Fascismo

 


 

Fascismo

 

Il termine viene usato in due accezioni diverse:

  1. per indicare il fascismo italiano nella sua specificità storica
  2. per indicare un certo numero di regimi che condividono alcune caratteristiche del fascismo italiano.

Caratteri fondamentali:

    1. partito unico di massa organizzato in maniera gerarchica
    2. ideologia: culto del capo, nazionalismo vs liberalismo, collaborazione tra classi e organizzazione corporativa
    3. mobilitazione delle masse, inquadrate in organizzazioni che formino, incanalino e condizionino la partecipazione politica, generando consenso e identificazione
    4. propaganda con mezzi di comunicazione di massa
    5. integrazione delle strutture di controllo del partito e dello Stato (totalitarismo e unificazione di rapporti economici, sociali, politici e culturali)
    6. annientamento delle opposizioni, anche violento
    7. dirigismo statale in economia.

Le anime del fascismo sono molte: si è trattato di un’esperienza lunga, soprattutto in rapporto alla breve storia del nostro Stato unitario, che ha unificato tendenze diverse e che sono mutate nel tempo.
Tre esempi, tra i molti.

Alfredo Rocco (1875-1935)
Il suo primo impegno politico è nel nazionalismo. Aderì al fascismo e come guardasigilli (dal 1925 al 1932) emanò un codice di diritto penale e uno di procedura penale che rimasero in vigore a lungo dopo la fine del fascismo.
Nella storia agiscono due principi: l’organizzazione, propria delle civiltà progredite come l’impero romano, la chiesa cattolica, le grandi monarchie e l’impero napoleonico, e l’individualismo, proprio delle società primitive o decadute, come la Grecia ellenistica, le chiese protestanti, la rivoluzione francese, il liberalismo e la democrazia che governano molti Stati europei, Italia compresa dopo l’unità.
Il fascismo riporta in Italia il principio organizzatore, quello della gerarchia e della disciplina. È una rivoluzione, perché ha una nuova concezione della politica e dello Stato, ma dall’alto. Tuttavia per Rocco questo potere autoritario rimane diarchico: da un lato il fascismo e il duce, dall’altro il vecchio Stato e il re. In effetti è favorevole a uno svuotamento del partito e a un suo riassorbimento nello Stato.
Da un punto di vista economico e sociale, Rocco è statalista e rivendica l’idea di affiancare i sindacati (ossia gli unici autorizzati, quelli fascisti), alle corporazioni.

Benito Mussolini (1883-1945)
Con sguardo retrospettivo, nella Dottrina del fascismo (1932) descrive la nascita e i propositi dei Fasci di combattimento, nel 1919. Ne emerge che il carattere fondamentale era la polemica antiriformista e antidemocratica, la polemica antiborghese (Sorel) e il forte attivismo.
Programma dei fasci di combattimento (giugno 1919): politica: suffragio universale a scrutinio di lista regionale, rappresentanza proporzionale, voto alle donne, età minima degli elettori a 18 anni e dei deputati a 25; abolizione del Senato; assemblea nazionale che stabilisca la forma costituzionale dello Stato (elemento antimonarchico), rappresentanza degli interessi (a livello legislativo ma anche esecutivo), milizia nazionale breve e con scopi puramente difensivi; società: otto ore di lavoro, minimo salariale, rappresentati dei lavoratori nel funzionamento tecnico delle industrie, autogestione di industrie e servizi pubblici; finanza: imposta fortemente progressiva sul capitale (espropriazione parziale delle ricchezze), revisione dei contratti di guerra, sequestro dell’85% dei profitti di guerra.
Cosa cambia: cambiano le richieste politiche, che hanno un’impronta democratica nel 1919, poi ripudiata; mentre l’attenzione al mondo del lavoro e la collaborazione interclassista furono sempre ripresentate, almeno formalmente, anche se i provvedimenti concreti cambieranno.

Dottrina del fascismo: disuguaglianza fondamentale tra gli uomini; elogio della guerra e militarismo (ma guerra come esperienza esistenziale, non come necessità della politica internazionale); abbandono della polemica antimonarchica, ma la monarchia non è presentata come un elemento essenziale della nazione; collettivismo = statalismo; conciliazione con la religione cattolica (esperienza individuale e sociale che prepara al fascismo, non mero instrumentum regni); intervento nell’economia; totalitarismo («democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria»).

Attivismo e rivoluzione permanente; polemica antiborghese ed elogio della vita pericolosa.
Impero: politica di potenza, che non è necessariamente politico o economico, ma può essere spirituale. L’Italia deve recuperare un ruolo nella politica internazionale: le colonie servono ance a questo.
Rivoluzione continua: superamento del liberalismo (Gran Consiglio, Milizia, ordinamento corporativo); formazione di un nuovo italiano, disciplinato, eroico e nazionalista; affermazione dei diritti di paesi sottovalutati sul piano internazionale (ossia dell’Italia nei confronti della altre potenze); politica antiplutocratica e antibolscevica; primato del lavoro, ma rifiuto delle divisioni di classe; l’etica del lavoro deve piegare a sé anche le forze economiche più potenti.

Giovanni Gentile (1875-1944)
A lungo ministro della Pubblica Istruzione; a lui si deve il più duraturo assetto della scuola secondaria superiore del dopoguerra. Direttore dell’Enciclopedia italiana; direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa; ha fondato il «Giornale critico della filosofia italiana» (1920); aderì alla Repubblica di Salò.
Reazione antipositivista e antintellettualista: massimo rappresentante dell’idealismo insieme a Benedetto Croce. Il suo attualismo confluisce senza scosse nel fascismo, tanto che usa i due termini come sinonimi. Duplice elemento: da un lato, slancio verso l’azione; dall’altro, tradizionalismo.
Polemica con il liberalismo: quella individualista non è la vera libertà. La vera libertà trova il suo compimento e il suo limite nello Stato: è un’idea hegeliana, ma è anche in continuità con la tradizione della Destra storica (ruolo dell’autorità sia etico, sia politico: quindi anche ruolo della monarchia come guida che armonizzi le esigenze dei singoli e dei gruppi). Ritorno dunque al Risorgimento, a un Risorgimento spiritualista, antilluminista, antidemocratico (Gioberti e Rosmini, Mazzini), che è stato tradito dalla successiva evoluzione democratica dello Stato italiano. Novità del fascismo: violenza rivoluzionaria, ma che si configura come restaurazione dell’autorità statale; presenza di un autentico capo. Edificazione di un nuovo italiano: idealista, patriota, religioso. Ritorno della monarchia al suo ruolo originario, politico, e non solo simbolico.
Nuova Italia: è stata raggiunta la grandezza nazionale dopo la conquista dell’Etiopia; è stato raggiunto l’assetto politico definitivo con la formazione del Gran Consiglio (1928: forma la lista dei deputati da sottoporre a suffragio della nazione con un semplice si o no; aggiorna la lista degli “uomini consolari” tra i quali la corona può scegliere il capo del governo). Il partito si è ormai fatto Stato. È stato raggiunto il giusto assetto sociale con l’istituzione delle corporazioni (che superano le divisioni tra le classi e tra i sindacati e lo Stato). Gli istituti tradizionali, in particolare la proprietà e la famiglia, vengono conservati, ma devono essere trascesi nel vincolo spirituale che unifica singoli e istituzioni nello Stato.

Interpretazioni
Approccio singolarizzante:
a) intende il fascismo come un prodotto tipicamente italiano della crisi degli anni Venti; una crisi sociale, politica ed economica che rispecchia le debolezze di fondo dello Stato unitario e rivela i limiti del liberalismo italiano (Rosselli, Gobetti, Salvemini). Con l’avvento del nazismo e la diffusione di regimi dittatoriali anche in altri Stati europei, negli anni Trenta, questa tesi viene accantonata;
b) metà anni Sessanta (R. De Felice): analizzare il fascismo dall’interno e dare prevalenza dell’aspetto ideologico-politico, con il risultato di accentuare le differenze tra i vari regimi dittatoriali. Fascismo: radicalismo di sinistra e carattere rivoluzionario; nazismo: radicalismo di destra e carattere reazionario. Fascismo di movimento: espressione del ceto medio emergente, autonomo rispetto a borghesia e proletariato; proposta di rottura e di ammodernamento della società. Fascismo di regime: compromesso con l’ala moderata e con gli apparati dirigenti tradizionali, che tuttavia non trasforma il fascismo in pura reazione.

Approccio generalizzante: dagli anni Trenta, fascismo e nazismo vengono interpretati come due facce della stessa medaglia.
a) marxismo (Terza Internazionale): il quadro di riferimento è costituito dalla crisi del capitalismo; fascismo e nazismo costituiscono una tappa ulteriore dopo l’imperialismo, che accentua l’elemento reazionario e lo sfruttamento delle classi subalterne, passando dalla democrazia parlamentare a un’aperta dittatura. Il fascismo esprime dunque direttamente gli interessi della grande borghesia. L’economicismo di questa interpretazione viene poi in seguito attenuato, a favore di una certa autonomia del politico, ma l’impianto rimane simile.
Comunisti italiani (Togliatti): interpretazione divergente, che legge il fascismo come espressione di un partito di massa a base piccolo-borghese, come una forma di bonapartismo, ossia di gestione del potere da parte di un esecutivo parzialmente autonomo dalle classi dominanti, resa possibile dallo stallo tra le principali forze di classe in gioco;
b) fascismo come totalitarismo. Invece che sulla dinamica dei rapporti tra le classi, questa interpretazione si basa sul rapporto tra élites politiche e masse. Quadro di riferimento: nascita delle società di massa e nuova forma di autoritarismo. La gestione del potere usa tecniche simili nel fascismo, nel nazismo e nel comunismo. Precondizioni necessarie: società di massa e apparato tecnologico moderno (mezzi di comunicazione). Caratteri degli Stati totalitari: partito unico di massa, controllo poliziesco, monopolio dei mezzi di comunicazione di massa, monopolio dell’apparato bellico, controllo centralizzato dell’economia. Critiche relative al fascismo: in realtà nasce in una società in gran parte tradizionale e non ancora di massa; ha una base sociale piccolo-borghese che si allea con settori della borghesia agraria e industriale;
c) fascismo come via alla modernizzazione: sorge in società che non sono di industrializzazione avanzata, ma che al contrario si stanno avviando all’industrializzazione. È una delle vie di questa industrializzazione ritardata, che cerca di salvare le strutture sociali tradizionali. Critiche: sottovaluta lo scontro di classe, il ruolo dei ceti medi, la crisi del sistema liberale;
d) fascismo come rivolta della piccola borghesia: non è una lettura onnicomprensiva, ma fornisce spunti utili. Parte dalla constatazione che l’ideologia fascista mobilita la piccola borghesia e spiega la commistione tra un movimento rivoluzionario nelle premesse soggettive e reazionario nei contenuti oggettivi. Paure e risentimenti incanalati verso obiettivi fittizi e simbolici (vale soprattutto per il nazismo). Critiche: non spiega affatto i caratteri del regime; c’è sì un miglioramento economico e sociale della piccola borghesia, ma ciò non può oscurare il fatto che si salvaguardino anche gli interessi delle vecchie classi dominanti, che rimangono egemoniche;
e) fascismo e guerra civile europea: revisionismo tra anni Settanta e Ottanta (E. Nolte). Fascismo e nazismo vanno inseriti nel clima di guerra civile europea che segue il 1917. Ne consegue una forte e quasi esclusiva accentuazione degli elementi anticomunisti e una sottovalutazione di tutti gli altri elementi (la polemica antidemocratica e  antiliberale; l’antisemitismo, ecc.).

 

fonte: http://www.unitus.it/scienzepolitiche/Didatt_online/fil-soc-mod/Materiali_didatt/fascismo.doc

 


 

Educazione scolastica, formazione del consenso e regime fascista

Davide Montino
DI.S.M.E.C Università di Genova

A partire dal delitto Matteotti (1924) il Fascismo avvertì la necessità di assicurarsi, oltre al potere coercitivo, un consenso molto vasto fra le masse, condizionando la stampa e l’opinione pubblica. Una delle vie attraverso le quali tentò di raggiungere lo scopo fu il totale controllo dell’educazione e dell’insegnamento scolastico.
La stampa fu sottoposta ad un controllo sempre maggiore fino a subire la completa fascistizzazione a partire dagli anni ‘30. In questo processo acquisì un’importanza sempre più decisiva l’Ufficio Stampa del Presidente del Consiglio (poi Capo del governo): esso controllava e “distribuiva” le notizie da pubblicare. E’ il periodo delle veline con cui il regime dettava in maniera analitica e quotidiana le notizie. Il Duce in persona controllava i comunicati dello Stato e dava le disposizioni alla stampa, le quali si estendevano fino a comprendere direttive sulle fotografie, sullo stile, sui caratteri e sull’impaginazione.
Il controllo della stampa non era però sufficiente. L’Italia era un paese in cui i giornali erano poco diffusi e non raggiungevano le grandi masse. Il regime allora si occupò anche della propaganda, del cinema, del teatro, del turismo e del tempo libero. Nel 1937 venne istituito il Ministero per la cultura popolare che aveva il compito di coordinare ed organizzare tutte le attività rivolte a creare il consenso. In questo modo lo Stato totalitario arrivava ad occuparsi di tutti gli aspetti della vita del popolo: non solo dettava le notizie, manipolava l’informazione e gestiva il sapere ma regolava il tempo libero, organizzava i momenti di incontro, inquadrava il vivere quotidiano in scadenze il più precise possibili. Il tutto all’ombra della costante, crescente ed infine ingombrante celebrazione del Duce e del “culto littorio”. La politica raggiunse una elevata spettacolarizzazione, creando un efficace sistema di miti, suggestioni e liturgie con l’utilizzo di tecniche moderne. 
Ma il controllo dell’informazione e le grandi adunate non bastavano, si dovevano apprendere i valori fondamentali per il fascismo fin dai primi anni. L’idea di Mussolini era di impadronirsi del cittadino a sei anni e restituirlo alla famiglia a sedici. In questa frase è racchiuso il senso della politica educativa del fascismo. Attraverso le associazioni giovanili e la scuola lo Stato totalitario, esercitando un severo controllo, faceva una colossale opera di inquadramento e convincimento delle masse. Soprattutto per quanto riguarda i bambini ci fu un notevole sforzo affinché nel loro immaginario entrasse una nuova concezione dello Stato, della società e del potere. Nati in epoca fascista o poco prima essi dovevano diventare fascisti perfetti. Non a caso un motto mussoliniano diceva libro e moschetto, fascista perfetto: infatti fu proprio attraverso l’inquadramento paramilitare e l’istruzione di base (elementare e media) che il regime tentò di rendere efficace la sua pedagogia di massa. Scopo principale era di radicare nei cittadini la fede nel Duce, il servizio dello Stato, i valori di unità nazionale.
Più in particolare, le pubblicazioni per bambini sono esemplari per certi aspetti: nei libri di letture il Duce diventava un guerriero a cavallo (ricordando così i soldatini di piombo, vicini all’immaginario dei bimbi), un cavaliere fiabesco e, addirittura, acquisiva poteri miracolosi (moltiplicava i pani e i pesci e trasformava gli italiani, come si legge in una didascalia). Gli elementi su cui si insisteva erano la molteplicità del Duce, l’aspetto paterno, l’idea di forza e coraggio, il patriottismo. Per quei ragazzini la figura del Duce finiva per perdere ogni valore puramente politico o istituzionale e veniva ad assomigliare sempre più ad un personaggio mitico, fiabesco, quasi non reale. Il grande padre, il Capo del popolo, si preoccupava di tutto: era rassicurante, forte, fiero e al bambino (futuro cittadino) non restava che fidarsi ed obbedire.
Aspetto non meno significativo è la tecnica di persuasione certamente non casuale che il regime usava. Come in altri momenti di propaganda il Duce si servì di esperti collaboratori, di pedagogisti e di conoscitori della psicologia infantile e di massa per agire sugli aspetti manipolabili dell’immaginario dei bambini. Il loro mondo veniva studiato ed adattato alla figura del Duce, riconoscibile in un fiero soldatino, in un antico guerriero romano, in un cavaliere fiabesco, in un padre severo ma protettivo e così via.
In una società che negli anni ‘30 stava diventando pienamente una società di massa il fascismo cercò di avvolgere tutto tra le braccia dello Stato: esso diventava il regolatore della vita pubblica e privata, la fonte suprema ed assoluta di ogni sapere e conoscenza. Questo obiettivo però non era di facile realizzazione, lo sforzo del regime fu notevole ma non sempre raggiunse i risultati sperati e quanto gli italiani furono condizionati è questione non facile da stabilire. Quello che appare evidente, invece, è che il fascismo si spinse troppo oltre nel tentativo di eliminare ogni forma di pensiero critico o solamente al di fuori del suo controllo. Il mito si ingigantì talmente tanto che, in seguito anche ai fatti accaduti a partire dal 1939, iniziò a decadere e con lui andarono sparendo pure le fortune personali di Mussolini. 
Si è detto che la formazione e il controllo del consenso si attuarono anche con l’insegnamento scolastico: per capire in che direzione si mosse la pedagogia-propaganda del fascismo si può fare riferimento a Educazione fascista (1939), un testo di fondamenti dottrinali e dissertazioni per i candidati ai concorsi magistrali. Il ruolo del protagonista dell’educazione è di Mussolini, la cui vita è definita tout court un’opera grandiosa di educazione della presente generazione mentre la sua azione costituisce...il trattato più vivo ed efficace della moderna pedagogia; il primo caposaldo educativo è posto: il Duce educa e la sua vita ne è il migliore esempio. Di seguito sono enunciati gli obiettivi della pedagogia fascista, volti a formare un cittadino che sa di dovere per tutta la sua vita potenziare e difendere lo Stato, un cittadino-soldato, pronto ugualmente a brandire la vanga e il moschetto. Sono qui presenti due temi essenziali per la propaganda: il ruralismo (la vanga) e il militarismo (il moschetto), concetti che si trovano spesso insieme (é l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende ) e che sono la base della stessa ideologia fascista. Il regime considerò sempre l’Italia fondata sui valori del mondo contadino, anche quando faceva l’elogio della modernità. Dalle campagne proveniva l’esaltazione della famiglia, la cultura patriarcale e sempre dalla campagna era giunto il grosso dell’esercito nella Grande Guerra dalle cui macerie nacque il fascismo. A fare da corollario a questi obiettivi c’erano la gerarchia e la disciplina.
Fine ultimo dell’educazione fascista era di portare a compimento l’opera lasciata a metà dal Risorgimento, cioè fare gli italiani. Ecco un altro elemento fondante della nuova pedagogia: creare uno spirito di unità ed identità nazionale che, unito al concetto di cittadino-soldato, persegua l’ideale educativo del Risorgimento, così come fu espresso da Cuoco e Cattaneo. Si trova espresso in queste righe un tema che interessò vastamente la propaganda, cioè la continuità ideale e storica con il Risorgimento.
Ma come si deve comportare in quest’ottica la scuola italiana? Essa deve educare il carattere degli italiani e i maestri hanno un compito importante, tanto da essere definiti dal Duce (egli stesso maestro) come apostoli, sacerdoti e uomini che hanno delle responsabilità tremende ed ineffabili: di lavorare sul cervello, sulla coscienza, sugli animi. Il maestro viene a ricoprire un ruolo che è qualcosa di più, che è una missione: il fascismo aveva capito il ruolo che la scuola stava assumendo nello Stato moderno, ruolo sostanzialmente inteso come diffusore di una cultura e di una storia nazionali e il maestro era colui attraverso il quale questo insegnamento trovava applicazione pratica. I principi che dovevano guidare l’insegnante erano chiaramente espressi: serietà nelle discipline e nei sistemi; aderenza alla vita storica dello Stato; carattere formativo, altamente etico, del fatto educativo, e perciò ripudio di ogni concezione liberale. La cultura doveva essere poi impartita non come modo d’essere ma come modo d’agire. Il fascismo non faceva mistero di voler formare un popolo dinamico, pronto all’azione, come esigevano i tempi moderni, e proprio la scuola doveva cominciare questa operazione.
Il carattere più evidente dell’impostazione fin qui delineata è il totalitarismo pedagogico di cui si fa portatore lo Stato. Nel testo si parla esplicitamente di concetto unitario dell’educazione che significava un allargamento dei compiti educativi che non dovevano solo dare un’istruzione e delle abilità ma anche e soprattutto dovevano formare l’italiano nuovo e creare una gerarchia di valori e responsabilità. Tutte le attività dello Stato totalitario erano pertanto educative e la scuola doveva agire in particolare per attivare nel cittadino il rispetto e la venerazione dello Stato. Si teorizzava così un potere che educasse al culto di se stesso e una scuola che non fosse nulla di più che un momento di questa educazione totale: per il regime anche la propaganda fatta con i manifesti, con le scritte murali, con i giornali ed i cinegiornali era un momento particolare dell’educazione del cittadino. La scuola fascista non serviva a formare individui che potessero affrontare liberamente la società ma era uno strumento come tanti altri di fabbricazione di nuove coscienze per uno Stato nuovo, profondamente diverso da quello liberale, ritenuto ormai appartenente al passato.
Come lo Stato anche l’educazione liberale apparteneva al passato; i suoi principi universalistici erano astratti, lontani dalla realtà. L’educazione fascista invece era nazionale, riferita cioè ai caratteri specifici dello spirito  di un popolo (in questo caso italiano) e pertanto legata ai problemi reali di una nazione. Il ruolo che l’educazione doveva svolgere era funzionale ai problemi dello Stato e infatti nella seconda metà degli anni ‘30 essa, per poter essere pienamente educazione, doveva essere “imperiale”. Doveva cioè contribuire al successo italiano nella conquista del suo impero e aiutare a far fronte, creando una coscienza adatta, al periodo di autarchia economica che si stava aprendo. Esponendo queste considerazioni il libro mette chiaramente in risalto un aspetto importante: la subordinazione dell’educazione alla linea politica del governo, sia all’interno che all’estero.
Fin qui si è parlato di un controllo e di un uso autoritario dell’istruzione e non è stato possibile neanche accennare a qualche forma di libertà. A questo proposito gli autori definiscono in maniera risoluta i termini della questione. Fedeli ad un’impostazione idealistica chiariscono subito che libertà ed autorità non sono in antitesi fra loro ma sono due aspetti empirici dell’unica realtà che è lo spirito. La libertà per manifestarsi concretamente deve darsi una disciplina, una normalizzazione e da questo processo nasce l’autorità. In sostanza non può esserci libertà senza autorità. Il problema è così risolto e si giustifica anche la necessità di un regime autoritario, totalitario e totalizzante che trova la sua rappresentazione nello Stato etico concepito da Hegel e filtrato attraverso l’esperienza filosofica personale di Giovanni Gentile, che fu uno dei massimi teorici dell’ideologia del regime.
Meritano attenzione ancora due aspetti: la glorificazione di Mussolini e della sua retorica e il ruolo della storia nell’educazione.
Per quanto riguarda il primo si sprecano elogi e riconoscenze a colui che è,  tra le altre cose, anche il fondatore dello stile fascista. La retorica di Mussolini è un elemento centrale nella costruzione del suo mito e del consenso delle masse. Attraverso le parole, che egli considerava “magiche”, convinceva, intimoriva, motivava, ipnotizzava. Spesso vuoti di effettivo contenuto i suoi discorsi toccavano le corde dell’irrazionale e dell’emotività raggiungendo lo scopo prefissato: ottenere l’appoggio di chi ascoltava. La scuola dunque doveva tenere ben presente lo stile di Mussolini se voleva essere veramente incisiva. La lode fatta alla prosa del Duce non è solo un’esaltazione del Capo, ma è anche la proposta di uno “strumento”di comunicazione dal sicuro effetto. Per descriverla non si fa economia di aggettivi: essa è antiretorica e antidemagogica , chiara, netta, sincera, onesta, eloquente, aderente in modo lineare al pensiero e all’azione di cui è interprete, vigorosa, contenutistica, romana e, tanto per non sbagliarsi, semplicemente mussoliniana. Aggettivi come “romana” e “mussoliniana” rappresentano bene l’esagerazione quasi comica verso cui il regime si stava spostando nella sua autocelebrazione.
Il discorso sulla retorica si basa su tre concetti portanti: l’azione, la volontà, la lotta. Il Duce aveva più volte affermato di voler infondere uno spirito nuovo negli italiani, voleva renderli attivi, dinamici, volenterosi e laboriosi. Tutta la scuola doveva partecipare a questo progetto. 
Elemento importante nell’educazione del cittadino è l’insegnamento della storia. Il primo problema a tale riguardo è l’interpretazione dei fatti: il fascismo aveva una sua visione della storia,  che definiva non partigiana ma tesa a valorizzare gli elementi virtuosi del popolo italiano nei secoli. La storia doveva contribuire a formare il carattere del nuovo cittadino e il maestro doveva far capire all’alunno le ragioni ideali della nostra grandezza antica e presente. Bisognava imparare una storia dello Stato che potesse far comprendere il momento presente. La funzione che la storia veniva a svolgere era, per così dire, attiva. Doveva essere vista in funzione dei fatti presenti, doveva servire a spiegare e giustificare il fascismo, doveva propagandare quei valori che avevano fatto grande il popolo italiano e che ora rivivevano nel regime. Inoltre come storia unitaria e nazionale doveva formare un senso di appartenenza collettiva alla nazione e allo Stato (che erano un tutt’uno), una “italianizzazione”di masse ancora divise da regionalismi e dialetti. Il modo migliore per farla capire ai bambini, affinché potesse essere efficace, era quello di una rievocazione fantastica degli avvenimenti (una specie di storia-poema), oppure per episodi staccati o per biografie. Infatti le caratteristiche più evidenti che si presentano leggendo i testi scolastici sono proprio lo stile da fiaba con cui vengono narrati gli eventi e il risalto dato a singoli personaggi storici, celebrati come martiri o come eroi.
In conclusione si può sintetizzare in  alcuni punti l’idea di educazione fascista. L’elemento centrale era la volontà di creare una scuola che non fosse informativa ma formativa, che contribuisse cioè a formare la coscienza, gli ideali, il carattere dei cittadini. In questo modo l’educazione era un momento del progetto più vasto di formazione del consenso che riguardava tutti gli aspetti della vita pubblica e privata. Come ogni attività dello Stato essa era controllata e diretta anche nei minimi particolari: il regime si preoccupava di indicare  titoli di letture adatte, materiali didattici, impostazioni di insegnamento. Prerogativa assoluta per fare i maestri era essere fascisti; essi dovevano limitarsi ad assecondare le direttive del regime e quanto più inculcavano obbedienza e servizio del governo tanto più facevano un buon lavoro.Valori predominanti erano gli ideali di nazionalità e di unità, la disciplina e il rispetto per l’autorità, il timore e il rispetto dello Stato e del Duce. In particolare Mussolini, presentato in tutte le maniere, assoluto ispiratore dell’educazione fascista, era la figura intorno a cui ruotava il mito del fascismo. Si può dire che venisse rappresentato come la sintesi delle migliori qualità italiane e dei valori fondamentali dello spirito del popolo: la sua vita e le sue parole erano un eccellente esempio per qualunque cosa si spiegasse.
In definitiva l’educazione e la scuola nel ventennio erano subordinate ai fini del regime.Soprattutto negli anni ‘30, in cui si accentuò il carattere bellicista del fascismo, esse dovevano creare il soldato-cittadino in cui si fondevano qualità morali ed abilità militari. Anche la scuola era mobilitata per contribuire a realizzare le mire espansionistiche di Mussolini. Con il militarismo altro pilastro portante era l’insieme di valori rurali e ciò si spiega semplicemente perché nonostante lo sviluppo industriale che si ebbe in quegli anni l’Italia rimase un paese prevalentemente agricolo, soprattutto per quanto riguardava la mentalità diffusa tra le classi subalterne delle campagne. La stessa ideologia fascista era intrisa di concetti e riferimenti derivati dal mondo delle campagne.
La pedagogia fascista usava il concetto di “educazione unitaria” per giustificare il fatto che tutto doveva avvenire entro lo Stato e che nulla al di fuori di esso era possibile. A partire dal 1925 e dal 1926 il potere aveva speso infinite risorse nel culto di se stesso e di certi valori e tutto, scuola compresa, era servito come mezzo di propaganda per autocelebrarsi: per tanto, anche se può sembrare riduttivo, credo che non si possa capire il ruolo dell’educazione e della scuola fascista se non si tiene conto in maniera particolare proprio del concetto di propaganda.

La propaganda nei libri del fascismo

Usando come guida Educazione fascista vediamo come si concretizzava nei testi educativi la politica propagandistica e di ricerca del consenso del regime.
Il primo testo qui preso in esame è Il Primo libro del fascista (1939), una sorta di manuale di base, un “catechismo” in cui si insegnano le fondamentali nozioni riguardo allo Stato e alla società fascista. Il libro è dedicato (imposto) a tutti coloro che devono diventare buoni italiani e dunque buoni fascisti. L’apprendimento dei fondamenti del fascismo è un “rito di passaggio” necessario per essere un buon italiano; non sono  importanti l’età o particolari attitudini ma l’assimilazione dei dogmi della nuova religione civile per entrare a pieno diritto nella società; in termini pratici l’iscrizione al partito o al sindacato fascista dava parecchi vantaggi.
All’inizio trova spazio una breve cronologia dell’ “era” fascista - fatta iniziare con la fondazione del “Popolo d’Italia” da parte del Duce (1914) - tutta rivolta a celebrare i fasti del nuovo regime. A partire dall’intervento, fino al ruolo pacificatore postbellico e all’impresa d’Etiopia viene descritto un lungo percorso attraverso le vittorie, sia interne che estere, del Duce. Il tono è enfatico e, seppur ridotta a poche righe, questa cronologia è un buon esempio della retorica e della manipolazione del passato operata dal regime. In queste pagine - secondo uno schema che si vedrà approfonditamente più avanti -la storia  non è conoscenza del passato ma celebrazione del presente, non è critica oggettiva ma esaltazione mitica di caratteri, idee, atteggiamenti utili alla “religione” dello Stato fascista.
Il manuale vero e proprio si apre con una prima sezione dedicata al Duce. La posizione di precedenza indica come tutto fosse incentrato sul culto personale di Mussolini. Nella retorica fascista tutto dipendeva da lui e funzionava grazie a lui:l’alto numero di cariche (Capo del governo, Capo della milizia, primo maresciallo dell’impero etc.) che si attribuì sono un chiaro indice della molteplicità e della polivalenza del Duce. Egli vedeva, sentiva e disponeva tutto per tutti. In effetti più che il culto per il fascismo fu il culto per il “Capo” che contribuì maggiormente a creare il consenso. Il desiderio di una guida, di un condottiero, unito con le paure e le incertezze del dopoguerra giocarono un ruolo importante nell’accettazione del fascismo, sicuramente più dei programmi e degli indirizzi politici. Fedele a questa enfatica celebrazione, con stile essenziale e preciso - in forma di domanda e risposta, sistema usato per tutto il libro - si spiega chi è Mussolini, cosa fa, che incarichi ha. In queste pagine si accentua il ruolo di rinnovatore e di rappresentante non di una fazione ma dell’intera nazione. Gli altri argomenti toccati dal libro sono la rivoluzione fascista, il partito, la milizia, il regime, lo Stato corporativo e la difesa della razza. In tutti questi capitoli non si perdono mai di vista due elementi centrali: il Duce come unica fonte di potere e lo Stato come organo totalitario ed unificante all’interno del quale è unicamente  possibile la vita pubblica e privata.  
Lo stile non è enfatico e celebrativo, ma conciso, nozionistico e imperioso. In queste pagine non si tratta tanto di raccontare ai ragazzi, quanto di inculcare nella loro mente i fondamenti del “credo” fascista. Frasi semplici che sono le definizioni ufficiali del regime, frasi facili da imparare a memoria. In un sistema che a partire dai 6 anni prevedeva l’inquadramento in associazioni, gruppi, etc.. era fondamentale che tutti conoscessero le stesse cose e allo stesso modo. Questo libro non si presenta come un tentativo di propaganda  più o meno nascosto ma comunque sempre con l’apparenza di raccontare la verità, ma è semplicemente un’imposizione. E’ l’imposizione di un sapere, di una conoscenza che fin dai primi anni di vita va insegnata; ha tutte le caratteristiche di una verità rivelata ed è per questo che credo che il paragone con il catechismo sia efficace. Il culto di un potere che si è trasformato in religione laica (proprio a questo proposito il Papa aveva spesso ammonito Mussolini), con un officiante di riti e folle partecipanti, aveva bisogno che i suoi fondamenti venissero insegnati nel modo più confacente ad una religione, cioè con un catechismo (laico). Quando lo Stato, il governo, i politici e il potere, diventano istituzioni sacre e religiose è dannosa qualunque forma di conoscenza che si distingua, che sia critica. Il cittadino di domani deve, dai primi anni di vita, provare stima, riconoscenza, timore e venerazione verso lo Stato, ed il primo passo in questa direzione è apprendere delle verità presentate come assolute ed indiscutibili in una età formante per l’individuo. Fu lo stesso regime ad insistere sul binomio religione-fascismo. Infatti in un opuscolo dal titolo Fascismo e religione, già nel 1923, si legge, a proposito dei caduti nella Marcia su Roma: ...un popolo, o meglio una milizia che affronta la morte per un comandamento, che accetta la vita nel suo purissimo concetto di missione e l’offre in sacrificio, ha veramente quel senso del mistero che è motivo fondamentale della religione ed afferma verità che non discendono da umani ragionamenti, ma sono dogmi di una fede.                                                                                                                                 
Termini quali “sacrificio”,  “missione”, “mistero”, “fede” e “religione” sono usati esplicitamente dal regime nel culto della sua rivoluzione e rimandano apertamente ad una venerazione sacra. Già nel 1923 si vede come la volontà di fare del fascismo un credo religioso fosse forte e nello stesso tempo inevitabile. Quando si chiede totale dedizione, cieca fiducia, disposizione a credere ed obbedire senza riflessione alcuna; quando il consenso è suscitato non con la ragione ma con argomenti che toccano l’irrazionalità e l’emotività, allora è inevitabile che si arrivi ad un culto religioso del potere, basato cioè sulla fede acritica e sull’ubbidienza ai dogmi. L’aspetto religioso del mito fascista era il sintomo di una tendenza che tentava di legare misticismo, progresso, tradizione e modernizzazione in un solo credo nazional-patriottico.
Tutti gli argomenti sono spiegati nella stessa maniera, in modo  tecnico benché molto facile da comprendere. Le frasi sono essenziali ed incisive, a tratti diventano autoritarie, espongono precetti e formule, tutto assume l’apparenza di una verità naturale, giusta perché semplicemente e linearmente esposta. Il fatto che fosse un bambino ad imparare queste cose non sembra importante, l’essenziale era che tutto fosse facilmente assimilabile, che si potesse imparare a memoria.  
Una ultima sezione riguardava la politica antiebraica. Come è noto, nel 1938 il regime di Mussolini iniziò un movimento di opinione antisemita che si concluse con l’emanazione delle leggi razziali. Escludendo la Germania nazista, dove Hitler aveva fatto dell’antisemitismo un principio costitutivo della sua ideologia, il caso italiano fa parte di un processo più vasto che interessò diversi stati reazionari europei (quali la Polonia, l’Ungheria, la Romania e l’Austria) nell’“anno cruciale” del 1938. Su questo fatto, che non può essere discusso in quanto tale, sono state date diverse interpretazioni. Per alcuni storici, come Renzo De Felice e Meir Michaelis, la normativa antiebraica in Italia fu blanda, un episodio occasionale di razzismo che non ebbe, a livello pratico, grandi conseguenze. Per altri, invece, come Michele Sarfatti, Fabio Levi, David Bidussa, è necessario rendersi conto che essa fu scrupolosamente applicata su tutto il territorio nazionale e servì da premessa alla fase di deportazione nei campi di concentramento che si verificò a partire dal 1943.  
Da parte mia, ritengo che cercare di ridimensionare la svolta razzista del regime di Mussolini, magari cercando il confronto quantitativo con la Germania hitleriana, rischi di far passare inosservato il fatto, gravissimo, che nel 1938 il governo Mussolini prese una posizione politica ben precisa, che fece di tutto per mostrarla coerente con la propria ideologia, che questa scelta si mostrò particolarmente decisa e diretta. E ancor più grave fu che la società italiana, gli intellettuali, la chiesa, spesso il popolo, accettarono quella svolta e si diedero da fare per attuarla anche con inaspettata solerzia. Quindi non è una questione di numeri (poco meno di 10.000 i deportati e uccisi in Italia contro i milioni della Germania) ma una questione di volontà politica e coscienza civile.
Il razzismo, sia esso antiebraico o contro qualunque altra minoranza, non si misura con il numero delle vittime che miete, ma è una macchia intollerabile per la coscienza civile di un popolo e un atto criminale quando diventa legge di uno Stato. Le giustificazioni non servono.
Per quanto riguarda l’influenza della Germania sulle decisioni italiane, dai più recenti studi ormai pare chiaro che non fu questa la ragione che spinse il Duce a prendere le decisioni che effettivamente prese. Certo, l’influenza politica ed economica tedesca era un fatto incontestabile, ma le scelte di Mussolini furono un atto autonomo e specificamente italiano.
Le ragioni di questa scelta e della sua ricezione sono molteplici, vanno dall’esistenza di un antisemitismo minoritario ma mai sopito al bisogno di un nemico interno contro cui rinsaldare l’unità intorno alla volontà dello Stato e del fascismo, dalle esigenze imposte dalla nuova dimensione imperiale dell’Italia all’indifferenza che permette di non assumersi mai responsabilità.  Ma per maggiore precisione, circa questo argomento, è utile riportare un passo dello storico Mario Isnenghi, tratto dalla “Conclusione” dell’opera I luoghi della memoria, da lui curata. In maniera sintetica ma chiara egli afferma che

il sacrificio degli ebrei fascisti -non pochi-, l’oblio del patriottismo ebraico -eminente e tangibile, dal Risorgimento alla Grande Guerra-, l’inversione provocata in un processo di assimilazione spintosi più avanti che in qualsiasi altro paese europeo, trovano punti di appoggio in un sottofondo preesistente di antisemitismo cattolico a sfondo teologico; nel precedente immediato del razzismo, reso d’attualità dall’espansione dei possedimenti africani e dalla nascita dell’Impero, foriero di recuperi biologico-positivisti e di elaborazioni dottrinarie in chiave antropologica; e più ancora, forse, nel presupposto astratto di assolutizzare una differenza rappresentandosi l’identità separata e contrapposta di un nemico interno quale occasione di reintegrazione attorno alla volontà dello Stato e di mobilitazione complice.

 

In ogni caso, una politica antisemita ci fu - venne insegnata nelle scuole e nelle organizazioni di partito -, e fu fondata su teorie “scientifiche” che ebbero l’avvallo di illustri studiosi (antropologi, biologi, genetisti, etc...). Il fascismo non era nuovo ad invenzioni o manipolazioni e in breve tempo, attingendo all’esperienza nazista in questo campo, creò tutta una serie di pregiudizi e prove dell’inferiorità ebraica: si parlò allora di sabotaggi ai danni della nazione, di abusi delle libertà concesse, di mancanza di integrazione e così via.
L’effetto che questi testi avevano sui bambini era probabilmente duplice: da una parte davano la sicurezza di trovarsi in una società protetta, ordinata e ben strutturata, dall’altra imponevano l’acquisizione di nozioni che, una volta divenuti adulti, avrebbero ritenuto naturali perché le uniche ascoltate. 
La costruzione del consenso non si limitava solo a imporre delle nozioni sul Duce, lo Stato e il fascismo, ma aveva bisogno di un sistema più sottile per indurre a credere in certi valori, per celebrare il regime e costruire dei gloriosi antecedenti. Inevitabilmente si doveva rileggere il passato attraverso gli occhi dell’esperienza fascista e delle esigenze della propaganda. In uno Stato che doveva ancora cementare il proprio sentimento di appartenenza collettiva, il proprio sentimento di unità nazionale era la storia che diventava un elemento centrale nella costruzione di questi valori:la storia diventava testimonianza di una intima, oggettiva e necessaria unità dell’Italia, la storia diventava prova dell’appartenenza degli italiani ad un solo popolo. Date queste premesse non stupisce che il fascismo abbia avuto tanta attenzione verso il passato, lo abbia usato per descrivere l’Italia come potente nazione, per dare valori ed unità agli italiani e per autocelebrarsi. Il regime fascista era ben conscio dell’importanza della memoria storica di una nazione e dell’utilità di manipolarla in base ai propri bisogni: spesso concetti come “patria” o “popolo” potevano giustificare molte azioni, occorreva dunque spiegarli nella giusta maniera. Vediamo allora in particolare come si realizzava la propaganda nei libri scolastici delle elementari sul finire dell’età fascista, quando il progetto di educazione totalitaria del popolo era giunto alle sue espressioni più mature, e soprattutto l’uso che si fece della storia nel processo di educazione di massa del regime. I due testi che prenderò ad esempio nelle pagine seguenti  sono Religione, Grammatica e Storia del 1942 e Religione, Storia e Geografia del 1939.
I due libri di scuola si aprono con le preghiere rivolte al Papa, al Re e al Duce. La figura del Capo del governo da ruolo istituzionale, legittimato dal popolo e dalla legge, si eleva al pari delle cariche divine (il Papa) e tradizionali (il Re). Il Duce è indicato come l’uomo della provvidenza, frase con cui lo definì Pio XI, probabilmente non intendendo ciò che gli attribuì la propaganda del regime che usò questa frase, estrapolata dal contesto, per dare una consacrazione etica al fascismo e rendere la sua storia una necessità, appunto voluta dalla Provvidenza, a cui il paese era chiamato a partecipare. In questo modo il potere del Duce non si fonda più su un consenso politico ma è parte di piani e progetti più alti, è parte del destino (tema a cui Mussolini faceva spesso riferimento) della nazione.
Dopo un’apertura di tipo religioso passiamo alle pagine di storia. Il racconto del passato in questi libri si caratterizza distintamente per una rilettura degli avvenimenti storici secondo un criterio di utilità e propaganda:da una parte si fa l’esaltazione di quei momenti o periodi in cui l’Italia è stata grande e potente, dall’altra si sottolineano gli antecedenti e le prove della sua naturale unità. 
Come è noto il fascismo rivalutò molto il periodo della Roma imperiale, anzi si prefissò apertamente di riportare la nazione a quei fasti. Il mito della romanità, soprattutto dopo la conquista dell’Etiopia e la proclamazione dell’impero, servì come elemento di identità collettiva e si stabilì una improbabile continuità ideale fra la Roma dei cesari e quella fascista. A dimostrazione di ciò basta vedere gli aggettivi che accompagnano Roma o i riferimenti al suo passato classico: Roma fu grande e gloriosa, ed uscì trionfante da ogni impresa e da ogni pericolo è la frase con cui si aprono le pagine di Religione, storia e Geografia. Più avanti si può ancora leggere storia gloriosa di Roma,“leggi immortali di Roma etc... Molti furono anche gli elementi coreografici ripresi dall’epoca classica e le celebrazioni pubbliche: fra queste ci fu, nel 1937, la “mostra della romanità” in occasione del bimillenario di Augusto. Si recuperò, sempre in ambito scolastico, anche lo studio del latino, lingua che avrebbe contribuito a ravvivare la tradizione imperiale e l’immagine romana e “littoria” del regime.
La narrazione storica - incentrata in generale su uno stile quasi da racconto fiabesco, romanzata, non analitica, non intenta ad analizzare le cause profonde degli avvenimenti - mira apertamente a diffondere certi valori. Il testo è infatti ricco di riferimenti alla virtù del popolo, all’unità - la cui mancanza è causa di fallimenti e debolezza e la cui presenza è generatrice di forza - all’identità nazionale, provata dalla lingua di Dante, segno […] della profonda unità della nostra stirpe già nel XIII secolo.
Lo stile linguistico varia  in base al tema trattato. Dove la nostra storia narra di momenti bui e difficili è più dimesso, dove invece deve celebrare ed esaltare diventa retorico, altisonante, ridondante, con aggettivi iperbolici: le conquiste diventano memorabili, l’Italia il sacro suolo della patria, le prove durissime, i colpi formidabili, e così via. Questo stile diventa prioritario nel periodo che va dal Risorgimento all’era fascista, a cui viene lasciato ampio spazio. In effetti si può fare questa distinzione in due parti della storia raccontata ai ragazzi in epoca fascista:1) Il passato più lontano raccontato apparentemente in modo più neutro, mettendo però sempre l’accento su quei particolari eventi che esaltano nazionali e patriottici dell’Italia. 2) Il passato più vicino, a partire dal Risorgimento. Qui  si vede una aperta funzione  di propaganda e di celebrazione, volta a creare una coscienza ed una memoria storica funzionale al nuovo regime italiano. I caratteri espressivi della propaganda appaiono più marcati: antitesi irriducibili fra loro, uso eccessivo dell’aggettivazione, frasi essenziali, decise, che non ammettono dubbi o possibilità di replica. La storia si dissolve nella celebrazione del Duce come guaritore dei mali italiani e nella giustificazione e legittimazione dell’opera del governo.
In entrambi i manuali le espressioni, le interpretazioni e le considerazioni riferite a questo periodo sono simili. Si ha dunque una chiara idea del controllo dell’educazione che esercitava il fascismo, come faceva in tutti gli altri settori della vita pubblica, sconfinando anche in quella privata. Nulla era lasciato al caso, tutti i milioni di studenti italiani dovevano conoscere lo stesso passato e coltivare gli stessi valori.Gli italiani, senza più retaggi particolaristici, potevano proiettarsi così nella dimensione nazionale e imperiale consona al progetto fascista.
Se l’antica Roma rappresentava, per il fascismo, un passato mitico, il Risorgimento era il passato a cui esso si voleva legare direttamente. Il Duce si presentò spesso come il continuatore della tradizione risorgimentale, dello spirito patriottico che permeò anche la prima guerra mondiale, fu paragonato, anche dalla stampa straniera, in particolare quella americana, a Cavour e Garibaldi.
Il Risorgimento, a cui è dedicato il più alto numero di pagine, viene fatto iniziare con la guerra di successione del 1700-1748. Si assiste ad un fenomeno di dilatazione temporale di un processo storico ben definibile, forse per rendere più notevole lo sforzo italiano in questa impresa o, con maggiore probabilità, per rendere più solida una tradizione di unità che negli anni ‘30 (il regno d’Italia è proclamato nel 1861) non aveva ancora cent’anni. Dal 1700 quindi il libro inizia a narrare le gloriose lotte del popolo italiano per raggiungere l’indipendenza attraverso la celebrazione dei suoi martiri, grandi figure storiche come Pietro Micca, Ciro Menotti, Giuseppe Mazzini, Cavour e Garibaldi. Il Duce è l’ultimo di questi eroi, è colui grazie al quale l’Italia è salvata, è la personalità che piega al suo volere la storia. Mussolini rappresenta la prova che sono la volontà e la forza che determinano gli avvenimenti; la propaganda insisteva molto sul culto della personalità e sul dinamismo, incarnati nel duce: egli è l’espressione del dinamismo grazie al quale una nazione è potente e moderna.
La Rivoluzione Francese, madre dei sistemi liberal-democratici, non è ben vista dal regime.Troppo importante per essere taciuta, viene descritta negativamente, definita un ..così triste spettacolo in cui il popolo si abbandonò agli impulsi dei suoi odi. Senza accennare agli ideali di fratellanza, uguaglianza e libertà, senza essere spiegata approfonditamente, è liquidata in 16 righe, contro le 169 dedicate a Napoleone. L’imperatore francese è presentato come portatore di ordine e quindi di potenza, giacché secondo il fascismo l’ordine e la disciplina erano prerogative assolutamente necessarie per raggiungere la potenza. Il paragone, non esplicito ma intuibile, con l’Italia sembra scontato: al disordine del dopoguerra Mussolini ha contrapposto un governo forte e deciso che ha condotto una giovane nazione a diventare potenza imperiale in pochi anni. Siamo di fronte ad un modo molto sottile di far “passare” certi messaggi: illustrare attraverso la storia la necessità, la legittimità, il vantaggio dell’esperienza fascista e, come sempre, quando si tratta di celebrare arrivano gli aggettivi esagerati, si mitizza il personaggio, si ingigantiscono gli aspetti positivi.
L’epoca risorgimentale viene anch’essa svuotata dei suoi significati liberal-democratici, si insiste solo sull’aspetto patriottico e di liberazione dallo straniero, definizione generica che rimanda al clima di isolamento in cui viveva l’Italia negli anni di pubblicazione del libro. Se da una parte il regime denunciava con orgoglio le sanzioni subite da ben 52 stati, dall’altra non si può non avere una sensazione di tristezza nel pensare al processo di chiusura verso altre culture, altri popoli e verso la modernizzazione dei costumi che la politica del regime adottò. Un’autarchia che non solo economicamente portava i suoi inevitabili danni ma anche culturalmente: nel dopoguerra l’Italia non faticò poco a raggiungere i modelli più moderni delle società occidentali.
Merita poi attenzione il modo in cui si parla delle guerre coloniali. Si tace quasi del tutto il sostanziale fallimento, mettendo in luce gli atti d’eroismo dei soldati italiani ed evidenziando la brutalità degli abissini, definiti selvaggi e barbari. All’argomento si dedicano poche righe, scompaiono i nomi di Crispi e di Giolitti mentre si sottolineano quelli di comandanti e generali, eroi vendicati ora che l’Italia ha finalmente domato i crudeli abissini, fautori della schiavitù e del dispotismo.
Il nascondere certi fatti o certi personaggi, in relazione al loro esito negativo o alle loro idee, era uno dei sistemi con cui agiva la propaganda. L’altro era quello di esaltare oltre misura ciò che era favorevole al regime o a indurre certi valori e certe predisposizioni mentali. Non dire e dire secondo la propria convenienza, queste sembrano le direttive seguite dalla politica culturale e propagandistica del fascismo.
Si arriva così ai primi anni del Novecento, dove protagonista della storia è il fascismo, anzi più precisamente il Duce. Ed è tanto protagonista da indurre due studentesse che hanno un programma di storia per loro troppo vasto a scrivergli: Se anche per un anno (poi ,a contar bene, sarebbe anche meno, una decina di mesi) prendete un po' di fiato e Vi fermate, anche la storia si fermerà. In questa lettera si usa in senso ironico ciò che per la propaganda era invece un’immagine molto importante: Mussolini descritto come l’inarrestabile motore del divenire storico e delle glorie nazionali.  
In tutti i testi si individua la genesi del movimento durante l’intervento. Essi iniziano con la fondazione del “Popolo d’Italia” nel novembre 1914, giornale dal quale Mussolini fece una violenta campagna a favore dell’ingresso dell’Italia in guerra. Il regime teneva molto a presentarsi come l’erede della migliore e combattiva tradizione italiana che aveva condotto una guerra vittoriosa contro il nemico di sempre. Non va poi dimenticato che nel fascismo, soprattutto quello delle origini, confluirono molti reduci appartenenti ai reparti degli Arditi.
Nel descrivere la guerra vittoriosa si fa riferimento all’Italia intesa come popolo. Frequente è l’uso della prima persona plurale ( a noi diedero, il nostro intervento”), che dà un forte senso di partecipazione collettiva. In questo senso il regime si impegnò molto, cercando di portare a termine quel processo di italianizzazione iniziato con la prima guerra mondiale. Proprio durante il conflitto grandi masse, perlopiù contadine, fecero la  prima grande esperienza collettiva nazionale. Non stupisce dunque che questo evento venga dilatato, fatto rivivere (anche con le celebrazioni pubbliche) come un momento epico e ricco di pathos, soprattutto nei testi per ragazzi. Il mito della guerra aveva ampio spazio nella retorica, la lotta del fascismo era la continuazione del conflitto mondiale. Si scorge fra le righe una mentalità agonistica (si pensi anche al Duce eccellente sportivo) dedita al culto dell’azione, dell’atto eroico, della forza fisica, della lotta e della vittoria. Il mito dell’azione è sorretto dall’uso di espressioni militaresche o di carattere fisico: formidabile, destino, invincibile, vittoria, battaglia.
Altro mito con cui il fascismo tentava di costruire il consenso era la “vittoria mutilata”. Mito perché in realtà l’Italia ottenne quasi tutto ciò che le era stato promesso con il patto di Londra. Cause di questa mutilazione, nella rivisitazione fatta dagli autori, erano due: gli alleati (nel 1941 erano i nemici contro cui fomentare l’odio popolare) e il governo liberale. Il forte legame che il regime voleva mostrare fra la Grande guerra e il movimento fascista è sintetizzato dalla frase, non del tutto documentata e tuttavia oltremodo significativa, con cui Mussolini accolse il mandato di formare il governo dal Re: Maestà! vi porto l’Italia di Vittorio Veneto, riconsacrata dal fascismo.
La propaganda insistette molto sul ruolo di pacificatore nazionale e di garante dell’ordine del fascismo. Per un paese messo in ginocchio da una guerra lunga e logorante, attraversato dai conflitti di classe del “biennio rosso”e dalla crisi economica non fu difficile accettare quel ruolo anche a costo di perdere la possibilità di potersi esprimere liberamente. 
Le pagine che si occupano della Marcia su Roma sono un altro buon esempio della  mitizzazione della storia. Essa è rappresentata come un’impresa gloriosa, il governo è conquistato con un esercito di camicie nere. Non c’è nemmeno  un accenno alla politica di compromesso, alla sottile tattica che il Duce usò nei mesi precedenti l’ottobre del ‘22: gli accordi con esponenti liberali, il tacito consenso degli ambienti monarchici ed industriali, l’indifferenza delle forze dell’ordine. Siamo nuovamente di fronte ad una narrazione del tutto mistificata, si è abbandonata ogni obiettività e si è caduti nel mito. Questo accade ogni volta che si fa più forte l’esigenza di far passare un certo messaggio nell’immaginario del popolo. Il fatto che il fascismo fosse una rivoluzione, per di più permanente, non era in discussione, come non era discutibile il fatto che per trionfare aveva dovuto sostenere una dura lotta contro i nemici suoi e, cosa molto importante, della patria. Per celebrare la rivoluzione fu allestita nel 1932 anche una grande mostra a Roma, in occasione del decennale.  In realtà se il fascismo fu rivoluzionario lo fu in altra maniera: si impadronì del potere servendosi dei sistemi di comunicazione e di controllo del XX secolo, in primo luogo di una generale manipolazione dell’opinione pubblica. Questo è l’aspetto forse tra i più innovativi e caratterizzanti dell’esperienza del fascismo.
Nella storia raccontata ai ragazzi la massima celebrazione del fascismo arrivava con la guerra d’Etiopia. Conflitto giusto perché correggeva le ingiustizie ancora una volta nate dalla pace di Versailles e per ragioni di civiltà e di espansione demografica. Giusta, infine, perché rispondeva a provocazioni ed aggressioni da parte degli abissini.
Il regime presentò sempre le sue azioni più decise e violente come giustificate dalla necessità o dalle provocazioni. Evidentemente era importante che l’italiano di domani, lo scolaro di oggi, fosse convinto della fondamentale bontà del governo e della generale ostilità che gli altri paesi ci mostravano. Naturalmente alla chiamata della guerra rispose un popolo che si raccolse intorno al Duce. E’ importante insistere non solo sull’unità fra gli italiani ma anche fra loro e il Duce. L’immagine che ci si presenta è quella di un abbraccio rassicurante fra un padre e i propri figli; e proprio il rapporto patriarcale padre-figli fu al centro dell’azione di convincimento delle masse, insicure e deboli senza una guida decisa ma anche severa, per il loro bene, come potrebbe essere quella di un genitore.
Esaminando ancora il testo si trovano altre immagini care alla propaganda. Molto usata e spesso entrata nella convinzione delle generazioni dell’epoca e di quelle future è quella che vede il fascismo come una spada che taglia tutti i nodi, cioè che con decisione e risolutezza risolve le situazioni più complesse. Il regime giocò molto sull’antitesi decisionismo-parlamentarismo; ancora oggi nel pensare comune trovano spazio opinioni che contrappongono al tanto parlare dei politici azioni pratiche e decise.
Nulla era lasciato al caso e tutto doveva essere usato ai fini della propaganda. Anche la guerra di Spagna fu usata per estremizzare la lotta (e giustificare le leggi contro l’opposizione politica interna) contro il comunismo e per accentuare il ruolo anti-bolscevico che la borghesia italiana aveva affidato ai fasci di combattimento durante il “biennio rosso”.
Ultimo argomento a cui giungono i testi è la grande guerra dell’asse, argomento di assoluta attualità nell’anno in cui è pubblicato Religione, Storia, Grammatica (1942). Ancora una volta la vicenda è presentata come una semplice ma forte antitesi: il giusto e il bene da una parte (Italia e Germania), l’ingiustizia e la malvagità dall’altra (Francia e Inghilterra). I nemici sono descritti con toni fiabeschi come quelli che si sono accaparrati tutte le ricchezze e tutto l’oro della terra, frase che non sarebbe fuori luogo in una favola per bambini che volesse descrivere i possedimenti e i tesori di un malvagio re. L’Italia e la Germania sono poi vittime di un complotto, secondo una linea interpretativa ormai consolidata - anche la sconfitta di Caporetto fu dovuta, secondo gli alti comandi, ad un complotto fra traditori italiani e gli austriaci. Le due potenze dell’Asse avrebbero voluto ottenere ciò che gli aspettava di diritto con la pace ma ciò fu impedito; ancora una volta il conflitto è reso obbligatorio da torti ed angherie subite, e questo succede, casualmente, ad un regime che fa l’apologia della guerra, del militarismo, che vuole otto milioni di baionette e non persone o cittadini. La vittoria, secondo uno stile che non teme smentite, è certa, arriverà al più presto e sarà fulgida e completa perché giusta e santa è la causa delle potenze dell’Asse. La retorica fascista non risparmia aggettivi, come le è consueto, e tende ancora a rassicurare, in anni che ormai segnano la fine del mito mussoliniano, sugli esiti della sua politica e della guerra. Ormai il regime non può più tornare indietro, non è più in grado, soprattutto in un momento difficile come la guerra, di fare una critica.
Alla luce di come si svolsero i fatti e di quale piega presero gli eventi a partire dal 1942, risultano quasi patetiche le definizioni sprecate per i combattenti italiani, soprattutto se riferite alla campagna di Russia, tragico evento che segna ancora oggi la memoria di coloro che vi parteciparono, nel racconto dei quali tutto si trova fuorché espressioni come coperti di gloria, eroici, vittoriosi.

Conclusioni  

Appare evidente come l’educazione fosse importante per il regime: l’impressione che si ha leggendo le pagine delle pubblicazioni scolastiche per ragazzi o vedendo esempi tratti da libri di lettura per bambini è di trovarsi di fronte al tentativo di creare una vera e propria pedagogia di massa totalitaria  imposta dall’alto. Inoltre i testi del tempo, siamo negli anni conclusivi dell’esperienza fascista, sono pieni dell’eccesso retorico, propagandistico e concettuale ormai raggiunto dal regime. L’intero apparato del consenso appare una pesante massa che si regge su un fragile sostegno, con una mole sproporzionata alle capacità dell’Italia di affrontare un conflitto mondiale. Confrontando i toni enfatici delle pagine dei libri con la situazione reale si ha l’impressione netta della crisi che sotto le sembianze di trionfo, proposte dalla propaganda, investì il paese a partire dall’impresa d’Etiopia: crisi economica, sociale, morale.
Di particolare interesse, per la sua funzione di trasmettitore di valori, è la narrazione storica nei testi scolastici. Ogni società è legata al proprio passato ed ha la necessità di studiarlo, spiegarlo e di interiorizzarlo nella forma di valori o insegnamenti e anche il fascismo, elemento nuovo non solo per la società italiana, aveva bisogno  di un passato che lo giustificasse e lo legittimasse. 
L’uso che il regime fece della storia non si limitò alla sua autocelebrazione. Il fascismo propose un’idea della storia d’Italia, anche se fantasiosa, legata al mito della romanità, che entrò nelle scuole e si radicò profondamente nei ragazzi, ma soprattutto diede una interpretazione del Risorgimento (spesso un po' rozza) che esaltava tutti gli elementi anti-parlamentari, anti-democratici, autoritari presenti nella storia unitaria contro quelli liberal-democratici. Questa visione trovò terreno fertile nel clima di stanchezza e delusione diffuso in Italia nei confronti del sistema parlamentare, soprattutto contro la sua lentezza e i suoi compromessi. Per il fascismo la crisi di una civiltà, che sentiva ormai imminente, era il fattore mobilitante per costruire un nuovo ordine, e un nuovo ordine doveva rinnovare tutto, anche l’interpretazione del passato. 
La storia fu usata per completare l’italianizzazione delle masse e per creare un uomo nuovo, autenticamente fascista. Infatti è quasi ossessionante l’insistenza con cui in queste pagine si diffondono concetti come unità nazionale, popolo, identità collettiva. La figura di Mussolini è addirittura ingombrante, sempre presente nella storia recente. Non a caso negli anni del regime si venne costruendo un vero e proprio mito del Duce, al cui centro stava la sua molteplicità, da giornalista a soldato, da Capo del governo ad atleta e così via. Il mito aveva trovato nel paese una predisposizione, un terreno fertile su cui poteva crescere a dismisura. La figura del Duce serviva per esorcizzare la paura dell’anonimato, dell’uguaglianza. La personalizzazione della politica era un antidoto alla spersonalizzazione riconducibile allo Stato moderno e alla burocrazia.  
La scuola era dunque concepita come una fabbrica dove produrre consenso e insegnare il culto del Duce già dai primi anni. Addirittura nello spiegare la matematica gli esempi erano tratti dal mondo fascista. L’alunno era al centro di un totale coinvolgimento, di una opprimente presenza dello Stato che prendeva la forma dei suoi sogni, dei suoi giochi, della sua esperienza.
Sarebbe interessante poter sapere con precisione quanto possano aver condizionato gli scolari le pagine di quei libri, forse molto più efficace era l’azione dei maestri o l’inquadramento nelle organizzazioni giovanili come quella dei Balilla. Credo però che verosimilmente gli effetti della propaganda molto spesso si avvertissero solo in superficie, soprattutto quando la retorica sconfinava così spesso in improbabili esagerazioni. Una testimonianza del sostanziale insuccesso della politica educativa del fascismo si ritrova nelle parole di Luigi Meneghello, nel suo libro di memorie  Fiori Italiani:

La religione organizzata e il fascismo avrebbero dovuto essere i due apici del sistema educativo, il doppio cacume, e invece pareva che venissero spazzati sotto i banchi, come se riuscissero un po' imbarazzati [....] Si soffriva semmai per la mancanza di idee e di convinzioni, non già per il tentativo di indottrinarci. I pochi che si provavano facevano ridere, mentre la mancanza di idee non era ridicola, era tragica.

Dunque il risultato finale sembra essere stato una generale mancanza di stimoli e di idee, che ha sicuramente allontanato dall’apprendere ciò che pareva niente di più di una continua, pedissequa e omologata ripetizione.
Resta però indiscutibile il tentativo di condizionamento culturale operato da un regime totalitario ed autoritario che va inquadrato, oltre che dal punto di vista della propria affermazione, nell’ottica del più vasto e generale processo di formazione dei sentimenti nazionali. Come ho cercato di mostrare da questi libri traspare un duplice intento: l’autocelebrazione del fascismo e la creazione di un forte senso di appartenenza all’italianità. Se nel primo caso il risultato può non essere stato soddisfacente, nel secondo invece non si può negare che proprio nel ventennio fascista si è realizzata la nazionalizzazione (certo coatta, autoritaria, aggressiva) delle masse nel quadro dello Stato unitario.

Fonti e Riferimenti bibliografici

I libri analizzati in questo breve saggio sono M. Crapanzano, A. Caro, Educazione fascista. Fondamenti dottrinali e dissertazioni per i candidati ai concorsi magistrali, Casa Eeditrice Nuova Italia, Milano, s.d. (ma dopo1939), opera di due pedagogisti tesa ad esaltare la nuova concezione dell’educazione fascista, specialmente dopo il varo della Carta della Scuola voluta da Bottai nel 1939; altro testo è Il Primo libro del fascista, La Libreria dello Stato, Roma, 1939, volume pensato per il popolo e per i ragazzi, “summa” dell’ideologia della fascismo ad uso delle classi popolari; infine, si sono presi in esame due esempi di testi unici per le scuole elementari, AA.VV., Religione, Storia e Geografia. Libro per la III classe elementare, La Libreria dello Stato, Roma, 1939 e AA.VV., Religione, Grammatica e Storia. Libro per la IV classe elementare, La Libreria dello Stato, Roma, 1942. Tutti questi testi sono caratteristici degli intenti educativi e propagandistici del fascismo più maturo, e rappresentano pertanto le modalità più compiute dell’educazione totalitaria così come era concepita dal regime di Mussolini.
Per quanto riguarda i rimandi bibliografici essenziale sulla scuola del fascismo è il testo di J. Charnitzky, Fascismo e scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943), La Nuova Italia, 1996, che completa l’opera del francese M. Ostenc, La scuola italiana durante il fascismo, Laterza, 1981; sugli aspetti più marcatamente pedagogici, i riferimenti sono M. Bellucci e M. Ciliberto,  La scuola e la pedagogia del fascismo, Loescher, 1978 ( con antologia di testi ), G. Bertone, I figli d’Italia si chiaman Balilla. Come e cosa insegnava la scuola fascista, Guaraldi, 1975 e G. Biondi e F. Imberciadori,  ...voi siete la primavera d’Italia. L’ideologia fascista nel mondo della scuola 1925-43, Paravia, 1982; sulle letture scolastiche, in una prospettiva di lungo periodo, fondamentale è il lavoro di M. Bacigalupi e P. Fossati, Da plebe a popolo. L’educazione popolare nei libri di scuola dall’Unità d’Italia alla repubblica, La Nuova Italia, 1986; tocca un aspetto particolare, ed è sospeso tra la ricostruzione critica a il ricordo personale, L. faenza,  Il ruralismo nei testi unici di A. S. Novaro, G. Deledda, R. F. Davanzati, Alfa edizioni, 1975; in merito alle letture scolastiche nel periodo fascista e, più in generale all’editoria per i ragazzi, mi permetto di segnalare, rispettivamente, i miei lavori Letture scolastiche e regime fascista (1925-1943). Un primo approccio tematico, Le Stelle, 2001, e Educare con le parole. Letture e scritture scolastiche tra fascismo e Repubblica, di prossima pubblicazione, e  A. Scotto di Luzio, L’appropriazione imperfetta. Editori, biblioteche e libri per ragazzi durante il fascismo, Il Mulino, 1996; sui rapporti tra il fascismo e i giovani, importante è C. Betti, L’opera nazionale balilla e l’educazione fascista, La Nuova Italia, 1984; sul tema dell’organizzazione del consenso si veda, almeno, il datato ma sempre fondamentale Ph. V. Cannistraro, La fabbrica del consenso: fascismo e mass media, Laterza, 1975; su Il primo libro del fascista e sugli altri “catechismi” di regime, è preziosa la ristampa anastatica, accompagnata da un saggio introduttivo, a cura di C. Galeotti Credere, obbedire, combattere. I catechismi del fascismo, Stampa Alternativa, 1996; sul linguaggio del fascismo, utili almeno le seguenti indicazioni, E. Golino, Parola di duce. Il linguaggio totalitario del fascismo, Rizzoli, 1994, e AA. VV., Parlare fascista. Lingua del fascismo, politica linguistica del fascismo, numero monografico di “Movimento operaio e socialista”, 1/1984; sul culto del Duce e sulle rappresentazioni di Mussolini nelle tante biografie a lui dedicate, il riferimento d’obbligo è a E. Gentile, Il culto del littorio, Laterza, 1994 e a L. Passerini, Mussolini immaginario, Laterza, 1991; infine, per un inquadramento complessivo dell’ideologia fascista, si veda P. G. Zunino, L’ideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, il Mulino, 1985.

 

Fonte: http://www.liceograssi.it/storia%20del%20novecento/didattica/educazione%20e%20fascismo/davide%20montino.doc

 

Fascismo

L’ideologia del Fascismo.

Testi di riferimento:

Norberto Bobbio, L’ideologia del fascismo,, in Fascismo antifascismo resistenza rinnovamento, Milano 1975
Norberto Bobbio, Profilo ideologico del ‘900, Milano 1990.

Studia questo argomento in  Zagrebelsky, Questa repubblica,  cap 6. Pag  81 –84.

  L’ attivismo e l’irrazionalismo

Può essere curioso, nel cercare  il programma politico e ideologico del fascismo, cioè della forza politica che governò in Italia dal 1922 al 1945, vedere come esso appaia, nelle sue prime enunciazioni volutamente contraddittorio . “ Il fascismo è una grande mobilitazione delle forze materiali e morali,  Che cosa si propone? Lo diciamo senza false modestie: governare il paese. Noi ci permetteremo il lusso di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti,  reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente.” ( Mussolini, 1921)
In realtà questi enunciati rientrano nell’ambito dei movimenti “attivistici” (agire prima di tutto) dell’inizio secolo: l’importante è l’azione, il movimento, l’opposizione ai valori correnti ( essere anti-tutto): il futurismo, gli arditi dannunziani, gli interventisti più radicali si muovono su questa scia. 
Il fascismo si qualificò sempre come una “rivoluzione” : la rivoluzione fascista con connotati giovanilistici   ( i giovani contro i vecchi) e “antiborghesi” ( contro la vita comoda): in questo assorbe alcuni elementi del Dannunzianesimo, dell’ attivismo e dell’ irrazionalismo dei decenni precedenti.
Ma c’è in questo anche un forte elemento di spregiudicatezza di Mussolini, che non vuole legarsi le mani, pronto a cambiare programma a seconda delle circostanze: all’inizio repubblicano, poi monarchico, all’inizio anticlericale, poi, ottenuto l’appoggio della chiesa con i Patti Lateranensi, su posizioni molto più concilianti.

 

Antisocialista e antipopolare

 

Sicuramente il fascismo nasce antisocialista e antidemocratico.  Lo squadrismo fascista (20-22), finanziato all’inizio dagli agrari spaventati dal biennio rosso,  si dirige con violenza contro i movimenti popolari socialisti e cattolici: vengono saccheggiate e distrutte le case del popolo, le sedi sindacali, le cooperative, le sedi dei giornali, tra cui l’Avanti, quotidiano socialista, che, fino al 1914 era stato diretto da Mussolini stesso.

 

Contro la democrazia liberale

 

Però, come rileva Norberto Bobbio,  più che antisocialista, anticomunista e antipopolare, il fascismo si rivela antidemocratico. Cioè vede nella democrazia liberale il nemico da abbattere.  Fa un curioso effetto ai nostri giorni sentire nella dichiarazione di guerra ( 10 giugno 1940)  proclamare con orgoglio che l’Italia entra in guerra “ contro le democrazie” definite “demoplutocratiche” cioè dominate dal popolo (demo) e dalla ricchezza ( pluto). Il fascismo si definisce sempre “antidemocratico” e la democrazia è vista come un regime corrotto e impotente. La polemica contro la democrazia vede confluire nell’ ideologia fascista tutti gli elementi reazionari, irrazionalistici  e conservatori presenti in Italia e in Europa all’ inizio del 900.  Sono critiche molto diffuse e che si sentono talvolta anche ai nostri giorni
Può essere utile distinguere i punti diversi da cui può essere considerata la critica reazionaria alla democrazia: filosofico, storico, etico e politico.

 

Contro l’illuminismo e l’egualitarismo

 

Dal punto di vista filosofico la democrazia moderna nasce con l’illuminismo: l’uguaglianza di tutti gli uomini  è sancita dalla ragione.  (“ Tutti gli uomini nascono uguali” 1789. Dichiarazione dei diritti). L’attacco all’illuminismo ( e al positivismo, che ne è considerato il continuatore) è il pilastro  di tutti i movimenti antidemocratici italiani all’inizio del secolo:  L’egualitarismo, che la democrazia propone ( se non altro perché ogni cittadino vale un voto), è considerato un male. L’appiattimento sulla mediocrità, la valorizzazione della quantità sulla qualità: non è giusto che gli uomini contino nella stessa maniera, quando ci sono eroi e vili, mediocri ed eccelsi: la società deve basarsi  sul valore dei pochi, non sulla mediocrità dei molti. Il fascista è il valoroso che si stacca dalla massa dei piccolo borghesi egoisti e legati ai meschini interessi. Il fascismo esalta il Valore individuale, le democrazie la mediocrità collettiva. Con il fascismo gli italiani sono diventati “un popolo di eroi” capaci di sacrifici generosi mentre gli inglesi con la loro democrazia sono il “popolo che mangia cinque volte al giorno” corrotto ed egoista , mentre gli italiani sanno resistere alla fame in nome di ideali superiori. ( “ Volete burro o cannoni?”)

Il primato della forza e delle passioni

A livello più filosofico, l’illuminismo è l’esercizio della ragione critica, mentre i movimenti antidemocratici valorizzano il primato delle forze vitali, degli istinti primordiali, delle grandi passioni creatrici, giù giù sino agli impulsi sotterranei del sangue e della razza.  La male interpretata teoria del superuomo di Nietzsche e dello stato etico di Hegel danno combustibile a queste polemiche con la ragione illuminista.-
L’evento storico considerato come l’origine delle corrotte democrazie è la rivoluzione francese, vista come la sentina di tutti i vizi, i soprusi e violenze. Per i più nostalgici la rivoluzione ha travolto l’antico ordine aristocratico, sostituendolo con anarchia e mediocrità.

La società democratica vista come decadente

Il concetto di progresso storico ( tipico del positivismo) viene sostituito dalla teoria dei cicli storici, del sorgere e decadere delle civiltà. L’epoca presente è un’epoca di decadenza e regresso, e di questa decadenza la più grave responsabilità spetta allo spirito democratico, alla degenerazione intellettuale, politica ed economica che il regime democratico alleato a grandi speculatori, specie se ebrei, ha introdotto nella civiltà europea. La democrazie, con la sua furia livellatrice, con il suo rimescolamento del basso e dell’alto, favorisce l’avanzata degli inferiori e minaccia di condurre alla rovina le razze dominanti. Il fascismo e il nazismo bloccano questa deriva storica permettendo alle razze superiori di mantenersi pure.

L’etica del guerriero contro l’etica del mercante

Dal punto di vista morale il fascismo afferma i propri valori contro i disvalori della democrazia. L’etica democratica è, nella visione fascista, una etica materialista, grettamente utilitarista che ha posto come fine supremo la convivenza sociale, il benessere, la ricchezza, la comodità, sacrificando a ciò i valori superiori dello spirito. E’ l’etica del mercante contrapposta all’etica del guerriero e del sacerdote: la borsa è diventata il proprio tempio, il calcolo economico il proprio sistema di condotta, i libri contabili il proprio libro di preghiere. Questa polemica contro la democrazia  va continuamente accompagnata dalla lamentele sulla decadenza dei valori dello spirito, delle virtù eroiche, del nobile sentire, dell’alto pensare del forte agire proprie di altre età. In questa condanna si incontrano nostalgie aristocratiche, risentimenti piccolo borghesi, interessate idealizzazioni del mondo contadino, visto come il mondo dei sentimenti e dei valori autentici ( il fascismo sarà sempre ruralista.).
Nel sistema democratico tre soprattutto sono gli elementi che il democratismo vanta come progressivi e al contrario la critica dei reazionari rifiuta come negativi:  lo spirito di compromesso che tende a risolvere attraverso negoziazioni le contese politiche, che viene accusato di deteriore pragmatismo; la regola del gioco di coesistenza del maggior numero possibile di opinioni, che deriverebbe da una concezione relativistica dei valori ( cioè tutti i valori sono relativi) non dalla concezione nobile del rispetto e della tolleranza ( anche questa di origine illuminista!); questo atteggiamento viene accusato di indifferentismo (si accetta tutto perché non si crede a niente!). In ultimo viene criticato il metodi del suffragio universale che permette di contare le testa invece di tagliarle, contro cui si muove l’accusa di essere il trionfo del numero sulla qualità. Nella versione radicale di queste critiche la morale democratica è considerata una variante della morale degli schiavi. Il gregge che si sostituisce al pastore, colui che è nato per servire a colui che è nato per comandare. La radice di queste visioni è, ancora, la teoria del superuomo di origine niciana, interpretata in senso razzista e antiegualitario

L’antiparlamentarismo

Tutte le critiche alla democrazia  fin qui esaminate sfociano nella critica politica che ne è lo scopo finale, cioè la critica al sistema politica a cui la democrazia aveva dato origine. La democrazia ha distrutto  con il suo atomismo individualista il senso dello stato come unità organica, come totalità ( qui si sente l’influenza di Hegel e dell’ idealismo); con la sua morale gretta e servile, il senso della gerarchia; con il suo egualitarismo, il senso della autorità. In particolare la critica si rivolge agli istituti della democrazia: il parlamento e i partiti. Il parlamento ha sovvertito il principio che solo le minoranze hanno diritto di comandare. Porta al centro dello stato lo spirito di scissione che alimenta i partiti e quindi contribuisce a distruggere l’unità nazionale e stempera in interminabili, spesso inconcludenti, discussioni la forza della decisione di governo. Il parlamento rappresenta il regime oltre che della demagogia anche dell’ impotenza. La democrazia è imbelle, pacifista, antieroica. Lo stato è potenza, o non è. La critica alla democrazia va di pari passo con il nazionalismo esasperato, con un  programma espansionistico, con l’imperialismo, cioè con il rifiuto del  principio democratico non solo nella relazione tra individuo e Stato ma anche nelle relazioni degli stati tra loro.

 

Il capo carismatico e stato totalitario

Il fascismo, come gli altri totalitarismi, sostituisce alla democrazia il culto del capo carismatico. Mussolini interpreta il popolo e il popolo si identifica in Mussolini in maniera immediata, che non ha bisogno di elezioni, parlamento, discussioni tipiche della decrepita democrazia. Non ci sono divisioni, non ci sono fazioni: tutti sono uniti  perché Duce unifica il popolo: è contadino, operaio, soldato, artista,….genio italico! Il dialogo avviene direttamente tra il Duce e la  folla che lo acclama senza necessità di inutili mediazioni ( come le elezioni). E’ un potere carismatico, come dice Max Weber, quasi religioso: ha sua liturgia, i suoi simboli, la sua fede e Mussolini ne è il pontefice massimo.
“Tutto nello Stato, niente fuori dallo Stato, nulla contro lo Stato” (Mussolini) è la formula dello stato totalitario, antitesi dello stato democratico. Alfredo Rocco, ministro guardiasigilli nel governo Mussolini e estensore delle leggi fascistissime, così descrive l’ideologia dello Stato fascista: “ “Per il fascismo il problema fondamentale non è quello della difesa dei diritti degli individui o delle classi sociali, ma solo il problema di garantire il diritto dello stato, al quale corrisponde il dovere dell’individuo”  ( Zagrebelsky, pag 83). E dello Stato totalitario il Duce è l’incarnazione vivente

Democrazia: una definizione

Per finire è forse bene tentare una definizione di democrazia, cosa per altro non facile. Prendendo ancora dalle riflessioni di Norberto Bobbio, per uno  stato democratico essenziale è la divisioni dei poteri (ad esempio il fascismo violò immediatamente l’autonomia della magistratura con l’istituzione del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato e accentrò su di sé tutti i poteri), le  elezioni libere, in cui i cittadini debbono essere liberi di votare secondo la propria opinione formatasi quanto è più possibile  liberamente, cioè in una libera gara di gruppi politici che competono per formare la rappresentanza popolare. Questo implica una stampa libera e pluralista  (cioè con l’ accesso di tutte le opinioni). Nessuna decisione presa a maggioranza può limitare i diritto della minoranza ( si creerebbe la cosidetta “dittatura della maggioranza”) e inoltre i diritti della persona sono inalienabili in ogni caso.
Come vedi  per qualificare una democrazia non bastano le  elezioni, anche se sono ovviamente indispensabili. Ricordo che sia il fascismo che il nazismo andarono al potere tramite elezioni ( nel 24 e nel 33) ma una volta al potere disintegrarono le struttura democratiche delle stato.

 

Fonte: http://www.luciorizzotto.it/classe5/storia/IdeologiaFascismo.doc

 

Fascismo: lo statalismo economico e il corporativismo; le guerre di Spagna e d’ Etiopia, l’asse Roma-Berlino, la guerra-
( Cap 11)
Il fascismo e l’economia. ( pag 214-218)
La grande crisi del 29 arrivò anche in Italia, che pure era un’ economia ancora arretrata. Il regime reagì con interventi statali di salvataggio ( a spese pubbliche) delle industrie e delle banche in crisi; fu creato l’ IRI ( Istituto Ricostruzione Industriale, di proprietà pubblica) che comperò molte aziende in crisi, accollandosene i debiti. Il regime attivò, inoltre, un vasto piano di lavori pubblici ( ad esempio: la bonifica delle pianure pontine attorno a Roma) e di edilizia monumentale ( ad esempio a Roma l’EUR, vedi a pag 217) incentivando quindi, con interventi statali, l’economia.
Il fascismo professò sempre il suo attaccamento all’agricoltura ( ruralismo) più per motivi ideologici che economici: la battaglia per il grano ( per raggiungere l’autonomia cerealicola rispetto alle importazioni) a scapito di produzioni agricole più esportabili.
Il fascismo si proclamò corporativo: il corporativismo sostituiva alla contrattazioni tra libere associazioni di lavoratori e di imprenditori, la composizione degli interessi nella corporazione ( associazione di categoria che unisce imprenditori e dipendenti sotto il controllo dello stato). Al di fuori delle proclamazioni ideologiche, il corporativismo si rivelò, nella sostanza, poco incisivo ed estremamente sbilanciato verso i datori di lavoro, a scapito dei dipendenti a cui era statea tolte ogni possibilità di organizzazioni autonome ( sindacati liberi) o di protesta (scioperi o libere manifestazioni)- ( pag 214 – 218).

 

La guerra di Spagna- pag. 197

 Nel 1936 in Spagna ( dal 1931 diventata una repubblica, con fuga del re Alfonso 8’ di Borbone, padre dall’attuale re Jan Carlos) le elezioni vengono vinte dal Fronte popolare ( repubblicani, socialisti, comunisti, anarchici).  Sette mesi dopo inizia una rivolta militare, capeggiata da Francisco Franco, appoggiato dai monarchici, dai cattolici e dalla falange fascista. Scoppia la guerra civile che dura quattro anni ( fino al 1939) provocando enormi distruzioni e 500 mila morti. Anche grazie alle divisioni tra il fronte popolare, Francisco Franco – el caudillo ( corrispettivo di duce e furer)-   riesce ad instaurare una dittatura clerico-fascista che dura fino alla sua morte ( 1975, quando fu ripristinata la monarchia e la democrazia). La guerra civile di Spagna fu la prova generale della guerra mondiale: una guerra ideologica ( franchisti contro repubblicani) con stragi di civili e aiuti internazionali ad entrambi i fronti : brigate volontarie antifasciste da tutti i paesi europei liberi e dall’URSS,  e brigate fasciste dall’Italia e armi dalla Germania.  Ci furono italiani in entrambi i fronti: la brigate Garibaldi ( antifascisti) e le milizie fasciste. Clamoroso il tremendo bombardamento di Guernica, città basca, ( 1937) da parte di aerei tedeschi: il primo tragico esempio di bombardamento massiccio di civili.
L’imperialismo fascista e la guerra di Etiopia ( 1935-36) pag 219
L’Etiopia ( o Abissinia) era l’unico stato indipendente in Africa negli anni trenta ( gli altri erano colonie); confinava con l’Eritrea  e la Somalia , entrambi italiane. Nel 35 Mussolini decise di invaderela per “trovare un posto al sole” al popolo italiano, cioè per motivi di prestigio e di propaganda ( i ritorni economici furono irrilevanti). La facile guerra si concluse con la proclamazione dell’impero ( che durò fino al 43!) in un delirio di propaganda ( Mussolini come Cesare) che infiammò l’Italia. La Società della Nazioni condannò l’Italia come stato aggressore ( come in effetti era) e la punì con delle sanzioni economiche, che spinsero ancor di più il regime verso la politica dell’autarchia  ( l’autosufficienza economica: un fallimento) e la propaganda  fascista ( le “inique sanzioni” che ingiustamente mortificano l’Italia ).
Un effetto della guerra d’Etiopia fu un avvicinamento del fascismo al nazismo ( l’asse Roma Berlino, poi trasformato nel Patto d’acciaio). Triste  conseguenza di questa alleanza  furono del leggi razziali, per cui gli ebrei italiani furono discriminati e perseguitati: una ferita insanabile ai principi di uguaglianza affermati dallo Statuto albertino (ancora in vigore). Solo la chiesa cattolica obbiettò ( anche perché le leggi razziali consideravano gli ebrei una “razza” non una confessione religiosa, e colpivano anche gli ebrei convertiti al cristianesimo).

 

Verso la guerra ( cap 13)

La situazione europea stava diventando, alla fine degli anni ‘30, sempre più tesa: il nazismo era sempre più aggressivo: l’anschuss ( l’unione con un plebiscito) dell’Austria con la Germania ( 1938) , la questione dei Sudeti ( tedeschi che vivevano in Cacoslovacchia) con l’annessione dell’intera regione ( trattato di Monaco).  L’ accondiscendenza  inglese e francese, anziché calmare Hitler, ne aumentavano gli appetiti. Nel 39 Hitler   rivendicò il possesso di Danzica, città polacca che rompeva la contiguità territoriale tedesca. Dopo un clamoroso accordo diplomatico di non aggressione con l’URSS ( e una clausola segreta di spartizione della Polonia) la Germania attaccò, il 1 settembre 39, la Polonia, provocando l’immediato intervento della Francia e del Regno Unito. Era L’inizio della guerra mondiale. Mussolini preferì, per il momento, diciararsi neutrale ( non belligerante); Le truppe del III reich ( Germania e Austria) ebbero, nel 39 e nella primavera del 40, dei risultati clamorosi: la Polonia viene occupata in poche settimane e nella primavera furono occupate Belgio, Olanda e Francia: il 14 giugno i tedeschi entravano a Parigi e veniva firmato un armistizio che divideva la Francia in due: una parte direttamente controllata dai nazisti e una parte con  apparente sovranità autonima ( ma in realtà un regime collaborazionista): la repubblica di Vichy con a capo il generale Patain. Solo la Gran Bretagna resisteva, governata da un intransigente Wilston Churchill, che prometteva ai suoi concittadini solo “ lacrime e sangue”.
In questo contesto Mussolini si convinse ad entrare in guerra contro la Francia, il 10 giugno 40, per “ avere qualche migliaia di morti e sedere al tavolo della pace”. La Francia accuserà l’Italia di averla “ pugnalata alle spalle”. Anche in questo caso la previsione di una rapida guerra ( e di poche migliaia di morti: le vittime italiane in combattimento furono 400 mila; e, in totale si calcola circa 55 milioni di morti) si rivelò del tutto infondata.

 

Fonte: http://www.luciorizzotto.it/classe5/storia/Fascismo2.doc

 

L’Italia  dalla crisi del dopoguerra al regime fascista ( 1919 – 1940)  cap 8 e cap 11. Schema introduttivo.
La nascita e la conquista del potere da parte del fascismo ( 1919 – 1922)
Il dopoguerra fu un periodo estrememente inquieto in Europa e in Italia:  inflazione, crisi economica,  rivolte politiche. In Italia, pur essendo una tra le potenze vincitrici,   i danni e i costi della guerra si fecero particolarmente sentire: il 1919/ 1920 fu definito il biennio “rosso” per le continue agitazioni popolari in risposta all’inflazione, alla disoccupazione, al disagio sociale dei reduci: due azioni in particolare colpirono la sensibilità delle classi medie e piccolo.borghese:  l’occupazione delle fabbriche ( forma estrema di protesta operaia)e l’occupazione delle terre, in gran parte latifondi incolti nel Sud, da parte di contadini e di reduci di guerra ( nei gravi giorni di Caporetto era balenata la promessa di “terre ai contadini” se la resistenza contro gli austriaci avesse tenuto). Aleggiava su tutto la paura della rivoluzione: “ e noi faremo come la Russia, chi non lavora non mangerà” cantavano  gli scioperanti. ( per approfondire a pag. 142)
A Milano, nel marzo ‘19 Benito Mussolini fonda  un movimento, chiamato Fasci di combattimento,  aggressivo e violento, confusamente rivoluzionario e repubblicano, ma feroce nei confronti dei socialisti. ( vedi a pag 141): alle elezioni del 19 non ebbe molto seguito ( circa 4000 voti), ma è l’origine del partito fascista che il tre anni conquistò il potere.  Benito Mussolini ( 1883  - 1945) è il direttore di un giornale ( Il popolo d’Italia) fondato nel 14, con  capitali di industriali siderurgici, per promuovere l’entrata in guerra. Era stato rapidamente espulso dal P.S.I quando si era espresso violentemente per l’intervento, in contrasto alla politica neutralista dei socialisti. Mussolini era un dirigente di primo piano del PSI, appartenente all’ala massimalista rivoluzionaria ed era addirittura il direttore del giornale ufficiale del partito “ L Avanti”. Nato in Romagna ( si vanterà del carattere sanguigno dei romagnoli), ottenuto il diploma di maestro, aveva lavorato in alcuni comuni ( la scuola elementare, prima delle riforme giolittiane era comunale) ma si era impegnato subito nei movimenti politici radicali, fino ad approdare all’ala massimalista dei socialisti. Rifugiatosi, per alcuni anni fuori d’Italia ( a Trento, dove collaboro con i socialisti locali, in particolare Cesare Battisti), ritornò in Italia raggiungendo i vertici del partito. Manterrà sempre, da queste origini socialiste,  il lessico e alcuni aspetti esteriori: il fascismo si definisce una rivoluzione antiborghese ( cioè “che non ama la vita comoda”),in lotta con la democrazie ( qui in senso negativo) plutocratiche ( cioè dominate dalla ricchezza : cioè GB e F). Affermerà di essere contrario al capitalismo in nome di uno stato corporativo ( dalla corporazioni medioevali). Al momento del suo tragico epilogo, dopo il 43, il fascismo riscopre questi aspetti delle origini: infatti istituisce la Repubblica Sociale Italiana ( repubblica di Salò).
Le lezioni del 19 ( le prime del dopoguerra, a suffragio universale maschile) confermarono l’avanzare dei partiti di massa: il PSI con il 32% dei voti, e il Patito Popolare ( cattolico) con il 20 %;  la vecchia classe liberale giolittiana ha perso il controllo del parlamento. Il partito socialista, pur avendo molti voti, non è pero unito: le divisioni tra  riformisti e massimalisti  vengono accentuate dalla situazione drammatica e dalle notizie della vittoria della rivoluzione russa. Queste divisioni provocano la scissione della minoranza massimalista del Psi, che a Livorno; nel 1921, fonda il Partito Comunista d’Italia ( tra i fondatori Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti).  Dopo il 19, Giolitti , ormai ottantenne, ridiventa primo ministro con un programma avanzato di riforme sociali ( tassazione dei sovraproffitti di guerra, e delle rendite finanziarie) ( vedi a pag 144) ma  non ha più la solida base parlamentare che lo sosteneva: inizia un periodo di instabilità politica.
Nel 20 e 21, quando ormai il biennio rosso si stava smorzando,  diventa sempre più aggressivo il movimento fascista: Le squadre fascista ( squadrismo) assaltano e distruggono sedi sindacali, sedi di partiti,  cooperative, colpendo soprattutto il movimento socialista, ma anche cattolico ( ad esempio l’uccisione di Don Minzoni).
Lo squadrismo era fortemente finanziato dai possidenti agrari, specie nella pianura padana,  che volevano con le squadre militarizzate soffocare le organizzazioni contadine e operaie. Godevano inoltre della impunita  da parte della polizia e degli organi dello stato. ( sullo squadrismo leggi a pagine 148).  Giolitti nel 21 convocò nuove elezioni, che però  non ebbero i risultati da lui sperati: fu confermata la forza del PSI ( 25%) con  il PCI al 5%, I popolari si rafforzarono, i gruppo liberali non raggiunsero il controllo del parlamento, e apparvero i primi 35 deputati fascisti alla Camera: una situazione frammentata e  instabile.
Nel paese la violenza squadrista, ormai incontrastata, dilagava, mentre governi deboli e poco autorevoli ( prima Bonomi, poi Facta) non riuscivano a porre freno all’ illegalità.

 

Mussolini al governo. 1922-1924: la preparazione della dittatura

 

Mussolini progettò di forzare la situazione e il 28 ottobre 1922 organizzo una marcia su Roma, con le squadre fasciste di tutta Italia.  ( leggi a pag 150, e 151). Il governo Facta  propose al re lo stato di assedio ( cioè l’intervento dell’esercito contro i fascisti) ma Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare. Facta si dimise e il re convocò Mussolini per affidargli l’incarico di capo del governo.  Cominciò, da quella data, il governo Mussolini, che durò fino al 25 luglio 1943 ( il ventennio fascista) Il governo Mussolini, su incarico del re,  è un governo di coalizione, fascista col alleati liberali e cattolici.  Probabilmente questi ultimi ( i fiancheggiatori) e anche la corona, pensavano a  Mussolini come un “normalizzatore” in  una situazione transitoria per riportare il paese verso la normalità.  In realtà Mussolini si rivelò subito estremamente determinato a consolidare le  basi del suo potere e a costruire uno stato autoritario. Nel dicembre istituì  il Gran Consiglio del fascismo ( un organo di partito, che affiancava il governo) e nel 23 la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, cioè l’organizzazione della squadre fasciste in un corpo militare parallelo all'esercito ( anche se ovviamente, meno potente). Le violenze nel paese non cessarono,  ma anzi furono sostenute dall’apparato dello stato ( organi di polizia e magistratura).  Per completare nel 23 fece approvare una legge elettorale fortemente maggioritaria ( la legge Acerbo: ) con cui nel 24 convocò le elezioni ( le ultime libere, o semi-libere) del Regno d’Italia).  La vittoria del blocco nazionale ( fascisti e fiancheggiatori) fu schiacciante ( 65%).  Alle apertura della Camera il deputato socialista Giacomo Matteotti denunciò le violenze e l’irregolarità del voto., ma dopo 10 giorni fu rapito e successivamente trovato ucciso.  ( vedi a pag 154) Si andava rapidamente verso la dittatura a viso aperto.

http://www.luciorizzotto.it/classe5/storia/FascismoOrigini.doc

 


 

LE INTERPRETAZIONI DEL FASCISMO

Le prime interpretazioni sono quelle dei contemporanei : mentre il fascismo riscuoteva consensi anche all'estero , gli sconfitti (fuoriusciti) riflettevano sul fenomeno che li aveva colti di sorpresa . Si formarono , allora , quelle che R. De Felice ( interpretazioni del Fascismo ; Laterza ) ha definito le tre interpretazioni classiche:
- A. Il Fascismo come prodotto della crisi morale della società europea della prima metà del Novecento .
ad es. l'interpretazione di B. Croce : fascismo come parentesi della storia , che è storia di libertà. Esso non sarebbe  il prodotto di una classe più di altre , ma della crisi dei valori della società del primo Novecento e quindi nemmeno un prodotto eslusivo della storia italiana .
-B. Il Fascismo come prodotto del ritardo dell'unificazione nazionale ( Italiana e tedesca ).
Si basa sul fatto che le due nazioni che hanno sperimentato il Fascismo(  Italia e Germania ) hanno molte caratterisitche storiche comuni: - unificazione nazionale tardiva e imposta dall'alto ; - sviluppo industriale accellerato con ruolo rilevante dello stato ; - borghesia non indipendente ; - tradizioni politiche e sociali autoritarie => predisposizione a regimi politici dittatoriali .
A questo gruppo è assimilabile la tesi di P.Gobetti del fascismo come manifestazione delle tare della unificazione nazionale .
- C. Il Fascismo come reazione di classe estrema del capitalismo per difendere se stesso.
Tale tesi fu fatta propria dalla Internazionale comunista : il Fascismo come forma politica propria del capitale monopolistico .  Ma è stata considerata troppo rigida e vincolante politicamente , quindi non condivisa da tutti i marxisti, che  in genere - però- concordano sul fatto che la grande borghesia nello stadio del capitalismo monopolistico non riesce ad esercitare il dominio di classe con mezzi democratici .
Un tema importante è Il Rapporto fascismo-grande guerra , sottolineato già da L.Salvatorelli (nazionalfascismo 1923): interventismo come protofascismo;
G.Salvemini (Lezioni sul fascismo),G.Tasca(Nascita e avvento del Fascismo ), F.Chabod
(L'Italia contemporanea :1918-48 ) :il Fascismo nasce dai turbamenti e dalle delusioni del dopoguerra .
Altra questione importante , che si collega alla matrice di classe del Fascismo e al problema delle origini : Fù reazione o rivoluzione ?
L.Salvatorelli (Nazionalfascismo ; Salvatorelli-Mira : storia d'Italia nel periodo fascista ):
Fascismo come fenomeno piccolo-borghese , che lotta contemporaneamente contro il capitalismo e il proletariato , perciò duplice faccia del fascismo : reazionaria e conservatrice (quella della grande borghesia ) e rivoluzionaria ( quella della piccola borghesia ) che chiedeva non il ristabilimento del vecchio ordine sociale , ma un nuovo ordine . La piccola borghesia era passata dal sostegno alla democrazia e al socialismo al nazionalismo e al fascismo per risentimento contro le conquiste della classe operaia .
Per C. Rosselli , fondatore di Giustizia e Libertà , invece , il fascismo aveva fatto emergere i vizi congeniti degli italiani, portati al conformismo più che alla spregiudicatezza del pensiero: Siccome il Fascismo si caratterizza come antidemocratico e antiliberale , Rosselli era convinto ( diversamente dai comunisti )che bisognasse riunire contro il fascismo tutte le forze democratiche  ( anche borghesi ).
Negli anni '40 e '50 , gli studi sul fascismo furono dominati dalle tre interpretazioni classiche e dalla contrapposizione ideologica , tipica degli anni della guerra fredda .
Tra le opere pi— significative del.periodo : R. Zangrandi ( Il lungo viaggio attraverso il fascismo )storia dei giovani che alla fine degli anni trenta si distaccarono dal fascismo .
Invece intervennero importanti mutamenti negli anni sessanta :- maggiore serenità di giudizio ; - apertura e confronto con gli studi stranieri sui fascismi europei e le interpretazioni sociologiche e psicologiche ; -  comparsa di opere di sintesi complessiva e ricerche specifiche .
Tra le opere principali ricordiamo E. Santarelli ( storia del movimento e del regime fascista  ,1967 ) A.Acquarone (L'organizzazione dello stato totalitario ) ,ma soprattutto l'opera di R. De Felice : una biografia di Mussolini in pi— volumi , l' ultimo pubblicato poco prima della morte (1996 ).
Del Fascismo non si occupano solo gli storici , ma anche filosofi , sociologi , psicologi ;
il caso italiano fu considerato come parte di un fenomeno ideologico più generale = > apertura verso le interpretazioni degli studiosi stranieri .
Di tale tipi di studi fa parte l'interpretazione del Fascismo come forma di Totalitarismo :
gli studiosi del fenomeno totalitario si rifanno ad A.Arendt , filosofa tedesca (The origins of Totalitarism 1951 ).
Totalitarismo come fenomeno tipico del Novecento: epoca della tecnica e dell'atomismo sociale  > nascita della società di massa  >totalitarismo come tentativo di integrazione delle masse attraverso la identificazione con la figura del capo carismatico > identificazione regime-masse  > lo stato totalitario assorbe e organizza nello stato completamente la vita dell'individuo .
Soprattutto negli USA apporto agli studi sul fascismo delle scienze sociali : psicoanalisi , psicologia sociale , sociologia : Studi sulla personalità autoritaria (W. Reich , E. Fromm , Th Adorno , M. Horkheimer ) : i movimenti fascisti raccolgono consensi soprattutto tra persone sessualmente represse , che hanno bisogno di identificarsi col capo  > base di massa dei movimenti fascisti > ciò avviene , particolarmente , nelle società industriali ( atomizzazione dei rapporti sociali ).
Interpretazioni sociologiche: mettono l'accento sull'attrazione del fascismo verso i ceti medie in generale sulle masse  che sradicate dai valori tradizionali in una società in rapida trasformazione si sentono schiacciate tra grande borghesia e proletariato .
Es. Gino Germani , sociologo argentino , studioso del peronismo argentino e del fascismo italiano  ( Autoritarismo , fascismo , classi sociali  1975 ). Egli vede il fascismo come peculiare veicolo di modernizzazione ( = processo di cambiamento da una società tradizionale ad una società moderna ) =>modernizzazione = momento essenziale della mobilitazione sociale => rapida incorporazione di vasti settori della popolazione nel sistema di vita moderna per ricostruire la società come unità integrata. Fascismo come mobilitazione dall'alto di quelle classi sociali che nel frattempo esso smobilitava .
Interpretazioni filosofiche : lo storico tedesco E. Nolte ( I tre volti del Fascismo ),
in Italia il filosofo cattolico A. Del Noce . 1. danno una lettura del fascismo dal punto di vista della storia delle idee . 2. Fascismo = come espressione estrema della negazione della trascendenza , che è tipico delle società liberali e  della tradizione del moderno .

 

Interpretazione di R. De Felice ( Rieti 1929- Roma 1996 . Le interpretazioni del Fascismo 1969 ; Intervista sul fascismo 1975  ; Biografia di Mussolini  in più volumi a partire dal 1965 )Š stato considerato il maggior esperto italiano del fascismo ; la sua opera è al centro del dibattito e delle polemiche negli ultimi anni ; 1. la sua opera maggiore non è una storia del fascismo , ma una biografia di Mussolini, da cui emerge una presentazione del regime fascista ; 2. non si sofferma tanto sugli aspetti repressivi , quanto sul consenso ( un volume è intitolato : Mussolini , il duce : gli anni del consenso 1929-36 ) ; 3. utilizza la letteratura straniera , le interpretazioni socio-psicologiche , le interpretazioni filosofiche di Nolte , gli studi di G.Mosse ; 4. utilizza fonti nuove : ad es. le carte del duce o gli archivi di D. Grandi .
Nella sua tesi di fondo si rifà a Salvatorelli : la base sociale del Fascismo sono i ceti medi  , che Mussolini e i dirigenti fascisti cercano di mobilitare : - mettendo in atto una politica economica favorevole ai ceti medi , - promuovendo una ideologia tendenzialmente anticapitalistica ( "terza via ") , - ottenendo un  consenso attivo nella popolazione .
De Felice insiste : la base del regime furono i ceti medi ; il fascismo non è espressione del capitale finanziario, nŠ della reazione moderna , fatta di repressione e demagogia , ma diventa la rivoluzione dei ceti emergenti, che si sostituiscono alla aristocrazia e alla grande borghesia  => in Italia inizia una fase di accentuata modernizzazione e di sviluppo sociale ed economico , fondamento del progresso del secondo dopoguerra .Nonostante i vantaggi conseguiti , la grande borghesia non accettò del tutto il fascismo per motivi psicologici , di stile ,per timore : 1. della tendenza dello stato fascista a interferire nell'economia ed estendere il proprio controllo, 2. della tendenza dell 'elites fasciste a trasformarsi in autonoma classe dirigente , 3. per la politica estera mussoliniana sempre più aggressiva .
A tale interpretazione ( spesso qualificata come "revisionistica " ) ha reagito sia la storiografia radicale ( che si richiama a Salvemini , Rosselli , S. Trentin ) sia quella marxista .
In sintesi ,ecco le critiche  :
1. il metodo e l'uso delle fonti appaiono discutibili : - non si può attribuire una tendenza di sviluppo che matura nel sessantennio liberale alle scelte personali del duce ; - De felice privilegia le carte della polizia e della segreteria particolare del duce e in generale di elaborazione fascista , mentre sottoutilizza e trascura documentazioni dell'opposizione e i risultati della storiografia antifascista .
2 .Il corporativismo e la politica economica non possono essere interpretate nella loro effettiva realizzazione come espressione delle esigenze dei ceti medi , ma sono espressione coerente degli interessi della grande borghesia e del capitalismo monopolistico, che con la copertura dell'intervento statale e dell'assistezialismo demagogico favoriscono i ceti medi rispetto al proletariato ( Foa , Santarelli , Castronovo , Mori ).
3.Non si può parlare di consenso attivo, dato l'alto grado di coercizione (G. Quazza , N.Tranfaglia ), bisogna parlare piuttosto di passiva erassegnata acquiescenza .
Pi— recentemente N. Tranfaglia si Š avvicinato alle posizioni di De Felice sul problema del consenso , riconoscendo una penetrazione del regime pi— ampia e attiva .
Recentemente nuove ricerche hanno iniziato a mettere in discussione su alcuni punti specifici
le tesi sostenute da De Felice (ad es. sulle responsabilità dirette di Mussolini nel delitto Matteotti ,M. Canali : il delitto Matteotti , Il Mulino 1996 e sulla politica antisemita : le ricerche di M. Sarfatti che dimostrano tendenze antisemitiche autoctone del fascismo e antecedenti le leggi razziali del 1938 ) .

 

 fonte: http://digilander.libero.it/terzacmanzoni/Storia/Le%20interpretazioni%20del%20Fascismo.doc

 


 

Nascita del fascismo
Nell' immediato primo dopoguerra, la situazione italiana era molto difficile, infatti nonostante la vittoria le condizioni sociali e politiche del nostro Paese erano tutt'altro che rosee. Vi era per prima cosa la difficile situazione dei reduci della Grande Guerra che dovevano fare i conti oltre che con le ferite fisiche, le mutilazioni (tanto è vero che molti furono quelli curati presso l'istituto rizzoli di Bologna) anche con un difficile reinserimento post-bellico nella vita quotidiana, un reinserimento tutt'altro che agevole vista anche la grave crisi economica in cui versava l'Italia a causa dei debiti contratti con le spese belliche. In primis vi era la situazione dei contadini, i quali erano l'ossatura del nostro esercito e ai quali il Generale Diaz aveva promesso come incentivo, a guerra finita la terra, o meglio una equa distribuzione delle terre che avesse "accontentato" tutti; ma ciò si scontrava con l'opposizione dei grandi propietari terrieri,gli agrari i quali sostenevano che le terre vanno date ai contadini quando si perde una guerra e non quando la si vince. Tutto ciò finì col fare da catalizzatore ad una situazione già tesa, tanto che gli ex combattenti senza terra in molte regioni invasero i latifondi incolti,insieme con i contadini più poveri. Se quindi nelle campagne la situazione era al limite,meglio certamente non andava nelle città,infatti il costo della vita aumentava a dismisura anche a fronte di provviste scarse, i salari allo stesso tempo rimanevano fissi e addirittura in qualche caso diminuivano;tutto ciò portò anche al saccheggio di molti negozi da parte di persone allo stremo,ridotte alla fame. Gli operai abbinavano alle loro rivendicazioni economiche,ideologie politiche sull'esempio della rivoluzione russa, tutto ciò avrebbe portato al "biennio rosso"(1919-1920) caratterizzato dall'occupazione delle fabbriche da parte degli operai che in alcuni casi cercarono di ispirarsi al motto diffusosi in quegli anni in tutta Europa, "fare come in Russia". Paradossalmente chi risentì maggiormente della difficile situazione economica, furono i cosiddetti"ceti medi", tra i quali figuravano molti complementari dell'esercito e anche generali, senza dimenticare il malcontento degli "arditi di guerra" un gruppo di assalto costituito negli ultimi anni di guerra, che ora si trovava a disagio nel nuovo clima di democrazia e di pace. E' in questo scenario che si inserisce la figura di Benito Mussolini, che fino allo scoppio della prima guerra mondiale era dirigente socialista e, dal 1912, addirittura direttore de l'Avanti!. Dopo un'iniziale adesione alla linea di neutralismo del partito, Mussolini divenne interventista e allora il 20 ottobre del 1914 si dimise dalla direzione del giornale. In novembre realizzò un suo quotidiano, "Il popolo d'Italia", ultranazionalista, radicalmente schierato su posizioni interventiste a fianco dell'Intesa. Espulso immediatamente dal Psi, qualche anno dopo, nel '18, ruppe anche gli ultimi legami ideologici con l'originaria matrice socialista, in nome di un superamento dei tradizionali antagonismi di classe. Finita la guerra, nel 1919 fondò i fasci di combattimento. Il nuovo movimento era inizialmente noto come "sansepolcristi" (da P.zza San Sepolcro a Milano,dove il 23 Marzo 1919 furono fondati i "fasci italiani di combattimento"e fu emanato il "programma di San Sepolcro") che non a caso fece leva sul disagio diffuso soprattutto tra i ceti medi, i militari e gli ex combattenti,per ottenere un consenso sempre maggiore, rivendicando inoltre la cosiddetta "vittoria mutilata" in cui l'Italia non aveva ottenuto il giusto riconoscimento ai suoi sacrifici, bellici e umani,che aveva sostenuto. Analizzando il "Programma di San Sepolcro" possiamo notare tra gli altri punti trattati da Mussolini e i "sansepolcristi", una serie di provvedimenti volti a cercare di risolvere la difficile situazione sociale instauratasi nel Paese all'indomani della fine della guerra: tra le altre cose si chiede una legge che sancisca la giornata legale di otto ore di lavoro,una modifica alla legge sull'assicurazione e sulla vecchiaia (la pensione potremmo dire) con abbassamento del limite di età da 65 a 55 anni. Da questo momento cominciò l'escalation dei fascisti che avrebbero fatto largo uso della violenza squadrista per prendere il controllo, prima con il "fascismo agrario"con squadre fasciste che pagate dai propietari terrieri cercavano di far tornare nelle loro mani il controllo dei latifondi in cui le cosiddette "leghe rosse" sembravano aver preso il potere,obbligando tra l'altro i propietari terrieri ad accettare condizioni come l'imponibile di manodopera (ovvero erano le stesse leghe rosse a imporre al propietario la lista dei lavoratori per quel certo latifondo). Tra gli squadristi più rappresentativi del fascismo agrario,va senza dubbio ricordato Roberto Farinacci "ras" di Cremona. Quindi la situazione si profilava sempre più favorevole ai fascisti che tra l'altro già nel 1919 avevano assaltato la sede del giornale socialista "Avanti" e che giunsero anche all'occupazione militare di ampie zone del nord Italia nel corso del 1921 grazie alla connivenza allo stesso tempo delle forze dell'ordine,come è dimostrato da molti documenti. Divenuto deputato al Parlamento con le elezioni del 1921, Mussolini si avvicinò maggiormente alla monarchia (mentre il suo programma originario era di fedeltà agli ideali repubblicani) con il discorso di Udine (20 settembre 1922). In quel 1921, un'accellerata agli eventi, fu molto probabilmente svolta dalla conclusione dell'occupazione di Fiume,città a maggioranza abitata da italiani che era stata data con un accordo siglato dal governo Giolitti alla Yugoslavia, da parte delle truppe o meglio dei volontari guidati dal poeta Gabriele D'Annunzio (Gabriele Rapagnetta) che già durante il conflitto mondiale aveva dimostrato tutto il suo coraggio con diverse azioni tra le quali il famoso volo su Vienna;molto probabilmente il grande consenso acquisito dai "fiumani" di D'Annunzio, portò Benito Mussolini a voler prendere l'iniziativa, anche perchè il futuro Duce non nascondeva il timore per il consenso sempre maggiore ottenuto da D'Annunzio che si proponeva come,possiamo dire,"capo naturale". del fascismo. Così il 24 ottobre del 1922 a Perugia fu formato un quadriumvirato composto da Italo Balbo,Cesare Maria De Vecchi,Mario Rossi tra gli altri,che aveva il compito di coordinare la "marcia su Roma" , il 28 ottobre 1922 bande non molto organizzate di fascisti cominciarono a confluire su Roma e qui, il Re preso atto della situazione, invece di allertare l'esercito per disperdere i fascisti, non firmò lo stato d'assedio, ma anzi il giorno seguente affidò a Mussolini, che nel frattempo era giunto a Roma comodamente in treno,il compito di formare il nuovo governo, così senza colpo ferire ma in maniera del tutto democratica il Duce cominciava quel cammino che avrebbe condotto l'Italia ad una dittatura ventennale e ad una guerra disastrosa.


Fonte: http://www.storiadilioni.it/angolo%20dello%20studente/TEMI%20SVOLTI/NASCITA%20DEL%20FASCISMO.doc

 

Fascismo e nazismo

Fascismo

La crisi del dopoguerra

Per uno Stato fragile come l'Italia la guerra ha portato gravi danni, come più di un milione tra morti e mutilati, un debito pubblico di 95 miliardi (1920), la svalutazione della lira ed un'inflazione galoppante.

La piccola e media borghesia ed i proprietari terrieri si trovano dunque vittime principali della situazione.

Inoltre ai contadini erano state promesse delle terre, per incitarli alla resistenza. Questi non ottennero niente, dunque erano obbligati ad affittare piccoli appezzamenti o lavorare come braccianti. Era diffusa la fame di terra da coltivare.

Si ha quindi un risentimento e generale malcontento della popolazione, siccome le nuove ricchezze finirono in mano degli speculatori, lasciando così chi aveva rischiato la propria vita a bocca asciutta: alla fine della guerra è stato necessario riconvertire la tipologia delle industrie, fiorite negli anni precedenti, provocando così anche la disoccupazione.

Tutto ciò porto all'aumento di scioperi da parte dei lavoratori e lo sviluppo del bolscevismo bianco (militanti cattolici) che, instaurando il consiglio di cascina, occuparono delle terre in Val Padana ottenendo risultati come l'aumento del salario sia per gli operai che per i braccianti, la giornata lavorativa di otto ore ed una parziale redistribuzione delle terre.


Il Partito Popolare Italiano ed i Fasci di combattimento

Il 18 gennaio 1919 Don Luigi Sturzo fondò il PPI, segnando il coinvolgimento dei cattolici alla vita politica dell'Italia. Il suo scopo era il popolarismo. Proponeva riforme sociali pacifiste preoccupandosi dei piccoli proprietari terrieri e della borghesia cattolica, differenziandosi però dai socialisti.

Don Sturzo fece crescere il tutto secondo la dottrina sociale della Chiesa, prevedendo una distinzione tra appartenenza ecclesiale ed adesione elettorale.

Il 23 marzo 1919 nascono i Fasci di combattimento, di sinistra, fondati da Mussolini, con l'iniziale idea di applicare riforme sociali radicali, come il diritto di voto alle donne ed un'imposta progressiva sul capitale. Successivamente si caratterizzarono per l'aggressività verbale e violenza dei suoi membri. Il 15 aprile bruciarono la sede de “Avanti!”, giornale socialista.


Il 15 maggio 1921 si decise di indirre le nuove elezioni con composizione di liste comuni. Al Congresso dei Fasci del novembre 1921 Mussolini trasformò il movimento in Partito Nazionale Fascista, per proporsi come leader affidabile.

Abbandonò le posizioni repubblicane e si dichiarò favorevole alla monarchia, l'opportunità di una politica economica liberista ed attaccò il Partito di don Sturzo.

Il 24 ottobre 1922 riunì a Napoli migliaia di camice nere per la marcia su Roma con lo scopo di assumere il potere con la forza; il re non firmò lo stato d'assedio ed il 30 ottobre Mussolini fu incaricato di formare il nuovo governo.

Dalla fase legalitaria alla dittatura

16 novembre 1922 Mussolini si presenta al Parlamento, abbandona successivamente la politica Giolittiana, scioglie le amministrazioni comunali socialiste e le loro cooperative ed adotta misure economiche per rivalutare la lira. Inoltre crea la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Nel 1923 perde l'appoggio dei popolari.

27 aprile 1923: riforma della scuola

14 novembre 1923: legge Acerbo, sistema elettorale in senso fortemente maggioritario (maggioranza relativa)

6 aprile 1924 vittoria clamorosa nel Parlamento

30 maggio 1924 delitto di Matteotti => crollo della popolarità di Mussolini => secessione dell'Aventino (si spera che il re ritiri la fiducia a Mussolini, ma costui non agisce)

3 gennaio 1925 il duce si assume la responsabilità politica, morale e storica degli ultimi anni => dittatura fascista


L'autarchia

Autosufficienza: l'Italia avrebbe dovuto essere in grado di produrre autonomamente ciò di cui aveva bisogno, evitando la dipendenza dalle importazioni estere.

La prima fase (1922-1925) fu di stampo liberista: furono concessi sgravi fiscali alle imprese e stimolata l'iniziativa privata e fu ridotta la spesa pubblica. Questo però non fermò l'inflazione, così nel 1926 Mussolini adotta misure protezionistiche (18 agosto 1926 discorso sulla rivalutazione della lira).

Battaglia del grano: aumento del dazio sui cereali per raggiungere l'autosufficienza cerealicola. Nel 1928 si avviò il processo di bonifica delle zone paludose.

Il tutto portò a:

  • Favorire la concentrazione aziendale ma diminuendo la capacità d'acquisto dei ceti medio-bassi

  • Allevamento e colture specializzate subirono un crollo

  • Indebolimento del sistema produttivo nazionale


Il corporativismo è una legge emessa nel 1926 che condannava gli scioperi e le lotte di classe se non promosse da sindacati fascisti. I datori di lavoro ed i lavoratori dovevano collaborare nell'interesse della nazione. Nel 1927 esce la Carta del lavoro, la quale prevedeva una riorganizzazione del lavoro, tutti i settori dovevano diventare corporazioni soggette ad un apposito ministero. Non funzionò mai ed andò solo a vantaggio degl imprenditori che tennero basso il costo del lavoro.

Successivamente alla crisi economica del 1929, nel 1931 fu fondato l'Istituto Mobiliare Italiano, un istituto di credito pubblico capace di sostituirsi alle banche nel sostegno alle industrie in difficoltà. Nel 1933 fu creato l'Istituto per la Ricostruzione Industriale, azionista di banche in crisi che acquistò il controllo di grandi aziende.


Nazismo

Il malcontento era diffuso, le istituzioni non riuscivano più a bloccare le opposizioni, la propaganda socialista riscuoteva successo. Il 9 novembre 1918 fu proclamata la repubblica a Berlino, due giorni dopo venne firmato l'armistizion con gli Anglo-Francesi. Fu formato un governo provvisorio di sui presidente era Friedrich Ebert, socialdemocratico. Le nuove componenti politiche erano due:

  • SPD: Partito Socialdemocratico, sosteneva posizioni riformiste e democratiche. Credevano che i consigli degli operai e dei soldati fossero da smantellare non appena istituito uno Stato solido (USPD nel 1917).

  • Lega di Spartaco, in origine una corrente interna all'USPD, diedero via al Partito Comunista KPD nel dicembre 1918.

Il dissenso sull'orientamento del governo e del Partito portò i rivoluzionari in piazza. Tra il 5 ed il 13 gennaio 1919 gli spartachisti tentarono di boicottare le elezioni. L'insurrezione venne sedata con il sangue.

Le prime elezioni per l'Assemblea Costituente si tennero il 19 gennaio 1919. Si formò un governo di coalizione con le forze moderate del partito cattolico e i liberali democratici. La Germania divenne una Repubblica Federale e nel mese di agosto diede una Costituzione, stesa a Weimar.

A Versailles il 28 giugno 1919 fu firmato il trattato di pace tra la Germania e le nazioni vincitrici.

In Germania si scatenò una profonda crisi economica dovuta ai risultati della guerra. Nel 1923 la Francia occupò la Ruhr per mancato pagamento di una rata di riparazione. I tedeschi si opposero passivamente: i lavoratori lasciarono le fabbriche di quelle zone.

Nel 1920 venne fondato a Monaco il Partito Nazionalisocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP) da Adolf Hitler, dopo un tentato colpo di Stato da parte di Kapp. Prevedeva il concetto di purezza della razza tedesca, intesa come unità di sangue e spirito come stirpe eletta.

Nel novembre 1923 il marco si svalutò immensamente, danneggiando redditi fissi e risparmi del ceto medio.

Nel 1924 viene accettato il piano Dawes, di un economista americano, che prevedeva:

  • Pausa per i pagamenti della Germania finchè non si sarebbe ripresa industrialmente

  • Bisognava fornirle dei capitali sottoforma di prestiti agevolati.

Nel 1926 la Germania viene ammessa alla società delle Nazioni. Patto Briand-Kellog che prevedeva la risoluzione dei contrasti per vie diplomatiche.

I finanziamenti finirono dopo qualche anno e la crisi ricomparve ancora più gravemente e diventa anche crisi politica. Il governo continuava a crollare. L'appoggio della grande industria, degli agrari e dell'esercito andò su Hitler. Il 30 gennaio 1933 gli viene affidato l'incarico di formare il nuovo governo.

Le sue ideologie avevano tre punti:

  • Lotta contro il liberalismo, segno di decadenza morale;

  • Lotta al marxismo;

  • Lotta contro gli Ebrei, accusati di incarnare e controllare la finanza (notte dei cristalli, 9 novembre 1938)

Fino alle leggi antiebraiche del 1938 furono attivi in tutti i settori della vita professionale e politica del Paese. Sul versante politico gli ebrei scelsero come il resto del Paese percorsi diversi: fra i liberali, i socialisti, i nazionalisti, una minoranza aderì al sionismo. Dal 1933 iniziarono a licenziare i lavoratori non ariani, vennero esclusi dalle università, dalle cariche pubbliche, dalle radio ecc. Il 15 settembre 1935 il governo nazista emanò le Leggi di Norimberga, che escludevano appunto gli Ebrei dalla comunità nazionale. La decisione dello sterminio venne presa nel 1941, iniziando l'attacco dell'URSS e le deportazioni. Si chiamò soluzione finale alla questione ebraica.

Per attuare il progetto di Hitler serviva un Fuhrerprinzip che avrebbe guidato la Germania verso il destino della potenza alla conquista dello spazio vitale per lo sviluppo del Reich, ovvero ad est.

Hitler rivendicò il diritto agli armamenti, motivo per cui nel 1933 la Germania uscì dalla Società delle Nazioni. Negli anni successivi riportò le truppe in vari territori come Renania e Saar, dunque gli altri Stati si riunirono a Stresa per discutere degli accordi internazionali, fallendo miseramente.

Nell'ottobre 1935 Mussolini approfitta del proprio prestigio per aggredire l'Etiopia. L'anno dopo viene firmato l'accordo Asse RoBer e successivamente RoBerTo per gestire meglio la politica estera dei Paesi.

L'Austria venne annessa nel marzo del 1938, successivamente i Sudeti (dopo la Conferenza di Monaco). Nel marzo 1939 anche Boemia e Moravia furono occupate.

Si trattava di un'aggressione imperialistica ai danni di popolazioni estranee al mondo tedesco.

Il 21 marzo 1939 rivendica la Danzica, mentre le truppe italiane occupavano l'Albania. Il rapporto tra Germania ed Italia venne rafforzato col Patto d'Acciaio il 22 maggio 1939, che sanciva l'impegno a fornirsi reciproco aiuto in caso di guerra.

Il 23 agosto venne firmato un patto segreto di non aggressione che però prevedeva anche lo spartimento della Polonia e le influenze di Germania e URSS nella regione baltica. Questo si chiamò patto Molotov-Ribbentrop.

 

Fonte: http://www.pr0t3ck.altervista.org/scuola/sto-%20Fascismo%20e%20Nazismo.odt

 

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