Positivismo

 


 

Positivismo

 

IL POSITIVISMO

 

Il positivismo: esaltazione, celebrazione della scienza.
Nasce in Francia nella prima metà dell’800.
Termine “positivo”: ciò che è reale, effettivo, sperimentale, in opposizione a ciò che è astratto. Ciò che appare fecondo, pratico, efficace, in opposizione a ciò che è inutile ed ozioso.

  1. la scienza è l’unica conoscenza possibile ed il metodo della scienza è l’unico valido;
  2. la filosofia tende a coincidere con la totalità del sapere positivo, la sua funzione consiste nel riunire e coordinare i risultati delle singole scienze in una conoscenza unificata e generalissima;
  3. il metodo della scienza va esteso a tutti i campi;
  4. il progresso della scienza rappresenta la base del progresso umano.

Consapevolezza di una profonda crisi storica.
Mentre all’inizio il Positivismo, con Comte, si pone soprattutto come proposta di superamento di una crisi socio-politica e culturale, nella seconda metà del secolo il Positivismo si presenta come riflesso e stimolo di un progresso in atto. Mentre il pensiero di Comte tenta di uscire dalla crisi mediante un modello politico organicistico ed anti-liberale, il Positivismo posteriore identifica il progresso con il trionfo del liberalismo.

Quadro europeo:
espansione coloniale in Africa e Asia;
ambito economico: balzo in avanti nel capitalismo;
ambito sociale: profondo mutamento delle strutture e dei modi di vita delle città;
settore scientifico: importanti scoperte;
ambito tecnico: le applicazioni del vapore e dell’elettricità danno inizio ad un’era nuova;
ambito culturale: maggiore diffusione del sapere.

Clima generale di fiducia entusiastica nelle forze dell’uomo e nelle potenzialità della scienza e della tecnica. Culto per il pensiero scientifico e tecnico. Il Positivismo esalta lo scienziato, di cui è incarnazione massima Darwin.
Il Positivismo nella seconda metà del secolo appare come la filosofia della moderna società industriale e tecnico-scientifica. Si sviluppa principalmente nelle nazioni all’avanguardia del progresso industriale e tecnico-scientifico (Inghilterra, Francia, Germania).
Il Positivismo della seconda metà dell’‘800 appare anche come l’ideologia tipica della borghesia liberale dell’Occidente.
Il Positivismo condivide la mentalità ottimistica della borghesia, circa la moderna società industriale e la tendenza politica riformistica, nemica del conservatorismo, ma anche ostile al rivoluzionarismo marxista.
Per certi versi il Positivismo si configura come una ripresa originale del programma illuministico all’interno della nuova situazione storico-sociale post-rivoluzionaria.
Positivismo e Illuminismo presentano degli schemi generali di pensiero simili:

  1. la fiducia nella ragione e nel sapere;
  2. l’esaltazione della scienza a scapito della metafisica;
  3. la visione tendenzialmente laica.

Ma differiscono per alcuni atteggiamenti di fondo:
gli illuministi hanno combattuto contro forze culturali e sociali ancora dominanti, i positivisti agiscono in una mutata situazione intellettuale e sociale. I positivisti presentano una minor carica polemica. L’Illuminismo si configurava tendenzialmente come un riformismo rivoluzionario, il Positivismo, come un riformismo consapevolmente anti-rivoluzionario.
Differente maniera di intendere il compito della filosofia nei confronti della scienza:
gli illuministi appaiono indirizzati, sulla scia degli empiristi, ad una fondazione gnoseologica e critica della scienza, i positivisti ritengono che il compito della filosofia sia quello di ordinare il quadro complessivo delle scienze.
Diverso modo di rapportarsi alla scienza stessa:
negli illuministi il sapere sperimentale funge prevalentemente da dissoluzione delle antiche credenze, nei positivisti il richiamo alla scienza concretizza una riedificazione di certezze assolute; l’Illuminismo appare lontano da una dogmatizzazione dei poteri della scienza, il Positivismo si nutre invece di un’esplicita assolutizzazione della scienza.
Positivismo e Romanticismo:
il Romanticismo nasce in Germania e si sviluppa in relazione ai problemi suscitati dal pensiero kantiano, il Positivismo nasce in Francia e si riconnette all’eredità illuministica. L’uno parla in termini di filosofia speculativa, l’altro in termini di scienza, di Umanità e di progresso.
Il Positivismo si rivela sostanzialmente come il “romanticismo della scienza”, ossia come l’esaltazione del sapere positivo.
I positivisti tendono ad interpretare il loro oggetto di studio a guisa di un processo ascensionale e cumulativo, nel quale ogni evento è il risultato di un progresso rispetto al passato e la condizione di un miglioramento futuro.
Il filosofo positivista tende a farsi “profeta” di una situazione futura, inscritta nelle cose stesse e garantita dal corso del mondo.

 

Fonte: http://www.storiadilioni.it/angolo%20dello%20studente/TEMI%20SVOLTI/IL%20POSITIVISMO.doc

 


 

Positivismo

POSITIVISMO
Mentre in Germania, nella prima metà dell’Ottocento, si afferma l’Idealismo, in Francia e in Inghilterra si verifica un passaggio diretto tra l’Illuminismo e il Positivismo.
Il Positivismo è una corrente filosofica e culturale, fondata sull’esaltazione della scienza, nata in Francia nella prima metà dell’Ottocento e diffusasi nella seconda metà del secolo a livello mondiale come filosofia della moderna società industriale borghese.
Il termine “positivo”, che dà il nome al movimento, ha due significati:                                                               

1) “positivo” è ciò che è reale, sperimentale, in opposizione a ciò che è astratto, metafisico;                          

 2) “positivo” è anche ciò che appare fecondo, pratico, efficace, in opposizione a ciò che è inutile e ozioso.
Fondatore: Compte col suo “corso di filosofia positiva” del 1830
Il positivismo appare caratterizzato da una celebrazione della scienza:                                                           

1) la scienza è l’unica conoscenza possibile e il metodo della scienza è l’unico validoà la metafisica, che fa ricorso a cause/principi non accessibili al metodo della scienza, è priva di valore.                                               

 2) non avendo campi privilegiati di indagine sottratti alle scienze, la filosofia tende a coincidere con la totalità del sapere positivo o, più specificamente, con l’enunciazione dei principi comuni alle varie scienze à funzione della filo: riunire e nel coordinare i risultati delle singole scienze, in modo da realizzare 1conoscenza unificata e generale.                                                                                                                    

3) il metodo della scienza, in quanto è l’unico valido, va esteso a tutti i campi, compresi quelli che riguardano l’uomo e la società (grande uso di sociologia)                                                                                                   

4) il progresso della scienza rappresenta la base del progresso umano e lo strumento per 1 riorganizzazione globale della vita in società.
È però indispensabile distinguere tra 1 “prima” e 1 “seconda” fase del positivismo: nell’età della Restaurazione e nella prima metà dell’Ottocento, il positivismo, con Comte, si pone soprattutto come proposta di superamento di una “crisi” socio-politica e culturale; nella seconda metà del secolo il positivismo, più che come soluzione di una crisi, si presenta come riflesso e stimolo di un “progresso” in atto.
I fattori che contribuiscono in modo decisivo all’affermazione del Positivismo sono l’ascesa sociale della borghesia, la seconda rivoluzione industriale, lo straordinario progresso scientifico e tecnologico, che ispirano una sempre crescente fiducia nelle forze dell’uomo e nelle potenzialità della scienza.
Questo ottimismo (presente nelle classi dirigenti e capitalistiche come nelle classi popolari) si traduce in un vero e proprio culto per il pensiero scientifico e tecnico à il Positivismo celebra lo scienziato, il tecnico, l’uomo d’industria, il medico e il maestro, visto come educatore.                                                                           à il positivismo della seconda metà del secolo appare quindi come la filosofia della moderna società industriale e tecnico-scientifica, come l’espressione culturale delle speranze, degli ideali ottimistici che hanno caratterizzato un tratto della storia moderna. Dall’altro lato, il positivismo della seconda metà dell’Ottocento appare anche come l’ideologia tipica della borghesia liberale dell’Occidente.

 

Il positivismo si configura come una ripresa originale del programma illuministico all’interno della situazione postrivoluzionaria, caratterizzata dall’avvento del capitalismo industriale e dallo sviluppo delle scienze e della tecnica. Positivismo ≈ Illuminismo:
a) la fiducia nella ragione e nel sapere, concepiti come strumenti di progresso a servizio dell’uomo              

 b) l’esaltazione della scienza a scapito della metafisica e di ogni sorta di sapere non verificabile                        

c) la visione laica della vita.
Cmq notevoli differenze:                                                                                                                                        

 1) il momento storico in cui vivono i positivisti della seconda metà del secolo è notevolmente diverso. Illuminismo si afferma nel Settecento, anche come espressione di una borghesia in ascesa, contro ceti e interessi culturali tipici della società d’ancien regime ↔ Positivismo si sviluppa nell’Ottocento, un secolo ormai saldamente dominato dalla nuova borghesia industriale e capitalistica che si nutre di una concezione profondamente ottimistica della realtàà minor carica polemica — filosofica e politica — dei positivisti: per loro le vecchie forme culturali sono semplici realtà anacronistiche, destinate a essere distrutte dal progresso + l’Illuminismo si configurava come un riformismo pieno di rivoluzionarismo (Rivoluzione francese) ↔ il positivismo si presenta come un riformismo consapevolmente antirivoluzionario = atteggiamento politico che, pur lottando contro la vecchia tradizione politica e culturale, appare contrario alle nuove forze rivoluzionarie rappresentate dal proletariato e dalle dottrine socialiste.
2) diversa maniera di intendere il compito della filosofia nei confronti della scienza: l’Illuminismo differenzia tra il sapere scientifico e il sapere filosofico per orientare quest’ultimo verso una concezione fondata sull’esperienza e sulle effettive possibilità di conoscenza che l’uomo possiede ↔ il Positivismo nega alla filosofia un suo proprio valore, identificandola con la semplice classificazione dei principi comuni delle varie scienze.
3) diverso modo di rapportarsi alla scienza stessa: negli illuministi l’appello al sapere sperimentale funge prevalentemente da dissoluzione delle antiche credenze della metafisica e della religione, nei positivisti il richiamo alla scienza si concretizza in una riedificazione di certezze assolute. + l’Illuminismo concepisce la ragione come uno strumento “critico” della conoscenza, il Positivismo considera la ragione scientifica come un organo di conoscenza assolutamente certa della realtà.

Positivismo ≈ Romanticismo:
il positivismo si rivela come il romanticismo della scienza = come l’esaltazione dell’infinitizzazione del sapere positivo, assunto a unica verità e a unica guida della vita umana, in tutti i campi. Come i romantici e gli idealisti, con brama dell’infinito, tendevano a caricare la poesia o la filosofia di significati assoluti, così i positivisti tendono ad attribuire alla scienza una portata assoluta e di tipo religioso. (tradotto in poche parole: assolutizzazione della scienza che rappresenta l’analogo dell’assolutizzazione romantica del sentimento e dell’arte)
Positivismo ≠ Romanticismo:


nasce in Francia e si riconnette all’eredità illuministica

nasce in Germania e si sviluppa in relazione ai problemi suscitati dal pensiero kantiano

Parla in termini di scienza, di Umanità e di progresso

parla in termini di filosofia speculativa, di Spirito e di dialettica

nasce in società francese, dove c’è stato 1dei + grandi rivolgimenti politici del mondo moderno

si afferma nella società tedesca, dove non vi è stata la rivoluzione borghese

esprime interessi e ideologie della borghesia industriale e capitalistica

è collegato al ceto medio di una società sostanzialmente pre-industriale

 

Nell’ambito del Positivismo possono essere distinte due correnti: il Positivismo sociale, diffusosi nella prima parte del secolo soprattutto in Francia e rappresentato principalmente da Comte e Saint-Simon e il Positivismo evoluzionistico, sviluppatosi nella seconda metà del secolo principalmente in Inghilterra (ma anche in Germania e in Italia) grazie a Spencer.                                                                                                

Atmosfera che all’inizio è caratterizzata soprattutto dal riferimento alla scienza come strumento di superamento della “crisi” moderna, in seguito risulta improntata soprattutto dalle scoperte biologiche di Darwin.                                                                                                                                                          

Oggi si preferisce distinguere i positivisti per contesti nazionali: positivisti francesi, inglesi, tedeschi e italiani.

 

Fonte: http://styx.altervista.org/Scuola/Filosofia/positivismo.doc

 

IL POSITIVISMO: INTRODUZIONE ( da Isabella D’Isola) ; cap 12 e 13  manuale

Cenni storici

II fondatore del Positivismo può essere individuato in Auguste Comte, anche se l'invenzione del termine si deve a Saint-Simon. Nell'am­bito del pensiero positivista sono distinguibili due grandi filoni: l'uno sociale, a cui fanno capo, pur con modalità molto diverse, Saint-Simon, Comte, John Stuart Mill (la tesi principale consiste nell'assun­zione del sapere scientifico come fondamento dell'organizzazione so­ciale e politica); l'altro evoluzionistico, a cui appartiene Spencer e che afferma l'esistenza di una legge universale dell'evoluzione valida per ogni settore della realtà materiale e psichica, dall'universo alla mente umana.
Il Positivismo rappresenta l'ideologia della nuova società industrialee la sua affermazione è legata ai grandi progressi tecnologico - scientifici del XIX secolo. Sue caratteristiche principali sono l'ottimismo e la fede nel progresso, che è considerato inarrestabile e di per se stesso positivo, nonostante gli effetti a volte disastrasi dei processi di indu­strializzazione e di inurbamento della popolazione rurale.
Il Positivismo nasce in Francia: non a caso il dibattito sulle questio­ni filosofiche sollevate dal nuovo ruolo delle scienze e dalla loro spe­cializzazione si sviluppa inizialmente nel paese europeo caratterizza­to dal maggior dinamismo politico, istituzionale e culturale. A partire dalla metà del XIX secolo il Positivismo si diffonde anche in altri pae­si: in Inghilterra grazie alla pubblicazione del saggio di John Stuart Mill Auguste Comte e il Positivismo (1865) ; in Italia grazie all'opera di Ardigò.
Nella seconda metà del XIX secolo il Positivismo conosce, anche in conseguenza della nascita della teoria evoluzionistica, (Charles Darwin pubblica nel 1859 “l’origine della specie”) una ulteriore diffusione; la fiducia nella scienza e nel progresso impregna l'atmosfera culturale diventando mentalità dominante. E l’evoluzionismo diventa una bandiera per i positivisti.
Più che una filosofia vera e propria il Positivismo può definirsi, in questa fase, un orientamento generale del pensiero la cui influenza è ravvisabile anche nella letteratura (naturalismo e verismo).
Dal punto di vista politico il Positivismo non ebbe connotati omogenei: mentre in Inghilterra manifestò tendenze liberali,(vedi  Stuart Mill  On liberty un testo base per il liberalismo moderno), in Francia l'esito della filosofia comtiana fu conservatore. Negli ultimi anni del secolo contro il Positivismo si svilupparono filosofie irrazionalistiche e idealistiche.

Definizione di Positivismo

Per comprendere il significato del termine positivismo è opportuno riferirsi a Comte ed in particolare ai Discorsi sul positivismo (1844), ove l'autore precisa che con «positivo» si intende il reale contrapposto al chimerico, l'utile contrapposto al vano, ciò che è certo e preciso, «ciò che è dato dall'esperienza come fatto (la concezione del «fatto» di Comte risente dell'influenza galileiana e baconiana; Bacone infatti chiamava «positive» le leggi naturali). La morale basata sull’utile si chiama utilitarismo (perseguire il maggior bene possibile per il maggior numero di persone possibili )
La filosofia positivista è - secondo Comte - la vera filosofia moderna, che tende a sostituire il relativo all'assoluto (oggetto della metafisica e oggetto di vani discordi non verificabili); non è una filosofia della distruzione ma della organizzazione, della speculazione e dell'azione. La filosofia positivista è la scienza della relazione tra i fatti che rifugge da atteggiamenti aprioristici o metafisici. Il fatto è un fenomeno osservabile empiricamente perché non è altro che un ordine costante ravvisabile nei fenomeni; le leggi scientifiche esprimono questo ordine la cui comprensione comporta la previsione di altri fatti ; il metodo scientifico, in quanto mostra i rapporti costanti fra i fatti, è descrittivo.
Comte ritiene che la filosofia positivista non sia che una sorta di «prolungamento sul piano metodico» di ciò che il senso comune ha già compreso razionalmente e, sul piano della realtà, ha già utilizzato sviluppando negli uomini comportamenti adeguati. Il sensocomune interiorizza le leggi generali della natura e la filosofia positivista, accettando queste leggi e la loro invariabilità, deve poi analizzarle, valutarle, sviscerando i fatti e le loro relazioni. Comte, quindi, sostiene una sorta di origine naturale, spontanea dello spirito positivo.
Positivismo e Romanticismo
Alcuni storici affermano la presenza nel Positivismo di una mentalità romantica che sarebbe individuabile nel tentativo di tracciare un qua­dro unitario e totalizzante nel reale, dalla natura inorganica all'uomo e alla società. Altri atteggiamenti romantici sarebbero poi ravvisabili nell'assolutizzazione del «fatto» e delle leggi di natura e soprattutto nella mitizzazione della scienza, trasformata in una nuova religione individuale e collettività.

 

Positivismo e Illuminismo

Numerose sono anche le tematiche illuministiche riprese dal Positivi­smo: la fiducia nella razionalità scientifica; la convinzione che la scienza possa migliorare, attraverso le scoperte e le invenzioni, la vita umana e la società nel suo insieme e che quindi costituisca un sapere utile; la concezione rigorosamente laica del sapere. Inoltre Positivi­smo e Illuminismo condividono l'assunzione della centralità del fatto empirico e la concezione della scienza come descrizione dei fenomeni e non come ricerca delle cause degli stessi.
Il Positivismo sostiene il primato della scienza sulla filosofìa asse­rendo l'esigenza di estendere la metodologia della scienza a tutti i campi del sapere: la filosofia non ha oggetti suoi propri che le scienze non possano indagare; il metodo scientifico deve essere esteso allo studio delle relazioni umane, dei rapporti sociali, della politica, dan­do vita a discipline specifiche (psicologia, antropologia, scienze politiche, sociologia). Come la conoscenza delle leg­gi che regolano i fenomeni naturali consente di fare previsioni utili, così anche la conoscenza delle leggi che regolano la società permette di individuarne e di orientarne le linee di sviluppo.
La concezione positivista del sapere come processo inarrestabile e cumulativo entrò in crisi solo verso la fine del secolo a causa dell'ap­parizione di nuove teorie scientifiche che segnarono una rottura ri­spetto ai precedenti orizzonti della conoscenza. In ogni caso il positivismo influenzò tutto il pensiero contemporaneo con il suo richiamo a fatti e metodi verificabili e a conoscenze certe, anche nelle scienze umane di cui favorì la nascita.

 

Fonte: http://www.luciorizzotto.it/classe5/filosofia/positivismo.doc

 

Cesare Lombroso e la criminologia positivista

( Pagina 128 del manuale)
Il positivismo con il suo continuo richiamo al positivo, inteso come dato dell'esperienza e del fatto concreto, può essere interpretato più che come una corrente filosofica, come un nuovo metodo, una nuova mentalità, incentrata sulla fede incondizionata nel progresso scientifico. Nata ufficialmente in Francia a partire del terzo decennio del XIX secolo, in particolare con le riflessioni di August Comte, la mentalità positivista influenzò notevolmente la cultura ed il pensiero scientifico di tutta Europa. Con esso l'umanità ed il suo progresso assunsero una rilevanza centrale, elevando le scienze naturali a strumenti prioritari di conoscenza della realtà. Spinto, in particolar modo in Francia, ad estreme conseguenze, sfociò in una sorta di religiosità laica incentrata sulla figura dell'uomo e della società. In un tale contesto, l'analisi antropologica, una delle scienze maggiormente investite dalla corrente positivista, potenziò il proprio interesse nei confronti di quelle scienze sociali tenute, fino ad allora, ai margini. Di particolare interesse fu lo sviluppo dell'analisi criminologica. La storia del delitto e, in genere, quella del comportamento deviante ed antisociale risale però alle fasi primordiali della vita umana consociata e particolarmente a quelle che segnarono il passaggio dalla vita individuale all'organizzazione della vita di gruppo nel neonato stato - nazione. In questo periodo, il disadattato appariva già come l'elemento disgregante di maggior pericolo per lo sviluppo sociale. In quanto tale doveva essere quindi emarginato e combattuto. La sua presunta scarsa o inesistente capacità di apprendimento ed educabilità, lo avvicinava, nei primi studi scientifici votati all'analisi criminologica, allo stadio evolutivo più vicino ai mammiferi inferiori, nonché a quello dei selvaggi.
Il consolidamento di una simile impostazione in chiave scientifica si deve all'operato di Cesare Lombroso.
Membro della Società italiana di Antropologia (dalla quale fu radiato nel 1882) Lombroso s'impegnerà in una lunga serie di studi finalizzati a gettare una nuova luce nel campo degli studi sul delitto e sulla delinquenza.
Per impostare questo discorso, l'antropologo veronese fece ampio ricorso alle teorie frenologice   ( studio della localizzazione cerebrale delle facoltà mentali)  di Gall, ma anche al concetto di deviazione elaborato da August Morel nel 1857, secondo cui "le degenerazioni sono deviazioni dal normale tipo umano che si trasmettono attraverso l'ereditarietà e portano progressivamente alla distruzione di una razza." Nell'opera fondamentale "L'uomo delinquente" del 1876, Lombroso sottolinea l'esigenza di considerare l'azione criminale non come un'entità giuridica astratta, bensì come una manifestazione reale ed umana di un determinato individuo. L'esigenza di studiare il delitto in rapporto alla personalità del suo autore, valutata ed approfondita con i metodi forniti dalla scienza, deve essere pertanto coniugata con un trattamento correttivo del delinquente stesso, espresso in relazione al danno che il crimine provoca nella società, ma anche, e soprattutto, in funzione della personalità del reo. L'impostazione di una nuova azione, non punitiva, ma di "difesa sociale", indirizzata alla prevenzione delle manifestazioni criminali ed alla riabilitazione dei delinquenti, passava così attraverso un approfondimento psicologico della personalità del criminale. Nasceva così l'antropologia criminale, intesa come "quella parte della medicina che studia l'uomo delinquente e in tale studio include non solo l'indagine sull'aspetto fisico, ma anche l'indagine sull'aspetto fisiologico, psicologico e psichiatrico delle personalità" (LOMBROSO, 1878, pag. 12) Il delinquente, dal punto di vista antropologico, appare come un individuo vittima di un atavismo e di una degenerazione considerati elementi fondamentali nella determinazione della natura criminale. Atavismo e degenerazione che, secondo Lombroso, venivano rivelati da caratteristiche fisiche particolari come le grandi mandibole, i canini pronunciati, incisivi mediani ipersviluppati con relativa mancanza di quelli laterali, da denti in soprannumero o in doppia fila, da zigomi sporgenti, da arcate sopraccigliari prominenti, dall'apertura delle braccia maggiore della statura, dal piede prensile, da irregolarità craniche e scheletriche, oltre che da una minore sensibilità al dolore ed una maggiore capacità visiva. Confermando il suo piglio scientifico e classificatorio Lombroso differenzia il delinquente nato dal delinquente epilettico, oltre che dal pazzo morale e dal delinquente alienato. Categorie antropologiche che presentano come caratteristica comune il medesimo obiettivo: il perseguimento del delitto. Cause esterne del delitto sono le condizioni sociali, le influenze climatiche, dietetiche, la miseria e l'assenza di un'adeguata educazione morale e sociale. Cause interne, invece, possono essere variabili di tipo fisico come l'alcoolismo, le lesioni cerebrali e le malattie, o di ordine psichico come le anomalie che determinano i caratteri degenerativi. L'evoluzione del pensiero lombrosiano ha poi assunto, negli anni di maggior sviluppo della scienza della razza, un'improvvisa deviazione verso un'inedita commistione della "questione criminale" con problematiche di chiaro stampo razziale. In tal senso si muovevano le teorizzazioni relative all'esistenza di intere razze "dedite più o meno al delitto" (LOMBROSO, 1878, pag. 46).
Già ne "L'uomo delinquente", il padre dell'antropologia criminale, sorretto dalle conclusioni frenologiche ed antropometriche, presentava delle conclusioni razziste relative all'etnia zingara. Ritenuti elementi di una razza deviata, gli zingari presentavano del delinquente "tutti i vizi e le passioni: l'oziosità, l'ignavia, l'amore per l'orgia, l'ira impetuosa, la ferocia e la vanità. Essi infatti assassinano facilmente a scopo di lucro. Le loro donne sono più abili nel furto e vi addestrano i loro bambini" (LOMBROSO, 1878, pag. 114). Secondo Lombroso questi "delinquenti antropologici" non delinquevano per un atto cosciente e libero di volontà, ma perché "hanno tendenze malvagie che ripetono la loro origine da una organizzazione fisica, psicologica diversa da quella dell'uomo normale" (LOMBROSO, 1911, pag. XV). Una naturale propensione al crimine che finì con il giustificare azioni di "prevenzione" da parte di tutti gli stati interessati dal problema zingaroLo stesso Lombroso porrà il proprio benestare a misure preventive quali la detenzione a vita, la deportazione, i lavori forzati e la pena di morte, per ostacolare la riproduzione di questa "gente nata criminale" (LOMBROSO cit. in FRIEDLANDER, 1997, pag. 69)-Con queste affermazioni, Lombroso costruisce un terribile sistema teorico in grado di giustificare ed incoraggiare ogni atteggiamento violento verso i presunti criminali, nella fattispecie zingari,La commistione delineata tra scienza antropologica e razzismo, raccoglierà notevoli consensi in tutta Europa. I maggiori attestati di stima proverranno, ovviamente, dal suo paese natio. In un'Italia profondamente calata nell'ideale positivista, la criminologia, come l'etnologia, l'antropologia e la psicologia, godeva di uno straordinario successo dovuto alla centralità degli oggetti dell'indagine. Lombroso, che così perfettamente incarnava l'interdisciplinarietà tra criminologia, scienza medica e giurisprudenza, rappresentò ben presto il baluardo di una società borghese votata alla tutela dell'ordine ed alla lotta contro la diversità, sinonimo di caos ed instabilità.( da AMIS, www.romacivica.net )

 

Fonte: http://www.luciorizzotto.it/classe5/filosofia/lombroso.doc

 

IL POSITIVISMO

La rapida ascesa nel campo delle scienze e gli sconvolgimenti sul piano tecnico-economico generati dalla applicazione di esse alle attività produttive, destano vivo interesse per gli studi scientifici che, limitandosi a rilevare leggi dai fatti positivi, ossia da fatti sperimentalmente accertati e valutati nell'ambito del concreto e controllabile, non si perdono nelle astruserie inconcludenti della filosofia. Sorge così il movimento positivista. Più che corrente di pensiero, esso designa un nuovo modo di pensare e giudicare la realtà. Posta al bando la metafisica e con essa i problemi finora considerati, si assegna alla filosofia un preciso campo di indagine: quello dei fatti, di ciò che può essere direttamente constatato e analizzato; si limita la ricerca alle cause immediate di essi, ossia ai rapporti ed alle relazioni tra loro intercorrenti, rinunciando totalmente ad ogni indagine intorno alle sostanze, ai fini, all'origine delle cose.
Compito fondamentale della filosofia sarà quello di coordinare, accordare, unificare, con la metodologia propria della scienza, i dati desunti e fissati dalle singole scienze particolari, per riunirli in una interpretazione totale del mondo e della vita. La filosofia diventa la scienza più generale, fondamento di tutte le scienze particolari e suo metodo sarà quello consacrato da fisici e matematici: sperimentale e induttivo.
AUGUSTE COMTE (1798-1857) - Titolo della sua opera principale "Corso di filosofia positiva".

La legge dei tre stadi - L'umanità percorre una linea obbligata di progresso, attraverso tre stadi fondamentali e successivi: teologico, metafisico, positivo.
Stadio teologico - L'iniziale stadio teologico rappresenta la prima presa di coscienza dell'uomo con la realtà. La sua fantasia cerca di interpretare le incomprensibili manifestazioni della natura attribuendone la causa ad entità sovrannaturali simili agli uomini. Tale stadio, dalla forma feticista, procede alla politeista per culminare nel monoteismo.
Stadio metafisico - Segue l'abbandono della fantasia e l'affiorare della ragione. Rinunciando alla ricerca di cause sovrannaturali, l'umanità tenta di spiegare i fatti ricorrendo a principi primi insiti nella realtà naturali (forza magnetica, forza vitale...).  E' l'età della ragione riflessa in cui cerca di unificare il molteplice; ma si risolvono i principi in spiegazioni generiche e tatuologiche insuffcienti a chiarire la natura dei fenomeni.
Stadio positivo - Soltanto con la ragione spiegata si giunge allo stadio positivo in cui si rinuncia alla ricerca della cause per studiare le relazioni fra i fatti. Si fonda la scienza che, mediante l'osservazione e la misurazione dei rapporti, fissa le leggi che permettono la previsione dei fenomeni. Ai perché di essi, si sostituisce la ricerca del come. Si differenziano così le singole scienze, secondo rapporti e analogie tra i fatti studiati e classificati.

La legge dei tre stadi vale anche per considerare lo sviluppo di tutte le scienze. La loro evoluzione è regolata dal principio della generalità decrescente e complessità crescente, vale a dire: più semplice e generale è l'oggetto considerato dalla scienza, tanto più rapidamente essa giungerà allo stadio positivo; le scienze successive avranno un ambito meno generale, ma il loro oggetto sarà più complesso e giungeranno pìù tardi alla positività. Secondo questo principio è possibile una classificazione delle scienze, alla base della quale sta la matematica, la più generale ed astratta, che ha raggiunto lo stadio di scienza fin dall'antichità. Le successive, tutte indipendenti fra loro, ma poggiate, per la loro indagine, sui risultati raggiunti dall'antecedente, si svolgono in due distinte sezioni: quelle dei corpi bruti (astronomia, fisica, chimica) e quelle dei corpi organici (biologia e sociologia).

La sociologia - I fenomeni sociali che ne costituiscono i dati sono ancora interpretati metafisicamente, perciò Comte intende farsi promotore di una "fisica sociale" per spiegare scientificamente i fatti umani in base alla legge dei tre stadi: distingue quindi una statica sociale che indaga l'ordine ed una dinamica sociale che studia l'evoluzione della società. Nello stadio teologico la società fondandosi su principi religiosi, avrà la struttura di stato assoluto, il potere sarà retto da un monarca tutelato  da una casta militare e i sacerdoti, interpreti degli dei, ne saranno i consiglieri. Nello stadio metafisico la società sarà guidata dalla volontà popolare; saranno enunciate formule metafisiche quali l'uguaglianza e la fratellanza, ma domineranno in essa egoismi e contrasti particolaristici. E' quindi fase di crisi e di dissoluzione che si può ricomporre solo nello stadio successivo, il positivo. Attingendo ai fatti concreti sulle indicazioni esatte della scienza, in questo stadio sarà possibile prevedere le esigenza della società, tenendo conto delle sue componenti economiche e provvedere al loro completo soddisfacimento. Il potere spetterà ai tecnocrati.
Il positivismo inglese si propone di superare la negatività dello scetticismo, dall'altro di approfondire il tema di una morale fondata su basi concrete ed altrettanto sperimentali.

L'EVOLUZIONISMO
Alla metà dell'Ottocento, i progressi della biologia e della fisiologia avviano gli studiosi ad indagare, con nuovi argomenti, il problema delle specie viventi per superare le inspiegabili difficoltà della tesi fissista sopravvissuta fin dai tempi di Aristotele; ed a ciò contribuiscono le scoperte della paleontologia, che rivelano affinità determinanti fra le specie esistenti e quelle scomparse.
Nasce in tal modo l'ipotesi evoluzionista appena accennata dapprima dal Lamarck che, scoperto un influsso diretto fra individuo e ambiente (l'individuo si adatta all'ambiente modificandosi su di esso, o scompare) enuncia la tesi della ereditarietà dei caratteri acquisiti. Tali affermazioni vengono approfondite ed acquistano rigore scientifico per merito di Charles Darwin (1809-1882) che fissa nella lotta per l'esistenza e nella selezione naturale le leggi fondamentali dell'evoluzione.
Si trattava di principi scientifici, non di concezioni filosofiche.
Perché si fondasse una filosofia dell'evoluzione, era necessario estendere il concetto a tutta la realtà, sostituendo al divenire ideale teologico dei romantici, una visione determinista e meccanica del mondo, che facesse risalire la genesi delle forme superiori a quelle inferiori.

HERBERT SPENCER (1820-1903)
L'evoluzionismo - Lo sforzo di costruire, sul principio dell'evoluzione, un organico sistema filosofico è compiuto da Spencer, il quale tuttavia assume a motivo ispiratore, più che l'ipotesi di Lamarck e Darwin, la nota teoria Kant-Laplace del formarsi dell'universo da una primitiva nebulosa.
Tutti gli aspetti della realtà, dal naturale all'umano, dallo psicologico al morale, al politico attraversano una serie di tappe evolutive, per cui da forme primordiali incerte si ascende a forme più perfezionate.
Differenziazione e concentrazione - Spencer spiega l'evoluzione come passaggio graduale di una meteria dispersa e dissipata ad una forma concentrata e compatta in forza di un movimento. Tale processo dà luogo a trasformazioni dallo omogeneo allo eterogeneo, dal semplice al complesso, da uno stato incoerente ad uno organizzato. Tutto si evolve in modo meccanico, escludente da sé ogni finalità. Il principio di evoluzione è legge naturale della realtà che la filosofia deve interpretare.
L'ambiente - L'azione dell'ambiente è determinante, in quanto le esigenze vitali inducono gli organismi a plasmarsi in relazione ad esso, dando luogo al differenziarsi della specie ed alla selezione naturale. Ciò è valido anche per l'uomo, che ha obbedito alla legge di concentrazione associandosi in comunità ed a quella di differenziazione mediante la suddivisione del lavoro e la specializzazione. Si spiegano così gli avvicendamenti storici fra classi e gruppi sociali.
Anche la coscienza umana è in continuo processo evolutivo, sia dal punto conoscitivo che morale, entrambi derivanti dalle risposte e reazioni agli stimoli sensibili dell'ambiente circostante.
Genesi dell'a priori - Anche la presenza in noi di principi gnoseologici e pratici a priori è, secondo Spencer, d'ordine sperimentale; lungo e lento risultato di una acquisizione operata nei tempi dalle generazioni remote e trasmesso in noi in forma di particolari processi cerebrali.
Quando la coincidenza tra individuo ed ambiente sarà totale, l'umanità, perfezionatasi, assumerà in modo rigoroso le regole morali che governano la sua convivenza ed eliminando ogni conflitto esteriore, potrà raggiungere una felicità sempre più completa.
Conservazione di materia e energia - La realtà è ridotta a due soli principi; materia ed energia, la cui legge generalissima è quella della continua ridistribuzione dell'energia e del moto. Nella vicenda della evoluzione, la quantità di materia esistente nell'universo rimane costante, come pure la quantità di moto; quando nei singoli organismi il massimo di concentrazione si associa al massimo di differenziazione, avviene il processo inverso: la dissoluzione della materia, ossia la morte. Vi è un limite alla nostra conoscenza e non abbiamo la possibilità di valicarlo.
Il conoscibile - L'unica realtà conoscibile è quella dei fatti positivi forniti dalla attività sensibile; il mondo dei fenomeni soggetto al processo dell'evoluzione, che il pensiero può ricostruire attraverso un susseguirsi di relazioni, di grado in grado, fino al limite ultimo.
L'Assoluto inconoscibile - Spencer riconosce nell'uomo l'esigenza e l'aspirazione verso un Assoluto a cui pensiamo, anche se esso non può in alcun modo entrare nell'ambito della nostra esperienza. Questo Assoluto è concetto negativo. Ma siamo indefinitivamente attratti dall'Inconoscibile e questa è la ragion d'essere della religione, che viene così logicamente giustificata.

 

Fonte: http://www.adripetra.com/DidatticaDispense/TerzoTr/Filosofia/Positivismo.doc

 

GLI SVILUPPI DEL POSITIVISMO IN FRANCIA: EMILE DURKHEIM
(Capitolo 9)

 

La sociologia di Emile Durkheim (1858-1917) è tutta fortemente influenzata dai problemi della Francia del suo tempo: egli, cittadino francese di origine ebraica ed alsaziana, si identifica a fonto con la Terza Repubblica che si forma dopo la guerra perduta con la Prussica nel 1870 e i disordini interni e le lotte di classe che sfociano nel clamoroso episodio della Comune di Parigi (1871). Egli fu sempre attratta dal positivismo e dalle scienze esatte i cui mediti volle estendere alle scienze sociali.

Studiò a Parigi, poi in Germania e, negli anni, si fece sempre più assertore della necessità di una sociologia concepita come scienza empirica ed esatta. Nel 1893 discusse la tesi di dottorato su La divisione del lavoro sociale, destinata a diventare una tra le sue opere più famose.

Nel 1896 fondò la famosa rivista “L’année sociologique”.
Egli dunque visse la sua giovinezza in una Francia uscita sconfitta dalla guerra e ciò comportava sentimenti nazionalistici di rivincita che egli condivideva pienamente. Inoltre la situazione era resa precaria dai conflitti di classe che erano poi sfociati nei massacri della guerra civile. La Terza Repubblica, democratica, laica e anticlericale, che era sorta imponendosi sui tentativi monarchici di restaurazione e su quelli rivoluzionari della Comune, aveva l’esplicito compito di ristabilire un nuovo ordine politico e di rinforzare l’economia della nazione sulla base dei principi borghesi: non è un compito facilee praticamente come non lo è neanche da un punto di vista teorico perché l’ordine presuppone dei limiti agli individui che il sistema economico borghese, basato sulla libera concorrenza e sul non intervento dello stato nelle attività economiche, non può che rifiutare. Il problema dell’ordine costituisce il tema centrale della sociologia durkheimiana: egli non solo si propone questo scopo ma lo fa scendendo sullo stesso piano degli economisti classici, cioè, appunto della divisione del lavoro. Non solo, egli vuole anche dimostrare che anche in  una società fondata sulla libera concorrenza e sull’individualismo esiste un elemento non riducibile al contratto individuale e agli egoismi dei singoli: si tratta della solidarietà. Essa è presente ed è il fondamento di ogni società, anche di quella basata sulla concorrenza e sul contratto.
Durkheim si ricollega alla tradizione del positivismo compiano, che a sua volta aveva a fondamento il compito di ristabilire l’ordine messo in crisi dalla Grande Rivoluzione pur condannando come impossibili i tentativi reazionari: Durkheim si pone lo stesso compito in relazione alla Francia del suo tempo.
Tanto Comte quanto Durkheim si opponevano all’individualismo e vedevano nella solidarietà sociale un valore superiore a quello del singolo e a cui quest’ultimo si doveva sottomettere. La critica agli economisti classici, costituisce, paradossalmente,  il punto comune di pensieri tra loro  tanto diversi quanto quello di Marx da un lato e Comte e Durkheim dall’altro. Durkheim rimprovera all’economia politica di aver creduto che l’unica realtà sia l’individuo dal quale tutto promana e al quale tutto ritorna.
A Comte riconosce il merito di aver colto come la società sia una realtà sui generis che non può essere ridotta alla somma degli individui che la compongo ma muove ad esso la critica fondamentale secondo cui la sua sociologia è in realtà ancora filosofia perché egli non ha saputo comprendere che “non esiste La società ma esistono Le società” : esistono una pluralità di società e la sociologia come scienza deve indagare attraverso ricerche specifiche, società e problemi particolari.
Durkheim a Comte riconosce il merito di aver avvertito la necessità di una scienza naturale della società contro le precedenti speculazioni astratte; a Spencer riconosce il carattere più analitico della sua sociologia (però Comte è superiore a Spencer perché ha compreso il carattere sui generis e di superiorità della società contro i vari tentativi individualistici). Entrambi sono rimasti però filosofi in quanto hanno voluto forzare i fatti entro un’unica legge generale anziché muovere da ipotesi più specifiche e verificarle poi empiricamente.
Durkheim, dunque, fa dipendere l’individuo dalla società e sostiene che non vi può essere moralità al di fuori di ogni regola sociale.
La moralità non si identifica con la libertà individuale ma ha bisogno, al contrario, di un potere regolatore esterno, che si trova nella società. Nell’opera La divisione del lavoro sociale (1893) egli considera la società come dotata di un certo, pur mutevole e imperfetto grado di solidarietà, di integrazione, di “consensus” (come diceva Comte). Il consensus, per Comte consisteva nel buon funzionamento dell’insieme, nello stato di salute di una società in cui ogni sua singola parte agisca in armonia con le altre per il buon andamento dell’insieme e non si tratta di un atteggiamento psicologico in quanto esso agisce come forza autonoma rispetto all’individuo.
La solidarietà, per Durkheim deriva dall’idea comtiana di consensus ed è strettamente collegata ad essa: la società non può esistere senza un minimo di solidarietà ed essa non è semplicemente la somma di individui che agiscono mossi dal tornaconto egoistico. “Riunendosi in una forma definitive e attraverso legami durevoli, gli uomini formano un essere nuovo che ha una sua natura e sue specifiche leggi: è l’essere  sociale.  I fenomeni inerenti ad esso hanno senza dubbio le loro radici ultime nella coscienza dell’individuo ma la vita collettiva non è però una semplice immagine ingrandita della vita individuale. Essa ha caratteri sui generis che le sole induzioni della psicologia non permettono di indagare.”.
Durkheim distingue due forme di solidarietà:

  1. la solidarietà meccania -  caratteristica delle società semplici, in cui la divisione del lavoro è scarsa. Gli individui che vivono in essa svolgono funzioni lavorative scarsamente differenziate  (è fondata sulla identità delle funzioni delle sue parti) ed essi hanno poche possibilità di sviluppare personalità autonome. In essa vi è poco individualismo e la coscienza collettiva prevale su quella individuale. Durkheim definisce tale solidarietà “meccanica” proprio per mettere in evidenza che le parti di essa sono fondamentalmente simili le una alle altre nella loro realtà e nelle loro funzioni. Man mano che la popolazione cresce e si ha, come dice Durkheim, un aumento della “densità morale”: la maggiore vicinanza fisica comporta anche maggiori possibilità di interazione e proprio questo comporta a sua volta il superamento della società fondata sulla somiglianza delle funzioni e la necessità della divisione del lavoro su cui è basata, invece, l’altro tipo di solidarietà
  2. la solidarietà organica – che è propria delle società complesse nel senso che vi è in essa una più alta differenziazione dei ruoli lavorativi (= divisione del lavoro). La divisione del lavoro di per sé produce solidarietà anche se si tratta di una solidarietà diversa da quella delle società più semplici. Poiché le diverse funzioni lavorative sono tutte utili al mantenimento, al buon funzionamento dell’insieme (come le funzioni  di ogni singolo organo per l’organismo) ne deriva che la divisione del lavoro comporta essa stessa solidarietà. Nella solidarietà organica, senza dubbio c’è la possibilità di sviluppare la personalità individuale, di differenziarsi.

Alla solidarietà meccanica corrisponde il diritto penale con carattere di espiazione  e a quella organico il diritto penale di tipo restituivo (che vuole cioè ripristinare lo stato precedente alla violazione giuridica):  ma comunque, in ogni tipo di società, un corpo di regole giuridiche e morali è comunque necessario  e la dipendenza dell’individuo dalla società non viene meno in seguito alla divisione del lavoro e al maggior individualismo.
L’idea dell’evoluzione sociale come progressiva differenziazione non è certo nuova perché essa aveva costituito il nucleo centrale della sociologia di Herbert Spencer.  Ma Durkheim non condivide del tutto il pensiero di Spencer perché questi aveva presupposto alla base del contratto l’individualismo egoistico, l’interesse personale sacrificando quindi l’idea che, comunque, alla base di ogni società c’è la solidarietà. Per Spencer la solidarietà deriva dal contratto mentre per Durkheim il contratto è possibile là dove c’è la solidarietà la quale, dunque, lo precede.
Durkheim afferma poi che la solidarietà organica (cioè la divisione del lavoro) può essere patologica e distingue due forme di patologia:

  1. la divisione coercitiva del lavoro – che si ha quando ad un individuo è assegnato un certo lavoro in virtù della posizione sociale che egli occupa e non in base ai suoi meriti o alle sue capacità (in questo caso le regole possono anche esserci ma non sono giuste: l’autore risolve questo problema affermando, in modo sorprendente, che non vi sarebbe più coercizione se i singoli individui esercitassero funzioni superiori o inferiori le une alle altre che fossero adatte alle loro inclinazioni individuali. Se la società, nella sua dinamicità, consente agli strati inferiori di migliorare le proprie condizioni gli individui più dotati non accettano più lo stato di cose in atto).
  2. la divisione anomica del lavoro -  che è una condizione patologica caratteristica della società capitalistica conseguenza della esasperata specializzazione del lavoro nelle industrie anche se non è corretto  pensare che sia la stessa  divisione del lavoro a creare una situazione di disgregazione della solidarietà sociale. E’ per spiegare questa situazione che Durkheim  espone la sua teoria dell’anomia

Egli inzia con l’affermare ciò che costituisce l’unità delle società organizzate è il consensus spontaneo delle parti, è la solidarietà interna che non solo è altrettanto indispensabile quanto l’azione regolatrice dei centri superiori, ma anzi ne è la condizione necessaria poiché essi non fanno altro che tradurla in un altro linguaggio e consacrarla. Le parti di una società che svolgono funzioni lavorative differenziate per la loro stessa vicinanza reciproca e perché intrecciano rapporti tra di loro creano con il tempo le norme che regolano questi loro rapporti. La norma non precede i rapporti coordinati ma, al contrario ne è semplicemente l’espressione. Sono le parti che con il tempo individuano le modalità migliori per i loro rapporti, modalità che meglio si confanno alla natura delle cose tanto che, alla fine, esse diventano regole generali.  Se nel lavoro industriale e nella scienza si crea anomia è perché i mutamenti sociali e scientifici verificatisi sono stati troppo rapidi per consentire che si formassero norme adeguate per il loro buon funzionamento. Normalmente,  le regole derivano spontaneamente dalla divisione del lavoro ma queste regole non sempre riescono a crearsi. Se la divisione del lavoro non produce la solidarietà è perché le relazione degli organi non sono regolate: si trovano cioè in uno stato di anomia ma lo stato di anomia è impossibile ovunque gli organi solidali sono sufficientemente e abbastanza a lungo a contatto. Nelle società industriali, il lavoro della macchina sostituisce quello dell’uomo; la manifattura sostituisce la piccola officina, l’operaio viene irreggimentato, staccato per tutta la giornata dalla famiglia, vive sempre più spesso separato da chi lo impiega e dai suoi stessi compagni. Queste nuove condizioni della vita industriale richiedono nuove regole, una nuova organizzazione ma dato che queste trasformazioni si sono compiute con una rapidità estrema, gli interessi in conflitto non hanno ancora avuto modo di regolarsi, di equilibrarsi. Così, le scienze, essendo esse sorte da poco, non hanno ancora avuto tempo e modo di cogliere i punti in comune che esse hanno l’una con l’altra me è inevitabile che ciò prima o poi avvenga.
Durkheim riprende il discorso sui rapporti tra  divisione del lavoro e anomia nella prefazione alla seconda edizione della Divisione del lavoro che esce nel 1902.
In essa appare subito evidente una differenza importante rispetto ad un concetto precedentemente espresso.  Nella precedente edizione Durkheim affermava che le regole si sarebbero formate spontaneamente qualora le diverse funzioni sociali sarebbero entrate tra loro in rapporto. In questa seconda edizione, Durkheim  afferma che “tale modo di adattarsi reciprocamente delle parti l’una all’altra diventa regola se esiste un gruppo che lo consacra in virtù della sua autorità”.  Regola non è soltanto una maniera abituale di agire: è una maniera di agire obbligatoria cioè sottratta all’arbitrio individuale. Ora, qual è questo gruppo che ha tale autorità: Durkheim lo indica nelle corporazioni o gruppi professionali in quanto costituiti sia dai datori di lavoro sia dai lavoratori in ogni specifico settore lavorativo, e, stando in continuo rapporto reciproco, risolvono le controversie e creano solidarietà.  Non può essere né lo stato né la società politica nel suo insieme può adempiere a questa funzione in quanto la vita economica sfugge alla loro competenza e alla loro azione.
La differenza tra quanto affermato nel 1893 rispetto alla prefazione del 1902, non può essere considerata solo un approfondimento dello stesso tema. Prima si fa riferimento ad una regola che nasce spontaneamente, ad un aggiustamento reciproco che viene poi naturalmente riconosciuto come regola (erano sufficienti il tempo e la vicinanza); nella prefazione del 1902 non appare più alcuna spontaneità ma si passa ad un progetto, alla necessità di un gruppo appositamente costituito con il compito di consacrare la solidarietà.

Le regole del metodo  sociologico (1895)
In questa sua opera Durkheim  esprime il proprio parere circa il metodo della sociologia ed è in essa che giunge ad affermare che la sociologia ha il compito di studiare i fatti sociali i quali vanno considerati “come cose”.
Quando Durkheim afferma che i fatti sociali devono essere considerati come cose,  è perché egli vuol mettere in evidenza che la loro caratteristica è la coercitività e l’esteriorità: essi sono elementi che si contrappongono e impongono all’individuo senza possibilità di mutamenti.
Per fatto sociale deve intendersi ogni modo più o meno definito dell’agire in grado di costringere socialmente l’individuo; è ciò che l’individuo riceve come essere sociale (educazione, linguaggio, legge, ecc.). E’ un  modo di agire, di pensare esterno all’individuo, dotato di potere coercitivo ed imperativo in virtù del quale si impone all’individuo con o senza consenso.
La causa determinante di un fatto sociale  deve essere cercata in altri fatti sociali  e non tra gli stati della coscienza individuale ed essi vanno spiegati in  riferimento alle funzioni che essi svolgono nella società e occorre seguirne lo sviluppo integrale attraverso tutte le specie sociali.
Il fatto sociale va considerato normale quanto è proprio della generalità e patologico nei casi in cui è proprio di una minoranza ma ciò vale non in relazione a singole società ma piuttosto a singole specie sociali, singoli “tipi sociali”. Mentre per lo storico esistono solo società uniche e per il filosofo esiste solo l’umanità in generale, per il sociologo esistono “tipi sociali”. Le società, infatti, vanno classificate a partire da quelle più semplici fino a giungere a quelle più complesse.  Quella più semplice è l’orda: è l’aggregato sociale che non comprende e non ha mai compreso in sé aggregati più semplici: esso si risolve direttamente negli individui. Su questa base si possono distinguere tanti tipi fondamentali per quante sono le possibilità di combinazione dell’orda con se stessa e dare origine a nuove società e in cui queste ultime possono combinarsi tra loro.
Di conseguenza, un fatto sociale è normale per un  tipo sociale determinato, considerato in una fase determinata del suo sviluppo, quando esso si presenta nella media delle società di quella specie, considerate nella fase corrispondente della loro evoluzione.
A proposito del comportamento patologico (nel senso di deviante dalla “media”) Durkheim distingue tra coloro che turbano l’ordine sociale quando poi questo va semplicemente ristabilito e coloro che pur agendo in modo diverso dalla generalità sono portatori di una nuova coscienza collettiva, destinata a creare un nuovo ordine.  Pertanto, non tutti i comportamenti devianti si trovano sullo stesso piano.

Il socialismo – lezioni su Saint Simon (1895-96)
In quest’opera  è possibile individuare i tratti costanti e caratteristici di tutta la sociologia di Durkheim.
In essa afferma che il nucleo centrale delle teorie socialiste consiste nell’idea della necessità di un coordinamento centralizzato delle attività economiche, considerate come il fattore fondamentale della società, in seguito alla convinzione che il libero giuoco degli egoismi non è sufficiente a produrre automaticamente l’ordine sociale.  Anche se egli si è spesso trovato teoricamente a fianco dei socialisti nella loro lotta conto l’ideologia liberista ed individualista degli economisti classici, egli ritiene che il socialismo vada studiato come “fatto sociale”, fenomeno caratteristico della società industriale. Sebbene socialismo e sociologia non possano essere confusi in quanto il primo ha una funzione pratica di mutamento sociale mentre l’altra una funzione prettamente scientifica, conoscitiva, entrambi hanno una medesima origine sociale. L’uno e l’altra nascono e si manifestano quando si sente la necessità che l’ordine economico  cominciasse a prevalere su quello religioso e politico e che il commercio e l’industria avessero già raggiunto un inizio di centralizzazione.
Secondo Durkheim, Saint Simon è importante perché egli è uno dei primi a manifestare la necessità di uno studio scientifico della realtà sociale: si può dimostrare scientificamente l’esigenza di organizzare la società in modo da togliere qualsiasi potere agli strati improduttivi e da non abbandonarla agli arbitri individuali. Durkheim però non condivide  la convergenza di scienza sociale e socialismo mentre condivide l’idea dell’esigenza di una scienza sociale che essa ha avuto origine   nell’ambito della società industriale.
Durkheim diverge da Saint Simon perché questi aveva sì avvertito l’esigenza della religione ma poi l’aveva ridotta al fattore economico e industriale.
Durkheim afferma che affinché l’ordine sociale regni è necessaria una forza morale, un’autorità morale (un principio economico non può essere sufficiente)  che eserciti sulla società un’influenza regolatrice senza la quale gli appetiti degenerano e l’ordine economico si disorganizza. Soltanto la società, sia direttamente e nel suo insieme, sia mediante uno dei suoi organi, è capace di svolgere questa funzione moderatrice, soltanto essa è quel potere morale superiore di cui l’individuo accetta l’autorità.
Scrive Durkheim, “ciò che è necessario perché l’ordine regni è che la maggior parte degli uomini si accontenti della propria sorte; ma ciò che è necessario perché se ne accontentino non è che posseggano di più o di meno ma che siano convinti di non avere diritto ad avere di più”.
Ritroviamo dunque nella monografia su Saint Simon tutte le idee di Durkheim: la supremazia della società sull’individuo; la società intesa come forza morale, l’esigenza della religione intesa in termini che coincidono con questa forza morale la quale mantiene la coesione degli individui nella società; la possibilità e l’esigenza di una scienza positiva.

In una recensione del libro di Antonio Labriola (1897) La concezione materialistica della storia, possiamo trovare espressioni interessanti che ci aiutano a capire fino in fondo le convinzioni di Durkheim in merito al materialismo storico.
Innanzitutto egli riconosce al materialismo storico di far dipendere i fenomeni sociali dallo stato raggiunto dell’attività umana (e non dalla fame, dalla sete, dal desiderio genetico); poi condivide con esso la convinzione che la storia può essere spiegata solo ricercando le sue cause profonde che sfuggono alla coscienza: la sociologia ha un senso ed una funzione specifica proprio in quanto ricerca le cause profonde e non esplicite degli eventi storico-sociali.
Durkheim critica il marxismo perché a fondamento della società non vi è l’attività economica ma la partecipazione religiosa: la religione è il primo di tutti i fenomeni sociali. Però quando egli afferma questo, cade in contraddizione perché egli aveva anche affermato che quanto è esplicito nel comportamento dell’uomo non corrisponde del tutto alle motivazioni dell’azione che, invece sono profonde. Egli così dimostra di dare più importanza a ciò che è esplicito ed evidente, a ciò che è cosciente a coloro che fanno parte della società che non ai fattori sociali come motivazioni reali e inconsce. Infatti, si potrebbe obiettare che la maggiore importanza iniziale della religione potrebbe dipendere proprio dal fatto che l’economia e la tecnica erano scarsamente sviluppate e che, invece, con lo sviluppa di queste la funzione della religione potrebbe essere diventata meno rilevante. Religione dunque come tentativo di dominare una realtà non ancora dominata dal lavoro umano.

La ricerca sul suicidio (1897)
Il suicidio è considerato solitamente come un atto eminentemente individuale, il cui studio, quindi, compete alla psicologia.  Durkheim in questa sua ricerca viole dimostrare invece che il suicidio è un fatto sociale nel senso che varia in rapporto con variabili sociali, in rapporto con mutamenti o di ordine economico, o di ordine religioso, o di altro genere ancora cosicchè le motivazioni individuali, psicologiche, non costituiscono le vere cause del fenomeno. Per Durkheim, “le deliberazioni umane sono spesso mera forma e non fanno altro che corroborare risoluzioni già prese per motivi che la coscienza ignora”. Il suo antiindividualismo gli impedisce persino di vedere dei nessi indiscutibili che esistono, ad esempio, tra condizioni sociali e alcoolismo o specifiche manifestazioni di malattie mentali.
Questi motivi che la coscienza individuale ignora sono costituiti dalla società  e dal suo diverso potere di integrazione.
In questa ricerca riappare dunque l’esigenza della religione, intesa nel senso più lato, come forza morale che mantiene la coesione degli individui nella società.
Questi limiti dell’impostazione della ricerca, non devono mettere in ombra i meriti che pure sono notevoli in quanto Durkheim riesce a risalire ad alcune cause sociali del suicidio pur considerandole come cause esclusive anziché come fattori che  agiscono  in un vasto contesto di concause.
Egli individua 4 tipi di suicidio:

  1. il suicidio egoistico.

C’è da dire innanzitutto che il termine “egoistico” è inteso da Durkheim come “prevalenza dell’individualismo sul senso del sociale” cioè quando la coscienza individuale prevale su quella collettiva e ciò va visto in correlazione con quanto avviene nella società con il venir meno della sua forza di coesione.  Ovviamente, dato il presupposto  durkheimiano, questa coesione è concepita in termini di “credenze religiose, politiche e morali”.  Egli studia il suicidio in relazione alla diversità di religione, al fattore familiare, al fattore politico.
Quanto al fattore religioso,  Durkheim cerca di dimostrare empiricamente che rimanendo inalterati gli altri fattori, il tasso dei suicidi varia con il variare delle religioni stesse in quanto non tutte e tre queste religioni, infatti, assicurano allo stesso grado l’integrazione sociale: alcune esercitano più direttamente un controllo sui loro fedeli, altre lasciano un maggior margine di libertà. Durkheim mette in evidenza come il tasso dei suicidi è più altro tra i protestanti in quanto la loro religione, ammettendo il libero esame,  consente un più ampio margine di libertà individuale; è più basso tra i cattolici in quanto la loro fede impone loro delle regole che non possono assolutamente essere messe in discussione (dogma della fede); è ancora più basso tra gli ebrei in quanto gruppo minoritario che si regge sulla sua forte coesione interna. Durkheim, afferma che non è tanto il libero esame che determina la più alta incidenza dei suicidi quanto piuttosto il fatto che la chiesa protestante  è meno fortemente integrata della chiesa cattolica. Gli ebrei, inoltre, in quanto gruppo minoritario perseguitato, ha da sempre sviluppato fortissimi legami di solidarietà che li tiene strettamente uniti tra loro.
Il rapporto tra libero esame e aumento del tasso dei suicidi risulta anche dal fatto che tale tasso aumenta con il grado di istruzione: non è però l’istruzione di per sé a creare la tendenza suicidogena quanto piuttosto è vero che lo stato di incertezza che incrementa questa tendenza, conduce all’esigenza di maggiore chiarezza e quindi di istruzione.
Quanto alla situazione familiare, Durkheim mette in evidenza che la famiglia in quanto tale tendenzialmente preserva dal suicidio e tanto più ciò è vero quanto più essa appare ben integrata. Il tasso dei suicidi tende ad aumentare con l’aumento dei divorzi e delle separazioni legali. Non è tanto l’istituzione giuridica del divorzio a provocare l’aumento dei suicidi quanto l’indebolirsi nella società del vincolo matrimoniale. Non tanto il matrimonio per sé, ma il matrimonio con figli preserva dal suicidio; i vedovi si uccidono più dei coniugi ma, in genere, meno dei celibi: ciò dimostra che il fatto che sia esistita una famiglia comporta un coefficiente di preservazione superiore a quello dei celibi. Lo scapolo è descritto da Durkheim come un individuo non sottoposto ad alcuna disciplina per ciò che riguarda le sue passioni, esemplificando la sua figura nel Don Giovanni.
Per quanto riguarda il mondo politico, Durkheim sostiene che quando vi sono grandi sconvolgimenti sociali, quali le guerre o le rivoluzioni, il tasso dei suicidi tende a diminuire  e da ciò si può affermare che le grandi scosse sociali come le grandi guerre popolari ravvivano i sentimenti collettivi, stimolano lo spirito di parte come il patriottismo, la fede politica, la fede nazionalistica e concentrando le attività verso un unico scopo determinano, almeno per un periodo, una più forte integrazione sociale.
Vediamo dunque come il suicidio egoistico dipende da una scarsa influenza della società nel regolamentare la vita individuale e, nel caso specifico del suicidio egoistico, la società non riesce a dare un significato all’individuo.
Durkheim giunge così alla conclusione finale che il suicidio varia in ragione inversa al grado di integrazione della società religiosa, in ragione inversa al grado di integrazione della società domestica; in ragione inversa al grado di integrazione nella società politica.

  1. Suicidio altruistico

E’ il suicidio caratteristico delle società semplici, fondata sul prevalere della coscienza collettiva su quella individuale: quando l’individuo si annulla completamente nella società tende a seguire un imperativo morale uccidendosi con il venir meno del senso della sua funzione sociale. E’ il caso del suicidio dei vecchi e dei malati che si sentono ormai socialmente inutili, di quello delle mogli che seguono i mariti nella morte, di quello dei servitori alla morte dei padroni.

  1. suicidio anomico

Trattando di questo tipo di suicidio, Durkheim riprende il tema dell’anomia ed inizia il capitolo dedicato a questo tipo di suicidio affermando che “La società non è soltanto una cosa che attrae a sé con ineguale intensità i sentimenti e l’attività degli individui ma è anche un potere che le regola”.
Durkheim inizia l’esame di questo tipo di suicidio considerandolo rispetto alle crisi economiche. Sulla base di dati statistici non elaborati personalmente ma a sua disposizione egli sostiene che il tasso di suicidi aumenta nei momenti di crisi, intendendo come crisi sia quelle recessive come quelle di prosperità.
Durkheim considera che se le crisi industriali o finanziarie aumentano i suicidi non è perché impoveriscono, giacchè le crisi di prosperità hanno lo stesso risultato ma perché sono delle perturbazioni dell’ordine collettivo. L’uomo, contrariamente agli animali, non sa autoregolarsi perciò una volta raggiunta una meta, tende a volerne raggiungere altre più ambiziose, in un processo che si imbatte prima o poi in limiti invalicabili. Ma perseguire un fine inaccessibile significa condannarsi a uno stato di perenne insoddisfazione. Pertanto, il limite agli appetiti individuali deve essere posto dall’autorità morale della società. Soltanto la società, sia direttamente e nel suo insieme sia mediante uno dei suoi organi, è in grado di svolgere questa funzione moderatrice perché soltanto essa ha qual potere morale superiore di cui l’individuo accetta l’autorità. E’ la società che stabilisce i limiti del benessere economico in relazione alle varie professioni e condizioni sociali e in una condizione normale gli individui accettano tali limiti.  In una monografia dedicata a Saint Simon, pubblicata nello stesso periodo della ricerca sul suicidio, Durkheim scrive che “ciò che è necessario perché l’ordine regni è che la maggior parte degli uomini si accontenti della propria sorte; ma ciò che è necessario perché se ne accontentino non è che posseggano di più o di meno ma che siano convinti di non avere diritto ad avere di più”.
Durkheim afferma che vi è una particolare sfera della vita sociale in cui l’anomia si trova allo stato cronico ed è il mondo del commercio e dell’industria. Egli si riferisce al suo tempo in quanto afferma anche che in altri periodi vi erano forze sociali che ostacolavano questo stato cronico dell’anomia. Qui si ha l’esaltazione della religione (non importa quale) intesa  nella sua accezione più ampia come fattore che regola i desideri individuali indicando i limiti oltre i quali non si poteva andare, di imporre il suo sistema normativo. Nella società industriale, invece, caduti i vincoli imposti dalla religione, la vita economica è abbandonata alla libera concorrenza senza alcun freno esterno: e dalla vita economica l’anomia passa anche negli altri settori della società. La ricerca di infinito, nella vita sociale, è solo segno di sregolatezza, di anomia.

  1. il suicidio fatalistico

è un tipo di suicidio cui Durkheim fa soltanto un piccolo cenno: egli scrive che esiste un tipo di suicidio che si contrappone al suicidio anomico come quello egoistico si contrappone a quello altruistico. E’ quello risultante da un eccesso di regolamentazione, quello che commettono i soggetti che hanno un avvenire completamente chiuso, con passioni violentemente compresse da una disciplina eccessiva. E’ il suicidio di chi si sposa troppo giovane, delle donne sposate senza figli.

Da questa pur breve descrizione del suicidio fatalistico possiamo vedere come Durkheim contrappone il suicidio anomico a quello fatalistico; al suicidio egoistico quello altruistico: la prima contrapposizione deriva da una carenza/eccesso di regolamentazione mentre la seconda da una carenza/eccesso di integrazione. A supporto di questa contrapposizione, ricordiamo ciò che l’autore cita all’inizio del capitolo sul suicidio anomico e cioè che la società  non è solo una cosa che, con diversa intensità, attrae a sé i sentimenti e le attività degli individui ma è anche un potere che li regola.
C’è da mettere in evidenza che non è tanto semplice distinguere tra suicidio egoistico e suicidio anomico tant’è vero che entrambi i casi sono considerati in rapporto alla situazione familiare.
Un’altra difficoltà di Durkheim in questa ricerca, deriva dalla distinzione tra gli stati acuti dell’anomia  (causati da momenti particolari quali le crisi economiche) e l’anomia come condizione cronica della società industriale in quanto tale. Alcuni affermano che Durkheim usa questa distinzione per criticare e condannare vigorosamente l’ideologia industriale ma è anche vero, per contro, che egli, nel complesso non è un critico ma un sostenitore della società industriale e borghese.
La difficoltà maggiore sembra però trovarsi nell’affermazione di Durkheim là dove egli dice che il suicidio deriva da cause che stanno al di fuori della coscienza individuale e che le motivazioni coscienti possono al massimo corroborare decisioni già prese sotto la forza dei condizionamenti sociali. La società agisce inconsciamente.  Nella ricerca sul suicidio, però egli fa riferimento, per individuarne le cause, a stati di coscienza: la sete di infinito propria del suicidio anomico, per esempio, non può essere considerata come un fattore inconscio essendo ben presente alle coscienze individuali. Si potrebbe replicare che se la motivazione individuale è come tale cosciente, non lo è il fatto che l’individuo risponda, nelle sue preferenze, al forze collettive.

Il problema pedagogico

Durkheim afferma che i principi morali che stanno alla base della società (ne costituiscono l’autorità) vengono trasmessi attraverso l’educazione ed ecco spiegata l’importanza fondamentale dell’educazione. I principi trasmessi possono variare radicalmente da società a società ma non per questo perdono la loro autorità. Tale relativismo, però, è mitigato da Durkheim da un principio evoluzionistico secondo il quale i diversi modi di essere della società non sarebbero tutti da porre sullo stesso piano ma sarebbero piuttosto espressioni diverse di singole fasi di un unico processo evolutivo.  La società industriale, con la sua divisione del lavoro, la spersonalizzazione dei rapporti, l’anomia, ecc.. è una fase di questo processo evolutivo.
Ma quali principi devono essere insegnati: Durkheim (impostazione relativistica) afferma che non è importante stabilire quali principi  devono essere insegnati me è importante che vi sia un’autorità morale che rappresenti la società e che inculchi nei giovani un qualche sistema educativo, quale che esso sia.

Società e religione

Negli studi sulla religione, tra i quali il più noto è costituito dalla ricerca su Le forme elementari della vita religiosa (1912). Durkheim, riprendendo il tema fondamentale di tutto il suo pensiero, inizia con l’affermare che la società di distingue dall’individuo come il sacro dal profano, ed è l’autorità spirituale che trascende l’individuo ed alla quale l’individuo non può non sottomettersi. In ogni religione positiva si coglie una verità cioè che esiste una realtà che trascende gli individui ed è ad essa superiore. Esse però non colgono ciò che è rilevato invece dalla scienza sociale e cioè che questa realtà superiore è la società.
La società nasce attraverso l’interazione, l’azione comune, la cooperazione attiva. Gli individui, interagendo, creano una realtà sui generis che si impone ad essi con quei caratteri religiosi della trascendenza, della superiorità, della imperatività costitutivi, secondo Durkheim,  della stessa società. La riprova di questa idea si ha nel fatto che tutte le istituzioni sociali, prima di acquistare indipendenza le une rispetto alle altre, erano collegate alla religione e ad aspetti di essa.
La funzione delle religioni è quella di esaltare la vita morale: esse devono raggiungere le coscienze degli individui, renderle sensibili e disciplinarle; gli aspetti esteriori della religione (i riti e le funzioni religiose, le festività civile,  ecc.) hanno il compito di tenere viva la coscienza collettiva rinnovando quei momenti particolarmente intensi di collaborazione e fusione degli individui in cui essa si è formata o rinnovata.
E’ la società che crea la coscienza degli individui che, senza di essa, non potrebbe emergere come tale. Sviluppando questa idea, Durkheim sostiene, a proposito delle categorie conoscitive (e cioè degli strumenti mentali attraverso cui gli uomini conoscono) che la disputa filosofica tra gli aprioristi (cioè coloro che sostengono  che le categorie sono date all’uomo come possibilità prima dell’esperienza empirica) e gli empiristi (che sostengono che le categorie conoscitive derivano dall’esperienza sensibile) non è possibile una scelta  scientificamente fondata perché le categorie sono sì a priori e vincolanti per gli individui ma esse hanno origine sociale, tant’è che variano da società a società.
Le categorie conoscitive sono rappresentazioni collettive esse dunque derivano da una immensa cooperazione che si estende nello spazio ma anche nel tempo: una moltitudine di individui nella loro costruzione ha associato, mescolato, combinato, fuso le proprie idee e  i propri sentimenti. Ad esempio, la categoria del tempo è resa possibile dall’organizzazione e dalla suddivisione di esso a opera della società (cioè deriva da un processo collettivo) così come la categoria dello spazio che è resa possibile dalla cooperazione collettiva.
Solo la società può fornire gli strumenti per conoscere la realtà (cioè per organizzarla concettualmente).
Tutte queste idee sono riprese ed approfondite da Durkheim nel saggio Il dualismo della natura umana e le sue condizioni sociali (1914).
Le religioni distinguono l’anima dal corpo e considerano l’anima superiore al corpo.
L’anima  è la socialità, cioè moralità e capacità concettuale,  che si crea nell’individuo attraverso l’interazione e l’interiorizzazione delle norme e dei principi conoscitivi e valutativi.
Il corpo invece è costituito dall’insieme dei nostri desideri egoistici.
La società (in quanto moralità, in quanto anima) impone dei limiti ai desideri egoistici che però, in quanto costitutivi del nostro corpo non possono scomparire: ecco che si spiega il carattere conflittuale della nostra vita. In essa sono presenti forze diverse, individuali ed egoistiche da un lato, sociali (quindi morali e organizzatrici) dall’altro.
In Durkheim l’esaltazione della società ha totalmente il sopravvento sul problema degli istinti repressi che non vengono presi assolutamente presi in considerazione (cosa che invece prevale in Freud).

CRITICA

Dualismo (= dicotomia netta tra società ed individuo; in quanto egli attribuisce ogni moralità, altruismo e capacità conoscitiva presente nell’uomo alla società mentre attribuisce all’individuo solamente istinti egoistici)  e  Sociologismo (che discende direttamente dalla prima e rimprovera a Durkheim di voler anteporre il fattore sociale a tutti gli altri fattori causali  - ad esempio nel suicidio - che invece sono ad esso intrecciati).
La dicotomia che Durkheim attua tra società ed individuo è troppo netta: egli attribuisce ogni moralità, altruismo e capacità conoscitiva presente nell’uomo alla società mentre attribuisce all’individuo solamente istinti egoistici. Concependo al società solo ed esclusivamente come moralità e ordine, egli non coglie il rapporto che pure esiste tra gli stessi egoismi individuali e una determinata struttura socio-economica.  Per lui la società è sempre forza moralizzatrice, elemento positivo, creatore dell’ordine, dell’armonia tra gli individui mentre il fattore economico rimane fuori di quello sociale, rimane relegato all’individualismo  e all’egoismo e costituisce la negazione della stessa società.  Ecco che ogni rapporto dialettico tra struttura economica di una società e i suoi aspetti morali e intellettuali sembra impossibile.
Ad esempio, nel pensiero di  Durkheim sono presenti evidenti contraddizioni (derivanti dal suo sociologismo) nel modo in cui egli risolve il problema della divisione coercitiva del lavoro nelle società industriali, affermando che non vi sarebbe più coercizione se i singoli individui esercitassero funzioni superiori o inferiori le une alle altre che fossero adatte alle loro inclinazioni individuali. Se la società, nella sua dinamicità, consente agli strati inferiori di migliorare le proprie condizioni, gli individui più dotati non accettano più lo stato di cose in atto. Dunque, il riferimento ai talenti individuali non può non apparire contraddittorio.
Eppure, con la sua teoria dell’anomia Durkheim si avvicina molto a cogliere il carattere dialettico anziché dualistico del rapporto società/individuo ma egli trascura di cogliere questa particolarità e ribadisce il suo noto punto di vista: egli non riesce ad ammettere che se individuo e società si compenetrano e se nulla può essere nell’individuo se non discendente dalla società, allora ogni fenomeno individuale va correlato con la struttura sociale e lo stesso egoismo individuale è strettamente legato a fattori sociali.
Arroccandosi nel dualismo, Durkheim si preclude la possibilità di spiegare la contraddizione che si evidenzia  quando egli parla di una società basata sulla concorrenza (la società borghese) e la solidarietà che è sempre a fondamento della società (in generale). E non lo ammette neanche quando, a proposito del Suicidio, afferma che  il gesto cosciente estremo che sembra legato alla scelta dell’individuo non è altro che la conseguenza di una decisione inconscia che dipende da cause che stanno al di fuori dell’individuo stesso (cioè nella società): egli dovrebbe dunque ammettere che il nostro stesso egoismo (che spinge in determinate circostanze al suicidio) è un prodotto della società.
Coerentemente dunque egli dovrebbe ammettere che la società non è soltanto fonte di moralità dal momento che condiziona tanto gli aspetti altruistici quanto quelli egoistici dell’individuo. Egli riesce a farlo solo in riferimento ad affermazioni specifiche ma non lo ammette mai nella sua concezione generale di società.
Simili difficoltà Durkheim le trova quando critica il socialismo. Egli afferma che a fondamento della società non vi è l’attività economica ma la partecipazione religiosa: la religione è il primo di tutti i fenomeni sociali. Però quando egli afferma questo, cade in contraddizione perché egli aveva anche detto che quanto è esplicito nel comportamento dell’uomo non corrisponde del tutto alle motivazioni dell’azione che, invece sono profonde. Egli così dimostra di dare più importanza a ciò che è esplicito ed evidente, a ciò che è cosciente a coloro che fanno parte della società che non ai fattori sociali come motivazioni reali e inconsce. Infatti, si potrebbe obiettare che la maggiore importanza iniziale della religione potrebbe dipendere proprio dal fatto che l’economia e la tecnica erano scarsamente sviluppate e che, invece, con lo sviluppa di queste la funzione della religione potrebbe essere diventata meno rilevante. Religione dunque come tentativo di dominare una realtà non ancora dominata dal lavoro umano.
Durkheim è costantemente preoccupato dal problema della coesione sociale e in questo senso la compresa anche la sua concezione della religione. Ma la coesione sociale  può esserci come non esserci oppure essere imperfetta e la presenza dell’anomia ne è indice. Per Durkheim  la socialità è una realtà problematica più che un dato naturale (egli lo intende il passaggio dall’indifferenziato al differenziato come un processo generale; oppure quando afferma che le rappresentazioni collettive sono il risultato dell’interazione tra individui; presuppongono il substrato materiale della società e costituiscono rispetto agli individui una realtà a essi superiore): essa è un valore da conquistare e da conservare in una continua lotta i fattori che militano contro di essa.
Alla società come fattore problematico egli dedica attenzione particolare e lo dimostrano gli studi sui problemi pedagogici (L’educazione morale, 1902/1902; La sociologia e l’educazione, 1902) che egli ha condotto dopo la ricerca sul Suicidio. Ma anche qui troviamo in Durkheim delle contraddizioni. Concepire la società come natura, nel senso deterministico che il positivismo attribuisce a questo termine comporta una contraddizione che non può essere superata con indire che la conoscenza di tale natura ne costituisce anche una liberazione (semmai porta ad una accettazione). Questa liberazione dalla natura presume infatti l’azione dell’uomo come forza storicamente e limitatamente autonoma rispetto ai determinismi naturali. Se invece anche l’azione umana si muove all’interno di questi determinismi allora la conoscenza di essi non può comportare azione nel senso di trasformazione. Tanto è vero che lo stesso Durkheim ammette che l’educazione deve realizzare non tanto l’uomo così come la natura l’ha fatto ma quale la società lo vuole.
Riguardo al presunto carattere sociale delle categorie conoscitive, sembra che egli confonda alcune manifestazioni concrete con cui lo spazio ed il tempo si conoscono di fatto in certe società con le forme a priori che consentono questa conoscenza.  Ad esempio, la categoria del  tempo non  deriva esclusivamente dalla società ma è legata anche ai ritmi naturali del movimento degli astri; quella dello spazio, non è legata solo alla forma dell’accampamento ma anche al fatto che l’orizzonte appare circolare.
Le influenze che il pensiero di Durkheim esercita sullo sviluppo della teoria sociologica sono importanti: egli, ricordiamo, cerca la funzione dei vari aspetti della società (ad esempio, la funzione della religione) e, in questo senso, egli può anche essere considerato il fondatore del moderno funzionalismo in sociologia ed in antropologia.
Inoltre, il fatto che egli si preoccupi costantemente della coesione sociale, ci permette di inquadrarlo come legittimo successore di Comte in quanto si può affermare che la sua sociologia costituisce un tentativo, contro l’importanza sempre crescente dei condizionamenti economici e di classe, di trovare al di fuori di essi (cioè nel consenso, nella coesione, nell’integrazione, in un insieme di valori e di norme comuni) l’elemento che fonda la società.

Le critiche che abbiamo sopra considerato non devono farci dimenticare che Durkheim, movendo dalla critica all’economia politica, è giunto a cogliere  gli aspetti anomici della società industriale, suddivisa in classi, pur nell’ambito di una visione fondamentalmente relativistica. Egli ha poi evidenziato che la sociologia studia la realtà sociale come realtà umana, storica, sorta dall’interazione eppure nello stesso tempo oggettiva, estranea e coercitiva rispetto agli individui. Va detto, però,  che per Durkheim la coercitività e l’oggettività delle istituzioni sono date una volta per tutte e non sono non appaiono superabili ma nemmeno affrontabili e trasformabili: egli così rischia di annullare ogni tensione tra l’azione individuale come fattore di innovazione e le strutture entro cui essa è costretta.

 

Fonte: http://www.sociologia.uniroma1.it/users/studenti/Riassunti/Storia%20del%20P.Sociologico/DURKHEIM.doc

 

L' ETà  DEL  POSITIVISMO  E  DEL  VERISMO   (1860-1890)

 

Nell'ultima parte dell'ottocento si sviluppò in Europa un movimento culturale e filosofico: il Positivismo, che teorizzava il progresso scientifico e tecnologico e la scienza come unico autentico strumento di conoscenza e l'abolizione di ogni ipotesi metafisica, secondo quanto teorizzato dal filosofo francese Auguste Comte, che può essere considerato, con la sua opera fondamentale "Il corso di filosofia positiva " tra i massimi esponenti di tale corrente di pensiero, insieme a Spencer, Weber Ardigò.  
In questo periodo si ebbero importanti scoperte scientifiche che, applicate nei vari campi tecnologici, trasformarono radicalmente il modo di vivere della gente, segnando il definitivo tramonto della società ottocentesca e la nascita della moderna società di massa.
Il parallelo sviluppo della seconda rivoluzione industriale dette un potente impulso all'industria siderurgica, chimica, determinando la nascita e lo sviluppo di importanti settori: meccanico, automobilistico, chimico, farmaceutico ecc.
Tra le scoperte più significative: il telegrafo, il motore  a scoppio, l'illuminazione elettrica e nel campo farmacologico l'aspirina e la penicillina; le scienze operarono un grosso salto di qualità, come la medicina che attraverso nuove scoperte ed  applicazioni divenne una vera scienza e riuscì a sconfiggere la malattia ritenute fino ad allora inguaribile, cioè la tubercolosi.
Importanti studi furono condotti dall'antropologo inglese C. Darwin, che sostenne la tesi dell'evoluzionismo e la teoria della selezione naturale della razza secondo tali teorie l'uomo sarebbe il prodotto finale di una lunga e complessa evoluzione (l'uomo deriverebbe dalle scimmie); inoltre secondo Darwin in natura ogni specie tende a migliorarsi, per cui i più sani e forti sopravvivono, mentre i più deboli e malati soccombono e tutto ciò con indubbi benefici per la stirpe stessa.
Altre scienze, che in questo periodo si svilupparono furono la psicologia e la sociologia; quest’ultima è quella scienza che studia in modo scientifico e statistico i vari comportamenti umani nell'ambito della società e che trovò proprio in Comte il suo iniziatore ed il suo effettivo teorico in Weber; la fiducia nella scienza e nel progresso tecnologico è la caratteristica principale del Positivismo; si riteneva di poter spiegare tutto con l'aiuto della scienza, eliminando tutto ciò che riguardasse la religione e che, comunque, non fosse dimostrabile con criteri scientifici.
Particolare rilievo ebbero gli studi sulla genetica, sul dna e sulle leggi ereditarie.
Il filosofo I.Taine sostenne la teoria dei tre fattori, che determinano la nostra esistenza: patrimonio genetico, ambiente socio-economico di provenienza, momento storico, che determinò un'ottica deterministica e casualistica unitamente all'applicazione anche in ambito umano delle teorie del Darwin (darwinismo sociale).
Questa visione scientifica della realtà dette un'impronta fortemente realistica e descrittiva anche alla cultura, sia nell'ambito delle arti figurative(si pensi alla pittura di Carlo Fattori , Silvestro Lega, Telemaco Signorini ,che dettero vita alla scuola dei cosiddetti "macchiaioli”), sia alla narrativa in modo particolare,
È questo il periodo in cui si sviluppano le poetiche naturalistiche e veristiche, proprio perché si sente il bisogno di analizzare la realtà quotidiana, i vari aspetti della società in modo oggettivo e scientifico, divenendo lo scrittore una specie di impassibile spettatore-fotografo della realtà umana e sociale che lo circonda.
In Francia tale movimento ebbe i suoi più illustri esponenti in E.Zola,G.Flaubert,G.De Maupassant: questi scrittori si proponevano di analizzare in modo scientificamente rigoroso ed impersonale la società del loro tempo, con tutti i grossi problemi umani e sociali, causati dalla seconda rivoluzione industriale (sfruttamento del proletariato, miseria della periferia parigina, alcolismo, prostituzione ecc,). In particolare Zola creò il romanzo sperimentale, che si proponeva di


fotografare in modo distaccato ed impassibile, con l'occhio del freddo chirurgo il degrado sociale ed umano di Parigi, i problemi di una metropoli per tanti aspetti invivibile e disumana, di un proletariato sfruttato oltre ogni limite dai ritmi frenetici della fabbrica. Nasce quindi un romanzo non inventato a tavolino, non di evasione sentimentale, ma fortemente radicato nel sociale, che intende rappresentare in modo obiettivo ed impersonale la realtà di quel tempo. Questo indirizzo prese in Italia il nome di Verismo, ed ebbe delle caratteristiche un può diverse : a differenza del naturalismo francese il nostro verismo descriveva una realtà rurale e contadina, prevalentemente meridionale, non ancora industrializzata. In quegli anni successivi all'unificazione italiana emergevano nel nostro paese i grossi problemi legati alla questione meridionale :mancata riforma agraria, brigantaggio, analfabetismo, miseria  di intere regioni, assenza di infrastrutture, inesistente industrializzazione ecc.
Sono gli anni in cui vengono formulate importanti inchieste sia a livello governativo che parlamentare, proprio per documentare in modo rigoroso la rilevanza dei vari problemi, come le inchieste di G. FortunatoSonnino-Franchetti, S. Iacini, che per la prima volta svelarono il tragico volto della miseria di tante zone del nostro mezzogiorno dopo secoli di corruzione e malgoverno.
I nostri veristi erano in maggioranza originari del meridione, anche se spesso trapiantati al nord ed influenzati dalle mode letterarie straniere, soprattutto francesi (es. la Scapigliatura).I principali esponenti furono: L.Capuana, G.Verga, F.De Roberto, M.Serao,G.Deledda, M.Pratesi, R.Fucini, E.De Marchi.
Alla base del verismo, come s'è visto, vi era il canone dell'impersonalità dell'arte, secondo il quale lo scrittore deve guardare alla realtà sociale del tempo come documento  con occhio freddo ed impassibile, con animo scientifico, limitandosi a fotografare tale realtà, anche nei suoi aspetti più scabrosi e ripugnanti, senza inserire suoi sentimenti, impressioni o altro elemento soggettivo. Il romanzo è dunque un documento di analisi sociologica, che ricostruisce lo spaccato dell'Italia di quel tempo con i suoi enormi problemi .Anche la lingua usata è quella mediamente usata in quel tempo, vicina a quella parlata dal ceto medio, spesso  rivestita di una patina dialettale.
Rispetto ai naturalisti francesi , i veristi italiani dimostrano un minor impegno sociale e politico, specie nella difesa degli emarginati mentre Zola si schierò pubblicamente a favore dei ceti sociali più deboli ed in generale contro i soprusi e le ingiustizie, subendo vari processi (es.processo Drejfius),il nostro Verga assunse sempre posizioni conservatrici e persino reazionarie, come nel caso del suo aperto elogio al gen. Bava Beccaris in occasione dell'eccidio di Milano del 1898. Lo scrittore catanese si limitò ad un generico sentimento di pietà e solidarietà umana verso i derelitti  ed emarginati, senza tuttavia prospettare o, tanto meno auspicare, cambiamenti sociali e politici. In definitiva nei nostri veristi non vi è un autentico desiderio di creare una società più giusta  e più democratica, poiché essi, tra l'altro, provenivano tutti da ceti sociali benestanti (ricchi proprietari terrieri).    

 

GIOVANNI  VERGA    (1840-1922)

 

Questo scrittore catanese è senza dubbio il più grande interprete  del verismo, ma anche, in assoluto, uno dei più grandi narratori della nostra letteratura moderna ; proveniente da una ricca famiglia di proprietari terrieri, dopo aver abbandonato gli studi giuridici, si dedicò alla letteratura e visse a lungo a Firenze (in quegli anni capitale d'Italia) e a Milano, dove ebbe contatti, tra l'altro, con esponenti della Scapigliatura e del secondo Romanticismo (Aleardi e Prati). Fu introdotto negli

ambienti culturali da Luigi Capuana, che è considerato come il vero teorico del verismo ; in effetti fu proprio il Capuana, che fece conoscere a Verga i capolavori dei naturalisti francesi comunemente la produzione letteraria di Verga suole esser divisa in due periodi, anche se tale netta demarcazione ha un mero valore didattico, ma non ha fondamenti scientifici troppo solidi:

1) Fase preverista: si collocano in questo periodo romanzi di stampo tardo romantico-sentimentali, rivolti ad un pubblico femminile e salottiero, appartenente alla ricca borghesia milanese, che dettero fama e riconoscimenti notevoli al Verga; essi sono :Storia di una capinera, Una peccatrice , Eva, Eros , Tigre reale, nei quali è evidentissimo l'influsso del secondo romanticismo ed anche della Scapigliatura con situazioni languide e sensuali, anime tormentate e torbide esperienze di vita, scenari traboccanti di esasperato sentimentalismo.
Nel 1874 avviene la "svolta" con una lunga novella Nedda, la cui protagonista è una povera contadina siciliana, che in mezzo a stenti e privazioni di ogni tipo conduce una vita assai misera.

2) Fase verista : vi appartengono i grandi capolavori del Verga. Lo scrittore intendeva scrivere cinque romanzi, che nel loro insieme dovevano costituire il Ciclo dei vinti o marea, secondo il seguente ordine:

I Malavoglia (1881)
Mastro don Gesualdo (1889)
La duchessa di Leyra (ne scrisse solo un capitolo)
L'onorevole Scipioni (mai scritto)
L'uomo di lusso (mai scritto)

 

Accanto a questi romanzi si collocano due importanti raccolte di novelle:

Vita dei campi e Novelle rusticane
Attraverso questo complesso di opere Verga voleva dimostrare la sua tesi sulla vita e sul destino umano, tesi improntata ad un profondo fatalismo e pessimismo; l'uomo,  o ricco o povero, o nobile o borghese benestante o plebeo è in ogni caso destinato all'insuccesso ed all'infelicità, ad essere risucchiato dalla spietata marea della vita e del progresso, ad essere un vinto dal destino.
I Malavoglia rappresentano il mondo dei pescatori nella loro dura lotta quotidiana per sopravvivere Mastro don Gesualdo invece rappresenta la borghesia agraria benestante; La duchessa di Leyra doveva rappresentare il mondo dei nobili, L'onorevole Scipioni quello della politica, L'uomo di lusso infine intendeva descrivere nel mondo sofisticato degli artisti  l'estrema e più alta ambizione umana, cioè legare la propria fama all'arte
La nota comune a tutti questi personaggi e a queste vicende è l'infelicità, l'essere tutti vinti dal destino.
Secondo i critici questa visione così pessimistica e fatalistica di Verga trae origine da vari fattori:la sua origine siciliana, compresa anche la delusione per il "fallimento risorgimentale", la sua educazione positivistica, che lo portava al darwinismo sociale, cioè ad applicare anche alla società umana i feroci meccanismi selettivi esistenti in natura (il più forte prevale mentre il più debole soccombe), oppure alla sua particolare simpatia per il Leopardi (alcuni parlano a tale proposito di leopardismo in Verga).
Probabilmente un ruolo decisivo hanno avuto le amare disillusioni, succedutesi alla spedizione dei Mille, alle tante promesse fatte da Garibaldi e dal nuovo stato italiano, poi non mantenute. Tale delusione post-risorgimentale si ritroverà in un altro autore siciliano L.Pirandello nel suo romanzo "I vecchi e i giovani". Secondo questa visione fatalistica e pessimistica del Verga nulla cambia, tutto è destinato a ripetersi allo stesso modo, senza progresso alcuno, con l'infelicità dell'uomo, sempre proteso in un inutile tentativo di affermarsi in un mondo ostile , avaro, privo di amore e gratificazioni, dominato da una feroce legge economica.
In chiave politica, come già accennato sopra, questa concezione amara e pessimistica di Verga portò l'autore su posizioni nettamente conservatrici e di destra, con punte decisamente autoritarie ed antipopolari, come nel caso citato dei moti di Milano del 1898 e del suo consenso all'operato di Bava Beccaris.

 

Analisi specifica dei romanzi

 

I Malavoglia (1881)

Questo romanzo rappresenta, a detta dei critici, il capolavoro del Verga, anche se al suo apparire fu un tremendo fiasco, forse perché il pubblico era abituato ai romanzi pre-veristi, per cui non afferrò subito le grosse novità che esso conteneva, sia sotto il profilo ambientale e di contenuto, sia sotto quello strutturale e formale. Solo pochi amici dello scrittore (Il Capuana, il Farina ecc) intuirono il grande valore innovativo de I Malavoglia; Verga addolorato da tali incomprensioni si ritirò a Catania e per molti anni non scrisse nulla.
Solo all'inizio degli anni venti di questo secolo ci fu la riscoperta e la rivalutazione de I Malavoglia ad opera del grande critico Luigi Russo, che studiò a fondo l'opera di Verga.
Il romanzo ha per protagonista tutta la comunità dei pescatori di Aci- Trezza, dove la famiglia Toscano, detta Malavoglia, conduce una vita dura, ma onesta ed operosa, intorno al vecchio n'Toni, che è il rispettato patriarca della famiglia. La casa del nespolo è il simbolo stesso della coesione ed unione familiare, della religione del focolare domestico, sede degli affetti più sacri. Il vecchio n'Toni con il suo linguaggio semplice , ma concreto espone la sua "filosofia di vita" cioè:
l'ideale dell'ostrica, per cui bisogna tenacemente rimanere attaccati allo scoglio per non cadere in mare ed essere divorati dal pesce vorace.( come detto in modo esplicito nella novella “Fantasticheria” ). In conclusione bisogna rimanere attaccati alla famiglia ed ai suoi affetti e valori per non perdersi nella marea della vita.
L'onesta vita della famiglia è turbata da alcuni episodi: il naufragio della barca, ironicamente battezzata dallo scrittore La Provvidenza, durante il quale muore Bastianazzo e va perduto il carico di lupini, acquistato a credito dallo zio Cocifisso, nella speranza di migliorare economicamente. La famiglia per far fronte ai debiti deve ipotecare la casa del nespolo. Ma altre disgrazia mettono a dura prova la famiglia, tra cui la morte di Luca nella battaglia navale di Lissa (terza guerra d'indipendenza 1866), la brutta fine della giovane Rosalia, persasi in una vita equivoca e il carcere per contrabbando del giovane n'Toni. Alla fine chi rimane, riesce a riscattare la casa del nespolo e a ricostruire quel che rimane della famiglia. La morale del romanzo sta tutto in questo convinto e viscerale attaccamento alla famiglia, che costituisce il più sicuro punto di riferimento in un mondo ostile ed impietoso. Verga dimostra inoltre che ogni tentativo fatto per migliorare la propria condizione o economica o sociale è destinato a fallire.
Nel mondo del Verga non c'è posto per il miglioramento ed il progresso ;non c'è una provvidenza divina,  che schiude speranze per il futuro, come nel mondo del Manzoni.Qui sta la differenza tra gli umili del Manzoni (confortati dalla fede a dalla speranza nella Provvidenza) e i vinti del Verga (che non possono contare su tali speranze, perchè tutta la vita si svolge secondo le spietate ed aride leggi naturali ed economiche della sopravvivenza).
Non è un caso che la barca , che affonda, causando tanti guai alla famiglia, sia stata chiamata dallo scrittore La Provvidenza.
Aspetti  tecnico-stilistici : questo romanzo è stato definito dalla critica come romanzo corale ed oggettivo, perché non c'è un unico protagonista o più protagonisti, ma tutta la collettività di Aci


Trezza ne è protagonista; vi è una coralità di voci, pettegolezzi, provenienti da tante persone, presentate sin dall'inizio dallo scrittore tutte insieme, senza preamboli illustrativi (come fa ad es. il Manzoni all'inizio del suo romanzo). Per rendere quest'effetto corale Verga usa il discorso indiretto libero (senza cioè i punti e le virgolette e senza il verbo dichiarativo) proprio per riportare in modo realistico, indiretto e quindi assolutamente oggettivo il pensiero dei personaggi, senza il rischio che l'autore "imbecchi" i personaggi, facendo dire loro ciò che egli pensa. Semmai l'influsso del dialetto si può maggiormente cogliere per quanto attiene il piano sintattico, dal momento che l'articolazione dei periodi sembra costruita proprio con particolare occhio allo sviluppo del dialetto, del parlato, dando particolare  spazio più alla paratassi  che non all'ipotassi. Da un punto di vista linguistico Verga usa un impasto veramente originale :
un impasto veramente originale: il fondo della lingua è l'italiano medio del tempo con l'aggiunta però di un'infarinatura di dialetto siciliano, costituita da proverbi, imprecazioni, locuzioni tipiche del mondo contadino. Questo linguaggio appare particolarmente efficace ed icastico, si presta assai bene alle finalità oggettive ed impersonali dell'autore. Si ha l'impressione che questi personaggi parlino la loro vera lingua e non una lingua artificiale, costruita cioè a tavolino dallo scrittore, evitando quindi talune possibili ed  evidenti incongruenze (nel romanzo del Manzoni ad es. Renzo e Lucia parlano una lingua con fondo fiorentino).  

 

MASTRO DON GESUALDO (1889)

Questo secondo romanzo è ambientato nel mondo della borghesia agraria benestante; Gesualdo Motta da ex capo mastro è riuscito a mettere da parte lavorando duramente per tanti anni una enorme fortuna fatta di campi, poderi, fattorie, animali ecc. Gli abitanti del paese per questo motivo gli avevano conferito il titolo onorifico di  don proprio perché ormai, grazie alla ricchezza accumulata, era divenuto un'autorità.
Tuttavia anche Gesualdo commette un errore fatale ; si lascia convincere a sposare la duchessa Bianca Trao, ultima esponente della nobile famiglia del posto, per altro ormai squattrinata e per di più compromessa (era infatti in stato interessante per una precedente relazione con un lontano suo cugino); con questo matrimonio combinato e riparatore, Gesualdo si illude di poter migliorare socialmente, di vedersi aprire le porte di quel mondo aristocratico, che fino ad allora lo aveva considerato un volgare plebeo.
Mentre l'errore dei Malavoglia era stato quello di voler migliorare economicamente, l'errore di Gesualdo invece consiste nell'illudersi di poter migliorare socialmente. In realtà non sarà mai amato né dalla moglie Bianca, né dalla figlia Isabella, che egli considera sua ; sarà sempre un intruso in quel mondo snob e fatiscente.
Il Verga con amarezza ci fa capire che se Gesualdo avesse sposato Diodata  l'umile contadina sua compagna, dalla quale aveva avuto anche dei figli, sarebbe stato felice ! Il finale del romanzo nel suo amaro pessimismo è davvero toccante : Gesualdo, vecchio e malato,  muore solo, abbandonato da tutto, persino mal sopportato dai camerieri di sua figlia duchessa, a riprova che anch'egli è un vinto dalla vita e dal destino e che tutti  i suoi tentativi di affermazione e miglioramento sono risultati inutili.
Se I Malavoglia erano stati il romanzo del focolare domestico, Mastro don Gesualdo si può considerare il romanzo dell'altro grande tema del mondo del Verga , cioè la roba, intesa come attaccamento viscerale alla terra, ai beni conquistati con il duro lavoro, col sudore e la fatica, come una specie di rivincita verso un destino avaro ed ingrato.
Da un punto di vista tecnico-stilistico questo romanzo è costruito in modo meno rigidamente verista, lascia ampi spazi a momenti idillico-affettivi, cura in modo più evidente l'analisi psicologica dei Personaggi. Per tutte queste ragioni è un romanzo di piacevole lettura.
A questo punto il ciclo dei vinti si interrompe : La duchessa di Leyra dopo appena un capitolo o poco più fu interrotto, l'onorevole Scipioni e L'uomo di lusso (toscanamente significa l'uomo inutile) non videro mai la luce.
Nelle due raccolte Vita dei campi e Novelle rusticane compaiono altre situazioni e personaggi tipici della realtà meridionale di quegli anni. Nella novella La roba con Mazzarò viene anticipato il


personaggio di Gesualdo Motta, nell'esaltare appunto il valore della roba inteso non esclusivamente come attaccamento alla terra e al capitale contadino, ma anche come religione del lavoro e del sacrificio duro e continuo. In Rosso Malpelo vi è invece il dramma di tanti "carusi" sfruttati in modo immorale nelle solfatare, miniere e cave, mettendo a fuoco una delle tante piaghe della questione meridionale cioè lo sfruttamento dei minori nel lavoro. La novella Libertà propone un episodio realmente accaduto, cioè la sollevazione contadina di Bronte (una località vicino Catania), repressa poi nel sangue dagli stessi garibaldini, comandati da Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi. In questa novella emerge tutta la sfiducia di Verga per il corso preso dal Risorgimento italiano ed in particolare dalla politica post-unitaria; vi è l'amarezza per il fallimento di tante speranze e l'amara consapevolezza dell'impossibilità per la Sicilia di vedere reali cambiamenti politici e sociali.
Alcune novelle sono state trasformate dal Verga in atti unici teatrali, dando così vita al cosiddetto teatro verista . Possiamo ricordare in particolare : La lupa e  Cavalleria rusticana (più tardi divenuta anche opera lirica con la musica di Pietro Mascagni),
La Lupa nella sua crudezza esprime la vicenda umana e passionale di una donna avida di sesso, che intende coinvolgere in un' infame relazione il marito della figlia, rimanendone poi uccisa.
Cavalleria rusticana è la squallida storia  di un adulterio, con protagonisti del mondo contadino : Alfio, Turiddu, Lola, Santuzza e conclusosi tragicamente in un duello.
Conclusioni critiche: Verga è sicuramente il primo narratore moderno della nostra letteratura in quanto rompe una la vecchia tradizione accademica e basata sui classici. Egli si apre ai problemi sociali del tempo con occhio attento, anche se il suo profondo pessimismo gli impedisce  di intravedere sia il progresso sia il cambiamento della società.
Senza Verga sarebbe impossibile avere i narratori successivi , che in ogni caso videro in lui un sicuro punto di riferimento, da D'Annunzio a Pirandello, da Tozzi agli stessi Alvaro, Moravia, Pratolini, ecc. Ma la lezione del Verga va ben oltre! Anche gli stessi autori neorealisti dell'ultimo dopo guerra (Fenoglio, Cassola, il primo Calvino ed altri) risentono da vicino del significato più autentico dell'opera dello scrittore siciliano.

 

GIOSUE CARDUCCI (1835-1907)

 

Da un punto di vista storico-letterario questo poeta ebbe grande fama ed anche il più prestigioso riconoscimento internazionale, il premio Nobel, primo tra gli Italiani nel 1906.Egli è stato il poeta vate dell'Italia umbertina ,cioè la coscienza morale e civile ella nazione, il grande maestro di virtù civili e patriottiche, in cui una gran parte del popolo italiano si riconosceva.
Il critico Benedetto Croce, suo grande estimatore lo definì poeta professore, proprio per la grande cultura, mentre il poetaGabriele D'Annunzio , suo grande ammiratore, lo definì poeta vate.
Oggi la critica ha parzialmente rivisto tali giudizi, ridimensionando non poco la grandezza del Carducci. Secondo il critico N.Sapegno Carducci è stato l'ultimo grande esponente della tradizione classica italiana, una specie di luminoso tramonto della grande lirica classica italiana, ma non l'alba della nuova poesia, pur riconoscendo gli indubbi meriti del poeta toscano.
Secondo il critico L.Russo l'opera di Carducci va riscoperta nei suoi aspetti più autentici e sinceri, spogliandoli dall'eccessiva retorica spesso presente ed individuando i momenti di più autentico e commosso lirismo. In tal senso il Russo scrisse il saggio "Carducci senza retorica".
Originario di Pietrasanta  (LU) , trascorse l'infanzia e l'adolescenza nella maremma livornese, ove il padre Michele, fervido mazziniano e repubblicano esercitava la professione di medico. Il clima austero della famiglia, i sentimenti patriottici e mazziniani del padre lasciarono un'impronta


indelebile nell'animo del giovane Giosue, che manifestò subito sentimenti patriottici e repubblicani, fortemente anticlericali e più tardi aderì perfino alla massoneria. Solo in età avanzata attenuò tale radicalismo politico-ideologico,  riappacificandosi con la monarchia, divenendo amico personale della regina Margherita.
Questo passaggio da posizioni repubblicane e democratiche a posizioni sempre più conservatrici  e nazionalistiche fu un fenomeno assai diffuso in tanta borghesia italiana del tempo ,anche a causa delle forti tensioni sociali che videro contrapposta la classe borghese al proletariato, che organizzatosi politicamente, rivendicava migliori condizioni di vita.
In tal senso Carducci difese l'operato ultraconservatore del governo Crispi, anche nei momenti più impopolari della sua politica.
Da un punto di vista letterario Carducci si definì sempre un antiromantico, definendo il classicismo il trionfo dei muscoli ed il romanticismo il trionfo dei nervi .Egli accusava i romantici di aver creato una letteratura fiacca, sdolcinata, patetica e lacrimosa, priva di vera energia, mentre vedeva nei classici vigore, forza, coraggio, eroismo, italianità. Naturalmente tale giudizio del poeta risulta poco obiettivo, in quanto egli confonde il primo Romanticismo (Manzoni e Leopardi) con il secondo Romanticismo, quello lacrimoso e patetico, di Aleardi e Prati, effettivamente troppo sentimentale e languido.

 

Raccolte poetiche: le prime due raccolte Juvenilia e Levia gravia sono ancora un prodotto acerbo e risentono della vasta erudizione scolastica  dell'autore. La terza raccolta Giambi ed epodi rappresenta qualcosa di sicuramente originale: è la raccolta dei "furori giacobini " del poeta.
Carducci rivolge pesanti critiche ai politici del suo tempo, incapaci e corrotti, che hanno tradito i grandi valori risorgimentali, facendo decadere la vita politica del paese a  normale amministrazione del quotidiano, senza idealità e moralità. Contrappone a queste mediocri figure del presente la statua morale e politica di Mazzini, Garibaldi, Cavour ecc,. Vengono poi le due migliori raccolte del poeta che sono : Rime nuove e Odi barbare, in cui vi è la vetta più alta della poesia carducciana. Messa da parte una certa retorica e tanti orpelli, ripresi dall'erudizione classica, il poeta dà finalmente sfogo alla sua vena più intima ed autentica: il paesaggio maremmano, i ricordi dell'infanzia, le vicende familiari (spesso luttuose), le grandi rievocazioni storiche. A proposito del paesaggio c'è da dire che esso acquista un valore particolarmente suggestivo: indica forza, vitalità , robustezza , è il tipico paesaggio solare e mediterraneo carico di luce e vitalità .Solo in alcuni brani dell'ultimo periodo subentrano spesso note di tristezza e malinconia ; qualche critico vede in queste note tristi, oltre alla stanchezza del poeta ormai vecchio , l'influsso dello spleen di Baudelaire, il grande poeta maledetto francese noto al Carducci.  
In queste due raccolte, come s'è detto, il vate  cede il posto all' uomo, con i suoi momenti di abbandono idillico e sentimentale, con i momenti di dolore e di umana sofferenza, ma anche nelle nostalgiche rievocazioni del passato, sentito come epoca di eroismo e virtù civica.
Roma antica, l'età comunale, la rivoluzione francese, il risorgimento sono le grandi epoche rievocate dal Carducci con particolare commozione; periodi pieni di eroismo, abnegazione e forza morale, da contrapporre alla grigia ed opaca mediocrità del presente. L'attributo di barbare si spiega con le novità metriche introdotte dal poeta nella poesia italiana, in pratica adottando alcuni sistemi metrici dei classici, per cui le odi sarebbero apparse barbare, cioè straniere, cioè incomprensibili agli antichi, proprio per la sostanziale differenza tra la metrica classica (che è quantitativa) e quella  italiana(che è invece accentuativa). Tale novità metrica, che al suo apparire scandalizzò alcuni critici, contribuì a quel processo di graduale frantumazione della strofe, che avrebbe poi trovato nel Decadentismo con Pascoli e D'Annunzio i suoi più autorevoli interpreti.
Per quanto concerne la storia, che in Carducci ha un ruolo davvero importante (fu Croce a definire Carducci  il poeta della storia), essa rappresenta l'eredità più significativa dell'odiato


romanticismo, tuttavia Carducci non ebbe della storia una visione né provvidenziale né religiosa (come il Manzoni); compare spesso nel poeta la Nemesi storica, cioè la vendetta della storia, per  cui le colpe dei padri ricadono sui figli innocenti.
L'ultima raccolta Rime e ritmi lascia intravedere la decadenza della vena poetica del Carducci ; dopo tanti decenni di poesia la fantasia appare inaridita, rimane tuttavia la grande abilità tecnico-stilistica, l'abilità del grande maestro con la sua immensa cultura.

Carducci critico: per tutta la vita il poeta fu anche stimato docente (insegnò letteratura italiana nell'università di Bologna per oltre 40 anni) e scrisse saggi di critica letteraria.
Tuttavia la critica del Carducci è diversa da quella del contemporaneo Francesco De Sanctis .Al Carducci manca la grande prospettiva storicistica e si interessa prevalentemente degli aspetti tecnici, stilistici, metrici  e linguistici, per cui  questo tipo di critica  è prevalentemente di tipo formale. Interessanti ed approfonditi sono i suoi studi sui poeti classici latini e greci, sull'Ariosto, il Parini ed il Foscolo, cui si sentiva particolarmente legato. Al contrario il Carducci non mostrò eccessiva simpatia per il Manzoni e, addirittura, aperta antipatia per i manzoniani, cioè i seguaci del poeta milanese. 

 

IL DECADENTISMO

(ultimo decennio dell'ottocento-primi decenni del novecento)

 

Questa corrente culturale e filosofica ha rivoluzionato tutta la cultura europea; i profondi mutamenti intervenuti in tutti i campi della cultura  hanno profondamente influenzato non solo le lettere, ma anche le arti figurative , la musica, il cinema ed in generale lo stesso stile di vita della gente.
Il termine "decadentismo" fu introdotto per la prima volta dal critico crociano Francesco Flora, che, rifacendosi ad un verso del poeta "maledetto" Verlaine, intendeva dare un'impronta decisamente dispregiativa rispetto alle nuove tendenze culturali. In effetti sia Croce sia i suoi allievi  ebbero sempre un atteggiamento diffidente verso la cultura decadente, considerata espressione di disordine, disarmonia e decadenza sia artistica in senso stretto, sia in una più larga accezione come crisi di valori. Non è un mistero che per Croce l'ultimo grande poeta era il Carducci .
Oggi il termine decadentismo non ha più tale connotazione negativa : indica semplicemente un periodo culturale diverso da altri con sue specifiche caratteristiche.
Alcuni critici hanno rivalutato la corrente decadente affermando che con essa finalmente la cultura italiana si sprovincializza, aprendosi alle coeve esperienze europee. Fondamentali in tal senso sono stati gli studi di Carlo Salinari ("Miti e coscienze del Decadentismo europeo") e Walter Binni ("La poetica del Decadentismo"). Da un punto di vista cronologico, il Decadentismo si sviluppa all'incirca tra l'ultimo decennio dell'ottocento e i primi venti anni del novecento, anche se per alcuni aspetti non si è ancora esaurito ed influenza ancora la cultura di questo secolo.

 

ASPETTI TEORICI DEL DECADENTISMO

Per comprendere la complessità di questo fenomeno, occorre ricostruire sinteticamente il drammatico e complesso quadro storico-sociale-politico, che vide in pochi decenni esaurirsi la vecchia società ottocentesca con i suoi valori, regole e certezze, per far posto alla moderna società


di massa, piena di inquietudini, con la sua crisi di valori, senza una definita identità culturale, che sfociò in fenomeni di alienazione, incomunicabilità , angoscia esistenziale, di cui fu espressione, tra l'altro, la corrente filosofica dell'esistenzialismo. Il primo bersaglio diretto del decadentismo fu il positivismo con le sue "certezze scientifiche". Secondo i decadenti la scienza non è in grado di offrire all'uomo una vera conoscenza della realtà, ma solo una pallida idea superficiale di essa, in quanto la scienza può infatti spiegare comeavvengono i fenomeni in natura, non perché.
In altre parole per andare oltre la punta dell'iceberg, per conoscere la realtà profonda, "la pura cosa in sé", non sono sufficienti né la ragione, né la scienza ; occorrono altre doti del nostro intelletto come l'intuizione, l'introspezione psicologica, scandagliare il proprio inconscio, intuendo attraverso delle illuminazioni interiori la verità o frammenti di essa .Al posto della scienza , della razionalità e dello stesso scienziato, il decadentismo contrappone l'irrazionalità, l'intuito, la figura del poeta veggente o visionario. La vita reale viene spesso sostituita dal sogno e da paradisi artificiali in cui il poeta si isola, talora con l'ausilio di alcool e droghe, per lui non conta più la realtà sociale, quella esterna al suo io, ma quella interiore, tutta soggettiva, intorno alla quale ruota tuta l'esperienza esistenziale .In definitiva la forma più alta di conoscenza non è più dunque la scienza, di per sé limitante e riduttiva, ma l'arte che è il massimo dell'espressione umana.
In tale prospettiva cambia profondamente anche il ruolo dell'intellettuale, che vede modificarsi sostanzialmente la sua collocazione nell'ambito della società : tende a scomparire il  poeta vate impegnato in senso civile e patriottico; tramonta anche lo scrittore verista, che col suo impegno sociale , aveva rappresentato alcune problematiche del suo tempo in modo imparziale e "scientifico".
Nasce con  il Decadentismo un nuovo tipo di intellettuale, spesso chiuso in se stesso in aristocratica solitudine, raffinato e spesso narcisista e  snob, nel suo estenuante estetismo troppo spesso lontano dalla vita quotidiana .L'arte diviene l'unica ragione di vita(estetismo), un'arte che tende sempre più verso l'artificio, complicata, esigente ,sempre più raffinata ed esclusiva.
L' ESTETISMO , cioè l'arte al di sopra di tutto, diventa la regola di vita del nuovo intellettuale ,che non occupa più nella società di massa un ruolo centrale, ma appare in essa sradicato , spesso in polemica con la mediocrità piccolo-borghese ; si è ormai creata una autentica frattura tra la cultura e l'arte da una parte e la società di massa dall'altra.         

 

Principali teorici-precursori del Decadentismo

 

Alcuni intellettuali hanno contribuito in modo determinante alla diffusione del Decadentismo in Europa. Un romanzo dello scrittore belga C. Huismans "Au revoir" diffuse la moda del dandy, dell'intellettuale decadente snob, raffinato ed anticonformista. Nella stessa direzione contribuì lo scrittore irlandese i lingua inglese O. Wilde  con il suo romanzo "Il ritratto di Dorian Gray", che contribuì al mito decadente dell'estetismo esasperato, cioè il trionfo dell'arte sulla vita stessa. Tale influsso fu recepito da altri autori come il nostro D'Annunzio, che ne risentì in modo particolare nel suo romanzo "Il piacere" .Altri intellettuali, tuttavia, hanno avuto un ruolo di primo piano nel "costruire" il clima culturale in cui il Decadentismo si formò. Il filosofo tedesco F. Nietzsche nelle sue opere si fece sostenitore del più intransigente irrazionalismo. Secondo Nietzsche la cultura occidentale è sempre stata dominata dal contrasto tra spirito apollineo (razionalità) e spirito dionisiaco (istintività irrazionale), con la costante supremazia del primo sul secondo ; nel riprendere tale tema dall'antica tragedia greca, di cui  è stato un autorevole studioso, egli sosteneva la necessità di rivalutare nell'uomo non più la razionalità, bensì l'istinto , tutto il complesso delle forze oscure ed irrazionali dell'animo umano. Nelle sue principali opere ("Così parlo Zaratustra","Al di là del bene e del male") Nietzsche elaborò la teoria del superuomo che,


variamente interpretata ed assimilata, ha influenzato larghissima parte della cultura decadente. In base a tale teoria gli uomini non sono affatto uguali, ci sono esseri superiori per intelligenza, intuito,  geniale sensibilità e cultura; questi hanno il compito di comandare e guidare i destini umani, rispetto alla grande massa gregaria che, nella sua mediocrità insignificante, ha il solo compito di lavorare, obbedire e riprodursi. Tali idee di Nietzsche, che avevano una valenza prevalentemente esistenziale- filosofica, furono poi interpretate ed adattate in chiave politica , dando origine a quel clima di esasperata avversione per le idee democratiche e liberali ,che in quegli anni furono largamente diffuse e che generarono successivamente un clima di forte ed acceso nazionalismo, imperialismo , razzismo (specialmente antisemitismo), pangermanesimo, panslavismo, mito della superiorità della  razza ariana ecc., tutte componenti "ideologiche", che dettero vita al mito dello stato forte, autoritario e corporativo , al potere carismatico
del duce e del fuhrer, insomma al fascismo e al nazismo, cioè a regimi politici negatori del pluralismo delle idee e della libertà civile.
Un altro importante pensatore, che dette un contributo fondamentale alla cultura decadente è stato il medico e psicologo austriaco S. Freud, fondatore della psicanalisi , ma anche studioso di etnologia, personaggio senza dubbio di primissimo piano nella cultura europea di questo secolo
Egli nel 1900 pubblicò un testo fondamentale "L'interpretazione dei sogni" ,che aprì orizzonti vastissimi non solo agli studi psicanalitici, ma anche a quelli artistico- letterari .
Secondo Freud la vita psichica dell'uomo è condizionata in modo determinante dall'inconscio, cioè da quella parte oscura del nostro animo , dove sono racchiusi i nostri desideri repressi, paure, angosce segrete, che guidano e determinano in modo assai spesso inconsapevole tutte le nostre azioni. L'uomo non è dunque un essere razionale, come sostenevano i positivisti, ma è al contrario un essere impulsivo, emotivo ed irrazionale, che non sempre e comunque, con fatica, riesce ad imporsi una superiore disciplina razionale. Proprio durante i sogni affiora l'inconscio con i suoi fantasmi, le sue paure, desideri repressi, frustrazioni ecc, attraverso una linguaggio apparentemente illogico ed incomprensibile, ma che in realtà ha una sua interiore coerenza. Sempre Freud dimostrò per primo l'importanza dell'esperienza sessuale per l'essere umano in ogni età della nostra vita, ovviamente con manifestazioni e consapevolezza diverse, sostenendo che alla base di ogni nevrosi si trovano carenze di tipo affettivo- sessuale.
In campo filosofico fu notevolissima la reazione all'impostazione razionale del positivismo ; sarà sufficiente accennare alla figura di due filosofi francesi : Bergson, che dette vita alla corrente dell'intuizionismo, che influenzò moltissimo tutta la cultura decadente per le sue fortissime implicazioni di carattere psicologico e Boutroux, che negava ogni valore finalistico e deterministico alle leggi scientifiche e sosteneva che in natura tutto avviene per pura casualità; egli dette vita alla corrente di pensiero del contingentismo, che influenzò alcuni intellettuali e poeti europei, tra cui Montale .
Un ruolo altrettanto significativo fu svolto da un gruppo di poeti francesi i cosiddetti poeti maledetti, che furono accomunati da un polemico atteggiamento antiborghese ed anticonformista, di rifiuto cioè delle ipocrite convenzioni sociali perbeniste, tipiche della società dei colletti bianchi. In particolare Baudelaire con la sua fondamentale raccolta "I fiori del male"(1867) ,apre la strada ad una nuova concezione della poesia, cioè al simbolismo, che attraverso le esperienze di Verlaine e Rimbaud, troverà poi l'approdo più maturo in Mallarmè.  
Il simbolismo sta ad indicare una poetica, che cerca di captare le vibrazioni più profonde dell'animo, andando oltre la realtà apparente per esplorare la parte più remota ed insondabile dell'universo, soprattutto cercando di "codificare" i misteriosi segnali che ci giungono dalla natura, che, secondo Baudelaire, è una "foresta di simboli";  il poeta non si deve perciò fermare all'apparenza delle cose, cioè al simbolo, ma scavare in profondità, facendo affiorare la verità più autentica, che è dietro il simbolo, cioè quella che il filosofo Kant aveva definito "la pura cosa in sé".


Naturalmente questo processo di conoscenza si svolge non a livello razionale, ma a livello intuitivo, una specie di illuminazione interiore, che sprigiona barlumi di verità, in un linguaggio spesso oscuro e apparentemente incomprensibile, di sapore "orfico","misterico",in cui al valore logico della parola si sostituisce quello allusivo ed analogico, anche attraverso l'uso di tecniche sempre più raffinate come :l'analogia (similitudine senza il nesso come), la sinestesia(riproduzione nel verso di effetti di sensi diversi- urlo nero), l'onomatopea o fonosimbolismo (riproduzione di suoni nel verso).
E' evidente che tramonta il poeta di stampo ottocentesco, non c'è più il vate, ma un nuovo poeta sradicato e spesso polemico con la società del tempo, materialista e priva di veri ideali. Il nuovo poeta decadente testimonia non solo la crisi  di certezze e valori, ma anche la ricerca individuale di una verità che solo l'arte, solo la poesia è in grado di fornire attraverso un complesso itinerario interiore.       
Anche il romanzo subì delle trasformazioni di notevole spessore: muta il clima culturale ed il romanzo abbandona l'interesse sociale, tipico del verismo, per diventare psicologico, analitico, memorialistico, cioè tutto concentrato su aspetti interiori e soggettivi. Il nuovo campo di indagine del narratore non è più la realtà sociale, che ci circonda, ma lo scavo interiore, lo scandaglio della coscienza e delle parti più oscure e remote, specie a livello inconscio.  Lo studio di Freud e della psicanalisi offre strumenti nuovi di studio e di interpretazione del complesso mondo interiore .Vengono studiati i  meccanismi sottili della memoria, dei ricordi che affiorano più o meno confusi dall'inconscio (flashback e flussi di coscienza), gli alibi interiori, gli autoinganni costruiti dalla nostra coscienza. Trionfa insomma il romanzo tutto interiore e soggettivo ;  in tale prospettiva fondamentale è stata l'opera dello scrittore Marcel Proust, che nella sua opera monumentale "La ricerca del tempo perduto" analizza il meccanismo della memoria involontaria , che fa riaffiorare dall'inconscio i tanti fotogrammi della nostra vita vissuta, sapori, atmosfere, ricordi e sensazioni, partendo da semplici odori , aromi o profumi, che mettono in moto la ricostruzione memoriale(famoso è al riguardo l'episodio della madelain .Il tema del ricordo e della memoria è sicuramente uno degli aspetti più caratteristici di tutto il Decadentismo sia nella prosa che nella poesia .In Svevo tale studio sarà condotto in modo approfondito, anche alla luce delle teorie freudiane,  sicuramente ben note allo scrittore.
Ma il romanzo decadente assume anche toni allucinati e surrealisti, come nel caso del grande narratore boemo di lingua tedesca Franz Kafka, che nei suoi più celebri scritti ("Il processo"."Il castello" ."Le metamorfosi") riproduce in modo espressionistico un mondo allucinato e contorto, dominato da una oscura e superiore forza opprimente. Qualcosa di simile elaborò, come vedremo in seguito, il nostro Federigo Tozzi .

 

Cenni alle arti figurative

Il grande fermento di idee in atto con il Decadentismo ha dato luogo ad importantissimi risultati nell'ambito della pittura, scultura ed architettura.
Si può asserire che tute le grandi correnti artistiche di questo secolo traggono origine dal nucleo decadente .La pittura ha avuto momenti di grande rilievo con il Futurismo (si pensi a Gino Severini), Astrattismo, Cubismo (Picasso), Dadaismo, Surrealismo, Espressionismo, Pittura metafisica (in particolare Giorgio De Chirico).
In campo architettonico, tra le tante esperienze vale la pena di citare il funzionalismo, con l'esperienza della Bauhaus (soprattutto l'opera di W. Gropius) . Altra figura centrale fu quella dell'architetto francese Lecorbusier, che fu influenzato dal Futurismo e che applicò nei suoi modelli architettonici  spunti di modernità ed avanguardia.
Qualcosa di simile fece in Italia M. Piacentini, architetto ufficiale del fascismo, cercando di


conciliare canoni di modernità funzionali con aspetti classicheggianti- imperiali, tanto propugnati in quegli anni dal regime (si pensi al complesso architettonico dell'EUR a Roma).
In campo musicale si assiste a grosse innovazioni , passando dai modelli ottocenteschi al poema sinfonico, che recepisce anche esperienze innovative di origine americana (musical, jazz).Tra i massimi compositori si possono citare: J. Strawinskj, C. Debussy, M. Ravel, G. Gerswin, O. Respighi, I. Pizzetti ecc.
Il Decadentismo vede anche la nascita della nona Musa, cioè del cinematografo, genere destinato ad avere un'enorme fortuna. I primi esperimenti dei fratelli Lumiere, condotti ancora con tecniche rudimentali, dettero origine prima al cinema muto , poi al sonoro. Alcuni scrittori intuirono immediatamente le enormi potenzialità del cinema e scrissero sia sceneggiature, sia soggetti, partecipando di persona con interesse; è il caso di  D'Annunzio, ma anche di Pirandello, solo per citare i più noti.
Anche in campo teatrale si ebbero grossi sviluppi, non solo di carattere contenutistico, ma anche tecnico- organizzativo. Basti citare i nomi del nostro Pirandello, ma anche di Show, Beckett, Jonesco, Brecht.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GIOVANNI PASCOLI (1855-1912)

 

 

Profilo critico e principali cenni biografici

E' considerato dalla critica come uno dei veri iniziatori della moderna poesia italiana, insieme al D'Annunzio si aprì alle più significative esperienze poetiche europee(specialmente il simbolismo francese).Allievo del Carducci aveva una solida cultura umanistica, che spesso affiora nelle sue raccolte. Il Croce lo definì con un giudizio non certo troppo benevolo "Un piccolo grande poeta"; la critica moderna, pur riconoscendo certi limiti della sua poesia, riconosce tuttavia in lui il primo vero poeta del novecento. Tra i molti estimatori dell'opera poetica del Pascoli va citato uno egli scrittori più caratterizzanti di quest'ultimo scorcio di secolo, cioè Pier Paolo Pasolini, che sull'opera di Pascoli svolse la tesi di laurea. Per valutare la portata della sua opera bisogna tenere presente la dolorosa esperienza umana del poeta: in particolare le due amare vicende , che segnarono la sua esistenza : l'assassinio del padre Ruggero (il 10 agosto del 1867) ,amministratore della tenuta "La torre" dei principi Torlonia, a San Mauro di Romagna,  ucciso in un agguato con un colpo di fucile, mentre tornava in calesse dalla fiera di Cesena. L'omicidio, causato forse da motivi di interesse, non  fu mai punito, non furono mai individuati i colpevoli, né fu mai celebrato il processo, benché nel paese alcuni sapessero la verità. Al dolore per la perdita del capofamiglia si aggiunse lo sdegno  per la giustizia negata. Da quel tragico 10 agosto 1867 altri lutti si accanirono contro l'infelice famiglia ; fratelli, sorelle, la madre stessa morirono. L'altro doloroso episodio  fu l'esperienza del carcere durante gli anni dell'università a Bologna. Il poeta, che si va avvicinato ad ambienti anarchici e socialisti, durante una manifestazione antigovernativa fu arrestato e rimase in carcere per oltre tre mesi, prima che fosse celebrato il processo(in cui testimoniò a suo favore il Carducci).L'esperienza della prigione fu drammatica; il poeta ne uscì moralmente distrutto, senza più velleità politiche o sociali, con una visione dolorosa e pessimistica della vita, con la convinzione dell'ineluttabilità dell'ingiustizia e del male nella società umana. Dopo essersi laureato, iniziò ad insegnare in vari licei d'Italia, poi come docente universitario, finché fu chiamato a succedere al Carducci nella prestigiosa cattedra di letteratura italiana all'università di Bologna. Si illuse anche di ricostruire il "nido" familiare con le due sorelle Ida e Mariù nella casa di campagna di Castelvecchio di Barga (Lucca), acquistata con i suoi risparmi  e vendendo anche le medaglie vinte nei tanti concorsi  di composizione in lingua latina, che si tenevano ad Amsterdam. Quando Ida nel 1895 si sposò, lasciando il fratello, il Pascoli fu colto da una ossessiva crisi di gelosia. Solo Mariù rimase con lui fino alla fine, fedele alle memorie familiari ed al "nido", facendo anch'essa di tutto per impedire il matrimonio(che in effetti non ci fu) del fratello con una lontana cugina Imelde Borri.
Il poeta morì nel 1912 per un male incurabile; la sorella Mariù, che sopravvisse molto più a lungo, curò la memoria e la pubblicazione delle opere inedite del fratello .Da un punto di vista politico, dopo le iniziali simpatie socialisteggianti, Pascoli assunse negli ultimi anni atteggiamenti sempre più nazionalistici ,che lo portarono ad avvicinarsi  agli ambienti della destra conservatrice e militaristica ; scrisse infatti sulla rivista "Convito", diretta da Adolfo De Bosis ,che era espressione di tali tendenze ideologiche. Questo atteggiamento populistico e vagamente nazional- socialista del Pascoli si manifestò anche in occasione della guerra di Libia(1911), allorché scrisse un famoso discorso "La grande proletaria s'è mossa", in cui esternava il suo entusiasmo per la  campagna militare italiana, decisa da Giolitti, nel nord Africa.

 

La poetica del Pascoli

 

Sebbene il poeta provenisse da un retroterra culturale tipicamente umanistico, cercò di aprirsi alle nuove tendenze della cultura europea, in modo particolare al simbolismo francese, anche se non ebbe forse, a differenza di D'Annunzio, una reale consapevolezza della vera portata innovatrice di tali scelte. In altre parole molti aspetti del Decadentismo furono  vissuti dal Pascoli più a livello inconscio, che non come scelte autenticamente motivate e "ragionate".
Testo chiave per capire la poetica del Pascoli è sicuramente la prosa "Il fanciullino", ove emerge chiaramente una visione della poesia allusiva, analogica, prerazionale, che comporta una tecnica del verso simbolica ed impressionista.  
E' una poesia , che cerca di far emergere da un fondo oscuro di mistero sensazioni ed emozioni, vibrazioni interiori ed illuminazioni, attraverso immagini cariche di connotazioni simboliche. Il poeta si apre al mistero dell'universo con gli occhi fantasiosi e trasognati del bambino, cogliendo in una visione "globale" il senso profondo delle cose, l'essenza più profonda della realtà, oltre la punta dell'iceberg.
Solo il bambino con la sua spontaneità, intuito e fantasia, riesce a captare le voci misteriose ,che provengono dall'universo e dal nostro inconscio ; invece l'adulto guidato dalla "scienza esatta", miope e razionale, coglie solo una parte, quella meno significativa , della realtà, perdendo tutte quelle allusioni sottili, quei legami  reconditi, quei significati più veri, che possono guidare il nostro animo sulle soglie dell'eternità, squarciando in un attimo di "vertigine" il velo di mistero che circonda la vita del cosmo, e quindi anche la nostra stessa vita.
Tra i simboli più ricorrenti della poesia pascoliana. possiamo citare il nido, espressione del calore degli affetti familiari, la siepe, cioè l'ideale barriera ,che il poeta vuole frapporre per difendere il ritrovato nido tra se stesso e l'esterno o il passato doloroso, ma anche la nebbia, che esprime il mistero cosmico e la sfiducia stessa del poeta nella  scienza tanto esaltata dai positivisti, oppure i fiori, che esprimono a loro volta qualcosa di ambiguo e morboso : in Gelsomino notturno  l'eros vissuto con animo infantile e un pò voyeur, in Digitale purpurea, l'eros come trasgressione e morte.
In definitiva il poeta deve essere come il bambino, guardare al mondo con intuito e fantasia, cogliere la parte che non appare, la  pura cosa in sé, che sfugge agli altri uomini " adulti", freddi e razionali. La poesia è dunque l'unica vera forma di conoscenza, consente  di cogliere in rapidi bagliori illuminatori l'essenza stessa della realtà, di squarciare il velo di mistero con cui la natura ci appare.
In questo tipo di poesia ha un ruolo fondamentale il procedimento tecnico dell' analogia, ma anche il fonosimbolismo, cioè la parola evocatrice di suoni e la sinestesia (unire effetti di sensi diversi nella stessa immagine), proseguendo quanto iniziato da un punto di vista tecnico da Carducci nelle Odi barbare, cioè la rottura della strofe in unità più piccole. La poesia del Pascoli è stata definita la poesia delle piccole cose, in quanto non cerca scenari esotici o raffinati, ma vive delle cose umili, semplici e quotidiane, con occhio pieno di intuito e fantasia. Per conseguire meglio tale effetto poetico compare spesso un linguaggio che, nella sua semplicità (la struttura della strofe è prevalentemente paratattica) quasi di tipo "prerazionale",  evoca bene la continua regressione del poeta all'infanzia e a volte contenente termini popolari e contadini (es. le porche, la mura ecc.).Questo aspetto è tipico di una delle migliori raccolte del poeta, più volte ripubblicata con ampliamenti, cioè Myricae, che nel titolo stesso ripreso da Virgilio, sta ad indicare le semplici tamerici, pianticelle della macchia mediterranea, espressione di una poesia fatta di cose semplici e quotidiane. Risulktati altrettanto significativi vengono raggiunti dal poeta in successive raccolte come:
I Primi poemetti, I Nuovi poemetti, I Canti di Castelvecchio.Proprio in quest'ultima raccolta  appare una dimensione nuova del poeta : in questa ritrovata oasi di pace il poeta nel calore del nido familiare faticosamente ricostruito con la sorella Mariù, c'è come il tentativo da parte del poeta di


frapporre una ideale barriera tra se stesso ed il mondo esterno ed il suo passato doloroso. Come sopra accennato, tale barriera è rappresentata spesso dai simboli della siepe o della nebbia.
Ma  nei Canti di Castelvecchio appare anche un  tema  nuovo di grande suggestione poetica, cioè la dimensione cosmica, con cui il poeta si apre al mistero insondabile dell'universo.In alcuni compo-nimenti (Il bolide, Il ciocco,Vertigine) appare evidente il contrasto tra l'immensità  del cosmo e la piccolezza umana.Si tratta di un tema, come noto, già presente nella "Ginestra" del Leopardi .
E' da precisare tuttavia che Pascoli, a differenza del Leopardi vede la natura non come madre matrigna, ma come madre dolcissima, attribuendo il male della vita agli uomini, alla loro inestinguibile malvagità. Fortissimo è il senso del mistero cosmico e dell'impotenza dell'uomo con la sua scienza esatta ad infrangere tale velo. Altre raccolte del poeta(Odi ed inni, I poemi italici, I poemi del risorgimento, I poemi conviviali, Le canzoni del re Enzio) non raggiungono tali livelli artistici, ma rappresentano un momento per così dire decisamente minore nella produzione poetica pascoliana, con risultati quindi modesti,  in quanto vi sono atteggiamenti da poeta-vate, un tono più solenne ed impegnato in senso civile, che male si addice all'indole del Pascoli .
Da un punto di vista metrico con il Pascoli si ha la definitiva frammentazione della strofe classica, che poi giungerà, specie in D'Annunzio, al verso libero. Ciò influenzerà in modo decisivo tutti i poeti successivi.
Da ricordare infine una bella raccolta di poesie latine ( i Carmina) , con cui Pascoli, come sopra menzionato, vinse molte edizioni del concorso di Amsterdam. Da non sottovalutare i numerosi scritti di critica letteraria, saggistica e, soprattutto, di esegesi dantesca (Minerva oscura, Sotto il velame, La mirabile visione)

 

 

GABRIELE D'ANNUNZIO (1867-1938)

 

E' stato insieme al Pascoli il poeta italiano più rappresentativo del nostro Decadentismo, aprendosi alle esperienze europee e cercando di assimilarne i risultati più validi .Intorno alla sua figura si creò ben presto un mito, un vero e proprio alone di leggenda, a causa della vita inimitabile ed irripetibile, raffinata, fastosa ed avventurosa, con cui D'Annunzio incarnò la figura dell'esteta-superuomo. La partecipazione alla vita politica , il clamoroso e momentaneo passaggio dalla Destra alla Sinistra, l'acceso interventismo, le imprese di guerra durante il primo conflitto mondiale(volo su Vienna, beffa di Buccari ),l'occupazione di Fiume e più tardi le aperte simpatie per il nascente fascismo, contribuirono a fare di D'Annunzio un vero protagonista delle cronache del tempo : se poi a ciò si aggiungono i tanti amori, le fughe, i duelli ecc.si può dire che il poeta pescarese è stato il primo esempio moderno di uomo immagine, abilissimo amministratore del suo look sia privato che pubblico. In somma egli è stato" il vero dominatore del liberty italiano tra aristocratico e pacchiano", secondo la felice espressione del critico Giuseppe Petronio .
Da un punto di vista critico-letterario la posizione di D'Annunzio è stata oggetto di numerose prese di posizione :Benedetto Croce , come al solito diffidente verso il decadentismo, definì il D'Annunzio "un dilettante di sensazioni", volendo indicare con tale definizione una certa superficialità del poeta abruzzese, attentissimo al valore plastico della parola e delle forma, ma privo di un autentico mondo interiore di valori morali ed ideali. Dal dopo- guerra ad oggi si sono avuti momenti di maggiore o minore fortuna. Sicuramente la grande fortuna di D'Annunzio va ricercata in alcuni precisi fattori. Innanzi tutto egli seppe offrire agli Italiani medio e piccolo-


borghesi  del suo tempo suggestive occasioni di evasione dal grigiore quotidiano, aprendo davanti ai loro occhi mondi esclusivi e raffinati, stimolando la  fantasia dei lettori con scenari esotici e con ogni altra seduzione letteraria.
Oggi la critica circoscrive la sua attenzione ad alcune opere in particolare, quelle più intime, nostalgiche ed  "umane", ove tanti orpelli retorici e superomistici sono stati dal poeta messi da parte.
Specialmente il teatro è oggi quasi del tutto dimenticato, in quanto ritenuto in gran parte insincero, prolisso e retorico, dominato da forti evocazioni e suggestioni politiche e nazionalistiche.

 

Poetica ed ideologia

Non si può parlare di un vero nucleo coerente di idee in D'Annunzio, quanto della presenza di certi atteggiamenti nei confronti della vita che hanno permeato fortemente tutta la sua produzione letteraria.
In particolare ricordiamo :una forte sensualità, l'adesione alla vita in modo totale e "panico"(il panismo, dal dio Pan, divinità greca ella natura, sta ad indicare la piena immedesimazione del poeta nella natura non a livello esistenziale, ma proprio a livello tattile, olfattivo, fisico, corporeo insomma )
esuberanza e vitalità" pagana", atteggiamento aristocratico e superomistico, disprezzo per il volgo e la mediocrità piccolo- borghese (con le conseguenti implicazioni di tipo politico), momenti di intenso misticismo.
Da un punto di vista strettamente tecnico è stato un vero innovatore del verso, rompendo definitivamente, sulla scia del Pascoli, le strutture metriche tradizionali ed intaccando l'unità della strofe, approdando definitivamente  al verso libero: assume in lui un ruolo essenziale la plasticità del verso con la sua intima musicalità. Il lessico appare molto vario e raffinatissimo, con qualche toscanismo o con qualche forma arcaicizzante.

 

I romanzi

Il romanzo "Il piacere"1889) inaugura nella figura di Andrea Sperelli il mito del dandy, dell'esteta colto e raffinato , sull'esempio del Dorian Gray di Wilde . Appare un ideale di vita inimitabile ed irripetibile, con evidenti  punte di narcisismo. La vita deve essere perfetta come un'opera d'arte.Nei successivi romanzi si avverte una precisa evoluzione, anche a seguito della lettura ed assimilazione delle opere del filosofo F. Nietzsche, per cui compare una nuova figura di esteta con una più marcata connotazione politico-ideologica.Claudio Cantelmo, protagonista de "Le Vergini delle rocce " interpretando in modo personale le tesi di Nietzsche, delinea i caratteri di uno stato autoritario e corporativo, in cui solo pochi eletti esercitano il potere su una massa plebea senza diritti, che deve solo obbedire , lavorare e riprodursi. Come si vede attraverso i proclami del protagonista D'Annunzio di fatto propone un modello politico , che anticipa nella sua fisionomia illiberale, nazionalistica ed imperialistica il futuro stato fascista e nazista.
Altri romanzi di rilievo sono: "Il trionfo della morte",in cui c'è la forte identificazione autobiografica del poeta in Giorgio Aurispa  e di Barbara Leoni in Ippolita Sanzio, i due protagonisti del romanzo.   
"Il fuoco", ambientato in una  Venezia dalle tinte fortemente decadenti e sensuali, anch'esso fortemente autobiografico, in quanto ricostruisce la passionale vicenda d'amore del poeta per la celebre attrice Eleonora Duse, a lui legata sentimentalmente per diversi anni, attraverso i due protagonisti Stelio Effrena e la Foscarina. Tuttavia , da un punto di vista tecnico-formale, il


romanzo più innovativo è senza dubbio "Il notturno", scritto dal poeta in un momento particolare della sua vita.Si tratta di un'opera originalissima, che risale al 1916, cioè in piena guerra allorché il D'Annunzio, durante un atterraggio, colpì violentemente il capo contro l'aereo e rimase ferito ad un occhio. Subì un lungo e complesso intervento chirurgico con temporaneo distacco della retina e lunghi mesi di convalescenza, immobile a letto, totalmente bendato,  con temporanea cecità .Poiché l'esigenza di scrivere era troppo forte in lui, aiutato dalla figlia Renata(da lui chiamata la Sirenetta), attraverso una tavoletta mobile, che gli consentiva di poter scrivere su piccole striscioline di carta, creò un romanzo
della memoria, fatto di vibrazioni interiori, emozioni legate al momento di convalescenza, allucinazioni, flashback, atmosfere, aromi, colori, che riaffiorano dall'inconscio senza un'apparente legame logico, attraverso l'uso frequentissimo della sinestesia.La critica letteraria, nel sottolineare l'originalità di questo romanzo, lo ha definito tattile , olfattivo, vicino alle esperienze di Proust e Joyce. Nell'ambito della narrativa D'Annunzio scrisse anche due romanzi di approfondimento psicologico, in cui si avverte l'assimilazione di grandi autori russi come Tolstoj e Dostoevskj : essi sono "L'Innocente" e "Il Giovanni Episcopo".
Anche la raccolta di novelle "Le novelle della Pescara", testimonia l'evoluzione dello stile del poeta, che, almeno inizialmente, si ispirò al Verga e al verismo. Tuttavia il "verismo" di D'Annunzio non ha quei caratteri umani e sociali tipici del Verga. Al contrario D'Annunzio descrive spesso aspetti deformi, morbosi e raccapriccianti della realtà , con evidenti compiacimenti, in alcuni casi, di tipo sensuale o macabro.
Lo stile dell'autore appare in tutte le sue opere attento e sorvegliato, raffinato e in certi casi assai sostenuto; egli possiede grande duttilità e plasticità di linguaggio, con una sconfinata padronanza del lessico. Le descrizioni sia dei paesaggi, che degli interni sono ricchissime di dettagli e di particolari, ricostruiti con fantasia .Insomma come narratore D'Annunzio è stilisticamente abile, raffinato e prezioso.

 

Le raccolte poetiche

Tra le tante raccolte poetiche del poeta abruzzese, vale la pena di citarne in particolare due : " Il poema paradisiaco" e "Le Laudi".La prima indica nel titolo il poema dei giardini ed è dominata da una forte sensualità languida e stanca, quasi malata ; è il momento del raccoglimento  e della stanchezza dopo il godimento. Questa raccolta ha influenzato in modo non trascurabile alcuni poeti, definiti dalla critica Crepuscolari , proprio per certe atmosfere intimistiche, sofferte ed incentrate su aspetti della quotidianità. Ma la raccolta più impegnativa è sicuramente la seconda :"Le Laudi della terra, del cielo, del mare e degli eroi", che in origine doveva constare di sette volumi ; D'Annunzio ne scrisse cinque :"Maia", "Elettra", Alcyone","Merope""Asterope". Si tratta di una mole immensa di poesia, che trae spunto dai temi più disparati : descrizioni di paesaggi e città, momenti di sogno e malinconia, ma anche di esaltazione patriottica e nazionalistica. Di questi volumi, a giudizio unanime della critica, il terzo Alcyone risulta il migliore , il momento più alto della lirica dannunziana.
Molte di queste liriche di Alcyone furono scritte in Toscana, durante un soggiorno del poeta insieme alla Duse nella pace dei boschi del Casentino (Pieve di Romena) , o nelle spiagge assolate  della Versilia.
La ragione della validità di questa raccolta va ricercata nel fatto che qui D'Annunzio si spoglia dei panni del vate, del tribuno, si lascia andare alla malinconia ed alla nostalgia o alla contemplazione estatica della solarità dell'estate. Abbandonando l'abito da superuomo, riscopre per un attimo la sua umanità. Sono versi questi di Alcyone carichi di grande musicalità , con suggestioni intense e vibranti, piene di calore solare e mediterraneo, talora di struggente raccoglimento. Il  "panismo" del


poeta, la sua totale adesione alle voci profonde della natura, ha, come s'è già detto, qualcosa di fortemente sensuale e pagano ; è un contatto fisico ed epidermico con la natura senza particolari connotazioni di tipo cosmico- esistenziale, comenel caso del Pascoli.

 

Il teatro dannunziano

Il teatro, come già accennato, costituisce oggi la parte più anacronistica e artisticamente meno valida dell'opera di D'Annunzio, poiché in esso sono presenti l'eccessivo preziosismo verbale,la lussuria, il diabolico ed il perverso, l'orrido, il barbarico, il primitivismo, il superomismo, l'esaltazione imperialistico-nazionalistica ; tutti elementi che rendono tale teatro retorico, magniloquente, ampolloso e poco sincero. Non c'è mai un confine preciso tra la sincerità dei sentimenti ed il gusto della posa goffa e di maniera.
Tali rappresentazioni vanno, ovviamente, inquadrate nel gusto del tempo ; successivamente la comparsa del teatro pirandelliano, con problematiche di gran lunga più complesse e più sostanziali, segnò il definitivo tramonto delle effimere glorie teatrali dannunziane.Tra le opere a suo tempo  più note si possono ricordare :Francesca da Rimini, La città morta, La fiaccola sotto il moggio, La gioconda,La figlia di Jorio, La nave, Il martirio di San Sebastiano (in francese).Tra queste opere, quella maggiormente apprezzata dalla critica è La figlia di Jorio poiché questo dramma è ambientato in un remoto Abruzzo pastorale. Un esempio eclatante di  motivazioni spesso estranee all'ispirazione artistica è La nave (1908), opera infarcita di retorica nazionalistico-imperialistica, che anticipa il clima della guerra di Libia. Proprio alcuni versi di tale tragedia forniranno al regime fascista  gli adatti "slogan" propagandistici (es."Arma la propria e salpa verso il mondo !","Fa' di tutti gli oceani il Mare Nostro").

 

I poeti  "crepuscolari"

 

Nel primo decennio di questo secolo vi furono due esperienze culturali , che dettero un importante contributo alla cultura di quegli anni, da un lato ricollegandosi all'esperienza decadente, da cui nascono, dall'altra segnando l'inizio di una nuova fase della cultura del novecento e gettando il germe anche per successivi approfondimenti e sviluppi nel campo delle arti figurative, del teatro e del cinema. Si tratta dei Crepuscolari e dei Futuristi, tanto diversi tra loro, ma accomunati da un senso di disagio e di reazione di fronte ad un cambiamento epocale assai lacerante come quello allora in atto nel passaggio dalla vecchia società e cultura ottocentesca alla moderna società di massa.
I Crepuscolari non costituirono una vera e propria scuola; si trattò di alcuni poeti accomunati da atteggiamenti e canoni poetici simili :Guido Gozzano, Sergio Corazzini, Marino Moretti,sono i principali esponenti di questa tendenza poetica, che ebbe un certo seguito negli anni precedenti il primo conflitto mondiale e che influenzò non poco le successive esperienze poetiche (ad es. Saba).
Da un punto di vista della poetica, i Crepuscolari risentono l'influsso del Pascoli (la poesia delle piccole cose, una specie di trionfo della "quotidianità"), ma anche del Poema paradisiaco del D'Annunzio per certe tonalità  languide e flebili. La definizione di Crepuscolari fu data dal critico Giuseppe Antonio Borgese nel 1908, il quale voleva indicare con questo termine certe tinte languide, sfumate, e patetiche della loro poesia, che rappresenta il crepuscolo, cioè il tramonto del vecchio secolo (l'ottocento), che è da poco morto con le sue certezze, valori consolidati, lasciando il posto al nuovo secolo (il novecento), carico di incognite e minacciosi presagi . L'atteggiamento


crepuscolare di fronte alla vita  rappresenta dunque in non piccola parte la nostalgia, la paura, lo sgomento, l'ansia di chi vede chiudersi un'epoca (l'ottocento), un mondo forse un pò angusto e provinciale, ma carico di valori e certezze definite, e guarda con comprensibile paura e angoscia  al nuovo mondo novecentesco, che comporta cambiamenti così radicali e densi di incognite.
Per tutte queste ragioni i Crepuscolari ripiegano nostalgicamente verso il recente passato con le sue sane abitudini di vita; vi è l'aspirazione al sano e quieto stile di vita borghese, fatto di consolidate abitudini. Tipiche immagini della poesia crepuscolare sono : l'aspirazione ad una tranquilla vita provinciale, un pò appartata e schiva, le smanie e le noie delle lunghe domeniche di provincia, le case un pò vecchie e trascurate con i giardini ricoperti di muschio ed edera, piccole stazioni ferroviarie deserte,corsie di ospedali percorse in silenzio da monache, organetti di barberia che intonano tristi melodie.
Lo stile crepuscolare è dimesso e prosaico, una poesia che sembra prosa in versi , in ciò la poesia crepuscolare si avvicina molto al Pascoli, mentre è invece lontanissima dalla ricchezza ed esuberanza verbale del D'Annunzio. L'autore più significativo del gruppo crepuscolare è senza dubbio il piemontese Guido Gozzano, morto poco più che trentenne di tubercolosi. Egli che in origine era stato attratto da D'Annunzio, divenne con il tempo il più ironico e deciso negatore di tale modello sia poetico che di vita. In effetti nelle sue raccolte poetiche più significative (I col-
loqui, La via del rifugio), esprime una forte ironia nell'esaltare uno stile di vita antidannunziano ed antieroico, tutto raccolto nel vagheggiamento delle "inutili cose di pessimo gusto. In tale atteggiamento verso la vita, emblematicamente raffigurato nella caricatura di Totò Merumeni, vi è l'ironica parodia di un intellettuale fallito, sradicato dalla società del suo tempo, in preda ad una autentica malattia morale, che fu tipica di gran parte di  quella generazione .             

 

 Il Futurismo

 

Questo movimento ebbe portata europea con importanti esiti nel campo delle arti figurative, teatro e cinema.Il teorico del movimento fu Filippo Tommaso Marinetti, ma un ruolo di rilievo ebbero altri esponenti sia italiani, che europei come Carrà, Severini, Balla, Russolo, Boccioni, Apollinaire e Majakovskj. Il futurismo fu nel suo genere una vera rivoluzione culturale non solo sul piano delle idee, molte delle quali per altro non ebbero esiti concreti, quanto proprio nelle tecniche espressive.
Nel 1908 a Parigi, sul quotidiano Le Figaro, Marinetti pubblicò i famosi manifesti, che divulgarono le tematiche del movimento. Il futurismo propugnava: l'ideale di una società proiettata
nel futuro, l'esaltazione del progresso tecnologico, la competitività esasperata, il mito della velocità collegata all'immagine dell'automobile e dell'aereo, insomma una concezione dinamica, energica e persino violenta della vita, in opposizione con le tradizioni borghesi dell'ottocento.
In politica Marinetti e gli altri seguaci del futurismo furono accesi interventisti, nazionalisti e militaristi esasperati, sostenitori di uno stato autoritario, antidemocratico ed anti liberale, contrari alle istituzioni parlamentari, arrivarono persino a definire la guerra come "l'unica igiene del mondo" o come " il caldo bagno di sangue rigeneratore dopo tanto latte materno" .
Il vero simbolo del movimento, come detto, è l'automobile (la Fiat nasce a Torino nel 1899 ), che esprime velocità e competitività; nelle arti figurative con Carrà,  Boccioni, Severini ed altri si sperimentano nuove tecniche espressive , che aprono la strada all'arte contemporanea.
Nel manifesto tecnico della cultura futurista Marinetti sosteneva la necessità  di rivoluzionare il testo scritto, abolendo la punteggiatura, distruggendo la sintassi, a abbinando parole ed immagini, anticipando in tal modo il moderno linguaggio della comunicazione. In campo teatrale certe


intuizioni di Marinetti , soprattutto a livello delle scenografie, luci ecc., saranno più tardi riprese da Pirandello.
Al di là delle tante provocazioni o di atteggiamenti velleitaristici, che il movimento ebbe ("uccidiamo il chiaro di luna", "liberiamo l'Italia da questa fetida cancrena di archeologi, professori e rigattieri"), il futurismo fu certamente portatore di novità nel panorama letterario del tempo.
Tali posizioni col tempo si stemperarono e lo stesso Marinetti, antiaccademico e dissacratore delle tradizioni, divenne poi , una volta confluito nel fascismo, accademico d'Italia !
I migliori risultati furono conseguiti nel campo delle arti figurative, mentre in ambito letterario  gli esiti furono sicuramente più modesti , al di là dei propositi ed intenzioni. Tuttavia alcuni scrittori  e poeti di un certo livello subirono, almeno all'inizio, l'influsso futurista ; questo fu il caso di Palazzeschi, Govoni e in parte dello stesso Ungaretti.

 

 

ITALO SVEVO (1861-1928)

 

Questo autore si colloca in un ambiente culturale un pò periferico ed estraneo alle tradizioni della nostra  cultura. Lo scrittore nacque a Trieste, che allora faceva parte dell'Impero Asburgico ; il padre era tedesco, di origine ebraica, la madre italiana, il suo vero nome era Ettore Schmitz.
Prese lo pseudonimo artistico di Italo Svevo, proprio per voler indicare le sue due anime e culture di provenienza, quella germanica e quella italiana. Da un punto di vista critico-letterario si è a lungo parlato del cosiddetto caso Svevo, per voler indicare il notevole ritardo con cui quest'autore è stato conosciuto ed apprezzato, specie in Italia. Svevo passò ignorato da Croce e dagli altri critici di professione ; solo Montale in un saggio del 1925 sulla rivista L' esame, lo presentò per la prima volta all'attenzione dell'opinione pubblica del nostro paese. Un altro estimatore dello scrittore triestino fu il grande autore irlandese James Joyce, che visse a Trieste per alcuni anni, conobbe Svevo, cui impartì anche lezioni di lingua inglese e che fece di tutto per farlo conoscere a livello europeo. Una vera e propria rivalutazione di Svevo si è avuta negli ultimi trenta anni ; di recente sono stati pubblicati scritti inediti, tra cui l'abbozzo del "quarto romanzo ", novelle, favole, opere teatrali ecc. Tuttavia è bene concentrare la nostra attenzione sui tre romanzi completati ed editi da Svevo, che sono Una vita ( 1892), Senilità (1897), La coscienza di Zeno (1923)
Il primo romanzo passò del tutto inosservato, così come anche il secondo fu quasi ignorato.
Visto il clamoroso insuccesso registrato, Svevo decise di abbandonare la letteratura e si dedicò all'azienda di famiglia .Aveva sposato nel frattempo Livia Veneziani, la cui famiglia era titolare di una grossa ditta di vernici sottomarine. Solo dopo ben venticinque anni uscì il terzo romanzo La coscienza di Zeno,  che ebbe il sospirato successo. Morì pochi anni più tardi (1928) a seguito di un incidente automobilistico.
I primi due romanzi sono ancora di impianto tradizionale : vi è una certa capacità descrittiva degli ambienti piccolo-borghesi  triestini , descritti con un certo realismo.
In questo impianto ancora prevalentemente naturalista- verista, tuttavia, comincia ad imporsi una attenta analisi psicologica dei protagonisti. Compare il tipo dell' inetto, cioè dell'individuo incapace di vivere . Alfonso Nitti, protagonista di Una vita, è un inetto totale, vive di sogni, di fantasie e di autoinganni. Non affronta concretamente e con decisione la realtà, fugge di fronte alle decisioni, si crea degli alibi interiori, pur di sfuggire alle sue responsabilità.
Si innamora di Annetta, la figlia del banchiere Maller, presso cui lavora come impiegato ; non è in grado però di gestire questo rapporto e nel momento decisivo delle scelte con una scusa banale


abbandona Annetta, la quale finirà con il preferirgli un altro. Evidentemente Alfonso non era riuscito a prendere in pugno la situazione, a viverla con decisione, ma in preda alle solite indecisioni e paure interiori, era fuggito di fronte alle sue responsabilità . Preso dallo sconforto Alfonso si suicida, compiendo un gesto velleitario di vago sapore romantico.
In Senilità il protagonista è Emilio Brentani, un "inetto a metà", nel senso che prova a lottare, a vivere, anche se rimane sconfitto dalle circostanze della vita, vittima anch'egli degli alibi interiori, delle paure e dell'autoinganno.
Emilio conduce una vita grigia ed insipida accanto alla sorella Amalia, precocemente invecchiata e zitella. La monotonia di tale grigiore si interrompe all'improvviso con la comparsa di Angiolina,  insieme alla Ghisola di Tozzi una delle più vive figure femminili  della nostra  narrativa moderna.; è una ragazza sensuale e piena di vita, di origini popolari e di dubbia moralità .Emilio la vede con occhi diversi e non prende sul serio i suggerimenti dell'amico Balli, che , da grande esperto della vita e delle donne, ha capito che tipo sia Angiolina . Egli si crea apposta alibi interiori e autoinganni per non vedere una realtà non gradita. Quando Angiolina lo abbandona, egli si rassegna alla sconfitta, non ricorre al suicidio come Alfonso Nitti, ma rientra in silenzio nel grigiore quotidiano della sua vita precedente, rassegnandosi alla senilità, cioè a sentirsi vecchio a soli trentacinque anni. 
Il terzo inetto è Zeno Cosini, protagonista del capolavoro di Svevo, "La coscienza di Zeno "; egli è un inetto tutto speciale, perché da un punto di vista sociale ed economico è un uomo perfettamente realizzato, almeno secondo i canoni borghesi del suo tempo ;  ha una moglie che lo adora, dei figli, una famiglia solida ed ineccepibile, è insomma un uomo rispettabilissimo . Quello che manca a Zeno è la forza di volontà, cioè la convinzione autentica con cui affrontare la vita; gli manca la interiore determinazione ad affrontare le scelte, le decisioni che la vita comporta , la necessaria coerenza interiore.
Questo romanzo introduce anche importanti innovazioni dal punto di vista formale ; non è più un romanzo di impianto naturalistico- verista come i precedenti ; questo è un romanzo psicologico e psicanalitico in cui si avverte la lettura ed una certa conoscenza delle teorie freudiane. Il romanzo è scritto sotto forma di  anamnesi cioè secondo quel flusso di impressioni e ricordi , che convogliati dalla memoria risalgono dall'inconscio, proprio come sollecitato dalla pratica psicanalitica.
Il referente di tale anamnesi è un misterioso  Dott. S.,dietro il quale si è voluto vedere addirittura lo stesso Sigmund Freud. Il romanzo, ovviamente non ha una trama logico-consequenziale, non segue le categorie tradizionali del tempo e dello spazio, non ha un prima ed un poi; il passato ed il presente si mescolano continuamente in un flusso ininterrotto di ricordi e sensazioni, spesso nel tempo della vita reale assai distanti tra loro ; non c'è più il tempo reale,ma il tempo misto o della memoria.
Nelle varie sezioni del libro (non i tradizionali capitoli, dunque), appaiono momenti, fasi della vita di Zeno apparentemente slegate tra loro, ma collegate dall'intima coerenza psicologica della sua coscienza, che è in definitiva la vera protagonista del romanzo e che cerca di capire con sottile ironia i meccanismi inconsci, che presiedono  alle scelte di vita operate.
La malattia di Zeno consiste dunque nel non saper prendere sul serio la vita,nel non saper compiere scelte autentiche e convinte, ma piuttosto nel lasciarsi guidare dalle circostanze.
Il vizio del fumo, da cui trae origine l'incontro con lo psicanalista  è la spia di un profondo malessere esistenziale, dell'incapacità di mettere in moto la forza di volontà e smettere dunque di fumare. Diventa il sintomo della malattia morale di un'intera generazione, di tutta una cultura ed una società al capolinea, incapace di trovare autentici valori di vita. Alcuni critici hanno visto in questo romanzo di Svevo una specie di pietra miliare della crisi morale della borghesia mitteleuropea. 
Di fronte alla crisi di valori, allo sfacelo morale, alle tante ipocrisie di una società ormai senza più autentici valori, Svevo si guarda intorno con ironia, smontando alibi interiori ed autoinganni,


cogliendo le assurdità e le motivazioni più oscure con cui l'uomo spesso si confronta con la vita.
La conclusione cui  arriva l'autore è sconvolgente e drammatica : altro che psicanalisi,di fronte ad una società malata alle radici ci vuole ben altro!  Una tremenda esplosione che,  ponendo fine all'attuale civiltà ormai esaurita, ad un progresso devastante e disumano, riporti la terra alle origini, priva di malattie e parassiti. I pochi sopravvissuti ritroveranno così la salute e ricominceranno tutto il cammino da capo !
Da un punto di vista tecnico-formale, come detto in precedenza, La coscienza di Zeno  è un romanzo nuovo ed originale, almeno in Italia : dominano il discorso indiretto libero, i lunghi monologhi interiori, che si differenziano dalla tecnica usata da Joyce dei flussi di coscienza(stream of consciousness ).A differenza dello scrittore irlandese in cui tutto il magma sotterraneo delle sensazioni e ricordi riaffiora caotico e confuso dai recessi più nascosti dell'inconscio, in Svevo c'è la voglia di razionalizzare, mettere ordine, capire i sottili meccanismi interiori, portare alla superficie gli espedienti della nostra coscienza, pur di non vedere la realtà e affrontarla dunque con coraggio e razionalità . La lingua usata da Svevo non è  un italiano purissimo, emergono anche talora durezze espressive ed espressioni improprie, al punto che un  critico ha usato l'espressione "lo scriver male "di Svevo.
In realtà, valutando tutto il complesso dell'opera di Svevo, si può concludere che si tratta di difetti sostanzialmente marginali in uno scrittore finalmente moderno, che ha aperto il romanzo italiano alle esperienze più innovative dell' Europa.

 

LUIGI  PIRANDELLO   ( 1867-1936)

 

Questo scrittore, che è uno dei pochi premi Nobel (1934 ) della nostra letteratura, ha rappresentato un momento assai significativo di svolta, specie nella produzione teatrale, di cui in questo secolo può essere considerato come il massimo esponente .
Pirandello tardò notevolmente ad imporsi all'attenzione del pubblico e della critica per varie ragioni :
in primo luogo le sue tematiche apparivano troppo complesse e diverse dal dannunzianesimo allora dominante, in secondo luogo vi  fu l'ostilità tenace della critica ufficiale con Croce  in testa,che non fece mai mistero elle sue antipatie verso l'opera dello scrittore siciliano. Benedetto Croce fu molto severo con Pirandello, giudicandolo un autore cerebrale, avvocatesco, più un filosofo che un artista,creatore di situazioni troppo paradossali e impensabili, eccessivamente contorto e complicato.Tale giudizio di Croce non si limitava solo alla sostanza delle opere di Pirandello, ma anche all'aspetto formale,allo stile, giudicato da Croce trasandato, grigio, poco curato.
Contro tali critiche Pirandello si difese in seno all'Accademia d'Italia, di cui entrò a far parte, dicendo che egli apprezzava gli scrittori di cose e non gli scrittori di parole, facendo una chiara allusione al D'Annunzio.
Ancora nel 1913 un giovane critico allora assai  apprezzato Renato Serra, giudicava Pirandello come "Un buon scrittore da terza pagina".Il vero successo l'autore lo ottenne a partire dagli anni venti, grazie alla produzione teatrale, in particolare a "I sei personaggi in cerca di autore",con cui si impose e non solo in Italia .    
Secondo il parere di alcuni studiosi Pirandello, proprio per "sfondare", cioè per imporsi , per ottenere successo, si sarebbe iscritto al partito nazionale fascista, per di più in un momento assai delicato, subito dopo il delitto Matteotti (1924).Tale ipotesi è stata oggetto di discussioni e i pareri non sono ancora concordi. Certo è che l'adesione al fascismo aprì a Pirandello la porta della


notorietà ; fu chiamato a far parte dell'Accademia d'Italia, che era la più prestigiosa organizzazione di alta cultura dell' Italia fascista. Tuttavia non si può spiegare tale scelta di Pirandello solo con argomenti di tipo utilitaristico ; certo nel regime fascista egli vedeva, come tanti Italiani della piccola borghesia del tempo, un rimedio contro il disordine sociale, contro l'eccessiva disgregazione sociale, non  ultimo anche la difesa di certi privilegi ed interessi corporativi, quelli appunto del pubblico impiego, della piccola borghesia, che coma classe sociale si trovò compressa tra l'avanzata del mondo operaio da una parte e lo strapotere economico-politico della grande borghesia. Tuttavia è bene ricordare che Pirandello , specie negli anni trenta prese le distanze dal regime fascista, vivendo per lunghi periodi all'estero, non condividendone soprattutto la concezione superficialmente ottimistica, piena di certezze , mai intaccata dal dubbio, tutta protesa in un discutibile e sterile vitalismo, troppo spesso parolaio, rozzo e provinciale .
La piena valorizzazione di Pirandello si è avuta dal dopo-guerra ad oggi ; nella sua opera si è colta la grande novità di un artista che , meglio di altri, ha rappresentato nelle sue opere la crisi esistenziale, morale ed umana, non solo della piccola borghesia del tempo, ma di tutta un società in un difficile momento di sbandamento delle coscienze e dei valori ; per molti aspetti l'opera di Pirandello appare ancora oggi assai attuale e tale da riflettere la crisi  esistenziale e di valori dell'uomo contemporaneo.
I temi di fondo dell'opera di Pirandello sono i seguenti : l'incomunicabilità e la solitudine dell'individuo, l'alienazione e la frustrazione nella moderna società di massa, il crollo dei valori e delle certezze tradizionali ed il conseguente senso di vuoto, il drammatico contrasto tra l'essere e l'apparire, la critica dello scrittore ad una società ipocrita e formalista, attenta alle sole apparenze, il relativismo, cioè l'assenza di una verità oggettiva e valida per tutti .
Come si vede sono temi di grande spessore esistenziale, che appaiono sia nelle novelle, sia nei romanzi, sia , soprattutto nella produzione teatrale che meglio si prestava a trattare tali concetti in modo efficace. Tuttavia per capire a fondo questa serie di tematiche occorre tener presente la chiave di lettura che l'autore stesso teorizza in un suo celebre saggio del 1908 L'umorismo ovvero il sentimento del contrario. In  tale saggio Pirandello chiarisce la differenza tra il comico, che suscita la spontanea e semplice ilarità e l'umoristico, che invece fa scaturire la riflessione e un sorriso amaro,  con cui ci si rende conto che troppo spesso l'essenza più profonda della realtà è l'esatto opposto della sua apparenza. Nel fare l'esempio della donna , non più giovanissima, tutta agghindata e truccata come un pappagallo, lo scrittore ci fa chiaramente capire come alla prima reazione spontanea (la risata un pò superficiale), se vengono a galla le autentiche ragioni umane di tale situazione, di necessità subentra l'amarezza della riflessione e quindi la pietà verso il dolore delle persone; l'umorismo dunque fa scattare la riflessione carica di umanità verso le sofferenze dell'individuo umano (un ridere per non piangere ! )
All'inizio, come tutti gli scrittori siciliani, anche Pirandello prese le mosse da Verga, che era in quel anni per tutti il necessario punto di riferimento. Tuttavia il "verismo" di Pirandello è solo apparente e riguarda certe situazioni ambientali, senza intenti di carattere descrittivo-sociale. In effetti alcune novelle di Pirandello (La giara, Ciaula scopre la luna ecc.) sono ambientate in Sicilia e rievocano certa letteratura verista ; bisogna però precisare che, a differenza di Verga, Pirandello non era interessato, come detto, al documento sociale, all'analisi oggettiva ed impersonale, ma mirava piuttosto all'introspezione psicologica, allo scavo delle coscienze.
La prima opera narrativa di notevole impegno, che accompagnò tutta la vita dello scrittore sono Le novelle per un anno, che in origine dovevano essere 365 (una al giorno per un anno ), ma che poi furono 225).
In questa complessa opera possiamo distinguere tre nuclei : le prime novelle ambientate in Sicilia, di stampo campagnolo e "verista", le novelle "romane" ( la gran parte delle novelle della raccolta), ambientate nella caotica e confusa vita della capitale, ed hanno per protagonisti  tipici esponenti della piccola e media borghesia cittadina (impiegati, magistrati, avvocati, insegnanti ecc.).Vi è


infine un ultimo gruppo di novelle, scritte negli ultimi anni di vita dall'autore, che riflettono una evoluzione, un cambiamento di Pirandello ; sono le cosiddette novelle "surrealiste".
Il significato più autentico dell'opera di Pirandello si può cogliere, oltre che nelle novelle , anche nei romanzi, anche se non tutti di pari pregio artistico.
Il primo romanzo di un certo rilievo è L'esclusa (1893), in cui appare uno dei temi tipici dello scrittore cioè il paradosso (la realtà della vita supera ogni possibile fantasia).La protagonista del romanzo Marta Ayala è una giovane donna accusata ingiustamente dal marito di adulterio e per ciò viene cacciata di casa ; il paradosso sta nel fatto che viene poi perdonata e riaccolta in casa dal marito , quando veramente stavolta l'ha tradito
Nel 1904 Pirandello compose quello che viene considerato il suo migliore romanzo Il fu Mattia Pascal, che presenta tute le tipiche tematiche dell'autore, che ne curò anche, proprio poco prima di morire la realizzazione cinematografica negli studi  di Cinecittà. Il protagonista è il solito piccolo-borghese frustrato che conduce in provincia una vita grigia e monotona tra dissapori familiari, ossessionato dai rancori della suocera (la vedova Pescatore) , dai non facili rapporti con la moglie Romilda, specie dopo la morte di una figlioletta, e dalla difficile situazione economica .
Dopo la morte della madre Mattia si allontana momentaneamente dal suo paese Miragno, si reca a Montecarlo, ove al casinò vince una cospicua somma di denaro. Sulla via del ritorno a casa, in treno, legge un trafiletto di giornale in cui lo si dava per morto suicida ; era stato trovato nello stagno di un suo podere un corpo, ormai decomposto, ed era stato scambiato per il suo. Di fronte a tale notizia si apre nella sua mente uno spiraglio del tutto imprevisto : Mattia si illude per un attimo di potersi liberare con questa sua presunta morte della suocera, della moglie, dei creditori, di poter insomma ricominciare tutto da capo con un altro nome, in un'altra città, di poter finalmente vivere. E qui compare uno dei temi tipici del romanzo l'impossibile fuga dal matrimonio, dall'oppressione della famiglia, non più come in Pascoli nido di amore e di affetti. Questa illusione naufraga tuttavia nell'impossibilità di ricrearsi una nuova identità, nonostante si sia inventato un nome fittizio (Adriano Meis) : egli si innamora di una ragazza Adriana, ma non la può sposare, perché per la legge Adriano Meis  non  esiste, non può denunciare un furto subito, non può sfidare a duello un uomo, che lo ha offeso. Ed è questo il secondo grande tema del romanzo, cioè l'impossibilità di vivere al di fuori della forma, della maschera, che la società ci impone per essere vivi. Non si vive al di fuori della forma, della parvenza sociale . Ognuno conta per quello che è sulla carta, per la maschera che porta e non per quello che è interiormente, anzi senza maschera, senza ragione sociale, neanche si esiste. Di fronte a tale impossibilità di ricrearsi una seconda vita, Mattia finge il suicidio (muore così per la seconda volta ! ) e torna a Miragno, ove nel frattempo tutto è cambiato : Romilda si è risposata, la suocera lo maledice nel vederlo, tutti gli altri a malapena lo riconoscono. A Mattia non rimane  che trascorrere del tempo nella biblioteca, dove lavorava, ospitato dalla vecchia zia Scolastica e portare ogni tanto dei fiori sulla tomba, ove era stato sepolto uno sconosciuto con il suo nome. La morale del romanzo è tutta nel contrasto tra la realtà della vita, a volte assurda e paradossale e la forma,  che è poi alla fine l'unica cosa che conta. Noi siamo vivi, solo perchè iscritti nei registri anagrafici, senza documenti, senza stato civile, non esistiamo anche se siamo vivi in carne ed ossa.    
Tra gli altri romanzi di Pirandello di un certo rilievo citiamo I quaderni di Serafino Gubbio operatore, che è un'amara e lucida previsione dell'alienazione dell'uomo contemporaneo sempre più simile ad un robot, condizionato dalla macchina in modo sempre più  invadente. Serafino è un operatore cinematografico che col tempo di è talmente identificato con la cinepresa, da diventare una specie di appendice alla manovella, che egli passivamente gira come un automa e  un robot .
Tale problematica sarà ripresa in un celebre film successivo Tempi moderni, con la straordinaria interpretazione di Charlie Chaplin. Altro romanzo di un certo rilievo, anche se non troppo fortunato è Suo marito, che in origine aveva un altro titolo (“Giustino Roncella nato Boggiolo”), pubblicato nell'edizione finale postumo dal figlio Stefano. Si ispira alla vicenda  di vita della scrittrice Grazia


Deledda, e per questo motivo, dopo la prima edizione, per delicatezza nei confronti della collega,  Pirandello decise di non ripubblicarlo.Nel libro sono interessanti due aspetti : il convinto femminismo nell'esaltare la figura della giovane scrittrice Silvia Roncella e la satira amara e graffiante contro l'ambiente letterario romano, falso ed ipocrita . Altro romanzo di rilievo, anche se senza dubbio è il più amaro e pessimista di tutti , è I vecchi e i giovani in cui si avverte la profonda amarezza e delusione per il fallimento risorgimentale, per tante speranze deluse in un nuovo ideale di stato e di politica specie nel mezzogiorno. Questo è un tema comune, come s'è già visto anche al
Verga e ad altri scrittori  siciliani. L'ultimo romanzo di Pirandello in ordine cronologico (1926) è  Uno, nessuno ,centomila, che è sicuramente il più difficile per l'ardua problematica sul relativismo ed una impostazione un pò troppo "filosofica". E' il romanzo del relativismo più radicale, vi è il crollo delle certezze tradizionali, appare evidente che non esiste più una verità assoluta ed oggettiva ma che tutto si  frantuma e sgretola in centomila possibili verità, quanti sono gli uomini.
Il protagonista del romanzo, Vitangelo Moscarda è il solito piccolo-borghese frustrato, che conduce un'esistenza grigia e mediocre ;  una mattina mentre è davanti allo specchio la moglie gli fa notare che ha il naso leggermente pendente da una parte. Questo episodio apparentemente banale lo getta  nell'angoscia più completa ; per la prima volta si vede diverso da come pensava di essere e si rende conto di essere apparso agli altri in modo differente da come pensava di essere. Con lucida disperazione si rende conto che credeva di essere uno, in realtà appare agli altri in centomila  modi diversi, a seconda dell'interlocutore, per cui in definitiva non è nessuno .
Tutte queste tematiche, sicuramente complesse e a volte un pò astruse, trovano la loro massima espressione nel teatro (Le maschere nude ) , soprattutto perché questo genere offriva delle notevoli potenzialità espressive , per rappresentare in modo efficace e coinvolgente il dramma esistenziale dell'uomo .Sotto i riflettori, sul palcoscenico l'uomo pirandelliano mette a nudo il suo essere, scava dentro se stesso, fa emergere la complessità del suo io in un tormentato processo di presa di coscienza, si interroga continuamente in lunghi monologhi interiori alla ricerca di se stesso. E' un teatro tutto interiore, fatto di "cose", che concede poco all'esteriorità (a differenza di quello dannunziano); alcuni aspetti "tecnici" ricorrenti sono : i lunghi monologhi interiori , assai efficaci per gli scopi che l'autore si propone, i finali aperti , in cui Pirandello no dà una sua risposta , ma lascia lo spettatore nel dubbio, facendo intravedere più possibili esiti della vicenda, anzi stimolando lo stesso spettatore a  "chiudere" egli stesso la vicenda con la sua soluzione. E' questo il caso di alcune opere come Così è, se vi pare o Ciascuno a suo modo, ed infine il teatro nel teatro o metateatro (cioè oltre il teatro).
Con questa definizione si intende l'abolizione del tradizionale diaframma tra pubblico ed attori; essi (pubblico ed attori) interagiscono tra loro per cui si recitano contemporaneamente due commedie, la prima è quella recitata dagli attori sul palcoscenico, la seconda è quella più ampia della vita, recitata dalla gente (il pubblico) in altre parole il teatro ridotto della commedia che si apre al teatro più ampio della vita. Per rendere credibile tale interazione Pirandello ricorreva ad alcuni espedienti tecnici : faceva sedere gli attori a volte tra gli spettatori, gli attori del palcoscenico dialogavano a volte con il pubblico, oppure gli attori stessi entravano dalla platea mescolati allo stesso pubblico ecc. tutto ciò per abbattere la cosiddetti quarta parete per fare interagire tra loro gli attori (la finzione, la forma) con il pubblico (la realtà fluida della vita). Da questo contrasto tra vita e finzione, tra realtà e forma, il teatro risulta in definitiva perdente, perché non è capace di rappresentare nelle sue forme fisse e statiche l'evolversi continuo della vita nel suo incessante divenire. La vita cambia in continuazione e non può essere imbavagliata per sempre in una rigida forma. Queste tematiche così complesse e a volte di non facile comprensione, trovano la loro espressione più compiuta nella cosiddetta trilogia del teatro nel teatro, cioè  I sei personaggi in cerca d'autore, Ciascuno a suo modo, Questa sera si recita a soggetto . Appare evidente specie nel primo dramma la differenza tra la  persona, che cambia continuamente nel corso della vita e il personaggio, sicuramente più vero, più solido, ma statico, fisso, immutabile una volta fissato sulla


carta in un determinato modo. I sei personaggi  del dramma cercano disperatamente un autore che rappresentando sul palcoscenico la loro terribile storia, li faccia finalmente vivere, sottraendoli da una specie di limbo, dalla loro condizione di precarietà, di vaghi fantasmi ancora allo stato fluido, ipotizzati dallo scrittore, ma non ancora "formalizzati" sulla carta.
Nel mondo di Pirandello conta solo la forma, solo in essa si vive, anche se con dolore, al di fuori di essa c'è solo  la precarietà e il vuoto. Ognuno di noi per vivere e rappresentare qualcosa deve dunque "cristallizzarsi " in una forma, quella che Pirandello chiama maschera, in virtù della quale, in questa società ipocrita e formalista ci illudiamo di rappresentare qualcosa. Si arriva tuttavia al punto in cui vogliamo essere autentici, noi stessi, liberarci dalla maschera che ci opprime, ma il nostro gesto di ribellione viene interpretato come atto di  pazzia , veniamo emarginati giudicati pazzi e diversi, in quanto non inseriti negli schemi  convenzionali della società.
Questa critica al formalismo ipocrita della nostra società è sicuramente l'aspetto più anarchico, dissacratore e "rivoluzionario" dell'opera pirandelliana, in quanto crolla il concetto stesso di società con le sue precise regole di convivenza e con le sue strutture sacrali (famiglia, matrimonio ecc.), ogni individuo è solo con se stesso, un atomo alla deriva , parla una lingua diversa agli altri, si chiude nella sua solitudine in questa specie di torre di Babele che è la vita.. 
Il teatro dunque dimostra la sua inadeguatezza nel saper riprodurre la fluidità della vita che nel suo costante divenire cambia in continuazione. Per questa ragione l'autore negli ultimi anni della sua vita guardò con crescente interesse al nuovo genere di spettacolo nascente , cioè il cinematografo, lavorando come sceneggiatore per alcuni importanti film di quegli anni (nel 1931 scrisse la sceneggiatura del film Così come tu mi vuoi, per l'interpretazione della famosa attrice Greta Garbo).
Tra le Mashere nude , oltre alle opere già citate bisogna ricordare nel periodo precedente alcuni atti unici, che si rifanno al genere teatrale verista , come Lumie di Sicilia, Cecè, La giara, o l'atto unico L'uomo dal fiore in bocca, che è come in altri casi trasposizione teatrale di una novella (Con il male addosso). Infatti Pirandello, dietro suggerimento degli amici Nino Martoglio e Angelo Musco (un celebre attore di quegli anni ) trasformò diverse novelle in opere teatrali.
Altre opere più complesse sono Pensaci Giacomino, Liolà, Enrico IV,Il gioco delle parti, Il berretto a sonagli ; appartengono alla così detta fase surrealista gli ultimi drammi pirandelliani, in cui subentrano talune novità, che influenzeranno aspetti del teatro europeo, come Lazzaro, La nuova colonia e l'incompiuto I giganti della montagna .
E' impossibile in poche righe evidenziare le straordinarie novità ed il rilievo eccezionalmente alto dell'opera di Pirandello, che rappresenta una svolta di grandissimo spessore artistico nel panorama culturale di questo secolo. L'opera dello scrittore siciliano è senza dubbio la più alta testimonianza, insieme a Svevo ,Tozzi, Montale, Moravia ed altri, della  crisi esistenziale della società contemporanea , alla faticosa ricerca di nuovi valori e nuove certezze.

 

 

FEDERIGO  TOZZI   (1883-1920)

 

Questo autore ebbe vita breve e tormentata , sia per la giovinezza molto difficile, dovuta ad un ambiente familiare gretto e difficile, sia alle difficoltà economiche, che lo assillarono costantemente.
Anche gli studi, che egli compì, furono disordinati e non sistematici.


Dopo aver lavorato per alcuni anni come impiegato nelle ferrovie, fondò La torre,  un periodico letterario-politico, di ispirazione cattolica,  insieme a Domenico Giuliotti .
Successivamente si trasferì a Roma per tentare la fortuna letteraria, senza tuttavia ottenere  grandi riconoscimenti ; nonostante gli incoraggiamenti di Pirandello e più tardi del Borgese, Tozzi non riuscì a farsi strada  in modo brillante nell'ambiente letterario romano.
Dopo la sua morte avvenuta a Roma nel 1920 per un attacco  di febbre spagnola, il riconoscimento della sua grandezza letteraria fu lento e contrastato e  soprattutto si è avuto in questi ultimi trenta anni, anche grazie all'opera infaticabile della moglie Emma Palagi e, soprattutto, del figlio Glauco, che ha cercato in tutti i modi di promuovere e rivalutare l'immagine e l'opera paterna. La consacrazione della fama letteraria di Tozzi si deve tuttavia agli studi critici assai acuti di Giacomo Debenedetti, che si può considerare il vero “riscopritore” dello scrittore toscano.
Per entrare nel mondo di Tozzi bisogna tener presente il suggestivo scenario della campagna senese, con i suoi colori, sfondi e tonalità e della stessa città di Siena, tanto amata dallo scrittore.
C'è da osservare che persiste in Tozzi, almeno in un primo momento,  l'eredità del Verga nel descrivere in modo preciso e distaccato l'ambiente sia campagnolo , sia cittadino.
Ma l'itinerario narrativo di Tozzi è abbastanza complesso, poiché egli all'inizio scrisse poesie , raccolte nell'opera La zampogna verde, in cui si avverte l'influsso dannunziano ; scrisse anche in questa fase la raccolta di prose liriche Bestie, in cui troviamo impressioni , meditazioni e spunti lirici sulla campagna, sulla dura vita sia degli animali che degli uomini con una chiara impostazione lirica e frammentista, tanto di moda in quegli anni..
I migliori risultati artistici Tozzi li ottenne senza dubbio nella narrativa sia nelle molte novelle scritte, sia nei suoi tre romanzi : Tre croci(1918) Con gli occhi chiusi(1919), Il podere(1920).
In essi l'itinerario letterario di Tozzi trova il suo naturale epilogo, superando gradualmente la sostanza autobiografica e costruendo un impianto narrativo via via più complesso nel descrivere ambienti e personaggi : in Tozzi si avverte l'influsso di tanta letteratura europea e non solo: Kafka, Poe ed in particolare  Dostoevskij, nell'approfondire la figura tipicamente novecentesca dell'inetto, dell'uomo "con gli occhi chiusi", che è incapace sul piano esistenziale di accettare la vita con i suoi conflitti economici e psicologici e quindi destinato all'inevitabile sconfitta. I suoi personaggi sono incapaci di imporsi, di affrontare le difficoltà della vita, di dare un senso costruttivo alla loro esistenza. Sono simili ai vinti ed inetti di tanta letteratura europea del tempo, ma diversi dai vinti del Verga per il carattere tutto interiore delle loro sconfitte e per l'animo inerte con cui le vivono.
Per comprendere bene quest'aspetto occorre tener presente anche una componente autobiografica, di tipo anche psicanalitico :il senso di frustrazione di fronte alla figura brutale del padre-padrone ed il complesso di Edipo, cioè il viscerale attaccamento alla madre, la cui figura viene inconsciamente ricercata, anche in età adulta, in altre figure femminili.
C'è un episodio illuminante al riguardo, che serve a farci entrare in questo tortuoso mondo interiore, di chiaro valore simbolico e psicologico, che ha precise origini autobiografiche : l'episodio della castrazione degli animali nel podere in Con gli occhi chiusi.
In questa pagina si coglie, al di là dell'apparente naturalismo di una scena di vita rurale, la brutale sopraffazione del padre-padrone su tutti i maschi  del podere, compreso anche il figlio.
Da questo mondo interiore sicuramente complesso e problematico, un critico assai sensibile come Giacomo Debenedetti ha parlato di una poetica "degli atti misteriosi", cioè di un tipo di romanzo attento a studiare i meccanismi inconsci e misteriosi di chi nella sua inettitudine , vivendo sempre con "gli occhi chiusi", si sente estraneo alla società, in cui dovrebbe essere inserito, sia perché non vuole, sia perché non riesce ad essere come gli altri.
"Quando penso che io sono fatto di tante strisce, che corrispondono ad altrettanti giorni, mi domando se esisto io o le cose che ora ho dinanzi agli occhi e mi domando cosa significa vivere “
Questa frase dell'autore ci aiuta a chiarire come egli fosse interessato non tanto ad un'analisi oggettiva e verista, quanto invece portato ad indagare le motivazioni oscure e sotterranee, che a livello inconscio condizionano tutta la nostra vita e determinano i "misteriosi atti oscuri " che, malgrado ogni nostro sforzo, noi non  riusciamo a capire e decifrare. 
Manca quindi il nesso causa-effetto tipico della narrativa di impianto tradizionale, tutti gli avvenimenti esterni, importanti o banali, sono messi sullo stesso piano; quello che conta è il loro spessore interiore, secondo la visuale dell’inconscio del personaggio. con la conseguenza che il lettore spesso non comprende il senso dell’agire dei personaggi stessi.
Per favorire questo tipo di effetto interiore, Tozzi ricorre ad alcuni precisi espedienti tecnici:
-uso del discorso indiretto libero, più influenzato da W. James e quindi vicino a Joyce (flusso di coscienza), che non da Freud e quindi diverso dal procedimento tecnico usato da Svevo
-struttura del periodo eminentemente paratattica, uso originale del punto e virgola al posto della normale virgola per isolare le singole parti del periodo. Come alcuni critici hanno evidenziato, si determina quel tipico “delirio paratattico”con forti suggestioni espressionistiche.

Sintesi dei tre romanzi

Con gli occhi chiusi :la vicenda è autobiografica ; il giovane Pietro è innamorato di Ghisola ed in questo amore tenero e giovanile, scopre i primi turbamenti e fremiti sentimentali; rimasto orfano ella made, cui era teneramente legato, crede di trovare la donna-madre in Ghisola, chiudendo gli occhi e non vedendo la femminilità e la seduzione che c'è in lei .I suoi rapporti con il padre-padrone Domenico sono difficili , a causa del temperamento sanguigno, violento ed autoritario di quest'ultimo.
Subisce il tradimento da parte di Ghisola, la ritrova in una casa di appuntamenti in stato interessante e ciò distrugge ai suoi occhi l'immagine materna di lei che egli si  era costruito  in modo unilaterale.

Il podere :anche qui il protagonista Remigio vive un forte contrasto con il padre-padrone, abbandona la casa paterna per incompatibilità e vi torna solo per assistere il babbo, ormai moribondo ed ereditarne i beni. a differenza di suo padre però, uomo duro e autoritario, Remigio è un inetto , non riesce a farsi rispettare dai salariati, subisce furti ed alla fine viene ucciso
da un suo bracciante per vendetta.

Tre croci : il romanzo, ambientato nella città di Siena narra lo sfacelo economico e morale dei tre fratelli Gambi, proprietari di una libreria, che finiscono in rovina  per la loro inettitudine.
Uno di loro. Giulio, dopo aver falsificato una cambiale, si impicca nella libreria ; gli altri due scagionati dal suicidio di Giulio, finiscono la loro esistenza nella più nera miseria . Le tre croci fanno riferimento alle loro tre sepolture, fatte pietosamente disporre dalle nipoti nel Laterino, il cimitero di Siena .
Quest'ultimo romanzo non è autobiografico; Tozzi si ispirò ad un fatto realmente accaduto nella sua città. la rovinosa fine dei fratelli Torrini. Compare  qui il tema dell'inettitudine nei tre protagonisti che in modo grottesco ed allucinante assistono impotenti alla loro rovina, senza la forza di far fronte agli eventi, ingozzandosi di cibo in modo assurdo.
Da un punto di vista formale il linguaggio di Tozzi è aspro e spezzato, un chiaro stile espressionistico, che tenta con efficacia di riprodurre i moti misteriosi ed inconsci dell'anima. Spesso le scene narrate in quest'ultimo romanzo non hanno una precisa consequenzialità logico-temporale, allineandosi pertanto con quella tecnica del tempo misto o della memoria, che costituisce una delle maggiori novità della narrativa di questo secolo. 

 

 

 

 ASPETTI  ESSENZIALI  DELLA  POESIA  DEL  NOVECENTO

 

Non è facile definire schematicamente l'esperienza della poesia di questo secolo, anche perché da un punto di vista critico non vi è ancora una definizione per così dire univoca da parte dei critici.
Per comodità didattica si possono stabilire delle linee generali, che tuttavia, è bene precisare, hanno un puro valore indicativo, ma non riescono a tratteggiare delle linee e dei confini ancora esaurientemente precisi sulle varie esperienze italiane avutesi fino ai nostri giorni.
Possiamo partire dall'esperienza decadente di Pascoli e D'annunzio per poi cogliere nei Crepuscolari la prima autentica espressione di ricerca della poesia novecentesca. Si possono quindi individuare alcuni poeti, i cosiddetti
frammentisti, i quali hanno portato avanti ed esasperato in alcuni casi aspetti e tecniche del simbolismo più ardito in forme di poesia orfica, cioè di difficile interpretazione ; è il caso di Auturo Onofri, Dino Campana,
Clemente Rebora, Camillo Sbarbaro, solo per citare i nomi più significativi 
e rappresentativi di questa linea poetica. vi è poi l'esperienza di Ungaretti e di Montale, che anticipano, soprattutto il primo, quella che sarà chiamata poesia  ermetica, cioè una poesia di ardua e difficile comprensione, scritta in una specie di codice misterioso, vissuta in una specie di limbo appartato rispetto alla realtà della vita di tutti i giorni.
In questi anni vi è anche un filone isolato, quello del "quotidiano" nella sua semplicità, che riallacciandosi in parte all'esperienza sia di Pascoli che, soprattutto dei Crepuscolari, trova la sua espressione più compiuta in Umberto Saba, per poi influenzare in tempi più recenti Sandro Penna,Pier Paolo Pasolini e Franco Fortini
Da non trascurare alla fine egli anni venti il cosiddetto ritorno all'ordine, cioè il ritorno ad una linea poetica più tradizionale, dopo le ardite sperimentazione degli anni precedenti, propugnata dalla rivista  La ronda, diretta dal poeta "classicista" Vincenzo Cardarelli, il quale propugnava il ritorno al Leopardi.
La generazione "ermetica" vera e propria si ha a  partire dalla metà degli anni trenta (precursore è stato Ungaretti con la raccolta Il sentimento del tempo ), con alcuni poeti di grande significato come: Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Alessandro Parronchi, Mario Luzi, Piero Bigongiari, Libero De Libero, Leonardo Sinisgalli, Vittorio Sereni  ecc.
La definizione di ermetismo fu coniata nel 1936 dal critico crociano Francesco Flora, proprio a voler indicare la notevole "oscurità" di molta poesia di questi autori, troppo spesso indecifrabile e, comunque, di ardua comprensione.
Un momento di vera e propria sperimentazione si è avuta all'inizio degli anni sessanta con i poeti raccolti nel Gruppo '63 (Alfredo Giuliani , Nanni Balestrini, Angelo Guglielmi, Alberto Arbasino, Edoardo Sanguineti ecc.) ; i risultati conseguiti da questo gruppo di avanguardia sono stati oggetto di accese discussioni e forti polemiche, soprattutto da parte di alcuni nettamente ostili alle novità e tecniche espressive apportate dal Gruppo '63, come nel caso di Pier Paolo Pasolini .
Tra le esperienze più significative di questi ultimi  anni possiamo citare l'opera poetica di alcuni autori sicuramente validi, alcuni dei quali precedentemente citati : Franco Fortini, Mario Luzi, Attilio Bertolucci,  Amelia Rosselli, Andrea Zanzotto, Edoardo Cacciatore, Giacinto Spagnoletti ecc.

 

 

 

 

GIUSEPPE  UNGARETTI  (1888-1970)

 

Questo poeta ha rappresentato un momento molto significativo dell'evoluzione della nostra lirica, riuscendo, specie nelle prime raccolte a sperimentare moduli espressivi assai originali .
Specie nelle sue prime due raccolte, L'allegria di naufragi  ed  Il porto sepolto, poi confluite nell’unica raccolta L'allegria, il poeta dà vita a versi di intensa suggestione lirica e grande originalità, riscoprendo il valore più autentico della parola. Proprio quest'ultimo è l'aspetto più innovatore della poesia di Ungaretti; il poeta riscopre la purezza quasi vergine della parola così come essa nel suo significato originale era usata nella notte dei tempi. Non più dunque una parola piena di retorica, di inutili abbellimenti ed artifici retorici, ma la parola nel suo originario e puro, essenziale significato. A tale proposito la critica letteraria ha parlato della poetica di Ungaretti come "poetica della riscoperta della parola". In tale poesia è fondamentale l'uso dell'analogia,dal poeta stesso definita "una similitudine senza il nesso come " . Dall'accostamento analogico di due immagini diverse, ma tra loro in qualche modo più o meno palese collegate, scocca la scintilla  magica, che determina una specie di illuminazione interiore. Nasce una poesia scarna ed essenziale, tutta concentrata sulla singola parola, che è come un piccolo universo che evoca sensazioni profonde dell'inconscio.
Per comprendere l'evoluzione della ideologia di Ungaretti è necessario tener presente le tappe fondamentali della sua vita.
Egli nacque ad Alessandria d'Egitto da genitori lucchesi ; il babbo lavorava come operaio nei cantieri per la costruzione del canale di Suez, la mamma, donna assai energica e molto religiosa, gestiva un forno alla periferia della città. Questa origine egiziana, il deserto,le lunghe cantilene dei beduini,  i minareti, gli echi affascinanti della cultura araba, rimarranno sempre impressi in modo indelebile nella fantasia di Ungaretti e spesso torneranno in alcune sue immagini poetiche.
Per completare i suoi studi, condotti per altro in modo non ordinato , da autodidatta, si recò a Parigi e qui venne a contatto con il meglio della cultura europea di quegli anni così fervidi.Nei caffè del quartiere latino conobbe Picasso, Apollinaire, Paul Valery e alla Sorbona seguì le lezioni del filosofo Bergson. Furono anche importanti i contati e le amicizie con Marinetti, Severini ed altri intellettuali ed artisti, che in quegli anni erano concentrati a Parigi, autentico laboratorio culturale europeo .
Fu tuttavia l'esperienza della prima guerra mondiale, che segnò una tappa fondamentale nell'animo del poeta . Partito come volontario, come tanti altri giovani intellettuali del tempo,combattè come soldato semplice sul Carso, sperimentando in prima persona la durezza della vita di trincea.Proprio la crudezza di tale esperienza, la dura disciplina militare, il senso della morte incombente, la precarietà del vivere giorno dopo giorno, determinarono in Ungaretti una profonda crisi esistenziale, che condussero " l'uomo di pena a diventare uomo di fede".Qui al fronte il poeta riscoprì il dolore come dimensione universale, il senso della solidarietà e fratellanza tra gli uomini ed iniziò quel processo di riavvicinamento alla religione cattolica, da cui si era allontanato negli anni giovanili, che culminò qualche anno più tardi in occasione della morte della madre, donna tanto importante per il poeta e di profonda devozione religiosa.In questa nuova dimensione la vita umana, benché segnata da una inevitabile precarietà ("Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie "), costituisce un'esperienza preziosa e da viversi con coraggio.Questi valori trovano un preciso riscontro soprattutto nelle sue prime raccolte ; dagli anni trenta in poi la poesia di Ungaretti si evolve, vive una certa trasformazione, soprattutto in senso tecnico-stilistico di non poco conto.Con la raccolta Il sentimento del tempo, Ungaretti si riaggancia alla grande tradizione classica, all'endecasillabo, riproponendo quindi la lezione dei grandi autori italiani(si pensi al Leopardi), ma scrivendo anche versi di notevole complessità di immagini, spesso di difficilissima


interpretazione.Sono queste poesie, che aprono la strada all'ermetismo in modo evidente, che accreditano la fama di Ungaretti come uno dei padri dell'ermetismo in Italia.Tuttavia c'è da precisare che sono questi gli anni in cui, dopo le ardite sperimentazioni futuristiche, a cui lo stesso Ungaretti non fu insensibile, si ha in Italia il cosiddetto ritorno all'ordine, cioè ad una poesia di impianto più tradizionale, come propugnava allora con la rivista La ronda il poeta Vincenzo Cardarelli con il suo pressante invito agli altri poeti "torniamo al Leopardi".
Questa fase della poesia ungarettiana, ribadita nelle successive raccolte, appare però meno innovativa e meno efficace rispetto alle sue prime raccolte.
Dopo la conclusione del primo conflitto mondiale Ungaretti, visse per diversi anni in Italia insieme alla moglie francese ; poi alla fine degli anni trenta visse per un breve periodo in Brasile, a San Paulo, dove insegnò letterature italiana in quella università. Qui fu colpito da un grave lutto con la morte del figlioletto Antonello, deceduto per una peritonite e sulla cui dolorosa vicenda scrisse diverse poesie.
Tornato in Italia visse con sofferenza il dramma della seconda guerra mondiale ; insegnò letteratura moderna e contemporanea all'università di Roma , fu però nelle polemiche del dopo- guerra allontanato momentaneamente dall'insegnamento, a causa delle sue presunte simpatie o connivenze col fascismo.Solo grazie all'intervento di altri docenti  e critici ( tra cui Natalino Sapegno ) Ungaretti fu reintegrato nel suo incarico accademico.
Morì a Milano nel 1970 al culmine della sua fama.       

 

 

UMBERTO SABA  (1883-1957)

 

Questo poeta si può considerare un isolato nel contesto della poesia del novecento: all'inizio fu influenzato dai Crepuscolari, ma subì anche il fascino della poesia di Ungaretti. Tuttavia non è collocabile in modo rigido in nessuna scuola o corrente particolare, se non quella linea del "quotidiano ",che ha poi avuto, come sopra ricordato,  altri esponenti in Penna , Pasolini e Fortini
Anche l'ermetismo non lo influenzò più di tanto ; per comprendere l'itinerario poetico di Saba occorre tener presente sia la sua collocazione "geografica", sia le vicende personali-familiari.
Nacque come Svevo a Trieste, città cosmopolita ,aperta a vari influssi etnico-culturali, crocevia di almeno tre culture (slovena, italiana, tedesca ) con una forte  presenza ebraica. Il suo vero nome era Umberto Poli , figlio di una donna di origini ebraiche, abbandonata dal marito italiano, prima di partorire. Il poeta conobbe il padre solo all'età di venti anni  e prese lo pesudonimo di  Saba , che
in ebraico significa pane o, secondo altri, per ricordare con affetto il nome della sua balia slava, cui era stato affidato nei primi anni. In ogni caso l'origine ebraica, da parte materna, fu fondamentale per Saba, insieme alla mancanza di una figura paterna, nel dargli una visione malinconica  e a volte sofferta della vita. Negli anni della maturità, nonostante gli studi irregolari,dopo aver acquistato una libreria antiquaria,  approfondì le sue conoscenze non solo letterarie, studiando anche Freud e le teorie psicanalitiche, di cui subì un forte influsso. Fondamentali nella sua vita schiva ed appartata furono gli affetti familiari , in particolare la moglie Lina e la figlia Linuccia, ma anche  gli amici, che .specie al tempo delle leggi razziali, gli offrirono ospitalità e protezione, consentendogli di vivere nella clandestinità.
Il vero amore di Saba fu Trieste, da lui tanto amata con le sue viuzze, le vecchie case, i suoi angoli nascosti, e la sua gente un pò aspra, ma autentica e generosa.


L'opera fondamentale di Saba è il Canzoniere, che raccoglie tute le sue poesie; postumo è stato pubblicato anche un suo romanzo Ernesto.
I nuclei fondamentali della poesia di Saba possono sintetizzarsi nei seguenti punti:
- Accettazione totale della vita, anche nei suoi aspetti più scabrosi e difficili,  secondo quella che il poeta stesso definisce la" serena disperazione ",cioè una dolce malinconia, che , però negli ultimi anni si tinge di autentica angoscia esistenziale.
- Apertura cordiale e solidale verso tutti gli uomini, gli stessi animali ,insomma tutte le semplici creature di Dio, in nome di una visione fraterna, semplice e cordiale della vita, all'insegna dei valori essenziali e più veri "essere un uomo tra gli uomini, come il pane, il vino, le donne e i bimbi, valori di tutti ".
- L' uso di parole "senza storia" nel riprodurre la semplicità del quotidiano, lungi dunque dall'estetismo falso e luccicante .
E' una poesia di sapore antico, che parla direttamente al cuore dell'uomo nella sua apparente semplicità ; una poesia onesta ed autentica, fatta di sangue, lacrime e vita reale ,con i suoi sentimenti dolori e tragedie più o meno grandi.
Vi è nel poeta la gioia autentica dello stare insieme agli altri, di vivere le emozioni con gli altri, specie quelle più autentiche e sane, sia la sola presenza di un "garzone con la carriola ",che anima la strada e porta allegria ,sia la partecipazione collettiva al gioco del calcio, visto come rito gioioso, di tutta una città festosa , stretta intorno agli "undici rossi alabardati "(i giocatori della Triestina).
Sotto questo profilo Saba è davvero un poeta originale ed unico nella nostra poesia, spesso tanto sofisticata e snob.             

 

 

EUGENIO  MONTALE     (1896-1981)

 

E' ormai considerato come il massimo esponente della poesia italiana di questo secolo ; insignito del premio Nobel nel 1975 ha suscitato un crescente interesse per la novità e l'originalità della sua opera poetica, in cui si avverte l'influsso non solo di autori italiani, ma anche di autori dell'area anglo-americana, primo tra tutti il grande poeta americano,naturalizzato inglese Thomas Stearn Eliot.
Come già detto Montale fu anche estimatore di Svevo, contribuendo con il saggio del 1925 a diffonderne la conoscenza in Italia.
Oltre che insignito del Nobel, Montale è stato anche nominato senatore a vita per meriti artistici nel 1967.
Originario di Genova, rimase sempre molto legato alla Liguria, in particolare alle Cinque terre, ove trascorse periodi di vacanza ; oltre alla poesia coltivò a lungo l'altra grande passione, la musica lirica, studiano come baritono.
Dopo aver combattuto al fronte nella prima guerra mondiale con il grado di sottotenente, collaborò a varie riviste letterarie, tra cui Solaria,fece parte del gabinetto Viessieux di Firenze in qualità di direttore bibliotecario,ma ne fu allontanato verso la fine egli anni trenta per motivi politici ed ebbe seri problemi finanziari. Pensò di emigrare negli USA, ma non gli fu concesso il passaporto.Durante la Resistenza si impegnò nel partito d'Azione .Fu quindi per molti anni collaboratore e poi redattore del Corriere della sera, attività che gli consentì, tra l'altro, di viaggiare 


intensamente. 

Ideologia di Montale - la sua visione pessimistica ed amara della realtà, non confortata da alcuna fede religiosa, ricorda per certi aspetti sia il "pessimismo cosmico" del Leopardi, sia la visione dolorosa del Pascoli, ma risente soprattutto dell'elaborazione filosofica del pensiero irrazionalistico della seconda metà dell'ottocento(in particolare Schopenhauer), sia del novecento, con chiari influssi sia dell'esistenzialismo, sia di quei filosofi "antipositivisti", come Bergson e Boutroux, che hanno dato un'impronta essenziale alla visione negativa della realtà, che Montale stesso definisce il male di vivere .
Con tale definizione Montale intendeva indicare la condizione esistenziale assurda e dolorosa dell'uomo, che si trova a vivere in un ambiente ostile e senza poter dare una risposta alle ragioni incomprensibili dell'esistenza, credendo erroneamente che la realtà è quella che si vede e non qualcosa di più misterioso ed occulto, cui l'uomo non ha accesso, se non in rari bagliori,in occasionali "stati di grazia"("l'anello che non tiene").Ciò si verifica talora grazie all'aiuto di una donna,che , novella Beatrice, ci può come illuminare e farci intuire per un istante qualcosa di diverso dall'aridità incomprensibile di questo mondo indecifrabile ed allucinato. Questo "male di vivere" si concretizza in alcune immagini di chiaro sapore metafisico : paesaggi accecati dal sole, aride pietraie riarse dal sole, la sonnolenza del caldo meriggio estivo, il senso di una vita soffocante ed incomprensibile, senza poter mai approdare ad alcuna certezza o  "verità" ; vivere è come camminare accanto ad un muro invalicabile con in cima cocci aguzzi di bottiglia, quindi non poter  superare quella barriera , che ci impedisce di guardare oltre e cogliere, forse, l'autentico senso dell'esistenza.In tale diaframma che si frappone tra noi e la realtà più autentica è facile cogliere quello che  Schopenhauer definiva il "velo di Maia", rifacendosi alla antica saggezza indiana.Questi scenari così aridi, desolati e illuminati da un sole accecante, ricordano da vicino certi paesaggi della pittura metafisica di Giorgio De Chirico ; è chiaro che dietro l'apparente naturalismo della poesia di Montale si nasconde una valenza simbolica e metafisica, per cui i vari oggetti descritti assumono un significato simbolico. E' questa la tecnica del correlativo oggettivo, che Eliot sembra aver ripreso dal poeta anglo-americano Eliot. L'unico rimedio contro il male di vivere, per non lasciarsi travolgere dalla banalità di una vita inspiegabile ed assurda è la divina indifferenza, cioè la capacità di estraniarsi dall'assurdo della vita ; non significa rifuggire dalla vita, non assumersi la responsabilità del vivere, quanto rimanere distaccati e lucidi, con animo forte e "stoico" di fronte alle lusinghe di una vita ed una società banali ed insensate.In altre parole significa assumersi i compiti e doveri di cittadino, impegnarsi per il progetto di una società più libera e migliore sotto tutti i punti  di vìsta, ma con distacco emotivo e lucidità interiore, senza lasciarsi coinvolgere emotivamente.Anche in ciò è facile vedere una  spiccata analogia con quello stato d'animo critico e distaccato, che, sempre Schopenhauer, definiva la "nolontà".Vi sono tre correlativi oggettivi, che indicano in modo chiaro tale atteggiamento di indifferenza : Il falco, la nuvola, la statua nella sonnolenza del meriggio.In queste tre immagini è evidente il guardare la vita dall'alto, con distacco.
La prima raccolta poetica Ossi di seppia (1925),già nel titolo evoca qualcosa di arido e pumiceo, scarno ed essenziale.E' la raccolta giovanile, assai significativa ed originale con cui Montale inizia il suo itinerario poetico. Nella seconda raccolta Le occasioni(1939) i temi sono molteplici : in primo luogo la presenza di alcune donne con una funzione quasi di guida verso quegli "stati di grazia" così rari, quei momenti in cui sembra che al nostro animo confuso possa aprirsi il senso del mistero che ci circonda.Nomi di donne importanti per il poeta, quasi novelle Beatrici, che possono guidare il poeta verso quegli attimi  brevi e sfuggenti di verità : Arletta,Esterina, Gerti, Clizia; dietro quest'ultima si cela Irma Brandeis, una studiosa americana di Dante e di Eliot, che fu costretta al tempo delle leggi razziali (1938) ad abbandonare l'Italia. A questi nomi si deve aggiungere quello fondamentale di Mosca, l'affettuoso soprannome di Drusilla Tanzi, moglie del


poeta , morta nel 1963.
Ma il tema, forse più suggestivo della raccolta, è "l'impossibile recupero memoriale", il dipanarsi del filo della memoria, anche per mezzo di oggetti, semplici portachiave o ciondoli che rimettono in moto il filo della memoria .E' evidente in ciò l'influsso di Proust, ma qui vi è l'amara consapevolezza che la memoria si sfolla giorno dopo giorno ; i ricordi si fanno sempre più sbiaditi e diafani, il poeta rimane solo a rivivere  i fantasmi di un passato che è inesorabilmente reciso dall'impietosa forbice del tempo.
La terza raccolta La bufera ed altro (1956) è considerata ormai dai critici, unitamente a Le occasioni, il meglio della poesia di Montale. Vi si avverte il cupo dolore per il dramma senza fine della seconda guerra mondiale con tutte le atrocità ad essa legate, il clima di sconvolgente crisi ideale e morale che ha contrassegnato una tragedia senza precedenti.
L'ultima raccolta di un certo rilievo è Satura (1971), in cui in un tono molto prosastico e discorsivo Montale esprime accenti fortemente satirici e sarcastici verso la moderna società consumistica, banale e superficiale.Questa raccolta è comunemente divisa nelle due sezioni Xenia,cioè doni ospitali e Satura ;questa raccolta chiarisce in modo inequivocabile che il malessere esistenziale espresso dal poeta non ha un carattere contingente, cioè legato ad un preciso contesto storico(come poteva ipotizzarsi nelle precedenti raccolte ( il fascismo o la seconda guerra mondiale), ma assume un più esplicito aspetto esistenziale, "fisiologico" cioè all'essere uomini in qualsiasi contesto politico-sociale .
Di notevole importanza, oltre alle raccolte poetiche, risultano i numerosi saggi critici, articoli e
recensioni su Il corriere della sera, cui Montale, come detto, collaborò per lunghi anni.

 

 

SALVATORE  QUASIMODO (1901-1968)

 

Può a pieno titolo essere considerato come il primo vero ermetico della nostra poesia ; la sua produzione poetica risente infatti sin dall'inizio degli anni trenta di questa corrente, anche se poi con il passare degli anni si evolve verso forme di impegno civile e sociale, sempre però all'insegna della continuità e non della rottura con la linea poetica precedente.
E' inoltre presente in Quasimodo una componente "classica",da lui acquisita tramite lo studio, la lettura e la traduzione dei lirici greci, legati alla storia ed alla cultura della Magna Grecia, cioè alla sua Sicilia, rivissuta spesso in scenari di grande , mitica bellezza.
Per comodità didattica possiamo distinguere due fasi nella sua poetica :
-la prima di chiara fisionomia ermetica, in cui il poeta si adegua a certe volute oscurità dell'ermetismo, usando espressioni ed immagini piuttosto difficili e di ardua comprensione.
La raccolta giovanile Acque e terre oltre all'influsso di Pascoli e D'Annunzio evidenzia la lezione dei classici greci e di un certo "realismo", derivato dal Verga.
Le successive due raccolte più note di questa prima fase sono : Oboe sommerso(1932) e Erato ed Apollion (1936), in cui si avverte al di là di tutto come un esteriore adeguamento del poeta alla moda ermetica. 
Fu tuttavia l'esperienza tragica della seconda guerra mondiale, che innescò in Quasimodo il germe di una profonda crisi interiore, che dette nuovo, significativo impulso alla sua vena poetica.
Le due raccolte di questi anni, che stanno  a testimoniare la "svolta" del poeta sono : Giorno dopo giorno (1947) e La vita non è sogno (1949) ; in esse si avverte un momento di intenso impegno civile e politico. Il poeta sente il bisogno di calarsi nella realtà quotidiana, di impegnarsi a fianco


egli altri uomini nella ricostruzione dell'Italia dopo l'immane tragedia dell'occupazione nazista e della guerra .In tal senso bisogna sottolineare i contatti tra Quasimodo e il clima di rinnovato fervore culturale ed ideale tipico di quegli anni, che poi culminò anche nel Neorealismo con tanti progetti e speranze di rinnovamento per il nostro paese. Tuttavia, secondo la critica più autorevole è possibile cogliere tra le prime raccolte e le ultime un filo di continuità , che si esprime attraverso un linguaggio sempre curato e sostenuto.
Tra i temi che più spesso ricorrono nella poesia di Quasimodo troviamo quello della inevitabile solitudine esistenziale dell'uomo contemporaneo, nella precaria  brevità della sua vita e quello altrettanto importante del dolore, sia a livello individuale sia come tragedia collettiva (il dramma della guerra con il suo atroce carico di odio e  cieca irrazionalità) .
Solo la dignità morale, l'impegno civile nobile e coraggioso dell'uomo veramente grande interiormente riesce a dare un senso ad una vita altrimenti insignificante.

ALBERTO   MORAVIA   (1907-1990 )

 

Alberto Pincherle, in arte prese il cognome materno Moravia,  è sicuramente uno dei più grandi narratori italiani di questo secolo; la lucida coscienza critica della società borghese italiana, vista nelle sue trasformazioni "strutturali" nel corso di più di mezzo secolo,come lucido e spietato osservatore della società italiana, del crollo dei valori, dei cambiamenti del costume.
"L'intellettuale controlla e annota con gli apparecchi che ha a disposizione le fasi di questa crisi. L'intellettuale che è l'espressione più disinteressata della società borghese, non è altro che il testimone del suo tempo ".Bisogna dire che la critica è sempre stata molto vigile e attenta all'opera di Moravia, anche se alcune sue ultime opere sono state giudicate con perplessità, per alcuni aspetti assai scabrosi (in particolare i romanzi  Io e lui e La vita interiore ).Da un punto di vista culturale, poiché Moravia durante l'adolescenza soffrì di tubercolosi e fu a lungo internato in sanatorio, fu prevalentemente un autodidatta. Lesse molto gli autori stranieri, assimilando spunti e tecniche sia dai francesi (In particolare Flaubert e Maupassant ), ma
allargando i suoi interessi anche alla psicanalisi e alle teorie marxiste.
Sul piano ideologico la posizione di Moravia  è quella di un lucido pessimismo, che non ha né elementi religiosi da proporre né troppa fiducia in possibili rivoluzioni sociali.La sua adesione al marxismo, visto più che come certezza ideologica, come utile strumento di indagine della realtà, non fu senza critica ai limiti di tale visione ; preziosi strumenti di indagine gli vennero dalla psicanalisi, specie di derivazione freudiana per analizzare la complessa realtà della psicologia umana.
L'atteggiamento dell'autore di fronte al mondo ed alla natura umana è freddo e chirurgico, impietoso ed inclemente nel mettere a nudo il marciume della natura umana e della società .Si può dunque affermare che lo scrittore romano in oltre mezzo secolo di narrativa ha elaborato un potente affresco
della società borghese italiana nella sua continua trasformazione.
In effetti la borghesia italiana appare già svuotata dei ogni valore e ideale nel primo, fondamentale romanzo di Moravia Gli indifferenti del 1929, che oltre che essere in assoluto il capolavoro dello scrittore, ha rappresentato una tappa fondamentale nella narrativa di quegli anni.
Il regime fascista boicottò in vario modo il romanzo, visto che in esso compare un quadro negativo della borghesia italiana, una classe sociale che ha perso ogni senso sociale, ogni vero valore, che si trascina stancamente in un clima di noia e di abiezione morale. Tale critica al vuoto della borghesia


si coglie anche negli altri romanzi, specie dagli anni sessanta in poi , in cui si  avverte il progressivo disfacimento  di una società, che trasmette solo incomunicabilità, alienazione ed indifferenza verso la vita. Romanzi come La noia (1960), L'attenzione (1965), La vita interiore (1978), Viaggio a Roma (1988), esprimono in modo drammatico ed inquietante un quadro di disgregazione morale in cui la società borghese-capitalistica  appare senza più valori  con la sola eccezione , per così dire, del  denaro e del sesso . Lo stesso Moravia in un successivo romanzo Millenovecentotrentaquattro, suggerisce  come unica possibile filosofia di vita  una specie di lucida e disincantata disperazione.
Gli aspetti fondamentali dell'opera  di Moravia compaiono  già nel primo romanzo Gli indifferenti , come detto il più riuscito ; questo romanzo è naturalistico  per l'impegno di grande obiettività , distacco nel descrivere gli ambienti e personaggi ; ma è anche decadente  per lo studio psicologico dei personaggi , per l'attenta indagine sull'inconscio che condiziona, insieme ai pregiudizi sociali, il modo di essere di Michele, Mariagrazia, Lisa  e gli altri protagonisti. Compare ancora una volta, come in Svevo e in Tozzi  il tema dell'inettitudine a vivere, del disadattamento alla vita e
dell'alienazione .Le due coordinate del romanzo sono il denaro ed il sesso ; il fattore economico come forza motrice della  società, la classe borghese come marcia e in disfacimento  richiamano Marx, mentre il tema del sesso  a volte così ossessivo, richiama Freud  cioè uno dei padri del decadentismo europeo. Da un punto di vista formale coesistono due diverse tendenze : da un lato la rigorosa obiettività  verista dell'autore che in modo chirurgico e spietato  descrive la società e gli uomini in modo imparziale. Ma vi sono anche tecniche chiaramente decadenti  come il monologo interiore e il discorso indiretto libero , che richiama non solo Verga, ma anche esperienze tipicamente decadenti (Pirandello, Svevo, Tozzi ecc.).Si può dire che Moravia nei successivi romanzi ha sostanzialmente approfondito quanto detto ne Gli indifferenti , Luigi Russo per questa ragione ha definito Moravia "uno scrittore senza storia". Tra i romanzi successivi a Gli indifferenti i più importanti sono : Agostino(1945), che tratta il tema caro all'autore della scoperta del sesso, dell'iniziazione alla vita  come momento fondamentale dell'adolescenza, con tutte le difficoltà e i turbamenti che ciò comporta. Lo stesso tema verrà più tardi trattato da Moravia nel romanzo La disubbidienza (1948). Due opere successive La romana (1947) e La ciociara (1957) risentono dell'influsso del Neorealismo e quindi si avverte l'interesse dell'autore per il mondo proletario-popolare. Adriana, protagonista de  La romana  è una giovane popolana, che è spinta dalle vicende della vita a prostituirsi, anche se interiormente non perde i suoi sani principi di vita . L'altro romanzo La ciociara ha avuto grande notorietà e  successo anche grazie al rifacimento cinematografico di Vittorio De Sica con protagonista Sophia Loren.    
Tuttavia l'opera più significativa di questa fase "neorealista " è  costituita dai Racconti romani, pubblicati in due riprese ; si tratta di storie ambientate nella periferia romana, a quella stessa realtà emarginata, a cui in quegli stessi anni si ispirava  un altro grande intellettuale ed amico di Moravia, cioè Pier Paolo Pasolini con i suoi romanzi.
Come sopra accennato i successivi romanzi dagli anni sessanta in poi vedono Moravia tornare alle tematiche dell'alienazione , della noia, dell'indifferenza alla vita in una società senza valori e precisi punti di riferimento. I più importanti romanzi di quest'ultima fase sono quelli sopra indicati : la noia (1960), L'attenzione (1965), La vita interiore (1978), Millenovecentotrentaquattro (1982), Viaggio a Roma (1988) ; da ricordare infine i tanti saggi, reportage giornalistici (in particolare quelli dall'URSS, Cina ed India ) e le recensioni di critica sia letteraria che cinematografica, nonché alcune opere teatrali, che tuttavia rivestono minore importanza nell'ambito della produzione letteraria di Moravia. Quanto detto sinora ci consente di definire lo scrittore romano come uno dei testimoni più emblematici e rappresentativi del nostro tempo. Punto di assimilazione dei moduli espressivi più moderni, legato anche alle esperienze europee più significative, Moravia è apparso talora alla critica un autore "strano", freddo, più teso a considerare e ragionare, che non a creare ; vi è in sostanza la volontà lucida  di registrare, analizzare, dando quindi poco posto  alle improvvise vibrazioni o tensioni espressive. Tutto ciò conferisce al suo periodo un tono ordinato, disciplinato, quasi di stampo "anglosassone", come qualche critico ha notato. 

IL NEOREALISMO  (1945-1960)

 

Con questa sommaria definizione la critica letteraria comprende quel periodo storico-culturale che si colloca tra la fine del secondo conflitto mondiale e gran parte degli anni cinquanta. Possiamo dire dunque che il fenomeno neorealista si colloca tra la caduta del fascismo, la Resistenza , i difficili anni della ricostruzione e gli inizi del boom economico. L'Italia usciva dalla seconda guerra mondiale in  condizioni disastrose, lo scenari internazionale era rigidamente diviso in due schieramenti contrapposti ( Nato e Patto di Varsavia ) secondo gli equilibri di Yalta definiti da Roosevelt, Churchill e Stalin .Questa nuova situazione internazionale condizionò profondamente l'assetto politico ed anche culturale italiano ; il nostro paese inserito nel campo occidentale si orientò sempre più in una più o meno palese sudditanza alle linee politiche americane e , tra l'altro, si giovò anche dei consistenti aiuti economici previsti dal piano Marshall.
I primi sintomi del fenomeno neorealista si erano già avvertiti, anche se in ambito ristretto, a partire dagli anni trenta con il cosiddetto mito dell'America . Gli intellettuali che non erano allineati con il fascismo, guardavano con simpatia agli autori americani come modelli sia di contenuti, sia di stile ; scrittori come Melville, Hemingway, Lewis, Folkner, Kerouac, Miller, Steinbeck, Dos Passos, furono avidamente letti e studiati, tradotti in italiano da alcuni nostri scrittori , come Elio Vittorini e Cesare Pavese, le cui traduzioni sono ancora oggi fondamentali. Il motivo per cui si diffuse in quegli anni la passione per l'America, che raggiunse poi vette di autentico fanatismo con lo sbarco in Italia degli alleati e subito dopo la guerra e che riguardò non solo la letteratura, ma anche il cinema, il jazz ed altre espressioni culturali di quel paese, va ricercato nel fatto che l'America era vista come la nuova frontiera,come un paese giovane, vitale e democratico, insomma come il paese del futuro.Perciò l'America divenne in pochi anni un mito e non solo per tanti nostri scrittori, ma attraverso il cinema (si pensi ad Un americano a Roma con Alberto Sordi ) anche per tanti comuni cittadini italiani del tempo . Tuttavia un cambiamento nella nostra cultura si ebbe negli anni a cavallo tra la fine della guerra e i primi anni cinquanta.In quegli anni così intensi e fervidi di cambiamenti la nostra cultura riscopre un rinnovato impegno e fervore sociale e civile. I poeti e gli scrittori sentono il bisogno di uscire dalla torre d'avorio della cultura, di mescolarsi tra la gente, di dare il loro contributo alla rinascita del paese disastrato dalla guerra , confrontandosi con i problemi concreti della gente.
Un acceso dibattito vi fu sul ruolo dell'intellettuale e più in generale sul ruolo della cultura : se lo scrittore dovesse rivolgersi ad un pubblico ristretto, se al contrario, dovesse aprirsi al popolo, ai problemi sociali .Un ruolo essenziale in tale dibattito ebbe la rivista Il politecnico, diretta da Elio Vittorini, cui collaborarono intellettuali del calibro di Franco Fortini, Vittorio Sereni, Alfonso Gatto, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Italo Calvino, Umberto Saba,Carlo Bo ecc.
In quegli anni Vittorini è stato il vero animatore della cultura italiana, traduttore ed organizzatore della ripresa editoriale della casa editrice Einaudi, per cui curò una apposita collana “I gettoni” .
Accesa fu anche la polemica che Vittorini ebbe con l'allora segretario del PCI  Palmiro Togliatti, sulla indipendenza dell'intellettuale dalle direttive politiche. Secondo Vittorini l'intellettuale deve contribuire con le sue idee a costruire una società più giusta  e più democratica, ma in piena autonomia e libertà , senza essere condizionato dalle ideologie politiche e , soprattutto, dalle direttive di un partito (il vero intellettuale, secondo Vittorini non deve suonare il piffero per la rivoluzione). Era insomma in gioco l'indipendenza della cultura dalla politica. Nella sua breve vita Il politecnico ebbe il merito di sensibilizzare l'opinione pubblica su molti aspetti culturali, di aprire la cultura italiana, da sempre provinciale, ai grandi autori europei e mondiali del dopo-guerra, di plasmare una nuova figura di intellettuale impegnato, seriamente "affaccendato" a ricostruire


l'Italia, a dare il suo fattivo contributo, uscendo dall' "orticello privilegiato ed aristocratico" della cultura per pochi. In tale prospettiva un contributo teorico importante venne anche dalla pubblicazione per la prima volta de I quaderni del carcere di Antonio Gramsci, intellettuale di spicco, oltre che grande uomo politico. L'aspetto forse più innovativo del Neorealismo si può forse cogliere nella produzione cinematografica, che rese l'Italia e Cinecittà in modo particolare il vero centro creativo di quegli anni nel  campo del cinema.
Autori come Roberto Rossellini ( Roma città aperta,Paisà, Sciuscià ecc.) Vittorio De Sica (Ladri di biciclette, La ciociara, Il giardino dei Finzi Contini ecc.) documentarono in modo drammatico ed umano la realtà italiana di quegli anni ; altri registi come Visconti, Germi, Rosi, Antonioni, Fellini ecc, portarono il cinema italiano ad un livello di notorietà e risultati artistici fino ad allora mai raggiunti.

 

Principali esponenti del neorealismo

Molti scrittori hanno dato il loro contributo alla stagione neorealistica ; come già detto Moravia scrisse La romana, La ciociara, I racconti romani . Altri scrittori hanno iniziato sotto l'influsso di tale corrente p per poi prendere altre strade; è questo il caso tipico di alcuni grandi scrittori come Cesare Pavese, Italo Calvino, Giorgio Bassani, Vasco Pratolini, Ignazio Silone, Carlo Cassola, Beppe Fenoglio ecc. Naturalmente in tutti questi autori, cresciuti intellettualmente in quel particolare clima, bisogna sempre considerare la presenza di elementi lirici, affettivo-sentimantali e memorialistici, che si mescolano continuamente ad elementi di impegno civile e sociale. Per questa ragione in alcuni scrittori come Pratolini, Pavese, Vittorini, Bassani, si può parlare di "equivoco neorealista"in quanto
pur nel persistere di situazioni oggettive di impegno civile e sociale, legate al clima di quegli anni, si avverte in profondità la presenza di un sostrato "lirico-memorialistico-esistenziale", che costituisce la nota più originale e artisticamente riuscita. Vi è poi una produzione cronachistico-documentaristica(si pensi ai tanto i resoconti di guerra dai vari fronti), preziosi per la ricostruzione storica. Non bisogna inoltre trascurare quelle testimonianze relative ai lager nazisti e all'olocausto, come il celebre Se questo è un uomo di Primo Levi o legate alla questione meridionale come, in particolare, Cristo s'è fermato ad Eboli di Carlo Levi. 

 

 

CESARE PAVESE   (1908-1950)

 

Questo scrittore nella sua breve vita esprime in modo emblematico la crisi interiore di tanti altri intellettuali di quel tempo, che vissero spesso in modo drammatico i grandi cambiamenti storici, tipici di quegli anni, il fascismo, la guerra, la lotta partigiana, la ricostruzione e l'impegno civile e politico.Cesare Pavese era originario della provincia di Cuneo ; era nato a S.Stefano Belbo nel 1908, la sua formazione scolastica avvenne nel famoso liceo "D'Azeglio" di Torino, ove ebbe come insegnante Augusto Monti, che in quegli anni era un punto di riferimento preciso nell'opposizione al fascismo.Ma altrettanto significativa per Pavese fu l'amicizia con un gruppo di intellettuali torinesi, come Carlo Levi, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio ed altri .


Dopo essersi laureato in lettere ed aver insegnato per alcuni anni, si dedicò prevalentemente all'attività di traduttore dei grandi autori americani e collaborò, insieme a Vittorini , alle attività culturali del gruppo editoriale torinese Einaudi. Fu anche direttore di una rivista letteraria, poi soppressa dal regime ; ciò comportò un anno di confino a Brancaleone in Calabria . Intanto nel 1936, subito dopo il confino, Pavese pubblicò un libro di Poesie Lavorare stanca, che in quegli anni costituiva un esperimento nuovo, di poesia-racconto, con un impianto cioè narrativo, ispirato al grande poeta americano W. Withman, su cui Pavese aveva scritto la sua tesi di laurea. Tale poesia si presenta molto diversa dall'allora imperante ermetismo.
Negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale sia la letteratura nord-americana (in particolare Lewis ) sia la vicinanza affettiva con la provincia piemontese(le langhe), determinarono in Pavese un "ritorno" a quel mondo autentico con i suoi valori e miti.
Durante questa fase si possono collocare alcuni romanzi come Paesi tuoi (1939),che al suo apparire si segnalò subito per alcune novità significative:
in primo luogo per l'impianto narrativo, che usa spesso la tecnica del monologo interiore e l'uso frequente di termini dialettali  per rappresentare certi aspetti del mondo operaio e contadino piemontese. Altro aspetto tipico è il tono a volte drammaticamente crudo, specie quando si parla di sesso e di sangue ove emergono pagine con tinte forti e cruente. Emerge un mondo contadino dove il lavoro e la fatica abbrutiscono ed imbestialiscono l'uomo.
Tuttavia dietro questo apparente e crudo realismo si nasconde una realtà simbolica più profonda, che emergerà maggiormente nelle opere successive e che trova nella campagna il potente significato del ritorno all'infanzia perduta. A ciò bisogna aggiungere la struggente nostalgia ed il forte senso di ricerca , sempre assai vivo in Pavese, per l'ideale femminile. Nel successivo romanzo, che valse a Pavese il premio Strega nel 1949, cioè La bella estate, appare evidente il contrasto tra città(Torino) e campagna.
Il "mito" consiste nell'identificare Torino, la città con l'età adulta e con la solitudine, invece la campagna con l'infanzia , la madre, il senso di appartenenza a qualcosa e a qualcuno.
Come si vede, si può osservare che vi è un apparente impianto descrittivo-veristico, ma in profondità emergono ricordi, immagini e miti di chiara  derivazione decadente :Nel tempo prerazionale dell'infanzia si colloca il mito, la prima forma di conoscenza con cui si indica il primo rapporto con la realtà con cui il bambino si confronta per la prima volta con il mondo , si fissano nel suo inconscio questi simboli che rimarranno per tutta la vita. Il conoscere dell'adulto è dunque un "ricordare" , un far affiorare dall'inconscio i miti dell'infanzia (Le langhe in Pavese).
Il poeta dunque recupera con la creazione artistica la suggestione di quel magico momento iniziale.Fortemente imbevuta di tale sostanza mitica è l'opera "I dialoghi con Leucò", che presenta chiare reminiscenze classiche.

 

Il momento dell'impegno

 

Anche Pavese subì l'influsso inevitabilmente del neorealismo e delle tematiche ad esso collegate, comela Resistenza, la lotta partigiana, l'impegno civile dell'intellettuale.
Due romanzi in particolare esprimono tale momento: Il compagno (1947) risponde ad un'esigenza
di maggior impegno politico. E' la storia di Pablo, un giovane che conduce a Torino una vita spensierata ed oziosa ; egli si trasferisce a Roma, incontra esponenti della Resistenza e si inserisce nella lotta clandestina, finendo in carcere. Con questa serie di esperienze egli trova dei valori autentici, che danno un senso ad un'esistenza altrimenti vuota ed esce dall'isolamento. Questo romanzo tuttavia non  ha avuto molti consensi da parte della critica ; la figura di Pablo appare poco convincente perché Pavese non riesce a descrivere in modo appropriato il cambiamento interiore


del giovane. Inoltre a giudizio di alcuni,  vi sarebbe un pò di "enfasi ideologica" in alcune pagine  del romanzo, che toglierebbe spontaneità alla vicenda. 
Molto più riuscito e valido è l'altro romanzo La casa in collina, che fa parte insieme a Il carcere del volume Prima che il gallo canti. Questo romanzo di chiara impronta autobiografica narra le vicende di Corrado, un insegnante che fugge via da Torino, bombardata dagli alleati, rifugiandosi sulle colline limitrofe alla città ; entra in contatto con i partigiani, rincontrando in particolare Cate, con la quale aveva avuto una precedente relazione e, forse, un figlio Dino. Cate e gli altri vengono arrestati  dai nazisti ; Corrado riesce a fuggire, si rifugia in un collegio di religiosi, ove trova Dino. Mentre Dino, compiendo una scelta di campo autentica si unisce ai partigiani, Corrado non riesce a trovare la stessa energia interiore e indeciso e pieno di contraddizioni interiori ritorna nelle langhe.
Questo è il romanzo che meglio di altri esprime angoscia, turbamento, indecisione, ma anche l'individualismo un pò egoistico di un intellettuale piccolo-borghese, che non riesce a scegliere in modo chiaro l'impegno politico. Questo atteggiamento riflette in modo speculare la drammatica condizione esistenziale di tanti intellettuali, non del solo Pavese, in quegli anni così tragici.
Lo scrittore piemontese arriva alla lucida constatazione che non esiste una guerra giusta o ingiusta, ma che ogni guerra è , oltre che crudele, sempre assurda ed irrazionale.

 

La rivincita  del mito e la definitiva sconfitta

L'ultimo romanzo La luna e i falò (1950) rappresenta il testamento spirituale di Cesare Pavese ; attraverso la storia di Anguilla, un trovatello emigrato in America, che dopo aver fatto fortuna torna nelle langhe per ritrovare le sue origini. A contatto con le langhe riaffiora il "mito", l'infanzia lontana, il contatto viscerale e quasi sanguigno con la natura, con l'innocenza perduta.
E' una specie di impossibile ricerca del tempo perduto, perchè ormai l'infanzia è lontana, il tempo è scorso inesorabile, ormai irrecuperabile, anche nelle langhe, .
In questo romanzo Pavese cerca disperatamente per l'ultima volta di uscire dalla solitudine, di ritornare alle origini, di riscoprire se stesso, ma si rende conto che ciò è impossibile, comprende di essere solo. Nel prendere atto disperatamente di tale solitudine, egli lascia  intravedere il tragico gesto del suicidio ("il vizio assurdo") già in alcuni passi de Il mestiere di vivere, una specie di diario in cui sono annotate nelle ultime  pagine le tragiche vicissitudini  interiori di un animo ormai disperato.
lo scrittore in preda a questa tragica depressione si suicidò a Torino con una forte dose di barbiturici nell'agosto del 1950 ; ad esasperare tale malessere e a far precipitare la situazione, contribuì il fallimento della relazione amorosa con una giovane attrice americana Constance Dowling, da lui appassionatamente amata .
Traccia di tale dolorosa, sfortunata ed intensa  relazione sentimentale si coglie nella raccolta di poesie, pubblicata postuma nel 1951 Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Tale raccolta è molto diversa dalla precedente Lavorare stanca ; in queste poesie di tono fortemente lirico torna in modo ossessivo il tema della vita e della morte, dell'amore e della solitudine. La morte assume il volto della donna amata ; in termini psicanalitici si può intravedere una specie di ritorno del poeta  all'inconscio primitivo, allo stadio pre-natale, una regressione al grembo materno.
Queste poesie rappresentano l'estrema testimonianza di un'anima sensibile che, nella disperata  ricerca di amore , cade vittima della sua solitudine ed incomunicabilità, cedendo al "vizio assurdo"
cioè alla tentazione del suicidio, al richiamo della morte. Trova così l'epilogo il contrasto tra due diverse  componenti interiori : da un lato il mito, la suggestione interiore, il richiamo del passato, dall'altra il tentativo di uscire da se stesso, dalla propria solitudine e, aderendo al neorealismo in modo certamente  un pò confuso, tentare di "essere un uomo tra gli uomini" (secondo la definizione di U. Saba). Questo tragico conflitto non trovò mai una soluzione positiva.

ITALO  CALVINO   (1923-1985)

 

Si può considerare come uno dei più originali e poliedrici scrittori  di quest'ultima generazione ; in Calvino colpisce la continua ricerca di sperimentazione  di nuovi moduli espressivi, di nuove soluzioni artistiche. Anche la permanenza all'estero, specie a Parigi, contribuirono a conferirgli un respiro europeo, aprendolo alle esperienze europee più d'avanguardia.
Calvino debuttò come narratore negli anni dell'immediato dopo-guerra  in pieno clima neorealista con una paio di opere : Il sentiero dei nidi di ragno (1947) e Ultimo viene il corvo (1949).
Il primo romanzo narra  episodi della lotta partigiana, ma visti con gli occhi  di un fanciullo, che per la prima volta si confronta con la realtà degli adulti. Pavese dette la felice definizione di Calvino scoiattolo della penna. Nel secondo romanzo, che è in realtà unaserie di novelle ,questo tono narrativo così felice entra in crisi ; le tematiche storico sociali, legate al neorealismo, vengono vista con crescente disincanto politico. Si dissolve, o per lo meno, si attenua fortemente la fiducia dello scrittore verso possibili soluzioni politiche, che troveranno la clamorosa protesta nel 1956 al tempo dell'invasione dell'Ungheria da parte delle truppe del patto di Varsavia, allorché Calvino uscì  per dissenso ideologico dal PCI . Da questo momento la linea realistica tende sempre più ad assottigliarsi, mentre prende sempre più campo l'invenzione fantastico-simbolica. E' questa la cosidetta fase "illuministica" in Calvino in cui l'intelligenza lucida ed ironica  dello scrittore, a volte carica di forte comicità, interpreta il nostro mondo contemporaneo, mettendone in risalto i falsi miti e la pochezza dei contenuti. Appartengono a questa fase tre tra le opere più note di Calvino: Il visconte dimezzato(1952), Il barone rampante (1957), Il cavaliere inesistente (1959 ; la prosa di questi romanzi è nitida, cristallina,geometrica ; attraverso l'intelaiatura della favola si individuano facilmente allusioni, simbologie legate alla difficile situazione politica di quegli anni (la guerra fredda). Successivamente Calvino tenta una sperimentazione "realistico-razionalistica" con alcune opere come La speculazione edilizia (1957) e Marcovaldo (1963), in cui emerge chiaramente l'affermarsi di una società affaristica e consumistica, ormai lontana dai valori ed ideali della Resistenza.
Nel romanzo La giornata di uno scrutatore(1963) emerge il dramma civile ed umano di una democrazia, di fatto negata ai portatori di handicap, che non possono godere, purtroppo, dei pieni diritti. L'ultima fase artistica di Calvino vede il suo rifugio dal provincialismo della cultura italiana e la permanenza all'estero (a Parigi) ; lo scrittore entra in contatto con le avanguardie europee, sperimenta nuovi canoni espressivi, approfondisce anche gli studi di carattere scientifico e cosmologico. Nascono così opere assai originali, ma decisamente difficili e assai diverse dalle precedenti: Le cosmicomiche (1965) e Ti con zero(1967). In esse , oltre alla grande fantasia ed immaginazione creativa si nota l'accentuarsi del pessimismo storico dell'autore. Egli considera il mondo come un labirinto indecifrabile e inestricabile. L'ultima opera significativa è Palomar (1983), che rappresenta l'ultima tappa della sua complessa evoluzione narrativa. Si tratta di 27 prose in cui il protagonista, una specie di palombaro, si avventura nell'universo smarrendosi nei suoi labirinti. La conseguenza è l'impossibilità di conoscere e la definitiva distanza gnoseologica dal reale, per cui il protagonista ripiega in se stesso, sconfitto nel suo tentativo di conoscere. L'ultimo brano, in un misto di ironia e tragedia, si intitola in modo significativo:  Come imparare ad essere morto.
Su quest'ultima evoluzione della prosa in Calvino ci sono stati giudizi assai discordi da parte della critica: al di là delle varie interpretazioni e polemiche si può dire che  pochi come lui hanno sperimentato le linee narrative più moderne nella nostra narrativa contemporanea. Solo i decenni futuri potranno dare un giudizio più equanime e distaccato su tali novità.

 

PIER PAOLO PASOLINI  (1922-1975)

 

Questo scrittore è stato o uno dei principali animatori del dibattito culturale, che si è sviluppato nell'Italia contemporanea tra gli anni cinquanta e settanta.
Intellettuale, per così dire, "scomodo", che con i suoi interventi e provocazioni, spesso polemiche, ha messo sotto accusa le tante contraddizioni della nostra società e cultura. Da segnalare anche la sofferta militanza politica nelle file del PCI, da cui fu nel 1949 espulso, con cui spesso si trovò in disaccordo, fino alle posizioni degli ultimi anni fortemente libertarie, che lo videro vicino ai radicali.
Nato a Bologna nel 1922, ma cresciuto nel Friuli, figlio di un ufficiale dell'esercito, assai autoritario e severo, il giovane Pasolini, emotivamente assai legato alla figura materna, ha poi nel corso della vita manifestato chiare tendenze omosessuali, che hanno contribuito non poco a fornirgli una visione sofferta e conflittuale della realtà e dei rapporti con gli altri.
Colpito profondamente dalla tragica morte di un fratello partigiano durante la guerra di Liberazione, Pasolini si laureò in lettere con una tesi sulla poesia di Pascoli, autore, che sarà per lui sempre assai congeniale. Trasferitosi a Roma con la madre dopo la morte del padre, visse di lavori precari, insegnò per un certo periodo e assai importante fu la sua permanenza nell'ambito delle borgate della periferia romana, che, proprio in quegli anni cinquanta, si andava popolando di immigrati meridionali.
Proprio nella realtà dei " borgatari" si inquadrano i due romanzi dell'autore, che segnano di fatto il suo esordio nella narrativa, cioè I ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959). Tali romanzi a lungo discussi dalla critica con valutazioni assai contrastanti,  propongono alcuni temi tipici di Pasolini come il conflitto tra  passione ed ideologia di alcuni giovani sottoproletari  in una faticosa crescita e presa di coscienza .
Iniziò la sua amicizia con intellettuali e scrittori di rilevo come Moravia, Leonetti, Carocci ed altri, che vide anche la sua collaborazione a riviste come Officina. All'inizio degli anni sessanta polemici furono i suoi strali contro le posizioni del Gruppo '63 .
In questa fase Pasolini si avvicinò molto al cinema e come regista dette importanti prove  della sua visione poetica, da un lato riallacciandosi a certe situazioni tipiche del filone neorealistico, dall'altra proponendo temi ed elementi di grande suggestione o lirica o esotica o mitico-fiabesca o , infine, in chiave grottesca e surreale. 
Tra i film più noti e di maggior successo di Pasolini ricordiamo: "Il vangelo secondo Matteo"(1964), "Medea" (1969) , " Decameron" (1971), "I racconti di Canterbury" (1972), "Il fiore delle mille e una notte " (1974).
Durante la contestazione giovanile del '68 si schierò più volte contro tali manifestazioni, ritenendole espressione della borghesia e dei "figli di papà" piuttosto che espressione del proletariato : famosa è la sua posizione a favore dei celerini, figli del sottoproletariato contro gli studenti universitari, espressione della borghesia, durante gli scontri a Valle Giulia a Roma (1968)
In questi anni Pasolini esce definitivamente dalle file del PCI, criticandone  la scarsa dialettica interna e contestando ai dirigenti del partito il "prospettivismo burocratico", cioè la pretesa di lasciare poco spazio agli intellettuali  in qualche modo sempre soggetti ai politici ed alle direttive di partito nella direzione di un'arte priva di "prospettivistiche speranze", ma sensibile alle tante miserie ed ingiustizie della società contemporanea.
Altra grande polemica, che vide Pasolini in prima linea fu da un lato la difesa dei dialetti, minacciati nella loro sopravvivenza, proprio dai mass media sempre più invadenti, che stava da indicare la definitiva scomparsa della civiltà contadina e dei valori ad essa legati, dall'altra la critica sempre più serrata alla "civiltà consumistica " e del benessere, considerata come pagana , volgare,


disumana e brutale, tale da avvilire l'umanità in nome del profittto.
In tale prospettiva lo scrittore fu ostile in modo particolare sia alla scolarizzazione di massa (la nuova scuola media unificata), vista come strumento di inevitabile appiattimento della cultura, sia alla televisione, da lui considerata deleterio strumento di superficialità e volgarità.
La civiltà occidentale tende ad annullare le differenze culturali ad operare un processo di "omologazione culturale", a rendere tutti uguali, secondo le norme del mercato.
Su tutti questi spunti Pasolini scrisse molti articoli su quotidiani e riviste e i celebri saggi contenuti nel volume" Scritti corsari", che rimane a tutt'oggi una delle testimonianze intellettuali più interessanti del nostro tempo.
Tra le raccolte poetiche di Pasolini di maggiore interesse si collocano i due volumi" La meglio gioventù" (in dialetto friulano)  "Le ceneri di Gramsci" e "La religione del mio tempo".
Dopo la morte dell'autore sono stati pubblicate postume altre opere : "Lettere luterane" (1976), che sono interessanti saggi giornalistici, "Amado mio " (due racconti) e il discusso romanzo incompiuto "Petrolio"(1992).

 


  Istituto tecnico commerciale   "Francesco Laparelli"                               
CORTONA
                                


CLASSE  V A                                                A.S. 2003-2004

 

Prof. Alessandro Silveri

  
Fonte: http://www.liceicortona.it/doc/italiano.doc

 

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