che oggi ci appare inspiegabile. Migliaia di fanciulli e fanciulle, trascinati da grande entusiasmo, convenuti dalla Francia e dalla Germania, e guidati da due ragazzi, si avviarono verso la Terra Santa. Fu una terribile tragedia. Già in Italia la spedizione cominciò a disperdersi. Questa impresa fu davvero una “orribile e impressionante caricatura maligna” di Crociata. Si era convinti che la grazia di Dio si sarebbe servita dei piccoli per ottenere quello che i superbi eserciti non erano stati in grado di raggiungere.
  • Dalla bassa Lorena e dalla Renania molti giovani dai dieci ai diciotto anni si diressero verso sud, decisi, anche senza armi e senza soldi, a riconquistare il S. Sepolcro. Questa impresa è  stata definita “il trionfo e la sconfitta del concetto di povertà”. Il decenne Nicola di Colonia giunse con i suoi seguaci fino a Roma, ma qui Innocenzo lo rimandò a casa. Il gruppo francese guidato dal pastorello Stefano di Cloyes, riuscì a raggiungere Marsiglia, dove dei mercanti li caricarono sulle navi. Una parte perì in un naufragio; gli altri furono venduti come schiavi in Egitto e in Nordafrica.
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  • QUINTA CROCIATA (1217-1221). Bandita ancora da Innocenzo III che si servì anche del concilio Lateranense (1215) per rinnovare l’appello alla crociata e riscattare le sconfitte del 1204 e realizzata sotto il suo successore Onorio III, mirava ad attaccare prima l’Egitto, passando poi in Palestina. Occupata Damietta, i crociati dovettero poi sgomberarla per ritirarsi, e la spedizione finì. Vi partecipò anche, disarmato, san Francesco d’Assisi. Parteciparono quasi tutti i popoli della cristianità, fu una tragedia di disunione cristiana, di impegno eroico e di stoltezza diplomatica. Qualche volta il sultano Al-Kamil era stato disposto a restituire tutta la Terra Santa in cambio di una conclusione di pace, ma l’ostinata volontà di conquista del cardinale legato spagnolo portò al rifiuto di ogni offerta, ma anche al tramonto di tante speranze.
  • Intanto S. Francesco si recava dal sultano per recargli il messaggio del Vangelo; la sua predica non ottenne successo (durante la conquista di Damietta nel 1219 i cristiani si abbandonarono ad una terribile carneficina. In seguito essi caddero a loro volta prigionieri, ma furono trattati generosamente e risparmiati dal sultano), ma da questo viaggio ebbe inizio la pacifica missione francescana in Terra Santa.
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  • SESTA CROCIATA (1228-1229). Fu intrapresa, dopo lunghe esitazioni, dall’imperatore Federico II che allora era scomunicato.. Federico II ottenne per mezzo di trattati Gerusalemme, Betlemme, Nazareth ed altre località, e si autoincoronò re di Gerusalemme. Stipulò una tregua di dieci anni, a termine della quale i cristiani furono sconfitti a Gaza.
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  • SETTIMA CROCIATA (1248-1254). Comandata da S. Luigi IX di Francia, cominciò con un attacco all’Egitto e con la presa di Damietta. Ma a Mansurah i crociati furono battuti e Luigi IX fatto prigioniero: poté rientrare in Francia solo restituendo Damietta e pagando un forte riscatto.
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  • OTTAVA CROCIATA (1270). Ancora S. Luigi IX cercò di aiutare il pericolante “regno latino” con una nuova spedizione. Egli sbarcò dapprima a Tunisi, dove sperava di trovare aiuti contro l’Egitto. Ma in questa città morì di peste e la crociata si sciolse.
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  • Gli altri tentativi di questo secolo rimasero senza risultati. Si trattò per lo più di quelle piccole imprese che erano regolarmente organizzate tra una Crociata e l’altra, condotte da gruppi mezzo pellegrini, mezzo guerrieri che andavano in Oriente per adempiere i loro voti o per cercar fortuna.
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  • NEL 1291 IL SULTANO KHALIL PRENDE S. GIOVANNI D’ACRI E COSÌ FINISCONO LE CROCIATE.
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  • Le Crociate del secolo XIII non furono più, o non furono più nella stessa misura di prima, imprese collettive dell’intero mondo cristiano occidentale o di gran parte di esso, ma erano in sostanza spedizioni guidate da singoli sovrani e da singole nazioni. Era questo un chiaro indizio che la solidarietà dell’Occidente cristiano era già in decadenza. Se si prescinde dalla Crociata di Federico II, che fu un’azione più diplomatica che guerresca, le Crociate di questo periodo non riuscirono neppure a realizzare il loro scopo fondamentale, la riconquista dei luoghi santi; anzi, spesso fin dal principio, furono deviate dalla loro meta e non raggiunsero affatto la Palestina. L’entusiasmo per la causa della Terra Santa andò sempre più affievolendosi; c’era chi disperava della possibilità di un esito positivo, e chi addirittura metteva in dubbio che simili imprese fossero gradite a Dio.
  • Amin Maalouf a conclusione del suo libro “Le Crociate viste dagli Arabi” scrive: “In un mondo musulmano continuamente aggredito non si può impedire che emerga un sentimento di persecuzione che assume in alcuni fanatici la forma di una piccola ossessione: non si è forse visto il 13 maggio 1981, il turco Mehemet Alì Agca sparare al papa dopo aver spiegato in una lettera: ho deciso di uccidere Giovanni Paolo II, capo supremo dei Crociati? Al di là di questo atto individuale, è chiaro che l’Oriente arabo continua a vedere nell’Occidente un nemico naturale. Contro di lui ogni atto ostile – sia esso politico, militare o facente leva sul petrolio – non è che rivendicazione legittima. E non si può dubitare che la rottura avvenuta tra i due mondi abbia la propria radice nelle Crociate, a tutt’oggi considerate dagli Arabi come un vero atto di violenza”.
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  • RISVEGLIO DEL SECOLO XII. IL FENOMENO DEI PREDICATORI ITINERANTI
  • Le riforme monastiche dei secoli X-XI avevano già manifestato l’esigenza di ritornare alla povertà apostolica della Chiesa primitiva. La “vita apostolica” era strettamente connessa all’ideale di una vita povera di predicatore itinerante, conforme all’esempio offerto da Cristo e dai suoi apostoli. Questo desiderio, per l’influenza esercitata dal movimento crociato, favorì lo sviluppo di un vasto movimento popolare che ben presto si estese a tutto l’Occidente. L’immagine del Salvatore povero s’impresse nell’animo non solo di coloro che erano ritornati dalla Terra Santa, ma anche in chi era restato nel proprio paese e incitò gli uni e gli altri alla imitazione di Cristo. Si volle conoscere meglio il Vangelo (“secolo del risveglio evangelico”). Monaci e chierici si dedicarono alla lettura della Sacra Scrittura; ma anche semplici laici (novità di una coscienza laicale), che desideravano ardentemente imparare a conoscere dalla Bibbia la vita di Cristo e degli apostoli, si riunirono in piccoli gruppi per ricevere insegnamenti e spiegazioni del testo sacro. Il popolo cristiano era addirittura affamato della Parola di Dio e spesso non esitava ad affrontare lunghi viaggi per ascoltare grandi predicatori come Bernardo di Chiaravalle o Norberto.
  • In verità, il contrasto esistente fra la vita povera di Gesù Cristo e la Chiesa istituzionale del tempo, saltava agli occhi. La Chiesa feudale del medioevo era ricca non solo in Germania – ove i vescovi erano principi – ma anche in Francia, in Inghilterra e in Italia. Ovunque i vescovati erano in mano di nobili o di potenti. Il clero determinava la vita spirituale ed era intimamente legato ai signori feudali.
  • Ma – proprio in quel tempo – andava sorgendo nelle città fiorenti una classe borghese. Nella Chiesa cominciò a destarsi la coscienza del laicato, il quale volle formarsi un’opinione personale sui problemi religiosi e perciò ricorse alla Bibbia. La Chiesa non in tutti i casi ha saputo far proprie queste tendenze religiose e alcune di queste si sono rivolte contro di essa.
  • In questo periodo così pieno di ardore e di prontezza religiosa eruppero impetuosamente grandi correnti antiecclesiastiche di carattere popolare che si diffusero con rapidità tremenda in gran parte dell’Europa. Le cause possono essere le seguenti:
  • la decadenza della vita interiore religiosa,
  • la ricchezza, il lusso, la vita mondana ed incosciente di molti ecclesiastici,
  • l’affermarsi nelle città d’Italia e di Francia di una borghesia orgogliosa e animata da idee democratiche.

 

DUE PERSONAGGI EMBLEMATICI: ROBERT D’ARBRISSEL (1047-?) E ARNALDO DA BRESCIA
Robert d’Arbrissel, prete di Renne (Francia nord-occidentale) sentì l’esigenza di fare il predicatore itinerante. Partecipò alla lotta per la riforma della Chiesa. Ritiratosi a vita eremitica suscitò l’ammirazione dei fedeli. Per rispondere alle loro esigenze decise di fare il predicatore itinerante e, al suo seguito, non c’erano solo uomini ma anche donne. La sua insistente predicazione sulla povertà infastidì il vescovo che, in una lettera, gli  mosse i seguenti capi d’accusa:

  • la convivenza disdicevole tra uomini e donne;
  • la predicazione sulla povertà era svolta per puro spirito polemico nei confronti del clero mirante a sottrarre alla Chiesa le offerte dei fedeli;
  • egli vestiva male e poveramente.

È evidente che il vescovo non comprendeva i veri problemi del popolo di Dio. Di fronte a questo severo attacco, Robert troncò l’esperienza della predicazione itinerante e fondò un monastero doppio di monaci e religiosi a capo del quale era una badessa. La badessa era preferibilmente una vedova perché si riteneva che ella conoscesse meglio i problemi della vita. Le monache potevano essere vergini, vedove o anche prostitute redente. Si trattò di una struttura che diede importanza al ruolo femminile e, quindi, rivoluzionario per la sua epoca.
Arnaldo da Brescia era un canonico regolare che visse a Parigi. Venuto a Roma, si diede alla predicazione itinerante scagliandosi contro

  • il clero mondano (gerarchia compresa fino al capo supremo, il papa) e
  • il potere temporale del papa.

Prese anche le difese dei Comuni dando alla sua contestazione una valenza politico-religiosa. Arnaldo si trovò a svolgere la sua “missione” nel momento sbagliato ossia nel bel mezzo della contesa tra Federico Barbarossa ed il papa Adriano IV (1154-1159, unico papa inglese della storia). Il primo voleva essere consacrato, il pontefice temporeggiava ed Arnaldo divenne lo strumento del baratto. Adriano IV, infatti, acconsentì alle richieste del Barbarossa in cambio della consegna del predicatore e dei suoi seguaci. Arnaldo fu così catturato, impiccato, bruciato e le sue ceneri furono gettate nel Tevere. I seguaci di Arnaldo furono condannati nel 1184 insieme con i Valdesi.
Arnaldo da Brescia è una figura emblematica di personaggi spinti certo da tratti di fanatismo ma sicuramente in buona fede.

I VALDESI
I Valdesi, che solo in un secondo momento si trovarono in opposizione con la Chiesa e divennero setta, ebbero origine dal ricco mercante Valdo o Valdesio (1140-1217) (e non “Pietro Valdo”: il nome Pietro fu aggiunto per ragioni apologetiche parecchi decenni, se non secoli, dopo la sua morte) di Lione.
Intorno al 1173-1176 egli scoprì, leggendo Mt 10,5 ss, l’ideale di povertà e fece dono del suo patrimonio, per iniziare meglio un rigoroso apostolato di povertà e predicare la penitenza. I suoi seguaci si chiamarono “pauperes Christi” o “poveri di Lione”.
La sua predicazionecertamente motivata da pure intenzioni non fu, tuttavia, esente da esagerazioni e da dure critiche alla vita e nascondeva in sé gravi pericoli per la fede.
Il vescovo la proibì perché i seguaci di Valdo erano laici e perciò non erano qualificati a parlare di problemi di fede. Valdo si appellò al papa. Presentatosi personalmente al III concilio Lateranense del 1179, fu autorizzato dal papa Alessandro III (1159-1181) – che condivideva i suoi ideali di povertà – a predicare la penitenza, purché si guardasse da ogni forma di proclamazione dottrinale: condizione questa che appariva piuttosto elastica ed indeterminata..
Il vescovo rimproverò in seguito a Valdo di non averla mantenuta e gli proibì una seconda volta di continuare la sua predicazione. Di nuovo Valdo si rivolse a Roma, ma questa volta papa Lucio III (1181-1185) reagì duramente.
Nel 1184 (sinodo di Verona) egli proibì a Valdo ogni forma di predicazione e riprovò tutto il suo movimento, che nel frattempo aveva assunto forme radicali. Valdo si rifiutò di obbedire e – facendo appello alla sua vocazione interiore e alla missione ricevuta da Cristo – replicò che solo colui che tutto ha donato e che vive in totale povertà, ha il diritto di proclamare il messaggio di Cristo. Il papa rispose con la scomunica e la persecuzione.
Il movimento valdese, messo al bando, accrebbe sempre più la sua ostilità alla Chiesa ed accolse dottrine eretiche.

Elementi fondamentali del movimento valdese

  • Essi negano il valore della gerarchia ecclesiastica e del suo potere di sciogliere e di legare. Per Valdo, il sacerdozio non è costituito dall’ordine ma dal merito.
  • Attingendo al passo evangelico di Mt 6,5-6, i Valdesi affermano l’inutilità delle chiese e degli edifici di culto.
  • La confessione si può fare anche ai laici o a Dio stesso. Non riconoscimento del sacramento della penitenza.
  • I Valdesi negano il valore delle preghiere, delle elemosine, dei digiuni in suffragio per i defunti. Non credono nel Purgatorio.
  • Ogni menzogna è peccato mortale.
  • Rifiuto di giurare. Rifiuto e proibizione al loro interno di prendere le armi.
  • Povertà. Bisogna seguire non solo i precetti ma anche i consigli evangelici.
  • Le donne sono ammesse alla predicazione.

Valdo morì nel 1217. il movimento non riuscì a mantenere l’unità per molto tempo. In Francia mantenne un certo legame con la Chiesa cattolica, in Italia si mise all’opposizione. Nel secolo XV i Valdesi di Boemia si fusero con gli Ussiti.
Nel secolo XVI i Valdesi di lingua neolatina si unirono ai Calvinisti (sinodo di Chanforan, 1532). Si tratta di un passaggio fondamentale nella storia valdese, anche se è probabilmente eccessivo sostenere che Chanforan segna la “morte” del movimento valdese così come il medioevo lo aveva conosciuto, dal momento che la consapevolezza di una continuità ideale con il movimento iniziato da Valdo rimane forte, ancora fino ai nostri giorni.
Vittorio Amedeo di Savoia il 31/1/1686 ordina ai Valdesi di cessare ogni culto pubblico, ai pastori di allontanarsi; i templi devono essere distrutti, i bambini battezzati secondo il rito cattolico.. I  protestanti non ci stanno, si armano e scappano per le montagne fino in Svizzera. È l’inizio di una pagina buia della storia: massacri, morti, distruzioni.
Tre anni dopo, nella notte tra il 26 e il 27 agosto 1689 circa 1000 Valdesi partono da Prangins sulla riva del lago di Ginevra guidati dal pastore Enrico Arnaud. Vogliono tornare nella loro terra d’origine. È il “Glorioso Rimpatrio”. L’anno successivo cambia la situazione politica europea. I Valdesi sono tollerati. La vera emancipazione ci sarà solo nel 1848, quando Carlo Alberto riconoscerà loro i diritti civili e politici.
Oggi la Chiesa valdese – che in Italia, dopo il collegamento con i metodisti del 1979, ha come nome Unione delle Chiese metodiste e valdesi – conta circa 50.000 fedeli, di cui 30.000 in Italia e 15.000 nell’America meridionale.

IL MOVIMENTO DEI CATARI
Il termine catari deriva dal greco katharos, “puro”. Il movimento compare per la prima volta in Occidente, in Francia e in Renania nel 1140. Si tratta di un catarismo moderato o MONARCHISTA mentre il catarismo che si estenderà in Europa nel 1167 sarà di stampo più radicale o DUALISTA. La dottrina dei catari nasce dall’esperienza del male, della sofferenza cui si cerca di dare una spiegazione.
Inizialmente il movimento si profilava come una reazione contro la corruzione del clero, ma rapidamente esso si organizzò in una Chiesa settaria con una propria gerarchia.
Per i moderati esiste un unico principio, Dio buono, che ha creato il mondo che, poi, satana ha plasmato. I radicali, invece, sostengono un dualismo da sempre e insegnavano che il mondo era stato creato dal diavolo, cioè dal Dio cattivo dell’AT, e che esso era totalmente dominato da lui. Tutti i catari, quindi, ritengono che il mondo sia opera di satana con la differenza che i monarchisti sostengono che il mondo sia plasmato dal demonio mentre i dualisti affermano che il mondo sia stato creato da satana.
Anche le anime pure degli uomini erano state incarcerate nella materia cattiva. Solo i puri potevano liberarsi dalla materia con l’insegnamento di Gesù Cristo, angelo buono del NT. L’ascetismo e il completo rifiuto del mondo erano perciò stesso necessari. Ogni contatto con la materia cattiva rendeva infatti impuri e l’intera creazione in se stessa era peccaminosa. I “perfetti” dovevano scrupolosamente evitare, oltre al matrimonio, ogni rapporto sessuale, i piaceri della carne, ogni specie di lavoro materiale, beni e ricchezze terrestri.
I catari hanno come sacramento il “consolamentum” o “imposizione delle mani”.. Dopo tale rito i catari si dovevano suicidare o per inedia o per soffocamento. Le donne incinte erano costrette ad abortire perché si riteneva che portassero satana nel grembo.
I catari combattevano la Chiesa cattolica come la sinagoga di satana. Combattevano d’altronde anche lo Stato: l’imperatore era chiamato il “proconsole di satana”.
Dopo l’assassinio di un legato del papa (1208), INNOCENZO III (1198-1216) lanciò contro di loro e il potente protettore degli eretici Raimondo di Tolosa, una crociata, condotta da entrambe le parti con crudeltà selvaggia. I nobili francesi aderirono alla crociata a tutela dei propri interessi. Sono le cosiddette guerre contro gli Albigesi (1209-1229) condotte sotto la direzione militare di Simone di Montfort. Come tutte le guerre vide atti di eroismo ed efferati scempi, tra i quali vale la pena di ricordare il massacro di Béziers, in cui furono passati a fil di spada tutti gli abitanti della città. La leggenda tramanda che l’ordine del massacro recitava così: “Uccideteli tutti, Dio distinguerà i veri cristiani”.
Cerchiamo ora di valutare con obiettività la grande figura di papa Innocenzo III. Egli bandì, sì, la crociata albigese ma è stato senz’altro il pontefice più grande di questo periodo, grande per cultura giuridica, senso religioso e sensibilità religiosa. Fu in grado di riorganizzare tutto il patrimonio di S. Pietro mantenendone l’indipendenza; rifacendosi al Dictatus papae, riaffermò la dualità tra “sacerdotium” e “regnum” ribadendo la superiorità del potere spirituale su quello temporale. È il Sole, ossia il papato, ad illuminare la luna, vale a dire l’impero.
La sua sensibilità religiosa lo portò al dialogo con movimenti che pur inizialmente assunsero una posizione antiecclesiastica, come il movimento degli Umiliati della Lombardia. Si trattava di un gruppo di fedeli che vivevano insieme producendo lana non tinta; erano sposati e le donne partecipavano al lavoro. Rifiutavano il giuramento, digiunavano tre volte la settimana e predicavano. Gli Umiliati erano stati condannati nel sinodo di Verona del 1184 da Lucio III ma Innocenzo III li riaccolse nella Chiesa nel 1201. Il papa inquadrò gli appartenenti al movimento in tre classi:

  • regolari, preti e religiose,
  • laici che vivevano in comunità separate
  • laici viventi nel mondo.

L’ordine sarà poi abolito da S. Pio V nel 1571; sopravvissero solo le Umiliate, la cui missione fu quella di curare i malati di lebbra.
Innocenzo III seppe capire ed accogliere Domenico di Guzman e Francesco d’Assisi che pure per amore della povertà era ai confini con i movimenti eterodossi.
Innocenzo III, come detto, bandì la crociata albigese. La crociata si scatena quando nel 1208 uno dei legati pontifici fu ucciso probabilmente con la complicità del conte di Tolosa Raimondo VI. Questi aveva intuito che un appoggio forte alla Chiesa catara gli avrebbe permesso di ottenere libertà dal papato e di recuperare i possedimenti ecclesiali nelle proprie terre. Innocenzo III non indugiò oltre: se da tempo già chiedeva insistentemente al re di Francia d’intervenire per combattere l’eresia che divideva la Chiesa e la Francia, ora si trovava fra le mani un’arma decisiva: era evidente che gli eretici non minavano la sola vita della Chiesa, ma la stessa esistenza pacifica e civile. D’altronde, al re non mancavano certo interessi politici e personali, per decidersi ad intervenire contro lo scomunicato conte di Tolosa. Quella che mosse verso la Languedoc, nel 1209 era una vera e propria crociata: già due anni prima, con una bolla emanata il 17 novembre, Innocenzo III aveva invitato a combattere promettendo le medesime indulgenze che venivano concesse ai crociati della Terrasanta; ora l’armata della vera fede si metteva in marcia. Come per le Crociate in Terrasanta, si trattava di una congrega di credenti e mercenari, di malviventi e fuorilegge: tutti spinti, con motivi contrastanti, ad ottenere il perdono per i propri peccati o i propri delitti. Al comando delle truppe, segno dell’unità tra regno di Francia e Chiesa, c’erano il monaco Arnaldo da Citeaux e il conte Simone di Montfort. La guerra durò per venti anni. Dopo la strage di Béziers e dopo aver conquistato Carcassonne e Narbonne, i crociati posero l’assedio a Tolosa: ivi morì, colpito da un colpo di balestra, Simone di Montfort; la città cadde nel 1229, quando ormai la crociata si era trasformata interamente in una questione politica. Il trattato di pace, firmato a Meaux da Raimondo VII, figlio del vecchio conte filo-cataro, ebbe una duplice conseguenza: politicamente ricondusse Tolosa sotto il dominio del re di Francia; religiosamente segnò l’avvento effettivo di quella che sarà, negli anni seguenti, l’Inquisizione.
Un punto particolare, contenuto nel trattato, doveva diventare decisivo: l’equiparazione del crimine di eresia con quello di lesa maestà, per cui il potere civile era, da quel momento, tenuto a collaborare col potere ecclesiastico nella ricerca e nella condanna di chi si fosse posto contro la fede.

L’INQUISIZIONE
In questi anni fu organizzata l’Inquisizione, vale a dire l’istituzione ecclesiastica incaricata di ricercare (inquirere) e punire gli eretici. Nel medioevo la comunità politica è fondata sull’unità religiosa e sullo strettissimo vincolo fra l’autorità religiosa e quella civile, entrambe derivanti da Dio, entrambe volte allo stesso fine, il bene ultimo dell’uomo. In questa situazione la Chiesa ritiene, sì, illecito usare la forza per addurre i pagani alla fede, ma considera legittima la coazione per punire gli eretici e ricondurli all’ortodossia. Vari fattori spiegano la linea di condotta della Chiesa.

  • Il concetto della libertà è ben diverso dal nostro: per Tommaso “accipere fidem est voluntatis, sed tenere jam acceptam est necessitatis”.
  • L’eresia appare non solo come un delitto contro la verità, un delitto contro la fede, ma un crimine contro la società, un tentativo di rovesciare l’ordine civile, fondato sulla religione.
  • C’è l’influsso del diritto romano assai severo contro i Donatisti e i Manichei: la colpa degli eretici era paragonata a quella di alto tradimento e considerata degna di morte.
  • In Francia e in Germania si erano verificati dei linciaggi di eretici da parte della folla imbestialita: occorreva porre un freno all’arbitrio delle masse e regolare giuridicamente la procedura contro gli eretici.
  •  
  • L’Inquisizione si evolve in quattro fasi.
  • L’intervento dei vescovi: la repressione dell’eresia è affidata ai vescovi, che direttamente o indirettamente devono compiere periodiche ispezioni nelle loro diocesi, valendosi anche di laici o preti fidati, i cosiddetti testimoni sinodali, scelti in ogni parrocchia. La procedura è abbozzata nel sinodo di Tours (1163).
  • L’intervento dei legati: sono scelti dal papa. Innocenzo III invia legati in Francia più allo scopo di predicare e convertire che di condannare. Viene organizzato un sinodo a Tolosa (1229) che prende le seguenti deliberazioni: gli eretici scoperti, convinti, i loro fautori e protettori devono andare al rogo; chi dà asilo politico agli eretici, è privato della proprietà; la casa dove viene scoperto l’eretico deve essere rasa al suolo e il luogo confiscato; gli eretici recidivi devono essere arsi.
  • L’Inquisizione monastica: Gregorio X (1231-1232) affida la lotta a un determinato ordine (francescani o domenicani).
  • Innocenzo IV (1243-1254) permette l’uso della tortura, ormai comune nella procedura del tempo, nonostante il parere contrario emesso quattro secoli prima da Nicola I che nei “Responsa ad Consulta Bulgarorum” l’aveva condannata come offesa contro ogni legge umana e divina.

Non bisogna poi confondere l’Inquisizione medievale di cui stiamo parlando, con quella spagnola, organizzata alla fine del secolo XV, e con l’Inquisizione romana, istituita da Paolo III nel 1542: si trattava di un tribunale pontificio con giurisdizione universale (S. Uffizio).

In concreto, l’inquisitore pubblicava l’editto di grazia: assoluzione a chi confessava. Era pubblicato l’editto di fede: citava a giudizio tutti i sospetti di eresia: chi confessava era assolto. Se negava erano ascoltati i testi. Se persisteva si poteva procedere alla tortura. Le torture erano eseguite piuttosto di rado.
L’accusato poteva essere assolto o condannato a varie pene, o affidato al braccio secolare che lo condannava a morte. La gerarchia direttamente non ha mai pronunciato condanne a morte.
Le condanne a morte furono però relativamente rare; approssimativamente si può parlare di una percentuale del 5 % rispetto ai processi portati a termine. Col tempo la giurisdizione dell’Inquisizione venne estesa anche alle streghe: i processi contro queste disgraziate continuarono fino al secolo XVIII e si moltiplicarono soprattutto nell’Europa centro-settentrionale, dove le vittime superarono varie centinaia di migliaia.
Il movimento francescano poteva costituire un ostacolo sufficiente al pericolo cataro. L’Inquisizione poteva essere un’iniziativa superflua: è chiaro che i contemporanei non potevano avere la sicurezza che abbiamo noi oggi. L’intolleranza era patrimonio comune nel medioevo, la Chiesa ha fatto uso di mezzi che il diritto penale dell’epoca le forniva. Comprendere non significa però giustificare o assolvere. I vari atti compiuti durante l’Inquisizione erano ben lontani dal genuino spirito evangelico: non resta che riconoscere che, almeno in questo, l’età moderna, pur fra errori e deviazioni, ha meglio compreso le esigenze del messaggio cristiano.

LA LEGGENDA NERA ALLA LUCE DEI FATTI di Lucio Brunelli. Leggere sulla dispensa.

I MOVIMENTI RELIGIOSI

Quasi contemporaneamente al papato riformista successivo al 1046 e al gregorianesimo, il paesaggio religioso fu percorso da diversi movimenti e gli ordini religiosi cominciarono a differenziarsi una volta per sempre.. All’inizio del secolo XI andò a poco a poco formandosi un atteggiamento critico nei confronti delle collegiate e dei monasteri ricchi inseriti nel sistema economico feudale. Si voleva ritornare alla primitiva “Ecclesia apostolica et evangelica”, con la conseguente protesta delle forme di vita influenzate dal diritto germanico.
Circa la povertà: non bastava più quella del singolo monaco e che invece la comunità monastica potesse disporre di grandi entrate. Si voleva la rinuncia a qualsiasi sicurezza terrena. Per questo i monaci si ritiravano da soli o con altri in boschi lontani e solitari per vivere esclusivamente per Dio. Si guadagnavano da vivere con il lavoro delle proprie mani, dissodando all’occorrenza pezzi di bosco che trasformavano in campi o prati. Nel loro radicalismo potevano arrivare al punto di considerare la proprietà di chiese private, di diritti di decima e di altare come inconciliabile con il monachesimo e di respingere persino le donazioni di terre. Protestavano contro la grandiosa attività edificatoria, spesso svolta dai monasteri di stampo antico, contro le sontuose decorazioni delle chiese conventuali, contro i paramenti preziosi e i costosi vasi sacri. Le loro abitazioni, oratori e chiese erano invece poveri e modesti.
Questo movimento non era portato avanti solo dai monaci. Già nell’epoca patristica, richiamandosi alla prima comunità di Gerusalemme, il principio della povertà era stato riferito ai chierici e Agostino lo aveva tradotto in pratica.
Nel sinodo romano del 1059 Ildebrando chiese per tutti i canonici la povertà personale.. I rapporti tra centri monastici e laici cambiarono considerevolmente nel corso del secolo XI. I contadini e i vassalli erano praticamente penetrati nei diversi strati sociali perché i monasteri di stampo antico facevano prosperare accanto a sé aziende economiche di carattere feudale con i loro servi e serve. Una posizione particolare era quella dei cosiddetti conversi, persone devote che abitavano ai margini del monastero, avevano rinunciato a parte delle loro proprietà e conducevano una vita quasi monastica. Dalle loro file sorse l’istituto dei fratelli laici. Questi non erano monaci in senso vero e proprio; fino al XIV secolo non emisero alcun voto religioso. Questo movimento è favorito dal desiderio dei laici di ascesi, dei monaci di amministrare direttamente i beni, e contemporaneamente di separare il convento dal mondo.
Un fenomeno importante collegato al fermento della vita religiosa è quello dei predicatori ambulanti che esercitarono un influsso enorme sulle masse popolari.

 

S. Romualdo (950-1027), nobile di Ravenna, fondò la comunità eremitica di Camaldoli e altri monasteri che rappresentarono una singolare combinazione di vita eremitica e cenobitica.
La vita monastica comunitaria di “fondovalle” (convento) doveva costituire il presupposto spirituale, pedagogico, economico per gli eremiti abitanti sulle alture. Doveva assorbire il rumore del mondo e regolare gli affari economici. Tra i Camaldolesi fiorirono i più ardenti propugnatori della riforma della Chiesa.

S. Brunone di Colonia (1031-1101) nel 1084 fondò la Grande Chartreuse (presso Grenoble). I monaci vivevano in piccole casette dove pregavano, studiavano, svolgevano il loro lavoro domestico e di giardinaggio. Per la Messa solenne la comunità si ritrovava nella chiesa e per le feste alla mensa comune. Per il resto vigeva l’obbligo di un rigoroso silenzio, mortificazione e severa contemplazione, astinenza dalle carni, preghiera e lavoro. I monaci vestivano un abito bianco. “Cartusia numquam reformata, quia numquam deformata”.

L’abate Roberto di Molesme (+ 1111) fondò nell’anno 1098 nella zona desertica di Citeaux presso Digione un severo monastero riformato benedettino. Lo statuto dell’ordine poneva in rilievo la necessità della povertà apostolica, della solitudine e il dovere di preghiera e di un concreto lavoro manuale. I Cistercensi rifiutarono il tradizionale ordinamento feudale per i pericoli che essi vedevano intimamente connessi a questo tipo di proprietà.

  • La rinuncia alle chiese proprie e ad un’economia basata sui tributi e sugli affitti provenienti dalla locazione delle terre del convento;
  • il principio di un’azienda agricola a conduzione propria, che rese necessaria l’introduzione di fratelli laici;
  • la necessità derivata dal lavoro manuale, la troppo lunga preghiera corale dei Cluniacensi;
  • il principio della povertà, riferito al vestito, alla mensa, alla chiesa e al suo arredamento;

tutto questo programma unì i Cistercensi a molte altre comunità.
Tre circostanze rendono importante Citeaux:

  • lo spirito combattivo,
  • il geniale e carismatico Bernardo di Chiaravalle,
  • una costituzione religiosa piuttosto elastica.

La particolare importanza data al lavoro manuale e alla coltivazione agricola fecero sì che l’ordine creasse problemi economici.
Con Bernardo di Clairvaux (Chiaravalle) (1090-1153) il monastero in crisi per l’eccessivo rigore ebbe un fortissimo impulso. Bernardo fu chiamato “l’oracolo e il genio religioso del suo secolo” e in realtà fu un grande riformatore e un grande teologo, ma soprattutto è sempre stato un monaco, un santo, un mistico. Creò il nuovo stile della mistica di Gesù Cristo, della devozione mariana. Sotto il profilo della storia della spiritualità segnò il passaggio dal Cristo Pantokrator al Gesù umano della mangiatoia, al Figlio di una madre umana, all’Uomo dei dolori.

Il clero secolare non rimase esente dall’opera riformatrice. Quest’opera fu diretta anzitutto ai membri dei capitoli delle cattedrali e delle collegiate. Già S. Agostino aveva dato ai chierici che vivevano con lui una solida regola (canone = regola).
Più tardi a questo tipo di vita si dette il nome di “ordo canonicus”, corrispondente all’“ordo monasticus”.. Non si facevano i voti monastici, ma si praticava la vita comune. Poiché le comunità dei chierici col passar del tempo acquistarono sempre maggior libertà, un capitolare dell’805 ingiunse a tutto il clero del regno dei Franchi di vivere o “monastice” oppure “canonice.
Nei secoli IX e X, la vita comune fu abbandonata. La riforma gregoriana se ne interessò in maniera particolare, perché vide nel canonicato “regolato” una ragionevole possibilità di propagandare tra i sacerdoti, i diaconi e suddiaconi ad avere in comune le rendite, l’abitazione e la mensa e a condurre una vita apostolica. Ci furono allora “canonici regolari” o “canonici secolari”.
La più vasta e la più importante comunità di canonici fu l’ordine premonstratense, fondato da Norberto di Xanten (1082-1134).. Sentiva che la sua missione era quella di riformare la vita sacerdotale. Era consapevole che la vittoria delle eresie che si diffondevano in mezzo ai fedeli cristiani sarebbe stata possibile solo avvicinandosi al popolo nella povertà di Cristo. Nel 1120 fondò a Prémontré una comunità di canonici che vivessero secondo la regola di S. Agostino: come missione affidò ai suoi confratelli la santificazione del clero, la cura d’anime e la predicazione fra il popolo.

INNOCENZO III. S. DOMENICO E S. FRANCESCO
Durante tutto il suo pontificato, Innocenzo III (1198-1216) si sforzò di rinnovare la vita monastica nella Chiesa. Non solo le abbazie benedettine stavano attraversando una minacciosa crisi economica e religiosa, ma anche gli ordini riformisti del XII secolo (i cistercensi e i canonici regolari) sembravano colpiti da un’eguale perdita di motivazioni religiose. Il papa si appellò agli ordini stessi, incaricò i vescovi di compiere le visite canoniche, mandò i suoi legati a rendersi conto delle diverse situazioni e a risolvere i casi più urgenti.
Nello stesso tempo egli favorì il sorgere di nuove congregazioni. Ma in modo particolare cercò di condurre con mano prudente verso la Chiesa la grande forza associativa che si era manifestata nel movimento pauperistico della sua epoca in molte regioni della Francia e dell’Italia (specialmente nei gruppi eretici). Riuscì a guadagnare una parte degli umiliati della Lombardia. Similmente in Spagna fecero ritorno alla Chiesa alcuni settori del movimento valdese con Durando di Huesca.
In questo contesto entrano gli inizi dei due grandi ordini mendicanti, che nel corso del secolo XIII furono di  modello ad altre fondazioni religiose. Non è sorprendente che essi abbiano avuto origine proprio là dove erano sorti i più pericolosi focolai di crisi, cioè nella Francia meridionale e nell’Italia centrale. In verità i contatti di S. Domenico con l’eresia furono molto più determinanti di quelli di S. Francesco con i fenomeni simili nella sua terra umbra.

I QUATTRO ORDINI MENDICANTI

FRANCESCO D’ASSISI (1181-1226) E DOMENICO DI GUZMÀN (1170-1221) mostrarono alla Chiesa e alla società del loro tempo la strada giusta per uscire dal dilemma in cui si trovavano: la Chiesa divenuta ricca e potente, e la società cristiana floridissima correvano, infatti, il gravissimo pericolo sotto il peso dei loro beni di perdere il contatto con le classi popolari povere.
Vissero l’ideale della povertà nella perfetta imitazione di Cristo, senza scagliarsi con cieca rabbia contro la ricchezza degli altri e senza rigettare la proprietà come intrinsecamente cattiva.

Francesco è uno dei pochi cristiani che divennero patrimonio comune di tutta l’umanità al di là delle barriere religiose e confessionali.. Sue caratteristiche furono una naturalezza incantevole, una grande profondità di sentimenti, un amore tenero per tutte le creature, un animo giulivo, un grande rispetto per la personalità dei singoli, intraprendenza e ardimento, grande libertà per dedicarsi ad un’attività su scala mondiale o nell’appartarsi per condurre una vita eremitica, rifiuto consapevole di norme coartanti e una freschezza evangelica originaria. Intuì la vacuità degli ideali cavallereschi dell’onore e dell’azione eroica, li sublimò e li sostituì di sostanza evangelica.
Nelle scuole cittadine di Assisi raggiunse il livello medio della cultura contemporanea. Una prolungata prigionia durante la guerra fra Assisi e Perugia (1202) e una successiva malattia impressero una svolta decisiva nel suo sviluppo religioso, le cui fasi non sono facilmente individuabili. Ma che fu determinato dall’esperienza della maestà di Dio Padre, dalla preoccupazione per la decadenza della Chiesa (ricostruzione di cappelle in cattivo stato) e per le necessità dei poveri e degli ammalati intorno alla ricca Assisi. Per questa sua attività caritativa entrò in conflitto con il padre (1206-1207), che finì per diseredarlo.
Francesco, ridotto a povertà estrema, si mise sotto la protezione della Chiesa (vescovo). Alla dedizione per i poveri si aggiunse la volontà dell’apostolato. Altri compagni di Assisi si unirono a lui e cominciarono ad andare a due a due.
I frati si chiamavano minori, si stabilirono in parte nella Porziuncola, dove dal 1212 abitava anche Chiara d’Assisi, fondatrice del secondo ordine (clarisse).
Accompagnò la quinta crociata nel 1219 e riuscì a predicare personalmente alla presenza del sultano Al-Kamil. Questi non si convertì ma gli permise di predicare nei suoi territori. Francesco arrivò anche in Palestina, finché nell’autunno del 1220 ritornò in Italia.
Dopo il suo ritorno dall’Oriente, Francesco aveva chiuso la casa di studi sorta a Bologna, poi la riaprì su invito del cardinale protettore e nominò come primo maestro Antonio da Padova.
Molte malattie tormentarono il suo povero corpo. Morì il 4 ottobre 1226 in una grotta della Porziuncola, dopo aver completato il suo famoso Cantico delle Creature.
Tra l’altro, indubbiamente anche a motivo della sua tragica rottura con il padre carnale, Francesco vide con sospetto la figura patriarcale dell’abate. Nelle sue regole Cristo gioca perciò in veste di fratello, un ruolo fino ad allora sconosciuto nella tradizione delle regole monastiche. D’altra parte Francesco fu uno dei primi a formulare, in termini espressi nella regola, l’obbedienza al papa. Egli pretese e praticò il rispetto e l’obbedienza di fronte a sacerdoti e vescovi. Non volle alcuna esenzione. I suoi frati non dovevano predicare senza il permesso del vescovo. Ciò malgrado, tutta la sua vita fu una tacita protesta contro le autorità ecclesiastiche, ivi inclusi i monaci tradizionali che egli chiamava rispettosamente (e ironicamente) i suoi “signori”.
La divisione fu la tragedia del santo, al cui carisma si richiamarono tutte le successive osservanze dell’ordine. In sostanza subito dopo la morte di Francesco, emergono nell’ordine tre tendenze:

  • i rigoristi, fra cui i vecchi compagni di Francesco, come frate Leone e Cesario di Spira (gli spirituali, che dovevano sollevare tante tempeste contro l’ordine);
  • i fautori di un’osservanza mitigata, con frate Elia, che allargò la regola e costruì la basilica di Assisi, splendida esaltazione del fondatore ma al tempo stesso allontanamento dal primitivo ideale di povertà;
  • i moderati come Antonio da Padova e Bonaventura.

I pontefici dovettero intervenire più volte. Alle controversie sulla povertà si intrecciarono i conflitti politici. Con il passar del tempo la scissione si fece più profonda, dando origine a due rami distinti,

  • i conventuali e
  • i frati minori osservanti, spiritualmente più fedeli all’ideale primitivo.

La separazione definitiva si realizzò però solo nel 1517, con una bolla di Leone X. A un certo punto tra i minori osservanti la primitiva tendenza verso l’ideale di una povertà assoluta cominciava ad affievolirsi; sembrava necessaria una riforma.
Clemente VII nel 1528 riconobbe giuridicamente una nuova famiglia, i cappuccini, come un ramo autonomo dell’ordine francescano, retto da un superiore con il potere di un provinciale. Solo però nel 1619 dopo varie peripezie i cappuccini raggiunsero la completa indipendenza.

Francesco volle vivere letteralmente la vita apostolica “senza bastone, senza borsa, senza mantello”, povero, semplice, indifeso. Contro il movimento pauperistico eretico non si sarebbe potuta comporre predica migliore dal Cantico di frate Sole.
Francesco non fu un organizzatore, ma come dice Dante, un sole che “nacque nel mondo” (Paradiso XI, 49ss), fu un mistico, un poeta, un cantore e un orante, ma non un canonista, non un teologo o un predicatore nelle controversie. Tuttavia non fu un semplice sciocco, come qualcuno pensò, ma una persona intelligente, prudente, che conosceva i suoi limiti e perciò desiderò così presto la collaborazione della curia.

Domenico s’impegnò in una buona formazione teologica e animato da spirito apostolico operò con zelo tra gli Albigesi nella Francia meridionale. Le regole dei domenicani in fatto di povertà, più temperate rispetto a quelle più rigorose del francescanesimo, mantennero sì le proprietà necessarie allo studio, alla predicazione e alla cura d’anime (libri, monasteri, chiese, collegi), ma rifiutarono l’abituale proprietà terriera e la struttura agraria degli ordini monastici. Si vive di elemosine. L’ascesi deve servire alla predicazione: contemplata aliis tradere. Allo studio furono sacrificate usanze ascetiche, ritenute in passato indispensabili. Per esempio i frati ebbero celle singole e un lume con cui poter studiare anche di notte, cosa che sarebbe stata impensabile in un ordine monastico. Domenico anticipò in parte le categorie pastorali dell’evo moderno. Quanto alla regola religiosa l’elemento nuovo decisivo fu, come per gli altri mendicanti, che il singolo frate non doveva più promettere la stabilità in un singolo monastero, ma in una provincia dell’ordine. Questa mobilità fece dell’ordine uno strumento importante della curia romana. Per lungo tempo i domenicani rimasero solo alcune centinaia; avevano una mentalità più razionale del movimento francescano e proponevano una teologia tradizionalmente ortodossa, nonostante la ricezione di Aristotele. Lo sviluppo dell’ordine si ebbe nel 1300 quando i conventi arrivarono ad essere 557 in 18 province con 15000 frati. Domenico ebbe dei validi successori, sicché il suo ordine si vide risparmiare le gravi crisi di divisioni dei francescani.
La funzione centrale della predicazione nel programma dell’ordine indusse i legislatori ad esigere per ogni fondazione un maestro di teologia e un direttore di studi, a costruire in ogni provincia uno studium generale e infine a formare e istruire le vocazioni migliori a Parigi.

 

Bertoldo di Calabria (+ 1195) radunò sul Monte Carmelo una colonia di eremiti, cui nel 1207 il patriarca di Gerusalemme diede una regola che nel 1226 fu confermata dal papa.. Gli eremiti si consideravano fondati dal profeta Elia. Quando gli Stati fondati dai Crociati tramontarono, i carmelitani si ritirarono dapprima in Sicilia, in Inghilterra e nella restante Europa occidentale.
S. Simone Stock (1165-1265), asceta e predicatore popolare, trasformò l’ordine nel senso dei mendicanti; poi seguì la svolta verso la pastorale popolare e verso l’impegno nelle università medievali.
Un singolare dosaggio di vita contemplativa e di spirito apostolico fu poi introdotto nell’ordine ad opera dei riformatori spagnoli S. Teresa d’Avila (1515-1582) e S. Giovanni della Croce (1542-1591).. I carmelitani divennero cofondatori della Congregazione di Propaganda Fide (1622) e quindi di una missione mondiale sotto la guida del papa.

Gli eremitani di S. Agostino derivano il loro nome dal fatto che il Card. Riccardo Annibaldi ed Alessandro IV (1254-1261) raggrupparono autoritativamente gruppi già esistenti di eremiti in un ordine con costituzioni sul tipo di quelle dei mendicanti e nell’ambito della tradizione agostiniana. Come nei secoli XI e XII si erano formate comunità di canonici per conferire mediante il richiamo all’autorità di S. Agostino un valido sostegno alla nuova riforma del sacerdozio, così si formarono ora in tutte le maggiori città, da Padova a Erfurt e da Vienna a Oxford, centri vivi di dotti frati dediti alla cura d’anime.

I quattro ordini mendicanti furono di grandissima importanza per la vita ecclesiastica. Influirono sulla vita religiosa ed ecclesiastica del XIII secolo in modo determinante.
Dal loro seno non solo scaturirono i padri spirituali tanto amati dal popolo, ma anche i teologi più eminenti dell’alto medioevo. Si guadagnarono alti meriti nella lotta contro l’eresia e nei ripetuti tentativi di riunire le Chiese d’Oriente e d’Occidente. La prima fase della storia delle missioni cattoliche nel mondo fu determinata da loro. La letteratura della Chiesa ricevette da loro opere in parte indimenticabili in tutti i diversi campi (predicazione, catechesi, apologetica, filosofia, teologia, storiografia, esegesi, liturgia e poesia).
È vero che il loro inserimento nella vita delle Università e nella cura d’anime non si compì senza attriti, tuttavia la mediazione dei papi valse a far superare almeno le difficoltà principali. In questo primo secolo della loro storia l’ombra delle loro debolezze umane fu sempre ampiamente superata dall’indiscusso splendore delle loro imprese.
Alla vigilia della riforma protestante ogni città, che ci teneva un poco a se stessa, ospitava più conventi degli ordini mendicanti.
La pastorale cittadina fu svolta sostanzialmente da questi fin nel tardo medioevo inoltrato. Solo verso la fine del secolo XIV si scatenò con Wiclif e Hus, un’opposizione al loro monopolio pastorale.

 

Fonte:

http://anteprima.qumran2.net/aree_testi/studi/storiachiesa/storia-della-chiesa.zip/STORIA_DELLA_CHIESA.doc

Sito web da visitare: http://anteprima.qumran2.net

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