Autoritarismo e totalitarismo

 


 

Autoritarismo e totalitarismo

 

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti. Se vuoi saperne di più leggi la nostra Cookie Policy. Scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.I testi seguenti sono di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente a studenti , docenti e agli utenti del web i loro testi per sole finalità illustrative didattiche e scientifiche.

 

 

 

Appunti su Autoritarismo e Totalitarismo

Prendendo le mosse dalla definizione di Juan Linz (1964) di «autoritarismo»:
“un sistema politico con pluralismo limitato e non responsabile, senza una elaborata ideologia guida, ma con mentalità caratteristiche, senza mobilitazione politica estesa o intensa, tranne che in alcuni momenti del suo sviluppo, e con un leader, o talora un piccolo gruppo, che esercita il potere entro limiti formalmente mal definiti, ma in realtà abbastanza prevedibili”

L’aspetto più importante è la mobilitazione politica bassa: non vi è autonomia né indipendenza della società civile, mentre nelle fasi di maggiore stabilità del regime autoritario si tenderà a tenere le diverse espressioni sociali fuori dalla politica. Ad ogni modo, si tratta di mobilitazione «dall’alto», con conseguente debolezza (o assenza) delle strutture di mobilitazione e con l’esistenza, viceversa, di efficaci apparati di smobilitazione, nella maggior parte connessi alle strutture dei servizi di sicurezza.

Per quel che concerne il pluralismo limitato, sta ad indicare l’esistenza di una coalizione dominante composta da più attori (istituzionali e/o sociali politicamente attivi, come esercito, burocrazia, l’eventuale partito unico, la Chiesa, gruppi industriali e/o finanziari, proprietari terrieri, sindacati o strutture economiche transnazionali). Sono attori che operano in assenza di competizione politica e che spesso acquistano un significato puramente simbolico volto alla legittimazione “di facciata” del regime.

L’esistenza di una coalizione dominante è motivo della discriminazione di altri attori sociali e politici dall’accesso alla politica. Tale emarginazione si realizza attraverso la combinazione di un uso sistematico degli apparati di repressione poliziesca e di un ricorso, con chiari intenti di legittimazione, all’ideologia. Non va trascurato che questi aspetti aiutano a cementare la coalizione dominante, che normalmente si mostra relativamente più coesa di una coalizione di governo di un regime democratico (soprattutto rispetto all’intesa finalizzata all’emarginazione di gruppi e attori concorrenti). Ciò tuttavia non significa che la coalizione dominante non possa, nel corso del tempo, subire dei mutamenti, nel senso che attori originariamente minoritari possono esserne emarginati o – viceversa – divenire ben più importanti e decisivi.

La presenza di mentalità caratteristiche costituisce un altro aspetto distintivo dell’autoritarismo, soprattutto perché ben diversa dall’esistenza di una vera ideologia fondante del regime, come invece accade nel caso del totalitarismo. Mentalità caratteristiche sono atteggiamenti di stampo intellettuale orientati alla evocazione di alcuni valori, più o meno ambigui, sui quali si ritiene sia piuttosto facile ottenere il consenso di attori diversi. Valori quali dio, patria, famiglia, ordine, nazione ecc. sono peraltro largamente accettabili anche da strati piuttosto ampi della popolazione, soprattutto in situazioni di crisi (come di solito sono quelle che precedono l’instaurazione autoritaria).

I limiti all’esercizio del potere formalmente mal definiti, sebbene abbastanza prevedibili, sono quelli che permettono a chi governa di esercitare il proprio dominio con un elevato grado di discrezionalità, differentemente da quanto accade, da un lato, nei regimi democratici, dove vige la certezza del diritto e, dall’altro, nello stato totalitario, dove è il leader e le sue strutture ad imperversare con la massima arbitrarietà.

Importante è anche il ruolo del leader, o del piccolo gruppo al potere, che mostra in tutta evidenza come nei regimi autoritari la personalizzazione e/o l’oligarchia politica sia un dato piuttosto comune.

 

Detto questo, a proposito dell’autoritarismo, non resta che introdurre il concetto di totalitarismo ragionando per contrapposizione fra opposte caratteristiche. In tal senso, un regime totalitario si distingue per:

  1. totale assenza di pluralismo, ossia monismo politico, cioè governo del partito unico, con conseguente occupazione pervasiva delle strutture dello Stato da parte del partito;
  2. presenza di un’ideologia articolata e precisamente definita, finalizzata alla legittimazione del regime ed alla sua preservazione come unico orizzonte possibile per la società, oltre che alla mobilitazione («dall’alto») ritualistica delle masse a sostegno del regime stesso, del partito e del suo leader;
  3. elevata mobilitazione politica, in modo continuativo sostenuta dalle strutture organizzative del partito unico e da quelle che ne sono subordinate;
  4. presenza di un leader o di un piccolo gruppo al vertice del partito unico (qui la differenza con l’autoritarismo sta nella stretta identificazione fra leader, o piccolo gruppo, e partito unico, e tra partito unico e Stato);
  5. limiti del tutto imprevedibili all’esercizio del potere da parte del leader.

 

Nel dettaglio, è possibile aggiungere ancora qualche osservazione.

L’ideologia articolata e precisamente definita di un regime totalitario è un “nucleo progettuale […] di trasformazione totale della realtà sociale”. In essa si esprime il cosiddetto «terrore totalitario», che individua “nemici potenziali”, “nemici oggettivi”, “autori possibili di delitti” ecc., quando non addirittura “seguaci” che possono costituire un intralcio per il regime e verso i quali si indirizza l’accusa di “traditori”. Il «terrore totalitario» si sostanzia in una sorta di universo concentrazionista, che si caratterizza per l’elevata quantità di persone coinvolte e per l’essere una struttura politica di sradicamento del tessuto sociale (del resto, scopo dell’ideologia totalitaria è anche l’annullamento della società nella politica di regime).
Dal punto di vista ideologico, due sono i principali tipi di totalitarismo che ereditiamo dall’esperienza storica recente: il totalitarismo di sinistra dell’URSS stalinista e il totalitarismo di destra della Germania hitleriana. Il primo, contraddistinto da una cultura politica di stampo internazionalista, con obiettivi di profonda trasformazione della società, caratterizzata da un ricorso mitologico e strumentale alla logica della “democrazia popolare”, priva di connotazioni xenofobe e/o razziste. Il secondo, contraddistinto da una cultura politica di stampo nazionalista, con obiettivi di limitata trasformazione sociale, pronta a sottolineare il ruolo carismatico del leader e dell’élite di regime, con forti connotazioni xenofobe e razziste. Inoltre, mentre il comunismo stalinista non attribuisce alcun ruolo importante alle organizzazioni di stampo paramilitare, il nazismo hitleriano attribuisce a queste strutture un ruolo decisivo per il sostegno del regime.

Nel regime totalitario, inoltre, la sanzione è del tutto imprevedibile. Può colpire qualsiasi aspetto della vita sociale, anche quelli che direttamente non sembrano implicare considerazioni di ordine politico. Ogni cosa può diventare oggetto di un giudizio politico e ogni cosa può essere intesa dal leader e dal partito unico come uno strumento di sedizione e sovvertimento del regime.

Il grado di mobilitazione politica è molto alto, contraddistinto da eventi ritualizzati ad elevato contenuto simbolico e finalizzati alla legittimazione (quasi sacrale) del regime. Gli obiettivi della mobilitazione, inoltre, sono di profonda trasformazione rispetto alla realtà precedente, ed è proprio in tal senso che si può parlare di “istituzionalizzazione del disordine rivoluzionario”. Qui il principio di instabilità permanente serve al regime per ribadire lo stato di rivoluzione che si invera nella vita sociale quotidiana.

Quali altre realtà possono essere ricondotte all’idealtipo del regime totalitario? La Cina di Mao, la Cuba di Fidel Castro, il Vietnam del Nord, la Romania di Ceausescu. Per quel che concerne l’Italia fascista, taluni l’hanno ricondotta al modello del regime totalitario, mentre la maggior parte dei politologi tende a includerla nell’ambito dei regimi autoritari, sebbene ritenendola contraddistinta da alcuni elementi tipicamente totalitari (o, al contrario, ad esempio attraverso la comparazione con il regime del Terzo Reich, può intendersi come un regime totalitario, come tendono a fare gli storici, con alcune caratteristiche che ne indeboliscono l’appartenenza a quel tipo ideale).


 

Digressione sul Totalitarismo

Le origini. Verso la metà degli anni ’20, in Italia, all’indomani dell’affermazione del regime fascista, si inizia a parlare di “totalitarismo”, come nuova forma di stato contrapposta in chiave apprezzativa allo stato liberale moderno. L’espressione è presente nella voce «fascismo» dell’Enciclopedia Italiana (1932), sia nella parte scritta dal filosofo Gentile, sia in quella redatta personalmente da Mussolini. Essa è associata alla novità storica di una forma di stato in cui “un partito governa totalitariamente una nazione”. Per ironia della sorte, nella Germania nazista il termine ebbe poca fortuna e si preferì viceversa parlare di “autoritarismo”.

L’uso del termine. In seguito l’espressione si è consolidata in riferimento a tutte le dittature monopartitiche, sia quelle di destra che quelle di sinistra. Cfr. George H. Sabine (1934), nella voce «stato» dell’Encyclopaedia of the Social Science, così come Carlton H. Hayes (1940), in un simposio sullo «stato totalitario», nei Proceedings of American Philosophical Society, nonché Sigmund Neumann (1942) nel volume The Permanent Revolution.

Le teorie sul “totalitarismo”. Dopo la seconda guerra mondiale, furono formulate le teorie più compiute su questo tipo di regime: quella di Hannah Arendt (The Origins of Totalitarianism, 1951) e quella di Carl J. Friedrich e Zbigniew K. Brzezinski (Totalitarian Dictatorship and Autocracy, 1956).
Secondo la Arendt, il “totalitarismo” si presenta come una forma di dominio del tutto nuova, poiché non si limita a distruggere le capacità politiche dell’uomo, ma tende alla distruzione anche di gruppi e istituzioni intorno ai quali si realizza la sfera di vita privata dell’uomo stesso. In tal senso, il totalitarismo sarebbe una vera e propria trasformazione della natura personale umana, un fenomeno politico con il quale si genera un universo sociale e simbolico nuovo, un mondo fittizio logicamente coerente in sé, che tende a plasmare ogni sfera dell’agire, fino a quelle più direttamente connesse all’esperienza personale di stampo individuale. Qui decisiva è la funzione svolta dal terrore totalitario, che traduce in realtà la finzione dell’ideologia, colpendo nel profondo non soltanto i nemici del regime, ma anche quelli che vengono in seguito indicati come «nemici oggettivi», definiti arbitrariamente nella loro identità dal governo stesso, nonché «nemici individuati a caso», rispetto alla cui repressione diviene evidente l’assenza di alcun limite alla prevaricazione nell’uso del potere.
Sul piano organizzativo, l’azione del terrore totalitario si esprime nel partito unico, le cui diramazioni funzionali operano la sincronizzazione ideologica di gruppi e istituzioni sociali, con la conseguente politicizzazione anche delle aree più remote dalla politica (come sport e tempo libero). Importante è anche il ruolo della polizia segreta, la cui tecnica operativa, fondata sulla pratica diffusa di delazione del prossimo, genera una situazione pervasiva di totale sorveglianza della popolazione. Le strutture amministrative e burocratiche dello stato si moltiplicano, dando luogo ad un complicato intrico organizzativo contraddistinto in realtà da una vera e propria «assenza di struttura». Ciò che si accorda perfettamente con l’assoluta imprevedibilità delle pratiche di regime. La volontà del capo diventa la sola fonte di legge, così come il capo è l’esclusivo depositario della promessa fondamentale del regime, cosa che trova corrispondenza nel fatto che soltanto lui può interpretare e modificare del tutto arbitrariamente i contenuti dell’ideologia. La stessa polizia segreta è completamente assoggettata alle volizioni del capo. Forte è quindi, a fianco del terrore totalitario e dell’ideologia totalizzante, il ruolo giocato dalla personalizzazione del regime nella figura del dittatore.

Secondo Friedrich e Brzezinski, il regime totalitario risulterebbe dall’unione di sei tratti fondamentali:

  1. un’ideologia ufficiale, che pervade tutti gli aspetti della vita dell’uomo;
  2. un partito unico di massa, sotto la guida di un capo, o dittatore, strutturato in modo gerarchico, in condizioni di sostanziale commistione con gli apparati burocratici e amministrativi dello stato;
  3. un sistema di terrorismo poliziesco, nelle mani esclusive del capo, che appoggia e al tempo stesso controlla il partito, ed è diretto a colpire non soltanto i nemici acquisiti del regime, ma anche gruppi e persone arbitrariamente scelte come oggetto di persecuzione dal capo;
  4. un monopolio tendenzialmente assoluto della direzione di tutti i mezzi di comunicazione di massa, come la stampa, la radio, il cinema e la televisione;
  5. un monopolio tendenzialmente assoluto, nelle mani del partito, di tutti gli strumenti della lotta armata (i.e. l’esercizio legittimo della forza passa dall’esercito al partito);
  6. un controllo e una direzione centrale di tutta l’economia attraverso la coordinazione burocratica (e, talvolta, in chiave corporativa) di tutte le unità produttive, in precedenza erano indipendenti.

 

Fonte:http://www.sociol.unimi.it/corsi/scienzapolitica/SPO/testi/Autoritarismo%20e%20Totalitarismo.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

Autoritarismo e totalitarismo

 

 

Visita la nostra pagina principale

 

Autoritarismo e totalitarismo

 

Termini d' uso e privacy

 

 

 

 

Autoritarismo e totalitarismo