Aneddoti biografie curiosità e parole di Santi parte 2

 

 

 

Aneddoti biografie curiosità e parole di Santi parte 2

 

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Aneddoti biografie curiosità e parole di Santi parte 2

 

ANEDDOTI

E

PAROLE DI

SANTI 1

 

 

 

Tutti diciamo di essere sempre di corsa e quindi spesso accampiamo questa scusa per dire di non aver tempo per leggere, e tanto meno per leggere qualche vita di santo.

Ci sono però a volte degli aneddoti o delle parole che in poche righe possono da una parte tratteggiarci il carattere di una santità o colpirci con un insegnamento.

Nei tanti anni prima con “Una parola al giorno” e poi con ”Schegge e scintille”, spesso ho commentato con un aneddoto o con qualche parola di Santi, la parola di Dio del giorno. Ho raccolto in questi tre piccoli libretti buona parte di questi aneddoti e li offro a voi e a me perché la santità sia ancora e sempre una tentazione a cui cedere volentieri davanti ad un Dio che ama tutti e ciascuno in  particolare offrendoci la possibilità di essere anche noi “santi” unici ed irripetibili.

 

                                      Don Franco

 

CECILIA

 

Fu onorata a Roma con l’omonima basili­ca fin dal V secolo. La sua vita e la sua morte sono raccontati con brani che spesso sconfinano nella leggenda. Cecilia, nobile e ricca, si recava quo­tidianamente ad assistere alla Messa celebrata da papa Urbano nelle catacom­be lungo la via Appia, attesa da una moltitudine di poveri che ne conosceva­no la generosità. Data in sposa a Valeriano convertì an­che il marito, Dopo essere stata pro­cessata come cristiana venne martirizzata.

 

CANTARE LA GIOVINEZZA

Cecilia portava sempre con sé il Vangelo, né giorno né notte interrompeva il suo dialogo d’amore con Gesù, cui aveva votato la sua verginità. Costretta a fidanzarsi con il giovane Valeriano, fu stabi­lito il giorno del matrimonio; ma essa, accompagnandosi con l’organo, cantava: “Signore, il mio cuore e il mio corpo sono tuoi: con­servami vergine per te!” La prima notte di matrimonio, trovandosi sola con lo sposo, gli disse: “Mio dolce e caro Valeriano, ti rivelerò un mistero, se tu mi prometti di mantenerne il segreto”. Lo sposo giurò. Allora Cecilia disse: “C’è sempre un Angelo di Dio che mi segue e veglia sul mio corpo. Se tu serberai un amore puro per me, egli ti farà vedere la sua gloria”. Allora Valeriano rispose: “Se vuoi che io ti creda, fammi vedere il tuo Angelo”. E Cecilia: “Certamente lo vedrai, ma prima devi credere in Dio e ricevere il Battesimo”. Valeriano allora si fece cristiano, comprese l’amore puro della sua meravigliosa sposa e vide il suo Angelo. Quando furono condotti al martirio, alla domanda se non temessero di perdere la loro giovane vita e il loro grande amore, Valeriano e Cecilia risposero: “Questo non è perdere la giovinezza, ma cambiarla in meglio: dare l’amore che passa e ricevere l’amore eterno; dare una casa di mattoni, per ricevere una splendida dimora celeste; dare il fango e ricevere l’oro”.

 

 

CHIARA D’ASSISI Santa, Monaca

Penso che tutti abbiamo presente la freschezza e la gioia di questa ragaz­za che, affascinata dall’esempio di Francesco,     a diciotto anni consacrò nella povertà la sua vita a Cristo. Nacque così l’ordine delle Clarisse che lei guidò per 42 anni nel convento di S. Damiano, ad Assisi.

 

L’EUCARISTIA

Era un giorno pieno di sole. Le monachelle di S. Chiara in Assisi se ne stavano all’ombra delle stanze, occupate come sempre a pregare e a lavorare. All’improvviso scoppiò un tumulto di voci e di botte alla porta del convento. Era arrivata una masnada di armati, volevano prendere le monache e la loro povera roba. La porta, per fortuna, resistette, ma tutte tremavano di paura. S. Chiara andò in chiesa, levò l’Eucaristia dal tabernacolo e tenendo bene in alto l’ostenso­rio si affacciò alla grande finestra che dava sulla piazza di fuori. La piazza rigurgitava di soldatacci e delle loro lance e spade sguainate. Chiara alzò l’osten­sorio come forza benedicente di Dio. A quel gesto si quietarono le voci, come il mare quando cala il vento. Gli armati indietreggiarono e poi precipitosamente fuggirono. La signoria di Cristo aveva riportato pace e sicurezza.

 

DUE PAROLE DI CHIARA D’ASSISI

POVERTA’

L'uomo vestito non può lottare con uno nudo, perchè più rapidamente viene gettato a terra chi ha qualcosa con cui possa essere afferrato.

MARIA

Stringiti alla dolcissima Madre del Signore… Come la gloriosa Vergine, anche tu, con l’umiltà e la povertà, puoi portare sempre spiritualmente il Signore.

 

CIPRIANO, Santo, Martire

Era africano, nato a Cartagine verso il 210. Ed era pagano, insegnante ed avvocato di grido. Una provvidenziale crisi spirituale lo portò alla conver­sione nel 246 e solo tre anni dopo divenne vescovo della sua città. Ma ecco che l’imperatore Decio scelse proprio quel periodo per scatenare una persecuzione anticristiana. Venne decapitato nel 258 e i cristiani di Cartagine posero sotto il suo capo dei panni bianchi che, una volta intrisi nel suo sangue, conservarono come reliquie.

 

DALLA “PASSIO” DI SAN CIPRIANO

Al mattino del 14 settembre 258 molta folla si era raduna­ta a Sesti. Quando Cipriano fu davanti al proconsole Galerio Massimo disse al vescovo: “ Sei tu che ti sei presentato come capo di una setta sacrilega?” Il vescovo Cipriano rispose: “Sono io”. Galerio Massimo disse: “I santissimi imperatori ti ordinano di sacrificare”.  Il vescovo Cipriano disse: “Non lo faccio”. Il proconsole lesse ad alta voce da una tavoletta il decreto: “Ordino che Cipriano sia punito con la decapitazione”.  Il vescovo Cipriano disse: ‘‘Rendiamo grazie a Dio.”

Cipriano fu condotto nella campagna di Sesti e qui si spogliò del mantello e del cappuccio, si ingi­nocchiò a terra e si prostrò in orazione al Signore. Si tolse poi la dalmatica e la consegnò ai diaconi, restando con la sola veste di lino, e così rimase in attesa del carnefice. Quando poi questo giunse, il vescovo diede ordine ai suoi di dargli venticinque monete d’oro. Il Santo vescovo Cipriano subì il martirio il 14 settembre sotto gli imperatori Valeriano e Gallieno, regnando però il nostro Signore Gesù Cristo a cui è onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

ALCUNE PAROLE DI CIPRIANO

SOFFERENZA  

Le sofferenze sono per noi le ali per volare in cielo.

IMPARARE

Imparerà nel modo migliore chi di giorno in giorno imparerà ciò che è migliore.

FIGLI DI DIO  

Poiché chiamiamo Dio nostro padre, dobbiamo regolarci da figli di Dio, in modo che, se andiamo orgogliosi di avere Dio per Padre, anch'Egli goda di averci per figli.

GENITORI      

Se ami veramente i tuoi figli, devi darti alle opere buone per raccomandare in questa maniera i tuoi figli a Dio. 

SUPERBIA      

Ci sono quelli che, quando dovevano tenersi in piedi, caddero; e ora, che dovrebbero prostrarsi e umiliarsi, vogliono stare in piedi.

 

COLOMBANO Santo abate

Era nato in Irlanda nella prima metà del secolo VI°. Si fece monaco, fondò molti monasteri in Francia. Esiliato venne in Italia dove fondò il monastero di Bobbio. Morì nel 615.

 

GIOIA

Si racconta che un giorno san Colombano, monaco irlandese e fondatore di monasteri in Francia e in Italia, dicesse ad uno dei suoi seguaci: “Da che cosa proviene che la tua faccia è sempre sorridente quando lodo gli altri e biasimo il tuo lavoro?” Rispose il discepolo: “Perché nulla può rapirmi la gioia di essere visto e amato da Dio!”.

 

COSMA E DAMIANO, Santi Martiri

Messi a morte intorno all’anno 300 a Ciro, in Siria, questi due santi sono chiamati anargiri perché, secondo la tradizione, esercitarono gratuitamente la professione medica. A loro è dedica­ta una basilica romana.

 

UN BISTICCIO TRA FRATELLI

Una povera donna di nome Palladia soffriva da diversi anni per un flusso di sangue e dopo aver speso quasi tutti i suoi averi in medici e medicine e senza alcun miglioramen­to, avendo ricevuto notizie dei due fratelli medici, si rivolse con fiducia a loro in lacrime. La malattia come per miraco­lo cessò di esistere e la donna esultante di gioia e di immen­sa riconoscenza, non rimanendole che poche cose offrì ai fratelli un modestissimo dono: tre uova. I due Santi fratelli furono irremovibili nel rifiutare il dono memori del proposito fatto all’inizio della missione. Allora Palladia chiamò in disparte Damiano e scongiuran­dolo in nome di Gesù Cristo lo convinse ad accettare il pic­colo omaggio offerto da un cuore traboccante di infinita riconoscenza; e fece scivolare nella bisaccia le tre uova. Appena Cosma venne a conoscenza di questo fatto disap­provò energicamente il gesto del fratello e, per sottolineare ancora più la sua protesta manifestò il desiderio di non essere seppellito, una volta morto, vicino alla tomba del fra­tello Damiano. Un proposito violato per rendere felice una donna miracolosamente guarita per l’intervento caritativo dei due fratelli medici e un bisticcio tra fratelli per essere venuto meno uno dei due al programma impostosi. In nome di Cristo i due medici compivano una nobile missione umana e cri­stiana con carità fra­terna aiutando tutti i bisognosi di cure; spesse volte riportava­no guarigioni prodi­giose con l’imposizio­ne delle mani sugli infermi.

 

 

GIOVANNI CRISOSTOMO, Santo Patriarca

 

Giovanni (c. 349 - 407), divenuto presbitero ad Antiochia, si rivelò ben pre­sto un grande predicatore, al punto da essere soprannominato “bocca d’oro” (Crisostomo). Patriarca di Costantino­poli dal 397 al 404, esercitò con gran­de fermezza il suo ministero pastorale, attirandosi l’odio dell’imperatrice Eudossia e della sua corte, di cui de­nunciò la corruzione.

 

LA PEGGIORE CONDANNA

San Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli, di­fendeva con coraggio il Vangelo di Gesù contro gli eretici.

Tra questi, purtroppo, c’era anche l’imperatore Arcadio, che cercava ogni maniera per vendicarsi del santo. Gli consigliano: “Lo si mandi in esilio!”. L’imperatore osserva: “Che vale? Tutto il mondo egli considera sua patria”.

Gli propongono: “Lo si condanni alla confisca dei beni”. L’imperatore osserva: “I suoi beni sono dei poveri”.

Gli progettano i suoi ministri: “Lo si metta in carcere”. L’imperatore dice: “Sarebbe sua gioia divenire martire”.

Concludono: “Lo si condanni a morte!”. L’imperatore risponde: Gli aprirei le porte del cielo!”

Allora un consigliere propone: “O divino imperatore, se proprio si vuole la rovina del vescovo Giovanni, non rimane che una sola via: indur­lo a commettere un peccato. Questo egli stima per sé il peggiore dei mali!”

Questa certo fu la lode più grande che i nemici potes­sero fare a San Giovanni, che per la sua eloquenza fu chiamato Crisostomo”, cioè bocca d’oro”.

 

DAVANTI ALLA MORTE

San Giovanni Crisostomo stava morendo in esilio a Cimana, sul mar Morto. Disse ai presenti: "Datemi gli abiti più belli, perché arriva il Salvatore che attendo da tutta la vita"

 

ALCUNE PAROLE DI GIOVANNI CRISOSTOMO

ANIMA 

Trova la porta segreta della tua anima e scoprirai che è la porta del Regno dei cieli.

VOLONTA’      

Quando desideri, pensi; quando vuoi, fai. Desiderate meno e fate di più: Ecco l'arte della volontà.

MERITO

Stordirsi nelle azioni e con ciò pretendere di avere accumulato meriti con le opere: ecco un modo tra i più pericolosi di ingannare se stessi.

PECCATO       

Che cos'è il peccato davanti alla misericordia divina ? E' una tela di ragno che un soffio di vento basta a far volare via.

TESTIMONIANZA      

Cristo ci ha lasciati sulla terra per essere fiaccole che illuminano, fermento nella pasta, angeli tra gli uomini, adulti tra i bambini, uomini spirituali in mezzo a uomini carnali, per conquistarli, per essere seme e portare abbondanti frutti. Non ci sarebbero più pagani se ci comportassimo da veri cristiani.

GENERAZIONI 

Se il vecchio si comporta come i giovani è più ridicolo dei giovani.

INFELICITA’    

Nessuno può renderci infelici se non noi stessi.

POVERTA’      

Non tener conto della condotta del povero, L'unico titolo di favore del povero è la sua indigenza. Non esigere da lui nient'altro: fosse anche il più delinquente del mondo, se manca del necessario, cerca di saziare la sua fame. Così ha comandato Cristo.

MATRIMONIO  

Il matrimonio è il sacramento dell'amore... Quando marito e moglie si uniscono in matrimonio, non sono più un'immagine di qualcosa di terreno, ma di Dio stesso.

 

CRISPINO DA VITERBO(PIETRO FIORETTI),Santo, Religioso Cappuccino

Nato a Viterbo il 13 novembre 1668, fu un fratello laico cappuccino noto per le sue estasi contemplative e il suo amore per la natura. Il peregrinare di fra Crispino per le campagne orvietane durò quasi quarant'anni, con due brevi interruzioni che lo portarono per alcuni mesi a Bassano e per altri a Roma. Morì a Roma il 19 maggio 1750.

 

SAGGEZZA

Sapeva certamente dare gusto all’esi­stenza il cappuccino san Crispino di Viterbo (1668-1750), il primo santo canonizzato da Papa Wojtyla nel 1982. Di lui si racconta che diceva spesso ai confratelli e alla gente sfiduciata: “Dio provvede a tutto in abbondanza, quando teniate aperte due porte, cioè quella del Coro (alla gloria di Dio) e quella della Portineria (a beneficio dei poveri)”. Questo bravo laico france­scano aveva fatto la questua per 40 anni, catechizzando il mondo, e, divenuto anziano, lavorava ancora con energia nell’orto: “Smettete di lavo­rare, povero vecchio”, gli disse un frate. “Non sono io che fatico”, rispose san Crispino: “è la zappa che lavora, ed io sto qui per divertimento”. E questa la saggezza degli ingenui.

 

CRISTOFORO, Santo, Martire

Sembra fosse Palestinese di origine, fruttivendolo di professione. Convertitosi grazie al Vescovo di Antiochia, si era stabilito in Lidia dove esercitava la carità facendo il traghettatore lungo un fiume. Secondo la leggenda fu lo stesso Gesù a farsi portare in spalle da questo gigante buono.

 

LA LEGGENDA DI SAN CRISTOFORO

Era un gigante sincero. Andava in cerca della persona più forte del mondo. Pensò che fosse il re di Canaan. Si mise al suo seguito; ma quando questi venne sconfitto, s’accorse d’avere sba­gliato.

Era pagano. Quando gli dissero che il demonio è il più forte di tutti, volle mettersi al suo servizio. Ma un giorno, visto che il diavolo veniva scacciato negli esorcismi dalla Croce di Cristo, volle farsi cristiano.

Chiese ad un eremita: “Come posso servire Cristo?” Quegli di rimando: “Sai digiunare?” Rispose: “Non ci riesco!”. “Sai almeno pregare?”. “No!”. “Come puoi allora servire il Signore?”. “Non si può far null’altro per Lui?”

L’eremita pensò, poi disse: “Conosci tu il fiume, che inghiotte quanti cercano di guadarlo?” Il gigante rispose: “Sì!” E l’eremita: “Poiché sei molto alto, se ti mettessi sulla riva del fiu­me e aiutassi tutti quelli che vogliono passarlo, di certo faresti cosa grata al Signore”.

Rispose: “Ecco un servizio che posso fare per Cristo. Prometto che lo farò!”

Andò dunque sulle rive di questo fiume, si costruì una capanna e trasportava, senza mai stancarsi, tutti i pellegrini, reggendosi sul suo grande bastone. Un giorno un fanciullo meraviglioso lo pregò di volerlo aiutare a passare all’altra riva. Il santo gioiosamente se lo caricò sulle spalle e felice entrò nelle acque tumultuose. Ma più procedeva, più il bimbo sembrava pesare. Disse: “Bambino mio, sai che pesi come un mondo? Nel mezzo del torrente la fatica divenne enorme; anche il Bastone non serviva più. Ma finalmente, ecco l’altra riva. Allora esclamò: “Bambino mio, sai che ora sei leggero come un an­gelo?”

Deposto all’altra riva, il bambino meraviglioso rispose: “Grazie, amico! D’ora in poi tu ti chiamerai Cristoforo, perché hai portato con amore sulle tue spalle Cristo!”

Cristoforo allora piantò il bastone nella sabbia e l’indo­mani lo trovò fiorito, come una palma!

 

IL PERDONO

Una leggenda racconta che San Cristoforo fu insultato da un tale in mezzo alla folla. Cristoforo, soldato alto e forte, afferrò l'avversario, sguainò la spada e stava per trafiggerlo mentre la folla intorno lo incitava gridando: "Uccidilo, Uccidilo!.." Si ricordò allora della parola del Signore: "Così il Padre mio celeste farà a voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello".

Cristoforo, facendo un'enorme sforzo, represse la collera e ripose la spada nel fodero; al popolo che continuava a chiedere vendetta rispose: "Lo farei, ma non posso, perché sono cristiano".

 

 

DOMENICO, Santo, Fondatore

 

Domenico di Gutzman di famiglia e di animo nobile nacque a Calernega (Spagna) nel 1170. Divenne sacerdote. Scoprendo i danni prodotti dalle ere­sie fondò un ordine di frati predicato­ri poveri ed umili che predicassero con le parole e la vita. Onorio III approvò il nuovo ordine chiamato dei “Domenicani”. Nel 1221 Domenico, consumato dalle fatiche, morì a Bologna.

 

FEBBRE DI DIO

“Quanto vorrei avere una conoscenza di Dio piena, totale, perfetta” — disse un giorno un discepolo di Domenico al grande santo.

“E perché mai?,rispose san Domeni­co,Pensa a un ammalato divorato dal­la febbre; non s’immaginerebbe di po­ter bere un’intera tinozza d’acqua? Eppure quando la febbre se ne va, gli basta un bicchiere per la sua sete, e forse persino metà. Così, quando si è presi dal turbine del desiderio di Dio, ci s’immagina di poter portare nel proprio cuore l’infinito di Dio. Quando questa illusione sparisce, ba­sta un unico raggio della sua luce per inondarci di felicità e di speranza”.

 

I GUADAGNI DEL DIAVOLO

Passeggiava S. Domenico su e giù per il chiostro del suo convento, pregando.

La sera era serena e i frati tutti nelle loro celle, in religioso silenzio, quando il santo incontrò nascosto sotto il saio bianco e nero, il diavolo. Gli chiese: “Cosa fai a quest’ora nel mio convento?” Rispose il diavolo: “Quello che faccio tutto il giorno: i miei guadagni!”  Passando davanti al refettorio, S. Domenico chiese al de­monio: “Qui che guadagni fai?”. Rispose il nemico di Dio: “Colgo ifrutti dell’intemperanza e della gola dei frati”. Passando davanti alle celle: “E qui che guadagni fai?” “Molto ozio e pigrizia!”,rispose contento il tentatore. Davanti alla Chiesa, il demonio affermò di raccogliere molte distrazioni e tiepidezze; davanti alla biblioteca, molta curiosità e vanità, nel cortile, molte mormorazioni. Giunsero così, parlandosi sinceramente, davanti alla sala del capitolo, dove i frati si pentono e confessano le loro colpe. “E qui, che guadagni fai?” chiese Frà Domenico, incuriosito. Il demonio allora scrollò la testa con disappunto e rabbio­samente confessò: “Qui, purtroppo, perdo tutti i miei guadagni! I tuoi stupidi frati qui si confessano e si pentono delle loro mancanze. Dio li perdona e io rimango a mani vuote!”

Detto questo, vergognoso, sparì.

 

PAROLE CHE RESISTONO AL FUOCO

San Domenico, pas­sò tutta la sua vita, predicando il Vangelo. Avendo un giorno predicato contro gli eretici, scrisse le argomentazioni contro i loro errori e consegnò lo scritto ad uno di essi, perché vi meditasse sopra. L’eretico, la notte, radunò attorno ad un gran fuoco gli amici e mostrò loro lo scritto. Essi gli consigliarono di buttarlo nel fuoco: se non fosse bruciato, veramente conteneva la sana dottrina di Cri­sto. E così avvenne. Ritentarono di bruciarlo, perché la pro­va fosse più sicura; ma il foglietto, anche la seconda volta, non prese fuoco. Anche la terza volta ritirarono dal fuoco il foglio intatto e perciò più d’uno di loro si convertì al Si­gnore.      

 

LA PAROLA DI DIO

San   Domenico esortava spesso i fratelli, a voce e per lettera, a studiare sempre l’Antico e il Nuovo Testamento. Portava continuamente con sé il Vangelo di Matteo e le Let­tere di S. Paolo e meditava così lungamente queste ultime da arrivare a saperle quasi a memoria.

Un universitario, udendo predicare Padre Domenico otti­mamente, gli domandò in che libri studiava...

Rispose l’uomo santo: “Figliolo, nel libro dell’Amore (= La Bibbia) più che in nessun altro libro ho studiato: questo libro insegna ogni cosa!”

 

LA CASA DELLA MISERICORDIA

Uno studente di Bologna, tutto dedito alle vanità del mondo, ebbe di notte questa visione. Gli sembrò di trovarsi solo in piena campagna, quando scoppiò un violentissimo temporale. Cercò riparo nelle va­rie case, che vedeva. Bussando alla prima, una voce dall’interno rispose: “Io sono la giustizia: non puoi trovare riparo da me, perché tu non m’ami”.

Bussò alla seconda e gli fu risposto: “Io sono la verità: t’ho aperto la porta, ma tu certo non vuoi entrare, perché non vuoi riparo da me!”

Anche alla terza casa gli venne un rifiuto: era la casa della pace, che egli non aveva nel cuore.

Ma alla porta della quarta casa, lo accolse gentilmente un frate, bianco il saio, nero il mantello, (era Domenico!)che gli disse: “Qui puoi trovare sicuro rifugio: questa è la casa del Vangelo della misericordia di Dio”. Dopo questa visione, lo studente mondano, si recò al Con­vento dei Domenicani e cambiò vita.

 

CAPIRE DIO

“Capire Dio è impossibile” – disse San Domenico durante una delle sue prime lezioni alla Sorbona. “Come? Non siamo qui per questo?” – gli chiesero stupiti gli studenti.

“Noi siamo come quelle formiche che arrivano un giorno ai piedi di una altissima montagna di zucchero. Naturalmente non potevano rendersi conto della sua altezza. Così, ciascuna, si trascinò con forza un granello di zucchero al formicaio e poi si dissero: Domani torneremo e porteremo via tutto, tutta la montagna di zucchero. Cerchiamo di non essere come quelle formiche. Quel pochissimo che possiamo capire di Dio non ci renda ciechi”.

 

 

DOMENICO SAVIO, Santo

Pochi episodi salienti possono raccogliere la vita di questo ‘ragazzo di don Bosco’, che in pochi anni glorificò Dio diventando santo.

 

LA STORIA DI UNA STUFA

Domenico Savio  frequentava la scuola elementare di Mon­donio. Suo insegnante era don Cugliero, un bravo prete che, secondo le usanze del tempo, sapeva far rigare gli sco­lari anche con la verga e gli schiaffoni. Nelle rigide giornate d’inverno, la scuola era riscaldata e affumicata da una grossa stufa. Ora, un giorno che don Cugliero tardava ad arrivare e fuori nevicava, due monelli dopo aver parlottato e ridacchiato a bassa voce sgusciarono fuori della porta. Pochi minuti dopo rientrarono con due blocchi di neve, e senza che nessuno lo prevedesse li ficca­rono nella stufa. Un gran fumo, poi dalla stufa cominciò ad uscire un ruscello di acqua che invase l’aula. Ed ecco arrivare don Cugliero. Vede l’acqua fluire dalla stufa, si avvicina scuro in volto, toglie il coperchio... Si volta inviperito alla classe: “Chi è stato?”

I due colpevoli si guardano esterrefatti: se qualcuno ‘soffia’  il loro nome, saranno certamente espulsi dalla scuola. Come fare? A cenni decidono di scaricare la colpa sopra un altro. Con faccia di bronzo uno di loro si alza, tende il dito accusatore verso Domenico Savio: “E stato lui!”. Anche l’altro conferma con calore: “Sì, è stato lui!”

L’insegnante cade dalle nuvole, il suo volto si fa grave e triste: “Domenico! Proprio tu! Non lo avrei mai creduto!” Domenico si alza di scatto, ha il volto rosso per la ver­gogna e la collera, volge gli occhi in giro: come? nessuno lo difende? eppure tutti hanno visto. Nessuno ha il corag­gio di testimoniare per lui, perché quei due sono grandi e  ‘menano’. Il maestro continua: “Meno male che è la tua prima mancanza, altrimenti ti avrei cacciato di scuola!”

Domenico abbassa la testa, stringe i pugni. Sente gli occhi riempirsi di lacrime. Basterebbe una sola parola, e i veri colpevoli sarebbero smascherati. Ma il maestro ha det­to: “Se non fosse la prima mancanza, espulsione”. No, non vuole che i suoi compagni siano espulsi. Meglio patire in silenzio. L’insegnante continua la sgridata e lo mette in castigo. Tutta la classe trattiene il respiro. La lezione pro­segue ed ha fine. Al termine, però, uno che ha visto i veri colpevoli non ne può più. Non si tratta di fare la spia, si tratta di giusti­zia bella e buona. Quando tutti se ne sono andati, avvicina don Cugliero e gli spiffera tutto. Il prete cade dalle nuvole una seconda volta: “Ma allora perché? Poteva ben parlare, santo cielo, poteva ben dire…”

Il giorno dopo, dispiaciuto per aver castigato un inno­cente, avvicina Domenico: “Perché non mi hai detto che non eri stato tu?”. Domenico sorride: “Non importa. Ho pensato che quei tali sarebbero stati cacciati di scuola, e non volevo. Io invece speravo di essere perdonato. E poi... ho pensato a Gesù. Anche Lui fu accusato ingiustamente.

 

INCONTRO TRA SANTI

2 ottobre 1854. Nel cortiletto davanti alla casa del fra­tello di don Bosco avvenne il primo incontro. Don Bosco ne fu così impressionato che lo narrò nei minimi particolari, come se l’avesse registrato. La lingua è quella del 1800, ma la scena è vivace, sembra di vederla.

Era il primo lunedì d’ottobre, di buon mattino, allor­ché vedo un fanciullo accompagnato da suo padre che si avvicina per parlarmi. Il suo volto ilare, l’aria ridente ma rispettosa, trassero verso di lui i miei sguardi. “Chi sei, gli dissi, donde vieni?”

Io sono, rispose, Savio Domenico, di cui le ha par­lato don Cugliero; e veniamo da Mondonio”.

Allora lo chiamai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di vita fino allora praticato, siamo tosto entrati in piena confidenza, egli con me, io con lui. Conobbi in quel giovane un animo tutto secondo lo spi­rito del Signore e rimasi non poco stupito considerando i lavori che la grazia divina aveva operato in così tenera età.

Dopo un ragionamento alquanto prolungato, prima che io chiamassi il padre, mi disse queste precise parole: “Ebbene, che gliene pare? mi condurrà a Torino per studiare?”. “Eh, mi pare che ci sia buona stoffa”. “E a che può servire questa stoffa?” “A fare un bell’abito da regalare al Signore”. “Dunque io sono la stoffa, ella ne sia il sarto, dun­que mi prenda con lei e farà un bell’abito per il Signore”. “Io temo che la tua gracilità non regga per lo studio”. “Non tema per questo; quel Signore che mi ha dato finora sanità e grazia, mi aiuterà anche per l’avvenire”. “Ma quando tu abbia terminato lo studio del latino, che cosa vuoi fare?”. “Se il Signore mi accorderà tanta grazia, desidero ar­dentemente di diventare sacerdote”. “Bene, ora voglio provare se hai bastante capacità per lo studio. Prendi questo libretto (era un fascicolo delle Let­ture Cattoliche), quest’oggi studia questa pagina, domani tornerai a recitarmela”. Ciò detto lo lasciai in libertà d’andarsi a trastullare con gli altri giovani, indi mi posi a parlare col padre. Passarono non più di otto minuti, quando ridendo si avanza Dome­nico e mi dice: “Se vuole, recito adesso la pagina”. Presi il libro, e con mia sorpresa conobbi che non solo aveva letteralmente studiato la pagina assegnata, ma che comprendeva benissimo il senso delle cose in essa contenute. “Bravo, gli dissi, tu hai anticipato lo studio della tua lezione e io anticipo la risposta. Sì, ti condurrò a Torino, e fin d’ora sei annoverato tra i miei cari figlioli; comincia an­che tu fin d’ora a pregare Iddio, affinché aiuti me e te a fare la sua santa volontà”.

Non sapendo egli come esprimere meglio la sua conten­tezza e la sua gratitudine, mi prese la mano, la strinse, la baciò più volte e infine disse: “Spero di regolarmi in modo che non abbia mai a la­mentarsi della mia condotta”.

 

CONSACRAZIONE A MARIA

8 dicembre. Tutto il mondo cattolico è in festa. Il Papa Pio IX proclama verità di fede che Maria SS. venne al mon­do senza peccato originale: è il dogma dell’Immacolata Con­cezione. Torino risplende di una fantastica illuminazione: migliaia di palloncini colorati brillano ai balconi, sui ter­razzi, sulle rive del Po. Un’immensa processione di gente festosa s’incammina verso il tempio di Maria Consolatrice, patrona della città. A Valdocco, Domenico Savio entra nella chiesetta dell ‘Oratorio, s’inginocchia all’altare della Madonna, tira fuori di tasca un foglietto su cui ha scritto alcune righe pensate a lungo. Quella breve preghiera con cui Domenico si consacra alla Madonna diventerà famosa in tutto il mon­do: “Maria, vi dono il mio cuore; fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei, ma per pietà fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere un solo peccato”.

 

DESIDERIO DA ESAUDIRE

Un giorno San Giovanni Bosco dice ai suoi ragazzi: “Oggi è il mio onomastico e voglio farvi un regalo. Ciascuno di voi scriva su un foglietto il regalo che deside­ra da me; metta nome e cognome e me lo consegni. Io farò il possibile per appagarlo. Indovinare la gioia di quei ragazzi, che conoscevano be­ne don Giovanni e sapevano che, oltre di parola, era anche di cuore. Pensano, scrivono e poi aspettano... Don Bosco legge. Uno domanda un cappello, uno un vestito, uno unli­bro, un altro un giocattolo, ecc. Finalmente legge un biglietto sul quale è scritto: “Vo­glio che lei mi aiuti a diventare un vero amico di Gesù!”. Firmato: Savio Domenico. San Giovanni Bosco appagò il suo desiderio: aiutò vera­mente Domenico, che diventò santo.

 

LA MALATA DI COLERA

Durante un’epidemia di colera,passando una sera per via Cottolengo, Domenico Sa­vio fissa la facciata di una casa, e come se una voce lo chia­masse, infila le scale e sale velocemente. Senza esitare bussa ad una porta. Si affaccia il padrone di casa. “Scusi”, dice Domenico. “Qui ci dev’essere una persona colpita dal colera che ha bisogno di assistenza”. Il pover’uomo sbarra gli occhi: “No no, qui non c’è nessuno! Ci mancherebbe altro”. “Ma ne siete sicuro?” “Sicurissimo, diavolo!”. “Eppure si sbaglia. Permette che dia un’occhiata?”. Il padrone cade dalle nuvole. Lo sa bene che nella sua famiglia, grazie a Dio, stanno tutti bene. Ma quel ragazzo ha un’insistenza che sembra proprio: “Entra, entra. Andiamo pure a vedere. Ma vedrai che ti sbagli”. Girano le stanze, la cucina, il magazzino. Nulla.

“Ma non ha qualche altro stanzino, qualche solaio?”. “Ah!”,fa il padrone battendosi una mano sulla fronte. “Lo sgabuzzino! Che ci sia la Maria?” Salgono in alto, sotto la soffitta, in un misero bugigat­tolo. Rannicchiata in un angolo, con la faccia contratta nel­l’agonia, una povera donna sta morendo. “Presto, chiami un sacerdote”, sussurra Domenico, e si mette svelto a svolgere la sua opera d’infermiere.

“La Maria! Ma chi ci avrebbe pensato?”, continua a ripetere il brav’uomo mentre corre giù per le scale a chia­mare il parroco. Quella povera donna, che andava a fare le ore di servizio in alcune famiglie, gli aveva chiesto di poter dormire in quello sgabuzzino. Siccome partiva al mattino presto e tornava alla sera tardi, lui non se ne ricordava quasi più. Viene il parroco e amministra gli ultimi sacramenti alla moribonda. In un angolo, col cappello in mano, il padrone di casa continua a ripetersi: “Povera Maria! ... Ma quel ra­gazzo, come avrà fatto a saperlo?”.

 

PUREZZA

Un giorno un ragazzo portò all’Oratorio un giornale il­lustrato con figure poco pulite. Subito gli si radunarono in­torno cinque o sei amici. Guardavano, ridacchiavano. Do­menico si avvicinò. Vista la faccenda, prese dalle mani del proprietario il giornale e lo stracciò. Il ragazzo si mise a pro­testare, ma Domenico protestò anche lui, a voce ancora più alta: “Belle cose porti dentro l’Oratorio! Don Bosco si rompe la schiena tutto il giorno per fare di noi dei bravi cittadini e dei bravi cristiani, e tu gli porti in casa questa roba! Quelle sono figure che offendono il Signore, e qui den­tro non devono entrare!

 

IL BESTEMMIATORE

Un giorno, per le vie di Torino, quando c’erano i carretti trainati da cavalli, un cavallo si rifiuta di camminare, e il carrettiere si mette a snocciolare una litania di imprecazioni e di bestemmie. Domenico Savio gli si avvicina. Gentil­mente si toglie il berretto e, col suo inimitabile sorriso: “Signore, vuol farmi un favore?” “Con piacere, ragazzo mio!” , risponde l’altro, vinto dal modo cortese di chiedere. “Mi saprebbe indicare la strada per andare all’Oratorio di Don Bosco?” ,chiede quel furbacchione, che conosceva a memoria la strada. “L’Oratorio? L’Oratorio di Don Bosco? Proprio no! Mi dispiace, ma non so proprio dove sia”. “Allora, vorrebbe farmi un altro piacere?”. “Ma certo, ragazzino! Che cosa?” Domenico si alza sulla punta dei piedi per giungere all’orecchio del robu­sto carrettiere e mormora con gentilezza: “Vorrebbe farmi il piacere di non bestemmiare più”. Quell’omone diventa rosso. Poi stringe la mano del ragazzo: “Hai ragione, ragazzo mio! E una brutta abitudine... Ma ti prometto che mi sforzerò di vincerla”.

 

UN RAGAZZO CHE PARLA CON DIO

Dicembre. Don Bosco, come ogni sera, è curvo al suo tavolo di lavoro davanti ad un mucchio di lettere che attendono risposta e che l’impegneranno fin oltre mezzanotte. Ma ecco un discreto bussare alla porta. “Avanti. Chi è?”. “Sono io”, dice un ragazzino pallido facendosi avanti. “Oh, Domenico, hai bisogno di qualcosa?”. “Presto, venga con me, c è un’opera di bene da fare”. “Adesso, di notte? Dove vuoi portarmi?”. “Faccia presto, don Bosco, faccia presto”. Don Bosco esita. Ma guardando Domenico Savio, quel ragazzo che non ha ancora compiuto 14 anni, vede che il suo volto, di solito sereno è molto serio. Anche le parole sono decise come un comando. Don Bosco si alza, prende il cappello e lo segue. Domenico scende precipitosamente le scale, esce dal cor­tile, infila deciso una via, poi volta in una seconda, in una terza. Non parla né si ferma. In quel dedalo di vie e viuzze buie scantona sicuro come se fosse guidato da un radar. Lungo la strada, le porte si succedono alle porte. Domenico si ferma davanti a una di esse. Non ha letto il numero, nem­meno si è guardato intorno per orientarsi. Sale deciso la scala. Don Bosco lo segue: primo piano, secondo, terzo. Domenico si ferma, suona il campanello. Prima che qual­cuno venga ad aprire si volta a don Bosco e dice: “E’ qui che deve entrare”. Senza aggiungere altro scende e torna a casa.

La porta si apre. Si affaccia una donna scarmigliata. Vede il prete e alza le braccia al cielo: “E’ il Signore che lo manda. Presto, presto, altrimenti non fa più in tempo. Mio marito ha avuto la disgrazia di abbandonare la fede tanti anni fa. Adesso sta morendo e domanda per pietà di potersi confessare”. Don Bosco si reca al letto dell’ammalato, e trova un po­ver’uomo spaventato e sull’orlo della disperazione. Lo con­fessa, gli dà l’assoluzione riconciliandolo con Dio. Pochi minuti e quell’uomo muore. Passa qualche giorno. Don Bosco è ancora molto im­pressionato di ciò che è accaduto. Come ha potuto Dome­nico Savio sapere di quel malato? Lo avvicina in un mo­mento in cui nessuno li ascolta:  “Domenico, quella sera che sei venuto nel mio uffi­cio a chiamarmi, chi ti aveva parlato di quel malato? Come hai fatto a saperlo?”. Allora succede una cosa che don Bosco non si aspet­tava. Domenico lo guarda con aria mesta e si mette a pian­gere. Don Bosco non osa fargli altre domande, ma capisce che nel suo Oratorio c’è un ragazzo che parla con Dio.

 

ADORAZIONE EUCARISTICA

Sono le due del pomeriggio. Nell’Oratorio si divulga ra­pidamente una notizia strana: Domenico Savio è sparito. “C’era a colazione?”. “No. È accanto a me a tavola, e non l’ho visto, né a colazione né a pranzo”. “E a scuola?” “Nemmeno. Per tutte e tre le ore il suo posto è ri­masto vuoto, e l’insegnante non ne sapeva niente”. “Che sia ammalato?”. “Andiamo a vedere in camera”. Il lettino di Domenico è rifatto e ordinato. Di lui nem­meno l’ombra. “Sarà nella sala di studio, allora”. Ma anche lì nessuno.

“E allora? Che don Bosco l’abbia mandato qualche giorno in famiglia? In questo caso, avrebbe avvisato l’inse­gnante”. “Sai cosa facciamo? Lo diciamo a don Bosco. Se la sbrigherà lui”. Don Bosco, avvertito, rimase un attimo soprappensiero. Poi gli balenò un sospetto, sorrise e disse tranquillo: “Andate pure, so io dov’è”. Scese rapidamente le scale, entrò in sacrestia e quindi nel coro dietro l’altare. Domenico era là, in piedi. Con gli occhi sgranati nell’ombra fissava il tabernacolo. Aveva una mano poggiata su un leggio e l’altra raccolta sul petto. Don Bosco lo avvicinò, lo chiamò. Domenico non si mos­se. Allora lo prese delicatamente per un braccio e lo scosse. Domenico, calmo, si voltò verso di lui e domandò: “Oh, la Messa è già finita?” “Vedi, disse don Bosco mostrandogli l’orologio, “Sono già le due del pomeriggio”. Domenico si confuse, arrossì di quel grave ritardo, do­mandò perdono.

“Adesso va’ a pranzo”. tagliò corto don Bosco. “Se ti chiedono dove sei stato, rispondi che vieni dal fare una commissione per me”.

 

DEVOZIONE MARIANA

San Giovanni Bosco sognò san Domenico Savio avvolto di gioia cele­stiale. “Che cosa ti ha fatto più felice in punto di morte?”,gli chiese. “Essere stato devoto della Madonna”, rispose il suo giovane disce­polo.

 

INTERMEDIARIO

Un giorno Domenico Savio viene a sapere che due ragazzi hanno avuto una furiosa discus­sione e sono arrivati a offendere le loro rispettive famiglie; impossibile perdonare tali parole, dal momento che intaccavano il loro onore! Perciò i due decidono di regolare la cosa a colpi di pietra su un prato incolto. Domenico sente parlare della sfida. Li supplica di dimenticare, di perdonare. Fatica sprecata. Si è deciso di battersi: ci si batterà!

“Almeno”,supplica Domenico. accettatemi come testimone”. “Per nulla al mondo! Ci denunceresti. E arriverebbe qualcuno per impedire di batterci e noi vogliamobatterci!”, rispondono quelli con ira feroce.

“Io dirò niente a nessuno” ,insiste il ragazzo. “No! Tu vuoi impedircelo”. “Io non impedirò niente!”, afferma il piccolo. Vi chiederò soltanto una cosa prima dello scontro. “Lo prometti?”. “Lo prometto!”. Nel giorno e nell’ora stabiliti per il duello i due ragazzotti arrivano sul ter­reno. Il piccolo Domenico è già lì. Guardandosi con odio, i due prendono le munizioni: cinque grosse pietre. Si mettono in posizione. Ma ecco che Domenico si avvicina a uno dei due: “Tu ti batterai, d’accordo. Prima però mi hai promesso di concedermi una cosa! Ecco...” E subito si inginocchia fra i due avversari. Prende un piccolo Cro­cifisso di legno che portava al collo e lo solleva in alto:  “Ecco: voglio che la prima pietra sia lanciata contro di me. E lanciandola tu gridi: Gesù innocente è morto per i miei peccati, perdonando i suoi carnefici. E io, peccatore, voglio offenderlo vendicandomi. Dai! Tira il sasso!”

L’interpellato è sconvolto. Non può fare una simile vigliaccheria. “Ma tu sogni! Io non ho niente contro di te! Non voglio farti del male! Anzi, se qualcuno ti offende, sono pronto a difenderti.”.

Stesse parole rivolte all’altro avversario: stesso risultato. “Bene, esclama allora Domenico.Voi sareste pronti a battervi per difendermi e non siete capaci di perdonare un insulto per salvare la vostra anima che è costata il sangue di Gesù?”. Uno dei due ragazzotti, che più in avanti in età ricordava il fatto disse: “In quel momento mi sentii commosso e pieno di vergogna per aver costretto un amico così buono, come era Savio, a usare misure estreme per impedire il nostro stupido scontro. Volendo dimostrargli quanto aveva saputo convincermi, perdo­nai di cuore a colui che mi aveva offeso e pregai Domenico di indicarmi un sacerdote per confessarmi. Quell’episodio mi fece diventare suo amico e mi ri­conciliò con Dio, che certamente era stato molto offeso dal mio odio e dal mio desiderio di vendetta.”.

 

San Giovanni Bosco, in uno dei suoi sogni, vide Domenico Savio, ragazzo vivace, suo alunno morto qualche mese prima. Questi era a capo di una schiera di ragazzi e giovani; indossava una veste bianca ed era cinto di una fascia rossa. Pose nelle mani di don Bosco un mazzo di fiori, vi erano rose, viole, genziane, gigli, semprevive. "Che cosa indica codesto mazzo di fiori?", chiese don Bosco. "Simboleggiano le virtù che più piacciono al Signore.", rispose. "E quali sono?" "La rosa è il simbolo della carità, la viola dell'umiltà, il girasole dell'ubbidienza, la genziana della penitenza, le spighe della comunione frequente, il giglio della purezza; la sempreverde significa che queste virtù devono durare sempre e perciò simboleggia la perseveranza.

 

ALCUNI PENSIERI DI SAN DOMENICO SAVIO

SANTITA’

Per noi la santità consiste nel rimanere nella Gioia.

PECCATO

La morte ma non peccati.        

SANTITA’

Voglio assolutamente e ho assolutamente bisogno di farmi santo. Se non mi faccio santo non faccio nulla.

 

Elisabetta  della Trinità (Marie Joséphine Elisabeth Catez) beata,

Fu una suora carmelitana scalza francese di origine spagnola (Avord, Cher, 1880 - Digione 1906). Nota per le sue esperienze e per i suoi scritti mistici, è stata beatificata dal papa Giovanni Paolo II nel 1985.

 

IMPEGNO QUOTIDIANO

Elisabetta della Trinità, una monaca di clausura, affermava di essere impegnata tutto il giorno, senza un momento di pausa. A chi meravi­gliato le chiedeva spiegazione, rispondeva: “Debbo fare compagnia ai Tre ospiti divini che sono in me, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo voglio essere una lode vivente continua dell’amore infinito di Dio”.

 

ALCUNE PAROLE DI ELISABETTA DELLA TRINITA’

PREGHIERA    

La preghiera è un riposo. Molto semplicemente andiamo da colui che amiamo, stiamo con Lui e lasciamo andare il cuore.

DARE   

Più si dà a Dio, più egli si dà a noi.

SCORAGGIAMENTO   

Non scoraggiarsi mai. È più difficile liberarsi dallo scoraggiamento che dal peccato. Non inquietarsi se non si constatano progressi nello stato della propria anima. Spesso Dio permette questo per evitare un sentimento di orgoglio. Egli sa vedere i nostri progressi e contare ogni nostro sforzo.

PREGHIERA    

Non sono mai sola. Cristo è sempre lì, prega sempre dentro di me ed io con lui.

ESEMPIO       

Se il cattivo esempio è cosa tanto terribile e funesta, quanto bene può fare il buon esempio! È più eloquente d'ogni predica. Spesse volte, quanti si sono convertiti a contatto con persone sante, fossero pure semplici donnette!

MORALE        

Tutto per il dovere, nulla per il piacere, ma tutto con piacere.

 

ELISABETTA D’UNGHERIA, Santa

Elisabetta fu data sposa a 14 anni a Luigi IV dei duchi di Turingia. Nonostante il matrimonio combinato fu spo­sa innamorata; diceva: “Se amo tanto una creatura mortale, quanto dovrei amare di più il Signore immortale!” Fu madre di 3 figli. Ben presto però rimase vedova e contro di lei si scate­narono le cupidigie dei cognati. Venne scacciata dal castello, le furono tol­ti i figli per i quali rinunciò all’e­redità. Povera, divenuta terziaria francescana, si dedicò con amore al servizio dei poveri e morì a 24 anni, nel 1231.

 

CARITA’

Elisabetta d'Ungheria, la santa della carità, diceva ai poveri da lei beneficati: "Fate anche voi la carità". A loro che le rispondevano: "Ma come fare, se siamo poveri?", la santa regina replicava: "Non è sempre comandato d'aprir le borse: è comandato d'aprire sempre il cuore, e quando non abbiamo denaro, possiamo però avere sempre un cuore per compatire i bisognosi, due occhi per vederli, due orecchi per sentirli, due piedi per visitarli, due mani per servirli, una lingua per consolarli, incoraggiarli, istruirli, esortarli, correggerli…"

 

ENRICO II, Santo

Enrico lI (973—1024), insieme con la moglie, santa Cunegonda, fu sempre molto generoso nei confronti dei pove­ri. Divenuto imperatore di Germania nel 1022, rispettò la libertà della Chiesa, e cercò di riformarla e di darle dei vescovi degni della loro missione.

 

SEGUIRE LE ORME

Si racconta di sant’Enrico II, imperatore di Germania (973-1024), che essendo uscito con uno scu­diero per andare a visitare dei poveri durante un rigido inverno, trovò molta difficoltà nel ritorno a Ratisbona, tra la neve. Lo scu­diero, esaurito per la fatica, gli chiese di poter fermarsi a riposare: siccome c’era pericolo che si congelasse se si fosse fermato, Enrico gli comandò di seguirlo “mettendo i piedi sulle sue orme” facendo così molto meno fatica. Se seguiamo noi pure le orme di Cristo, possiamo perseverare nel bene e giungere immancabilmente al Padre che ci attende.

 

ENRICO SUSO o SUSONE, Beato, Domenicano

Nato a Costanza, in Germania il 21 Marzo 1295, a tredici anni entrò in convento. Ripresosi da un periodo di fede incerta, divenne famoso per la sua vita penitente, e insieme a Maestro Eckart e a Giovanni Taulero fu uno dei maestri della scuola di spiritualità domenicana.  Del suo intimo colloquio con l'Eterna Sapienza restano testimonianze nelle sue opere che - come il Libro della Verità, il Libro dell'Eterna Sapienza e l'Orologio della Sapienza - hanno lasciato una notevole impronta nella spiritualità cristiana. Fu instancabile predicatore del SS. Nome di Gesù, che si era impresso sul petto con un ferro rovente. Morì a Ulma il 25 gennaio 1366.

 

GUARDA IL SOLE

Il beato Enrico Susone, quando era piccolo, veniva condotto qualche volta da sua madre sul lago di Ueberlingen. Un giorno, mentre la barca scivolava sulle onde illuminate dal sole, parve al piccolino di vedere mille perle scintillare danzando sulle onde: “Mamma, guarda: siamo circondati dalle gemme”. Rispose la mamma: “Si, sembrano gemme, ma se tu ti abbassi per afferrarle con la mano, non raccogli altro che un po’ d’acqua fredda e scura. Rivolgiti piuttosto al sole: soltanto i suoi raggi producono questi bagliori. L’E­terno non ti ingannerà mai”.

 

SERENITA’ IN DIO

Non è permesso il pessimismo, se Dio onnipotente è nostro amico.

Fu chiesto un giorno al Beato Enrico Susone: “Come fai tu ad essere così felice?”. “Io?”,si meravigliò il domenicano.

“Sì, tu che sei calunniato da tutti, che hai avuto tante sofferenze, come riesci a mostrarti sempre così allegro e sereno?” “Vedi, io so una cosa: che Dio è potentissimo”, fece una pausa, poi continuò:”ed è mio amico!”.

 

FILIPPO BENIZI, Santo, Sacerdote  

Nato a Firenze nel 1233 divenne prima medico, poi frate servita e infine generale dell'Ordine. Durante il suo generalato visitò tutte le provincie dell'Ordine. Divenne consigliere dell'imperatore Rodolfo d'Asburgo, al quale rese grandi servigi, in particolare durante la ribellione di Ottocaro di Boemia nel 1278. Accompagnò Papa Gregorio X al Concilio di Lione (1274). Morì a Firenze nel 1285.

 

IL LIBRO

San Filippo Benizi stava sul letto di morte. Agonizzando, sospira: “Datemi il mio libro!” I confratelli corsero a prendere chi le Regole, chi il libro delle preghiere. Egli rifiutava tutto e sospirava: “Datemi il mio libro”. Gli portarono il Vangelo. Anche questo dolcemente rifiutò, quasivolesse dire: “Non riesco più a leggerlo”. Finalmente uno si accorse che egli fissava la parete dì fronte. V’era un Crocifisso. Allora lo staccò dal muro e glielo porse. Glielo mise tra le mani gelide e sudate. Il santo morendo, sorrise e lo baciò. Gesù crocifisso era stato il suo libro in vita e in morte. In Gesù Crocifisso, infatti. leggiamo tutta la Storia dell’Amore di Dio e tutta la storia dell’uomo peccatore.

 

FILIPPO DI ERACLEA, Santo, Vescovo, Martire

Fu vescovo di Eraclea, in Tracia Martire ad Adrianopoli  nel 304 sotto Diocleziano con il suo diacono Hermes.

 

IL VANGELO

I primi cristiani trascrivevano il vangelo rispettosamente, lo portavano su di sé e lo volevano anche nella tomba. La "passione di S. Filippo Vescovo di Eraclea", narra che durante la persecuzione di Diocleziano, il giudice volle costringere un gruppo di martiri a gettare il Vangelo sulle fiamme.

"Crudele inquisitore”, gli rispose uno di essi,  “se anche riuscissi a impadronirti di tutte le nostre Scritture in modo da non lasciarne traccia, i nostri figli le troverebbero ancora impresse nei loro cuori. Strappa, se puoi, questo Vangelo interiore scritto nelle nostre anime!"

 

 FILIPPO NERI, Santo, Fondatore

Mantenere la santa allegria è il modo migliore per progredire nella virtù. Questo consiglio è stato dato da un mi­stico che visse a Roma nel sedicesimo secolo e che potrebbe essere il patrono degli umoristi. Ricco di gioia e di fantasia, sempre pronto a inventa­re forme d’azione inattese, Filippo Ne­ri (1515—1595) esercitava sui giovani, e anche sui meno giovani, un fascino irresistibile. Ciò che lo spingeva era un grande amore per Dio e per i poveri. Nella libertà, nella gioia e nei fervore, si formò intorno a lui una comunità: era il primo Oratorio, da cui si sviluppò la congregazione che porta lo stesso nome. Con la sua originalità, “il più italiano dei san­ti” ci ricorda che la santità sfugge a tutte le regole umane e non dipende che dallo Spirito.

 

PECCARE COL NASO

Una parrocchiana di Roma, nota in tutto il circondario per la sua curiosità, andò a confessarsi da Filippo Neri. Quando ebbe terminato, manifestò al sacerdote una sua perplessità:

"Io capisco come si possa peccare con le mani, con gli occhi, con la bocca.. Ma come si fa a peccare con il naso?" Dall'altra parte della grata gli venne pronta la risposta: "Ficcandolo negli affari degli altri".

 

SCHIAFFONI

San Filippo Neri spesso si sentiva in dovere di schiaffeggiare i prepotenti. "Questo ceffone non è per te”, si scusava, “è per il diavolo che sta dentro di te".

Una volta osò dare uno schiaffo ad un delinquente che era il terrore del quartiere. Questi risentito si avvicinò al santo per colpirlo, ma non fece in tempo perché Filippo, pronto, gli appioppò un secondo sono ceffone.  "Questo, gli disse, non è per il diavolo, è proprio per te"

 

“E POI?”

Un giovane sacerdote confidò un giorno a San Filippo Neri: “Qui a Roma è facile a molte persone fare fortuna. Spero anch’io di avere buona sorte, e di ottenere, prima o poi, uno zucchetto da Monsignore”. “Ve lo auguro di tutto cuore, rispose il santo, ma poi, giunto a quel punto, quali sarebbero le vostre aspirazioni?”.  “Vi dirò in confidenza che, dopo lo zucchetto di monsignore, spero di otte­nere un anello di Vescovo”. “Benissimo, e poi, che cosa intenderesti fare?”. “Sapete come va il mondo: una volta Vescovo, non dispero di giungere a ri­cevere il rosso cappello cardinalizio. E poi... via!... Sapete bene che è tra i Cardinali che viene scelto il nuovo Papa... e la fortuna a volte fa certi scherzi!”.  “E poi?”  “E poi! Ma sapete che mi fate ridere con questo ‘e poi’? Vi sembra cosa da nulla essere Sommo Pontefice, capo di tutta la cristianità? Allora sarebbe il momento di godersi finalmen­te la vita, e rallegrarsi del destino glorioso che ci è stato riservato”.  “E poi?”  “E poi basta, che cosa volete di più?”.  “Ve lo dirò io”, fece il santo curvandosi all’orecchio del prete ambizioso. E così facendo disse tre volte, con vo­ce chiara, tagliente: “E poi morire; e poi morire; e poi morire!”

UN POSTO IN PARADISO

Ad una donna, che si credeva dannata per i suoi numerosi e gravi peccati, san Filippo Neri, dopo averla confessata, disse: "Il Paradiso è vostro!” Quella, incredula, rispose: “E' impossibile, padre. Voi mi prendete in giro, perché sapete che sono una grande peccatrice”. “Ascoltatemi, allora”, riprese il santo, “ditemi se non ho ragione. Durante la sua vita, chi è stato maggiormente amato da Gesù?” “I peccatori!” “Per chi è morto Gesù?” “Per i peccatori!”   “E ora, cosa siete voi?” “Una grande peccatrice!” “E allora”,conclude il santo, “se Gesù ha amato moltissimo i peccatori, fino a morire per loro, e voi siete pentita, il Paradiso è certamente vostro, perché Dio vi ama moltissimo; 'perché in cielo si fa grande festa, quando un peccatore si converte'!”

 

INSISTENZA 

Filippo Neri, aveva deciso di incontrare Cristo nei ragazzi di strada (orfani, reietti, abbandonati, malati, ecc.) ed aveva fondato "L'Ospizio del Divino Amore" (o Oratorio del Divino Cuore, non ricordo più) nel quale dava rifugio e casa a questi sfortunati ragazzi. Naturalmente, per sopperire a tutte le loro necessità, Filippo doveva continuamente sollecitare la carità dei romani. E lo faceva con una ostinazione e perseveranza veramente evangeliche ("Chiedete e vi sarà dato" - "Bussate e vi sarà aperto"). Un giorno si recò per l'ennesima volta a batter cassa da un signore benestante, che però si sentiva ossessionato dalle sue richieste continue e pressanti ed era giunto oltre il limite di sopportazione. Un giorno il riccone, non potendone più, alzò la voce con Filippo, lo maltrattò e, per completare l'opera e toglierselo definitivamente dai piedi, gli "ammollò" (detto alla romana) un ceffone!  S. Filippo Neri, grande Santo e grande Uomo, si portò la mano alla guancia colpita ed in quell'atteggiamento, docilmente e senza scomporsi, disse all'agiato interlocutore: "A me avete dato questo (lo schiaffo) e vi ringrazio; ed ora, per i miei ragazzi, cosa mi date?"

 

TOGLIETEMI LE SCARPE

San Filippo Neri considerava l'umiltà la prima virtù di un santo. C'era ai suoi tempi una religiosa di cui tutti parlavano poiché si diceva avesse estasi e rivelazioni. Un giorno il Papa manda proprio Filippo in quel convento per rendersi conto della santità di questa suora. Il tempo si mette al brutto. La pioggia vien giù come Dio la manda… Filippo arriva al convento infangato fino alle ginocchia. Chiede subito della suora, ed eccola che arriva… seria seria, compunta, tutta annegata in Dio. Il santo siede tende le gambe e dice alla suora: "Toglietemi le scarpe!". Al che la suora s'impenna, alza il mento, resta immota. Padre Filippo non chiede nulla. Ne sa già abbastanza. Si riprende il cappello, e torna dal Papa a riferire che, secondo lui, una persona così altezzosa non poteva essere una santa.

 

 

EUCARISTIA

San Filippo Neri dirigeva spiritualmente un giovane che, malgrado un certo sforzo, non riusciva a vivere castamente. Le sue cadute si tra­scinavano da tempo ed egli, persa ogni fiducia in se stesso e lasciati i Sacramenti, era prossimo alla disperazione. Allora il Santo gli comandò una cura straordinaria: per almeno una quindicina di giorni di seguito, il giovane doveva accostarsi alla Comunione, a costo di confessarsi ogni mattino, se fosse ancora caduto in peccato. L’impegno di ricevere il Si­gnore quotidianamente, costi quello che costi, ottenne il risultato spe­rato, e dopo aver imparato ad amare maggiormente Gesù Eucaristia, si fece sacerdote...».

 

RICCHEZZE

San Filippo Neri entrò un giorno nella camera di un suo ricco penitente, il quale si lamentava di non far alcun pro­gresso nella vita spirituale. C’era un grande Crocifisso appeso al muro: il Santo disse al suo amico di provare a toccare i piedi del Crocifisso se ci riusciva. L’altro ci provò, ma senza risultato perché la croce era molto sollevata da terra. Allora san Filippo mormorò: “Si fa così, si fa”, e tirò vicino alla parete un sacco di denari che quel ricco teneva presso il letto: “Sali adesso. Vedi? Per raggiungere il Signore, bisogna mettersi le ricchezze sotto i piedi. Ora gli sei più vicino, ecco, ma devi sempre metterti sotto i piedi queste sporche monete”.

 

SERVIZIO

Questo episodio accorse al padre Salviati, uno dei primi compagni di san Filippo Neri.

Essendo egli andato a far orazione davanti al Santissimo Sacramento e non essendosi accorto che la sua ora di turno era passata e che era atteso dai compagni per recarsi a ser­vire i malati, san Filippo gli si avvicinò silenziosamente alle spalle e garbatamente gli gettò sul capo il laccio del grem­biule, dicendogli dolcemente: “Lascia Dio per Dio!”

 

STATE BONI SE POTETE

San Filippo Neri radunava nei suoi oratori numerosi ragazzi che, abbandonati i genitori, trascorrevano la loro vita nelle strade. Se li faceva amici e la confidenza era tale che i ragazzi combinavano a Filippo ogni sorta di monellerie. Il santo li ammoniva: “Cercate di stare un po’ quieti, se potete”. Ma poi con rassegnazione piena di umorismo, aggiungeva tra sé: “Tanto lo so già che non potete…”

 

I CONSIGLI DI S. FILIPPO NERI

Altri consigli di S. Filippo Neri ai suoi ragazzi

— Scrupoli e melanconia, fuori di casa mia!

— Il paradiso non è per i poltroni.

—     Voglio amarvi, Gesù mio, fin che fate il voler mio?

—     Vi ringrazio, Signore, Gesù mio, se le cose non vanno a modo mio.

— L’unica regola è... essere senza regole.

— Le tentazioni contro la purezza si vincono.., fuggendo.

— State allegri, ma non fate peccati.

-— L’importante è che siamo santi!

 

UNA PROVA SINGOLARE DELLA VOCAZIONE

Un giorno gli si presentò un giovane patrizio chiedendo di poter entrare a far parte dei preti dell’Ora­torio. Il Santo gli rivolse alcune domande, e, avendo capito che non era stoffa da prete perché pieno di spi­rito mondano e orgoglioso, lo volle mettere alla prova. Andò in camera, tirò fuori una coda di volpe e la porse al giovane dicendo: “Prendi questa coda, attaccala dietro le tue vesti e fa un giretto per le strade di Roma mantenendo un contegno serio”. Il giovane si mostrò offeso e scattò a dire: “Non sono venuto a cercare una vergogna, o per fare delle pazzie!” “Ebbene”, gli disse allora Filippo, “la vita reli­giosa non è per. te. Sappi che qui non c’è da aspettarsi onori o ricchezze, ma rinunce e mortificazioni”.

 

DISCERNIMENTO

Un giorno si presentarono a Filippo due cappuccini uno giovane ed uno vecchio.

Filippo diede loro un’occhiata e gli sembrò che il giovane avesse più spirito religioso che il vecchio. Volle farne la prova u­sando anche qui i suoi metodi, studiando il modo di umiliare il giovane. L’occasione gli venne offerta quasi subito. Il frate giovane sputò a terra davanti a Filip­po senza alcun riguardo. Filippo allora ostentò un impeto di collera e con finto sdegno proruppe in una solenne ramanzina: “Che educazione è questa! Fila via di qui!” E così dicendo minacciava di percuoterlo sulla testa con una delle ciabatte che s’era tolto dai piedi. Il malcapitato non si scompose per nulla, mentre il confratello più anziano era già tutto turbato. E Filippo continuava:”Levati di dosso quel mantello da religioso che non sei degno di portarlo...”. Il fraticello, allora, lietamente e per nulla offeso, rispose: “Padre, ha ragione, andrò volentieri senza man­tello non solo perché non sono degno di portarlo, ma anche... perché non ho freddo... e poi. perché sta­mattina ho mangiato molto...”. Padre Filippo non se ne dette per inteso; aggiunse altre aspre parole e alla fine senza alcun segno di cortesia licenziò i due frati. Ma appena quelli furono giunti in fondo alle scale, li fece richiamare. Andò incontro al giovane che aveva così bistrattato e con il contegno più affabile di questo mondo, lo abbracciò, gli fece mille cortesie, e congedandolo gli disse: “Figliuolo, persevera in con  questa tua allegrezza, perché questa è la vera via per trar profitto nella virtù”.

 

BIZZARRIE

Era il principale studio di San Filippo quello di farsi credere un buono a nulla, un buffone, uno scemo. Per questo si metteva a saltare, ballare e sgam­bettare per le vie e per le piazze. Usciva con la veste alla rovescia infilando nei piedi certe scarpe bianche e larghe che sembravano fatte per il carnevale. Riceve­va gente in camera sua, anche principi e cardinali, con una berretta bianca in testa, e una camiciola rossa che gli arrivava ai piedi. Non garbava poi per niente i segni di rispetto o di onore. Quando, andando in chiesa, uomini o donne gli si accostavano per toccargli le vesti o si inginocchiavano dinanzi per averne la benedizione, egli si metteva a tirare le orecchie o i capelli, distribuiva scappellotti, posava gli occhiali sul naso dell’uno o dell’altro. Ad Anna Borromeo, la sorella del Cardinale, che gli chiedeva la benedizione sulla pubblica via stando inginocchiata per terra davanti a lui, egli posò la sua mano sul capo in atto di benedirla, ma poi con una mossa svelta le scompigliò tutti i capelli.

 

“E’ PROPRIO MATTO”

Filippo non amava certo gli onori e nemmeno i personaggi illustri. E’ rimasta famosa la visi­ta fattagli da alcuni prin­cipi polacchi mandati da Papa Clemente VIII.

Filippo, avvertito a tempo, disse al suo aiutante di quei giorni, il padre Pietro Consolini, di prendere  il libro delle  “Facezie dell’Arlotto” (un libro di barzellette clericali)e di mettersi a leg­gerle a voce alta. Giunti quei principi nella sua stan­za, egli senza tante cerimonie, disse loro: “Aspettate che si finisca questa favola”. E mentre il Consolini leggeva, ammiccando ai Polacchi, diceva loro: “Vedete bene, signori, che tengo anch’io dei buoni libri”. E al Padre Consolini: “Più adagio, padre; ripetete quel passo, non l’ho capito bene”. Quei principi allora si seccarono alquanto della cosa e se ne andarono con molte scuse ma convinti di essere andati a trovare un matto. Filippo, con una fregatina di mani, faceva riporre a posto il libro delle ‘Facezie’, concludendo: “Abbiamo fatto quello che bisognava”.

 

MIRACOLI

Anche quando Filippo Neri guariva ammalati con un suo co­mando o con l’uso di reliquie di Santi e gli altri lo esaltavano, egli se ne lagnava con queste espressioni: “Sono un uomo come gli altri. Vogliono anche dire che io faccio miracoli. Ho pregato di continuo il Signore che non operasse miracoli per mezzo mio. Però se ve n’è stati alcuni, si devono attribuire, dopo Dio, non certo a me, ma alla fede di coloro che li han­no ricevuti”.

 

PROPOSATA DI CARDINALATO

Il Cardinale Ippolito Aldobrandini aveva preso un gusto matto alla compagnia di San Filippo e tutte le volte che i suoi impegni lo permettevano, correva nella stanza del Santo a passare un po’ di tempo in sere­nità con la più completa familiarità. appena eletto Papa, alla prima udienza concessa a San Filippo, gli disse subito: “Ora sì che non potrete sfuggire al Cardinalato!”. Filippo, che non aveva mai voluto sentir parlare di onori, evitò di rispondere e cercò subito una scusa per congedarsi, temendo che il Pontefice, come già il suo predecessore, volesse insistere su quell’argo­mento. Non mancarono le temute istanze; ma alla fine il Papa, non volendo affliggere inutilmente il venerando amico, con sua grande gioia, non gliene parlò più.

 

FUGA

Una volta una prostituta, una certa Cesaria era riuscita a tirarlo in casa, fingendo malignamente di volersi convertire. Ma Filippo Neri, giunto nella stanza di costei, capì presto l’inganno, e senza attendere oltre si diede ad una fuga precipitosa. La donna rimase cosi indispettita che non trovando altro modo per vendicarsi, gli fece volare addosso uno sgabello. Aveva capito che non avrebbe più potuto raggiungerlo diversamente.

 

VISIONI

Filippo era a letto in seguito ad una crisi di renella. Lo assistevano due medici, Angelo da Bagnorea e Rodolfo Silvestro, quando ad un tratto il santo si alza a sedere gridando: “Madonna mia benedetta! Madonna mia San­tissima!”. Uno dei medici, scansa le cortine e vede Filippo che si rizza col corpo e si curva con la testa stendendo e ritirando le braccia come se volesse abbracciare qual­cuno verso i piedi. Temendo per il male dell’infermo, tenta di cal­marlo e si accinge a tenerlo fermo con forza. Filippo lo respinge piangendo e gridando: “Lasciatemi stare, lasciatemi stare! Oh! non vo­lete che abbracci la Benedetta Madre mia che mi viene a visitare?” Tornando poco dopo al sentimento della presenza altrui, tutto vergognoso si nascose singhiozzando sotto le lenzuola.

 

GUARIGIONE

Un piccolo ebreo, Agostino Buoncompagni, stava imparando il catechismo sotto la direzione di Filippo, quando all’improvviso si ammalò così gravemente da essere dichiarato in fin di vita. Filippo ne fu contristato perché pensava al male che ne avrebbero detto gli Ebrei se fosse morto, e perché sarebbero state impossibili in seguito altre conversioni di questa gente. Ci pensò un po’ finché decise di non lasciarlo mo­rire: nella sua fede era sicuro che il Signore lo avrebbe salvato. Corse in camera del malato, si chinò su di lui stringendoselo tra le braccia e pregando fervorosamente, mentre con tremiti, ad intervalli, esclamava: “Non voglio che costui mora!” E non mori, perché dopo pochi momenti fra lo stupore dei medici, era completamente guarito.

 

CONFIDO IN DIO

S. Filippo Neri, camminando un giorno per le vie di Roma, andava dicendo: “Sono disperato! Sono disperato!”.  Un certo religioso, quasi scandalizzato, lo cor­resse; ma il santo allora disse: “Padre mio, sono disperato di me, ma confido in Dio!”.

 

LA CURIOSA CACCIA AI PECCATORI

Filippo non attirava a sé solo i giovani. La sua affabilità era tale in lui che, come afferma il Cardinal Cusano, “Ogni sorta di persone erano attratte dalla sua conversazione di maniera che non si potevano stacca­re più, tanto i giovani, i bimbi, quanto i vecchi, sia donne, sia uomini, sia di basso che di alto grado”.

Ancor più caratteristici che non con i giovani erano i modi di trattare coi Peccatori.

Li accarezzava, li baciava in volto, imponeva loro le mani sul capo, li abbracciava. Alle volte se li serrava con impeto tra le braccia e singhiozzando esclamava: “Chissà quanto avrai sofferto nel peccare”, e così mostrava delicatamente quanta compassione provasse per il loro pietoso stato.

Alle volte passava al rimprovero ma con un fare nel quale non si sarebbe potuto distinguere il serio dal faceto, per cui i penitenti ne rimanevano altamente im­pressionati.

Quando udiva certi grossi peccati, esclamava:

—    Bene, bravo, bravissimo... Non ti credevo così perspicace... Continua pure, balordo!... Non sempre puoi avere occasioni così belle per andare diritto al­l’inferno... Faresti così bella compagnia al diavolo!

 

TABERNACOLI VIVENTI

Una volta san Filippo Neri che vedeva che parecchi fedeli uscivano dalla chiesa subito dopo aver ricevuto la Comunione, tralasciando di ringraziare un momento il Signore, mandò due chierichetti con due candele accese a seguire questi “frettolosi”. “Perché?” domandò uno di essi. Il santo rispose: “Semplicemente per accompagnino il Santissimo che tu hai ricevuto or ora e lo ringrazino e lodino da parte tua”.

 

I TACCHI ALTI

Un giorno una donna alquanto vanitosa chiese : “Padre Filippo è peccato andare con i tacchi alti?”  “Guardatevi dagli scivoloni” rispose sornione il santo.

 

L’ALBERO GENEALOGICO

Un giorno vien mostrato a Filippo Neri l’albero ge­nealogico dei Neri. Tutti conoscono l’usanza mondana di vantarsi dei propri natali, di ringalluzzirsi quando si può far vedere agli altri che i propri avi erano delle persone nobili, dei principi o dei re. Gesto stupido in quanto tutti siamo figli di uno stesso Padre e quindi tutti abbiamo una grandissima nobiltà, una nobiltà di­vina: davanti a questa nobiltà, tutte le grandezze umane scompaiono. Ben lo sapeva il giovane Filippo, il quale dopo avere sogguardato la pergamena con un tono di com­passione, la fece delicatamente a pezzi dicendo alle­gramente: “Val  meglio essere iscritti nel libro della vita”.

 

MALDICENZA

Un giorno a Roma andò a confessarsi da San Filippo Neri una donna molto pia, ma facile alla maldicenza e perfino alla calunnia. Il santo ascoltò pazientemente la penitente, poi le disse: "Come penitenza, prenderai una gallina, percorrerai le vie principali di Roma, strappandole lentamente le piume, che getterai al vento. Poi ritorna da me". La donna ubbidì. Al suo ritorno il santo aggiunse: "La penitenza non è ancora finita. Ora devi rifare le strade percorse e raccogliere tutte le piume che hai seminato !" "Ma è impossibile!" San Filippo, allora, seriamente concluse: "Così e della maldicenza, dei pettegolezzi e delle calunnie. Facilmente si disperdono ovunque e la riparazione troppo spesso è impossibile.

 

ALCUNE FRASI DI SAN FILIPPO NERI

TRISTEZZA    

La soverchia tristezza non suole aver d’ordinario altra origine che la superbia.

OZIO   

Guardatevi dall'ozio, massime nelle ore pomeridiane, perché in quelle il demonio suol dare maggiore assalto.

OBBEDIRE      

L'obbedienza è la strada più breve per arrivare al cielo.

SANTITA’       

Non bisogna voler diventar santi in quattro giorni, perché la perfezione si acquista con gran fatica, e a poco a poco.

MALINCONIA  

Figlioli, state allegramente, non voglio scrupoli, nè malinconie, mi basta che non facciate peccati.

 

 

 

FRANCESCA SAVERIO CABRINI, Santa, religiosa missionaria

(Sant'Angelo Lodigiano 1850 - Chicago 1917). Maestra rurale, manifestò una forte vocazione religiosa, fondando l'Istituto delle missionarie del Sacro Cuore nel 1880, anno in cui aggiunse al proprio nome quello di Saverio, in onore del grande santo delle missioni. Approvato nel 1881, il suo Istituto ebbe speciale incarico da Leone XIII di occuparsi dell'assistenza degli emigrati italiani negli Stati Uniti. Partita per l'America nel 1889 con sette compagne, in trent'anni di attività febbrile riuscì a erigere un complesso imponente di opere caritative e assistenziali, scuole, orfanotrofi, ospedali (come il Columbus di Chicago), spingendosi anche nell'America Centrale e Meridionale.

 

AMORE PER L’UOMO LA’ DOVE EGLI E’

Verso la fine del secolo scorso una grave crisi economica travagliava il nostro paese, che aveva raggiunto da poco l’unità nazionale. Migliaia di italiani erano costretti ad emi­grare, in cerca di lavoro.

Cominciava una difficile avventura, che per molti è anche oggi una realtà amara: il distacco dalla patria e dai familia­ri, l’arrivo in una terra straniera, senza conoscere la lingua, con usi e costumi tanto diversi.

Attenta a questi gravi problemi umani e sociali, France­sca Cabrini, una maestra lombarda, decise di dedicare la vita a servizio dei migranti, non solo con buone parole, ma con un’opera di carità attiva, energica e volenterosa.

A 39 anni, nel 1889, si fece lei pure emigrante. Attraversò l’Oceano più di trenta volte, per stare vicino a quei fratelli; li seguì nei quartieri poveri, ai margini delle metropoli dell’America, li visitava nelle fabbriche e nelle miniere.

Con altre giovani fondò una famiglia religiosa: le Suore Missionarie del Sacro Cuore, per essere d’aiuto ai migranti con scuole, istituti e ospedali.

Madre Cabrini e le sue consorelle si preoccupavano di favorire in ogni modo la giustizia sociale, perché miglio­rassero le condizioni di vita di quei lavoratori e delle loro famiglie.

Madre Cabrini è morta a 67 anni, nel 1917, consumata da un ideale, che potrebbe riassumersi così: “La prima espressione dell’amore cristiano è la giustizia sociale!”. E’ proprio vero che più uno ama Dio, più ama l’uomo!

 

DA ROOSVELT

Nell’ ufficio del presidente americano, Santa Francesca Cabrini, già da qualche ora perorava la causa degli emigranti italiani con tenerezza di madre, con fervore di apostolo e con eloquenza di avvocato, quando Teodoro Roosevelt acceso d’ammirazione gridò: “Accidenti, che uomo questa donna!”

 

 

 

FRANCESCA ROMANA, Santa

Sposatasi per obbedienza, Francesca (1384 - 1440) fu per circa quarant’anni una moglie e una madre modello. Dopo aver compiuto i suoi doveri familiari, questa donna della aristocrazia romana passava il resto del suo tempo a pregare e ad assistere i poveri. Fondò nel 1433 un’associazione di oblate, che esiste ancora oggi e si ispira alla spiritualità benedettina Divenuta vedova, fu scelta come superiora della comunità, al cui interno trascorse il resto della sua vita in unione sempre più profonda con Dio.

 

LA MORTE DI FRANCESCA ROMANA

Santa Francesca Romana s’ammalò gravemente nella casa dove era stata sposa e madre felice per tanti anni prima di andare a vivere a Tor di Specchi con le sue Oblate. Aveva assistito il figlio Battista che era stato colpito dalla peste. Il figlio guarì, e lei si trovò in punto di morte.

Il 9 marzo 1440, verso il tramonto, disse alle suore che l’attorniavano: “Finisco il mio vespro, poiché si fa sera”. E spirò senza che alcuno se ne accorgesse. Solo dopo un’ora e mezzo, le Oblate si accorsero che la loro fondatrice era morta.

 

 

FRANCESCO BORGIA, Santo 

Nato a Gandia, nelle vicinanze di Valencia in Spagna nel 1510, era  pronipote di Alessandro VI, quarto duca di Gandía, alla morte della moglie, Eleonora di Castro che gli aveva dato otto figli, entrò tra i gesuiti (1546), fu ordinato prete nel 1551, vicario, quindi terzo generale dell'ordine (1565), che consolidò notevolmente nelle sue strutture. Fondatore del Collegio romano e fautore di una riforma interna della Chiesa, diede grande impulso all'insegnamento religioso e missionario. Morì a Roma nel 1572.

 

CONVERSIONE

Francesco Borgia era duca di Candia e uno dei più grandi personaggi  della Spagna del ‘500. Quando morì, ancor giovane la bellissima imperatrice Isabella e il suo cadavere fu portato in Granada, Francesco, grande innamorato della regina, per la ricognizione dovette far da testimone allo scoprimento della cassa funebre. Vista orribile, lezzo orrendo! Inorridirono tutti i presenti e si allontanarono. Il Duca si fermò, guardò a lungo quel corpo, una volta bellissimo ed amato ed ora disfatto dalla corruzione. Pensò: “Era una sovrana bella e potente; era donna gentile di spirito e di cultura! Ora non c’è più! Così ci riduce tutti la morte. Solo tu, Signore, sei potente ed immortale!”

Lasciò quindi le cose che non contano per l’eternità; consacrò tutta la sua vita al servizio di Dio nella Compagnia di Gesù e divenne santo.

 

VEDERE IN POSITIVO

S. Francesco Borgia giunse ad una casa dei Gesuiti a notte alta, quando tutti, compresi i novizi, si erano già coricati. Fuori nevicava e soffiava un forte vento di tramontana. Il santo bussò a lungo alla porta; ma nessuno lo senti, perché i dormitori erano lontani. Il santo continuò a bussare, fino a notte tarda, quando finalmente un religioso corse ad aprire. Vedendo il padre Francesco, coperto di neve, tremare e battere i denti, gli chiese scusa. Ma egli con un sorriso rispose: “Se sapeste, fratello, com'era bello! Durante l'attesa mi immaginavo che fosse Gesù a tirarmi palle di neve e perciò in questa notte mi sono divertito un mondo con Dio”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

S. FRANCESCO D’ASSISI, Santo, Fondatore, Patrono d’Italia

 

“Beati i poveri!”. Vivendo nella pover­tà e nella gioia, Francesco Bernardone (1182 - 1226), figlio di un ricco mercan­te di Assisi, divenne un santo che assomiglia straordinariamente a Gesù di Nazaret. In un mondo lacerato dalle guerre, il cavaliere di madonna Povertà apparve come un nitido spec­chio del vangelo. Distaccato dai beni di questa terra e da se stesso, France­sco poté cantare la creazione con la freschezza di un’infanzia ritrovata. Le stigmate da lui ricevute ne fanno un immagine ancora più perfetta del Cristo. Alla sua triplice famiglia re­ligiosa (Frati minori, Clarisse e Terz’ordine) egli lasciò in eredità il suo amore per il Cristo povero, per la croce e per la chiesa.

 

RIPARARE LA CHIESA

Francesco d’Assisi scopri finalmente la sua vocazione mentre ricostruiva la chiesetta di s. Damiano. Udì una voce scendere verso di lui dalla croce e dirgli per tre volte: “Francesco, va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina!”. Il cuore del santo si concentrò tutto nella missione, prima di riparare le mura di s. Damiano; in seguito comprese che la parola divina si riferiva principalmente a quella Chiesa che Cristo acquistò con il suo sangue.

Come riparare la Chiesa?

Francesco scelse due strade: l’esempio e la parola. L’esempio concentrato tutto sulla preghiera e sul distacco dalle ricchezze. La parola: l’impegno suo e dei suoi frati per l’evangelizzazione itinerante, soprattutto del popolo. Ebbe la conferma di questa sua missione dal Papa Innocenzo III con un’altra visione dello stesso tipo. Come egli narrò, in sogno vedeva che la Basilica del Laterano ormai stava per rovinare e che un uomo poverello, piccolo e di aspetto spregevole la soste­neva, mettendoci sotto le spalle perché non cadesse. “Veramente - concluse il Pontefice - questi è colui che con la sua opera e la sua dottrina sosterrà la Chiesa di Cristo”.

 

LA PREDICA

Un giorno, uscendo dal convento, san Francesco incontrò frate Ginepro. Era un frate semplice e buono e san Francesco gli voleva molto bene. Incontrandolo gli disse: “Frate Ginepro, vieni, andiamo a predicare”. “Padre mio”, rispose, “Sai bene che ho poca istruzione. Come potrei parlare alla gente?”. Ma poiché san Francesco insisteva, frate Ginepro acconsentì. Girarono per tutta la città, pregando in silenzio per tutti coloro che lavoravano nelle botteghe e negli orti. Sorrisero ai bambini, specialmente a quelli più poveri. Scambiarono qualche parola con i più anziani. Accarezzarono i malati. Aiutarono una donna a portare un pesante recipiente pieno d’acqua.

Dopo aver attraversato più volte tutta la città, san Francesco disse: “Frate Ginepro, è ora di tornare al convento”.

“E la nostra predica?”. “L’abbiamo fatta... L’abbiamo fatta” rispose sorridendo il santo.

 

ACCOGLIENZA

Un giorno si abbatté su colui che fu poi il beato Rizzerio una terribile prova. Smarrito e turbato si presentò a San Francesco per capire, dal modo come sarebbe stato accolto dal serafico padre, se fosse stato ancora amato da Dio. San Francesco, che era allora infermo nel palazzo del Vescovo di Assisi, illuminato da Dio su ciò che stava accadendo, spedì incontro a Rizzerio Fra Leone e Fra Masseo con il compito di accoglierlo a braccia aperte e di comunicargli che lui tra i frati gli era il più gradito. La calorosa accoglienza e le tenere parole calmarono il cuore in tempesta di Rizzerio. Quando fu vicino a San Francesco, il poverello d'Assisi, benché gravemente ammalato, lo abbracciò teneramente e gli ribadì: "Figliolo carissimo, frate Rizzerio, fra tutti i frati che sono nel modo io amo te singolarmente". Baciatolo, gli impresse un segno di croce sulla fronte e aggiunse: "Figliolo carissimo, questa tentazione è stata permessa da Dio per un tuo grande merito e guadagno".

 

CATTIVI PENSIERI

Una volta Francesco era in cammino in compagnia di un frate molto spirituale, discendente da una grande e potente famiglia di Assisi. Il Santo, debole e malato stava in groppa ad un asino.

Il compagno, stanco del viaggio si mise a borbottare fra sé: "I parenti di questo qui non erano nemmeno paragonabili ai miei. Ed ecco, lui cavalca e a me tocca di venirgli dietro, stanco e appoggiandomi al somaro". Stava rimuginando queste riflessioni, quando Francesco scivolò d'improvviso dal giumento e gli disse:"Fratello, non è giusto  né conveniente che io cavalchi e tu vada a piedi poiché nel mondo eri più nobile e più potente di me". Stupefatto e pieno di vergogna quel frate cominciò a piangere e, buttandosi ai piedi del santo gli confessò il pensiero avuto e riconobbe la sua colpa.

 

CHIARA E FRANCESCO A PRANZO INSIEME

Quando S. Francesco era ad Assisi, visitava  molte volte S. Chiara dandole santi consigli. Lei aveva un grandissimo desiderio di pranzare una volta con lui, ma il Santo mai aveva acconsen­tito. Un giorno i frati dissero a Francesco: “Padre, a noi non sembra che questa tua rigidità sia secondo la carità divina. Potresti pro­prio accontentare le richieste di Chiara, sorella così santa e tanto cara a Dio che ha abbandonato il mondo dopo aver ascoltato le tue parole". S. Francesco allora rispose: "Poiché vi sembra bene, allora chiederemo a sorella Chiara di uscire da S. Damiano, dove è rinchiusa da tanto tempo, per venire a mangiare con noi davanti a S. Maria degli Angeli dove le furono tagliati i capelli e divenne sposa di Gesù Cristo".

Quando giunse il giorno stabilito, S. Chiara, accompagnata da una sorella e da alcuni frati, arrivò a S. Maria degli Angeli. Il pranzo era molto povero e apparecchiato per terra, come era solito fare il Santo. Quando furono pronte le vivande, Francesco cominciò a parlare così soavemente di Dio, che scese su di loro l'abbondanza della grazia divina e furono subito rapiti in Dio. Rimasero fermi, con gli occhi al cielo e le mani alzate.

Nel frattempo gli uomini di Assisi guardando verso la pianura, videro come un grande fuoco sulla chiesa di S. Maria degli Angeli, sulla pianura intorno e sul bosco. Accorsero in fretta per spegnere l'incendio, ma quando giunsero nel luogo, videro che nulla bru­ciava. Trovarono S. Francesco con S. Chiara e tutti i loro compagni rapiti in contemplazione di Dio, seduti intorno a quella povera mensa e compresero che quello era fuoco divino, non materiale, che Dio aveva fatto apparire miracolosamente e che simboleg­giava il fuoco del divino amore del quale ardevano le anime di quei Santi, frati e monache. Gli uomini allora tornarono ad Assisi con il cuore traboccante di gioia. Dopo molto tempo, quando Francesco, Chiara e i loro compa­gni si risvegliarono dall'estasi, sentendosi ristorati dal cibo spirituale, si preoccuparono ben poco di quello materiale, comun­que mangiarono insieme benedicendo il Signore!

 

FRANCESCO E GLI UCCELLI

Un giorno San Francesco camminava con al­cuni frati nella pianura di Assisi quando alzò gli occhi e vide moltissimi uccelli. Disse allora ai suoi compagni: "Aspettate qui perché vado nel campo a predicare anche a loro. Appena iniziò a parlare, gli uccelli si posarono sugli alberi e rimasero fermi finché il Santo non li ebbe benedetti. San Francesco parlò così: "Sorelle e fratelli miei, dovete essere molto riconoscenti al vostro Creatore Iddio e dovete ringraziarlo in ogni luogo perché vi ha donato l'aria e la libertà di volare dove vi piace. Dovete ringraziarlo anche perché ha fatto entrare nell'arca di Noé una coppia di ogni specie perché non vi estingueste. Oltre a questo, voi non seminate e non mietete, eppure Dio vi nutre; Egli vi ha dato tonti per dissetarvi, i monti e le valli per rifugiarvi, gli alberi per costruire i vostri nidi. Voi non sapete filare né cucire, eppure Dio veste voi e i vostri figlioli. Il vostro Creatore vi ama molto poiché vi dona tanti benefici, perciò state ben lontani dal peccato dell'ingratitudine e pensate sempre a lodare Dio".

A queste parole gli uccelli cominciarono ad allungare i colli, aprire i becchi e le ali e con rispetto chinare le testine in basso, poi con trilli e movimenti dimostravano che le parole di S. Francesco avevano dato loro molta gioia. Anche il Santo si rallegrava con loro e si stupiva di un così gran numero di uccelli e delle loro bellissime varietà. Egli gioiva nel vedere come accoglievano la sua parola e come devotamente secondo i loro modi, pareva lodassero il Creatore. Francesco li accarezzava e passava accanto a loro, sfiorava le testine e i corpi con la tunica, ma essi non volavano via. Alla fine li benedisse con un segno di Croce e diede loro il permesso di andarsene. Allora tutti gli uccelli, con meravigliosi canti, si alzarono in volo separandosi in quattro schiere secondo la croce che S. Francesco aveva tracciato su di loro, e dirigendosi verso i quattro punti cardinali. Essi dimostravano che la predicazione della croce di Cristo, rinnovata da S. Francesco, doveva essere portata con gioia da lui e dai suoi frati, in tutte le parti del mondo.

 

UBBIDIENZA PRONTA ALLA VOLONTÀ DI DIO

L'umile servo di Gesù Cristo, San France­sco, poco tempo dopo la sua conversione, quando già alcuni compagni si erano uniti a  lui, era molto dubbioso su ciò che doveva fare: se dedicarsi totalmente alla preghiera con una vita contemplativa oppure operare per la salvezza del prossimo predicando il Vangelo. Desiderava ardentemente conoscere la volontà di Dio e, poi­ché la sua grande umiltà non gli permetteva di fidarsi delle sue ispirazioni o della sua preghiera, mandò frate Masseo da due anime sante: frate Silvestro e sorella Chiara per chiedere loro di domandare al Signore, nella preghiera, quale fosse la strada che Gesù aveva tracciato per lui. Frate Silvestro era uomo di grande santità e tutto ciò che chiedeva a Dio, l'otteneva. Per questo Francesco si era rivolto a lui. Frate Silvestro si mise subito in preghiera e ben presto ebbe la risposta. Anche Chiara e le sue compagne ebbero da Dio lo Stesso messaggio: "Iddio non t'à eletto per te solo, ma eziandio per la salute di molti ("Dio non ti ha colmato di favori per te solo, ma anche per la salvezza di molti). Quando frate Masseo ritornò, S. Francesco lo ricevette con grandissima carità, lavandogli i piedi e preparandogli da mangiare. Dopo che ebbero mangiato, Francesco chiamò frate Masseo nel bosco e inginocchiatosi davanti a lui, si tolse il cappuccio e stese le braccia come in croce dicendo: "Che cosa nostro Signore Gesù Cristo ordina che io faccia?". Il fraticello riferì al Santo la medesima risposta di frate Silvestro e sorella Chiara. Appena Francesco seppe la volontà di Gesù, si alzò dicendo: "Nel nome di Dio, andiamo".

MALINCONIA

Quando S. Francesco trovava malinconico qualche suo frate, gli diceva: — Una delle due: o sei in grazia di Dio o sei in peccato. Se sei in grazia di Dio, sta’ allegro; se sei in peccato domanda perdono a Dio con tutta sincerità...; e poi sta’ allegro!

 

IL TROPPO STROPPIA

A Rivo Torto, nei primi tempi dell’Ordine. Una volta verso mezzanotte, mentre tutti dormivano nelle loro cuccette, uno dei frati gridò: “Muoio! Muoio!” Subito tutti i frati si svegliarono stupefatti e terrificati. Il beato Francesco si svegliò e disse: “Alzatevi, fratelli miei, e accendete un lume”. Così fu fatto. Allora si avvicinò al letto del frate che si lamentava e chiese: “Che hai fratello? Di che cosa muori?”

Il frate replicò: “Muoio di fame!”

Il beato Francesco, pieno di carità e di discrezione, e affinché quel frate non si vergognasse di mangiare da solo, fece subito preparare la tavola e tutti mangiarono con lui.

Dopo il pasto, il beato Francesco disse a tutti: “Fratelli miei, ognuno deve calcolare le proprie forze anche nella penitenza e non esagerare nell’astinenza, perché il Signore vuole misericordia e non il sacrificio. Perciò cia­scuno d’ora in poi si regoli secondo il bisogno di nutri­mento e soprattutto secondo la benignità del nostro dolce Gesù”.

 

VANGELO

San Francesco amava tutti, ma le sue predilezioni erano per i poveri. Nei suoi conventi i poveri avevano diritto all’ospitalità. Diceva: “Chi maltratta un povero, maltratta Gesù”.

Quando faceva elemosina, lo faceva con un garbo tale da sembrare lui il beneficato. Ai poveri aveva dato tutto; per loro amore si era fatto simile a Gesù povero e umiliato. Un giorno giunse alla porta del convento la madre di un frate a chiedere l’elemosina; ma purtroppo non vi era più niente in casa, neppure un pezzo di pane. Allora Francesco, non sapendo cosa di utile donarle, vide che in convento c’era il libro più prezioso per i frati: il manoscritto del Nuovo Testamento. Lo prese, lo consegnò alla donna, dicendole: “Sorella, vendi questo libro e possa così tu avere denaro per le tue necessità!” Così l’Ordine dei Francescani perse la prima copia del Nuovo Testamento, che sarebbe potuto diventare un docu­mento storico di grandissimo valore; ma ne conservò così la sostanza, impressa nei cuori.

 

I TRE DONI D’AMORE

“O Signore, mio tutto, come mai in questa notte hai tu voluto visitare me, povero tuo servo?”. Così esclamò San Francesco in estasi, di fronte a Gesù che gli parlava.  “Sono venuto da te”, disse allora Gesù a France­sco, per chiederti tre doni, a me graditissimi!”. —“Sono tutto tuo, Signore, possiedo solo questa misera tunica: cosa posso darti di più?”. Allora Gesù gli disse: “Per tre volte metti la tua mano vicino al tuo cuore: troverai tre gemme preziose da regalarmi”. Francesco ubbidì. La prima volta Francesco si trovò in mano una splendida gemma: era il suo desiderio di possedere qualcosa di bello quaggiù. Ne fece voto al Signore, sposando Madonna Po­vertà. La seconda volta nella sua mano splendeva una perla an­cora più bella: era la sua volontà d’essere qualcuno nel mondo: l’offrì al Signore, promettendo obbedienza alla Chiesa. La terza volta Francesco estrasse dal cuore la moneta più preziosa: il suo desiderio d’amore e con gioia lo sacrificò al Signore, con il voto di castità. Francesco quindi propose: “Con questa triplice offerta, mio Gesù, ti prometto po­vertà umile, obbedienza gioiosa e la mia castità per sempre. E’ un’offerta che ti deve esser gradita, perché tu me l’hai donata e con essa ti dono tutta la mia vita”. Allora il Signore gli disse: “Ed io offro a te per sempre tutto il mio amore!”

UNA DEBOLEZZA DI S. FRANCESCO

A S. Francesco piacevano molto i dolci, soprattutto quel­li d’una specialità romana, che una gentile signora, donna Giacomina dei Settesogli, non gli faceva mai mancare, quan­do il santo si recava nella capitale. Stando per morire S. Francesco, così austero con se stes­so, ebbe un’umana debolezza: volle rivedere la matrona romana, a lui tanto cara, e volle gustare ancora una volta gli appetitosi manicaretti. Quando donna Giacomina giunse a Santa Maria degli Angeli, chiese di poter visitare S. Francesco; ma i frati le opposero: non era possibile, essendo la stanza del santo in clau­sura, dove perciò non potevano entrare le donne.

Venutolo a sapere, S. Francesco disse: “La clausura è per tutte le donne, eccetto per sorella Giacomina”. L’accolse quindi benevolmente, assaggiò di nuovo i pa­sticcini di mandorle e di zucchero, accettò da lei anche il delicato dono del velo funebre, e la consolò nelle sue la­crime. La settimana in cui venne donna Giacomina, fu proprio la settimana in cui San Francesco terminò il cantico delle Creature, chiese perdono al suo corpo d’averlo maltrattato troppo e s’incontrò con il suo dolcissimo Signore.

 

IL GIROTONDO

San Francesco un giorno andava con frate Masseo verso la Toscana. Arrivarono ad un crocicchio, donde ci si poteva recare a Siena o a Firenze o ad Arezzo. “Padre, quale strada prendiamo?”. Il Santo rispose: “Quella che Dio vorrà”. E frate Masseo replicò: “Benissimo, ma come possiamo conoscere la strada che Dio vuole da noi?”

Il Santo replicò: “In questa maniera che ora t’indicherò. Nel nome del nostro dolcissimo Gesù ti ordino che in questo crocevia, proprio nel punto in cui stai, tu ti metta a girare su te stesso, come fanno i bambini nel gioco, e non ti fermi, fin­ché non te lo dica io”.

Frate Masseo ubbidì con la massima semplicità così bene da cadere più volte per le vertigini; ma subito si rialzava e continuava allegramente a girare su se stesso. Finalmente S. Francesco gli disse: “Ora fermati e non muoverti più!”. L’altro restò subito impalato, tra la meraviglia dei pas­santi. E S. Francesco: “Verso quale direzione sei diretto?”. Rispose frate Masseo: “Verso Siena”. Allora il Santo concluse: “Questa è proprio la strada che Dio vuole che pren­diamo”. Giunsero a Siena, proprio come la Provvidenza voleva. I senesi infatti si combattevano con tale crudeltà che fra loro c’era­no già dei morti. San Francesco li condusse tutti ad una piena concordia, parlando loro del perdono e della bontà del Signore, tra la soddisfazione di tutti e soprattutto del vescovo di quella città.

 

LE CROCI DEI... LADRONI

Il sultano Ai Malik volle mettere alla prova la devozione di san Francesco verso Gesù Crocifisso.

Fece stendere ai piedi del suo trono un magnifico tappeto, ricamato di sole croci. Poi invitò Frate Francesco ad avvici­narsi se avesse calpestato le croci, lo avrebbe accusato di scarso amore a Gesù. Il Santo d’Assisi camminò deciso sul tappeto, non curan­dosi di nulla. Allora il Sultano lo rimproverò: “Tu sei cristiano e non ti curi di calpestare le croci di Gesù?” Il Santo sorridendo rispose: “Solo noi cristiani possediamo la croce di Gesù. Voi possedete solo le croci false: quelle dei ladroni, che io non temo per nulla di calpestare!”

 

L’UMILTÀ DI FRATE FRANCESCO

Una volta... Frate Masseo volle capire a fondo quale fosse l’umiltà di Francesco: avvicinatosi, quasi a mo’ di ritornello gli disse: “Perché a te, perché a te, perché a te?” E San Francesco rispose: “Che cosa vuoi dire?” Disse Frate Masseo: “Dico, perché a te tutto il mondo viene dietro, e ogni persona pare che desideri vederti, udirti e ubbidirti? Tu non sei in bell’uomo, tu non sei grande nella scienza, tu non sei nobile: come mai allora tutti ti cercano e vogliono te?”. Udito questo Francesco volse la faccia al cielo, rimase in silenzio con la mente rivolta a Dio e poi gli disse:”Tu vuoi sapere perché la gente vien e dietro a me. Ebbene questo è un dono di Dio perché Lui non ha visto tra i peccatori uno più vile, più insufficiente, più peccatore di me. Egli per fare il suo bene non ha trovato una creatura più vile sopra la terra: per questo ha scelto me per confondere la nobiltà, la bellezza, la grandezza, la fortezza e la sapienza del mondo”. Fra Masseo rimase confuso davanti ad una così umile risposta, detta con tanto fervore.

 

GIOIA PERFETTA

Francesco camminava con frate Leone sulla strada che da Perugia porta ad Assisi. Nevicava e il freddo si faceva sentire. Frate Leone domandò: “Padre Francesco, ti prego: dimmi dov’è perfetta le­tizia”. Frate Francesco rispose, cammin facendo: “Se il frate minore fosse dotto, sapesse tutte le lin­gue e le scienze, conoscesse profondamente le Scritture e predicasse in modo meraviglioso; frate Leone, scrivi: qui non è perfetta letizia”.

Camminarono un bel po’ sotto la neve, poi Francesco continuò: “Se noi, frati minori, giunti a S. Maria degli Angeli, bagnati e tremanti, bussassimo alla porta del convento e frate portinaio, ritenendoci due imbroglioni, non ci aprisse; e noi sopportassimo questo con paziente dolcezza; frate Leone, scrivi: qui è perfetta letizia”.

Dopo un breve intervallo, Francesco riprese il discorso: “E se noi, tormentati dalla fame e dal freddo; stessimo per entrare e frate portinaio ne uscisse con un bastone nocchieruto e ci picchiasse a modo; e noi soppor­tassimo questo con paziente dolcezza; frate Leone, scrivi: qui è perfetta letizia”.

Giunti ad Assisi, Francesco concluse: “Nella vita ci sono per tutti mille pene, ingiurie e disagi; se noi li sopportassimo con paziente dolcezza e li unissimo tutti ai patimenti di Gesù Crocifisso; frate Leone, scrivi: qui veramente è perfetta letizia!”

 

PERCHÈ SI VIVE?

Un giorno frate Francesco vide un muratore. Gli chiese: “Padrone mio, che fate?”. Quegli rispose: “Faccio muri da mattino a sera”. Con amore Francesco chiese ancora: “E perché fate muri tutto il giorno?” Rispose il muratore: “Per guadagnare quattro soldi”. “E perché volete voi guadagnare soldi, fratello mio?”, continuò il santo. “Per vivere!”, fu la risposta. “E perché vivete voi?”u la semplicissima doman­da di Francesco. Il povero muratore non seppe rispondere.

 

LA FONTE SOTTO L’ALBERO

Frate Francesco era pellegrino con frate Masseo. Affaticati dal sole e dalla lunga strada, si sedettero pres­so una fresca fontana, che zampillava limpida sotto un al­bero ombroso. Trassero dalla bisaccia alcuni pezzi di pane e incomin­ciarono gioiosamente a mangiarli, inzuppandoli nell’acqua chiara. Tutto era semplice e bello; ma ad un tratto, ecco frate Francesco sospirare e piangere. Chiese frate Masseo: “Padre mio, perché piangi?”. “Ah! Frate Masseo, piango di consolazione”, escla­mò il santo. E continuò: “Quanto bene il Signore ci vuole! Ha preparato per noi quest’albero ombroso. Per noi ha fatto scaturire questa limpida fonte. Dall’eternità il Buon Signore ha previsto la nostra sosta qui e l’ha riempita di delicata bontà! Non ti sembra quindi giusto, frate Masseo, piangere di gioia e d’amore?

 

BRIGANTI FRATELLI

Fra’ Agnolo era guardiano del convento di Monte Casale. Un giorno gli si presentarono tre famosi furfanti, che infestavano tutto il paese. Spinti dalla fame, si erano recati dai frati a chiedere l’elemosina. Fra’ guardiano li cacciò via in malo modo. Francesco, tornato dalla questua con una bisaccia di pane e un orciolo di vino, venne a sapere l’accaduto. Disse su­bito a fra’ Agnolo: “Tu hai fatto cosa contraria al Vangelo di Cristo! Per­ciò io ti comando ora, per santa obbedienza, che tu prenda questa tasca di pane e questo orcioletto di vino e vada su­bito a ricercare sui monti i fratelli briganti. Offrirai loro tutto questo. Poi ti inginocchierai davanti, accusandoti della colpa di crudeltà. E li pregherai da parte mia che non fac­ciano più male a nessuno, ma che temano Dio e non offen­dano il prossimo. E se faranno così, io prometto di prov­vederli sempre del mangiare e del bere”. Frate Agnolo subito partì per i monti, trovò i furfanti, li pregò con tanto amore, che sentirono rimorso e cambia­rono vita.

 

FRANCESCO E IL SULTANO

San Francesco d’Assisi, come altri santi e sante, aspirò sempre a partire per l’Oriente, annunciare il Vangelo e morire martire. Fatto prigioniero dai Musulmani con fra’ Illuminato, fu battuto e condotto dinanzi al sultano Malek-El-Kamel. Il santo gli parlò di Gesù e della vera fede; dopo qualche attimo di preghiera, propose al sultano che venisse acceso un fuoco in mezzo al quale sarebbe passato lui e i ministri musulmani. Ne sarebbe uscito illeso il testimone della vera religione. Il sultano accolse la sfida, ma non si trovò alcuno tra i suoi che si offrisse a rischiare la vita. I ministri dissero che era una provocazione e lo dichiararono degno della decapitazione. Malek allora lo difese e lo lasciò partire indenne. Ma a malincuore, perché era stato affascinato dall’entusiasmo di Francesco per la Verità e dal suo fervore per testimoniarla a tutti.

 

IL POSSEDERE

Un novizio domandò a San Francesco il permesso di acquistare un crocifisso tutto per sé. Ma il santo gli negò il permesso. “Non userò denaro della comunità, implorò il novizio, lavorerò e guadagnerò abbastanza per pagarlo”. Il Santo rifiutò ancora.

“Ma non chiedo oro o vestiti, insisté il giovane, “Che male ci può essere nel possedere un crocifisso?”. San Francesco sorrise, paziente; poi disse:  “Quando avrai un crocifisso tutto tuo, vorrai avere un libro dei Salmi, e quando avrai un libro dei Salmi, vorrai avere un breviario. Allora ti  sentirai un alto prelato e, seduto sulla sedia, dirai al tuo confratello: Su, vai a prendere il mio breviario”.

 

MISSIONARI

Francesco inviò a predicare dei fratelli in Germania, in Francia, in Ungheria, in Spagna e perfino in Terrasanta e in Africa. Prima che partissero spiegò loro con affetto come dovevano mantenersi vicini a Dio pur andando per il mondo: “Andate a due a due”,disse, “umili e dolci, osservando il silenzio e pregando Dio nei vostri cuori. Durante il viaggio siate raccolti come se foste chiusi in un eremo. Frate corpo sia la vostra celletta e l’anima, l’eremita che la abita e prega il Signore”.

 

ALCUNE PAROLE DI SAN FRANCESCO D’ASSISI

 

CONFESSIONE

Se tu ti scusi, Dio ti accusa; se tu ti accusi, Dio ti scusa.

LAVORO

Un uomo tanto sa quanto lavora.

CONOSCENZA

Conosco il Gesù povero e crocifisso, e questo mi basta.

AMORE

Una goccia di amore genuino è più nobile di un mare di scienza.

DIO

Non appoggiarti all' uomo: deve morire. Non appoggiarti all'albero: deve seccare. Non appoggiarti al muro: deve crollare. Appoggiati a Dio, a Dio soltanto. Lui rimane per sempre.

DIAVOLO

Il diavolo fa gran tripudio, quando può togliere la gioia dello spirito al servo di Dio.

 

 

FRANCESCO Dl SALES, Santo, Vescovo, Fondatore

Nato in Savoia (1527 - 1622) Francesco aveva studiato a Parigi e a Padova. Ordinato sacerdote cominciò la predica­zione nella regione di Chablais, che voleva ricondurre alla fede cattolica. Per il suo zelo apostolico venne scel­to come vescovo di Ginevra, con resi­denza ad Annecy. In questa città fondò con Santa Giovanna di Chantal, l’ordi­ne della Visitazione, I suoi scritti costituiscono la prima opera teologica cattolica in lingua francese. E’ patro­no degli scrittori e della stampa cattolica.

 

PAZIENZA E DOLCEZZA

Pazientare era la penitenza più aspra e più difficile per Francesco di Sales. Uno degli ossicini più duri, fu per lui una vecchia dama, che gli diede gran da fare prima di arrendersi. Costei aveva letto molti libri dotti e si sentiva un’arca di scienze, capace di competere con il santo Vescovo di Ginevra, anzi di riuscire a metterlo nel sacco. Ogni giorno veniva da lui per ripetere le stesse cose e lanciare improperi contro la Chiesa e il Papa. Non poteva darsi pace come il Vescovo riuscisse ad azzerare tutti i suoi argomenti con quattro parole dolci, evidenziando la verità di fede tale da farle dire: “Qui non c’è via di mezzo: o farsi cattolica o persistere nell’errore riconosciuto”. Tentò con un’ultima obiezione: il Vescovo doveva ammettere almeno che il celibato dei preti era una legge tirannica della Chiesa cattolica; ma il santo Vescovo trovò la maniera di smontarla, pacatamente: “Signora”, le disse, “se i sacerdoti cattolici avessero famiglia, non potrebbero attendere al loro ministero. Io stesso, se fossi ammogliato, e con figli, come avrei potuto trovare il tempo di ascoltarvi per tanti giorni, e su tante obiezioni?”.

 

PRESTITI

Un uomo d’affari che viveva col denaro che si faceva prestare e che non restituiva mai, si rivolse a San Francesco di Sales per avere in prestito 20 scudi. Francesco gli disse: “Ve ne darò dieci in regalo, invece di prestarvene venti: così ci guadagneremo tutti e due.

 

LA CROCE

S. Francesco di Sales, incontrò un giorno un ragazzo. Portava un secchio pieno d'acqua, su cui galleggiava un piccolo pezzo di legno. Chiese: “Ragazzo mio, a che serve quel pezzo di legno sull'acqua del secchio?” Rispose il ragazzo: “Con quel pezzo di legno, l'acqua non si agita troppo, mentre cammino, e quindi non esce dal secchio”.

Questo fatto suggerì al santo dottore un'utile considerazione sulla vita dell'uomo: “Sulle onde dei tuoi dubbi e dolori, o uomo, metti la croce di Cristo. Essa ti darà tranquillità e non perderai la pazienza nel tuo soffrire”.

 

COMINCIARE DALLE PICCOLE COSE

Un giovane studente che aveva una gran voglia di impegnarsi per il bene dell’umanità, si presentò un giorno da San Francesco di Sales e gli chiese: “Che cosa devo fare per la pace del mondo?”. San Francesco di Sales gli rispose sor­ridendo: “Non sbattere la porta così forte…”.

 

CONTROLLARE LA LINGUA

San Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra, diceva: “Per credere a una cattiva azione altrui, non mi bastano cento testimoni; mentre per accettarne una buona mi è sufficiente una parola sola”.

Voleva vedere il lato buono in tutte le cose; era tuttavia un tipo focoso, e quando c'era di mezzo qualcosa che non gli garbava, tuonava anche dal pulpito. Una volta un gentiluomo, sentendosi offeso durante una di queste prediche, corse sotto le finestre del palazzo vescovile a fare un tale pandemonio che si radunò una piccola folla. Il vescovo, zitto. “Esagera”, gli dissero i benpensanti. “Essere buoni va bene, ma questo è troppo. Lei non può permetterlo”.

Il vescovo sorrise, infine spiegò: “Ringrazio Dio di essere riuscito a tacere. Io e la mia lingua abbiamo fatto un patto: quando il mio cuore è agitato, essa deve tacere; può parlare solo quando sono perfettamente tranquillo. E vi assicuro che in quel momento, tranquillo non ero proprio”.

 

STARE CON IL RE

San Francesco di Sales — secondo il Pa­triarca di Venezia, card. Albino Luciani (Giovanni Paolo I) — intervistava la regina Mar­gherita, quando stava per imbarcarsi con Luigi IX, il santo suo sposo, per l’Oriente: “Dove va, Signora?”. “Dove va il Re”. “Ma sa di preciso dove il Re vada?”. “Me l’ha detto in modo generico, tuttavia non mi preoccupo di saper dove vada, mi preme soltanto di andare con lui”.

“Ma dunque, Signora, non ha alcuna idea, di questo viaggio?”. “No. nessuna idea, tranne quella di essere in compagnia sempre col mio caro signore e marito”. “Suo marito andrà in Egitto, si fermerà a Damietta, in Acri e in parecchi altri luoghi: non ha intenzione anche lei, Signora, di andare colà?” “Veramente no. Io non ho altra intenzione che quella di stare vicina al mio Re: i siti dove egli si reca non hanno per me importanza alcuna, se non in quanto vi sarà lui. Più che andare, io lo seguo, capisce? Non scelgo un viaggio: mi basta la presenza del Re”. Ebbene, quel Re è Dio, e Margherita è ognuno di noi, se ama sul serio il Signore.

 

AMORE CONTRO L’ODIO

San Francesco di Sales disse ad un tale che gli dimostrava odio: “Quand’anche voi non mi amaste, io vi amerei, e se mi cavaste un occhio, vi guarderei con l’altro benevolmente”

 

CONSAPEVOLEZZA

Durante una predica contro il calvinismo, San Francesco di Sales si trovò a discutere con un ministro di tale religione. Quest’ultimo che desiderava metterlo in imbarazzo, ad un certo punto gli chiese: “E se lei ricevesse uno schiaffo, che cosa farebbe?” Il santo sorrise alla provocazione, poi rispose: “So bene quello che dovrei fare, ma non so proprio dire quello che farei”.

 

BELLEZZA

Francesco di Sales era stato in lunga conversazione con una signora della corte. Un amico gli domandò se la signora era bella. “Bella?” – rispose il prelato “Non lo so”. “Come è possibile, no l’avete vista?”. “L’ho vista – replicò il santo – ma non l’ho guardata”.

 

BONTA’ E GIUSTIZIA

“Padre – confessa un giorno santa Giovanna di Chantal a San Francesco di Sales, suo direttore spirituale – ho parlato duramente a una persona, ma l’ho fatto per sostenere i diritti della giustizia e per amor del vero” Il Santo sorrise: “Dunque, figliola. Siete stata più giusta che buona. Bisogna invece essere più buoni che giusti”.

 

UMILTA’

Un giorno un signore entrò improvvisamente nella camera di san Francesco di Sales e scopre il vescovo che sta rattoppando le sue vesti. Davanti alla meraviglia dimostrata il santo vescovo risponde: “E che male c’è a rammendare ciò che io stesso ho rotto”.

 

UNA PREGHIERA DI SAN FRANCESCO DI SALES ALLA MADONNA

TU SEI MIA MADRE

Ricordati dolcissima vergine, che sei mia Madre, e io sono tuo figlio.

Che sei potente, e io sono un povero uomo, vile e debole.

Ti supplico, dolcissima Maria, di dirigermi e difendermi in tutto quello che faccio.

Se Tu non potessi, ti scuserei dicendo: è vero che è mia madre e mi ama come figlio suo, ma la poveretta non può.

Se Tu non fossi mia madre, mi metterei l'animo in pace dicendo: Ella è abbastanza ricca per soccorrermi, ma ahimè, non mi ama, perché non è mia madre.

Ma, vergine dolcissima, siccome sei mia madre e sei potente, come potrei scusarti se non mi consoli e mi dai il tuo soccorso e la tua assistenza?

Libera la mia anima e il mio corpo da ogni male, e donami tutte le virtù, specialmente l'umiltà. Così sia.

 

ALCUNE PAROLE DI SAN FRANCESCO DI SALES

ABITUDINI     

Chi non frena le piccole collere diventerà furibondo e insopportabile; chi si abitua a mentire scherzando è in grave pericolo di mentire fino alla calunnia.

AMICIZIA       

Amate tutti con carità, ma le vostre amicizie siano solo di persone che possano aiutarvi all'acquisto delle virtù.

ANIMA 

Nella dieta dell'anima ci vuole una tazza di scienza, un barile di prudenza e un oceano di pazienza.

 

AZIONI

Anche le piccole azioni sono grandi ed eccellenti, quando si fanno con pura intenzione e fervente volontà di piacere a Dio.

VERITA’

La verità che non sia caritatevole, procede da una carità che non è veritiera.

UMILTA’         

L'umiltà che è contraria alla carità non può essere virtuosa umiltà.

DIO     

Come i pesci perdono la libertà quando sono fuori dell'acqua, così l'anima ragionevole allora comincia ad essere schiava e legata quando si separa da Dio.

PARLARE       

Parlate poco e dolce, poco e buono, poco e semplice, poco e schietto, poco e amabile.

MEDITAZIONE 

I bambini, a forza di ascoltare la mamma e balbettare dietro ad essa, imparano la loro lingua; avverrà lo stesso per noi se ci terremo vicino al Salvatore con la meditazione: osservando le sue parole, le sue azioni e i suoi affetti, impareremo, col suo aiuto, a parlare, agire e volere come Lui.

 

 

FRANCESCO SAVERIO, Santo, Missionario

 

Nato in Navarra (1506 - 1552), studiò a Parigi dove incontrò Ignazio di Loyola. Con Ignazio ed altri fondò la Compagnia di Gesù (i gesuiti). Divenuto sacerdote, partì missionario. Nel giro di una dozzina di anni, percorse circa centomila chilometri per evangelizzare l’India, Ceylon, le Molucche e il Giappone. Morì alle soglie della Cina, a cui gli era stato negato l’ac­cesso. E’ patrono delle missioni.

 

VOCAZIONE

Ecco la singolare storia della vocazione di S. Francesco Saverio, protettore delle missioni e missionario.., per caso.

S. Ignazio aveva scelto per le Missioni delle Indie Orien­tali i padri Simone Rodriguez e Nicola di Bobadilla. Quest’ultimo, nel viaggio dalla Calabria a Roma per an­dare a ricevere  l’obbedienza, s’ammalò. Che fece allora padre Ignazio? Disse: “Mi rincresce proprio non poter mandare padre Ni­cola nelle missioni. Era proprio l’uomo adatto. Purtroppo sono costretto a sostituirlo subito, perché la nave dal Por­togallo sta per partire con padre Simone Rodriguez. Man­derò qualcun altro al suo posto”.

E mandò il padre Francesco Saverio, che divenne il più grande missionario dei tempi moderni.

 

UN FACCHINO ECCEZIONALE

San Francesco Saverio, un giorno, in India, venne a sapere che in un paese molto isolato vivevano parecchi pagani. Ma come trovare la strada per recarvisi? Sentendo che un tale doveva andare da quelle parti, lo pregò di permettergli d’accompagnarlo. Quegli acconsentì, a condizione però che gli portasse il pesante bagaglio, volendo egli andare comodamente a ca­vallo. Ed ecco Francesco, missionario innamorato, trottare a piedi per l’impervio sentiero, accanto al ricco cavaliere, per ore e ore, sino al campo di quei lontani fratelli, sprovveduti dell’amore più bello del mondo, quello di Gesù.

 

FRASSATI PIERGIORGIO, Santo

(Torino 1901-1925). Membro del terz'ordine domenicano, della FUCI, delle conferenze di san Vincenzo, militante del partito popolare fino all'avvento del fascismo, condusse vita esemplare di pietà e carità. Morì improvvisamente quando stava per laurearsi in ingegneria.

 

BIGOTTO O CRISTIANO

Si legge in una lettera del beato Pier Giorgio Frassati: “La vita di un figlio di Dio incomincia da una data precisa, dal giorno in cui siamo rinati al fonte battesimale; è veramente sconcertante che pochi parlino e pensino al loro Battesimo”. Un giorno, vedendolo uscire dalla chiesa al termine di una gita sugli sci, gli amici lo provocarono con una domanda: “Piergiorgio, sei diventato un bigotto?” Egli rispose con nitida semplicità: “No, sono rimasto un cristiano!”.

 

GEMMA GALGANI, Santa

Nata a Borgonuovo di Camigliano (Lucca) il 12 marzo 1878, ebbe una vita misteriosa e tormentata. Provata da molte malattie soffri nel corpo e nell’anima. A 8 anni, orfana di madre, già accudiva ai sette fratel­li. Perennemente ammalata, venne re­spinta la sua domanda d’entrare in convento. L’8 giugno 1899 ricevette le stigmate. Tra dilanianti sofferenze, malattie, tormenti, Gemma seppe mante­nere fino alla fine sorriso e buonumore. Morì giovanissima a soli 25 anni nel 1903.

 

DEVOZIONE MARIANA

La devozione alla Madonna porta necessariamente a Gesù, anzi è il mezzo più sicuro e perfetto che porti a Dio. Ecco un episodio nella devozione di S. Gemma Galgani alla Madonna. "Un giorno Gemma si vede sulle braccia della Madre divina, in atto di riposare la testa sul cuore di Lei. La SS.ma Vergine le domanda: Gemma, non ami che me? E Gemma risponde: Oh no, prima di te amo un'altra persona. A queste parole la Madonna, stringendosela ancora più al cuore: Dimmi chi è. No, non te lo dico risponde Gemma, quasi scherzando con Colei che pareva a sua volta scherzare. Se tu fossi venuta ier l'altro, di sera, l'avresti saputo soggiunse. Egli ti somiglia in tutto per bellezza, i suoi capelli hanno il colore dei tuoi. La SS.ma Vergine che pareva compiacersi di sentirselo ripetere, insisté ancora: Chi è? E Gemma rispose: È Gesù, il figlio tuo. Oh, l'amo tanto! A queste parole la Madonna nuovamente strinse a sé Gemma e disse: Oh, sì. Amalo pure, amalo tanto; ma ama lui solo. E la visione disparve".

 

GENESIO, Santo, martire

E’ un martire romano la cui esistenza è dubbia. Mimo, fu arrestato e condannato come cristiano dal prefetto di Roma. E’ protettore degli artisti di teatro.

 

IL BATTESIMO DI S. GENESIO

Tra ibuffoni di Roma, Genesio era quello che divertiva la corte mettendo in ridicolo i misteri cristiani. Una sera Dio­cleziano venne ad assistere alle sue pagliacciate sacrileghe. Genesio, coi suoi compagni, per far piacere all’imperatore, quella sera avrebbe rappresentato un battesimo cristiano. Apparve perciò sul palco vestito di bianco e si mise a gridare: “Amici, aiuto, voglio farmi cristiano!” Sbuca fuori in quel momento un altro buffone vestito da prete e un terzo con l’acqua lustrale. “Ebbene, Genesio, cosa vuoi tu da noi?” “Domando e voglio il battes...”, balbettò Genesio. Ma non finì dipronunciare la parola, giacché in quel punto sentì una forza irresistibile che gli strappò di bocca queste precise parole: “Domando il battesimo per ricevere la grazia di Gesù Cristo”. Il finto prete, di nulla sospettando, gli versò l’acqua sul capo, pronunciando le parole del sacramento. E già tutti si preparavano a batter le mani su quella cattiva farsa, quando la scena mutò. Genesio s’alzò in piedi e disse: “Ascolta, imperatore, e voi tutti ascoltate. Siamo venuti qui per deridere i cristiani con giuochi sacrileghi; ma sappiate che l’acqua versatami sul capo mi ha fatto appunto cristiano. Sì, io sono cristiano e credo in Gesù Cristo figliuolo di Dio”.

A queste parole pronunciate da Genesio seguì un tumulto indescrivibile. L’imperatore furioso si alzò e comandò che Genesio fosse legato, battuto e scarnificato. Genesio, anche sotto quei tormenti, non cessava di ripetere: “Sono cristiano, credo in Gesù Cristo unico Signore nostro”. E Diocleziano, per farlo tacere, dovette comandare che gli tagliassero la testa.(E. SANTUCCI, Le Storie del regno, E.P.)

 

GIACINTO DI POLONIA, Santo, Domenicano

Nato a Kamin nella Slesia nel 1185, divenne  canonico della cattedrale di Cracovia, poi domenicano a Roma, ricevette da san Domenico il compito di introdurre l'ordine in Polonia (1221). Fondò vari monasteri: a Friesach (Carinzia), a Cracovia, Danzica e Kiev, dove visse dal 1225 al 1233 lavorando per l'unione delle Chiese orientale e romana. Morì a Cracovia nel 1257

 

Nella vita di san Giacinto (il domenicano polacco di nome Jacco Odrowatz) si legge che il 27 settem­bre 1244 questo religioso fu raggiunto presso la cattedrale di Cracovia dalla carrozza di una matrona del luogo, chiamata Vitoslavia: ne sce­sero con la nobile signora due bambini di sette anni, che si tenevano per mano, gemelli ed entrambi ciechi. La mamma si inginocchiò davanti a san Giacinto e l’implorò perché ottenesse la vista ai suoi bambini: “Sono come dei mostri, guardate. Le loro occhiaie sono vuote. Abbiate pietà di noi”. Il Santo non poté frenare le lacrime. Si avvicinò ai due piccoli ciechi, li baciò in fronte, poi fece il segno di croce sulle cavità orbitali dicendo: “Nel nome di Gesù Cristo che è luce del mondo, io vi comando, a tutti e due, che vediate. Illuminatevi, illuminatevi, nel nome del Si­gnore”. La sua fede fu premiata. i due gemellini, nello stesso istante, si sentirono gonfiare gli occhi, aprirono le palpebre e videro il sole.

 

GIORDANO DI SASSONIA, Beato

Era nato a Burberg in Westfalia verso l’ 1185. Entrò tra i domenicani  e successe a San Domenico come secondo generale dell’Ordine. Era un dotto predicatore, ottimo direttore di anime dalla pietà profonda . Morì in un naufragio sulle coste della Siria nel 1237.

 

CALMA

Durante un viaggio, il Maestro Generale dei Domenicani, beato Giordano di Sassonia (1196-1237), si smarrì con alcuni frati in un bosco. Ai confratelli che si erano turbati per quell’incidente, il beato osservò, imperturbabile, che bisognava mante­nersi calmi: “In fondo, in fondo, ogni strada per noi conduce al Para­diso. No?”.

 

 

GIOVANNA D’ARCO, Santa

Giovanna, ancora giovinetta, ebbe delle visioni che la invitavano a liberare la Francia dominata dagli inglesi. Il Delfino le affidò il comando delle truppe che assediavano Orleans e in poco tempo riconquistarono quasi tutto il territorio francese. Per gelosia venne consegnata agli inglesi che imbastirono contro di lei un processo ecclesiastico accusandola ingiustamente alla stregoneria e condannandola al rogo il 30 Maggio 1431.

 

IL REGALO DI UN REGNO

Dopo la prodigiosa liberazione di Orleans per merito di Giovanna D’Arco, questa si rivolse al “Gentil Delfino” domandando un favore. Carlo di Francia le rispose che se anche fosse stata metà del suo regno, gliel’avrebbe immediatamente concessa. La Santa prese in parole il suo sovrano e volle che venissero quattro notai a legalizzare la cosa. Alla loro presenza dettò una incre­dibile donazione: “Carlo di Francia cede il suo regno a Giovanna d’Arco”. Poi proseguì: “Giovanna d’Arco cede il suo regno a Dio Padre Onnipotente. Avete scritto? Ora aggiungete: Dio Padre onnipo­tente affida il suo regno a Carlo di Francia perché la governi con saggezza, giustizia ed amore”.

 

DAVANTI AI GIUDICI

I giudici dicono a Giovanna d’Arco: “Siete certa voi d’essere in grazia di Dio?”(Domanda imbarazzante perché si riferiva a tutto il proble­ma del suo misticismo, della sicurezza che aveva d’essere sulla via di Dio). Ella molto semplicemente rispose: “Se ci sono, Dio mi manterrà; se non ci sono, Dio mi ci metterà!”

 

ALCUNE PAROLE DI SANTA GIOVANNA D’ARCO

 

MERAVIGLIA

Dio è Dio, Gesù è il Signore e questo basta per riempire il mio cuore di stupore e la mia bocca di canto.

PROVVIDENZA

Comprendiamo le vie del Signore solo quando siamo giunti al termine.

PREGHIERA

Per riconoscere il sovrano dominio del creatore su di noi, sul nostro essere e sulla nostra vita, gli offriamo con la preghiera la decima del nostro tempo, il sacrificio di un po' della nostra esistenza.

GIOIA

Valiamo quel che vale la nostra gioia.

 

GIOVANNI CANZIO, Santo

Nato a Kety, vicino a Cracovia in Polonia nel 1397 fu professore di teologia a Cracovia, fu per qualche anno parroco di Olkusz, ma presto lasciò la parrocchia per riprendere l'insegnamento (1440). Contribuì all'educazione del principe san Casimiro. Fu spesso pellegrino e fu riconosciuto per la sua carità verso i poveri. Morì a Cracovia nel 1473,

 

INCONTRO CON I BRIGANTI

San Giovanni Canzio, prete polacco morto nel 1473 pellegrinando attraverso l’Italia, fu depredato dai briganti. “Avete altro?”, gli chiesero. “No”,rispose Giovanni e venne rilasciato. Ma, ricor­dandosi poi di aver cucito alcune monete d’oro sul vestito, corse loro appresso per offrirle... Meravigliati di tanta ingenuità e di tanta sincerità, i briganti non solo le rifiutarono, ma gli restituirono anche quanto gli avevano preso prima.

 

GIOVANNI GUALBERTO, Santo, Sacerdote 

Nacque a Firenze, era cristiano, ma la vera conversione sembra che avvenne quando, avendo alla propria mercè l’assassino di suo fratello, fu commosso al pensiero di Cristo sulla croce e gli risparmiò la vita. Si fece monaco e fondò a Vallombrosa, in Toscana, una comunità che seguiva un adattamento della regola di San Benedetto. A questo primo monastero ne seguirono altri. Giovanni Gualberto muore a Passignano nel 1073.

 

PERDONARE I NEMICI

S. Giovanni Gualberto, fondatore dell’Abbazia di Vallom­brosa, quando era giovane cavaliere, non ancora santo, giurò vendetta contro colui, che gli aveva ucciso il fratello. Accompagnato da una squadra armata, il giorno del Venerdì Santo, incontrò il suo nemico in una viuzza di Firenze. Non c’era più scampo. Il nemico allora si inginocchiò e nel nome di Cristo crocifisso chiese pietà. Giovanni non ne volle sapere, perché l’offesa richie­deva giustizia. S’avventò sulla vittima. Questa, gettate le armi, si lasciò cadere a terra con le braccia distese a forma di croce, aspettando il colpo fatale. La vista di quella croce folgorò Giovanni, che, messo da parte ogni pensiero d’odio e di giusta vendetta, ab­bracciò il nemico e con lui visse in pace per tutta la vita.

 

GIOVANNI L’ELEMOSINIERE, Santo, Patriarca

Era nato ad Amatunte a  Cipro . Fu Patriarca di Alessandria (610-619), lottò efficacemente contro il monofisismo e combatté molti abusi, specialmente di simonia. Si distinse per la sua bontà e per il suo spirito caritatevole, che gli meritarono il soprannome di Elemosiniere. Raccolse e soccorse i profughi siriani cacciati dall'invasione dei Persiani. Morì nel 619.

 

FEDELTA’ AL “PADRE NOSTRO”

Un ricco mercante di Alessandria d'Egitto compiva scrupolosamente i suoi doveri di buon cristiano, ma non riusciva a perdonare. Lo scandalo del suo implacabile odio contro un concorrente che lo aveva imbrogliato in un contratto era tale che lo stesso vescovo, Giovanni l'Elemosiniere, volle sanare la questione. Parlò al ricco mercante, ma questi era irremovibile: si sentiva troppo offeso, soprattutto perché il rivale, anziché pentirsi dell'affronto che gli aveva fatto, ne menava vanto. L'indomani il ricco mercante, invitato dal vescovo ad assistere alla sua messa, seguiva il rito con la consueta devozione. Ma all'ora del Pater Noster, arrivati alla frase “Rimetti a noi i nostri debiti”, il popolo, già avvertito dal vescovo, tacque di botto, e il mercante si trovò a recitare da solo le parole: “... come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Mentre, disorientato, così pregava, il vescovo si voltò e, secco secco: “Stai fresco... se Dio ti perdona alla maniera che fai tu !” disse forte e ben chiaro.  Il ricco mercante capì, e finalmente decise di perdonare, per aver la certezza di ottenere, a sua volta, il perdono divino.

 

PREDICHE

Una volta Giovanni l’elemosiniere, vedendo che alcuni fedeli uscivano dalla chiesa subito dopo il vangelo per non sentire la predica, scese dall’altare e andò a predicare sulla soglia dicendo con bonomia: “La Messa e la predica sono per i cristiani non per i muri”.

 

I PADRONI

Il giorno in cui Giovanni l’elemosiniere fu consacrato vescovo di Alessandria d’Egitto chiese: “Datemi la lista dei miei padroni”. Gli fu fatto osservare che il vescovo di Alessandria non aveva padroni e lui rispose: “E quelli che voi chiamate accattoni, non sono forse i miei padroni? Non sono loro che mi apriranno la porta del cielo?”.

 

GIOVANNI XXIII° Beato, Papa 

Era nato a Sotto il monte in provincia di Bergamo il 25 novembre 1881. Fin da piccolo manifesto la vocazione, entrò nel seminario di Bergamo proseguì parte degli studi a Roma, fu ordinato il 10 agosto 1904. Fu segretario del Vescovo di Bergamo Giacomo Radini Tedeschi. Durante la guerra del 15 fu per tre anni cappellano militare. Nel 1920 fu invitato a presiedere la Propaganda fide in Italia. Nel 1925 è Visitatore apostolico in Bulgaria, fu poi delegato apostolico in Turchia e in Grecia. Durante la seconda guerra mondiale si prodigò per salvare gli ebrei. Nel 1944 è Nunzio a Parigi. Divenne Patriarca di Venezia il 5 marzo 1953. Il 28 ottobre 1958 è eletto Papa. Fu un buon pastore per la diocesi di Roma e per tutta la Chiesa. Diede il via al Concilio Ecumenico Vaticano II°. Ricevette il premio Balzan per la pace. Famose sono le sue encicliche Mater et Magistra e Pacem in Terris. Muore il 3 giugno 1963.

 

PRIMI PASSI NEL SACERDOZIO

Don Angelo Roncalli era ai suoi primi passi nel sacerdozio. Un giorno, per la celebrazione della Messa aveva ricevuto due lire. Quello stesso giorno fu chiamato ad amministrare il suo primo battesimo. Gli si presentarono alla porta una povera madre con un bimbo di pochi giorni tra le braccia, accompagnata dallo sposo. Dal viso di quei due erano evidenti i segni della più estrema povertà. Don Angelo battezzò il piccolo con tanto amore e quando la cerimonia finì, la madre arrossendo, disse: “Padre, siamo tanto poveri che non possiamo offrire neppure due uova”.

Don Angelo avrà pensato in quel momento alla Madonna e alle due tortore offerte al tempio di Gerusalemme per la nascita di Gesù, ma questa madre era ancora più povera! Frugò nelle tasche, trovò le due lire ricevute la mattina e le pose nella mano della donna.

 

SCOLLATURE

Quando non era ancora pontefice, mons. Roncalli fu invitato in Francia un giorno ad un banchetto di diplomatici. Durante il pranzo si trovò seduto di fianco ad una signora dall’abito un po’ troppo scollato. Al momento della frutta mons. Roncalli prese una mela e, con garbo, la porse alla sua vicina dicendole: “E si ricordi che Eva, dopo aver mangiato il frutto, si vestì”.

 

OCCHIATE

Quando era Nunzio apostolico a Parigi, Angelo Roncalli durante uno di quei tanti ricevimenti a cui era costretto a partecipare, scorgendo tra gli invitati molte donne belle ed eleganti, con ironica bonomia fece questo commento con un collega diplomatico. “Il problema in queste riunioni è che se arriva una signora che indossa un vestito con una scollatura audace, tutti fissano me anziché la signora, per vedere se io la guardo”

 

ANTICO E NUOVO TESTAMENTO

Quando Giovanni XXIII era nunzio apostolico a Parigi, fece tutto quello che era in suo potere per aiutare gli ebrei della città a sfuggire le persecuzioni naziste, guadagnandosi la stima e la fiducia del rabbino di Parigi. Un giorno si incontrarono davanti ad una porta e il rabbino voleva a tutti i costi che passasse prima Roncalli. Ma il Nunzio, facendosi da parte gli disse sorridendo:

“ Prego, L’Antico Testamento prima del Nuovo”.

 

GRANDE UMILTA’

Il giorno stesso della sua Incoronazione, nel novembre 1958, Giovanni XXIII, ricevendo i pellegrini della sua Bergamo, ricordò questo delicato episodio della sua vita. “Quando avevo sette anni, mio padre, dal paese di Sotto il Monte, mi volle portare ad un paese vicino, dove si celebrava la festa degli uomini d’Azione Cattolica. Per strada mi stancai... E mio padre mi mise sulle sue spalle. Giunti alla festa, essendo piccolo e la folla grande, non riuscivo a vedere un bel niente della sfilata. Che feci? Tirai il papà per la giacca... E mio padre mi mise nuova­mente sulle sue spalle. Ero veramente felice: dall’alto potevo vedere tutto! Sono passati settant’anni — concludeva il Papa Buono,—e quel gesto di mio padre me lo ricordo ancora. Anzi, per me è diventato un simbolo meraviglioso. Faccio ancora così, quando sono stanco e ci vedo poco: mi faccio portare dal Padre Celeste!”

 

RACCONTAVA PAPA GIOVANNI XXIII

Quando fui eletto papa venni invitato a dare la benedizione ai fedeli che attendevano in piazza san Pietro. Ad un certo momento dovetti salire sulla sedia gestatoria per recarmi nell’aula delle benedizioni. Che pena per me! Chiusi gli occhi, chinai il capo. Mentre attraversavo l’aula gremita di gente che acclamava, tra tante grida, mi parve di sentire una voce ben distinta, conosciuta, suadente che sussurrava: “Angelino, sii umile, sii umile, sii umile!”. Sicuro, tre volte ripeté: Sii umile! E sapete di chi era quella voce così bella? Era la voce di mia madre! E un figlio, anche eletto papa, deve sempre ascoltare i consigli della mamma.

 

RIPOSARE

Il giorno dopo l’elezione il direttore dell’ Osservatore Romano che aveva confidenza chiese a Giovanni XXII: “Santità, come è andata stanotte?” “Ieri sera, rispose il Papa, mi sono messo nelle mani di Dio e stanotte è stata serena. Però non ho dormito, tanto che ho avuto tempo di pensare al proverbio “dormire come un papa” e mi son detto che quel proverbio è sbagliato. Dormire… come? Con i passi della guardia vigilante davanti alla porta del neo papa? A un certo punto mi sono alzato e ho detto alla guardia: “Vada a riposarsi, così saremo in due a dormire”.

 

PRENDERSI LE RESPONSABILITA' FINO IN FONDO

“Nessun Concilio è stato preparato con più accuratezza e con più consultazione come il Vaticano II - asseriva Monsignor Felici -, Ricordo un episodio. Andai dal papa e lo trovai che stava scrivendo un discorso. Mi permisi di suggerirgli: "Ma, Padre Santo, con tutto quel che lei ha da fare, si mette a scrivere di suo pugno questo discorso? Forse potrebbe limitarsi a dare i concetti generali". E il Papa a rispondermi: "No, Monsignore, lo voglio fare da me. Sono il papa, non un pappagallo.".

 

LAVORO IN VATICANO

Un giorno un diplomatico in visita a Roma, chiese a Giovanni XXIII quante persone in tutto lavorassero in Vaticano. “Oh, soltanto la metà circa, suppongo” – replicò bonariamente il Papa.

 

GERARCHIA SUPERIORE

Papa Giovanni XXIII chiese un giorno ad un bambino come si chiamasse: “Acangelo” rispose con un certo orgoglio il ragazzino, “Oh povero me –esclamò il Papa – Io sono soltanto ‘Angelo’ ”.

 

ANCORA GERARCHIA

Quando Papa Giovanni XXIII visitò l’ospedale del Santo Spirito, affidato ad un ordine di suore, la madre superiora gli si presentò dicendo: “Sua Santità, io sono la superiora del Santo Spirito”.

“Beh, lei è molto fortunato – replicò il Papa sorridendo – io sono solo il vicario di Gesù Cristo”.

 

FIDARSI DEI SUPERIORI

Giovanni XXIII raccontava che, durante i primi mesi di pontificato, quando era inquieto per una decisione difficile da prendere, gli succedeva di svegliarsi di notte e di credersi ancora cardinale. Allora diceva tra sé: “Ne parlerò al Papa”. Poi si ricordava: “Ma il Papa sono io”. Allora concludeva: “Va bene, ne parlerò al Signore!”.

 

QUALCHE CHILO DI TROPPO

Giovanni XXIII era il primo a scherzare sulla sua corpulenza. Un giorno, per le vie di Roma, una donna, alle sue spalle si lasciò sfuggire un: “Dio mio, quant’è grosso!”. Il Papa si volse verso di lei e le disse: “Mia cara Signora, il conclave non è mica un concorso di bellezza!”.

 

GIOIA DI VIVERE

Si narra che Papa Giovanni XXIII, che fu sereno e ottimista fino alla fine dei suoi giorni, dicesse sovente: “La vita è come un banchetto. Io sono arrivato al formaggio, e vi assicuro che anch’esso è eccellente!”

 

FOTOGRAFIE

Durante i primi giorni del suo pontificato, Papa Giovanni XXIII, fu assediato dalle richieste di numerosi fotografi che volevano ritrarlo. Un giorno aveva appena finito di posare per uno di loro, quando fu introdotto in udienza monsignor Fulton Sheen. Papa si sfogò con lui: “Il buon Dio sapeva che a 77 anni sarei diventato Papa. Avrebbe anche potuto farmi un po’ più fotogenico…”

 

GLI ANGELI

Papa Giovanni XXIII si trovava in viaggio su un aereo. A un certo punto l’aereo per sfuggire a pericolosi risucchi d’aria, fu obbligato a prendere sempre più quota. Improvvisamente mons. Capovilla si precipita nel salottino e a mo’ di battuta dice: “Santità, guardi dagli oblò: ci sono gli angeli!” “Ma come – fa il Papa tranquillo – non li aveva mai visti?”

 

A PASSEGGIO

Un tempo, mentre il Papa passeggiava nei giardini del Vaticano, era vietato l’accesso al pubblico alla cupola di San Pietro. Papa Giovanni XXIII fece sopprimere questa restrizione dichiarando: “Ma perché mai la gente non dovrebbe vedermi? Non faccio mica niente di scandaloso!”

 

IL CONCILIO

La mattina del 9 gennaio 1959, il Padre Rossi, andato in udienza da Giovanni XXIII, si sente confidare un segreto: “Questa notte mi è venuta una grande idea, convocare un Concilio. Sai – aggiunge- mica è vero che lo Spirito Santo assiste il Papa…” Grande stupore dell’amico: “Ma come dice, Santità?”. “non è lo Spirito Santo che assiste il Papa – ribadì sorridendo Giovanni XXIII – sono io a fargli da assistente. Perché è Lui che fa tutto. Il Concilio è stata una sua idea”.

 

ECUMENISMO

Giovanni XXIII, ricevette durante la prima sessione del Concilio, l’osservatore della conferenza metodista mondiale. “Quanto occorrerà secondo voi, - gli chiese il Papa – perché le nostre chiese si ritrovino unite?” “Ahimè – rispose l’osservatore scuotendo la testa – Siamo separati da tre secoli, forse ce ne vorranno altrettanti perché ci ritroviamo” “Quanto tempo!- sospirò desolato il pontefice. Poi, levatosi d’improvviso e appoggiando le mani sulle spalle del suo interlocutore disse: “Comunque, fra noi, è cosa fatta!”

 

ARIA FRESCA

Che cosa si aspettava Giovanni XXIII dal Concilio?. Si è espresso assai sovente in proposito. Ma un giorno ebbe questo gesto e questa frase, eloquenti nella loro semplicità: “Il Concilio? – disse avvicinandosi verso la finestra e facendo il gesto di aprirla – ne aspetto una ventata d’aria fresca…” Un prelato della curia lo scoraggiava dicendo: “E’ assolutamente impossibile aprire il Concilio nel 1963”. Il Papa rispose: “E allora lo apriremo nel 1962”.

 

CIELO

Tra i gruppi di soldati che Papa Giovanni ricevette in Vaticano, figurò una volta una delegazione di paracadutisti francesi. Papa Giovanni XXIII disse loro: “Voi imparate con tanto entusiasmo come si fa a cadere dal cielo; Non vorrei però che dimenticaste come si fa a risalirvi”.

 

GENTILEZZA

Papa Giovanni era modesto e cordiale, considerava tutti indistintamente suo prossimo. Quando gli accadeva di accennare a Giuda, non tralasciava mai di aggiungere: “Quel poveretto”.

A Torino confidenzialmente lo chiamavano “Giovanin del toto” per via delle due X e delle tre  aste che seguivano il suo nome e che facevano pensare ad una schedina del totocalcio.

 

LA DISTENSIONE

Nel 1963 Giovanni XXIII decise di ricevere in Vaticano Alexei Agiubei, genero di Kruscev, ateo e marxista. Il sovietico gli chiese se non fosse ormai giunto il momento di stabilire tra Urss e Vaticano relazioni diplomatiche. “Dio nella sua onnipotenza – rispose il Papa – ha impiegato sette giorni per creare il mondo. Noi che siamo molto meno potenti non dobbiamo precipitare le cose… ma andare per tappe, preparando gli spiriti. Altrimenti un simile passo sarebbe mal compreso. Lavoriamo piuttosto alla riconciliazione di tutti gli uomini nella discrezione”.

 

RESTITUZIONE

Un celebre usuraio morì e lasciò tutti i suoi beni in opere di beneficenza. Quando Papa Giovanni lo seppe commentò: “Ha proprio pensato di fare il furbo: ha passato tutta la vita a rubare ai signori di questa terra e ora restituisce tutto al Signore del cielo sapendo benissimo che è l’unico che gli renderà il cento per uno.”

 

ALCUNE PAROLE DI PAPA GIOVANNI XXIII

ALLEGRIA      

La letizia pura, delicata, che mi deve sempre occupare il cuore, trova la sua manifestazione più sincera nelle azioni minutissime.

AMARE 

Amare, sempre, amare tutti, amare in ogni circostanza, anche quando la voce o la penna hanno il dovere di condannare.

ANIMA 

L'anima grande e forte non diviene mai vittima della tristezza, neppure nelle ore della più grave tribolazione.

VITA    

La vita è un po' una navigazione. Si parte salutando e piangendo per il distacco delle persone care, ma, ecco, all'arrivo altre persone che stanno già al porto ad attenderci.

VECCHIAIA     

E' spenta la giovinezza e incombe la vecchiaia là dove gli ideali non infiammano più il cuore.

ZELO   

Finché posso preferisco essere calorifero che frigorifero.

VITA    

La mia vita deve essere come l'incenso. Non adoperato, è materia amorfa; gettato nel fuoco, arde e diffonde nel tempio del Signore odore di soavità.

LETTURE

Ieri il mio dotto professore diede un bellissimo consiglio: leggere poco, ma bene. E quanto si dice delle letture, io applico ad ogni cosa: poco ma bene.

 

 

GIROLAMO, Santo

 

“Ignorare le Scritture, significa igno­rare il Cristo”. Questa massima di Girolamo (c. 342 - 420) ci dà la chiave di lettura della sua vita interamente consacrata a tradurre e a commentare la Bibbia. Recatosi a Roma per motivi di studio, il giovane dalmata si entusiasmò per la vita dello spirito. Dopo un tentativo di vita eremitica in oriente, venne ordinato sacerdote ad Antiochia. Compose una nuova traduzione latina della Bibbia, desitinata a diventare di uso comune in occidente: la “volgata”. Trascorse gli ultimi 35 anni della sua vita a Betlemme, se­guendo alcuni cenacoli di donne che egli aveva formato alla vita monastica. Nella preghiera scrisse le sue opere di esegesi e di teologia, e’ diverse lettere in cui si esprime il suo desiderio di servire la chiesa.

 

AMORE PER LA SCRITTURA

Girolamo, il ‘leone’ di Dalmazia, passò la sua giovinezza a Roma, dove acquistò profonda conoscenza della lingua lati­na, greca ed ebraica. Giorno e notte attese allo studio e alla traduzione in la­tino dei libri della Bibbia. Proprio a Roma, durante una Quaresima, fu colpito da una febbre violenta, tanto che fu creduto vicino a morire. Di quel tempo egli narra questo sogno, che lo spinse ancor più alla scienza di Cristo. Gli parve d’essere portato al tribunale di Dio, che gli domandò: “Di che religione sei tu?” Rispose Girolamo:”Io sono cristiano”. Commentò Dio: “Tu non sei cristiano, ma ciceroniano; non sei segua­ce di Cristo, ma di Cicerone, poiché là dove si trova il tuo tesoro, si trova pure il tuo cuore!” Girolamo dovette tacere. E davanti alla faccia corruc­ciata di Gesù giudice, egli pregava: “Signore, abbi pietà di me!” Pregarono per lui anche i santi, tanto che Dio si fece promettere da Girolamo che d’allora in poi avrebbe amato e studiato più i libri sacri che non quelli profani. Quando Dio lo licenziò dal suo tribunale, Girolamo si svegliò e raddoppiò il suo amore per le Sacre Scritture. E per meglio dedicarsi a questo studio, si ritirò a vita forte­mente ascetica nel deserto di Giuda, vicino alla grotta di Betlemme, dove con i suoi discepoli fondò un monastero.

 

DAMMI I TUOI PECCATI

Girolamo aveva lasciato la sua villa sull’Aventino, i suoi studi classici a Roma, i suoi piaceri giovanili nel mondo e si era ritirato con Cristo in una grotta, presso Betlemme. Occupava le sue notti in preghiera e, austero penitente,si percuoteva il nudo petto con un sasso. Durante il giorno compiva con somma diligenza l’incarico ricevuto dal Papa: tradurre in lingua volgare — a quei tempi era il latino —la Bibbia. Ma non era felice, quando pensava ai suoi pec­cati. Una notte gli apparve il Signore e gli disse: “Girolamo, hai ancora qualcosa di tuo da donarmi!” Rispose il santo: “Signore, cosa vuoi ancora? T’ho dato la vita, ritiran­domi dal mondo. Ti dono l’intelligenza, mettendola al ser­vizio della tua Parola. Ti dono il mio cuore...” Ma Gesù continuava: “Eppure, Girolamo, hai ancora qualcosa di tuo da do­narmi!” E il santo dottore della Chiesa: “Tu sai, o Signore, tu sai che non ho più nulla da donarti. Mi sono ridotto povero e nudo con te...”. “Lo so, Girolamo, lo so — concluse alla fine Gesù; —ma hai ancora qualcosa di veramente tuo da donarmi. Dam­mi i tuoi peccati! Dammi i tuoi peccati! Li voglio tutti perdonare, per farti felice!”

 

IL LEONE DI GIROLAMO

Un giorno, verso il tramonto, Girolamo con i suoi mo­naci era tutto intento alla lettura della Bibbia, quando un leone, ruggendo, entrò nel recinto del monastero. Girolamo gli andò incontro benevolmente, quasi come ad un amico e il leone gli si accucciolò vicino, alzando un piede ferito. Nella zampa gli si era conficcata una grossa spina, che gli causava dolore e cancrena. Il santo curò gentilmente la ferita, estraendone la spina. Commosso, il leone rimase tra i monaci, come animale domestico e fedele, non solo fino a guarigione perfetta, ma per sempre. Così si avverò mirabilmente quanto Girolamo scrive in una sua lettera: « Nel nostro monastero offriamo ospitalità con tutta cordialità ed accogliamo con gioia tutti quelli che vengono a noi, eccetto gli eretici incalliti, e agli ospiti lavia­mo i piedi».

 

SACRA SCRITTURA

Ad un critico dei suoi lavori biblici, San Girolamo - che trascorreva notti intere nello studio della Sacra Scrittura – diede questa risposta: “Ho consumato più olio io nella lucerna che tu vino nello stomaco”.

 

PAROLE DI SAN GEROLAMO

ABITUDINI     

L'abitudine al peccato, all'inizio, ci sembra lieve come una tela di ragno; ma quando vogliamo liberarcene, è come tante catene di ferro.

 

TRISTEZZA

L'allegria dell'anima è capace di mitigare anche i dolori del corpo. Ma se a tali dolori si associa anche la tristezza interiore, la malattia si raddoppia.

VIRTU’ 

Le virtù esercitate senza moderazione e misura devono essere considera­te vizi.

PARLARE

Rifletti a lungo su quello che devi dire e, mentre ancora stai zitto, pensa a non doverti pentire di aver detto qualcosa.

TEMPO

Ogni giorno cambiamo, ogni giorno moriamo, eppure ci vagheggiamo eterni.

 

GIROLAMO EMILIANI,Santo

 

Nato a Venezia, Girolamo (1486-1487) era militare quando fu fatto prigioniero e si convertì. Da allora si dedicò al servizio dei poveri, degli ammalati; degli orfani, servizio che  è  lo scopo della congregazione da lui fondata (i Somaschi). Curando gli appestati , si  ammalo anch'egli di  peste e morì. E' patrono dei bambini abbandonati.

 

I LUPI

Un giorno d’inverno, Girolamo Emiliani e i suoi orfanel­li camminano per le campagne, vicino a Pavia. Cade la neve. “Che bello!”, esclamano i fanciulli. E tendono le ma­ni, per ricevere quei fiocchi impalpabili, mentre le loro teste diventano come mandorli fioriti. “Presto, via, cari piccoli!, dice il loro padre, San Girolamo Emiliani. Ma la meraviglia è grande, troppo grande, per obbedire immediatamente. Continuano a correre beati, a buttarsi pal­le di neve con gioia. “Sbrigatevi, ripete il santo. Ormai si fa sera. Egli ha visto sulla neve fresca tracce di zampe, più lun­ghe di quelle dei cani. Ha sentito lontano una specie di lamento, simile al sibilo del vento del Nord. Ma all’improvviso grida di spavento scoppiano tra i fan­ciulli. Si precipitano tutti intorno al padre, s’aggrappano al suo mantello, si stringono a lui. “I lupi! I lupi!” I lupi sono usciti fuori dal bosco, spinti dalla fame. Ir­suti, magri, gola aperta, occhi biechi, orecchie attente e di­ritte. Se Girolamo ha un timore terribile degli uomini che be­stemmiano, teme molto meno le bestie feroci. Non dice ai fanciulli di sbattere gli zoccoli l’uno contro l’altro; leva lui minacciosa la mano destra; ma la devozione e l’abitudine trasformano quel gesto in segno di Croce. E’ così che i santi allontanano satana; ma è anche così che benedicono. I lupi guardano l’uomo amico con aria attonita. Spari­scono nel bosco, come se fossero stati misteriosamente sa­ziati da Dio.

 

LA MELA

San Girolamo Emiliani, padre degli orfani, aveva aperte molte case ai bambini abbandonati da tutti, per vivere con loro ed educarli all’onestà e al lavoro. Tra queste ricordiamo i  Martinit di Milano. Una sera il santo vede un orfanello piangere sconsolato. Un compagno più grande gli aveva rubato una mela e l’aveva mangiata. Sbollita la rabbia, prima di fare giusti­zia, Girolamo suggerì al bambino in pianto il perdono. Que­sti accettò e strinse la mano al compagno prepotente. Durante la notte sognò. Ecco, un Angelo meraviglioso discendeva dal cielo e si fermava proprio accanto al suo letto. Aveva in mano una bellissima mela e, sorridendo, gliela porgeva. L’orfanello, sempre nel sogno, con gioia la prese dalle mani dell’Angelo e la consegnò a padre Girola­mo, che era lì accanto, perché la mettesse sul suo comodi­no. L’avrebbe mangiata l’indomani mattina. Quando si svegliò, al mattino, aprendo a fatica gli occhi ancor pieni di sonno, notò sul suo comodino una mela me­ravigliosa, che così bella non aveva mai visto!

 

PENITENZA

Passando da Somasca a Vercurago, paesi vicino a Lecco, Girolamo Emiliani è attirato dalle urla di due uomini, che stavano litigando. Ed erano fratelli! La loro collera non si sfogava soltanto in imprecazioni ed ingiurie, sembravano trovar sollievo bestemmiando orrenda­mente contro Dio e la Santa Vergine. Disgustato, Girolamo si ferma e grida: “Ah! Cattivi cristiani, avete tanto ricevuto da Dio, come potete fargli così grande oltraggio?” Ma quei due miserabili continuavano a vomitare le loro orribili bestemmie. Allora il santo si prostra a terra, raccoglie fango a piene mani e si mette a masticarlo. I fratelli si fermano stupiti e dicono: “Padre, voi siete matto!” Il  santo dà loro una spiegazione: “Faccio penitenza! Non cesserò di castigare la mia bocca, mangiando questa immondizia, finché non smetterete di offendere Dio con le vostre parole d’inferno!” La lotta finisce. I fratelli si riconciliano. Accompagnano il santo al suo rifugio, dove tanti bambini orfani l’attendono.

 

Girolamo Emiliani, che tutti chiamavano “Padre”, an­che se non fu mai sacerdote, un giorno era in cammino ver­so Milano, con un gruppo di orfanelli. Sfinito dal viaggio e dalle fatiche, si sentì male. Riuscì a rifugiarsi in un cascinale diroccato, dove si distese su un po’ di paglia, tra lo sconforto e il pianto dei suoi piccoli accompagnatori. Chiesto aiuto, sopraggiunse finalmente un ricco cavaliere. Vedendo il santo, ormai conosciuto da tutti, in stato pieto­so, gli offrì ospitalità nella sua casa. Disse: “Padre Girolamo, si degni essere ospitato nella mia casa. Purtroppo però posso accogliere solamente lei; non ho posto per i suoi ragazzi”. Con un fil di voce, ma con dolce decisione, Girolamo ri­spose: “Dio vi ricompensi della vostra carità, ma non posso accettare la vostra premurosa ospitalità, non posso abban­donare questi miei amati figli. Io voglio vivere e morire con loro! Infatti morì con loro e per loro a Somasca, vicino a Bergamo, l’8 febbraio 1936, colpito dalla peste, contratta nel curarli.

 

GIUSEPPE BENEDETTO COTTOLENGO, Santo Sacerdote

Nacque a Bra il 3 Maggio 1786 da una famiglia di solida tradizione cristiana. Sacerdote nel 1811 si dedicò al ministero prima a Torino e poi come viceparroco a Corneliano d’Alba, poi ancora a Bra. Nel 1818 fu nominato canonico della chiesa del Corpus Domini a Torino. Lo chiamavano “il canonico buono” per la sua dedizione ai poveri. Vista la situazione disperata in cui versavano le persone che si ammalavano, cominciò ad aprire due stanze per accoglierli. Fidandosi della Provvidenza presto allargò la sua opera. Un vedova, Maria Nasi, diede la sua collaborazione con un gruppo di ragazze. Poco per volta nacquero la Piccola casa della Divina Provvidenza, i preti della Santissima Trinità, diverse famiglie di suore. Invocando la Madonna morì il 30 Aprile 1842.

 

UNA PARTITA A BOCCE

Un giorno a Torino si presentò alla porta della Piccola Casa della Divina Provvidenza l’Arcivescovo di Vercelli. Don Giuseppe Cottolengo, avvertito, fece comunicare all’eminente visitatore, scusandosi, di non poter presentarsi a riceverlo, perché intento al gioco delle bocce con uno degli ospiti della casa: un infelice handiccappato, che si sarebbe forse offeso per l’interruzione della partita. L’arcivescovo, dinanzi a simile lezione d’umanità, restò commosso e volle avere l’onore di fare l’arbitro e contare i punti nella gara di quei due bocciofili così accaniti.

 

FIDUCIA IN DIO

Un giorno San Giuseppe Benedetto Cottolengo ricevette la visita di un importante personaggio, mandato da Re Carlo Alberto a ispezionare le sue opere di carità. Costui restò molto impressionato vedendone la vastità e non nascose al reverendo la sua preoccupazione che le forze di cui disponeva il sacerdote non fossero sufficienti a sostenere il grave carico che s'era addossato. "Ma non vedete, signor canonico - gli disse - che voi avete un paese intero di poveri da mantenere? Ci vorrebbero rendite e fondi che voi non avete…" E don Cottolengo serenamente: "Eccellenza, chi ha non sono io, ma la Divina Provvidenza, la quale, che io sappia, non ha mai lasciato nessuno negli impicci.".

Il personaggio restò colpito da quell'incrollabile fiducia e non aggiunse altro.

 

PROVVIDENZA

Una mattina la portinaia della casa dove abitava il Cottolengo gli dice: “Come mai, padre non prende mai la chiave quando esce di casa?”. “Ma che chiave – le risponde brusco. La chiave la tengono i padroni e qua dentro il padrone non sono io ma la Divina Provvidenza”.

 

ESCE DALLA FINESTRA ED ENTRA DALLA PORTA

Un giorno la direttrice della mensa dice al Cottolengo: “Reverendo, non c’è in casa una briciola di nulla e non abbiamo in cassa che un marengo”. “Un marengo? Vediamolo!”. Avutolo in mano il Cottolengo dice: “Guarda che si fa!” e butta la moneta dalla finestra. La donna resta interdetta: “Padre, ma come, lei getta via il denaro?”

“Stai quieta e vedrai che bel gioco ne avremo… Lo getto dalla finestra perché so che rientrerà dalla porta”.

Infatti poco prima di mezzogiorno entra un signore e, silenziosamente, posa sulla tavola della cucina una grossa borsa piena di danaro.

 

APPUNTAMENTO

Giuseppe Cottolengo muore a soli 56 anni, ma è tanto fiaccato dalla fatica e dalle preoccupazioni che a chi lo assiste dice: “L’asino non vuol più camminare. Bisogna proprio morire. Arrivederci in cielo!”.

 

ALCUNE FRASI DI SAN GIUSEPPE BENEDETTO COTTOLENGO

ELEMOSINA

Fate la carità in modo che i poveri ve la possano perdonare.

GUIDA

Il cieco si lascia condurre da chi ci vede, e anche se gli sembra di cadere in un precipizio sta dritto e cammina bene .

CROCE

Tutto si impara ai piedi della croce.

ALLEGRIA

Voglio che siate allegri, che siate contenti... L'allegria non ha mai guastato la santità.

EUCARESTIA

Oh, se sapessimo e volessimo sapere quale tesoro è la Messa! La chiesa sarebbe di continuo piena di gente !

MARIA

Per me, dopo Dio, so chi devo amare: E' la mia Madre, è la vostra Madre, è la Madre di tutti gli uomini.

POVERO

Gesù dimentica niente di quanto fate a Lui nella persona dei suoi poveri.

 

 

GIUSEPPE CAFASSO, Santo

Giuseppe Cafasso nacque il 15 gennaio 1811 in Piemonte a Castelnuovo d’Asti.

Compiuti gli studi nelle scuole pubbliche di Chieri, e poi nel seminario della stessa cittadina, venne ordinato sacerdote a Torino il 22 settembre 1833.

Memoria liturgica al 23 Giugno. Formò generazioni di sacerdoti, che ne assimilarono la dottrina e ne seguirono gli esempi. I carcerati furono i suoi prediletti: avrebbe voluto restare sempre con loro per dividerne i dolori, ed avviarli alla redenzione. Accompagnò ben 68 di essi al patibolo e tutti furono toccati dalla sua presenza e carità e molti si convertirono. Spirava il 23 Giugno 1860. Aveva soltanto quarantanove anni.

 

SCUOLA DI CATECHISMO

Nella vita di san Giuseppe Cafasso vien descritta la scuola di catechismo che egli teneva ai fanciulli. Usava spesso chiedere: “Quante Mamme avete voi?”. Per lo più i bambini rispondevano che ne avevano una soltanto, e il buon cappellano dei carcerati ribatteva subito. “No, no! Pensateci bene... Ne avete di più”. Qualche bambino ricordava allora la nonna, la zia o la maestra. E il santo insisteva. “Intendo di vere madri”. E, se non riuscivano, dopo un po’ esclamava: “Lo sapete, ma non me lo volete dire. Vediamo se indovino. Voi avete due mamme, una quella che sta a casa vostra e vi vuoI tanto bene. L’altra, quella che sta in cielo e ve ne vuole ancor di più, la Madonna. Non è vero che ho indovinato?”. I bambini dicevano, convinti, che aveva proprio indovinato.

 

PERSUASIONE

Di san Giuseppe Cafasso, il cosiddetto «prete della forca» che riusciva a confessare anche i prigionieri più disperati, si racconta che non pretendesse mai dai suoi penitenti la promessa esplicita di non peccare più (secondo la formula del “fermo proposito”, richiesto dal Catechismo d’allora). Sappiamo invece che usava tutt’altra strada. Nel caso d’un incallito bestemmiatore, ad esem­pio, gli diceva: “Io sono sicuro che con la grazia di Dio non ci cascherai più. Vero? Sono sicuro che tu non vuoi offendere il buon Dio, che ti vuoi tanto bene. Io sono sicuro...”, continuava con grande intuito psicologico e convincente forza di persuasione. Così poteva dare serenamente l’ as­soluzione di Cristo in ogni più incresciosa situazione.

 

IL CROCIFISSO

Quando san Giuseppe Cafasso accompagnò il generale Ra­morino nella Piazza d’Armi di Torino dove sarebbe stato fucilato per la sua disubbidienza in tempo di guerra, gli chiese che, prima di mo­rire, facesse un discorsetto per mostrare d’aver vinto ogni rispetto umano nel riconciliarsi con Dio. Il generale rispose dicendo che non sapeva far discorsi. Allora il santo gli mise in mano il crocifisso e, invitandolo a baciarlo davanti a tutti i presenti, mormorò: “Questo sarà il suo più bel discorso”.

ALCUNE PAROLE DI SAN GIUSEPPE CAFASSO

ELEMOSINA

L'elemosina non impoverisce: questa è una verità registrata dalla Sacra Scrittura e provata dall'esperienza.

FIDUCIA

Essendo purtroppo difficile portare al tribunale di Dio intatte le altre virtù, la confidenza almeno portiamola tutta.

MISERICORDIA DI DIO

Un istante solo di ravvedimento, dopo un lungo periodo di resistenze, basta a riconciliare un anima con Dio misericordioso.

SCANDALO      

Se viene appiccato il fuoco ad una casa, ad un bosco, non si sa' quanto potrà durare e fin dove si estenderà.

OZIO     

Una massima sovente ripetuta tra i monaci dei primi tempi diceva che se v'è un demonio per tentare chi lavora, ve ne sono cento attorno all'ozioso.

 

GIUSEPPE DA COPERTINO, Santo

Nato a Copertino nelle Puglie nel 1603. Desideroso di diventare sacerdote, fu rifiutato da alcuni Ordini per "la sua poca letteratura", aveva infatti dovuto abbandonare la scuola a causa della sua povertà e di una malattia. Venne infine accolto dai Cappuccini, ma fu dimesso per "inettitudine" dopo solo un anno. Fu quindi accolto come Terziario e inserviente nel piccolo convento della Grotella, dove riuscì ad essere ordinato sacerdote. Aveva manifestazioni mistiche che continuarono per tutta la vita e che, unite alle preghiere e alla penitenza, diffusero la sua fama di santità. Per decisione del Sant'Uffizio venne trasferito di convento in convento fino a quello di San Francesco in Osimo. Seppe accettare la sofferenza, di cui fu piena la sua vita, con estrema semplicità e con semplicità morì nel 1663.

 

EUCARTISTIA

Quando si portava la Comunione a san Giuseppe da Copertino, che durante l’ultima malattia non poteva più celebrare Messa, egli avvampava improvvisamente in volto e, mettendosi ginoc­chioni sul letto, esclamava in felice ritornello: “Ecco la gioia! Ecco la Gioia viene!”. Dimenticava ogni dolore, batteva le mani e sorrideva in santa letizia francescana.

 

GIUSTINO, Santo

Appassionato ricercatore della verità, studia tutte le filosofie del suo tem­po. Dedicatosi alla meditazione della Bibbia, riconobbe nel cristianesimo la vera sapienza. Dopo la conversione si mise ad insegnare questa dottrina a Roma. Processato e condannato a morte nel 165, al giudice che lo incitava a rinnegare Cristo rispose: “Nessuno che abbia buon senso abbandona la verità per l’errore

 

MARTIRIO

Giustino ancora pagano era stato scosso dalla testimonianza dei martiri.

“Stavo ancora approfondendomi nella dottrina di Platone quando venni a conoscenza delle accuse lanciate contro i cristiani. Ma vedendoli così intrepidi di fronte alla morte e ai patimenti — cose che in ogni altro mettono i brividi — pensavo tra me non era possibile che persone del genere vivessero nel male e nell’attaccamento ai piaceri. In verità, datemi un uomo lussurioso, sfrenato, che mangi avidamente carne umana, il quale voglia poi affrontare la morte privandosi di questi piaceri. Non cercherebbe piuttosto di godersi la vita di quaggiù e di sottrarsi ai magistrati, anziché offrir­si alla morte denunciandosi da solo?...”

Dopo la conversione nel 163 d.C., sotto l’imperatore Marco Aurelio, viene arrestato a Roma con altri cristiani, perché nella sua scuola faceva meravigliosa propaganda per il cristianesimo.

Ecco il dialogo tra lui e il pre­fetto Rustico, durante il processo.

Rustico: — Quale dottrina professi?

Giustino: — Per tutta la vita sono andato in cerca della verità. Ho studiato profondamente tutte le filosofie orien­tali, greche e romane; ma finalmente mi sono incontrato con la dottrina vera!

Rustico: — E qual è questa dottrina vera?

Giustino:  — Quella di Gesù di Nazaret: liberarci cioè dagli idoli vani e adorare l’unico Dio vivo e vero.

Rustico: — Sei dunque cristiano?

Giustino: — Sì, lo sono e me ne glorio e con me questi miei amici.

Allora il prefetto, corrucciato, comandò: —Riunitevi qui tutti insieme: prestate ossequio divino all’imperatore e sacrificate agli dei, altrimenti sarete con­dannati a morte, come atei!

Per tutti rispose Giustino: — Noi rifiutiamo sì l’idolatria; ma per questo non siamo atei: adoriamo un Dio spirituale, Padre di Gesù! Nessuno che sia sano di mente passerà dalla religione vera a quella falsa!

Quando il prefetto ordinò che fossero torturati, tutti ri­sposero: — Fa’ pure quello che vuoi: noi siamo cristiani e ri­marremo tali ad ogni costo. Piuttosto la morte, che sacrifi­care agli idoli falsi!

Allora il prefetto di Roma pronunziò la sentenza: - Giustino di Nablus di Samaria e quanti con lui non hanno voluto sacrificare agli dei e prestare ossequio divino a Marco Aurelio Imperatore, a norma della legge romana, siano flagellati e decapitati! .

Così Giustino e compagni firmarono con il sangue la loro professione di fede cristiana.

 

Fonte: http://digilander.libero.it/unaparolaalgiorno/Aneddoti%20e%20Parole%20di%20Santi%202.doc

Sito web da visitare: http://digidownload.libero.it/unaparolaalgiorno/

Autore del testo: don Franco Locci

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